Simon Kress viveva da solo in un ranch tra riarse colline rocciose, a cinquanta chilometri dalla città. Così, quando fu chiamato improvvisamente per lavoro, non aveva vicini cui poter comodamente imporre le sue amate bestiole. L’avvoltoio non era un problema: se ne stava appollaiato su una torretta campanaria in disuso e di solito riusciva a cavarsela trovando in qualche modo da sfamarsi. Lo shambler venne semplicemente messo alla porta, e lasciato in balia di se stesso; quel mostriciattolo si sarebbe rimpinzato di lumaconi, piccoli uccelli e rocciaclimber. Invece la grande vasca per i pesci, piena di autentici piranha della Terra, costituiva un problema. Kress alla fine gettò nell’acquario una coscia di bue. I piranha potevano sempre mangiarsi a vicenda, se fosse stato trattenuto più a lungo del previsto. Lo avevano già fatto in passato, e la cosa lo divertiva.
Purtroppo quella volta fu trattenuto molto più a lungo del previsto. Quando finalmente ritornò, tutti i pesci erano morti. E così l’avvoltoio. Lo shambler si era arrampicato sulla torretta e se lo era mangiato. Simon Kress era seccato.
Il giorno dopo volò con il suo aeromobile ad Asgard, a circa duecento chilometri di distanza. Asgard era la città più grande di Baldur, e vantava anche l’astroporto più antico e vasto. Kress amava stupire gli amici con animali insoliti, divertenti e costosi: Asgard era il posto giusto dove acquistarli.
Quella volta, però, ebbe poca fortuna. Animali da Tutti i Mondi aveva chiuso i battenti, t’Etherane il Venditore di Piccoli Animali cercò di rifilargli un altro avvoltoio, e da Acque Straniere non c’era niente di esotico, solo piranha, squali-lucciola e seppie-ragno. Kress li aveva già avuti, voleva qualcosa di nuovo.
Verso sera si trovò a passeggiare lungo Viale dell’Arcobaleno, alla ricerca di negozi che non aveva mai visitato. Essendo vicino all’astroporto, la strada era piena dì importatori: grandi empori con lunghe vetrine appariscenti, dove manufatti alieni rari e costosi troneggiavano su cuscini di feltro sullo sfondo di scuri drappeggi che lasciavano l’interno nel mistero. In mezzo a questi magazzini c’erano negozietti di rigattieri, polverosi tuguri che esponevano cumuli di cianfrusaglie provenienti da altri mondi. Kress cercò in entrambi i tipi di attività commerciali, con pari insoddisfazione.
Poi si imbatté in un negozio che era diverso.
Si trovava vicino all’astroporto. Kress non lo aveva mai visto prima. Occupava un piccolo edificio a un solo piano, tra un bar dell’euforia e un tempio-bordello della Segreta Sorellanza. Verso il fondo, Viale dell’Arcobaleno mostrava segni di degrado.
Il negozio in sé era insolito. Attirava l’attenzione.
Le vetrine erano piene di una specie di nebbia, ora rosso chiaro, ora grigia come la vera nebbia, poi scintillante e dorata. La foschia vorticava, formava mulinelli, illuminata da un vago bagliore proveniente dall’interno. Kress scorse la merce in vetrina: congegni, pezzi d’arte, altri oggetti che non riconosceva, ma non poteva vederli bene. La bruma fluiva morbidamente su di loro, svelando ora una parte ora l’altra, poi nascondendo tutto. L’effetto era intrigante.
Mentre stava guardando, la nebbia cominciò a formare delle lettere. Una parola per volta. Kress si fermò e lesse:
La scritta si bloccò. Attraverso la nebbia, Kress vide qualcosa che si muoveva dentro il negozio. Quello e il termine “formedivita” nel messaggio promozionale furono sufficienti. Si gettò la mantella da passeggio sopra la spalla e varcò la soglia.
