Henry Kuttner e C. L. Moore Ciò che ti serve

La scritta diceva così, appunto. Tim Carmichael, che lavorava per un giornale economico, e arrotondava il suo magro salario vendendo articoli sensazionali e inattendibili ai rotocalchi, non riuscì a cogliere neppure il germe d’un articolo in quellla scritta all’incontrarlo. Pensò che fosse una qualche trovata pubblicitaria da quattro soldi, qualcosa che raramente si incontrava in Park Avenue, dove le vetrine dei negozi erano famose per la loro classica dignità.

Provo una viva irritazione.

Digrignò i denti in silenzio, proseguì lungo la sua strada, poi d’un tratto si girò e tornò indietro. Non era abbastanza forte e deciso da resistere alla tentazione di chiarire la frase, anche se il suo fastidio crebbe. Si fermò davanti alla vetrina, alzando gli occhi, e compitò tra sé: «“Noi abbiamo ciò che ti serve”. Ma…?»

La scritta era formata da una successione di lettere piccole e ben tracciate su una striscia che si stendeva di traverso su uno stretto pannello di vetro. Il vetro era una tipica vetrina anti-riflesso, ricurva. Attraverso il vetro Carmichael vide una distesa di velluto bianco, con pochi oggetti disposti con cura sopra di esso. Un chiodo arrugginito, una racchetta da neve e una tiara tempestata di diamanti. Pareva una decorazione di Dalì per Cartier o Tiffany.

«Gioiellieri?» si chiese Carmichael. «Ma perché ciò che ti serve?»

Immaginò dei milionari afflitti e sconsolati perché gli mancava un filo di perle per fare il paio, ereditiere in lagrime perché non riuscivano a trovare un rubino stellato. Il principio basilare del commercio di lusso stava nel trattare con la crema della domanda e dell’offerta. Poche persone avevano bisogno di diamanti. E perché? Perché li volevano, e basta, e potevano permetterseli.

«Oppure potrebbero vendere lampade magiche», decise Carmichael. «O bacchette magiche. Ma con lo stesso principio del cappello a cilindro dell’illusionista: una trappola per i creduloni. Mettete fuori un cartello con scritta sopra una qualunque assurdità, e la gente entrerà a fiotti e pagherà a contanti. Gonzi a tre per un soldo…»

Quella mattina era tutto un bruciore di stomaco e provava antipatia per il mondo intero. La prospettiva d’un capro espiatorio l’attraeva, e la sua tessera di giornalista gli dava un certo vantaggio. Spinse la porta ed entrò nel negozio.

Sì. Era proprio Park Avenue. Non c’erano banchi o bacheche. Avrebbe potuto essere una galleria d’arte poiché alle pareti erano appesi alcuni olii d’egregia fattura Carmichael fu colpito da un misto di lusso oppressivo e di inanimata desolazione.

Una tenda sul fondo si mosse e ne uscì un uomo alto, dai capelli bianchi pettinati con cura, un volto sano e florido, e un paio di acuti occhi azzurri. Avrebbe potuto essere sulla sessantina. Indossava un costoso abito di tweed, alquanto stazzonato, che strideva con l’ordine impeccabile di quell’ambiente.

«Buongiorno», disse l’uomo, dopo una rapida occhiata agli indumenti di Carmichael. Parve un po’ sorpreso. «Cosa posso fare per lei?»

«Qualcosa… forse». Carmichael si presentò ed esibì la sua tessera.

«Oh? Il mio nome è Talley. Peter Talley».

«Ho visto la scritta, là fuori».

«Oh?»

«Il nostro giornale è sempre a caccia di argomenti interessanti per i suoi articoli. Non ho mai notato il suo negozio prima d’ora…»

«Sono qui da anni», disse Talley.

«Questa è una galleria d’arte?»

«Be’… no».

La porta esterna si apri. Un uomo dall’aspetto florido entrò e salutò Talley cordialmente. Carmichael, nel riconoscere il cliente, sentì crescere in se l’opinione che aveva del negozio. L’uomo florido era un Nome… e dei più grossi.

«È un po’ presto, signor Talley», disse l’uomo, «ma non volevo tardare. Ha avuto il tempo di procurarmi ciò… che mi serviva?»

«Oh, sì. L’ho qui. Un momento, prego». Talley riattraversò in fretta la tenda e tornò quasi subito con un pacchetto bene incartato che consegnò all’uomo florido. Quest’ultimo gli porse un assegno — Carmichael intravide la somma e deglutì — e se ne andò. La sua macchina era parcheggiata là fuori, accanto al marciapiede.

Carmichael si avvicinò alla porta, e guardò fuori. L’uomo florido pareva impaziente. Il suo autista attese, immobile e con lo sguardo vacuo, mentre il pacchetto veniva aperto da dita frettolose.

«Non sono sicuro di desiderare pubblicità, signor Carmichael». disse Talley. «Ho una clientela… scelta con cura».

«Forse i nostri bollettini economici settimanali potrebbero interessarla».

Talley dominò chiaramente una risata. «Oh, non credo. Non è proprio il nostro ramo».

