È venuto il giorno che tutti aspettavano, il giorno in cui il cardinale-robot sarà eletto papa. Non vi sono quasi più dubbi sull’esito della votazione. Per settimane il conclave è stato diviso in due fazioni di forza eguale, che sostenevano con uguale accanimento l’una il cardinale Poggi di Milano, e l’altra il genovese cardinale Salvani; ma finalmente, a quanto sembra, si è arrivati all’unico compromesso possibile: entrambe le fazioni voteranno per il robot. Ho letto stamattina sull’“Osservatore Romano” che gli stessi calcolatori elettronici del Vaticano sono intervenuti nelle delibere, caldeggiando la candidatura del robot. Penso non sia il caso di stupirsi di questo accordo fra macchine e tanto meno di preoccuparsene. Non c’è assolutamente niente di cui preoccuparsi.
«Ogni epoca ha il papa che si merita» commentava un po’ funereo il vescovo FitzPatrick, oggi a colazione. «Il papa che ci vuole oggigiorno è un robot, non c’è dubbio, anche se in avvenire ci servirà magari una balena, o un’automobile, o un gatto, una montagna…»
Il vescovo FitzPatrick è alto più di due metri e ha normalmente un’aria malaticcia e luttuosa, per cui non si riesce mai a capire se le sue uscite sono dettate da una profonda angoscia esistenziale o da serena rassegnazione. Parecchi anni fa, in Irlanda, era uno dei migliori giocatori del Santa Croce, una squadra di pallacanestro di serie A. Adesso è a Roma, tutto preso da certe ricerche per una biografia di San Marcello il Giusto.
Abbiamo seguito il drammatico sviluppo dell’elezione del papa da un bar all’aperto, ad alcuni isolati di distanza da piazza San Pietro. È stato per tutti noi un inatteso arricchimento delle nostre vacanze romane; il papa precedente era sembrato in ottima salute e niente lasciava supporre che già in questa estate gli si sarebbe dovuto trovare un successore.
Ogni mattina prendiamo il tassì dall’albergo nei pressi di via Veneto al bar dove ci appostiamo attorno al “nostro” tavolo. Di lì abbiamo un’ottima vista del camino del Vaticano dal quale esce il fumo dei ballottaggi — nero se la votazione ha avuto esito negativo, bianco se il conclave ha eletto il pontefice. Luigi, proprietario e insieme cameriere del bar, porta appena ci vede le nostre solite bevande; fernet per il vescovo FitzPatrick, campari soda per il rabbino Mueller, caffè turco per Miss Harshaw, spremuta di limone per Kenneth e Beverly, e per me pernod con ghiaccio. Uno a turno paga per tutti, però mai una volta, da quando la nostra guardia è cominciata, che abbia pagato Kenneth. Ieri, quando toccava pagare a Miss Harshaw, le mancavano 350 lire, aveva solo travellers’ checks da cento dollari. Lanciammo tutti occhiate significative a Kenneth, ma lui continuò imperterrito a succhiare la sua spremuta. Dopo un attimo di nervosismo generale il rabbino Mueller tirò fuori una banconota da 5.000 e la sbatté piuttosto furiosamente sul tavolino. Il rabbino è notoriamente collerico e di modi violenti. Ha ventotto anni, abitualmente porta una tonaca moderna di panno scozzese e occhiali da sole dai vetri rifrangenti. Si vanta spesso e volentieri di non aver mai officiato il “bar mitzvah”, la cresima ebraica, per la sua congregazione, che è poi Wicomico County nel Maryland. Secondo lui è un rito volgare e superato, e riesce regolarmente a rifilare questo compito a una organizzazione di sacerdoti itineranti che si incaricano, su commissione, di queste incombenze. Il rabbino Mueller è un’autorità in fatto di angeli.
I pareri sul senso che può avere l’elezione a papa di un robot sono discordi nel nostro gruppo. Il vescovo FitzPatrick, il rabbino e io siamo a favore; Miss Harshaw, Kenneth e Beverly sono contrari. È interessante notare che i signori in tonaca, l’uno piuttosto avanti con gli anni e l’altro giovanissimo, parteggiano per questo rivoluzionario abbandono della tradizione, mentre i nostri tre “mondani” sono più conservatori.
Io stesso non so bene perché faccia parte della schiera progressista. Sono un uomo maturo e abbastanza tranquillo e non mi sono mai occupato delle faccende della Chiesa di Roma. Ho poca familiarità con il cattolicesimo e non conosco i suoi problemi interni. Eppure fin dall’inizio del conclave, anch’io ho sperato nell’elezione del robot.