Una volta dentro, Kress restò disorientato. L’interno appariva spazioso, molto più grande di quanto facesse supporre la facciata relativamente modesta. Era poco illuminato, silenzioso. Il soffitto mostrava un panorama stellare, con tanto di nebulose a spirale, molto buio e realistico, bellissimo. Tutti i banconi luccicavano debolmente, per esporre al meglio la merce che contenevano. I corridoi erano ricoperti da una bassa coltre di nebbia, che in certi punti gli arrivava quasi alle ginocchia e turbinava attorno ai piedi quando camminava.
«Come posso aiutarla?»
Sembrava sorta dalla nebbia. Alta, pallida ed emaciata, indossava una larga tuta da paracadutista grigia e uno strano cappellino portato all’indietro.
«Lei è Wo oppure Ombra?» chiese Kress. «O soltanto una commessa?»
«Jala Wo, per servirla» rispose lei. «Ombra non tratta con i clienti. Non ci sono commesse.»
«Avete una bella attività» esclamò Kress. «Strano che non abbia mai sentito parlare di voi.»
«Abbiamo appena aperto questo negozio su Baldur» rispose la donna. «Però abbiamo numerose succursali in altri mondi. Che cosa le interessa? Forse oggetti artistici? Lei ha l’aria di un collezionista. Abbiamo belle sculture in cristallo di Nor T’alush.»
«No, ho già tutte le sculture di cristallo che desidero» rispose Kress. «Sto cercando un animale domestico.»
«Una formadivita?»
«Sì.»
«Aliena?»
«Ovviamente.»
«Abbiamo disponibile un imitatore. Proviene dal Mondo di Celia. Un piccolo scimmioide, intelligente. Oltre a imparare a parlare, saprà imitare la sua voce, le sue inflessioni, i gesti, perfino le espressioni del viso.»
«Carino» disse Kress «e comune. Due cose che non mi interessano, Wo. Voglio qualcosa di esotico, di insolito, e di non carino. Odio gli animali carini. Attualmente ho uno shambler, importato da Cotho con una spesa non trascurabile. Ogni tanto gli do da mangiare una nidiata di gattini randagi. Ecco qual è il mio concetto di carino. Mi sono spiegato?»
Wo fece un sorriso enigmatico. «Ha mai avuto un animale che la adorasse?»
Kress le rivolse un ampio sorriso. «Sì, talvolta. Ma io non cerco adorazione, Wo. Solo divertimento.»
«Ha frainteso le mie parole» replicò Wo, con lo stesso strano sorriso sulle labbra. «Intendo adorazione in senso letterale.»
«Che cosa sta dicendo?»
«Penso di avere ciò che fa per lei» disse Wo. «Mi segua.»
Gli fece strada tra i banconi rilucenti e imboccò un lungo, nebbioso corridoio sotto l’artificiale chiarore stellare. Attraversarono un muro di foschia e si trovarono in un’altra parte del negozio: si fermarono davanti a una grande vasca di plastica. Un acquario, pensò Kress.
Wo gli fece cenno: lui si avvicinò e vide di essersi sbagliato. Era un terrario. Conteneva un deserto in miniatura, di circa due metri quadrati, di un colore rosso pallido e stinto sotto un’esangue luce rossastra. Rocce di quarzo, granito e basalto. A ogni angolo della vasca, un castello.
Kress batté le palpebre, guardò meglio e si corresse: i castelli erano soltanto tre. Il quarto era cadente, una rovina che si stava sgretolando. Gli altri, invece, erano rozzi ma intatti, vere sculture di pietra e sabbia. Sui loro bastioni e sotto i porticati si arrampicavano creature minuscole. Kress schiacciò la faccia contro la parete di plastica. «Insetti?» chiese.
«No» rispose Wo. «Una formadivita molto più complessa, e più intelligente. Molto più svegli del suo shambler. Sono chiamati re della sabbia.»
«Insetti» ribadì Kress, allontanandosi dalla vasca. «Non m’importa di quanto siano complessi.» Aggrottò le sopracciglia. «E mi faccia la cortesia di non cercare di abbindolarmi con il discorso dell’intelligenza: quei cosi sono troppo piccoli per avere qualcosa di più di un cervello rudimentale.»
