John Varley Beatnik Bayou

La donna incinta ci stava già seguendo da più di un’ora quando Cathay fece quella cosa innominabile.

Dapprima era stato divertente. Denver ed io non sapevamo di che cosa si trattasse, sapevamo solo che lei aveva qualche lamentela nej confronti di Cathay. Lei e Cathay si erano appartati ed avevano parlato. La donna aveva cominciato a gridare e poco dopo anche Cathay la imitò. Alla fine, Cathay disse qualcosa che non riuscii a sentire e tornò indietro per unirsi alla classe. Che era composta da me, Denver, Trigger e Cathay; gli ultimi due erano insegnanti, mentre io e Denver eravamo gli studenti. Lo so, in teoria non si dovrebbe poter distinguere i ruoli, ma credetemi, normalmente lo si sa.

Fu a quel punto che iniziò l’inseguimento. Quella donna non voleva saperne di una risposta negativa e cominciò a seguirci dovunque andassimo. Era la persona più goffa che si potesse immaginare, e certamente io non ero dispiaciuto per lei dopo il modo in cui aveva trattato Cathay, che è mio amico. Ogni volta che scivolava ed atterrava sul didietro, ci facevamo tutti una bella risata.

Questo per un po’. Dopo un’ora la cosa cominciò a preoccuparci. Non avevo mai visto nessuno tanto determinato.

La ragione per cui continuava a scivolare era che ci stava dando la caccia attraverso Beatnik Bayou, che è la casa di Trigger. La stessa Trigger la descrive come «dodici acri di fango, zanzare e liquore di contrabbando». Alcuni dei suoi visitatori l’avevano descritto in modo meno poetico ma assai più colorito. Io non so che cosa sia un acro, ma il bayou è piuttosto grande.

Trigger distilla liquore di contrabbando con un alambicco di rame e alluminio nel bel mezzo di un canneto. Le zanzare non pungono ma ronzano parecchio.

Il fango è solo vecchio e normale fango del Mississipi, perfetto per impantanarsi. Di solito, chi vede questo luogo lo odia istantaneamente, ma a me piace così.

Presto la donna fu coperta di fango. C’erano tre cose che giocavano a suo sfavore. Una era l’abito premaman lungo fino alle caviglie che la copriva tutta tranne il viso, i piedi, il ventre rigonfio e i seni. Continuava ad inciampare nella lunga gonna e a cadere. Dopo un po’, ogni volta che le capitava, io trasalivo.

La seconda cosa era la pancia, che la costringeva a camminare portando il peso sui tacchi. Non era quello il modo migliore di muoversi nel fango, e lei ne dava spesso dimostrazione cadendo violentemente.

Il suo terzo problema era l’osso pelvico munito di cinto da parto, che probabilmente era stato applicato da poco. Era un modello incernierato nel centro, in modo da creare più spazio per il nascituro. Ne aveva bisogno, perché era alta e magra, un tipo di struttura fisica che avrebbe anche potuto farla morire di parto in quei tempi in cui ancora esistevano questo genere di problemi. Ma la costringeva a camminare come una papera.

— Quak, quak — disse Denver tentando di sorridere. Entrambi ci voltammo a guardare la donna che continuava a seguirci dondolando. Lei cadde e faticò a rimettersi in piedi. Denver non sorrideva più quando incontrò il mio sguardo. Mormorò qualcosa.

— Che cos’hai detto? — chiesi.

— Mi innervosisce — ripeté Denver. — Mi domando che cosa diavolo vada cercando.

— Qualcosa di molto importante.

Cathay e Trigger ci precedevano di pochi passi e vidi Trigger che lanciava un’occhiata alle spalle. Parlò a Cathay. Probabilmente non volevano che udissi le loro parole; ma io ci riuscii ugualmente. Ho buone orecchie.

— La cosa sta cominciando a turbare i ragazzi.

— Lo so — disse lui asciugandosi la fronte con il dorso della mano. Tutti e quattro la osservammo mentre lei arrancava lungo l’ultima salitella. Si vedevano solo la testa e le spalle.

— Dannazione. Pensavo che avrebbe ceduto presto — si lamentò lui, ma poi il suo viso divenne privo di espressione. — Non c’è niente da fare. Dobbiamo affrontarla.

— Pensavo che l’avessi già fatto — disse Trigger alzando un sopracciglio.

— Sì. Ma evidentemente non è stato sufficiente. Venite, gente. Anche questo fa parte della vostra vita. — Era rivolto a me e a Denver, e quando lo disse capimmo che doveva trattarsi di un’esperienza istruttiva. Cathay trasforma le cose più strane in esperienze istruttive. Ritornò verso il ruscello poco profondo che avevamo appena guadato e noi tre lo seguimmo.

Se sono sembrato duro nei confronti di Cathay, in realtà non avrei dovuto esserlo. Era davvero un maestro eccezionale. Sapeva riprendere alcune di quelle vecchie regole del tipo vedere per credere, imparare facendo, istruzione individuale, integrazione di esperienze di vita (tutta la saggezza convenzionale dell’istituzione educativa) e farle funzionare sul serio, molto meglio di qualsiasi insegnante che io abbia mai incontrato. Sapevo che era un finto bambino. L’avevo saputo fin da quanto lo avevo incontrato la prima volta, all’età di sette anni, ma la cosa aveva assunto una certa importanza solo ultimamente. E questo era proprio il cinismo naturale della mia classe d’età, come non mancava mai di farmi notare Trigger con quel suo modo compiaciuto.

Okay, lui aveva quarantotto anni, in realtà. Fisicamente aveva la mia età, quasi tredici anni; un bambino paffuto con capelli biondi e ricci ed un viso androgino, con appena un accenno di peluria intorno ai genitali. Quando si voltò verso quell’enorme donna minacciosa e la affrontò con calma, mi commossi.

Ero anche affascinato. Mentalmente, mi sedetti sui calcagni ad osservare e aspettare. Ero sicuro che molto presto avrei imparato qualcosa della vita. La lezione era cominciata.

Quando vide che tornavamo indietro, la donna esitò. Fece molta attenzione a dove metteva i piedi mentre affrontava il leggero pendio, e si fermò ai bordi del ruscello, dove rimase un poco ad aspettare nel caso Cathay intendesse raggiungerla. Ma lui non si mosse. Sul viso di lei apparve una tremenda smorfia, arrotolò la gonna intorno alla vita e attraversò il ruscello.

L’acqua le lambiva le cosce. Fu sul punto di cadere quando cercò di scansare un viticcio ondeggiante. Il suo vestito di pizzo era cosparso di foglie e rametti e imbrattato di fango.

— Perché non torni indietro? — gridò Trigger, in piedi accanto a Denver e me, agitando un pugno. — Non ti servirà a niente.

— Questo lo giudicherò io — gridò lei in risposta. La voce era aspra e sgradevole, e quello che probabilmente era stato una volta un viso grazioso ora si contorceva in una smorfia. Un alligatore stava nuotando verso di lei. Lei lo minacciò con un pugno, rischiando di perdere l’equilibrio. — Vattene di qui, viscida lucertola! — gridò. Il rettile si ricordò di affari urgenti dall’altra parte della palude e si affrettò a levarsi di mezzo.

Lei si arrampicò sulla sponda e rimase nella mota fino alle caviglie, respirando affannosamente. Era in uno stato pietoso, e oltre la rabbia ora vedevo affiorare anche la paura. Per un attimo le tremarono le labbra. Sperai che si sedesse; il solo guardarla mi sfiniva.

— Tu devi aiutarmi — disse semplicemente.

— Credimi, lo farei se potessi — disse Cathay.

— E allora dimmi il nome di qualcuno che possa farlo.

— Te l’ho detto, se lo Scambio Educativo non può aiutarti, certo non posso farlo io. Quelle poche persone che conosco che siano disponibili per un contratto sono elencate nello Scambio.

— Ma nessuno di loro è disponibile prima di tre anni.

— Lo so. C’è penuria.

— E allora aiutami — disse lei con aria infelice. — Aiutami.

Cathay si sfregò lentamente gli occhi con il pollice e l’indice, poi raddrizzò le spalle e si mise le mani sui fianchi.

— Te lo dirò un’altra volta. Qualcuno ti ha dato il mio nome e ti ha detto che ero disponibile per un contratto di istruzione di livello primario. Io…

— Lui! Lui ha detto che tu…

— Io non ho mai sentito parlare di questa persona — disse Cathay alzando la voce. — A giudicare da quello che mi stai facendo passare, lui ti ha dato il mio nome prendendolo dalle liste dell’Associazione Insegnanti, solo per liberarsi di te. Penso che anch’io potrei fare qualcosa di simile, ma francamente non credo di avere il diritto di assoggettare un altro insegnante al genere di abuso che vorresti da me. — Tacque, e per una volta anche lei non disse nulla.

— D’accordo — disse lui alla fine. — Sono davvero spiacente che l’uomo con cui avevi stipulato un contratto per l’educazione di tuo figlio se ne sia andato su Plutone. Da quello che mi dici, la sua decisione era perfettamente legale, anche se discutibile dal punto di vista etico. — Fece una smorfia al pensiero di un insegnante che se la svignava davanti ad un obbligo morale. — Tutto quello che posso dire è che tu avresti dovuto studiare attentamente il contratto, e avresti dovuto stipularne uno di attesa tre anni fa… oh, al diavolo, a che serve? Non ti aiuta. Hai tutta la mia comprensione, spero che tu creda almeno questo.

— Allora aiutami — sussurrò lei, e l’ultima parola si trasformò in un singhiozzo. Cominciò a piangere piano. Le spalle sussultavano e le lacrime scorrevano sulle guance, ma lei non distolse mai lo sguardo da Cathay.

— Non c’è nulla che io possa fare.

— Devi fare qualcosa.

— Ancora una volta: ho i miei obblighi. Tra un mese avrò adempiuto al mio contratto con la madre di Argus — fece un cenno verso di me, — e regredirò di nuovo a sette anni. Non capisci? Ho già un contratto intermedio. La bambina avrà sette anni tra pochi mesi. Ho stipulato il contratto per la sua educazione quattro anni fa. Non posso sottrarmi in alcun modo, legalmente o moralmente.

Il viso di lei si stava di nuovo riempiendo di odio.

— Perché no? — gracchiò. — Perché diavolo no? Lui si è sottratto al mio contratto. Perché io dovrei essere l’unica a soffrire? Perché io, eh? Ascoltami, brutto figlio di puttana. Tu sei tutto quello che mi resta. Dopo di te c’è solo l’educatore pubblico. Oppure dovrò allevarlo da sola, senza una guida. Vuoi essere responsabile di questo? Che razza di vita sarà costretto ad affrontare all’inizio?