L’uomo florido aveva finalmente aperto il pacchetto, tirandone fuori un uovo. Da quanto Carmichael poteva vedere, lì accanto alla porta, si trattava soltanto d’un comunissimo uovo. Ma il suo proprietario lo stava contemplando quasi con reverenza. Quell’uomo non avrebbe potuto essere più felice se l’ultima gallina della Terra fosse morta dieci anni prima. Qualcosa che assomigliava a un profondo sollievo comparve sul volto di quell’individuo, abbronzato dal sole della Florida.

Disse qualcosa all’autista, e la macchina parti con fluido movimento, scomparendo dietro l’angolo.

«Lei si occupa del settore lattiero-caseario?» chiese d’un tratto Carmichael.

«No».

«Le spiace dirmi qual è il suo ramo?»

«Mi spiace, ma temo proprio che mi dispiaccia», replicò Talley.

Carmichael cominciava ad annusare un servizio. «Certo, potrei scoprirlo da me, tramite la Camera di Commercio…»

«Non potrebbe».

«No? Potrebbe interessare molto a qualcuno scoprire come mai un uovo può valere cinquemila dollari per uno dei suoi clienti».

Talley replicò: «La mia clientela è così ristretta che devo far pagare prezzi molto alti. Lei… ehm… saprà che un mandarino cinese ha pagato migliaia di tael per un uovo di comprovata antichità».

«Il tizio che è stato qui poco fa non era un mandarino cinese», obbiettò Carmichael.

«Oh, be’… Come le ho già detto, la pubblicità non m’interessa».

«Io credo di si, invece. Mi sono occupato di pubblicità, una volta. L’aver esposto quella sua scritta all’incontrano è un amo con un’esca molto ovvia…»

«Allora lei non è uno psicologo», ribatté Talley. «È soltanto che posso permettermi di soddisfare i miei capricci. Per cinque anni ho guardato ogni giorno quella vetrina e ho letto la scritta a rovescio dall’interno del mio negozio. La cosa mi dava fastidio. Sa quanto una parola comincia a sembrare strana, se si continua a guardarla? Qualunque parola. Diventa qualcosa che non corrisponde a niente nel linguaggio umano. Be’, ho scoperto che mi stava venendo una nevrosi, a causa di quella scritta. All’incontrario non ha alcun senso, ma io continuavo a leggerci un significato. Quando ho cominciato a compitare dentro di me ‘Evres it ehc oic omaibba ion’, mettendomi a cercare derivazioni filologiche, mi son deciso a chiamare un pittore d’insegne. E la gente abbastanza interessata continua a entrare».

«Non molti», disse astutamente Carmichael. «Questa è Park Avenue. E lei ha sistemato il locale in modo troppo costoso. Nessuno, a basso o medio reddito, entrerebbe qua dentro. Perciò lei dirige un’azienda rivolta esclusivamente all’alto reddito».

«Be’», ammise Talley. «Sì, lo faccio».

«E non vuol dirmi di che si tratta?»

«Preferirei di no».

«Posso scoprirlo, sa? Potrebbe essere droga, pornografia, scommesse clandestine…»

«Assai probabile», annuì Talley, senza scomporsi. «Acquisto gioielli rubati, li nascondo dentro alle uova, e li rivendo ai miei clienti. Oppure quell’uovo era pieno di microscopiche fotografie pornografiche. Buongiorno, signor Carmichael».

«Buongiorno», rispose Carmichael, e uscì. Era già in ritardo per l’ufficio, ma la prospettiva di passare delle ore ad annoiarsi ad una scrivania lo spinse a giocare all’investigatore, là fuori. Tenne dunque d’occhio il negozio di Talley e i risultati furono del tutto soddisfacenti… entro certi limiti. Riuscì a saper tutto… salvo il perché.

Quel pomeriggio, sul tardi, andò di nuovo dal signor Talley.

«Aspetti un momento», si affrettò a dire, davanti all’espressione tutt’altro che incoraggiante del proprietario. «Per quanto lei ne può sapere, io potrei anche essere un cliente».

Talley scoppiò a ridere.

«Be’, perché no?» Carmichael fece una smorfia. «Come fa a sapere l’entità del mio conto in banca? Oppure lavora esclusivamente con una clientela fissa?»

Carmichael si affrettò ad aggiungere: «Ho fatto qualche indagine. Ho osservato i suoi clienti. O, ad esser sinceri, li ho seguiti. E ho scoperto che cosa comperano da lei».

Il volto di Talley cambiò. «Davvero?»

«Davvero! Hanno tutti una fretta maledetta di toglier la carta ai suoi fagottini. Così, questo mi ha dato la possibilità di scoprire cosa c’è dentro. Ne ho mancati alcuni, ma… ho visto abbastanza da potervi applicare un po’ di regole, secondo logica, signor Talley. Primo: i suoi clienti non sanno quello che comperano da lei. È una specie di gioco della pentolaccia. Un paio di volte sono rimasti sbigottiti. L’uomo che ha aperto il pacchetto e ha trovato un vecchio ritaglio di giornale, ad esempio. E gli occhiali da sole? E il revolver? Probabilmente illegale, a proposito… niente porto d’armi. E il diamante? Doveva essere un’imitazione… era talmente grosso!»