«Condividono delle menti-alveare» spiegò Wo. «In questo caso delle menti-castello. In effetti nella vasca al momento ci sono solo tre organismi, il quarto è morto: come vede, il suo castello è caduto.»
Kress si riavvicinò al terrario. «Menti-alveare, dice? Interessante.» Poi si accigliò di nuovo. «Però è solo un formicaio gigante. Speravo in qualcosa di meglio.»
«Combattono delle guerre.»
«Davvero? Mmh.» Kress diede un’altra occhiata.
«La prego di notare i colori» gli disse Wo, indicando le creature che si accalcavano sul castello più vicino. Una di loro stava raspando la parete della vasca. Kress la esaminò con attenzione. Continuava a sembrargli un insetto. Lungo appena quanto un’unghia, con sei zampe e altrettanti microscopici occhi distribuiti attorno al corpo. Delle temibili mascelle schioccavano visibilmente, mentre due lunghe antenne sottili tessevano trame nell’aria. Antenne, mandibole, occhi e zampe erano nero fuliggine, ma il colore dominante era l’arancione bruciato del carapace. «È un insetto» insisté Kress.
«Non è un insetto» replicò Wo con calma. «L’esoscheletro si stacca, quando il re della sabbia cresce. Se cresce. In una vasca di queste dimensioni non succede.» Prese Kress per il gomito, e lo fece spostare davanti al castello successivo. «Osservi ora i colori di questi.»
Ubbidì. Erano diversi. I re della sabbia avevano il carapace rosso acceso, mentre antenne, mandibole, occhi e zampe erano gialli. Kress guardò dall’altra parte della vasca. Gli abitanti del terzo castello ancora in vita erano color avorio, con gli arti e il resto rossi. «Mmh» fece.
«Come dicevo, combattono» disse Wo. «Stringono anche tregue e alleanze. È stata un’alleanza a distruggere il quarto castello. I neri stavano diventando troppo numerosi, allora gli altri si sono uniti per annientarli.»
Kress non era ancora convinto. «Divertente, senza dubbio, ma anche gli insetti combattono.»
«Gli insetti però non adorano nessuno» disse Wo.
«Scusi?»
Wo sorrise e indicò il castello. Kress guardò. Sulla parete della torre più alta era stato inciso un viso. Lo riconobbe. Era la faccia di Jala Wo. «Ma come...?»
«Ho proiettato per alcuni giorni un ologramma della mia faccia. Il volto di dio, capisce? Li nutro, sono sempre con loro. I re della sabbia hanno poteri psionici rudimentali, vicini alla telepatia. Sentono chi sono, ed esprimono l’adorazione per me decorando i loro edifici con il mio ritratto. Ce n’è uno su ogni castello, guardi.» Era così.
Nella scultura la faccia di Jala Wo era serena e pacifica, molto realistica. Kress restò meravigliato dalla perfezione tecnica della riproduzione. «Come fanno?»
«Le prime zampe si flettono come braccia. Hanno anche una sorta di dita: tre piccoli tralci flessibili. E cooperano bene, sia per costruire che per combattere. Tenga presente che le unità mobili dello stesso colore hanno tutte la medesima mente.»
«Mi spieghi meglio» chiese Kress.
Wo sorrise. «La mandibola vive nel castello. Mandibola è il nome che le ho dato io. Un po’ riduttivo, se vogliamo, poiché la creatura è al tempo stesso madre e stomaco. Femmina, grande quanto il suo pugno, immobile. In realtà, re della sabbia è un appellativo improprio. Le unità mobili sono contadini e guerrieri, chi comanda davvero è la regina. Ma anche questa analogia è sbagliata. Ogni castello, considerato nel suo complesso, è un’unica creatura ermafrodita.»
«E cosa mangiano?»
«Le unità mobili si nutrono di pap, cibo predigerito proveniente dall’interno del castello. Lo ricevono dalla mandibola, che lo ha lavorato per diversi giorni. I loro stomaci non possono assumere altro, per cui se la mandibola muore, nel giro di poco muoiono tutti. La mandibola mangia... di tutto. Non avrà particolari spese in proposito. Andranno benissimo gli avanzi di cucina.»