Andò avanti così per altri dieci minuti, con frasi sempre più illogiche e ingiuriose. Io oscillavo tra un sentimento di vaga simpatia (era davvero in un tremendo pasticcio, anche se per questo doveva prendersela solo con se stessa) ed uno di aperta ostilità. In quel momento mi spaventava. Non potevo guardare quegli occhi torturati senza farmi piccolo per la paura. Il mio sguardo si posò sul suo ventre gonfio e sull’occhio di vetro dell’uteroscopio infilato nell’ombelico. Non avevo bisogno di guardare attraverso di esso per sapere che era già oltre il termine. Si era fatta ritardare il parto mentre cercava di procurarsi un insegnante. Non che fosse una cosa molto sensata: l’educazione di un bambino non comincia prima dei sei mesi. Ma il fatto dava la misura della sua disperazione e della illogicità dei suoi ragionamenti a causa della pressione psicologica.

Cathay rimase immobile e continuò ad ascoltarla finché lei non scoppio di nuovo in lacrime. A quel punto cominciai a vederla in modo diverso, forse un po’ come la vedeva Cathay. Ero dispiaciuto per lei, ma le sue lacrime non mi commuovevano. Vidi che avrebbe potuto distruggerci tutti se non avessimo opposto resistenza. Per dirla tutta, era lei a dover pagare per la propria negligenza. Stava facendo tutto il possibile per trovare qualcuno che si accollasse il suo errore, ma Cathay non aveva intenzione di cedere.

— Io non voglio farlo, — disse Cathy. Guardò verso di noi. — Trigger?

Trigger fece un passo avanti ed incrociò le braccia sul petto.

— Okay — disse. — Ascolta. Non ho capito il tuo nome e non voglio neppure saperlo. Ma chiunque tu sia, sei sulla mia proprietà, in casa mia. Ti ordino di andartene e di non farti vedere mai più.

— Io non me ne andrò — disse lei testarda abbassando lo sguardo a terra. — Non me ne andrò finché lui non promette di aiutarmi.

— In questo caso non esiterò a chiamare la polizia — le ricordò Trigger.

— Io non me ne andrò.

Trigger guardò Cathay e scrollò le spalle senza sapere cosa fare. Penso che entrambi si fossero ormai resi conto che questa esperienza di vita stava diventando un po’ troppo cruda.

Cathay rifletté un momento, guardando fisso la donna negli occhi. Poi si chinò e raccolse una manciata di fango. La soppesò in mano e poi la scagliò verso la donna. La colpì alla spalla sinistra con un tonfo umido e il fango colò giù.

— Vattene — disse, — vattene di qui.

— Io non me ne vado — disse lei.

Lui le lanciò un’altra manciata di fango, colpendola in pieno volto. Lei boccheggiò e sputò.

— Vattene — disse lui raccogliendo dell’altro fango. Questa volta la colpì ad una gamba, ma a quel punto era stato imitato anche da Trigger e la donna venne colpita ripetutamente.

Senza rendermi conto esattamente di ciò che stava accadendo, raccolsi del fango da terra e lo lanciai. E anche Denver. Respiravo affannosamente e non sapevo perché.

Quando finalmente lei si voltò e fuggì, mi accorsi che avevo i muscoli della mascella duri come l’acciaio. Mi ci volle parecchio per rilassarli e quando ci riuscii, i denti mi dolevano.


Ci sono due strutture a Beatnik Bayou. Una è una vecchia e cadente stazione di servizio con tavola calda chiamata la Capanna di Zucchero, completa di una pompa di benzina arrugginita sul davanti e di una logora scritta sulla vetrina. Da un lato dell’edificio c’è un furgoncino Dodge grigio posato su blocchi di cemento, accanto ad un mucchio di rottami di automobili arrugginiti e ricoperti di erbacce. Il camioncino non ha ruote. Di fianco c’è una Toyota berlina senza finestrini né motore. Una strada malconcia corre davanti alla capanna in direzione del molo. Dall’altro lato la strada curva intorno ad un cipresso ricoperto di muschio…

… e finisce contro un muro. È un po’ una scossa. Ma per quanto dodici acri siano parecchi per un parco dei divertimenti privato, non è abbastanza grande per suscitare l’illusione di essere davvero là. , in questo caso, dovrebbe essere la Louisiana del 1951. Trigger è affascinata dal ventesimo secolo, che per lei va dal 1903 al 1987.

Ma nella maggior parte dei casi l’illusione funziona. Raramente si vedono i muri, perché ci sono di mezzo gli alberi. Comunque io mi immergo nell’atmosfera del luogo non tanto con gli occhi, quanto con il naso, le orecchie e la pelle. Come l’odore del legno marcio, il rumore delle rane che saltano nell’acqua, o il debole ronzio del compressore della distilleria, il luccichio d’argento dei pesciolini quando li raccolgo dai contenitori metallici sul retro della capanna, la sensazione del legno riscaldato dai raggi del sole quando mi siedo sul molo a pescare.

Ci vuole un sacco di energia per far funzionare il sole, per cui abbiamo parecchi giorni di nebbia e notti assai lunghe, anche questo contribuisce a creare l’illusione. Sfido chiunque ad andare a spasso di notte per il Bayou con i grilli che cantano e le rane che gracidano senza pensare di essere tornato sulla Vecchia Terra. A parte la gravità della Luna, naturalmente.

Trigger ha ereditato del denaro. Ma anche così, e con lo stipendio da insegnante, il bayou è un luogo costoso da mantenere. Prima era un ambiente più convenzionale, ma lei scoprì presto che le paludi richiedevano una minore manutenzione, e comunque le piace quell’atmosfera indolente. Ha aperto la tavola calda, ha comperato da alcuni artisti le false automobili e ha fatto in modo che l’Ufficio Turistico Lunare lo inserisse nell’elenco delle ricostruzioni storiche. Morirebbero se sapessero la verità sulla Toyota, ma non sarò certo io a spifferarla.

L’unica altra struttura decisamente non appartiene alla Louisiana di nessun periodo. È una tenda indiana piantata su di un leggero pendio, appena fuori di vista della Capanna di Zucchero. Cheyenne, credo. Passiamo lì la maggior parte del tempo quando siamo al bayou.

E ci andammo anche dopo l’episodio con la donna incinta. Il pavimento è di argilla battuta e al centro arde sempre un fuoco. Ci sono un sacco di cuscini sparsi intorno e due grossi materassi ad acqua.

Cercammo di parlare dell’incidente. Credo che Denver fosse il più colpito, ma dal modo in cui Cathay stava seduto mentre Trigger gli massaggiava la schiena, capivo che anche lui era piuttosto seccato. La sua voce era turbata.

Io confessai di essermi spaventato, ma c’era molto di più, e mi sentivo tutt’altro che pronto a parlarne. Trigger e Cathay lo sapevano e lasciarono correre per il momento. Trigger prese la pipa e la riempì con foglie di similpianta.

Era una pipa con il bocchino lungo. Lei la accese e poi si appoggiò all’indietro con il bocchino tra le labbra e il fornello stretto fra le dita dei piedi. Esalò un fumo dolce, color miele. Mentre fuori il giorno finiva, lei passò la pipa. Aveva un buon sapore e mi calmò in modo meraviglioso. Era facile addormentarsi in quel modo.

Ma io non dormii. Non proprio. Forse ero troppo avanti con la pubertà perché la droga contenuta nella pianta potesse ancora agire come sonnifero. O forse ero troppo stimolato emotivamente. Denver si addormentò piuttosto in fretta.

Ma non Cathay e Trigger. Fecero l’amore dall’altra parte della tenda, e lo fecero in un modo tanto lento e sognante che capii subito che erano sotto l’influsso della droga. Anche se Cathay è sulla quarantina e Trigger ha superato i cento, hanno entrambi il corpo di due ragazzi di tredici anni ed il metabolismo che si adatta all’età.

Non ci fu una vera e propria conclusione, ma il loro atto sfumò lentamente, per gradi, un po’ come si era soliti fare prima che l’orgasmo diventasse un fattore decisivo. Scoprii che mi dava una grande felicità rimanere sdraiato su un fianco a guardarli con gli occhi socchiusi.

Parlarono per un po’. Più mi sforzavo di sentire e più mi veniva sonno. Ad un certo punto non riuscii più a lottare per rimanere sveglio.


Divenni conscio di un corpo caldo vicino a me. Era ancora buio, l’unica luce era quella delle braci del fuoco.

— Mi spiace, Argus — disse Cathay, — non intendevo svegliarti.

— Va bene così. Abbracciami. — Lui lo fece ed io mi contorsi finché la mia schiena fu sistemata comodamente contro di lui. Per lungo tempo mi limitai ad assaporare la cosa. Non pensavo a niente, se non al suo respiro caldo sul mio collo o al suo pene che si induriva contro la mia schiena. Se questo si può chiamare pensare.

Quante notti avevamo dormito così negli ultimi sette anni? Troppe per poterle contare. Ci conoscevamo in tutti i modi possibili. Un anno fa lui era una femmina e prima di allora lo eravamo stati tutt’e due. Ora eravamo entrambi maschi ed era bello anche così. Una parte di me pensava che non avesse molta importanza di che sesso eravamo, ma un’altra parte si domandava come sarebbe stato essere una femmina e conoscere Cathay come maschio. Quello non lo avevamo ancora provato.

A quel pensiero provai un brivido di desiderio. Era passato troppo tempo da quando avevo avuto una vagina. Volevo Cathay tra le mie gambe, come l’aveva avuto Trigger poco prima.

— Ti amo — mormorai.

Lui mi baciò un orecchio. — Anch’io ti amo, sciocco. Ma quanto mi ami?

— Cosa vuoi dire?

Sentii che cambiava posizione e si sollevava appoggiando la testa ad una mano. Le sue dita si avvolsero ad un ricciolo dei miei capelli.

— Voglio dire, mi amerai ancora quando non sarò più alto del tuo ginocchio?

Scossi la testa, sentendo improvvisamente freddo. — Non voglio parlare di questo.

— Questo lo so molto bene — disse lui, — ma non posso permettere che tu lo dimentichi. Non è qualcosa che scomparirà.

Mi girai sulla schiena e sollevai lo sguardo verso di lui. C’era un debole sorriso sul suo viso, mentre sfiorava con le dita le mie labbra e i miei capelli, ma i suoi occhi erano preoccupati. Cathay non è più in grado di nascondermi molte cose.

— Deve capitare — sottolineò lui, senza pietà. — Per le ragioni che mi hai sentito spiegare alla donna. Mi sono impegnato a tornare all’età di sette anni. C’è un’altra bambina che mi aspetta. Ti assomiglia molto.

— Non farlo — dissi io sentendomi infelice. Cathay mi asciugò una lacrima dagli occhi.

Gli ero grato perché non mi faceva notare quanto fossi ingiusto. Lo sapevamo entrambi. Lui lo accettava, e continuava come meglio poteva.

— Ti ricordi il nostro discorso sul sesso? Penso che fosse circa due anni fa. Non molto dopo che mi hai detto per la prima volta che mi amavi.

— Ricordo. Ricordo tutto.

Lui mi baciò. — Ma io devo riparlarne lo stesso. Forse servirà. Tu sai che eravamo d’accordo che non avrebbe avuto alcuna importanza di che sesso fossimo. Poi ti feci notare che tu saresti cresciuto, mentre io sarei ritornato ragazzino. Che sessualmente ci saremmo divisi.