«M… mmm», disse il signor Talley.

«Non sono un genio, ma so annusare l’odore d’una truffa. La maggior parte dei suoi clienti sono pezzi grossi, per un motivo o per l’altro. E perché mai nessuno di loro l’ha pagata, come invece ha fatto il primo… il tizio che è entrato quand’ero qui, stamattina?»

«È soprattutto una vendita a credito», disse Talley. «Ho una mia etica. Devo averla, per la mia coscienza. È una grossa responsabilità. Vede, vendo — la mia merce — sotto garanzia. Il pagamento viene effettuato soltanto se il prodotto risulta soddisfacente».

«Già. Un uovo. Occhiali da sole. Un paio di guanti d’amianto — mi pare che lo fossero. Un ritaglio di giornale. Un revolver. E un diamante. Dev’esser un’impresa fare l’inventario».

Talley non fece commenti.

Carmichael sogghignò. «Lei ha un fattorino. Lo manda fuori e quello torna con dei fagotti. Forse va da un droghiere sulla Madison Avenue e compra un uovo. Oppure a un banco di pegni sulla Sesta, per un revolver. O… be’, ad ogni modo, gliel’avevo detto che avrei scoperto qual è il suo genere di affari».

«E l’ha scoperto?» chiese Talley.

«’Noi abbiamo ciò che ti serve’», citò Carmichael. «Ma come fa a saperlo?»

«Lei sta saltando alle conclusioni».

«Ho mal di testa — non avevo gli occhiali da sole! — e non credo nella magia. Mi ascolti, signor Talley, ne ho fin sopra i capelli, e oltre, di strani negozietti che vendono cose ancora più strane. Ne so fin troppo… parecchio, insomma, su di essi. Un tizio cammina per la strada e vede una specie di strana bottega e il proprietario non vuole servirlo — lui vende soltanto ai folletti — oppure, gli vende un talismano a doppio taglio. Be’… pfui!»

«Mph», disse Talley.

«Mph’ quanto vuole. Ma non può sfuggire alla logica. O qui lei ha un racket, molto concreto e bene organizzato, o altrimenti questo è uno di quegli strani negozietti di oggetti magici… e questo non lo credo. Poiché non è logico».

«Perché no?»

«A causa del costo», spiegò Carmichael, deciso. «Ammettiamo pure l’ipotesi che lei abbia certi misteriosi poteri — diciamo che lei è capace di fabbricare dei congegni telepatici. D’accordo. Ma perché mai dovrebbe metter su un’azienda per vendere questi congegni e guadagnarsi da vivere? Basterebbe che lei s’infilasse uno dei suoi congegni, leggesse la mente d’un agente di cambio, per poi comprare le azioni giuste. È questo l’errore concettuale in tutti questi negozietti strani — se lei avesse abbastanza roba per rifornire e gestire un negozietto del genere, non avrebbe bisogno del negozietto, in primo luogo. Perché girare intorno al granaio di Robin Hood?»

Talley non replicò.

Carmichael lo gratificò d’un sorriso d’intesa. «’Mi chiedo spesso cosa comperino i vinai che valga anche soltanto la metà della roba che vendono’», citò. «Be’, lei cosa compera? Io so cosa lei vende: uova e occhiali da sole».

«Lei è un bel ficcanaso, signor Carmichael», mormorò Talley. «Le è mai passato per la mente che questi non sono affatto affari suoi?»

«Potrei essere un cliente», ribatté Carmichael. «Che mi dice, allora?»

I gelidi occhi azzurri di Talley si erano fatti attenti. In essi era spuntata una nuova luce. Talley increspò le labbra e si accigliò. «Non ci avevo pensato», ammise. «Potrebbe anche esserlo, viste le circostanze. Mi vuole scusare un momento?»

«Ma certo», annui Carmichael. Talley andò dietro la tenda.

Fuori del negozio, il traffico scorreva lento e ozioso lungo Park Avenue. Il sole stava scivolando giù, dietro l’Hudson, la strada veniva sempre più avvolta da un’ombra azzurrognola che risaliva impercettibilmente lungo i contrafforti degli edifici. Carmichael fissò la scritta NOI ABBIAMO CIÒ CHE TI SERVE, e sorrise.

Nella stanza sul retro, Talley applicò gli occhi a una piastra binoculare e regolò una scala graduata. Ripeté l’operazione parecchie volte. Poi, mordicchiandosi le labbra — poiché era un uomo gentile — chiamò il fattorino e gl’impartì le sue istruzioni. Dopo di che, tornò fuori da Carmichael.

«Lei è un cliente», annui. «A certe condizioni».

«Quelle del mio conto in banca, intende dire?»

«No», replicò Talley. «Farò per lei una tariffa ridotta. Lei deve capir questo: io ho davvero ciò che le serve. Lei non sa ciò che le serve, ma io lo so. E si da il caso che… be’, le venderò ciò che le serve per, diciamo, cinque dollari».

