John Varley Opzioni

John Varley, come Bishop, è uno degli autori più validi prodotti dalla sf negli ultimi anni. Varley, in effetti, è uno di quegli scrittori che fanno epoca, che danno una svolta all’evoluzione dei generi: un autore dotato delle necessarie conoscenze stilistiche e della rara abilità di estrapolare in tutti i campi dello scibile, nonché di una matura capacità d’esame della psicologia dei personaggi. In questa storia e nella successiva, ambientate entrambe nello stesso mondo (una colonia sublunare che ritorna spesso nelle sue opere), Varley tratta due temi di grossa attualità: le possibilità di manipolazione umana e di cambiare sesso a piacimento, e le possibilità di coesistenza tra diversi tipi di concepire la vita.


Cleo odiava la colazione.

Alla mattina il suo livello di energie era bassissimo, al contrario di quello dei bambini. C’erano sempre problemi relativi alla scuola, qualcosa da sbrigare all’ultimo momento, discussioni da affrontare.

Quella mattina Lilli si era rovesciata in grembo una scodella di cereali. Cleo non se n’era neppure accorta; la sua attenzione si era rivolta per un attimo a Feather, la più piccola.

E naturalmente il guaio era capitato dopo che Lilli era già vestita.

— Mamma, questo era il mio ultimo completino.

— Se avessi un po’ più di riguardo, forse potrebbero resistere più di tre giorni, e se tu non… — Si interruppe prima di perdere la pazienza. — Lévatelo, e va’ a scuola così come sei.

— Ma mamma, nessuno va a scuola nudo. Nessuno. Dammi dei soldi e mi fermerò al negozio a…

Cleo alzò la voce, una cosa che cercava sempre di evitare: — Piccola, so che nella tua scuola ci sono dei bambini i cui genitori non hanno la minima possibilità di comprare dei vestiti.

— Sì, ma i bambini poveri non…

— Adesso basta. Sei già in ritardo. Muoviti.

Lilli uscì dalla stanza, risentita. Cleo udì sbattere la porta.

In mezzo a quella confusione Jules era un’isola di pace all’estremità opposta del tavolo, col naso immerso nel suo notiziario, e intento a sorbire la seconda tazza di caffè. Cleo lanciò un’occhiata alla sua porzione di uova e bacon che si stava raffreddando nel piatto, si versò una tazza di caffè, e poi dovette alzarsi per aiutare Paul a cercare l’altra scarpa.

Nel frattempo Feather si era bagnata un’altra volta, così la mise sul tavolo e le cambiò i pannolini inzuppati.

— Ehi, senti qui — disse Jules. — Oggi il Consiglio Cittadino ha approvato all’unanimità un’ordinanza che richiede…

— Jules, non ti sembra di essere in ritardo?

Lui si studiò l’unghia del pollice. — Hai ragione. Ti ringrazio. — Finì il caffè, ripiegò il notiziario infilandoselo sotto il braccio, si sporse in avanti per baciarla e poi aggrottò la fronte.

— Tesoro, dovresti mangiare di più — disse indicando le uova ancora intatte. — Dovresti mangiare almeno il doppio, lo sai. Ora devo salutarti.

— Arrivederci — salutò Cleo a denti stretti. E se ti sentirò ancora una volta dire che dovrei «mangiare almeno il doppio» io… Ma se n’era già andato.

Ebbe soltanto il tempo di scottarsi le labbra col caffè e poi uscì di corsa per prendere il treno.


Sulla vettura abbronzante c’erano dei posti liberi, ma ovviamente Feather era con lei e i raggi UV non erano consigliati per la sua pelle delicata. Dopo un’occhiata d’invidia ai passeggeri sdraiati, muniti di scure lenti protettive per gli occhi (ed uno sguardo deluso alla sua pelle chiara), Cleo salì sulla vettura successiva e trovò posto di fianco ad un uomo corpulento che indossava un casco. Si accomodò sull’imbottitura, assicurò la cinghia al supporto che aveva di fronte e cominciò ad allattare Feather. Quindi aprì il notiziario e lo stese sulle ginocchia.

— Carino — commentò l’uomo. — Quanti anni ha?

— Carina — corresse Cleo, senza sollevare lo sguardo. — Ha undici giorni. — E cinque ore e trentasei minuti…

Voltandogli significativamente le spalle, si lasciò scivolare nel sedile e fece il gesto di attivare il notiziario per far scorrere il sommario del giorno. Tenne lo sguardo basso mentre il treno lasciava il tunnel sotterraneo per uscire tra i dolci declivi della piana di Mendeleev, priva d’atmosfera. Là fuori c’era ben poco che potesse interessarla, dato che faceva quel percorso fino al cratere di Hartman due volte al giorno. Avevano discusso la possibilità di trasferirsi a Hartman, ma Jules preferiva vivere vicino al posto di lavoro, a King City, e ovviamente i bambini avrebbero dovuto lasciare tutti i loro compagni di scuola.

Quella mattina non c’era gran che nel notiziario. Si incuriosì quando la spia rossa segnalò un aggiornamento. Il notiziario visualizzò alcune ordinarie questioni cittadine. Passò oltre dopo le prime tre righe.

Per quella sera alle 19.00 era programmata una parata per il Centenario dell’Invasione. Le parate la annoiavano, come pure il Centenario. Se hai ascoltato un discorso su come la liberazione sarebbe a portata di mano se unissino i nostri sforzi, allora li hai già ascoltati tutti. Contenuto semantico: zero; grado di assurdità: elevato.

Lesse avidamente la pagina sportiva, notando che, senza di lei, la squadra di jumpball del Settore J otteneva scarsi risultati nel campionato cittadino. La bassa statura e le gambe scattanti avevano fatto di lei un’ottima velocista all’epoca in cui giocava, ma adesso non era pensabile di tornare ad allenarsi.

Come ultima risorsa richiamò articoli, estratti, liste di analisi, il Supplemento Domenicale e la pagina culturale del notiziario. Un titolo attirò la sua attenzione e lo richiamò con un tasto.

Il cambiamento: la rivoluzione nei ruoli sessuali

(ovvero: chi sta sopra?)

Vent’anni fa, quando per la prima volta il cambiamento di sesso diventò un sistema estremamente pratico ed economico e, quindi, alla portata di tutti, ciò fu visto come l’inizio di una rivoluzione che avrebbe trasformato la struttura della società umana in modi imprevedibili. La parità sessuale è un fatto, affermarono i sociologi, ma certe residue diseguaglianze — fondate su imperativi biologici o sull’educazione, a seconda dei vostri principi — si sono rivelate impossibili da rimuovere. Il cambiamento di sesso stava mettendo fine a quella situazione. Uomini e donne sarebbero stati in grado di provare l’emozione di stare dall’altra parte della barriera che divide l’umanità. Come avrebbero potuto sopravvivere in tal modo i ruoli sessuali?

Dieci anni dopo la risposta risultò ovvia. Il cambiamento di sesso veniva accettato solamente da una trascurabile minoranza. Ben presto fu visto come un’inoffensiva aberrazione, praticata solo dall’1% della popolazione. Ciascuno si dimenticò in fretta del salto della barriera.

Ma negli ultimi dieci anni si è affermata una rivoluzione più silenziosa. Quasi inavvertibile su scala generale, in quanto è un fenomeno difficile da constatare (come puoi sapere se la prossima donna che incontrerai non era un uomo la settimana prima?), il cambiamento del sesso è una realtà che si afferma gradualmente presso i figli della generazione che l’ha rifiutato. Ora più che mai c’è la possibilità che conosciate qualcuno che ha avuto almeno un cambiamento di sesso. La probabilità che voi stessi io abbiate cambiato è maggiore di uno su quindici; se avete meno di vent’anni, la probabilità è di uno su tre.


L’articolo proseguiva con la descrizione della società clandestina che si stava plasmando sulla base del cambiamento di sesso. Coloro che lo avevano cambiato tendevano a fare gruppo a sé, frequentando gli stessi locali, programmando determinati avvenimenti sociali e isolandosi dal resto di una comunità che molti di loro consideravano retrograda e alla quale si sentivano estranei. Questi individui tendevano a sposarsi con altri che avevano subito lo stesso trattamento. Si dividevano equamente la gravidanza, preferendo ciascuno dare alla luce un solo bambino. L’autore osservava questa tendenza con allarmismo, poiché si scontrava con la tradizione socialmente approvata di creare famiglie numerose. I changer, come venivano chiamati, sostenevano che quel tempo era passato, asserendo che Luna era stata conquistata molto tempo fa. Presentavano delle statistiche le quali indicavano che ai ritmi attuali di espansione, la popolazione di Luna avrebbe raggiunto il miliardo di individui in un tempo sorprendentemente breve.

Seguivano interviste ad alcuni changer e rilievi psicologici. Cleo lesse che i principali fruitori della nuova tecnologia erano stati i maschi, e la loro decisione era da attribuire a ragioni sessuali, e che spesso il cambiamento di sesso era stato permanente. Al giorno d’oggi c’era qualche probabilità in più che il changer fosse nato femmina e che venisse indotto al cambiamento da motivi sociali, il più comune dei quali era l’onere della gravidanza. Ma l’attuale changer non si attribuiva alcun ruolo. In un individuo, l’intervallo medio tra un cambiamento e l’altro era di due anni, e diminuiva rapidamente.