Io annuii, sapendo che il nostro amore era molto più profondo di quelle differenze. Che non avevamo bisogno del sesso per farlo funzionare. Può funzionare.

Questo era vero. Cathay era vicino a tutti i suoi vecchi studenti. Essi erano adulti ora, ma venivano spesso a trovarlo. Solo per il piacere di stare vicini, di parlare e di abbracciarsi. Più avanti c’entrava anche il sesso, ma tutti loro capivano che presto sarebbe finito.

— Non penso di avere questa prospettiva — dissi cauto. — Loro sanno che in pochi anni maturerai ancora. Lo so anch’io, ma ho lo stesso la sensazione…

— Che sensazione?

— La sensazione che tu mi abbandonerai. Mi spiace, è questo che sento.

Lui sospirò e mi attirò a sé. Mi strinse forte per un po’ e fu molto bello.

— Ascolta — disse alla fine, — credo che non ci sia modo di evitarlo. Potrei dirti che lo supererai, e sarà così, ma non ti servirebbe a niente. Ho avuto questo stesso problema con ogni bambino a cui ho insegnato.

— Davvero? — Questo non lo sapevo, e mi fece sentire un po’ meglio.

— Davvero. Non ti biasimo per questo. Ho anch’io la stessa sensazione. Sento qualcosa che mi spinge a stare con te. Ma non funzionerebbe, Argus. Io amo il mio lavoro, altrimenti non lo farei. Ci sono momenti duri, come questo. Ma dopo pochi mesi ti sentirai meglio.

— Forse. — Non ne ero per niente sicuro, ma mi sembrava importante essere d’accordo con lui e far cessare quella conversazione.

— Nel frattempo — disse lui, — abbiamo ancora qualche settimana da trascorrere insieme. Penso che dovremmo sfruttarle il più possibile. — E lo fece, con le sue mani che esploravano il mio corpo. Prese lui l’iniziativa, cercando di farmi rilassare e di ridarmi fiducia.

Così incrociai le mani dietro la testa e mi sdraiai, cercando di non pensare a niente se non al cerchio caldo delle sue labbra.

Ma poi cominciai a sentire che dovevo fare qualcosa per lui e capii cosa c’era di sbagliato. Lui pensava di offrirmi tutto ciò che desideravo facendo l’amore con me nel modo in cui l’avevamo sempre fatto da quando avevamo cominciato ad essere grandi. Ma c’era anche un altro modo, e mi resi conto che non volevo che lui rimanesse all’età di tredici anni. Ciò che davvero desideravo era di tornare indietro con lui, di avere ancora sette anni.

Gli sfiorai delicatamente il capo e lui alzò gli occhi, poi ci abbracciammo. Cominciammo a muoverci l’uno contro l’altro come sempre facevamo sin da quando ci eravamo incontrati la prima volta, quello sfregamento innocente ed inconsapevole di un’età in cui non è tanto il sesso a dominare quanto una sensazione profonda di benessere.

Ma il corpo è esigente e non può essere ingannato. Presto i nostri movimenti divennero frenetici, e poi una sensazione di bagnato fra di noi mi rivelò con assoluta certezza che non avremmo mai potuto tornare indietro.

Tornando a casa, vidi intorno a me tutti i segni del cambiamento.

Cominci a crescere, le gambe e le braccia si allungano nella tua tuta a pressione finché non devi per forza comperarne una nuova. La gente smette di pensare a te come ad un bambino grazioso e comincia a considerarti un giovanotto simpatico. Sempre con quel sorriso, come se fosse uno scherzo che tu non devi capire.

La gente ti tratta in modo diverso, quando cresci. Da principio non hai praticamente nessun contatto con gli adulti, tranne che con tua madre o le madri dei tuoi amici. Vivi in un mondo di bambini, e gli adulti non rappresentano neppure un ostacolo perché si levano subito dalla tua strada quando corri lungo i corridoi. Puoi entrare gratis in un sacco di posti; la gente ti vuole intorno per rimanere allegra, perché i bambini sono così pochi e tutti vorrebbero averne più di uno. E neppure ti accorgi che la gente continua a sorriderti.

Ma quando hai tredici anni non è più così. Ora c’era quell’esitazione, appena una frazione di secondo, prima che mi accordassero i privilegi di un bambino. Non che io biasimi nessuno. Ero alto quasi quanto la maggior parte degli adulti che mi capitava di incontrare.

Ma adesso avevo cominciato ad accorgermi degli adulti, a notarli. Soprattutto quando non sapevano di essere osservati. Vidi che molti di loro erano spesso corrucciati. Talvolta, vedevo qualche segno di dolore sui loro volti. Ma poi mi guardavano e sorridevano. Sapevo che non sarebbe continuato per sempre. Prima o poi avrei valicato una linea invisibile e allora il dolore sarebbe rimasto su quei visi, e io avrei dovuto cercare di capirlo. Sarei diventato adulto e non ero sicuro di volerlo essere.

Fu a causa di questa mia nuova preoccupazione per i volti che mi capitò di notare la donna seduta dirimpetto a me sul treno per Archimede. Volevo diventare scrittore, così tendevo a vedere tutto in termini di storie e personaggi. La osservai e cercai di inventare una storia su di lei.

Era attraente; apparentemente sui venticinque anni, capelli neri lisci e pelle abbronzata, un viso rotondo senza un’elaborata chirurgia o tratti salienti, tranne i profondi occhi castani.

Indossava un abito semplice sopra il ginocchio, di un sottile tessuto bianco sul quale sembravano scorrere mille rivoli d’acqua ogni volta che lei li muoveva. Aveva un gomito appoggiato sullo schienale del sedile e si mordeva una nocca con espressione assente mentre guardava fuori dal finestrino.

Sembrava che non ci fosse una storia sul suo viso. Era in un momento di abbandono, ma non vidi dolore, grosse preoccupazioni o paure. È possibile che non me ne sia accorto. Ero nuovo del gioco, e non ne sapevo molto di quello che era importante per gli adulti.

Poi si voltò a guardarmi, e non sorrise.

Voglio dire, lei sorrise, ma quel sorriso non diceva: com’è grazioso. Era il tipo di sorriso che mi fece desiderare di aver indossato dei vestiti. Da quando avevo imparato cos’era un’erezione, non desideravo più averle nei luoghi pubblici.

Accavallai le gambe. Lei si alzò e venne a sedersi accanto a me. Sollevò il palmo e io lo sfiorai. Mi guardava tenendo una gamba ripiegata sotto di sé e un braccio lungo lo schienale dietro di me.

— Sono Trilby — disse.

— Salve. Io sono Argus — mi accorsi che il tono della mia voce si era abbassato.

— Ero seduta là ad osservarti mentre mi guardavi.

— Davvero?

— Certo, attraverso il vetro — spiegò lei.

— Oh. — Mi voltai, ed effettivamente da dove era seduta prima poteva sembrare che guardasse il paesaggio mentre in realtà stava studiando il mio riflesso. — Non volevo essere scortese.

Lei rise e mi appoggiò una mano sulla spalla, muovendola delicatamente. — E io allora? — disse. — Io lo facevo di nascosto, tu no. In ogni caso, non ti agitare. Non importa. — Cambiai posizione e lei abbassò lo sguardo. — E non preoccuparti nemmeno per quello. Capita.

Mi sentivo ancora nervoso, ma lei riuscì a mettermi a mio agio. Parlammo per il resto del viaggio e non mi ricordo assolutamente di che cosa. Gli argomenti non dovettero spaziare molto, perché sono sicuro che non fece mai riferimento alla mia età, alla mia educazione o alla sua professione, o anche solo alla ragione che l’aveva spinta ad iniziare una conversazione in treno con un ragazzo di tredici anni.

Ma niente aveva importanza. Mi sarebbe piaciuto parlare di qualsiasi cosa. Se riflettevo sulle sue intenzioni, davo per scontato che fosse sui vent’anni e quindi ancora vicina alla sua infanzia.

— Hai fretta? — chiese ad un certo punto, scuotendo leggermente il capo.

— Io? No, sto andando a trovare… — (no, non tua madre), — un’amica. Può aspettare. Sa quando arrivo. — Così suonava meglio.

— Posso offrirti da bere? — Un sopracciglio leggermente sollevato, un semplice movimento della mano. I suoi gesti erano contenuti, ma sembravano esprimere molto di più delle parole. Mentalmente, aumentai di qualche anno la sua età. Anzi, di parecchi.

In quel momento il treno arrivò ad Archimede; ci alzammo e accettai senza esitazione.

— Bene. Conosco un posto carino.

Il barista mi rivolse il tipico sorriso e stava per servirmi il solito bicchiere gratis, il primo dei due che mi spettavano, ma Trilby cambiò il programma.

— Due whisky irlandesi, per favore. Con ghiaccio. — Lo disse con decisione, alzando un poco il tono della sua voce, e tra lei e il barista accadde qualcosa di indecifrabile. Lei gli rivolse uno sguardo, le sopracciglia dell’uomo si sollevarono improvvisamente, mi lanciò un’occhiata e sembrò capire qualche cosa. Il suo atteggiamento verso di me cambiò completamente.

Ebbi la sensazione che fosse successo qualcosa a mia insaputa, ma non avevo tempo di preoccuparmi. Non avevo mai tempo di preoccuparmi quando ero con Trilby. Arrivarono i whisky e noi li sorseggiammo.

— Mi domando perché continuino a chiamarlo irlandese — disse lei.

Ci lanciammo in una discussione sugli Invasori, o sull’Irlanda o sulla Terra Occupata. Non ne sono sicuro. Era poco importante: la conversazione vera si svolgeva tra i nostri occhi. Era soprattutto lei a comunicarmi sensazioni senza bisogno di parole e io mi limitavo ad annuire con la lingua penzoloni.

Finimmo ai bagni pubblici in fondo al corridoio. I suoi capezzoli avevano la forma di piccoli cuori rosa. A parte quello, il suo corpo non aveva niente di notevole, anche se era meravigliosamente sodo e morbido. Era così diversa da Trigger, Denver e Cathay. Così diversa da me. Osservai le differenze mentre ero seduto dietro di lei nella grande piscina e le massaggiavo la schiena insaponata.

Mentre ci dirigevamo al solarium, lei si fermò davanti ad una delle alcove private e mi guardò, rimanendo in attesa. Le mie gambe mi condussero nell’alcova e lei mi seguì. Le mie mani si strinsero attorno al suo corpo e la mia bocca si aprì quando lei mi baciò. Mi adagiò sul pavimento morbido e mi prese.


Che cosa lo rendeva diverso?

Ci pensai durante la lunga camminata dal capolinea della monorotaia a casa. Trilby e io avevamo fatto l’amore per circa un’ora. Nulla di particolarmente elaborato, niente che non avessi già provato con Trigger e Denver. Avevo pensato che lei avesse qualche nuovo fantastico giochetto da mostrarmi, ma non era stato così.