Carmichael allungò la mano verso il portafoglio. Talley sollevò una mano.

«Mi pagherà dopo che sarà rimasto soddisfatto. E il denaro è soltanto la parte concreta, ufficiale, della tariffa. C’è un’altra parte. Se rimarrà soddisfatto, voglio che lei mi prometta di non venir mai più vicino a questo negozio, e di non parlarne con nessuno».

«Capisco», replicò lentamente Carmichael. Le sue teorie erano lievemente cambiate.

«Non ci vorrà molto prima che… ah, eccolo qua». Un ronzio dal retro indicò il ritorno del fattorino. Talley disse: «Mi scusi», e scomparve dietro la tenda. Ben presto fu di ritorno con un pacchetto bene incartato, che depositò tra le mani di Carmichael.

«Lo tenga sulla sua persona», disse Talley. «Buon pomeriggio».

Carmichael annui, s’infilò in tasca il pacchetto, e usci. Sentendosi ricco, chiamò un tassì e si recò in un piccolo bar che conosceva. Là, nella penombra di un separé, scartò il fagottino.

Denaro per la protezione, decise. Talley lo pagava perché tenesse la bocca chiusa sul suo racket, qualunque cosa fosse. D’accordo, allora. Vivi e lascia vivere. Quanto avrebbe trovato, là dentro…?

Diecimila? Cinquantamila? Quanto grosso era quel racket?

Trovò una scatoletta di cartone, oblunga. L’apri. All’interno, avvolte in un foglio di carta velina, c’erano… un paio di cesoie, le lame protette da un fodero fatto con del cartone piegato.

Carmichael masticò qualcosa a bassa voce. Bevette il suo bicchiere di whisky allungato con seltz, poi ne ordinò un altro, ma non lo toccò neppure. Diede un’occhiata al suo orologio da polso, e decise che il negozietto di Park Avenue a quell’ora doveva esser già chiuso, e il signor Peter Talley se n’era andato.

«“…che valga soltanto la metà della roba che vendono”» ripeté Carmichael. «Forse sono le forbici di Atropo. Bah». Sfoderò le lame e tagliò l’aria a mo’ di esperimento. Non accadde nulla. Con le guance lievemente imporporate, Carmichael reinfoderò le cesoie e le fece scivolar dentro la tasca interna del soprabito. Una bella trovata!»

Decise che avrebbe fatto un’altra visita a Peter Talley il giorno dopo.

Nel frattempo, cosa mai? Ricordò che aveva un appuntamento con una delle ragazze dell’ufficio per cenare insieme, si affrettò a pagare il conto e se ne andò. Le strade si stavano oscurando e un vento freddo soffiava verso sud proveniente dal parco. Carmichael si strinse ancor di più la sciarpa intorno al collo e fece un cenno ai tassì che passavano.

Era parecchio irritato.

Mezz’ora più tardi, un uomo magro dagli occhi tristi — Jerry Worth, uno dei redattori pubblicitari — lo salutò all’altro bar dove Carmichael stava ammazzando il tempo. «Aspetti Betsy?» gli chiese Worth, facendo un cenno col capo verso il ristorante adiacente. «Mi ha mandato a dirti che non può venire. Un lavoro dell’ultimo minuto. Tante scuse e tutto il resto. Dov’eri, oggi? Le cose si sono arenate un po’. Bevi qualcosa con me?»

Si misero a sorseggiare un whisky di segale. Carmichael era già un po’ brillo. Il lieve rossore delle sue guance si era fatto alquanto più scuro e il suo intimo corruccio era cresciuto parecchio d’intensità. «Ciò che ti serve», borbottò. «Piccolo imbroglione…»

«Uh?» fece Worth.

«Niente. Bevi. Ho appena deciso di mettere nei guai un tizio. Se potrò».

«Sei stato tu, oggi, a cacciarti in un guaio… quasi. Quell’analisi di mercato sui minerali…»

«Uova. Occhiali da sole!»

«Ti ho tirato fuori da un pasticcio…»

«Chiudi il becco», gl’intimo Carmichael, e ordinò un’altra volta da bere. Tutte le volte che sentiva il peso di quelle cesoie in tasca, scopriva che le sue labbra si stavano muovendo.

Cinque bicchieri più tardi, Worth disse ancora, mesto: «Non mi dispiace fare buone azioni, ma mi piace parlarne. E tu non me lo lasci fare. Voglio soltanto un po’ di gratitudine».

«D’accordo, parlane», replicò Carmichael. «Vantati pure. Chi se ne frega?»

Worth irradiò soddisfazione: «Quell’analisi di mercato sui mineali… ecco cos’era. Oggi non eri in redazione, allora l’ho completata io. Ho controllato coi nostri dati d’archivio, e ho visto che con la Trans-Steel avevi sbagliato tutto. Se io non avessi corretto le cifre, sarebbe finito tutto in tipografia senza che…»

«Cos’hai fatto?»

«La Trans-Steel. Le loro…»

«Oh, imbecille», gemette Carmichael. «Sapevo bene che non coincideva con le cifre dell’archivio. Intendevo lasciare un appunto all’archivista perchè correggesse i suoi dati. Ho avuto le mie informazioni direttamente dalla fonte. Perché non ti fai i fatti tuoi?»