Cleo lesse l’articolo per intero, poi pensò di utilizzare i riferimenti bibliografici che recava alla fine. Non c’era nulla di veramente nuovo. Lei si era accorta di quel fenomeno, senza rifletterci molto. L’idea non l’aveva mai interessata e Jules era contrario. Ma per qualche ragione, quella mattina, l’aveva pungolata.

Feather si era addormentata. Cleo, con cautela, rimboccò la coperta attorno al viso della bambina, asciugandosi le tracce di latte dal seno. Ripiegò il notiziario e lo ritirò in borsa, quindi appoggiò il mento nel palmo della mano e guardò fuori dal finestrino per il resto del viaggio.


Cleo era capo architetto nel cantiere della società Sistemi Alimentari, una piantagione che sorgeva sul declivio di Hartman. In quanto tale, lei aveva alle sue dipendenze tre giovani architetti, cinque capi-costruzione e una schiera di disegnatori e operai. Si trattava di un grande progetto, il più grande che avesse mai guidato.

Amava la sua professione, ma preferiva esercitarla rimanendo in cantiere, dove erano in corso i lavori, controllando le cose di persona, anziché restare dietro ad una scrivania. L’ultimo mese della gravidanza di Feather non era stato facile, ma almeno per quello c’erano le tute a pressione premaman. Adesso, invece, era anche più problematico.

Aveva già fatto quell’esperienza con Lilli e Paul. Tutti lavoravano. Questa era stata la regola per oltre un secolo, dai tempi dell’Invasione. Non si potevano sprecare energie per allevare i figli, perciò averne uno significava che la madre o il padre dovevano sì continuare a lavorare, ma prendendosi anche cura del bambino. In pratica, però, era sempre la madre ad occuparsene, visto che era lei ad allattarlo.

Cleo aveva provato a lasciare Feather ad una delle donne in ufficio, ma tutte avevano il loro lavoro da sbrigare e ritenevano, non senza ragione, che Cleo avrebbe dovuto occuparsi da sola dei figli. E Feather non sembrava a suo agio con altre persone. Ogni volta che tornava in ufficio, Cleo veniva regolarmente informata che Feather aveva pianto per tutto il tempo, interrompendo il lavoro di ciascuno. Alcune volte aveva messo Feather in una carrozzina ma non era la stessa cosa.

Quella mattina c’era in programma una riunione. Per tre ore Cleo e i capi dell’altra sezione rimasero seduti attorno al grande tavolo, discutendo dei sistemi per contenere l’incremento dei costi, quindi fecero una pausa per il pranzo e tornarono ad occuparsi del problema nel pomeriggio. Cleo aveva la schiena a pezzi e un terribile mal di testa: perciò Feather scelse proprio quel giorno per fare i capricci. Dopo dieci minuti di occhiatacce sempre più frequenti, dovette ritirarsi nella toilette con Leah Farnham, la contabile, e con suo figlio Eddie, che aveva tre anni. Entrambe continuarono a seguire la discussione per mezzo degli auricolari, cercando al tempo stesso di badare ai bambini e fare le loro osservazioni attraverso il microfono. Quando parlava, metà delle persone che erano al tavolo doveva girarsi oppure ignorarla, e Cleo esitava a costringerli a quella scelta. Come risultato decise di intervenire con molta prudenza. Per lo più restò zitta.

Cleo considerò, e non per la prima volta, che all’interno del mondo degli affari vi era un atteggiamento di rifiuto ad adattarsi alla presenza dei bambini in una sala di consiglio, mentre sembrava si facesse ogni sforzo per favorire le madri lavoratrici.

Ma lei che cosa voleva? Onestamente, non sapeva cos’altro si potesse fare. Di certo non era giusto mandare a monte la riunione a causa di un bambino che piangeva. Avrebbe voluto conoscere la risposta. Quelli là fuori erano suoi amici, eppure, guardando attraverso la parete di cristallo che Eddie stava insudiciando con la punta delle dita, provava un’intensa sensazione di estraneità.


Per fortuna Feather al ritorno fu un vero e proprio angioletto. Borbottava e sorrideva senza denti a una donna che si era fermata a guardarla e, per la prima volta quel giorno, Cleo provò simpatia per la piccola. Passò il viaggio giocherellando con le sue mani, circondata dai sorrisi di approvazione degli altri passeggeri.


— Jules, questa mattina ho letto un articolo interessantissimo nel notiziario. — Ecco, in qualche modo l’aveva detto. Aveva deciso che l’approccio diretto sarebbe stato il migliore.

— Hmm?

— Riguardava il cambiare sesso. Sta diventando sempre più comune.

— Davvero? — Lui non alzò gli occhi dal libro.

Jules e Cleo avevano l’abitudine di passare qualche ora seduti sul letto, dopo che i bambini si erano addormentati. Lasciavano perdere i programmi video, fatti per distrarre i lavoratori dopo una dura giornata, e preferivano impiegare il loro tempo per aggiornarsi nella lettura oppure per fare conversazione, se uno dei due suggeriva un argomento interessante. Negli ultimi due anni avevano passato sempre più tempo a leggere e sempre meno a parlare.

Cleo si sporse sopra il lettino di Feather e prese un pacchetto di spinelli. Ne accese uno sfregando il fiammifero sull’unghia del pollice, aspirò ed esalò una nuvoletta di fumo che sapeva di lavanda. Incrociò le gambe ed appoggiò la schiena alla parete.

— Pensavo solo che avremmo potuto discuterne. Ecco tutto.

Jules posò il libro. — D’accordo. Ma per dire cosa? Non ci riguarda.

Lei scrollò le spalle e si mordicchiò la base delle unghie. — Lo so. Ma una volta ne parlavamo. Mi chiedevo se sei ancora della stessa opinione. — Gli porse lo spinello e lui ne aspirò una boccata.

— Che io sappia, è ancora la stessa — disse semplicemente. — Non è un argomento al quale dedico molta attenzione. Perché me lo chiedi? — La guardò con sospetto. — Non avrai qualche intenzione in proposito, vero?

— No, non esattamente. No. Ma devi proprio leggere quell’articolo. È sempre più diffuso. Pensavo soltanto che dovremmo saperne di più.

— Sì, ne ho sentito parlare — ammise Jules. Incrociò le mani dietro la nuca. — Ma non se ne può discutere, a meno che tu non abbia lavorato con queste persone che, da un giorno all’altro, si ritrovano con un nuovo equipaggiamento. — Rise. — Dapprima mi era difficile abituarmi, adesso invece non vi faccio quasi più caso.

— Anch’io.

— Non costituiscono un problema — disse Jules, in tono definitivo. — Vivi e lascia vivere.

— Già. — Cleo fumò in silenzio per qualche istante, lasciando che Jules riprendesse a leggere, ma si sentiva ancora a disagio. — Jules?

— Che c’è ora?

— Hai mai pensato a come dev’essere?

Lui sospirò e chiuse il libro, poi si girò a guardarla.

— Questa sera non riesco proprio a capirti — disse.

— Be’, forse neanch’io, ma potremmo parlarne…

— Ascolta. Hai pensato alle conseguenze che avrebbe sui bambini? Voglio dire: supponiamo di prendere seriamente in considerazione quest’ipotesi, anche se non è il nostro caso.

— Ne ho parlato con Lilli. Solo in astratto, capisci. Mi ha detto di avere due insegnanti che hanno cambiato sesso, e una delle sue migliori amiche prima era un maschio. A scuola sono piuttosto pochi i ragazzi che hanno cambiato sesso. Lei non ha problemi.

— Sì, ma lei è la più grande. E Paul? Che ne sarebbe del suo sentirsi maschio? Ti dirò, Cleo, c’è qualcosa che continua a farmi ritenere questa faccenda francamente disgustosa. Sento che avrebbe un effetto negativo sui bambini.

— Ma non secondo…

— Cleo, Cleo. Non entriamo in argomento. Primo, non ho alcuna intenzione di cambiare sesso, né ora né in futuro. Secondo, se solo uno di noi due l’avesse cambiato, sicuramente la nostra vita sessuale sarebbe un inferno, vero? E terzo, mi piaci troppo così come sei. — Si chinò su di lei e la baciò.

Cleo era piuttosto seccata, ma non disse nulla quando i baci si fecero più intensi. Era un modo dannatamente efficace per troncare una conversazione. E non poteva neppure mostrarsi arrabbiata: rispondeva alle effusioni contro la sua volontà, facilmente e con naturalezza.

Era piacevole come sempre, con Jules. Il soffitto così familiare divenne ancora una volta un rilassante spazio vuoto che assorbiva i suoi pensieri.

No, non si lamentava di essere femmina, non aveva alcuna insoddisfazione sessuale. Non c’era niente di più semplice.


Poco dopo era distesa su un fianco, le gambe piegate e le ginocchia unite. Si mise di fronte a Jules, il quale le accarezzava distrattamente le gambe. Teneva gli occhi chiusi, ma non dormiva. Si stava godendo quella sensazione di calore che conservava così a lungo dopo il sesso; l’umore viscoso tra le gambe, il piacere dello sperma dentro di sé.

Percepì il movimento del letto quando lui si scostò.

— Ti è piaciuto, vero?

Socchiuse un occhio, quanto bastava per un’occhiata furtiva.