Eppure lei non era stata come Trigger o Denver. Il suo corpo rispondeva in maniera diversa, aveva movenze a cui non ero abituato. Io feci dei mio meglio. Quando la lasciai, sapevo che era felice, ma sentivo che si era aspettata qualcosa di più.

Scoprii che mi sarebbe piaciuto darle di più.

Ero di nuovo innamorato.


Con la mano sulla piastra della porta, ebbi all’improvviso la certezza che lei mi avesse già dimenticato. Era sciocco supporre che non fosse così. Io ero stato una piacevole diversione, una novità interessante.

Non le avevo chiesto il nome, l’indirizzo o il numero di telefono. Perché no? Forse perché già sapevo che non le sarebbe importato vedermi di nuovo.

Schiacciai la piastra col palmo della mano e rimuginai durante la salita in ascensore verso la superficie.

La mia è una casa insolita. Naturalmente appartiene a Darcy, mia madre. Lei era impegnata a dare gli ultimi ritocchi ad un diorama. Alzò lo sguardo verso di me, sorrise e mi offrì la guancia perché la baciassi.

— Avrò finito tra un momento — disse. — Voglio completarlo finché c’è luce.

Noi viviamo in una grande bolla sulla superficie. Una parte è divisa in stanze senza soffitto, ma la maggior parte costituisce lo studio di Darcy. La bolla è trasparente. È schermata contro i raggi ultravioletti, per evitare le bruciature.

È un modo non comune di vivere, ma ci troviamo bene. Dalla nostra posizione privilegiata all’estremità sud della valle, si vedono solo altre tre bolle simili. Sarebbe impossibile per uno straniero immaginare che appena sotto la superficie sorge un’affollata città.

Crescendo, non ho mai pensato all’agorafobia, ma è una cosa comune tra i Lunariani. Mi dispiace per quelli che non hanno la fortuna di crescere con un tale panorama.

A Darcy piace per la luce. Lei è un’artista, ed è esigente in fatto di luci. Lavora due settimane sì e due no, riposando durante la notte. Io sono cresciuto con questi ritmi, lasciandola sola quando si lanciava in interminabili sessioni con i suoi pennelli ad aria, e tornando a casa per trascorrere due settimane con lei quando non brillava il sole.

Le cose cominciarono a cambiare dopo che ebbi compiuto dieci anni. Prima di allora eravamo vissuti soli, e Darcy aveva drasticamente ridotto i suoi ritmi di lavoro, fino a quando non ebbi compiuto i quattro anni, aumentandoli gradatamente a mano a mano che cominciavo a rendermi sempre più indipendente. Lo fece per potermi dedicare tutto il suo tempo. Poi un giorno mi fece sedere e mi disse che due uomini stavano per trasferirsi da lei. Fu solo più tardi che mi resi conto di come Darcy avesse modificato il suo stile di vita per allevarmi come si conveniva. Darcy è dedita alla poliandria in serie, ed è attratta soprattutto da artisti dal viso fiero, intransigenti e indipendenti, di scarso successo e in genere leggermente affamati. A lei piace la fame e la determinazione da parte loro a non scendere a compromessi con i gusti del pubblico. Se ne tiene intorno tre o quattro, offrendo loro cibo e un’occasione di lavoro. In cambio chiede solo che, dopo un certo periodo, siano disposti ad andarsene senza fare storie.

Dovetti scavalcare l’ultimo di questi favoriti per andare in cucina. Stava dormendo sodo, russando sonoramente, e le sue mani erano macchiate di giallo, rosso e verde.

Darcy mi raggiunse mentre mi stavo preparando uno spuntino, mi abbracciò, e si lasciò cadere su di una sedia. Il sole sarebbe stato visibile per un’altra mezz’ora, ma non c’era tempo di cominciare un nuovo dipinto.

— Dove sei stato? Non hai chiamato per tre giorni.

— No? Mi spiace. Eravamo al bayou.

Lei arricciò il naso. Darcy aveva visto il bayou. Una volta.

Quel posto. Vorrei sapere perché…

— Darcy. Non ricominciamo da capo. Okay?

— D’accordo. — Lei allargò le mani sporche di vernice e le mosse in cerchio, come se stesse cancellando qualcosa, ed era proprio così. Darcy è speciale in queste cose. — Ho un nuovo compagno di camera.

— Ci ho quasi inciampato sopra.

Lei si passò una mano tra i capelli e mi gratificò di una smorfia. — Si farà. Si chiama Thogra.

— Thogra — mormorai, assumendo un’espressione di disapprovazione. — Ascolta, se non ci viene tra i piedi, potremo… — Ma non riuscii a continuare. Stavamo ridendo tutti e due, ed io stavo per soffocare per un boccone che mi era andato per traverso. Darcy sa che cosa ne penso delle sue scelte in fatto di compagni di letto.

— E che ne è stato di… come si chiamava? L’uomo dell’ascella. Quello che veniva sempre arrestato per il cattivo odore.

Lei mi mostrò la lingua.

— Lo sai che se n’è andato mesi fa.

— Ah! Sono i mesi prima che scoprisse l’acqua che io ricordo. Tutti i miei amici si domandavano dove potevamo allevare una capra, i fiori perdevano i petali al suo passaggio, il…

— Abil non è tornato — disse piano Darcy.

Io smisi di ridere. Sapevo che se ne era andato per qualche settimana, ma succede. Alzai un sopracciglio.

— Sì. Be’, lo sai che aveva venduto qualche lavoro. E aveva avuto delle offerte. Ma aspetto sempre che venga almeno a riprendersi il suo sacco a pelo.

Io non dissi nulla. Gli amori di Darcy seguono uno schema di cui lei è ben consapevole, ma è sempre spiacevole quando uno di essi finisce. I suoi uomini parlano con disprezzo del genere di arte commerciale che permette a me e a Darcy di mangiare e di pagare i conti dell’ossigeno. A quel punto possono succedere tre cose. Non riescono a concludere nulla e se ne vanno poveri come quando erano arrivati, e col loro disprezzo intatto. Pochi raggiungono il successo alle loro condizioni, costringendo il mondo dell’arte ad accettare le loro strane concezioni. Spesso Darcy rimaneva in buoni rapporti con questi ultimi; aveva un legame del tipo fai-un-salto-e-facciamo-l’amore con metà degli artisti di Luna.

Ma il tipo più comune di commiato era quello in cui l’artista decideva che era stanco della povertà. Con un leggero abbassamento dei propri standard erano tutti in grado di guadagnarsi da vivere. A quel punto diventava intollerabile vivere con la donna che avevano schernito. Generalmente, Darcy se ne liberava in fretta senza troppi rimpianti. Non erano più affamati, non erano più abbastanza fieri da piacerle. Ma era sempre doloroso.

Darcy cambiò argomento.

— Ho preso un appuntamento con il dottore per il tuo Cambio — disse. — Devi andarci lunedì prossimo, al mattino.

Una serie di impressioni rapide, vivide, mi attraversarono la mente. Trilby. Seni con le punte a forma di cuore. Quello che avevo provato quando il mio pene era entrato in lei e la calda stanchezza dopo che il seme aveva lasciato il mio corpo.

— Ho cambiato idea a questo proposito — dissi accavallando le gambe. — Non sono pronto per un altro Cambio. Magari fra qualche mese.

Lei rimase a bocca aperta.

— Cambiato idea? L’ultima volta che ne abbiamo parlato, eri fermamente deciso a cambiare sesso. Infatti mi hai costretta a darti il permesso.

— Me ne ricordo — dissi, sentendomi a disagio. — Ho solo cambiato idea, ecco tutto.

— Ma Argus! Non è giusto. Sono stata sveglia due notti per convincermi di quanto sarebbe stato bello riavere la mia bambina. È passato tanto tempo. Non credi che tu…

— Non è una decisione che spetta a te, Mamma.

Sembrò sul punto di arrabbiarsi, poi socchiuse gli occhi. — Ci deve essere una ragione. Hai conosciuto qualcuno. Giusto?

Ma io non volevo parlarne. Le avevo raccontato della prima volta che avevo fatto l’amore e di tutti quelli con cui ero andato a letto dopo di allora. Ma questo non volevo dividerlo con lei.

Così le parlai dell’incidente capitato in mattinata al bayou. Le t parlai della donna incinta e di quello che aveva fatto Cathay.

Darcy assunse un’aria molto severa. Quando arrivai alla parte del fango, la sua fronte era piena di rughe.

— Non mi piace — disse.

— Non piace nemmeno a me. Ma non vedo che altro potevamo fare.

— Penso che la cosa non sia stata condotta nel modo giusto. Penso che dovrei chiamare Cathay e parlargliene.

— Vorrei che non lo facessi — non dissi altro, e lei studiò il mio viso per un lungo e imbarazzante momento. Lei e Cathay avevano già avuto delle divergenze sul modo di educarmi.

— Questa cosa non dovrebbe essere ignorata.

— Ti prego, Darcy. Sarà il mio insegnante solo per un altro mese. Lascia stare, okay?

Dopo un po’ lei annuì e distolse lo sguardo.

— Cresci ogni giorno di più — disse triste. Non capii perché lo dicesse, ma ero grato che avesse lasciato cadere l’argomento. A dire la verità, non volevo più pensare a quella donna. Ma avrei dovuto pensarci, e molto presto.


Avevo intenzione di passare una settimana a casa, ma Trigger chiamò il mattimo seguente per dire che il Mardi Gras ’56 sarebbe di nuovo andato in scena e sarebbe cominciato di lì a poche ore. Lei aveva prenotato per noi quattro.

Trigger aveva già visto lo spettacolo, ma io no e nemmeno Denver. Le dissi che ci sarei andato, poi andai a dirlo a Darcy ma la trovai ancora addormentata. Spesso lei dorme per due giorni dopo un Giorno Lunare di lavoro. Le lasciai un biglietto e mi affrettai a prendere il treno.

È chiamato il. Museo dell’Eredità Culturale e benché i Lunariani lo paghino con le loro tasse, sono in pochi a frequentarlo. Sono turbati dalle mostre. Ma ho sentito che ultimamente, con la nascita del Partito della Terra Libera, è diventato più popolare tra coloro che sono alla ricerca delle proprie radici.

Una volta presentarono la Città di Londra nel 1903, e io ci andai per farmi un’idea dei musei terrestri visitando il British Museum. Il MEC non gli assomiglia per niente. Solo pochissimi tesori d’arte, manufatti e curiosità storiche vennero trasferite su Luna nei giorni precedenti l’Invasione. Il risultato fu che tutti i resti tangibili del passato della Terra vennero distrutti.

D’altra parte, il sistema di computer lunare aveva già allora una capacità virtualmente illimitata. Tutto venne registrato ed immagazzinato. Ogni libro, dipinto, ricevuta delle tasse, statistica, fotografia, rapporto governativo, film, nastro, e registrazione si trovano nei banchi di memoria. Proprio come i parchi dei divertimenti sono popolati da animali clonati da cellule immagazzinate nella Biblioteca genetica, allo stesso modo il MEC è pieno di copie perfette ricavate dalle registrazioni di come erano le cose un tempo.

