Robert Silverberg Evasione tra i mostri

Il giorno in cui si verificò il primo suicidio Micah-IV era, per sua sfortuna, di servizio alla diga. La colpa quindi venne data a lui, sebbene lui non c’entrasse affatto. Come avrebbe potuto prevederlo? Come poteva, lui, capire gli esseri umani?

Il settore a lui affidato era lungo esattamente mille metri e sulla carta appariva come un rettangolo azzurro, lungo e stretto, con la denominazione di Zona KF-6. Poiché la diga era lunga, in tutto, seimila chilometri, Micah-IV era responsabile di un seimillesimo dell’intera lunghezza. Era un lavoro duro, il suo, perché la salvezza dell’intera umanità dipendeva dalla diga. Ma Micah-IV teneva gli occhi aperti. Pattugliava il suo chilometro, avanti e indietro, per dodici ore al giorno, ed era sempre vigile. Faceva del suo meglio, dunque, ma naturalmente non poteva arrivare a tutto.

La diga misurava sessanta metri di altezza; alla base era larga venti e, in cima, sei. Era costruita in blocchi di pietra verde, squadrati con estrema precisione e sovrapposti in modo perfetto, senza che ci fosse stato bisogno di ricorrere alla calce. I blocchi, provenienti dalle fornaci nucleari dello Wyoming, avevano attraversato l’intero continente per arrivare fin sulla riva del mare. Anche facendo largo uso di mezzi meccanici, c’erano volute due generazioni per innalzare la muraglia colossale. La diga aveva rappresentato il grande sforzo collettivo dell’umanità; era stata un’impresa così immane che, a paragone di essa, ogni precedente tentativo del genere sfigurava. Le piramidi d’Egitto, a confronto della diga, erano appena un mucchio di pietre, e la muraglia cinese era solo un castello di sabbia.

Al di là della diga, appariva la grigia, sinistra distesa dell’oceano, infestato dai mostri.


Quando andava su e giù, a passo cadenzato, lungo la Zona KF-6, Micah-IV, di tanto in tanto, intravedeva in lontananza i mostri che guizzavano e si rotolavano tra le onde. A volte, uno di essi si dirigeva incuriosito verso terra, cercando un passaggio nella muraglia che proteggeva l’umanità. Ma nella diga, naturalmente, non c’erano aperture. I mostri erano tenuti lontani da una fascia venefica, larga un chilometro, alimentata giorno a notte attraverso appositi orifizi praticati nella diga. Se i mostri riuscivano a superare la gialla fascia velenosa, s’imbattevano, subito dopo, in una barriera percorsa dalla corrente elettrica, larga cinquanta metri, pronta a scatenare migliaia di chilowatt su qualsiasi essere vivente incappasse nei suoi fili. All’interno della protezione elettrificata, si levava infine la grande diga. Vista dall’esterno, la muraglia pareva fatta di bronzo lucido ed era liscia come il cristallo.

Nessun mostro sarebbe mai riuscito a superare quella parete. E nessun mostro, in effetti, c’era mai riuscito, da quando, ottant’anni prima, la diga era stata costruita.

Qualcuno aveva tentato di darle la scalata, benché Micah-IV, personalmente, non avesse mai assistito a nessun tentativo del genere. Una quarantina di anni prima, ad esempio, nella Zona CJ-9, una creatura dal corpo coperto di squame, con gli occhi rossi e la coda enorme, aveva superato la fascia avvelenata, s’era spinta attraverso la barriera e infine, con furia cieca, s’era lanciata contro la diga. Le trenta tonnellate di quel corpaccio infuriato s’erano abbattute contro la parete, che non aveva neppure tremato sotto la violenza dell’urto. Il mostro, ergendosi sulle pinne enormi, s’era rizzato i tutti i suoi venti metri di altezza e con la lingua rasposa aveva lambito il muro, tentando invano di scalarlo.

Tutti i suoi sforzi erano stati vani. La creatura scivolava sulla superficie levigata, e alla fine s’era abbattuta, esausta, sulla sponda rocciosa, ai piedi della diga. Si sentivano fin da lontano gli ansiti affannosi del mostro. Poi con cieca furia, la creatura s’era lanciata a testa bassa, più e più volte, contro la base della diga, finché la pietra verde era diventata rossa di sangue; poi la carcassa del mostro era rimasta sulla spiaggia, offerta in pasto agli avvoltoi.