— Certo. Come sempre. Lo sai che non ho mai avuto problemi in quel senso.

Si lasciò cadere sul cuscino, rilassato. — Mi spiace di… Be’, di esserti saltato addosso a quel modo.

— Niente di grave. È stato bello.

— Avevo solo la sensazione che tu avessi potuto… fingere. Non so perché mi è venuto in mente.

Lei aprì anche l’altro occhio e gli diede dei gentili buffetti sulla guancia.

— Jules, non prenderei mai le difese del tuo fragile ego. Se non mi soddisferai, sarai il secondo a saperlo.

Lui borbottò qualcosa, poi si girò sul fianco per baciarla.

— Buonanotte, piccola.

— ’Notte.

Lei lo amava. Lui la amava. La loro vita sessuale era serena — con la tenue riserva mentale che lui sembrava sempre farlo per la prima volta — ed era soddisfatta del suo corpo.

Allora, perché era ancora sveglia tre ore dopo?


Quel sabato mattina passò alcune ore al videofono per fare la spesa. Comprò il necessario per la famiglia, che sarebbe stato consegnato nei pomeriggio, poi uscì per il genere di acquisti che sognava: cioè andare di negozio in negozio alla ricerca di ciò di cui non aveva realmente bisogno.

Al sabato Feather era affidata a Jules. Da sola e in tutta tranquillità si gustò il pranzo su un tavolino nella piazza del parco, e successivamente si trovò a passeggiare lungo la Brazil Avenue, nel cuore del distretto medico. D’istinto entrò nel Salone del Nuovo Corpo Ereditario.

Solo dopo essere entrata ammise a se stessa di aver trascorso la maggior parte della mattinata a coltivare quell’impulso.

Era tesissima quando attraversò il vestibolo, verso una sala di consultazione, e dovette sforzarsi di sorridere al giovane di bell’aspetto che stava dietro la scrivania. Si mise a sedere, posò i pacchi della spesa sul pavimento e unì le mani in grembo. Il giovane le chiese in che cosa poteva esserle utile.

— Non sono venuta per un intervento — disse. — Desideravo informarmi sui prezzi, e forse conoscere qualcosa di più sui processi che il cambiamento implica.

L’uomo annuì comprensivamente e si alzò.

— La prima consultazione è gratis — disse lui. — Noi siamo felici di rispondere alle sue domande. Comunque, il mio nome è Marion, e questo mese va pronunciato con la «O». — Sorrise e la invitò a seguirlo. La fece sostare di fronte ad uno specchio che rifletteva per intero la sua immagine.

— So che non è facile fare il primo passo. Non lo è stato neppure per me, e ora è il mio lavoro. Perciò abbiamo ideato questa dimostrazione che non le costerà nulla, né in denaro né in preoccupazioni. È una maniera innocua per saperne di più, ma potrebbe rimanerne sorpresa, così si prepari. — Toccò un pulsante sul muro, a lato dello specchio, e Cleo vide scomparire i suoi vestiti. Si accorse che non si trattava di uno specchio, ma di uno schermo olografico collegato ad un computer.

Il computer apportò alcune modifiche all’immagine. In trenta secondi si trovò di fronte un maschio sconosciuto. Non c’erano dubbi che quella faccia fosse la sua, ma era più spigolosa, forse un po’ più ampia nella sua struttura ossea. La pelle sotto la mascella dello sconosciuto era ispida, come se avesse bisogno di una rasatura.

Il resto del corpo era come poteva aspettarsi, anche se forse un po’ troppo muscoloso per i suoi gusti. Al pene diede poco più di un’occhiata; in fondo non sembrava attribuirgli grande importanza. Studiò con maggiore attenzione la peluria sul petto, i piccoli capezzoli e le rughe che erano apparse sulle mani e sui piedi. L’immagine mimava ogni suo movimento.

— Perché tutti quei muscoli? — chiese a Marion. — Se è questo che cercate di vendermi, avete sbagliato tattica.

Marion schiacciò altri pulsanti. — Non sono stato io a scegliere questa immagine — spiegò. — Il computer rappresenta ciò che vede e lo estrapola. Lei è più muscolosa di quanto lo sia in media una donna. Probabilmente si tiene in esercizio. Questo è ciò che un allenamento analogo avrebbe prodotto se gli ormoni maschili avessero fissato l’azoto nei muscoli. Ma non è vincolante.

L’immagine perse una massa di circa otto chili, soprattutto nelle spalle e nelle cosce. Cleo si sentì un po’ più a suo agio, ma non provava ancora la stessa tranquillità con cui era solita guardarsi nello specchio.

Si allontanò dallo schermo e tornò alla sedia. Marion prese posto sull’altro lato e incrociò le mani sulla scrivania.

— In sostanza, ciò che facciamo è clonare un corpo da una delle sue cellule. Attraverso un processo chiamato Sostituzione Virale del Ricombinantey, rimuoviamo uno dei cromosomi X e lo sostituiamo con un Y.

Il clone è portato a maturazione col solito procedimento, il quale richiede sei mesi. Dopodiché, si tratta solo di un semplice trapianto di cervello, senza rischio di rigetto. Si entra donna, e un’ora dopo si esce uomo. Semplicissimo.

Cleo non disse nulla, domandandosi ancora una volta perché mai si trovasse lì.

— Su questa base noi possiamo modificare il corpo. Possiamo renderla di statura più alta o più bassa, cambiarle i lineamenti del viso; in teoria, qualunque cosa desideri. — Inarcò le sopracciglia, quindi sorrise con discrezione e allargò le mani.

— Bene, signora King. Non cerco di forzarla. Ha bisogno di riflettere. Ma nel frattempo, c’è un procedimento che le costerà molto poco e che può aiutarla a farsene un’idea. Ho ragione a credere che suo marito è contrario?

Lei annuì, e il giovane si mostrò comprensivo.

— Non è raro, non è raro affatto — l’assicurò. — Sprigiona le paure di castrazione in uomini che mai avevano sospettato di avere. Ovviamente, noi non facciamo niente del genere. Il suo corpo maschile verrebbe tenuto in un contenitore, pronto per essere usato ogni volta che vorrà.

Cleo si lasciò scivolare nella sedia. — Di che procedimento si tratta?

— Solo un piccolo intervento chirurgico. Richiede una decina di minuti, lo stesso tempo che le occorre per decidere di lasciare l’ufficio, se constaterà che non le interessa. È un ottimo espediente per indurre i mariti a riflettere sul cambiamento di sesso. Avrà sentito parlare del «look» androgino. È su tutti i programmi di moda. Molte donne, soprattutto quelle che hanno un seno prosperoso come il suo, lo trovano un cambiamento interessante.

— Ha detto che è economico? E reversibile?

— Tutti i nostri procedimenti lo sono. Cambiare la dimensione o la forma del seno è una delle nostre operazioni più comuni.

Cleo si sedette sul lettino mentre l’assistente le fece un rapido esame.

— Non so se Marion si è accorto che lei sta allattando — disse la donna. È sicura di quello che fa?

Come diavolo poteva saperlo? Pensò Cleo. Sperò che quello stato di confusione e di incertezza le passasse.

— Lo faccia e basta.


A Jules non piacque affatto.

Non si mise a urlare, a sbattere le porte o a precipitarsi fuori di casa; non era mai stato il suo stile. Espresse la sua opinione durante la cena, in modo freddo e pacato, dopo che non aveva praticamente aperto bocca da quando lei aveva varcato la porta.

— Vorrei soltanto sapere perché hai voluto far questo senza prima discuterne con me. Non dico che tu debba chiedermi il permesso, ma solo discuterne.

Cleo si sentì avvilita, ma era decisa a non mostrarlo. Teneva in braccio Feather, il biberon in mano, e non si curava del cibo che si stava raffreddando nel piatto. Era affamata, ma almeno non stava mangiando il doppio.

— Jules, ti ho chiesto un parere quando ho rinnovato l’arredamento. L’abitazione appartiene ad entrambi. E ti ho chiesto un parere prima di mandare Lilli o Paul in un’altra scuola. Noi ci dividiamo la responsabilità della loro educazione. Ma non te lo chiedo quando devo mettermi il rossetto o tagliarmi i capelli. Si tratta del mio corpo.

— Mi piace, mamma — disse Lilli. — Assomigli a me.

Cleo le sorrise, allungò il braccio e le scompigliò i capelli.

— A chi assomigli? — chiese Paul, con la bocca piena.

— Vedi? — fece Cleo. — Non è così importante.

— Non capisco come puoi affermarlo. Ti ho detto che non dovevi chiedermi il permesso. Io volevo solo… tu avresti dovuto… io avrei dovuto saperlo.

— È stato un impulso, Jules.

— Un impulso. Un impulso. — Lui alzò la voce per la prima volta, e Cleo comprese quanto fosse veramente fuori di sé. Lilli e Paul rimasero in silenzio e persino Feather sembrò a disagio.

Ma Cleo era contenta. Oh, non una cosa definitiva: solo un piacevole cambiamento. Essere pienamente padrona del proprio corpo, essere in grado di decidere le dimensioni del proprio corpo, essere in grado di decidere le dimensioni del proprio seno, le dava una sensazione di libertà. Questo aveva qualcosa a che fare col cambiamento di sesso? Onestamente non lo credeva. Non si sentiva nemmeno un po’ maschio.