Incontrai gli altri alla Capanna di Zucchero, dove Denver stava cercando di convincere Trigger a portare con noi Tuesday. Tuesday è l’ippopotamo che vive al bayou, sfidando allegramente ogni senso di autenticità. Denver la teneva al guinzaglio e lei se ne stava placida a guardarci, ammiccando con i suoi occhietti porcini.

Denver trovava stuzzicante l’idea di portare al Mardi Gras un ippopotamo chiamato Tuesday, ma Trigger le fece notare che i funzionari del museo non ci avrebbero mai lasciati entrare a New Orleans con l’animale. Denver finalmente si arrese e la rimandò nella palude. Scendemmo tutti e quattro lungo la strada e uscimmo dal bayou; salimmo sul nastro mobile centrale e presto arrivammo nel centro della città.


Ci sono venticinque teatri nel MEC. Normalmente, la metà sono in funzione mentre gli altri vengono preparati per una rappresentazione. Mardi Gras ’56 è uno spettacolo ormai vecchio di dieci anni, e generalmente viene dato due volte all’anno per un periodo di due settimane. È una delle ricreazioni più famose.

Andammo nella stanza di orientamento, ascoltammo le istruzioni su come comportarci, e poi ci vennero dati i nostri costumi. Questa è la parte che mi piace di meno. Fino all’inizio del ventunesimo secolo, gli abiti erano disegnati con due scopi principali: la semplicità e la tortura. Se non causavano dolore, bisognava rifarli. Non c’è da meravigliarsi che abbiano passato il loro tempo ad uccidersi. L’avrebbe fatto chiunque, con una gravità maggiore e scarpe dure che mutilavano i piedi.

— Noi saremo dei beatnik — disse Trigger, osservando la fila di abiti di quel periodo. — Erano più informali, e potevano essere adatti. C’erano beatnik nel quartiere francese.

La mancanza di formalità ci andava bene. Le ragazze non avevano bisogno di mettersi il reggiseno e potevamo scegliere tra sandali di pelle e scarpe da tennis di tela. Non posso dire che mi attirassero quei capi di vestiario chiamati Levis. Erano ruvidi e mi pizzicavano i genitali. Ma dopo aver visitato l’Inghilterra Vittoriana (quella volta ero una femmina e gli indumenti che le ragazze erano obbligate ad indossare avrebbero reso pazzo qualunque lunariano), qualsiasi cosa era di sicuro un miglioramento.

L’ingresso dell’olotorium era attraverso i gabinetti sul retro dei night club che si affacciavano sulla Bourbon Street. Ragazzi a sinistra, ragazze a destra. Penso che lo facessero per farti capire subito che stavi tornando nel passato, quando la gente aveva strane abitudini. C’era un terzo gabinetto, in realtà, ma era solo una falsa porta, con la scritta «di colore». Non era più possibile fare quel genere di distinzioni.

Mi piace la musica della New Orleans del 1956. Ce ne sono molte varietà, che suonano tutte simili all’orecchio degli uomini d’oggi con quei ritmi semplici e quella miscela di strumenti a fiato, percussione e a corde. Il termine generico è jazz, e quel particolare tipo di jazz suonato quel pomeriggio, nel piccolo scantinato pieno di fumo, era chiamato dixieland. È dominato da due strumenti chiamati clarinetto e tromba, ciascuno dei quali improvvisa una semplice melodia, mentre il resto del complesso fa un gran chiasso.

Ci fu una breve divergenza di opinioni. Cathay e Trigger volevano che io e Denver rimanessimo con loro, presumibilmente per avere l’occasione di mostrare le loro superiori conoscenze (traduzione: per educarci). Dopotutto, loro erano insegnanti. Sembrava che a Denver non importasse, ma io volevo restare solo.

Risolsi il problema uscendo in strada, pensando che se volevano potevano seguirmi. Non lo fecero, ed io fui libero di andarmene in giro per conto mio.

Andare ad uno spettacolo di olografie non è come andare ad una rappresentazione sensoriale, dove te ne stai seduto e l’azione viene verso di te. E non è nemmeno come andare al parco dei divertimenti, dove tutto è reale e si può ficcare il naso dappertutto. Qui devi fare attenzione a non rovinare l’illusione.

Gran parte degli scenari, dei sostegni e tutti gli attori, sono ologrammi. Le persone reali che ti capita di incontrare, sono visitatori in costume come te. Nel caso di New Orleans era stata stesa una rete di strade, pavimentate come lo erano in origine. Poi erano stati costruiti muri alti due metri dove avrebbero dovuto esserci gli edifici, a cui erano stati sovrapposti ologrammi di vecchi palazzi. Alcune delle porte di queste case erano reali, e chi ci entrava poteva trovare degli interni autentici fino all’ultimo particolare. Tutte le altre nascondevano solo muri.

Non si devono assolutamente fare scherzi infantili con gli ologrammi, è contrario allo spirito del luogo. È necessario fare attenzione a non distruggere l’illusione. Non si parla con la gente a meno che non si sia sicuri che si tratti di persone reali, e non si tocca nulla senza prima averla studiata attentamente. Nessun ologramma regge ad un esame ravvicinato, così è possibile distinguere l’illusione dalla realtà.

L’ambiente era enorme. Avevano riprodotto il quartiere francese, o Vieux Carre, dal Mississipi a Rampant Street e da Canal Sfreet fino a sei isolati ad est. Vista da Canal, la città sembrava pullulare di vita per molti chilometri tutt’intorno, anche se sapevo che c’era un muro proprio sulla linea gialla nel mezzo.

New Orleans ’56 comincia a mezzogiorno del Martedì Grasso e prosegue per tutta la notte. Noi eravamo arrivati nel pomeriggio tardi, con il sole che cominciava a disegnare lunghe ombre sull’interminabile parata. Volevo vedere il posto prima che facesse buio.

Camminai lungo Canal per alcuni isolati, guardando le vetrine. C’era un vecchio cinema per film a schermo piatto, con un cartellone che annunciava Da qui all’eternità, vincitore di qualcosa chiamato Oscar. Vidi che era un luogo reale e pensai di entrarci, ma ho sempre paura che questi vecchi film in 2-D mi lascino depresso, anche se Trigger dice che sono molto belli.

Così continuai a camminare per le strade, osservando, pensando di scrivere una storia ambientata nella vecchia New Orleans.

Per questa ragione non ho voluto restare con gli altri ad ascoltare la musica. La musica non è qualcosa che si possa davvero inserire in una storia, a parte una nuda descrizione di come suona, chi la suona e dove viene ascoltata. E anche andare al film 2-D non sarebbe stato di grande utilità, per la stessa ragione.

Ma le strade, le strade! Lì c’era qualcosa da studiare!

Lo schema era lo stesso della Vecchia Londra, ma i dettagli erano cambiati. Le strade erano piene di carrozze senza cavalli, grandi scatole quadrate di metallo che dovevano essere il più inefficiente mezzo di trasporto mai ideato. Niente era perfettamente diritto o molto pulito; camminare per le strade significava rischiare di rompersi un dito o di pungersi la pianta dei piedi. Non c’è da meravigliarsi che portassero scarpe pesanti.

Sapevo a che cosa servivano le luci rosse e verdi, e le strisce dipinte sulla strada. Ma le file di aggeggi misura-tempo allineati lungo ciascun lato della strada? Che cos’era quell’oggetto di metallo rosso su cui un cane stava orinando? Che cosa significava il suono del clacson? Perché c’erano dei fili sospesi in alto su pali di legno? Ignorai la festa del Martedì Grasso e trascorsi piacevolmente più di un’ora cercando risposte a queste e a molte altre domande.

Che impresa scrivere di questo periodo, costruire una storia su di un frammento di vita, nel quale questi dettagli esotici sembravano normali e ragionevoli. Mi raffigurai un abitante di New Orleans trapiantato ad Archimede e cercai di immaginarmi la sua confusione.

Poi vidi Trilby e mi dimenticai di New Orleans.

Era seduta al volante di una Ford familiare del 1955. Lo so perché quando mi fece cenno di raggiungerla e cambiò sedile per lasciarmi guidare, vidi una placca dorata sulla fiancata proprio sotto il finestrino anteriore.

— Come si guida questa cosa? — chiesi confuso, ma cercando di non mostrarlo. C’era qualcosa che non andava. Forse lo avevo sempre saputo, ma lo ammettevo solo ora.

— Per partire devi premere quel pedale, e quell’altro invece per fermarti. Ma si controlla in gran parte da sola. — La macchina le diede ragione scivolando nella corrente di traffico olografico. Strinsi le mani sul volante e scoprii che entro certi limiti potevo guidare io la vettura. Finché non andavo a sbattere contro qualcosa, lasciava che fossi io a comandare.

— Che cosa fai qui? — le chiesi, cercando di assumere un tono noncurante.

— Sono passata da casa tua — disse lei. — Tua madre mi ha detto che eri qui.

— Non mi ricordo di averti detto dove abito.

Lei alzò le spalle, senza un grande entusiasmo. — Non è difficile scoprirlo.

— Io… voglio dire, tu non… — non ero sicuro di quello che volevo dire, ma decisi che era meglio continuare. — Non ci siamo incontrati per caso, vero?

— No.

— E tu sei la mia nuova insegnante.

Lei sospirò: — Questa è una semplificazione eccessiva. Io voglio essere una delle tue nuove insegnanti. Cathay mi ha raccomandato a tua madre, e quando le ho parlato mi è sembrata interessata. Volevo solo darti un’occhiata sul treno, ma quando ho visto che mi guardavi… be’, ho pensato di darti qualcosa che ti facesse ricordare di me.

— Grazie.

Lei distolse lo sguardo. — Darcy mi ha detto oggi che potrebbe essere stato un errore.

— È bello sapere che anche tu puoi fare errori.

— Credo di non capire.

— Non mi piace essere prevedibile. Non mi piace che si giochi con me. Forse urta la mia dignità. Forse ne ho abbastanza di quello che fanno Trigger e Cathay. Tutte le lezioni.

— Capisco, adesso — sospirò lei. — È una reazione abbastanza comune, nei ragazzi svegli, loro…

— Non dirlo.

— Mi dispiace, ma devo. Non ha senso nasconderti che il mio lavoro è conoscere la gente, e soprattutto i bambini. Questo significa conoscere le fasi che essi attraversano, compresa la fase in cui a loro piace immaginare di non attraversare alcuna fase. Non avevo riconosciuto i sintomi in te, per cui ho commesso un errore.

— Che importanza ha, comunque? A Darcy piaci. Questo significa che diventerai la mia insegnante, vero?

— No, non significa questo. Non con me, almeno. Io rappresento una delle prime grandi opportunità che hai di farcela senza interferenze degli adulti.

— Non ci arrivo.