Worth sbatté gli occhi. «Ho cercato di aiutarti».

«Ci avrei ricavato un bell’aumento di paga…» l’interruppe Carmichael. «Dopo tutta la trafila che ho fatto per arrivare a quell’informazione riservata, quella vera!… Oh, senti, quella roba è già stata passata in composizione?»

«Non lo so. Forse no. Croft stava ancora controllando la sua copia…»

«Oh, al diavolo!» esplose Carmichael. «La prossima volta…» Diede uno strappo alla sciarpa, saltò giù dallo sgabello e si precipitò verso l’uscita, seguito da Worth che continuava a protestare. Dieci minuti dopo era in redazione intento ad ascoltare Croft che gli spiegava, soavemente, come il testo del suo articolo fosse già stato spedito in tipografia.

«Ha importanza? C’era… a proposito, dov’eri quest’oggi?»

«Danzavo sull’arcobaleno», sbottò Carmichael, e se ne andò. Era passato dal whisky di segale a quello di malto, e la fredda aria notturna, come era naturale, non lo fece diventar sobrio. Barcollando un po’, gli occhi sul marciapiede che sembrava oscillare avanti e indietro, mentre ammiccava, si fermò accanto alla cordonatura, riflettendo sulla situazione.

«Mi spiace, Tim», disse Worth. «Comunque, adesso è troppo tardi. Non c’è nessun problema. Hai tutti i diritti di basarti sui dati che abbiamo in archivio».

«Farmi questo proprio adesso…» biascicò Carmichael. «Piccolo schifoso…» Era rabbioso e sbronzo. D’impulso si precipitò verso la tipografia, con Jerry Worth che continuava a seguirlo, confuso.

Là dentro, c’era un ritmico rumore di tuono. L’aria fredda e la corsa avevano accresciuto il senso di nausea a Carmichael; la testa gli faceva male, e la percentuale d’alcool nel suo sangue era a livelli di guardia. L’aria calda, gravida d’inchiostro, era sgradevole. Le grandi linotypes sbatacchiavano e ringhiavano. C’era un continuo andirivieni di gente. Tutto acquistava un sapore d’incubo, ma Carmichael scrollò, ostinato, le spalle e proseguì traballante, finché qualcosa non lo tirò indietro con uno strappo e cominciò a strangolarlo.

Worth cominciò a urlare. Era anche lui mezzo ubriaco, e sul suo viso comparve un’espressione terrorizzata. Gesticolò frenetico.

Ma tutto questo faceva parte di un incubo. Carmichael ora vide cos’era successo: le estremità della sua sciarpa si erano in qualche modo incastrate tra i meccanismi in movimento, e lui veniva trascinato inesorabilmente tra le ruote dentate. Vi fu un accorrere di gente, tonfi metallici, il rombo si fece assordante. E la sciarpa continuò, inesorabile, a tirare.

Worth urlò: «…coltello! Tagliatela!»

La semincoscienza causatagli dall’intossicazione alcoolica salvò Carmichael. Da sobrio, il panico l’avrebbe reso impotente. Così, invece, fra tanti pensieri che gli si accavallavano nella testa, riuscì ad agguantarne uno solo, e questo fu limpido e chiaro. Ricordò le cesoie, e s’infilò la mano in tasca. Le lame scivolarono fuori dalla guaina di cartone, e lui, sia pure annaspando, agguantò la sciarpa e la tagliò.

La seta bianca scomparve, risucchiata dagli ingranaggi. Carmichael si toccò l’orlo frastagliato intorno alla gola, ed ebbe un agro sorriso.


Il signor Peter Talley aveva caldamente sperato che Carmichael non sarebbe tornato. I tracciati della probabilità avevano mostrato due possibili alternative: in una tutto andava bene; nell’altra…

La mattina dopo Carmichael entrò nel negozio e tirò fuori un biglietto da cinque dollari. Talley l’accettò.

«Grazie. Ma avrebbe potuto spedirmi un assegno per posta».

«Avrei potuto. Solo che questo non mi avrebbe detto ciò che voglio sapere».

«No», disse Talley, e sospirò. «Lei ha deciso, non è vero?»

«Mi biasima?» chiese Carmichael. «La scorsa notte… sa cos’è successo?»

«Si».

«Come?»

«Tanto vale che glielo dica», fece Talley. «Lo scoprirebbe comunque».

Charmichael si sedette, si accese una sigaretta e annui. «A fil di logica. Non avrebbe potuto organizzare quel piccolo incidente in nessun modo. Betsy Hoag aveva già deciso ieri mattina sul presto di mandare in fumo il nostro appuntamento. Prima che io venissi da lei. Quello è stato l’inizio della catena di eventi che hanno condotto all’incidente. Ergo, lei deve aver saputo quello che stava per accadere».

«Lo sapevo».

«Prescienza?»

«Meccanica. Ho visto che lei sarebbe rimasto schiacciato dalla macchina…»

«Il che implica un futuro alterabile».