«E cibo vivo?» chiese Kress.
Wo alzò le spalle. «Be’, ogni mandibola mangia le unità mobili degli altri castelli.»
«Sono interessato» ammise lui. «Se solo non fossero così piccoli.»
«I suoi possono diventare più grandi, questi sono piccoli perché la vasca è piccola. Pare che siano in grado di limitare la propria crescita in base allo spazio disponibile. Se noi li spostassimo in un contenitore più grande, riprenderebbero a svilupparsi.»
«Mmh, la vasca dei miei piranha è il doppio di questa, e vuota. Andrebbe ripulita, riempita di sabbia...»
«Wo e Ombra si faranno carico dell’installazione, con piacere.»
«D’accordo» rispose Kress. «Allora vorrei quattro castelli integri.»
«Certamente» disse Wo.
Cominciarono a discutere sul prezzo.
Tre giorni più tardi, Jala Wo arrivò nella proprietà di Simon Kress con i re della sabbia in letargo e un gruppo di operai per la sistemazione dell’impianto. Gli assistenti di Wo erano diversi da tutti gli alieni cui Kress era abituato: rozzi bipedi tarchiati, con quattro braccia e occhi sporgenti plurisfaccettati. La loro pelle era spessa e coriacea, ritorta in corni, spine dorsali e protuberanze in insoliti punti del corpo. In compenso erano molto forti e lavoratori indefessi. Wo impartì gli ordini in una lingua musicale che Kress non aveva mai sentito.
In un giorno fecero tutto. Spostarono la vasca dei piranha al centro dell’ampio soggiorno, con i divani ai lati per godersi meglio lo spettacolo, la ripulirono e la riempirono fino a due terzi di sabbia e roccia. Successivamente installarono uno speciale sistema di illuminazione che doveva provvedere alla fioca luce rossastra amata dai re della sabbia e al tempo stesso proiettare immagini olografiche nella vasca. Sopra montarono una robusta copertura di plastica, con incorporato un meccanismo per l’alimentazione. «In questo modo può dare da mangiare ai suoi re della sabbia senza togliere il coperchio» spiegò Wo. «Non vorrà certo correre il rischio che le unità mobili possano fuggire.»
Nel coperchio era inserito anche un dispositivo per il controllo della temperatura, che regolava la giusta quantità di umidità. «L’aria deve essere asciutta, ma non troppo» proseguì Wo.
Infine, uno degli operai con quattro braccia entrò nella vasca e scavò una profonda buca in ogni angolo. Un collega gli passò le mandibole in letargo, prelevandole una per una dalle valigette criogeniche da ibernazione. Il loro aspetto era insignificante. Kress pensò che sembravano pezzi di carne cruda mezzo putrefatta e picchiettata. Provvisti di una bocca.
L’alieno le seppellì, una in ogni angolo della vasca. Poi gli assistenti di Wo sigillarono tutto e se ne andarono.
«Il caldo farà uscire le mandibole dal letargo» spiegò Wo. «In meno di una settimana, le unità mobili cominceranno a dischiudersi e a salire in superficie. Si assicuri di dare loro molto da mangiare. Avranno bisogno di tutte le loro forze, finché non si saranno ambientate. Credo che nel giro di tre settimane comincerà a vedere i castelli.»
«E la mia faccia? Quando la scolpiranno?»
«Attivi l’ologramma tra circa un mese» lo istruì «e abbia pazienza. Per qualsiasi problema, non esiti a chiamare. Wo e Ombra sono al suo servizio.» Fece un inchino e se ne andò.
Kress tornò verso la vasca e si accese un bastoncino-della-gioia. Il deserto era vuoto e silenzioso. Impaziente, tamburellò con le dita sulla parete di plastica, e si accigliò.
Il quarto giorno Kress ebbe l’impressione di scorgere del movimento sotto la sabbia, cenni di attività carsiche.