E comunque, che cos’era un seno? Nient’altro che un roseo capezzolo all’altezza della cassa toracica su di un grosso pezzo di grasso e con una ghiandola di secrezione del latte. Cleo capì che Jules stava soffrendo della sindrome dell’abbondante-è-meglio, considerando il gesto di Cleo come una rimozione totale del seno, come se questo, per esistere, dovesse essere per forza abbondante. Ma lei in realtà ne aveva solamente ridotto le dimensioni.

A tavola non vi furono altri commenti, ma Cleo sapeva che era solo per la presenza dei bambini. Non appena andarono a letto, poté nuovamente percepire la tensione.

— Non riesco a capire perché l’hai fatto ora. E Feather?

— E allora?

— Be’, ti aspetti che sia io ad allattarla?

Finalmente Cleo si arrabbiò. — Maledizione, è esattamente ciò che mi aspetto che tu faccia. Non dirmi che non sai di che cosa sto parlando. Tu credi che sia un divertimento portarsi in giro una bambina per tutto il giorno solo perché ha bisogno del latte del tuo seno?

— Non ti sei mai lamentata, prima.

— Io… — si bloccò. Aveva ragione, ovviamente. Anche Cleo era sorpresa di come tutto fosse accaduto così all’improvviso, ma adesso era in ballo e doveva darsi da fare. Dovevano darsi da fare.

— Perché non è poi così terribile. È bello allattare al tuo seno un altro essere umano. Ho apprezzato ognuno di questi momenti con Lilli. A volte avevo mal di testa, dovendola reggere per tutto il tempo, ma ne valeva la pena. E lo stesso è stato per Paul. — Sospirò. — E lo stesso è anche per Feather, per la maggior parte del tempo. Tu non ci pensi mai.

— E allora perché questa rivolta, adesso? Perché nessun avvertimento?

— Non è una rivolta, tesoro. È così che la consideri? È solamente… Vorrei che tu lo provassi. Bada a Feather per qualche mese. Portala sul lavoro come faccio io. Allora… allora proveresti una piccola parte di ciò che io devo affrontare. — Si girò su un fianco e lo colpì affettuosamente sul braccio, cercando in qualche modo di addolcirlo. — Potrebbe anche piacerti. Ci si sente veramente bene.

Lui grugnì. — Mi sentirei stupido.

Cleo balzò fuori dal letto e fece qualche passo verso il salotto. Poi si voltò, più arrabbiata che mai. — Stupido? Allattare è stupido? Il seno è qualcosa di stupido? E allora perché diavolo ti domandi perché ho fatto ciò che ho fatto?

— Ciò che lo rende stupido è che io sono un uomo — ribatté lui. — Non sembra normale. Mi metto quasi a ridere tutte le volte che vedo un uomo col seno. Ho saputo che gli ormoni sconvolgono l’organismo e…

— Non è vero! Non più. Tu puoi allattare…

— … e d’altra parte si tratta del mio corpo, come tu stessa hai affermato.

Si sedette sul bordo del letto, voltandogli la schiena. Lui si avvicinò e la accarezzò, ma lei si sottrasse.

— D’accordo — fece Cleo. — Era solo un suggerimento. Credevo che avresti desiderato provarlo. Io non la allatto più. D’ora in avanti prenderà il biberon.

— Se deve essere così.

— Già. Voglio che tu cominci a portare Feather con te, sul lavoro. Dal momento che prende il biberon, non ha più alcuna importanza chi di noi due ne avrà cura. Penso che me lo concederai, visto che me la sono sempre cavata da sola con Lilli e Paul.

— Va bene.

Tornò a letto e si avvolse nelle coperte, voltandogli la schiena. Non voleva che si accorgesse di quanto fosse vicina alle lacrime.

Ma quella sensazione passò. La tensione svanì, e lei si sentì meglio. Pensò di avere vinto una battaglia, e ne era valsa la pena. Jules non le avrebbe tenuto il broncio.

Si addormentò facilmente, ma durante la notte si alzò parecchie volte quando Jules si rivoltava nel letto.


Jules dovette adattarsi. Gli fu impossibile ammetterlo subito, ma dopo una settimana senza fare l’amore riconobbe con riluttanza che lei aveva un bell’aspetto. Ricominciò a toccarla la mattina e quando si baciavano al ritorno dal lavoro. Jules aveva sempre ammirato il suo corpo longilineo, le braccia e le gambe da atleta. Il torace snello le stava così bene, era talmente in armonia col resto del suo corpo che lui cominciò a chiedersi perché avesse fatto tante storie.

Una sera, mentre lavavano i piatti della cena, per la prima volta dopo una settimana Jules le sfiorò i capezzoli. Le chiese se avvertiva qualche differenza.

— Nessuna sensazione particolare, tranne che ai capezzoli — fece notare, — non importa quanto una donna sia grassa. Lo sai.

— Sì, credo di sì.

Sapeva che quella notte avrebbe fatto l’amore, ed era decisa a farlo alle sue condizioni.

Rimase in bagno a lungo, lasciando che Jules terminasse di leggere, poi uscì e mise il libro da una parte. In un attimo fu sopra di lui, premendo delicatamente con il suo corpo, baciandolo e solleticandogli i capezzoli con le dita.

Era aggressiva ed insistente. Sulle prime lui parve riluttante, ma ben presto cominciò a rispondere alle effusioni, quando lei premette le labbra sulle sue, facendogli affondare la testa nel cuscino.

— Ti amo — disse Jules, sollevando la testa per baciarle il naso. — Sei pronta?

— Sì. — La abbracciò e la tenne stretta, poi si girò passando sopra di lei.

— Jules. Jules. Fermati. — Si divincolò verso il suo lato del letto, le gambe serrate.

— Che c’è che non va?

— Questa notte voglio stare io sopra.

— Oh. D’accordo. — Si girò di nuovo e si distese passivamente mentre lei si rimise in posizione. Il cuore le batteva forte. Non c’era stato alcun motivo di credere che lui si sarebbe rifiutato… Avevano fatto l’amore in tutte le posizioni ma, in sostanza, le più esotiche costituivano una variazione di quella «naturale», cioè con lei distesa sulla schiena. Quella sera lei voleva assumere il controllo.

— Apri le gambe, tesoro — disse con un sorriso. Lui obbedì, ma non le restituì il sorriso. Si sollevò sulle mani e sulle ginocchia e si preparò per l’elaborata penetrazione.

— Cleo.

— Che c’è? Sarà un po’ più impegnativo, ma credo che non ti darò motivo di pentirtene, perciò se tu soltanto…

— Cleo, vuoi spiegarmene la ragione? — Lei si fermò improvvisamente, abbassando la testa con un sospiro.

— Quale è il problema? Ti senti stupido con le gambe in aria?

— Può darsi. È questo che vuoi?

— Jules, l’ultima cosa che desidero è proprio quella di umiliarti.

— Che cosa avevi in mente allora? Le altre volte non l’abbiamo mai fatto in questo modo. È…

— Solo quando tu decidi di farlo così. Dipende sempre da te.

— Non è umiliante stare sotto.

— E allora perché ti senti stupido?

Lui non rispose. Cleo si sollevò da lui e si inginocchiò ai suoi piedi. Rimase in attesa, ma non sembrava che lui volesse parlarne.

— Non mi sono mai lamentata di quella posizione — azzardò. — Non ho nessuna critica. Funziona piuttosto bene. — Jules rimase in silenzio. — E va bene. Volevo vedere come si sta di sopra. Ero stufa di guardare il soffitto. Ero curiosa.

— Ecco perché mi sono sentito stupido. Non mi è mai importato che tu stessi sopra, no? Ma prima… non sussistevano le circostanze di queste ultime due settimane. Io so cosa ti passa per la testa.

— E tu ne sei spaventato. Perché il cambiamento mi incuriosisce, perché voglio sapere che cosa significa prendere l’iniziativa. Sai che non posso costringerti a cambiare, e non lo farei neppure se potessi.

— Ma la tua curiosità sta mettendo in pericolo il nostro matrimonio.

Fu di nuovo sul punto di piangere, ma non lo diede a vedere, se non attraverso il tremolio del labbro inferiore. Non voleva che lui ci provasse e la tranquillizzasse; sarebbe stato fin troppo facile, e avrebbe finito per trovarsi distesa sulla schiena e con le gambe in aria. Guardò il letto e annuì lentamente, quindi si alzò. Andò davanti allo specchio, e cominciò a passare la spazzola tra i capelli.

— Che stai facendo ora? Non possiamo discuterne?

— Adesso non me la sento proprio di parlarne. — Continuando a pettinarsi, si chinò in avanti e si osservò il viso, quindi si passò un fazzolettino agli angoli degli occhi. — Io esco. Sono ancora curiosa.

Jules non disse nulla mentre lei si diresse verso la porta.

— Potrei fare un po’ tardi.


Il posto si chiamava Oophyte. Sotto la «O» maiuscola era tracciato un più, mentre in alto sul lato destro, c’era una freccia. L’insegna era disposta in modo che i simboli ruotassero su se stessi; il più e la freccia si alternavano all’interno della «O».