Vent’anni dopo, nella Zona BX-11, c’era stato un altro allarme. Un mostro enorme, nero come l’ebano, aveva superato la venefica fascia gialla e la barriera protettiva e, protendendo i tentacoli enormi, lunghi una trentina di metri e forniti di ventose mostruose, aveva cominciato a scalare la diga. Su, su, su, finché la massa viscida, coperta di salsedine, era arrivata a metà della parete, riuscendo a lanciare uno dei tentacoli a ventosa a nemmeno cinque metri dalla cima della muraglia. Il tentacolo aveva però fatto scattare i circuiti di risonanza. Dalla diga si era sprigionata un’ondata sonora di terrificante potenza, mentre il mare tutt’attorno ribolliva furiosamente. Le ventose del mostro avevano lasciato la presa e la creatura era andata a sfracellarsi sui massi ai piedi del muro.


Micah-IV, però, non aveva mai vissuto esperienze così eccitanti. Per dodici ore al giorno andava dal limite sud della zona KF-7 al limite nord della KF-5, scrutando il mare. Ecco, laggiù, s’intravedeva lo strano corpo fusiforme di un mostro color giallo-limone, con le scaglie luccicanti sotto il sole, che guizzava tra le onde, tenendosi alla larga dalla fascia mortale. Ora, nell’oscurità, Micah-IV distingueva le antenne fosforescenti di un gigantesco abitatore dei mari, e nel riverbero scorgeva le enormi, terribili fauci spalancate del mostro. A volte, invece, erano dei tentacoli che spazzavano furiosamente le acque, o il guizzo subitaneo di una pinna misteriosa.

I mostri si tenevano a debita distanza dalla diga. In passato, si erano spinti a fare incursioni e razzie fin sulla riva, perché quasi tutte le creature degli abissi erano in grado di resistere per un’ora o due fuori dell’acqua. Ma la diga, ormai, respingeva ogni attacco e gli abitanti della terra si sentivano finalmente al sicuro da quelle creature d’incubo. Tenuti a distanza da quella muraglia, i mostri enormi danzavano e guizzavano nel loro elemento, dove, di tanto in tanto, scoppiavano battaglie feroci che facevano tremare i continenti.

Per dodici ore, Micah-IV pattugliava la diga, e per altre dodici riposava nelle baracche riservate ai guardiani. Anche la carne sintetica, infatti, ha bisogno di riposo, per liberarsi dalle tossine accumulate dalla fatica.

Il suo compito era semplice: doveva controllare il camminamento superiore, senza mai perdere di vista il mare, per scoprire gli eventuali intrusi. Qualora uno dei mostri avesse tentato un attacco, Micah-IV doveva avvertire immediatamente l’autorità centrale. Inoltre era anche responsabile della manutenzione del suo tratto di diga, e doveva scoprire i cedimenti o le fenditure che, per avventura, comparissero nella muraglia, e avvertire i dipartimenti interessati, prima che il fenomeno assumesse proporzioni allarmanti.

Micah-IV, infine, doveva occuparsi dei turisti, che di tanto in tanto salivano sulla diga per ammirare l’oceano.

Arrivavano sulla diga a gruppi familiari di cinque o sei persone. Micah-IV li riceveva con cortesia, illustrava le tecniche di costruzione della diga e, quando era possibile, faceva vedere ai gitanti i mostri che guizzavano al largo. Se un bambino si spaventava, Micah-IV lo consolava. Se si sentiva male una donna, Micah-IV le offriva una compressa. Se un uomo, per fare lo spiritoso, si avvicinava troppo al basso parapetto di protezione che correva lungo la sommità del muro, Micah-IV gli consigliava, con tatto, di ritirarsi di qualche passo, perché non si era mai sicuri, e un tentacolo poteva sempre arrivare fin lassù.


Quello era un lavoro meccanico ed estremamente monotono: era per questo che gli esseri umani non avevano voglia di occuparsene. Micah-IV, essendo una creatura sintetica, sentiva meno la noia. Ormai erano più di dieci anni che pattugliava la muraglia, e quella serie di giorni sempre uguali non aveva lasciato tracce notevoli sul suo cervello. Ogni tre anni, aveva bisogno di essere rimesso a tono per cancellare gli effetti di anni di noia, ed era tutto.