Il quinto giorno vide la prima unità mobile, bianca e solitaria.
Il sesto giorno ne contò una dozzina, bianche, rosse e nere. Quelle arancioni erano in ritardo. Buttò nella vasca una ciotola di avanzi mezzo avariati. Le unità mobili avvertirono subito la presenza del cibo, accorsero e cominciarono a trascinare i pezzi nei rispettivi angoli. Ogni gruppo era ben organizzato. Non lottavano. Kress era un po’ deluso, ma decise di dare loro del tempo.
Gli arancioni fecero la loro comparsa l’ottavo giorno. Nel frattempo gli altri avevano cominciato ad accumulare delle piccole pietre e a erigere una rozza fortificazione. Continuavano a non combattere. Al momento i re della sabbia erano grandi appena la metà di quelli che aveva visto nel negozio di Wo e Ombra, ma Kress pensò che stavano crescendo in fretta.
La seconda settimana i castelli erano costruiti a metà. Plotoni organizzati di unità mobili trasportavano pesanti blocchi di arenaria e granito nei rispettivi angoli, dove altre unità accumulavano la sabbia usando le mascelle e i piccoli tralci. Kress aveva comprato un paio di occhiali con lenti d’ingrandimento, così poteva vederli lavorare in qualsiasi punto della vasca. Continuava a girare intorno alle alte pareti di plastica, e osservava. Era affascinato. I castelli erano un po’ più banali di come Kress avrebbe voluto, ma gli venne un’idea. Il giorno dopo buttò dentro insieme al cibo anche dei pezzetti di ossidiana e di vetro colorato. Nel giro di poche ore erano stati inseriti nei muri delle fortezze.
Il castello nero fu il primo a essere completato, seguito dalla fortezza bianca e da quella rossa. Gli arancioni arrivarono ultimi, come sempre. Adesso Kress mangiava in soggiorno, seduto sul divano, così poteva guardare in continuazione. Si aspettava che da un momento all’altro scoppiasse la prima guerra.
Restò deluso. I giorni passavano. I castelli diventavano più alti e grandi, e Kress si allontanava dalla vasca solo per espletare i suoi bisogni fisiologici e rispondere a qualche importante telefonata di lavoro. Ma i re della sabbia non combattevano. Si stava irritando.
Alla fine smise di dare loro da mangiare.
Dopo due giorni che gli avanzi di cibo avevano cessato di cadere dal loro cielo deserto, quattro unità nere circondarono una unità arancione e la trascinarono dalla loro mandibola. Prima la mutilarono, strappandole mascelle, antenne e arti, quindi la trasportarono attraverso il buio ingresso principale del loro castello in miniatura. Non ne uscì più. Nel giro di un’ora, più di quaranta unità arancioni attraversarono la distesa di sabbia e attaccarono l’angolo dei nemici. Furono sopraffatti numericamente dai neri che accorsero dalle segrete. Quando il combattimento finì, gli attaccanti erano stati massacrati. I morti e i morenti furono portati giù per nutrire la mandibola nera.
Kress, deliziato, si congratulò con se stesso per quel colpo di genio.
Quando il giorno dopo versò il cibo nella vasca, scoppiò una battaglia a tre per il suo possesso. I bianchi furono di gran lunga i vincitori. Da allora in poi, le guerre si susseguirono ininterrottamente.
Era passato quasi un mese dal giorno in cui Jala Wo gli aveva portato i re della sabbia, quando Kress azionò il proiettore di ologrammi, e la sua faccia si materializzò nella vasca. L’immagine ruotava lentamente, così il suo sguardo cadeva sui quattro castelli con equità. Kress trovava l’ologramma piuttosto somigliante: aveva il suo sogghigno beffardo, la bocca grande, le guance rotonde. Gli occhi azzurri scintillavano, i capelli grigi erano pettinati con cura con la scriminatura laterale secondo la moda, le sopracciglia erano sottili e aristocratiche.
Nel giro di poco, i re della sabbia si misero all’opera. Kress li foraggiava abbondantemente, mentre la sua immagine imperversava dall’alto del loro cielo. Le guerre furono temporaneamente sospese. Tutta l’attività era dedicata alla devozione.