Cleo attraversò l’affollata sala da ballo immersa in una piacevole nebbiolina, fermandosi ogni tanto ad aspirare una boccata di fumo dal suo spinello. L’aria della sala era appesantita dal fumo di lavanda, illuminata da lampeggianti luci blu. Quando si sentì dell’umore adatto, cominciò a ballare. La musica era così assordante che non le costò alcuna fatica. Il rumore le penetrò nelle ossa e animò spontaneamente le gambe e le braccia. Scivolò attraverso una foresta di pelle nuda, avvertendo ogni tanto la ruvidità di un abito di carta e, più raramente, di costosi indumenti di cotone. Era come muoversi sott’acqua, come avanzare nella melassa.

Lo vide dall’altra parte della pedana di ballo e cominciò a muoversi nella sua direzione. Per un po’ lui fece finta di niente, anche se lei gli ballava proprio di fronte. Pochi di quelli che ballavano avevano un partner che non fosse occasionale. Alcuni esprimevano gioia di vivere, altri si mettevano in mostra, ma tutti erano in cerca di un partner: così alla fine lui si accorse che quella donna gli stava vicino da troppo tempo. Lui rimase colpito quanto lei.

Lei gli disse ciò che desiderava.

— Certo. Dove vuoi andare? Da te?

Passando per la sala da ballo lo condusse sul retro e col suo braccialetto di credito sfiorò la serratura di una delle porte. La stanza era modesta, ma pulita.

Una parte della sua mente pensò che l’uomo sembrava il suo fantasmatico gemello riflesso nello specchio. Forse era quello il motivo per cui l’aveva scelto. Lo abbracciò e lo spinse gentilmente sul letto.

— Vuoi che ci presentiamo? — chiese lui. Il largo sorriso sul suo volto si fece più sciocco mentre lei cominciò a prendere l’iniziativa.

— Non m’importa. Voglio soprattutto servirmi di te.

— Fai pure, allora. Mi chiamo Zafferano.

— Io sono Cleopatra. Ti vuoi sdraiare, per favore?

Si sdraiò. E anche lei. Faceva caldo in quella stanzetta, ma non importava a nessuno dei due. Era uno sforzo salutare, le sensazioni fisiche erano intense, e quando Cleo ebbe finito, capì di non avere imparato nulla. Crollò su di lui. Non sembrò sorpreso quando le lacrime scivolarono sulla sua spalla.

— Mi spiace — disse lei, mettendosi a sedere e preparandosi per uscire.

— Non andartene — fece lui, posandole la mano sulla spalla. — Forse possiamo fare l’amore, adesso che ti sei sfogata.

Cleo non voleva sorridere ma non poté farne a meno; e poi ricominciò a piangere più intensamente e affondò il viso nel suo petto, sentendo il calore delle braccia che la cingevano, e i peli che le solleticavano il naso. Si rese conto di ciò che stava facendo e cercò di sottrarsi.

— Per l’amor di Dio, non devi vergognarti di aver bisogno di qualcuno con cui sfogarti.

— È un segno di debolezza. Io… io non voglio essere debole.

— Lo siamo tutti quanti.

Si alzò con difficoltà e rimase rannicchiata fino a quando le lacrime non cessarono. Tirò su col naso, lo soffiò, poi tornò davanti all’uomo.

— Che cosa si prova? Te la senti di parlarmene? — Stava per spiegarsi meglio, ma lui sembrava aver capito.

— È… niente di speciale.

— Sei nata femmina, vero? Voglio dire, tu… Io credo di riuscire a parlarne.

— Non ha alcuna importanza come sono nato. Sono stato sia maschio che femmina. Ma dentro di me, sono ancora me stesso. Capisci?

— Non ne sono sicura.

Per molto tempo rimasero in silenzio. Cleo pensò a migliaia di cose da dire, domande da fare, ma non riusciva ad aprire bocca.

— Hai preso una decisione, vero? — chiese lui, alla fine. — Ti senti più risoluta, dopo questa sera?

— Non so.

— Non ti risolverà alcun problema, lo sai. Anzi, te ne procurerà degli altri.

Si staccò da lui e si alzò. Si diede una scrollata ai capelli, desiderando un pettine.

— Grazie, Cleopatra — disse lui.

— Oh. Uh, grazie a te… — Aveva dimenticato il suo nome. Sorrise di nuovo per nascondere l’imbarazzo e si chiuse la porta alle spalle.


— Sì?

— Sono Cleopatra King. Ho avuto una consultazione con uno del vostro staff. Una decina di giorni fa, credo.

— Sì, signora King. Abbiamo la sua scheda. Cosa posso fare per lei?

Trasse un respiro profondo. — Voglio che cominciate il mio clone. Avevo lasciato un campione di tessuto.

— Benissimo, signora King. Ha qualche istruzione per quanto riguarda il donatore del cromosoma?

— È necessario il suo assenso?

— No, se il campione si trova nella banca.

— Usate mio marito, Jules La Rhin. Numero di previdenza 4454390.

— Molto bene. Ci metteremo in contatto con lei.

Cleo sollevò il ricevitore e tenne la fronte appoggiata contro il freddo metallo. Non avrebbe mai dovuto mettersi in questa storia, rifletté. Che cosa aveva fatto?

Ma non era una cosa definitiva. Sarebbero passati sei mesi, prima di decidere se usare o meno il clone. Dannazione a Jules. Perché ne aveva fatto un dramma?


Jules non ne fece un dramma quando gli disse che cosa aveva fatto. La prese con calma e pacatamente, come se se lo fosse aspettato.

— Sai che non ti seguirò?

— Capisco cosa provi. Mi interessa sapere se cambierai opinione.

— Non ci contare. Voglio vedere se cambierai la tua.

— Non ho ancora deciso. Ma mi sto garantendo una possibilità.

— Ciò che ti chiedo è che tu rifletta bene su che cosa ne sarà del nostro rapporto. Io ti amo, Cleo. Non penso che potrà essere diverso, in futuro. Ma se entrerai in questa casa come uomo, non credo che riuscirò a vedere in te la persona che ho sempre amato.

— Eppure potresti, se tu fossi una donna.

— Questo no.

— E io sarò la stessa di sempre. — Ma lo sarebbe stata davvero? Cosa diavolo c’era di sbagliato? Che cosa aveva fatto Jules per meritarsi questo? Decise di non approfondire la cosa, e quella notte fecero l’amore, e fu molto, molto piacevole.

Ma per una ragione o per l’altra non chiamò l’istituto perché facessero abortire il clone. Fu sul punto di rinunciare all’idea almeno una dozzina di volte nei sei mesi successivi, ma il clone non fu mai distrutto.

A letto, il loro rapporto si faceva sempre più tormentato a mano a mano che il tempo passava. Jules non si opponeva al fatto che fosse lei a prendere l’iniziativa e a scegliere la posizione che preferiva. Una volta fatto, per lei non aveva più importanza l’essere stata sopra o sotto. Ciò che importava era stata la possibilità di decidere quando e come fare l’amore.

— Ecco cosa vuol dire — gli disse una sera in un momento di lucidità, quando ogni cosa le sembrò acquistare un senso, tranne che per il rifiuto di Jules di considerare la situazione dal suo punto di vista. — È questa opzione che voglio. Non sono infelice di essere femmina. Non mi va l’idea che esista qualcosa che io non possa diventare. Voglio sapere se potrò sentirmi più sicura nel ruolo aggressivo del maschio perché certamente, per la maggior parte del tempo, non lo sono come donna. O anche gli uomini hanno le mie stesse incertezze? Il maschio Cleo si sentirebbe libero di piangere? Non so niente di tutto questo.

— Ma l’hai detto tu stessa. Saresti la stessa persona.

Cominciarono a non andare più d’accordo su molte cose. Una domenica pomeriggio, poche settimane dopo essere stata all’Oophyte, rientrando a casa, Cleo lo trovò a letto con una donna. Non era da lui una cosa del genere; la loro regola era stata quella di invitare a casa gli amanti e fare le presentazioni, al fine di creare un’atmosfera di amicizia e senza inibizioni. Era divertita, perché capì che quello era un modo per pareggiare la sua capatina in quel locale.

Perciò si comportò da perfetta padrona di casa e andò a letto con loro, cosa che sembrò sconcertare Jules. La donna si chiamava Harriet, e Cleo si accorse che le piaceva. Era una changer, un particolare che Jules ignorava, altrimenti non l’avrebbe certamente scelta per indispettire Cleo. Harriet si sentì a disagio quando capì perché lei si trovasse lì. Cleo cercò di aiutarla facendo l’amore con lei, cosa che la sorprese un po’, mentre sconcertò Jules, poiché era la prima volta che accadeva.

Cleo ne fu soddisfatta; scoprì che il corpo levigato di Harriet era un mondo completamente nuovo per lei. E sentì di aver rovesciato la situazione nettamente a proprio vantaggio, ponendo Jules ancora una volta di fronte ancora all’idea di sua moglie nel ruolo di maschio.


Le maggiori difficoltà erano date dai bambini. Parlarono a Lilli e a Paul del possibile imminente cambiamento.