Avanti e indietro lungo la diga: guardare a destra, guardare a sinistra. Controllare l’oceano. Riattivare, ogni due ore, i circuiti di risonanza. Riferire ogni tre ore al Centro. Controllare il centro visite.

Neve. Vento. Pioggia. Caldo. Sole. Pizzicore di salso nelle narici.

Creste bianche sulla superficie del mare. Esseri enormi annidati negli abissi.

A dire il vero, Micah-IV, dentro di sé, desiderava che succedesse qualcosa.

Che un mostro tentasse di scalare il muro. Che una turista venisse colta dalle doglie, mentre era in cima alla diga. Che uno dei blocchi di pietra andasse in briciole. Insomma, che capitasse qualcosa di nuovo, qualcosa d’insolito, qualcosa per cui la zona KF-6 meritasse di avere un posto nella storia della diga.

Ormai, tra un anno, avrebbe dovuto essere risintonizzato, ed era per questo motivo che provava un desiderio così intenso di novità.

Micah-IV si voltò a guardare i mostri che diguazzavano nell’acqua sperando che si decidessero ad attaccare. Ma quelli non ci pensavano nemmeno. Sarebbe stato un tentativo inutile, e le creature dell’oceano lo sapevano perfettamente. La muraglia era impenetrabile. Il tempo in cui i predoni del mare divoravano centinaia di essere umani era finito per sempre.

Per un caso strano, dunque, quando si verificò il primo incidente imprevisto della carriera di guardiano di Micah-IV, lui non riuscì a impedire la tragedia.

Micah-IV, quel giorno, era arrivato quasi in fondo al suo settore, quando un lieve sibilo lo avvertì che al centro visite, che si trovava all’estremità opposta, erano arrivati dei turisti. Micah-IV decise di completare il giro: i turisti, intanto, avrebbero atteso il suo ritorno al centro visite, dove le porte di cristallo si aprivano solo a un comando del guardiano in servizio. Al momento stabilito, Micah-IV avrebbe aperto il centro per accompagnare gli esseri umani a visitare la diga.

Micah-IV arrivò al limite della sua Zona e informò il Centro che tutto era in ordine. Poi fece dietro-front e si diresse a nord, procedendo col solito passo cadenzato.

Ma quando si trovò a cinquecento metri dal centro visite, si accorse che la porta di cristallo stava aprendosi.

Ne uscì un uomo: era un personaggio pieno di maestà e dignità, che indossava una tunica grigia e un copricapo blu scuro. Mentre Micah-IV, sbalordito, lo fissava, l’altro si avvicinò al parapetto e cominciò a scalarlo.

«Alt!» gridò Micah-IV.

Non riusciva a capire come mai la porta del centro si fosse aperta da sola. Non gli andava l’idea che un uomo, sfuggendo ai controlli, fosse arrivato in cima alla diga. E non capiva assolutamente perché quell’individuo si arrischiasse a superare la ringhiera di protezione.

Allora si mise a correre, con la sua incredibile velocità.

Ma era troppo tardi.


Quando Micah-IV si trovava a un centinaio di metri, l’uomo arrivò in cima alla muraglia. Si fermò un attimo, prese lo slancio e si lanciò nel vuoto.

«No!» gridò Micah-IV. «Non si può! È proibito!»

Era un suicidio, e cioè una autodistruzione voluta. Il sintetico, sconvolto, si lanciò di corsa verso la barriera e vide l’uomo azionare l’antigravità e scivolare senza scosse fino in fondo alla muraglia. Ma perché l’aveva fatto? Se davvero voleva uccidersi, perché aveva azionato l’antigravità?

«Tornate indietro!» gridava Micah-IV, e intanto si preparava a salire sul muro per aiutare l’uomo a tornare a riva.

L’uomo stava superando la serie di massi sparsi lungo la riva, e ora, dopo essersi aperto la strada tra i viluppi di alghe, s’era buttato tra le onde e, a faccia in giù, si allontanava a larghe bracciate da terra. Micah-IV non tentò di seguirlo. Sarebbe stato annientato anche lui e il sacrificio non sarebbe servito a niente.