Chissà perché? Forse perché l’idea di una creatura di metallo sul trono di San Pietro stimola la mia fantasia e sollecita il mio senso dell’assurdo? Cioè, la mia preferenza per il robot è puramente una questione di estetica? O non è piuttosto l’espressione della mia debolezza morale? Forse penso che la nostra dipendenza dalle macchine è ormai a un punto tale, che ci conviene riconoscere questa soggezione anche in campo religioso…
«Se sarà eletto» dice il rabbino Mueller «tanto per cominciare concluderà subito un accordo di compartecipazione temporale con il Dalai Lama e un patto di accesso ai reciproci centri elettronici con il sommo programmatore della Chiesa greco-ortodossa. Pare che voglia pure fare delle offerte ecumeniche al Gran Rabbino, un passo che non può non infonderci grandi speranze.»
«Indubbiamente, i riti e la liturgia subiranno parecchie modifiche» osserva il vescovo FitzParick. «Anche il catechismo dovrà essere cambiato.»
«Perché? Non lo hanno già cambiato abbastanza?» ride Kenneth. È un giovane alquanto originale, con capelli quasi bianchi e occhi rosa. Beverly è sua moglie o sorella, non parla quasi mai.
«Ma il cardinale-robot che aspetto ha?» domanda Miss Harshaw. «Qualcuno di voi ne ha un’idea?»
«Come tutti gli altri» dice Kenneth. «Una scatola di metallo lucido su rotelle, con degli oblò in cima.»
«Ma se non l’avete mai visto» interviene il vescovo «come fate a dire che…»
«Sono tutti uguali» insiste Kenneth. «Visto uno, visti tutti. Scatole lucide, rotelle, oblò. Con la voce che gli esce dalla pancia. Ma beviamo qualcosa, va bene?»
Il rabbino Mueller dice: «Si dà il caso che io l’abbia visto con i miei occhi».
«Sul serio?» dice Beverly, interessata.
Kenneth le getta un’occhiata torva. Arriva Luigi con un bicchiere per ciascuno e gli do un biglietto da cinquemila. Il rabbino si toglie gli occhiali scuri e soffia sulle lenti. Ha gli occhi piccoli di un grigio acquoso ed è tremendamente strabico. Riprende: «Il cardinale era l’oratore principale al congresso sionista mondiale l’autunno scorso a Beirut. Parlava su “ecumenismo cibernetico e umanità contemporanea”. C’ero anch’io. Vi posso dire che Sua Eminenza ha un personale alto e distinto, una bella voce, e un simpaticissimo sorriso. Lo circonda un’aria di malinconia che mi ricorda molto il nostro caro vescovo, qui. Si muove con grazia ed è molto intelligente».
«Ma cammina su rotelle o no?» insiste Kenneth.
«Su cingoli» risponde il rabbino fulminando Kenneth con lo sguardo prima di rimettersi gli occhiali. «Come quelli di un trattore. Ma non vedo perché i cingoli dovrebbero essere più disprezzabili dei piedi o, se preferite, delle rotelle. Io se fossi cattolico sarei fiero di avere un uomo simile come papa!»
«Un bel niente» interviene Miss Harshaw. La sua voce assume un tono polemico ogni volta che si rivolge al rabbino. «Un robot. Sa bene che non è un uomo.»
«E va bene, un robot simile come papa» le concede il rabbino alzando le spalle. E, sollevando il suo bicchiere: «Al nuovo papa!».
«Al nuovo papa!» gli fa eco il vescovo FitzPatrick.
Luigi viene fuori da dietro il banco. Kenneth gli fa cenno di no. «Un momento» dice. «La votazione non è ancora finita. Come fate a essere così sicuri dell’esito?»
«L’“Osservatore Romano” di oggi» intervengo io «scrive che si deciderà in giornata. Il cardinale Salvani ha acconsentito a ritirare la propria candidatura in cambio di un maggiore tempo effettivo quando il concistoro dell’anno prossimo deciderà sulla nuova distribuzione delle ore d’accesso al centro elettronico.»
«Il solito mercato, insomma» dice Kenneth.
Il vescovo scuote tristemente la testa. «Lei giudica in modo troppo duro, figliolo. Sono tre settimane che siamo senza Santo Padre. Dio vuole che abbiamo un papa; il conclave incapace di decidere fra la candidatura del cardinale Salvani e quella del cardinale Poggi non rispetta la volontà divina, quindi una volta tanto dobbiamo adattarci alle circostanze in modo che la Sua volontà non venga ulteriormente trascurata. In questo momento tirare in lungo il conclave sarebbe un’offesa a Dio. In questo senso il sacrificio che il cardinale Salvani fa delle proprie ambizioni personali non è un atto così egoistico come potrebbe sembrare.»