Lilli non riusciva a capire dove stesse il problema; cambiare sesso faceva parte della sua vita, era qualcosa che stava attorno a lei e che dava per scontato, come se si trattasse di qualcosa che lei stessa avrebbe fatto quando sarebbe stata abbastanza grande. Ma quando cominciò a intuire l’atteggiamento di suo padre in proposito, si schierò dalla parte di sua madre. Cleo si sentì enormemente sollevata. Non avrebbe avuto il coraggio di tener duro se Lilli l’avesse disapprovata. Lilli era la primogenita e, benché odiasse ammetterlo e facesse del suo meglio per evitare favoritismi, era anche la sua prediletta. Era stata lontana dal lavoro per un anno, con pesanti conseguenze economiche per la famiglia, in modo da potersi totalmente dedicare alla neonata. Aveva desiderato spesso di poter tornare a quei giorni più tranquilli, quando la maternità era stata la sua unica occupazione.

Ovviamente Feather non venne consultata. Jules si era assunto senza fare storie la responsabilità di darle da mangiare, e la cosa sembrava divertirlo. Cleo ne fu lieta, benché la facesse impazzire il fatto che lui fosse così deciso a farle da madre senza neppure provare a sostenere quel ruolo come donna. Cleo voleva bene a Feather come agli altri due figli, ma a volte le era difficile ricordare i motivi per cui l’avevano voluta. Era convinta che il suo istinto di procreare si fosse esaurito con Paul, e invece era venuta Feather.

Il vero problema era Paul.

La situazione divenne tesa quando Paul espresse dei dubbi su come si sarebbe sentito se sua madre avesse deciso di diventare un uomo. Jules si rabbuiò e non le rivolse la parola per giorni interi. Quando riprese a parlare, cosa che spesso avveniva nel cuore della notte, quando nessuno dei due riusciva a dormire, lo fece aggredendola verbalmente, con un tono violento che non aveva mai usato prima d’ora.

Lei era spaventata, perché non era per niente sicura di come Paul avrebbe reagito. Lo avrebbe sconvolto? Jules parlava di crisi di identità a livello sessuale, della necessità di precisi modelli di ruolo e, in tutta sincerità, della paura che suo figlio potesse crescere in modo meno mascolino.

Cleo non lo sapeva, ma vi rifletté per parecchie notti, piangendo fino ad addormentarsi. Avevano letto degli articoli sull’argomento, e scoprirono che gli psicologi erano divisi. I tradizionalisti insistevano molto sull’importanza dei ruoli sessuali, mentre i changer ritenevano che tali ruoli fossero importanti solo per coloro che ne erano prigionieri; infrangendo la barriera del sesso, il concetto di ruolo era inutile.

E infine venne il giorno in cui il clone fu pronto. Cleo non sapeva ancora cos’avrebbe dovuto fare.


— Va meglio, ora? Faccia un cenno con la testa se non può parlare.

— Cos…

— Si rilassi. È tutto finito. Sarà in grado di camminare entro pochi minuti. La accompagneremo a casa. Si sentirà come ubriaca per qualche istante, ma nel suo organismo non ci sono droghe.

— Cos’è… successo?

— È tutto a posto. Si tranquillizzi.

Cleo obbedì, raggomitolandosi. Alla fine, cominciò a ridere.


Ubriaca non era la parola giusta. Si sdraiò sul letto e provò ad esercitarsi coi pronomi. Lui era disteso sulla schiena, lui teneva le mani in grembo. Ridacchiò e cominciò a rotolarsi sul letto, finché alla fine cadde sul pavimento in preda a una crisi isterica.

Sollevò la testa.

— Sei tu, Jules?

— Sì, sono io. — Aiutò Cleo a rimettersi sul letto, poi si sedette sul bordo, non troppo vicino ma neppure lontano dalla portata di Cleo. — Come ti senti?

Sbuffò. — Ubriaco fradicio. — Socchiuse gli occhi e si sforzò di mettere a fuoco Jules. — Ora mi dovrai chiamare Leo. Cleo è un nome da donna. Non avresti dovuto chiamarmi Cleo.

— D’accordo. Comunque non ti ho chiamato Cleo.

— No? Sei sicuro?

— Sicurissimo che non l’avrei mai detto.

— Oh. Va bene. — Sollevò la testa ed ebbe un istante di smarrimento. — Vuoi saperlo? Sto per vomitare.


Un’ora dopo Leo stava molto meglio. Sedeva con Jules in soggiorno, entrambi accomodati sui grandi cuscini che costituivano l’unico arredo.

Per un po’ conversarono del più e del meno, alternando lunghi silenzi. Leo non era ancora abituato al suono della sua nuova voce, più di quanto lo fosse Jules.

— Bene — fece infine Jules, battendo le mani sulle ginocchia e alzandosi in piedi. — A questo punto non riesco proprio a immaginare quali siano i tuoi progetti. Questa sera vuoi uscire? Sai cosa vuol dire trovarsi una donna?

Leo scosse il capo. — L’ho provato non appena sono tornato a casa — disse. — L’orgasmo maschile, intendo.

— Come ti è sembrato?

Rise. — Dovresti saperlo ormai.

— No, intendevo dire dopo essere stata donna.

— So che vuoi dire. — Scrollò le spalle. — L’erezione è interessante. Di dimensioni molto maggiori di quella a cui ero abituata. D’altra parte… — si accigliò per un attimo. — Parecchie somiglianze. Alcune differenze. È più localizzata. Più confusa.

— Um. — Jules distolse lo sguardo, studiando il caminetto elettrico come se lo vedesse per la prima volta. — Hai intenzione di cambiare camera? Sai che non è necessario. Potremmo fare qualche spostamento. Io posso mettermi con Paul, oppure possiamo sistemarlo nella mia… nella nostra vecchia camera. Tu potresti metterti nella sua. — Si allontanò da Leo e si coprì il volto con una mano.

Leo avrebbe voluto alzarsi per confortarlo, ma capì che sarebbe stato veramente uno sbaglio. Lasciò che Jules riprendesse da solo il controllo.

— Mi piacerebbe continuare a dormire con te, se me lo permetterai.

Jules non disse nulla e non si voltò.

— Jules, io sono assolutamente disposto a fare qualunque cosa possa metterti a tuo agio. Ma non deve trattarsi del sesso. Altrimenti sarò felice di fare come nell’ultimo periodo della gravidanza. Tu non dovresti fare assolutamente nulla.

— Niente sesso — disse.

— Benissimo. Jules, mi sento terribilmente stanco. Sei pronto per andare a letto?

Ci fu un lungo silenzio, poi Jules si voltò ed annuì.


Erano tranquillamente sdraiati fianco a fianco, senza toccarsi. Le luci erano spente; Leo poteva scorgere a stento la sagoma di Jules.

Parecchio tempo dopo Jules si girò dalla sua parte.

— Cleo, sei lì? Mi ami ancora?

— Sono qui — disse. — Ti amo. Ti amerò sempre.

Jules ebbe un sobbalzo quando Leo lo sfiorò, ma non si oppose. Cominciò a piangere, e Leo lo tenne stretto. Si addormentarono l’uno nelle braccia dell’altro.


L’Oophythe era affollato e rumoroso come sempre. A Leo fece venire il mal di testa.

Il posto non gli piaceva più di quanto fosse piaciuto a Cleo, ma era l’unico locale nel quale si potevano trovare subito e con facilità dei partner per fare l’amore, senza complicazioni sentimentali o lunghi processi di seduzione. Lì ognuno era disponibile; bastava solo chiedere. Si offrivano a vicenda per prestazioni sessuali che sfioravano la masturbazione, e ne erano consapevoli, ma l’atteggiamento era molto semplice, o lo accettavi o era perfettamente inutile venire qui. C’erano molti altri posti per le avventure sentimentali e le relazioni serie.

Di solito Leo non approvava tutto ciò, almeno per ciò che lo riguardava, perché non gli importava niente di come gli altri volessero divertirsi. Preferiva conoscere le persone che si portava a letto.

Ma quella sera era lì per imparare. Sentiva di aver bisogno di esperienza. Non si accontentava di sapere come avrebbe dovuto fare solo perché prima era stato una donna e quindi sapeva che cosa piaceva loro. Voleva sapere come la gente si comportava con lui, adesso che era un maschio.

Andò bene. Avvicinò tre donne, e per tre volte non fu respinto. Con la prima fu un disastro — ecco cosa significa «troppo presto!» — e lei si mostrò piuttosto indignata finché non gli spiegò la sua situazione. Dopodiché lei si dimostrò disponibile e comprensiva.

Era sul punto di andarsene quando venne abbordato da una donna che disse di chiamarsi Lynx. Era stanco, ma decise di andare con lei.

Dopo dieci, frustranti minuti lei si mise a sedere sul letto e si scostò da lui. — Che cosa sei venuto a fare qui, se questo è tutto l’interesse che riesci a dimostrare? E non dire che è colpa mia.

— Mi dispiace — disse. — Mi sono dimenticato. Credevo che… non mi rendevo conto di dover veramente provare un desiderio, prima della prestazione.

— Prestazione? È una definizione davvero originale.

— Mi dispiace. — Le parlò del suo problema, di quante volte avesse fatto l’amore nelle ultime due ore. Lei si sedette sull’orlo del letto e si passò le mani tra i capelli, frustrata e irritabile.

— Be’, non è la fine del mondo. Ce ne sono molte altre, là fuori. Però potevi dirlo prima. Non dovevi dire di sì.