Il suo volto comparve sulle mura dei castelli.
Da principio le quattro sculture gli sembrarono tutte uguali, ma, a mano a mano che il lavoro procedeva, analizzando le riproduzioni cominciò a distinguere piccole differenze tecniche e di esecuzione. I rossi erano stati i più creativi, e avevano usato minuscole schegge di ardesia per ricreare il grigio dei capelli. L’idolo dei bianchi gli pareva giovane e malvagio, mentre la faccia raffigurata dai neri — pur essendo di fatto identica nei tratti dava un’impressione di saggezza e di bontà. I re della sabbia arancioni furono come sempre gli ultimi. Le guerre non erano andate bene, e il loro castello era più malconcio degli altri. L’immagine che scolpirono era rozza e caricaturale, e sembravano intenzionati a lasciarla così. Quando smisero di lavorare al ritratto, Kress provò un certo risentimento nei loro confronti, ma non poteva farci un bel niente.
Una volta che tutti i re della sabbia ebbero finito le Kressfacce, spense il proiettore e decise che era arrivato il momento di organizzare una festa. Avrebbe sbalordito gli amici. Poteva addirittura inscenare una guerra per loro, pensò. Canticchiando allegramente, cominciò a compilare la lista degli invitati.
La festa riscosse grandissimo successo.
Kress aveva invitato trenta persone: un gruppetto di amici intimi che condividevano le sue stesse passioni, alcune ex amanti e dei rivali di lavoro e mondani che non potevano rifiutare il suo invito. Sapeva che alcuni di loro sarebbero rimasti sconcertati e perfino offesi dai suoi re della sabbia. Anzi, ci contava. Per Simon Kress una festa era un fallimento se almeno uno dei suoi invitati non se ne andava indignato.
D’impulso aveva inserito nell’elenco anche il nome di Jala Wo. «Porti anche Ombra, se vuole» aveva aggiunto mentre dettava l’invito.
Restò un po’ sorpreso dal fatto che lei accettasse. «Ombra, purtroppo, non potrà essere presente. Non partecipa mai a eventi mondani» aveva aggiunto Wo. «Per quanto mi riguarda, sono impaziente di vedere come stanno i suoi re della sabbia.»
Kress offrì agli ospiti un lauto banchetto. E quando alla fine la conversazione cominciò a languire, e la maggior parte degli invitati era ebbra per il vino e i bastoncini-della-gioia, li stupì raccogliendo personalmente gli avanzi di cibo in una grande ciotola. «Venite tutti» esclamò. «Vi voglio presentare i miei ultimi animaletti domestici.» Reggendo la ciotola, li guidò in soggiorno.
I re della sabbia si dimostrarono all’altezza delle sue migliori aspettative. Li aveva tenuti a stecchetto per due giorni, in previsione della serata, ed erano inclini a combattere. Mentre i suoi ospiti circondavano la vasca, muniti degli occhiali con lenti d’ingrandimento che Kress si era premurato di mettere a disposizione, i re della sabbia ingaggiarono una furibonda lotta per il cibo. Dopo lo scontro contò quasi sessanta unità morte. I rossi e i bianchi, che di recente avevano stretto un’alleanza, si accaparrarono la maggior parte del cibo.
«Kress, mi fai schifo» lo insultò Cath m’Lane. Aveva vissuto per un breve periodo con lui, due anni prima, finché la sua sdolcinatezza e il suo sentimentalismo non lo avevano esasperato. «Sono stata una stupida a venire. Pensavo che magari fossi cambiato, che volessi scusarti.» Non gli aveva mai perdonato la volta in cui il suo shambler aveva divorato la cagnolina che lei adorava. «Non azzardarti più a invitarmi, Simon.» Se ne andò, accompagnata dal fidanzato del momento e da un coro di risate.
Gli altri ospiti avevano un sacco di domande da porgli.