«Certo», annui Talley, ripiegandosi un po’ su se stesso. «Ci sono innumerevoli varianti possibili, nel futuro. Differenti linee di probabilità. Tutte dipendenti dal risultato di successivi eventi cruciali, man mano si verificano. Si dà il caso che io abbia una certa competenza nel campo dell’elettronica. Qualche anno fa, quasi per caso, mi sono imbattuto nel principio che permette di vedere il futuro».

«Come?»

«Comporta essenzialmente una precisa messa a fuoco sull’individuo. Nel preciso istante in cui entra in questo negozio», fece un ampio gesto, «lei si trova nel raggio del mio analizzatore. Nella stanza sul retro ho la macchina vera e propria. Ruotando un indice su una scala esattamente calibrata, passo in rassegna i possibili futuri. A volte ce ne sono tanti, a volte pochi. Come se certe stazioni non trasmettessero. Io guardo nel mio schermo, vedo ciò che le serve… e glielo fornisco».

Carmichael esalò un lungo sbuffo di fumo dalle narici. Seguì le spire azzurrognole con gli occhi stretti a fessura.

«Lei segue l’intera vita di un uomo… in triplice o quadruplice… che cosa?»

«No», replicò Talley. «Ho messo a fuoco il mio congegno cosicché sia sensibile soltanto ai punti critici della vita d’un uomo. Quando uno di questi si manifesta, lo seguo più oltre per accertare quali sentieri di probabilità comportino, per la persona in questione, una sopravvivenza sicura e felice».

«Gli occhiali da sole, l’uovo, i guanti d’amianto…»

Talley spiegò: «Il signor… uhm, Smith, è uno dei miei clienti abituali. Tutte le volte che, col mio aiuto, supera un punto critico con successo, torna da me per un nuovo controllo. Io localizzo la crisi successiva, e gli fornisco ciò di cui ha bisogno per affrontarla. Gli ho dato quei guanti di amianto. Fra un mese, circa, si verificherà una situazione in cui dovrà spostare una sbarra di metallo rovente. Lui è un artista. Le sue mani…»

«Capisco. Perciò non si tratta sempre di salvar la vita di un uomo».

«Certo che no», rispose Talley. «La sopravvivenza… non è l’unico fattore vitale. Una crisi in apparenza di minore importanza potrebbe condurre a… be’, un divorzio, una nevrosi, una decisione sbagliata, in altre parole, a un’esistenza per cento motivi diversi disgraziata. Io garantisco non soltanto la vita, ma altresì la salute e la felicità».

«Lei è un altruista. Solo, mi chiedo: perché mai il mondo intero non si precipita qui, nel suo negozio? Perché limitare i suoi interventi a pochi soltanto?»

«Non ho il tempo né l’attrezzatura».

«Potrebbero venir costruite altre di quelle macchine».

«Be’», disse Talley, «la maggior parte dei miei clienti sono ricchi. Anch’io devo vivere…»

«Lei potrebbe leggere il listino di borsa di domani, se volesse farsi un mucchio di soldi», ribatté Carmichael. «Torniamo alla mia prima domanda. Se un tizio ha poteri miracolosi, perché mai si accontenta di gestire un negozietto come questo?»

«Per ragioni etiche. Io… ah… sono contrario al gioco d’azzardo».

«Non sarebbe un gioco d’azzardo», gli fece notare Carmichael. «“Mi sono spesso chiesto cosa comperano i vinai…” Ma lei, cosa ricava da tutto questo?»

«Soddisfazione», rispose Talley. «La chiami pure così».

Ma Carmichael non era soddisfatto. Preferì cambiare argomento. Ciò che quella macchina poteva offrirgli. Un’assicurazione sulla vita, no? La salute e la felicità.

«E cosa può dirmi, di me? Ci sarà un altro punto cruciale nella mia vita?»

«Con tutta probabilità, si. Ma non necessariamente una crisi che comporti un pericolo per la sua persona».

«Allora mi consideri un cliente fisso».

«Io non…»

«Mi ascolti», insisté Carmichael. «Non sto tentando di estorcerle qualcosa. La pagherò. La pagherò molto… quanto vorrà. Non sono ricco, ma so esattamente quanto vale, per me, un simile servizio informazioni. Non si deve minimamente preoccupare…»

«Ma non può…»

«Oh, la smetta. Non sono un ricattatore, niente del genere. Non la sto minacciando di rivelare a tutti ciò che lei fa, se è questo che teme. Sono una persona normale, non un furfante. Le sembro pericoloso? Di che cosa ha paura?»

«Lei è una persona normale, sì», ammise Talley. «Soltanto che…»

«Perché no?» controbatté Carmichael. «Non le darò fastidio. Ho superato con successo un punto critico, col suo aiuto. Un giorno o l’altro ci sarà un’altra crisi. Mi dia ciò che serve a superarla. Mi faccia pagare ciò che vuole. In qualche modo mi procurerò i soldi. Li prenderò in prestito, se necessario. Non le darò il minimo disturbo. Tutto quello che le chiedo, è di lasciarmi venir qui ogni volta che avrò superato un punto critico, a munirmi di quanto è necessario per il successivo. Cosa c’è di male in questo?»