— Questo perché non ti ha mai interessato abbastanza scoprire che cosa ti può riservare la tua istruzione. Col rischio di offenderti ancora, direi che è una reazione comune nella gente della tua età. Ti manca un mese per diplomarti con Cathay, pronto per iniziare una nuova fase educativa più orientata verso uno scopo, e non ti sei mai preoccupato di scoprire che cosa implica questo. Ti sei mai fermato a pensare a che cosa c’è tra te e il fatto di diventare uno scrittore?

— Io sono già uno scrittore — dissi, arrabbiandomi per la prima volta. Prima di allora mi ero sentito più ferito che altro. — So usare le parole, e osservo la gente. Forse non avrò ancora molta esperienza, ma riuscirò a farmela, con o senza di te. Non ho nemmeno più bisogno di avere degli insegnanti. Almeno questo lo so.

— Hai ragione, naturalmente. Ma tu hai sempre saputo che tua madre intendeva pagare per offrirti un’istruzione più avanzata. Non ti sei mai domandato come sarebbe stata?

— Perché avrei dovuto? Non ti viene in mente che non me ne sono interessato semplicemente perché non mi sembra così importante? Voglio dire, chi ha mai domandato la mia opinione su tutto questo, fino ad ora? Qual è la posta in gioco? Sembra che tutti sappiano quello che è meglio per me. Perché avrei dovuto essere consultato?

— Perché ormai sei quasi un adulto. Il mio compito, se tu mi assumerai, sarà di facilitare la transizione. Quando l’avrai compiuta, lo saprai, e non avrai più bisogno di me. Questa non è la fase primaria. Il compito del tuo primo insegnante era di coadiuvare tua madre nell’insegnamento dei principi base per trattare con altri individui e con la società, e di riempirti la testa con tutte le nozioni che un bambino di sette anni può assorbire. Ti hanno insegnato il linguaggio, l’abilità manuale, il ragionamento, l’igiene, la responsabilità, e a non entrare in un portello senza la tuta pressurizzata. Hanno preso un marmocchio egocentrico e l’hanno trasformato in un essere morale. È un lavoro duro; un attimo, e avresti potuto diventre un sociopatico.

«Poi ti hanno consegnato a Cathay. Ma non te ne sei accorto. Un giorno lui è spuntato, solo un altro compagno di giochi della tua età. Eri felice e fiducioso. Lui ti ha guidato gentilmente, lasciando che fosse la tua curiosità naturale a fare la maggior parte del lavoro. Ha scoperto le tue capacità creative prima che tu stesso te ne accorgessi, preoccupandosi che tu avessi delle cose interessanti a cui pensare, a cui reagire, da sperimentare.

«Ma negli ultimi tempi sei diventato un problema per lui. Non è colpa tua e nemmeno sua, ma tu non vuoi più nessuno che ti guidi. Vuoi farlo da solo. Hai la vaga sensazione di essere manipolato.

— Non è poi così sorprendente — mi intromisi io. — Io sono manipolato.

— È vero, per quel che ne sai. Ma che cosa vorresti che facesse Cathay? Che lasciasse tutto al caso?

— Questo non c’entra. Stiamo parlando dei miei sentimenti di adesso, e sento che tu sei stata disonesta con me. Mi hai fatto sentire uno sciocco. Credevo che quello che era successo fosse stato… fosse stato spontaneo, sai? Come in una fiaba.

Lei fece un sorriso buffo. — Che modo strano di vedere la cosa. La mia intenzione era di farti vivere un sogno erotico.

Immagino che fosse proprio la semplicità con cui lo ammise a disorientarmi. Avrei dovuto dirle che non c’era una vera differenza. Sia le fiabe che i sogni erotici sono visioni impossibili di mondi di comodo, mondi dove le cose vanno come si vuole che vadano. Ma non dissi nulla.

— Mi accorgo adesso che quello è stato il modo sbagliato di avvicinarti. Francamente, pensavo che ti fossi divertito. Aspetta, mi correggo. Pensavo che continuasse a piacerti anche dopo averlo saputo. È chiaro che ti è piaciuto mentre capitava.

Di nuovo non dissi nulla, perché era la pura verità. Ma non era quello il punto.

Lei rimase in attesa, osservandomi mentre guidavo la macchina nel traffico. Poi sospirò e riprese a guardare fuori dal finestrino.

— Bene, ora sta a te. Come ho detto, non decideranno più le cose per te. Devi decidere tu se vuoi che io sia la tua insegnante.

— E che cosa insegni?

— Il sesso è una parte.

Fui sul punto di dire qualcosa, ma mi trattenne la nuova idea che qualcuno ritenesse che lei poteva (o doveva) insegnarmi qualcosa sul sesso. Voglio dire, che cosa c’era da imparare?

Quasi non me ne accorsi quando la macchina si fermò da sola, e venni strappato dalle mie meditazioni soltanto quando un uomo vestito di blu cacciò la testa nel finestrino sul mio lato. Dietro di lui c’era una donna, vestita nello stesso modo. Mi accorsi che indossavano le uniformi dei poliziotti del 1956.

— Tu sei Argus-Darcy-Meric? — chiese l’uomo.

— Sì. Lei chi è?

— Il mio nome è Jordan. Mi spiace, ma devi venire con me. Sei in arresto. È stata sporta denuncia contro di te.


Arresto. Essere preso in custodia dalle autorità legali. O fermarsi all’improvviso.

Essere arrestato contiene entrambi i significati, mi sembra. Sei in custodia e la tua vita viene temporaneamente sospesa. Qualunque cosa tu stia facendo viene interrotta, e ad un tratto una sola cosa è importante.

Non mi preoccupai tanto finché non capii che cosa fosse realmente. In fondo, tutti vengono arrestati. Non si può evitarlo, in una società di leggi. Inoltre una denuncia contro qualcuno è il modo migliore per impedire ad una situazione di degenerare nella violenza. Ero già stato arestato tre volte in precedenza, e in due occasioni ero stato riconosciuto colpevole. Una volta avevo inoltrato io stesso una denuncia, ed era stata accolta.

Ma questa volta era diverso. Ritenevo improbabile di essere stato arrestato per qualche piccola infrazione di cui non mi ero neppure accorto. No, qui doveva trattarsi della donna incinta e del fango, ebbi il tempo di rifletterci mentre sedevo nella cella dalle pareti nude, e di preoccuparmi sul serio. Noi l’avevamo attaccata fisicamente, su questo non c’erano dubbi.

Finalmente venni convocato nella stanza degli interrogatori. Era più grande di quella in cui ero stato le altre volte. Nelle precedenti occasioni erano coinvolte solo due persone. Questa stanza conteneva cinque cabine di vetro a forma di cuneo, ognuna con una sedia all’interno, disposte in modo da formare un cerchio. Venni fatto entrare nell’unica rimasta vuota e mi voltai a guardare Cathay, Denver. Trigger… e la donna.

C’è silenzio nelle cabine. Si è molto soli.

Vidi entrare la madre di Denver, che andò a sedersi dietro la figlia, fuori dalla cabina. Mi voltai, e vidi Darcy. Sorprendentemente, con lei c’era Trilby.

— Salve, Argus — la voce del Computer Centrale riempì la minuscola cabina, col solito tono cordiale ma per nulla rassicurante.

— Salve, CC — cercai di prenderla alla leggera, ma naturalmente il CC non si lasciò ingannare.

— Mi dispiace vederti in questo grosso guaio.

— È davvero così grave?

— L’accusa lo è di certo. Non ha senso negarlo. Non posso fare commenti sulle testimonianze o sulle tue possibilità. Ma tu sai che puoi rischiare una condanna a morte, con la sospensione automatica della pena.

Me ne rendevo conto. E sapevo anche che raramente veniva comminata a qualcuno della mia età. Ma per quello che riguardava Cathay e Trigger?

Non mi sono mai interessato del termine «sospensione». Suona come se non dovessero ucciderti, ma in realtà lo fanno. Morto, completamente. Il trucco sta nello sviluppare un clone da una cellula del tuo corpo e portarlo velocemente alla maturità instillando i tuoi ricordi registrati. Così qualcuno identico a te continuerà ad esistere, ma tu sarai morto. Nel mio caso l’ultima registrazione era stata fatta tre anni fa. Avrei perso un quarto della mia vita. Se avessero ritenuto che era necessario uccidermi, il nuovo Argus, non io, ma qualcuno con il mio nome e i miei ricordi, avrebbe ricominciato dall’età di dieci anni. Sarebbe stato sorvegliato strettamente, e gli sarebbe stata assegnata una guida speciale per assicurarsi che non diventasse un sociopatico come me.

Il CC si lanciò nelle spiegazioni, obbligatorie per legge, su quello che sarebbe successo; i miei diritti, la procedura, le accuse, le possibili sanzioni penali, quello che sarebbe accaduto se le testimonianze avessero convinto il CC che si trattava di un’offesa capitale.

— Uffa! — sbuffò il CC, ritornando a quel tono informale che lui sapeva essere il mio preferito. — Ora che abbiamo sgombrato il campo, posso dirti che dai rapporti preliminari credo che te la caverai.

— Non lo dici tanto per dire? — Ero sinceramente spaventato. L’enormità della cosa aveva avuto il tempo di insinuarsi dentro di me.

— Dovresti conoscermi meglio.

Le testimonianze cominciarono. Toccò subito alla querelante. Ed io venni a sapere che si chiamava Tiona. Il primo giro era libero e potevamo dire tutto ciò che volevamo e lei aveva delle cose piuttosto pesanti sul conto di noi quattro.

Il CC chiese a tutti noi come si erano svolti i fatti. Credo che il resoconto di Cathay fosse molto accurato, tranne che per la parte che mi riguardava. Durante le loro deposizioni, sia Cathay che Trigger sporsero una contro-querela. Il CC ne prese nota. Sarebbero state giudicate simultaneamente.

Ci fu una breve pausa, poi il CC adottò il suo tono «ufficiale».

— Per quello che riguarda Denver e Argus: la testimonianza esclude la premeditazione, ma non nega la descrizione fisica dell’incidente e la sentenza di Aggressione viene confermata. Si tiene conto di circostanze attenuanti come l’età e la conseguente incapacità di fronteggiare l’aspetto sovversivo della situazione, con il seguente verdetto: l’accusa viene ridotta a Privazione Intenzionale di Dignità.

«Nella causa di Tiona contro Argus: colpevole.

«Nella causa di Tiona contro Denver: colpevole.

«Avete qualche cosa da aggiungere prima che sia pronunciata la sentenza?

Io ci pensai sopra. — Mi dispiace — dissi. — Quello che è successo mi ha turbato molto. Non lo rifarei.

— A me non dispiace — disse Denver. — Se l’è proprio voluta. Mi dispiace per lei, ma non sono pentito di quello che ho fatto.

— Si prenda nota delle dichiarazioni — disse il CC. — Siete entrambi multati per la somma di trecento Marchi, il cui pagamento viene rimandato fino a quando non avrete raggiunto l’età lavorativa; la somma verrà trattenuta nella misura del dieci per cento dei vostri guadagni fino all’estinzione del debito, una metà del quale andrà a Tiona e l’altra allo Stato. La sentenza finale sarà rimandata fino a quando non sarà stato fatto un ulteriore esame delle questioni tuttora all’attenzione della corte.