Da dove venivano i re della sabbia? volevano sapere. «Da Wo e Ombra importatori» rispose, facendo gentilmente cenno verso Jala Wo, che era rimasta silenziosa e in disparte per quasi tutta la sera.
Perché decoravano i loro castelli con la sua effigie? «Perché io sono la fonte di ogni cosa buona. Come del resto tutti voi sapete...» Si udirono delle risatine.
Combatteranno ancora? «Certamente, ma non stasera. Non vi preoccupate, ci saranno altre feste.»
Jad Rakkis, uno xenologo dilettante, cominciò a parlare di altri insetti sociali e delle guerre che combattevano. «Questi re della sabbia sono divertenti, ma nulla più. Dovresti leggere, per esempio, qualcosa sulle formiche-soldato ferrane.»
«I re della sabbia non sono insetti» intervenne bruscamente Jala Wo, ma Jad si era già allontanato, e nessuno prestò attenzione alle sue parole. Kress le sorrise, stringendosi nelle spalle.
Malada Blane propose di indire delle scommesse, la prossima volta che si fossero ritrovati per assistere a una guerra, e tutti furono allettati dall’idea. Seguì un’animata discussione su regole e quotazioni. Andò avanti per quasi un’ora. Alla fine gli ospiti iniziarono a congedarsi.
Jala Wo fu l’ultima ad andare via. «Be’, a quanto pare i re della sabbia sono stati un successone» disse Kress, quando rimasero soli.
«Stanno bene» disse Wo. «Sono già più grandi dei miei.»
«Già» fece Kress. «Tranne quelli arancioni.»
«L’ho notato» ammise Wo. «Sembrano anche di meno, e il loro castello pare trascurato.»
«Be’, qualcuno deve pur perdere» commentò Kress. «Gli arancioni sono stati gli ultimi a uscire e ad ambientarsi; ne hanno risentito.»
«Mi scusi, ma le posso chiedere se li nutre a sufficienza?»
Kress si strinse nelle spalle. «Ogni tanto li metto a dieta, per renderli più feroci.»
Lei si accigliò. «È inutile fargli patire la fame. Lasci che combattano quando è il loro momento, per le loro ragioni. È nella loro natura, e assisterà a conflitti straordinariamente astuti e complessi. La lotta costante provocata dalla fame è banale e degradante.»
Simon Kress ripagò l’espressione accigliata di Wo con gli interessi. «Lei è a casa mia, Wo, e qui sono io a stabilire che cosa è degradante. Li ho nutriti come mi ha detto lei, e non combattevano.»
«Deve avere pazienza.»
«No» replicò Kress. «Io, dopo tutto, sono il loro signore e padrone. Perché dovrei dipendere dai loro istinti? Non combattevano abbastanza spesso per i miei gusti. Ho modificato la situazione.»
«Capisco» fece Wo. «Ne parlerò con Ombra.»
«La cosa non riguarda né lei, né lui» scattò Kress.
«Allora, non mi resta che augurarle la buonanotte» concluse Wo con rassegnazione. Però, mentre si infilava il cappotto per andare via, gli lanciò un’ultima occhiata di disapprovazione. «Tenga d’occhio le sue facce, Simon Kress» lo mise in guardia.
Quando se ne fu andata, Kress tornò alla vasca e osservò i castelli, perplesso. Le sue facce erano ancora lì, come sempre. Tranne... prese gli occhiali con le lenti d’ingrandimento e se li infilò. Anche così non era facile riuscire a capire. Però gli sembrò che l’espressione delle sculture fosse leggermente cambiata, che il sorriso si fosse modificato, che avesse un che di maligno. Ma era un cambiamento molto sottile, se di cambiamento si poteva parlare. Finì per attribuirlo alla suggestione, e decise di non invitare più Jala Wo ai suoi ricevimenti.
Nei mesi successivi, Kress e una decina di intimi si incontrarono ogni settimana per quelli che lui amava definire “giochi di guerra”. Passata la fascinazione iniziale per i re della sabbia, Kress trascorreva meno tempo vicino alla vasca e di più a curare i suoi affari e la vita sociale, ma gli piaceva ancora che gli amici lo andassero a trovare per una guerra o due. Teneva i combattenti sempre sul filo della fame. Quel regime ebbe pesanti effetti sui re della sabbia arancioni, che diminuirono visibilmente, tanto che Kress si chiese se fosse morta la mandibola. Gli altri invece stavano abbastanza bene.