Micah-IV, incredulo e sbalordito, osservò l’uomo che nuotava veloce tra le onde. La barriera elettrificata non l’aveva fermato, perché la massa di un corpo umano era troppo piccola per provocare una scarica. Neppure la fascia avvelenata costituiva una minaccia per l’organismo umano. Ora aveva superato la zona del veleno e si trovava nel mare aperto, privo di ogni protezione.

Un luccichio di scaglie, il lampo di una dentatura aguzza, un guizzo in superficie.

E tutto fu finito.


Tremante, madido di sudore, Micah-IV si allontanò dalla muraglia. Al centro visite c’erano altri turisti, che aspettavano presso la porta aperta.

«Chi era quell’uomo?» chiese Micah-IV. «Come ha fatto a aprire la porta? Perché si è ucciso?»

Nessuno rispose. Tutti parevano stranamente indifferenti. Alcuni pregarono Micah-IV di accompagnarli nel giro della diga. Irritato, Micah-IV rispose che per quel giorno le visite erano sospese, e ordinò al gruppo di lasciare il centro visite.

Finalmente anche per lui c’era stata la grande novità. Micah-IV, però, trovò l’incidente meno piacevole di come se l’era immaginato.

Fece il suo regolare rapporto alle autorità e poco dopo nella sua zona si diedero convegno una quantità di personaggi ufficiali, ai quali Micah-IV, infaticabile, ripeteva il suo racconto. I tecnici esaminarono la porta del centro visite, scoprendo che era stata aperta nel solito modo, e cioè mediante un serie di segnali fatti col pollice. Era evidente che il suicida sapeva molte cose.

Micah-IV fu ammonito, perché non era riuscito a impedire il suicidio dell’uomo. Ogni protesta da parte sua fu inutile, e invano continuò a ripetere che non ne poteva niente. La colpa, bisognava pure darla a qualcuno, e chi poteva essere il responsabile, se non il guardiano della diga? Gli uomini non potevano salire da soli, senza sorveglianza, sulla diga. Micah-IV, dunque, s’era reso colpevole di negligenza.

Ripensandoci, Micah-IV si convinse sempre di più della propria innocenza. Non poteva trovarsi, contemporaneamente, in tutti i punti della Zona. Non poteva, in un attimo, superare di corsa un migliaio di metri. Se un essere umano deciso a autoeliminarsi era riuscito, per vie illecite, a scoprire il segnale cifrato che comandava l’apertura della porta ed era salito sulla diga mentre l’addetto si trovava altrove, come avrebbe potuto quest’ultimo impedire il suicidio?

Il rimprovero, però, non ebbe conseguenze tangibili per Micah-IV: non poteva influire sulla posizione, sullo stipendio, e neppure sulla pensione, perché Micah-IV non possedeva niente del genere. Non era un impiegato, in effetti, era piuttosto una parte dell’attrezzatura. L’ammonizione però intaccò il prestigio di cui Micah-IV godeva tra i suoi pari grado. La notizia di quanto gli era accaduto s’era sparsa, e tutti i guardiani ormai erano al corrente che Micah-IV aveva avuto un’ammonizione. I colleghi gli rinfacciarono, davanti a tutti i compagni di baracca, di avere lasciato che un uomo si suicidasse.

Per più di un mese, Micah-IV visse con quella macchia.

Fu un grande sollievo per lui quando sulla diga si verificò un secondo suicidio.


Il suicidio avvenne, in pratica, nelle stesse circostanze del primo. Una giovane donna era penetrata nella zona DV-7 mentre il sorvegliante si trovava all’estremità opposta. Si era lasciata scivolare, con l’antigravità, fino ai piedi del muro e s’era buttata tra le onde, dirigendosi a nuoto verso i mostri in attesa.

Nuove misure di sicurezza furono stabilite per i gruppi di visitatori. Micah-IV era tutto eccitato, ora che sapeva che ogni giorno poteva trovarsi di fronte all’imprevisto.

Il terzo suicida, in FC-10, non fece ricorso all’antigravità, come era avvenuto per gli altri. La vittima — un ragazzo — precipitò per tutti i sessanta metri di altezza sfracellandosi sulle rocce. I mostri stavolta rimasero a bocca asciutta e ci guadagnarono gli avvoltoi.

Seguì una quarta morte.

Una quinta.