«Te la sei cavata facilmente» disse il CC rivolgendosi a me. «Ma fai attenzione. Le cose potrebbero ancora cambiare e potrebbe anche darsi che tu non debba pagare la multa.

È piuttosto sconcertante ricevere una condanna e poi un attestato di solidarietà sempre dalla stessa macchina. Dovevo guardarmi dalla sensazione che il CC fosse dalla mia parte. Non lo era, non veramente. È assolutamente imparziale, per quel che ne so io. Ma è un’intelligenza così vasta che può costruirsi una diversa personalità per ogni cittadino a cui si rivolge. Quella parte che mi aveva appena parlato simpatizzava davvero con me, ma non aveva il potere di influenzare la parte giudicante.

— Non capisco — dissi. — Che cosa succede, ora?

— Be’, sono stato di nuovo rashomonizzato. Questo significa che ciascuno di voi ha raccontato la storia dal suo punto di vista. Non ci siamo spinti abbastanza a fondo nel cercare la verità. Ora vi collegherò, e faremo un altro giro.

Mentre parlava, vidi puntare le sonde dietro le sedie, piccoli serpentelli dorati con una presa all’estremità. Sentii quella alle mie spalle che mi frugava tra i capelli per trovare il terminale. E si inserì.

I livelli di testimonianza collegata sono due. Darcy, Trilby e la madre di Denver dovettero lasciare la stanza durante la prima fase, quando raccontammo la storia senza censure in funzione. La trascrizione conferma la mia versione quando dico che nella prima testimonianza non ho mentito, contrariamente a Tiona, che ha detto parecchie bugie. Ma sembra che le due versioni non coincidano comunque. Ho raccontato un mucchio di cose che non avrei mai rivelato se non fossi stato collegato: paure, desideri informi ed egoisti, motivazioni infantili. È imbarazzante, e sono contento di non ricordare nulla. E sono ancora più contento che solo a Tiona ed a me, come parti in causa, sia concesso di assistere alla testimonianza registrata. Anche se avrei preferito essere il solo a vederla.

La seconda fase è la separazione dei subconscio. Raccontai la storia una terza volta in termini asettici e precisi come la sceneggiatura di un testo per l’olovisione.

Poi i terminali si disinnestarono ed io ebbi un attimo di disorientamento. Sapevo dove mi trovavo, dove ero stato, eppure avevo la sensazione che la cosa mi fosse stata raccontata, senza averla veramente vissuta. Ma passò rapidamente. Mi stirai.

— Siete tutti pronti a continuare? — chiese educatamente il CC. Tutti rispondemmo affermativamente.

— Molto bene. Nelle cause di Tiona contro Denver e Argus: il giudizio di colpevolezza è confermato in entrambi i casi, ma le multe sono ritirate a fronte della provocazione, della minore responsabilità dovuta a immaturità, e della mancanza di segni che indichino la possibile persistenza di un comportamento sociopatico. In luogo delle multe, Denver ed Argus dovranno presentarsi ogni settimana per una valutazione ed un’istruzione in principi morali fino a quando non potrà essere emesso un giudizio: la durata di tali sessioni non potrà essere inferiore alle quattro settimane.

«Nella causa di Tiona contro Trigger: Trigger è colpevole di Aggressione. Ad attenuare questo giudizio c’è la sua motivazione, ovvero egli aveva capito la strategia di Cathay nel trattare con Tiona ed era convinto di comportarsi per il meglio. Questa corte prende atto del suo atteggiamento pietoso: che fosse giusto è un’altra questione. Non ci sono dubbi che abbia avuto luogo un’aggressione fisica. Non può essere perdonato, non importa quali fossero le motivazioni. Quindi per errato giudizio questa corte multa Trigger per una somma pari al dieci per cento dei suoi guadagni per un periodo di dieci anni, che andrà interamente versato alla parte lesa, Tiona.

Tiona non sembrava compiaciuta. A quel punto doveva aver capito che le cose non stavano volgendo a suo favore. Stavo cominciando a capirlo anch’io.

— Nella causa di Tiona contro Cathay — continuò il CC. — Cathay è colpevole di Aggressione. È stato appurato che le sue motivazioni erano quelle di evitare proprio quella situazione in cui egli si trova ora, nella certezza che Tiona avrebbe sofferto molto se lui l’avesse portata davanti alla corte. Ha tentato di porre fine al confronto con un minimo di sofferenze per Tiona, senza assolutamente immaginare che lei avrebbe mostrato cattivo discernimento portando il caso davanti al tribunale. Ma lei ha deciso in questo senso, ed ora lui si trova in arresto per aggressione. Alla luce delle sue motivazioni, la corte mitigherà il suo giudizio. Gli viene ordinato di pagare la stessa multa della sua collega, Trigger.

— Ora la causa di Trigger e Cathay contro Tiona. — Vidi Tiona accasciarsi sulla sedia.

— Viene riconosciuta colpevole perché spinta da follia delle seguenti accuse: molestia, violazione, aggressione verbale e di quattro diverse infrazioni.

«La tua colpa è stata di cercare di addossare ad altri la responsabilità per la tua errata capacità di giudizio e le tue disgrazie. La corte comprende la tua situazione e si rende conto che non ne sei interamente responsabile. Questo però non giustifica il tuo comportamento.

«Cathay ha cercato di farti un favore, ritenendo che il tuo stato di aberrazione mentale non sarebbe durato tanto a lungo da spingerti a lanciare delle accuse e che, una volta rimasta sola, ci avresti ripensato, e ti saresti resa conto di avergli fatto un grosso torto, e avresti capito che la corte avrebbe deciso in suo favore.

«Lo Stato ti ritiene responsabile del tuo esercizio mentale e non gli importa quali siano le tue opinioni o le tue valutazioni sulla realtà, finché queste non ledono i diritti degli altri cittadini. Sei libera di pensare che Cathay sia responsabile dei tuoi guai, anche se questa opinione è irrazionale, ma quando lo aggredisci con questa opinione, lo Stato deve prenderne atto e dare un giudizio sul valore di questa opinione.

«Questa corte è quindi chiamata a giudicare se essa sia giusta o sbagliata, e decide che la tua opinione è priva di fondamento.

«Questa corte ti riconosce pazza.

«La sentenza è la seguente:

«Previa approvazione delle parti lese, ti viene data la scelta tra la condanna a morte con relativa sospensione e un trattamento che elimini le tue tendenze sociopatiche.

«Argus, tu chiedi la sua morte?

— Eh? — Questa fu per me una grande sorpresa, e piuttosto sgradita. Ma la decisione non mi creò problemi.

— No, non chiedo niente. Pensavo di esserne fuori, e tutta la cosa mi fa stare male. L’avresti davvero uccisa se te lo avessi chiesto?

— Non posso rispondere a questa domanda perché non me l’hai chiesto. Probabilmente non lo avrei fatto, soprattutto a causa della tua età. — Continuò, rivolgendo la domanda agli altri quattro, e ho il sospetto che Tiona sarebbe finita nella tomba se Cathay l’avesse voluto, ma lui non volle. E neppure Trigger o Denver.

— Molto bene. Che cosa scegli, Tiona?

A voce molto bassa rispose che sarebbe stata grata di avere una possibilità di continuare a vivere. Poi ringraziò ognuno di noi. Fu tremendamente doloroso per me. I miei stimoli empatici erano in tumulto, e io cercavo di immaginarmi che cosa avrei provato se un rappresentante ufficiale della società mi avesse dichiarato pazzo.

Per il resto si trattò di definire i dettagli. Tiona venne multata pesantemente, sia in tasse che in spese processuali, e in fondi da pagare a Cathay e Trigger. Le loro multe vennero assorbite da quelle molto più consistenti a cui era stata condannata, con il risultato che lei sarebbe andata avanti a pagarle per anni. Suo figlio era in ibernazione; il CC decretò che vi sarebbe rimasto finché Tiona non fosse stata dichiarata sana, dal momento che ora non era adatta ad allevarlo. Mi venne in mente che se le fosse venuta l’idea di metterlo in animazione sospesa mentre gli cercava un insegnante, tutti noi avremmo potuto evitare il processo.

Tiona se ne andò in fretta non appena le porte si aprirono. Darcy mi abbracciò mentre Trilby rimase sullo sfondo, ma io andai ad unirmi agli altri, in attesa dei festeggiamenti.

Ma Trigger e Cathay non erano per niente felici. In effetti si sarebbe detto che avessero appena perso la causa. Si congratularono con Denver e con me e poi se ne andarono di corsa. Io guardai Darcy, ma nemmeno lei sorrideva.

— Decisamente non capisco — confessai. — Perché sono tutti così tetri?

— Devono ancora vedersela con l’Associazione degli Insegnanti — disse Darcy.

— Continuo a non capire. Hanno vinto.

— Per l’Associazione degli Insegnanti non è questione di vincere o di perdere — disse Trilby. — Tu dimentichi che sono stati giudicati colpevoli di aggressione. E a peggiorare le cose, tu e Denver eravate presenti quando è successo. È stato per causa loro che vi siete uniti all’aggressione. Ho paura che l’A.I. avrà qualcosa da ridire.

— Ma se il CC pensa che non debbano essere puniti, perché l’A.I. dovrebbe pensarla in un altro modo? Il CC non è forse più in gamba di tutti noi?

Trilby fece una smorfia. — Vorrei poterti rispondere. Vorrei persino essere sicura di come la penso.

Mi venne a cercare il giorno seguente, poco dopo che l’Associazione degli Insegnanti ebbe pronunciato la sua decisione. Veramente non avrei voluto vederla, ma il bayou non è in realtà così grande da potercisi nascondere, e io non ci avevo neppure provato. Ero seduto sull’erba della collina più alta del bayou, che è anche il luogo più asciutto.

Lei portò a riva la canoa e salì lentamente, dandomi tutto il tempo per allontanarla se veramente avessi voluto rimanere solo. Ma che diavolo, avrei dovuto parlarle, prima o poi.

Per lungo tempo rimase seduta con i gomiti appoggiati sulle ginocchia a fissare le acque tranquille, come io avevo fatto per tutto il pomeriggio.

— Come l’ha presa? — chiesi alla fine.

— Non lo so. È ritornato, se vuoi parlargli. Forse gli farebbe piacere parlare con te.

— Almeno Trigger ne è uscita bene. — Appena lo dissi mi accorsi che suonava falso.

— Tre anni di libertà vigilata non sono una cosa su cui scherzare. Dovrà chiudere questo posto pei un po’. Metterlo in naftalina.

— In naftalina. — Vidi Tuesday, l’ippopotamo, che sguazzava nel fango sull’altra riva. Tuesday in animazione sospesa? Pensai al bambino di Tiona, in un contenitore in attesa che sua madre tornasse sana. Ricordai gli anni felici passati a sguazzare nel fango del bayou e vidi le acque congelate, i ghiaccioli che si attorcigliavano ai viticci tra i rami spogli. — Immagino che costerà un bel po’ di soldi rimettere in piedi tutto questo dopo tre anni, vero? — Avevo un’idea solo approssimativa del denaro, fino ad ora non era mai stato importante per me.