«Niente», disse Talley, con calma.

«Bene, allora. Sono un individuo come tanti altri. C’è una ragazza… Betsy Hoag. Voglio sposarla. Sistemarmi da qualche parte in campagna, allevare bambini e avere sicurezza. Non c’è niente di male in tutto questo, non è vero?»

Talley disse: «Era già troppo tardi nel momento in cui è entrato in questo negozio, oggi».

Carmichael sollevò lo sguardo: «Perché?» chiese, brusco.

Un cicalino ronzò nel retrobottega. Talley andò dietro la tenda e tornò quasi subito con un pacchetto incartato. Lo porse a Carmichael.

Carmichael sorrise. «Grazie», disse. «Grazie infinite. Ha nessuna idea di quando sarà il prossimo punto cruciale, per me?»

«Tra una settimana».

«Le spiace se…» Carmichael stava scartando il pacchetto. Ne tirò fuori un paio di scarpe dalla suola di plastica. Fissò Talley, perplesso.

«È così, eh? Avrò bisogno di queste… scarpe?»

«Si».

«Suppongo…» Carmichael esitò. «Immagino che non vorrà dirmi il perché?»

«No, non lo farò. Ma stia bene attento a calzarle tutte le volte che uscirà».

«Non si preoccupi. E… le spedirò un assegno. Potrebbero volermici alcuni giorni per mettere insieme il malloppo, ma lo farò. Quanto?»

«Cinquecento dollari».

«Le spedirò un assegno oggi stesso».

«Preferisco non accettare compensi fino a quando un cliente non è stato soddisfatto», disse Talley. Si era fatto più riservato. I suoi occhi azzurri erano freddi e distanti.

«Come vuole», annui Carmichael. «Io vado fuori a celebrare. Lei… beve?»

«Non posso lasciare il negozio».

«Be’, arrivederci. E grazie di nuovo. Non le causerò nessun guaio, sa. Glielo prometto!» Si girò e usci.

Seguendolo con lo sguardo, Talley ebbe un sorriso forzato e infelice Non ricambiò il saluto di Carmichael. Non quella volta.

Quando la porta si chiuse dietro Carmichael, Talley andò sul retro del suo negozio ed entrò nel locale dove si trovava l’analizzatore.


Un periodo di dieci anni può coinvolgere una miriade di cambiamenti. Un uomo che può contare su un tremendo potere quasi a portata di mano può, in quell’intervallo di tempo, trasformarsi da un uomo che non vuole allungare la mano a un uomo che è senz’altro pronto a farlo… e al diavolo i valori morali!

La trasformazione non si manifestò tanto in fretta in Carmichael. Va tutto a onore della sua integrità il fatto che ci volessero dieci anni perché una simile trasformazione avvenisse… un’alterazione completa di tutto ciò che gli era stato insegnato. Il giorno in cui era entrato per la prima volta nel negozio di Talley c’era ben poca malvagità in lui. Ma la tentazione era destinata ad accrescersi irresistibilmente una settimana dopo l’altra, visita dopo visita. Talley, per motivi suoi, era soddisfatto di starsene seduto lì in ozio, in attesa dei clienti, soffocando le inconcepibili possibilità della sua macchina sotto una cortina fumogena di funzioni banali. Ma Carmichael non si accontentava.

Gli ci vollero dieci anni per arrivare a quel giorno, ma il giorno arrivò. Talley sedeva nella stanza interna, la schiena rivolta alla porta. Adesso se ne stava rilassato su un’antica sedia a dondolo, gli occhi rivolti alla macchina. Era cambiata ben poco nello spazio d’un decennio. Copriva ancora la maggior parte di due pareti, e l’oculare dell’analizzatore luccicava sotto luci fluorescenti ambrate.

Carmichael fissò bramoso l’oculare. Era una finestra, anzi, una porta che si apriva su un potere al di là dei sogni di qualsiasi uomo. Una ricchezza al di là di qualunque immaginazione si trovava appena oltre quello spioncino. Il diritto alla vita e alla morte di qualunque uomo vivente. E non c’era nulla, tra lui e quel favoloso futuro, se non l’uomo che stava lì seduto, guardando la macchina.

Talley non parve udire quei passi cauti, o il lieve cigolio della porta alle sue spalle. Non si mosse quando Carmichael sollevò lentamente la pistola. Chiunque avrebbe pensato che fosse ben lungi dall’immaginarsi ciò che stava per capitargli, e neppure perché, o da parte di chi, quando Carmichael gli sparò attraverso la testa.


Talley sospirò e rabbrividi un poco, e ruotò la monopola dell’analizzatore. Non era la prima volta che la macchina gli mostrava il suo corpo privo di vita, intravisto in fondo a qualche sequenza di probabilità nel futuro, ma non aveva mai puntato gli occhi sull’accasciarsi di quella figura fin troppo familiare senza che un alito d’incredibile gelo soffiasse su di lui all’indietro dal futuro.