Ma Kenneth insiste a negare la buona fede che avrebbe spinto Salvani a ritirare la propria candidatura, e Beverly gli dà man forte. Miss Harshaw dichiara ripetutamente che non intende rimanere membro attivo di una Chiesa il cui capo è un automa. Io trovo fastidioso questo battibecco e giro la mia sedia per avere una vista migliore del Vaticano. In questo momento i cardinali sono riuniti nella Cappella Sistina. Come vorrei esserci anch’io. Di quali superbi arcani è teatro quell’angusta aula tenebrosa. Ogni Principe della Chiesa ha preso posto su un piccolo seggio sormontato da un baldacchino color porpora. L’unica illuminazione proviene dai grossi tozzi ceri sui pulpiti davanti ai seggi. Con incedere solenne i maestri di cerimonia portano i bacili d’argento con le schede ancora bianche e li posano sul tavolo ai piedi dell’altare. A uno a uno i cardinali vanno al tavolo, prendono una scheda, ritornano ai loro posti. Ora, con la penna d’oca ogni porporato scriverà: “Io, cardinale… eleggo a pontefice massimo il reverendissimo principe mio signore cardinale…”. Quale nome scriveranno? Salvani? Poggi? Il nome di qualche oscuro incartapecorito prelato di Madrid o di Heidelberg, ultima carta disperata della fazione antirobot? O il nome di lui? Nella cappella si sente soltanto il rumore delle penne che grattano sulla carta. Infine i cardinali hanno terminato, sigillano le schede, le piegano e le ripiegano, le portano all’altare dove le depongono nel grande calice d’oro. Sono settimane che ripetono gli stessi gesti, mattina e pomeriggio.
«Qualche giorno fa» sta dicendo Miss Harshaw «ho letto sull’“Herald Tribune” che all’aeroporto di Des Moines una delegazione di 250 giovani robot cattolici dello Iowa attende l’esito delle votazioni. Se vince il loro candidato c’è un Charter pronto a portarli qui. Pretendono che il Santo Padre conceda loro la prima udienza pubblica.»
«Certamente» annuisce il vescovo FitzPatrick «questa elezione conquisterà alla Chiesa un considerevole numero di anime di provenienza sintetica.»
«Facendone uscire un bel po’ di gente in carne e ossa!» lo rimbecca con voce stridula Miss Harshaw.
«Ne dubito» risponde il vescovo. «Certo, ci sarà, e tanto per cominciare anche fra noi, chi si sentirà urtato, disorientato, ma passerà. Le innate virtù del nuovo papa, cui alludeva il rabbino Mueller poco fa, prevarranno sui dubbi. Inoltre io credo che dappertutto i giovani dalla mentalità tecnologica si sentiranno spinti a entrare nella Chiesa. Una grande religiosità risorgerà in tutto il mondo.»
«Ve li immaginate 250 robot che entrano sferragliando in San Pietro?» domanda Miss Harshaw.
Osservo il Vaticano in lontananza. A quest’ora del mattino il sole è forte e abbagliante, ma i cardinali riuniti dietro quei muri, fuori dal mondo comune, non godono i suoi caldi raggi. Ormai devono avere tutti votato. Si saranno alzati i tre di loro che stamattina la sorte ha destinato a scrutatori. Uno di essi solleverà il calice e lo scuoterà per mescolare le schede. Poi lo porrà sul tavolo davanti all’altare; il secondo ne toglierà le schede e le conterà, facendo bene attenzione che il loro numero corrisponda al numero dei cardinali presenti. Poi le schede verranno messe nel ciborio, il calice che durante la messa serve a contenere l’ostia. Il primo scrutatore ne estrarrà una scheda, l’aprirà, leggerà ciò che c’è scritto, la passerà al secondo scrutatore, il quale la leggerà a sua volta per consegnarla poi al terzo scrutatore, che pronuncerà ad alta voce il nome segnato. Poggi? Salvani? Un altro? Il “suo”?
Il rabbino Mueller sta parlando di angeli. «E poi ci sono gli angeli del trono, in ebraico detto “archim”, o anche “ophanim”. Ne abbiamo settanta, noti innanzi tutto per la loro costanza. Di questo gruppo fanno parte Orifiel, Ofaniel, Zabkiel, Jofiel, Ambriel, Tychagar, Barael, Quelamia, Paschar, Boel, e Raum. Alcuni di questi non stanno più in Cielo, ma si annoverano fra gli angeli caduti nell’inferno.»
«Deviazionisti di sinistra…» commenta Kenneth.