Una sesta e una settima.

I guardiani dei settori, inquieti, affrettarono il passo, percorrendo su e giù le zone a loro affidate in due terzi del tempo che impiegavano prima. Si parlò anche di chiudere i centri visite, ma poi non se ne fece nulla: era assurdo togliere a milioni di essere umani la possibilità di vedere il mare, solo perché tra loro si annidava un gruppetto di pazzi.

Furono installati, invece, nuovi sistemi di chiusura alle porte dei centri visite. Ma nonostante quella precauzione, la settimana dopo si verificarono altri quattro suicidi.

Nelle baracche, ai guardiani furono impartite istruzioni particolari per superare la grave crisi. Micah-IV ascoltò molto compreso, sentendosi quasi orgoglioso che tutto fosse cominciato dal suo settore.

Un funzionario, con la pelle unta, e dai piccoli occhi verdi, si rivolse alla squadra dei sintetici: «È venuto di moda tra gli uomini il culto del suicidio gratuito. Voi dovete fare tutto quanto è in vostro potere per impedire che si verifichino altre morti. Non c’è nulla di più prezioso di una vita umana».

Il funzionario dalla pelle grigiastra e unta e dagli occhi piccoli e verdi fu il ventitreesimo suicida.

Successivamente, nel corso di un’altra riunione di sintetici, parlò uno psichiatra, con i capelli corti tagliati a spazzola. Disse: «Stiamo pagando il nostro tributo al grande sforzo comune compiuto per la costruzione della diga. I cittadini tentano, individualmente, di danneggiare la grande impresa comunitaria cercando la morte in mare. Poiché i mostri non possono più venire sulla terra, sono loro che vanno ai mostri».

Un’ipotesi più che accettabile. E lo dimostrò, di persona, lo psichiatra, poco tempo dopo.


Micah-IV, andando avanti e indietro con il suo passo cadenzato, lungo la muraglia, tra gli spruzzi di acqua salata e il vento salso, continuava fedelmente a fare il proprio dovere. Quando, sulla diga, appariva un gruppo di esseri umani — c’erano adesso più turisti che mai — li scrutava impassibile, cercando di capire se nascondevano propositi suicidi. «Tu, grosso donnone, nascondi forse l’intenzione di ucciderti? E tu, giovanotto, con gli occhi troppo brillanti? E tu, padre sparuto di due figli?»

I turisti adesso salivano sulla diga a gruppetti di tre. Il sorvegliante non li perdeva di vista un istante, eppure, nonostante le precauzioni, vi furono diversi casi in cui gli uomini, eludendo la sorveglianza, si precipitarono dall’alto della muraglia.

Nelle baracche, Micah-IV ascoltava con interesse Noach-I, uno dei sintetici più intelligenti, che esponeva il proprio punto di vista sulla questione.

«Si tratta di un fenomeno religioso» dichiarava Noach-I. «Ho studiato religione. Quella gente è presa da un impulso oceanico e decide di fare ritorno alla grande madre.»

«E i mostri?» chiese Ezekiel-VII.

«Non contano. Si corrono sempre dei rischi. I nuotatori sperano di eludere i mostri e di raggiungere le profondità marine. Insomma, la loro è una chiamata spirituale.»

«Ma come finirà?» chiese Uzziah-III.

«Probabilmente abbatteranno il muro» disse Noach-I. «Forse sorgerà un nuovo culto. O forse, uno per uno, gli uomini si butteranno tutti in mare.»

Ci furono altre morti. Varie centinaia di esseri umani perirono. Furono prese nuove precauzioni. S’era sperato che, con il sopraggiungere dell’inverno, si verificasse un cambiamento nel clima psicologico dell’umanità, ma i suicidi continuarono senza interruzione.

Poi un giorno, mentre dal cielo grigio scendeva la neve, Micah-IV riuscì a bloccare una suicida.

Aveva individuato subito, in quella donna dai capelli rossi, alcuni elementi sospetti, come la massa dell’antigravità nascosta sotto il vestito, e lo sguardo vitreo. Mentre accompagnava il gruppetto di visitatori sulla diga, non la perse d’occhio un momento.

«Potete vedere laggiù» disse, additando qualcosa sul mare «un nemico dell’umanità. Notate la coda serpentina e le zanne, taglienti come lance. Osservate le pinne enormi!»