Trilby mi lanciò un’occhiata, con le palpebre socchiuse. Scrollò le spaile.

— È probabile che Trigger dovrà vendere questo posto. C’è un acquirente che lo vuole ingrandire per trasformarlo in un campo di golf.

— Un campo di golf — ripetei, stordito. Prati ben rasati, graziosi ostacoli d’acqua naturali, fossati di sabbia, bandierine agitate dal vento. Tutto sterile. All’improvviso ebbi voglia di piangere, ma per qualche ragione mi trattenni.

— Non puoi tornare qui, Argus. Nulla resta uguale. Il cambiamento è qualcosa a cui dovrai abituarti.

— Anche Cathay dovrà farlo, — E fino a che punto ci si aspetta che una persona accetti il cambiamento? Improvvisamente, mi resi conto che ora Cathay avrebbe fatto quello che io desideravo. Sarebbe cresciuto con me invece di regredire per crescere con un altro bambino. E ad un tratto mi parve troppo. Non era colpa mia se gli stava succedendo questo, ma l’averlo desiderato e ora vedere quel sogno diventare realtà mi faceva sentire profondamente a disagio. Scoppiai in lacrime e continuai a piangere per parecchio tempo.

Trilby mi lasciò solo ed io ne fui molto sollevato.


Lei era ancora là quando ripresi il controllo di me stesso. Ma non mi importava. Mi sentivo vuoto, con la gola che mi bruciava. Nessuno mi aveva detto che la vita sarebbe stata così.

— E… e la bambina che Cathay doveva istruire? — chiesi alla fine, sentendo che dovevo dire qualcosa. — Che cosa le succederà?

— L’A.I. se ne assume la responsabilità — disse Trilby. — Anche per quello di Trigger.

La guardai; era sdraiata, con le braccia piegate dietro la testa. I suoi capezzoli a forma di cuore si inturgidirono mentre la osservavo.

Lei mi guardò, con un sorriso all’angolo della bocca. Io mi sentii un po’ meglio. Era terribilmente carina.

— Immagino che possa… Be’, non può continuare ad insegnare ai ragazzi più grandi?

— Penso di sì — disse Trilby con una scrollata di spalle. — Non so se vorrà. Conosco Cathay. Non la prenderà bene.

— C’è qualcosa che posso fare?

— Non credo. Parlagli. Dimostragli simpatia, ma non troppo. Toccherà a te comprenderlo. Capire se vuole stare con te.

Era tutto troppo confuso. Come avrei potuto sapere quello di cui aveva bisogno? Lui non era venuto a trovarmi. Ma Trilby sì.

Ed in quel momento c’era una sola cosa non complicata nella mia vita, una cosa che potevo fare e sulla quale non avrei avuto bisogno di riflettere. Rotolai, e il mio corpo fu sopra quello di Trilby. Cominciai a baciarla. Lei mi rispose con un pigro erotismo che trovai irresistibile. Conosceva davvero qualche trucco che io ignoravo.


— Com’era? — le chiesi molto più tardi.

Di nuovo quel sorriso. Ebbi la sensazione di divertirla continuamente e, chissà perché, non me ne importava. Forse dipendeva dal fatto che non faceva mistero di essere lei l’adulta e io il bambino. Sarebbe stato così tra di noi: sarei stato io a dover crescere, e lei non sarebbe tornata indietro per raggiungermi.

— Vuoi un voto? — chiese lei. — Come nel ventesimo secolo? — Si alzò in piedi e si stirò.

— Va bene, sarò sincera. Meriti dieci per lo sforzo; ma qualunque ragazzo di tredici anni ci sarebbe riuscito. È così. Come tecnica sei un po’ più scarso. Non che mi aspettassi di più, per la stessa ragione.

— Così tu vuoi insegnarmi a fare meglio? È questo il tuo compito?

— Solo se mi assumi. E il sesso è solo una piccola parte. Ascolta, Argus, io non ti farò da madre. Darcy svolge molto bene questo ruolo. Non sarò neppure la tua compagna di giochi, come lo era Cathay. Non ti impartirò delle lezioni morali. In ogni caso, di queste sei già stufo.

Era vero. Cathay non era mai stato davvero un mio coetaneo, anche se aveva fatto del suo meglio per sembrarlo e comportarsi come tale. Ma l’illusione aveva cominciato a farsi trasparente, e immagino che dovesse andare così. Non potevo più ignorare le contraddizioni, ero troppo cinico e sofisticato perché lui potesse continuare a nascondere le sue lezioni sotto il velo delle attività quotidiane.

Mi infastidiva, più o meno come il CC. Il CC poteva dimostrarmi la sua amicizia, e un momento dopo condannarmi a morte. Io volevo qualcosa di più e sembrava che Trilby potesse offrirmelo.

— Non ti insegnerò neppure discipline scientifiche o attività pratiche, avrai dei maestri per quello, quando avrai deciso cosa vorrai fare — stava dicendo lei.

— E allora che cosa insegni, tu?

— Lo sai, non riuscirai mai a trovare un modo adatto per descriverlo. Non ti starò sempre vicina, come faceva Cathay. Verrai tu da me quando vorrai, magari quando avrai un problema. Io sarò comprensiva e farò quello che potrò, ma soprattutto mi limiterò a farti notare che toccherà a te fare tutte le scelte più difficili. Se sarai stato stupido te lo dirò, ma non sarò sorpresa né delusa se tu continuerai a comportarti come uno stupido. Puoi usarmi come un modello, ma non sarà una cosa su cui insisterò. Ma prometto che ti dirò sempre le cose come stanno, come le vedo io. Non cercherò di renderle meno dolorose. È giunto il momento per il dolore. Pensa a Cathay come ad un bambino di professione. Non lo sto sminuendo. Lui ti ha trasformato in un essere civilizzato, e quando ti ha preso, tu certo non lo eri ancora. È merito suo se adesso ti prendi a cuore la sua situazione, se ti senti diviso nei tuoi sentimenti di lealtà. E lui è tanto in gamba da sapere cosa sceglierai.

— Scegliere? Cosa vuoi dire?

— Questo non posso dirtelo. — Lei allargò le braccia e fece un sorrisetto. — Vedi come sono utile?

Stava di nuovo confondendomi. Perché le cose non potevano essere semplici?

— Allora se Cathay è un bambino di professione, tu sei un’adulto di professione?

— Puoi anche metterla così. Non è proprio la stessa cosa.

— Credo di continuare a non capire per che cosa Darcy ti pagherebbe.

— Faremo l’amore molto spesso. Che ne dici? È abbastanza semplice questo per te? — Si tolse un po’ di terriccio dalla schiena e fissò imbronciata il suolo. — Ma non più in un luogo sporco. Non mi piace la sporcizia.

Anch’io mi guardai intorno. Quel posto era davvero un disastro. Non era per niente grazioso. Mi domandai come avessi fatto ad amarlo tanto. D’un tratto volli andarmene, andare in un posto pulito, asciutto.

— Vieni — le dissi alzandomi. — Voglio riprovare qualcuna di quelle cosette.

— Questo significa che ho un lavoro?

— Sì, credo di sì.


Cathay era seduto sul portico della Capanna di Zucchero, con una fila di bottiglie di birra scura allineate lungo il bordo. Ci sorrise quando ci avvicinammo. Era completamente ubriaco.

È strano. Ci eravamo ubriacati insieme un mucchio di volte, noi quattro. È molto divertente. Ma quando è una sola persona ad essere ubriaca, è piuttosto disgustoso. Non che lo biasimassi. Ma quando si beve insieme tutte le battute hanno un senso; quando bevi da solo, diventi insopportabile persino a te stesso.

Trilby ed io ci sedemmo accanto a lui. Lui voleva cantare, ci mise in mano una bottiglia e io la sorseggiai cercando di entrare nello spirito della cosa. Ma molto presto scoppiò a piangere e io mi sentii malissimo. Ammetto che non si trattava proprio di comprensione. Mi sentivo impotente perché c’era così poco che potessi fare, ed anche un po’ seccato per tutte le promesse che mi aveva fatto. Sarei venuto comunque a trovarlo. Non doveva frignare sulla mia spalla implorandomi di non abbandonarlo.

Così lui pianse sulla mia spalla e su quella di Trilby, poi rimase seduto tra di noi con aria infelice. Cercai di consolarlo.

— Cathay, non è la fine del mondo. Trilby dice che potrai continuare ad insegnare ai ragazzi più grandi. Quelli della mia età e oltre. L’A.I. ha detto solo che non potevi trattare con i più giovani.

Lui borbottò qualcosa.

— Non sarà poi così diverso — dissi, incapace di tacere.

— Forse hai ragione.

— Certo. — Stavo inconsciamente cadendo in quella falsa allegria che la gente usa con gli ubriachi. Luì se ne accorse immediatamente.

— Che cosa diavolo ne sai, tu? Pensi che tu… dannazione, che cosa ne sai? Lo sai che genere di persona ci vuole per fare il mio mestiere? Una specie di spostato, ecco che cosa. Qualcuno che non vuole crescere più di quanto lo voglia tu. Siamo entrambi codardi, Argus. Tu non lo sai, ma io sì. Io sì. E cosa diavolo farò? Eh? Perché non te ne vai? Hai avuto quello che volevi, no?

— Calmati, Cathay — disse Trilby stringendolo a sé. — Calmati.

Lui si pentì immediatamente e cominciò a piangere piano. Disse che gli spiaceva, più di una volta, ed era sincero. Disse che non voleva, che gli era scappato di bocca, che era stato crudele.

E avanti di questo passo.

M’irrigidii.

Lo mettemmo a dormire nella capanna e poi ci incamminammo lungo la strada.

— Dovremo tenerlo d’occhio per i prossimi giorni — disse Trilby. — Ce la farà, ma sarà dura.

— D’accordo — dissi io.

Diedi uno sguardo alla capanna prima di girare intorno alla falsa curva. Per un attimo vidi Beatnik Bayou come una illusione perfetta, una finestra attraverso il tempo. Poi girammo intorno all’albero e tutto si frantumò. Prima non mi era mai importato.

Ma era un posto così squallido. Non mi ero mai accorto di quanto fosse brutta la Capanna di Zucchero.

Non lo rividi più. Cathay venne a vivere con noi per qualche mese, cercando di darsi all’arte. Darcy mi disse in segreto che non aveva molte possibilità. Traslocò, e lo vidi abbastanza spesso. Ma era deprimente averlo intorno e lui lo sapeva. E in più ammetteva che io rappresentavo le cose che lui stava cercando di dimenticare. Così in realtà non parlavamo molto.

Qualche volta vado a giocare a golf nei vecchio bayou. Sono solo due buche, ma c’è un progetto per ingrandirlo.

Hanno fatto davvero un buon lavoro di rinnovamento.

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