— Lo so. È colpa mia. Credo che dovrò imparare a valutare le mie capacità. Il fatto è che ero abituata a non avere problemi in questo senso, per quanto non fossi una particolarmente…

Lynx rise. — Che cosa sto dicendo? Ascoltami. Tesoro, anch’io avevo questo problema. Passavano settimane prima che si alzasse. E so che non è piacevole.

— Anch’io so come ti senti — disse Leo. — Non è piacevole.

Lynx scrollò le spalle. — Già, in altre circostanze. Ma come dicevo, stasera ci sono parecchie difficoltà. E io non voglio averne. — Gli mise una mano sulla guancia e gli diede un buffetto. — Ehi, non avrò ferito il tuo ego maschile, vero?

Leo rifletté, cercando eventuali lividi, ma non ne trovò.

— No.

Lei rise. — Non credo. Perché non ne possiedi uno. Divertiti, Leo. Un ego maschile è qualcosa che deve svilupparsi con prudenza, quando sei giovane. Gli altri devono farti capire che cosa significa essere un uomo, in modo che tu possa sentire come un fallimento una mancata «prestazione». Perché l’hai definito in questo modo?

— Non so. Credo che in quel momento lo considerassi così.

— Perché sei ancora un uomo tra virgolette. Leo, tu non partecipi abbastanza a livello emotivo. E sei fortunato. Io ho impiegato un anno per riuscirci. Non essere un uomo. Cerca di essere un maschio, invece. Il cambiamento sarà molto più semplice così.

— Non credo di capire.

Lei gli diede una pacca sul ginocchio. — Fidati di me. Mi vedi forse sconvolta perché non ero abbastanza sexy per eccitarti o roba del genere? No. Non mi sono preoccupata di questo. Ma prova a rovesciare la situazione. Se ti avessi fatto ciò che tu hai appena fatto a me, avresti reagito allo stesso modo?

— Penso di sì. Comunque sono sempre stato piuttosto sicuro da quel punto di vista.

— I più sicuri tra di noi, sotto sotto, sono dei bambini piagnucolosi, almeno il più delle volte. Capisci che mi sono arrabbiata solo perché hai risposto di sì quando non eri pronto per farlo? E che quello è l’unico motivo? Non è stato onesto, Leo. Un maschio non dovrebbe far questo a una femmina. Tra uomo e donna è diverso. Sia lei che quel povero diavolo si mettono in testa un mucchio di stupidaggini, e non dovrebbero essere ritenuti responsabili degli scherzi che fanno i loro ego.

Leo rise. — Non so se la tua è una vera spiegazione. Ma mi suona bene. «Maschio». Forse un giorno capirò la differenza.


Molti dei problemi che si aspettava non sorsero mai.

Paul notò appena il cambiamento. Leo si era preparato a sostenere un impatto traumatico con suo figlio, impatto che non si verificò. Se qualcosa era cambiato nella vita di Paul, si trattava del fatto che ora poteva rivolgersi al suo genitore chiamandolo Leo anziché mamma.

Cosa piuttosto strana, fu Lilli in principio ad avere le maggiori difficoltà. Leo ne soffrì, cercando di non darlo a vedere, e fece tutto il possibile per abituarla gradualmente alla nuova situazione. Finché un giorno, una settimana dopo il cambiamento, andò da lui. Disse di essere stata una stupida, e voleva sapere se anche lei poteva cambiare sesso, dato che una delle sue migliori amiche era sul punto di farlo. Leo le rispose di restare femmina fino a quando non avesse superato la pubertà. Le disse che credeva le sarebbe piaciuto.

Leo e Jules si studiavano come due tigri in gabbia, incerti se attaccare, ma pronti a cavarsi gli occhi se fosse capitata l’occasione. A Leo non piaceva questo paragone; se ancora fosse stato una tigre femmina non avrebbe avuto dubbi sul risultato. Ma non aveva alcuna intenzione di scontrarsi con Jules in una lotta per la supremazia.

Dividevano un appartamento, una famiglia e un letto. Erano scrupolosamente gentili, ma si toccavano solo di rado, e Leo sentiva di doversi scusare quando capitava. Jules non voleva incontrare i suoi occhi; i loro sguardi si incrociavano e poi rimbalzavano via come due palle di sughero con la stessa carica statica.

Ma alla fine Jules accettò Leo. Jules pensava a lui come a «quel tizio che sta sempre fra i piedi». Leo non se ne preoccupò, perché lo considerava un progresso. Nel giro di pochi giorni Jules cominciò a scoprire che Leo gli piaceva. Iniziarono a dividersi le cose, a parlare di più. Per un certo tempo il loro precedente rapporto fu un argomento tabù. Era come se Jules volesse conoscere Leo partendo da zero, senza ammettere che era esistita una certa Cleo che una volta era stata sua moglie.

Non era così semplice. Leo non glielo avrebbe permesso. A volte Jules sembrava piangere per la morte di una persona amata quando cominciava a parlare con riluttanza del dolore che aveva dentro di sé. Riusciva a parlare liberamente con Leo, e lo faceva in un modo leggermente diverso da quello con cui era solito rivolgersi a Cleo. Lui mise a nudo la sua anima. Leo si stupì nel vederla così piena di lividi, di difese e di insicurezza. Vi era celata un’ostilità che Jules non si era mai sentito di confessare a una donna.

Leo lo lasciò continuare, ma quando Jules cominciava una frase con un «non potevo dirlo a Cleo» o «adesso che se n’è andata», Leo si metteva davanti a lui, gli afferrava la mano e lo costringeva a guardarlo.

— Io sono Cleo — gli diceva. — Sono qui davanti a te, e ti amo.

Cominciarono ad uscire insieme. Jules lo portò in locali dove Cleo non era mai stata. Uscivano insieme a bere qualcosa e poi si divertivano un sacco ad alzare il gomito. Prima, quando uscivano a cena, si concedevano qualche drink o uno spinello, a cui seguiva uno spettacolo oppure un concerto. Ora potevano rincasare alle due del mattino, cantando abbastanza forte per finire al fresco. Jules ammise che non si era divertito così tanto dai tempi del college.

Socializzare fu un problema. Solo pochi dei loro amici avevano cambiato sesso, e nessuno dei due voleva affrontare l’imbarazzante situazione di andare ai party come coppia. Difficilmente avrebbero potuto fare amicizia fra i changer perché Jules, a ragione, sapeva che l’avrebbero considerato un estraneo.

Così incontrarono molti uomini. Leo credeva di conoscere tutti gli amici intimi di Jules, ma si rese conto di essersi sbagliato. Scoprì un aspetto di Jules di cui non si era mai accorto in precedenza: era calmo nei suoi gesti, aveva abbandonato alcune precauzioni per innalzare nuove difese. A volte Leo si sentiva una spia, intenta a scrutare dall’interno uno strato sociale di cui aveva sempre conosciuto l’esistenza ma che non era mai riuscito a penetrare. Se Cleo fosse entrata nel gruppo la sua struttura si sarebbe sottilmente trasformata; con la sua presenza, lei avrebbe creato un nuovo ambiente, come la luce che distrugge l’atomo che si vorrebbe osservare.

Dopo quell’avventura all’Oophyte, Leo osservò il celibato per diverso tempo. Non voleva avere rapporti sessuali con chi capitava, voleva amare Jules. A quanto ne sapeva, anche Jules si asteneva dall’avere rapporti.

Però trovarono un’alternativa accettabile nel corteggiamento di coppia. Per qualche tempo se ne andarono in giro in compagnia di donne diverse con cui si divertirono parecchio, ma sempre escludendo il sesso, fino a quando ciascuno dei due non si scelse una donna con la quale poter avere una relazione. Jules stava con Diane, una che aveva conosciuto sul lavoro da parecchi anni. Leo usciva con Harriet.

Loro quattro insieme trascorsero momenti felici. A Leo piaceva che Jules lo considerasse un amico, ma avrebbe fatto in modo che non si limitasse semplicemente a questo. Cominciò a ricordare a Jules che questo poteva farlo anche con Cleo. Leo voleva mettere in evidenza il fatto che lui poteva essere un compagno, un amico intimo, un confidente, senza che il suo sesso avesse importanza. Voleva riunire le migliori qualità della donna e dell’uomo, essere per Jules entrambe le cose, soddisfare ogni sua esigenza. Ma il pensiero che per Jules non era lo stesso lo faceva soffrire.

— Ciao, Leo. Non mi aspettavo di vederti, oggi.

— Posso entrare, Harriet?

Lei gli tenne la porta aperta.

— Posso offrirti qualcosa? Ah già, prima che tu vada oltre, la storia di «Harriet» è finita. Oggi ho cambiato nome. D’ora in poi sarò Joule. J-o-u-l-e.

— D’accordo, Joule. Non prendo niente, grazie. — Si sedette sul divano.

Leo non si stupì del nuovo nome. I changer avevano la tendenza a non dare un significato ai nomi. Alcuni facevano come Cleo, scegliendo l’equivalente nome maschile o uno dal suono simile. Altri invece non badavano alla concordanza del genere e continuavano a usare il nome che avevano sempre portato. Ma altri, infine, si sceglievano un termine neutro, a seconda dei gusti personali.

— Jules, Julia — mormorò lui.

— Che cosa c’è? — La fronte di Joule si corrugò appena. — Sei venuto qui per farti consolare? Qualcosa va male?

Leo si sprofondò nel divano e si osservò le mani giunte.