La donna dai capelli rossi si staccò a un tratto dal gruppo, lanciandosi di corsa verso la barriera di protezione.


Micah-IV, che se l’aspettava, si precipitò dietro di lei. La donna, rannicchiata dietro lo sbarramento, cercava di azionare l’antigravità. Il potenziale dello sbarramento elettrico era stato rafforzato di recente, in modo che a urtarlo si provava una leggera scossa, che serviva a tenere indietro i temerari. L’antigravità però permetteva di saltare a pie pari la barriera. Mentre la donna si raccoglieva per prepararsi al salto, Micah-IV l’afferrò saldamente per un braccio.

«Lasciami andare» disse la donna.

«Perché voleva buttarsi giù?»

«Non sono affari tuoi! Lasciami andare!»

«Voleva uccidersi in mare.»

«E a te che importa? Maledetto robot, come ti permetti di non obbedire all’ordine di un essere umano? Lasciami subito libera!»

«Sono un sintetico e non un robot» osservò cortesemente Micah-IV. «Non sono tenuto a obbedire agli ordini degli uomini, a meno che s’inseriscano nella mia programmazione. Le proibisco di lasciare la diga.» Con mossa esperta le sfilò da sotto l’abito l’antigravità e, senza lasciarle il braccio, la disinnestò. Lei lo guardò furiosa.

«Mi dica perché voleva buttarsi in mare» disse Micah-IV.

«Non potrai mai capire. Tu sei solo una macchina.»

«Geneticamente sono quasi un uomo. Sono in grado di pensare, di riflettere e di cambiare idea. Perché voleva buttarsi in mare?»

«Per appartenere al mare» disse la donna.

«Non capisco.»

«Te l’avevo detto che non avresti capito. E ora, lascia che mi butti, non impedirmelo più!»

«Non posso» l’avvertì Micah-IV, mentre la trascinava verso la salvezza. Le parole di lei l’avevano ferito profondamente. In vita sua, non aveva avuto molte occasioni di parlare con un essere umano, ma mai prima di allora s’era sentito rinfacciare con tanta durezza la sua qualità non-umana. Anche se era un prodotto di laboratorio, aveva una sua sensibilità, e lei lo aveva ferito. Piano piano Micah-IV si abbandonò a un senso di autocommiserazione.

Mentre si avvicinavano al centro visite, Micah-IV scivolò sulla neve. Riprese subito l’equilibrio, ma la donna ne approfittò per strapparsi dalla sua stretta e correre verso la barriera protettiva. Micah-IV la seguì.

La donna raggiunse lo sbarramento, lo superò d’un balzo, e per un attimo ancora si videro i suoi capelli rossi, poi scomparve nel vuoto e andò a sfracellarsi sulle rocce, là in fondo. Gli avvoltoi accorsero a stormi.


“Sarò severamente ammonito per quel che è capitato” pensò Micah-IV.

Si voltò a guardare l’oceano grigio, invernale. Vide, al di là della zona inquinata, le forme enormi, oscure.

“Ma perché gli uomini si uccidono? Che cosa trovano in mare? Che cosa li induce a comportarsi in quel modo?”

Micah-IV non lo sapeva. “Non lo capisco perché non sono umano” pensò.

Assorto nei suoi pensieri, Micah-IV salì in cima alla barriera. Il suo sistema nervoso assorbiva, senza inconvenienti, la debole corrente emanata dallo sbarramento. Percorse così, lassù in cima, un centinaio di metri verso sud, e arrivò a un punto dove ai piedi della diga non c’era spiaggia né scogli, ma soltanto il mare che batteva direttamente contro la muraglia.

“Voglio fare un’azione da uomo” decise Micah-IV. “Chissà che finalmente non capisca che cosa voglia dire essere uomo. E, comunque, nessuno potrà rimproverarmi per quello che faccio.”

Si voltò verso l’oceano e si lanciò nel vuoto. Mentre cadeva, girò su se stesso e si vide sfilare davanti i blocchi verdi della diga. S’inabissò nelle acque, con un leggero ansito per la violenza dell’urto. Poi, tra un gorgoglio di onde, risalì alla superficie.

Agile, guizzante, curioso, Micah-IV nuotò verso il mare aperto, verso i mostri in agguato.

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