«Poi» prosegue il rabbino «ci sono gli angeli della presenza, che pare siano stati circoncisi nel momento stesso di essere stati creati. Sono Michele, Metatron, Suriel, Sandalfon, Uriel, Saraquael, Astanfaenus, Fanuel, Jehoel, Zagzagael…»
Adesso il conteggio dei voti dovrebbe essere terminato. Una folla immensa si è raccolta in Piazza San Pietro. Il sole si riflette in centinaia se non migliaia di crani di acciaio. Oggi la popolazione robot di Roma è esultante. Ma la maggior parte dei presenti nella piazza sono creature di carne e ossa: vecchie in nero, spavaldi giovinastri, grassi pizzicagnoli, poeti, filosofi, generali, magistrati, turisti, impiegati. Quale sarà il verdetto che fra breve conosceranno? Se nessun candidato avrà raggiunto la maggioranza dei voti, le schede saranno frammiste di paglia bagnata prima di venire bruciate nella stufa della cappella, in modo che dal camino esca fumo nero. Se invece il nuovo Papa è stato eletto, la paglia sarà asciutta e la fumata sarà bianca.
Questo sistema è molto apprezzato dal punto di vista spettacolare. A me piace tanto; mi procura quell’intima soddisfazione che generalmente ci dà l’esecuzione impeccabile di un’opera d’arte. Attendo l’esito con ardente concentrazione; non ho dubbi sul nome, sento risvegliarsi in me, irresistibile, una strana nostalgia dei tempi quando i papi erano uomini di carne e ossa. Domani nessun giornale pubblicherà interviste con l’anziana mamma del Santo Padre in Sicilia, o con un suo fratello minore a San Francisco. E ci sarà ancora, la prossima volta, questo grande rituale del conclave? Anzi, ci occorrerà mai un altro papa, dal momento che quello il cui nome sarà presto annunciato, può essere riparato così facilmente?
Ah! Il fumo… è bianco! Il grande momento è giunto!
Una figura in ermellino e vermiglio appare sul balcone centrale della facciata di San Pietro.
«Il cardinale arcidiacono» sussurra il vescovo FitzPatrick. Qua e là qualcuno fra la folla sviene. In piedi accanto a me, Luigi ascolta la cronaca degli avvenimenti da una radiolina. Kenneth dice: «Tutto combinato prima» e il rabbino lo zittisce con un sibilo. Miss Harshaw si mette a singhiozzare, Beverly recita sommessamente l’Atto di Fede segnandosi con gesti precisi. Per me è un attimo sublime. Credo che mai come ora abbia avvertito di vivere in un momento storico.
La voce amplificata del cardinale arcidiacono proclama: «Con somma gioia vi annunciamo che abbiamo il papa!… Habemus papam!…».
Cori di giubilo si innalzano e diventano un unico grande boato quando il cardinale arcidiacono comunica al mondo che il cardinale eletto, il nuovo pontefice, è lui, quella figura nobile e solenne, quel personaggio malinconico e austero la cui ascesa alla Santa Sede tutti aspettavano con ansia da tempo. «Sua Santità» prosegue il cardinale arcidiacono «ha scelto per il suo pontificato il nome di…» La voce si perde nel frastuono e mi rivolgo a Luigi. «Chi? Che nome?»
«Sisto Settimo» m’informa Luigi.
Ed eccolo là, Papa Sisto VII come d’ora innanzi lo chiameremo. Una figura massiccia nell’argento e oro dei paramenti papali, le braccia aperte verso la folla… ecco, il sole fa scintillare le sua altissima fronte, esaltando tutta la levigatezza dell’acciaio. Luigi è già in ginocchio. Mi inginocchio al suo fianco. Miss Harshaw, Beverly, Kenneth, perfino il rabbino, sono tutti inginocchiati perché questo è il momento mistico per eccellenza. Il papa avanza al parapetto del balcone. Adesso impartirà la tradizionale benedizione apostolica “urbi et orbi”. «La nostra salvezza è nel Signore…» egli comincia con voce grave. Aziona i tubi a reazione sotto le braccia, e perfino a questa distanza distinguo benissimo i due sbuffi di fumo, bianco anch’esso.
Lentamente il papa si solleva nell’aria.
«… che ha creato il cielo e la terra…» La sua voce giunge a noi maestosa. La sua ombra attraversa l’intera piazza. Sale sempre più su, più su, finché scompare alla nostra vista. Kenneth tocca Luigi. «Da bere per tutti» dice premendo una banconota di grosso taglio nella mano del barista. Il vescovo FitzPatrick piange. Il rabbino Mueller abbraccia Miss Harshaw. Il nuovo pontefice ha inaugurato il suo regno in modo davvero propizio.