— Non so. Credo di essere depresso. Da quanto? Cinque mesi? Ho imparato molto, ma non sono sicuro di cosa possa essere. Mi sembra di essere cresciuto. Vedo il mondo… vedo le cose in maniera diversa, sì. Ma in sostanza sono sempre la stessa persona.

— Nel senso che a trentatré anni sei lo stesso di quando ne avevi dieci?

Leo si agitò. — D’accordo, sono cambiato. Ma non vi è stato alcun rovesciamento. Nulla che sia finito sottosopra. È un’espansione. Non un nuovo punto di vista. È come completare qualcosa, uscendo in spazi sconosciuti. Diventando… — le sue mani brancolarono nel vuoto, poi gli ricaddero in grembo. — È come sentirsi completi.

Joule sorrise. — E ti dispiace? Che altro pretendi?

Leo non voleva ancora approfondire l’argomento. — Ascolta, e dimmi se sei d’accordo. Io ho sempre constatato l’esistenza di una qualità maschile e di una femminile (qualunque cosa significhi), e non so se queste esistano realmente su un piano diverso da quello fisico, e comunque non credo sia importante… Io le percepivo distinte. In seguito ho pensato ad esse come a fratelli siamesi che si trovano nella mente di ciascuno. Ma i gemelli erano sempre in conflitto, cercando di sopraffarsi a vicenda. L’uno avrebbe sconfitto l’altro, se ne sarebbe liberato chiudendolo in una cella senza dargli da mangiare; ma restavano sempre uniti, e lo sconfitto avrebbe costretto il vincitore a pagare il prezzo della vittoria.

Così io volevo provare a metterli d’accordo. Pensavo soltanto di migliorare la loro conoscenza reciproca e di fare da arbitro, ma si sono comportati molto meglio di quanto mi aspettassi. Infatti si sono concentrati in un’intera e unica persona, scoprendo che avrebbero potuto essere molto felici, insieme. Non posso più separarli, ora. Ha un senso tutto questo?

Joule si sedette accanto a lui.

— A suo modo è una analogia appropriata. È lo stesso anche per me, ma ho smesso di pensarci. Perciò qual è il problema? Mi hai detto solo che ora ti senti una persona completa.

Il volto di Leo si contrasse. — Sì. Ma se sono tale, quale effetto avrà su Jules? — Cominciò a piangere, e Joule lo lasciò sfogare, limitandosi a tenergli la mano. Giudicò che questa volta lui avrebbe fatto meglio a cavarsela da solo. Quando si fu ripreso, lei cominciò a parlare in tono calmo.

— Leo, Jules è felice così com’è. Penso che potrebbe essere molto più felice, ma noi non abbiamo alcuna possibilità di dimostrarglielo, senza costringerlo a fare qualcosa di cui ha molta paura. È possibile che un giorno si deciderà a farlo, una volta che, col tempo, si sarà abituato all’idea. Ed è possibile che non riesca a sopportarlo e che voglia a tutti i costi riappropriarsi della sua mascolinità. A volte, i gemelli separati non possono essere ricongiunti.

Trasse un profondo sospiro e si alzò per uscire dalla stanza.

— Nei prossimi anni ci saranno molti casi del genere — disse lei. — Molti cuori infranti. Ma questo non è esattamente il nostro caso, lo sai. Noi ce la caviamo meglio. Non siamo angeli ma siamo forse il gruppo sociale più civilizzato e più tollerante che la razza umana abbia mai prodotto. Fra noi ci sono pazzi e bastardi, così come ci sono quelli che non cambiano sesso, ma io credo che stiamo diventando un po’ meno pazzi e crudeli. Ritengo che il cambiare sesso sia un fenomeno nato per durare.

«E tu devi ritenerti fortunata. Così come Jules. Avrebbe potuto essere molto peggio. Soltanto fra i miei amici so che vi sono parecchie famiglie rovinate. E ce ne saranno molte di più prima che la società abbia assimilato il fenomeno. Ma l’amore reciproco che esiste fra te e Jules vi ha tenuti uniti. Lui ha subito una trasformazione straordinaria, forse della stessa entità della tua. Lui ti vuole bene. In entrambi i sessi. D’accordo, in quanto Leo, tu non fai l’amore con lui. Forse non arriverai mai a quel punto.

— L’abbiamo fatto. Ieri notte. — Leo si lasciò scivolare nel divano. — Io… sono impazzito. Gli ho detto che se voleva vedere Cleo doveva imparare ad avere rapporti con me, perché io sono io, dannazione.

— Può essere stato uno sbaglio.

Leo distolse lo sguardo. — Comincio a crederlo anch’io.

— Ma se si è creato un problema, penso che voi due possiate risolverlo. Ne avete affrontati parecchi, insieme.

— Non intendevo costringerlo, è stato solo un attimo di follia.

— E forse avresti dovuto. Avrebbe anche potuto essere la soluzione migliore. Dovrai aspettare e vedere.

Leo si asciugò gli occhi e si alzò in piedi.

— Grazie, Harr… scusa. Joule. Mi sei stata di aiuto. Io… uh, forse non ci vedremo più molto spesso.

— Capisco. Restiamo amici, d’accordo? — Lo baciò, e lui si affrettò ad uscire.


Quando rincasò dal lavoro, la trovò seduta di fronte alla porta, le gambe incrociate su un cuscino, il gomito appoggiato al ginocchio, e uno spinello tra le dita. Gli sorrise.

— Sei tornato presto. Come mai?

— Non sono andato al lavoro. — Lei quasi soffocò, cercando di non ridere. Buttò la giacca nell’armadio a muro e si precipitò in cucina. Lei udì un tramestio, poi il rumore di vetri frantumati. Jules ricomparve sulla porta.

Cleo!

— Tesoro, sei proprio carino con la bocca spalancata.

La richiuse, ma non sembrava ancora in grado di muoversi. Lei lo raggiunse, avvertendo un fremito di eccitazione lungo la schiena, come se fosse tornato un vecchio amico. Lo strinse fra le braccia, e lui quasi la schiacciò. Lo amava.

Indietreggiò di qualche passo, quasi non riuscendo a capacitarsi della sua presenza, e i suoi occhi scrutavano ogni dettaglio del suo viso.

— Quanto resterai così? — chiese. — Ne hai un’idea?

— Non so, perché?

Lui sorrise, un po’ goffamente. — Mi auguro che tu non abbia fatto uno sbaglio. Sono così felice di vederti. Forse non dovrei dirlo… ma no, penso sia meglio. Leo mi piaceva. Sentirò la sua mancanza, almeno un po’.

Lei annuì. — Non ne sono offesa. Come potrei esserlo? — Si allontanò, facendogli cenno di raggiungerla sul cuscino. — Siediti, Jules. Dobbiamo parlare. — Le sue ginocchia si piegarono, e lui si sedette, guardandola con aria di attesa.

— Leo non se n’è andato, non pensarlo neppure per un istante. Lui si trova proprio qui. — Si batté il petto e guardò Jules con aria di sfida. — E lo sarà sempre. Non se ne andrà mai.

— Mi spiace, Cleo, io…

— No, non dire niente per ora. È stata solo colpa mia, ma non so dire altro. Non avrei mai dovuto chiamarmi Leo. Ti ho dato un chiaro motivo di contrasto. Non dovevi stare di fronte a Cleo diventata uomo. Sto cambiando tutto questo… Il mio nome è Nilo. N-i-l-o. E non risponderò a nient’altro.

— Va bene. È un bel nome.

— Pensavo di chiamarmi Lion. Leo il leone. Ma poi ho deciso di essere ciò che sono sempre stata, Cleopatra, la regina del Nilo. In onore del passato.

Lui non disse nulla, ma gli occhi rivelarono la sua approvazione.

— Devi invece renderti conto che, in un certo senso, se ne sono andati tutti e due. Tu non starai mai più con Cleo. Io adesso le assomiglio. Le assomiglio anche interiormente, come un adulto assomiglia a un bambino. Ho in comune con quella persona una quantità incredibile di cose. Ma non sono la stessa.

Jules annuì. Gli si sedette accanto e gli prese la mano.

— Jules, non sarà facile. Voglio conoscere molte cose, incontrare gente. Noi due non riusciremo ad avere gli stessi amici. Potremmo anche non andare d’accordo per questo motivo. Io cercherò di vincere il mio risentimento quando tu mi respingerai. Non mi lascerai esplorare il tuo lato femminile come vorrei. Mi respingerai perché cercherò di costringerti a fare qualcosa che ritieni sia sbagliato. Ma voglio provarci, per vedere se funziona.

Lui sospirò. — Dio, Cl… Nilo. In vita mia non sono mai stato così spaventato. Credevo volessi lasciarmi.

Lei gli strinse la mano. — Non se posso essere d’aiuto. Vorrei che entrambi ci provassimo e che ci accettassimo per quello che siamo. Per me questo implica anche essere maschio tutte le volte che mi sento di esserlo. Per me non c’è differenza, ma so che sarà un grosso problema per te.

Si abbracciarono, e Jules asciugò le sue lacrime sulla spalla di lei; poi tornò a guardarla.

— Farò qualsiasi cosa sarà in mio potere per…

Gli mise un dito sulle labbra. — Lo so. Io ti accetto così come sei. Ma cercherò ugualmente di convincerti.

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