Alzo la testa, raddrizzò la schiena e si lasciò andare contro la sedia. Fisso gli occhi, pensieroso, su un paio di scarpe dalla suola ruvida che giacevano accanto a lui, sul tavolo. Restò seduto in silenzio per un po’, gli occhi sempre puntati sulle scarpe, mentre seguiva con la mente Carmichael lungo la strada, nella luce calante della sera, e la mattina dopo, e avanti, un giorno dopo l’altro, fino alla crisi successiva, il cui esito sarebbe dipeso dalla solidità dell’appoggio dei suoi piedi sulla banchina di una stazione della metropolitana, mentre un treno passava rimbombando accanto al punto esatto dove Carmichael si sarebbe trovato un giorno della settimana seguente.

Questa volta Talley aveva mandato fuori il suo fattorino ad acquistare due paia di scarpe. E un’ora prima aveva esitato a lungo fra il paio di scarpe a suola ruvida e quello con la suola liscia. Giacché Talley era umano, ed erano molte le volte in cui il suo lavoro gli ripugnava. Ma questa volta, alla fine, era stato il paio di scarpe dalla suola liscia ad essere incartato per Carmichael. Ora, Talley sospirò e tornò a curvarsi per osservare il futuro dentro la macchina, girando il regolare per riportare alla sua vista una scena che aveva già osservato prima.

Carmichael, in piedi sull’affollata banchina della metropolitana, la quale luccicava d’un’umida chiazza oleosa dovuta a un qualche traboccamento. Carmichael, con le scarpe dalla suola liscia che Talley aveva scelto per lui. Un movimento tumultuoso della folla, una spinta verso l’orlo della banchina: i piedi di Carmichael scivolarono spasmodicamente quando il treno passò ruggendo.

«Addio, signor Carmichael», mormorò Talley. Era il saluto che non aveva pronunciato quando Carmichael aveva lasciato il negozio. Lo pronuncio con rincrescimento… e il rincrescimento era per il Carmichael di oggi, che non si meritava una simile fine. Oggi, non era un furfante melodrammatico alla cui morte si poteva assistere impassibili. Ma il Tim Carmichael di oggi doveva espiare per il Carmichael di dieci anni dopo, e il pagamento doveva, inesorabilmente, essere riscosso.


Non e una bella cosa avere il potere di vita e di morte sui propri simili. Peter Talley sapeva, appunto, che non era una bella cosa — ma quel potere era stato posto tra le sue mani. Lui non l’aveva cercato. Gli pareva che la macchina fosse cresciuta quasi per caso, fino al suo incredibile completamento, sotto le sue dita e la sua mente addestrate.

Sulle prime, la cosa l’aveva riempito di perplessità. Come avrebbe dovuto usare un simile congegno? Quali pericoli, quali terribili potenzialità si nascondevano in quell’occhio che poteva vedere attraverso il velo del domani? Sua era la responsabilità, e aveva pesato molto su di lui, finché la risposta non era venuta. Ma, quando aveva saputo la risposta, il peso… be’, il peso era stato ancora maggiore.

Giacché Talley era un uomo mite.

Non avrebbe potuto dire a nessuno perché faceva il negoziante. Per la soddisfazione, aveva detto a Carmichael. E a volte, si, c’era davvero una profonda soddisfazione. Ma altre volte — in momenti come quello — c’erano soltanto sgomento e umiltà. Soprattutto umiltà.

Noi abbiamo ciò che ti serve? Soltanto Talley sapeva che quel messaggio non era per gli individui che, uno alla volta, entravano nel suo negozio. Quel pronome, si, era proprio inteso al plurale, non al singolare. Era un messaggio per il mondo intero — il mondo il cui futuro veniva riplasmato con attenzione e amore sotto la guida di Peter Talley. Non era facile modificare la linea principale del futuro… Il futuro è una piramide che prende forma con lentezza, un mattone dopo l’altro, e Talley doveva appunto cambiarlo un mattone dopo l’altro. C’erano uomini che erano indispensabili — uomini che avrebbero creato e costruito — uomini che dovevano venir salvati.

Talley dava loro ciò che serviva.

Ma, inevitabilmente, c’erano altri uomini il cui corpo era il male. Anche a loro Talley dava ciò di cui il mondo aveva bisogno: la morte.

Peter Talley non aveva chiesto quel terribile potere. Ma nelle sue mani era stata posta la chiave, e lui non osava delegare ad altri una simile autorità… a nessun altro uomo vivente. A volte, anche lui. commetteva errori.

Si era sentito un po’ più sicuro di sé quando gli era venuta in mente l’allegoria della chiave. Sì, la chiave del futuro. Una chiave che era stata posta nelle sue mani.

Ricordando ciò, si lasciò andare nuovamente contro lo schienale di quella vecchia sedia, e allungò la mano verso un libro dall’aspetto consunto. Il libro si aprì con facilità su un passo a lui familiare. Le labbra di Peter Talley si mossero silenziose mentre leggeva, una volta ancora, quel passo, in quella piccola stanza sul retro del negozietto in Park Avenue:

«Ed io ti dico, che tu sei Pietro… E io darò a te le chiavi dei regno dei cieli…»

Загрузка...