A volte, quando la notte non riusciva a dormire, si portava una bottiglia di vino in soggiorno, dove l’unica luce era il chiarore rossastro del deserto in miniatura. Beveva e stava lì a guardare da solo, per ore. Di solito c’era in corso una battaglia, da qualche parte, altrimenti la poteva facilmente scatenare facendo cadere qualcosa da mangiare.
Cominciarono a scommettere ogni settimana, come Malada Blane aveva proposto. Kress vinse un bel po’ di quattrini puntando sui bianchi, che erano diventati la colonia più forte e numerosa della vasca, con il castello più grande. Una volta fece scivolare un angolo del coperchio e lasciò cadere del cibo vicino al castello bianco, invece che nel campo di battaglia centrale, così gli altri dovettero attaccare i bianchi nella loro roccaforte per procurarsi il cibo. Ci provarono. I bianchi erano ottimi difensori. Kress vinse un centinaio di standard da Jad Rakkis.
In realtà, Rakkis perdeva quasi ogni settimana. Si vantava di sapere tutto sui re della sabbia e le loro abitudini, affermando di avere cominciato a studiarli dopo la prima festa, ma quando si trattava di scommettere non ci azzeccava mai. Kress sospettava che le vanterie di Jad fossero solo aria fritta. Lui stesso, in un momento di pura curiosità, aveva cercato di informarsi collegandosi con la biblioteca per scoprire da che mondo venivano. Ma i re della sabbia non erano riportati da nessuna parte. Aveva pensato di mettersi in contatto con Wo e chiederlo a lei, ma ebbe altre questioni da sbrigare e gli uscì dalla mente.
Alla fine, dopo un mese in cui le sue perdite erano arrivate a superare i mille standard, Jad Rakkis arrivò ai giochi di guerra con una piccola scatola di plastica sotto il braccio. Dentro c’era una specie di ragno, ricoperto da una sottile peluria dorata.
«Un ragno del deserto» annunciò. «Arriva da Cathaday. L’ho comprato questo pomeriggio da t’Etherane il Venditore di Piccoli Animali. Di solito tolgono la sacca con il veleno, ma questo è integro. Ci stai, Simon? Voglio riprendermi i miei soldi. Scommetto mille standard: ragno del deserto contro re della sabbia.»
Kress studiò il ragno nella sua prigione di plastica. I re della sabbia erano cresciuti — adesso erano diventati il doppio di quelli di Wo, come lei aveva predetto — ma erano ancora piccoli rispetto a quell’essere. In più lui era velenoso, e gli altri no. In compenso però avevano a loro favore il numero. Tra l’altro quelle interminabili guerre ultimamente avevano cominciato a stancarlo. La novità di quello scontro lo allettò. «D’accordo, Jad» dichiarò. «Sei un pazzo. I re della sabbia continueranno ad arrivare fino a quando questa orrenda creatura sarà morta.»
«Il pazzo sei tu, Simon» replicò Rakkis, sorridendo. «Il ragno del deserto cathadiano in genere si nutre di scavatori che si acquattano negli angoli e nelle fessure, per cui — be’, basterà che guardi — punterà diritto sui castelli e mangerà le mandibole.»
Kress aggrottò la fronte tra le risate generali. Non ci aveva pensato. «Su, muoviti!» disse in tono irritato, e andò a riempirsi di nuovo il bicchiere.
Il ragno era troppo grosso per passare attraverso il sistema di alimentazione. Due dei presenti aiutarono Rakkis a togliere il coperchio, e Malada Blane gli passò la scatola. Jad la scosse facendone cadere il ragno, che atterrò con leggerezza su una piccola duna di fronte al castello rosso, restò per un attimo confuso, la bocca in movimento, le zampe che si contorcevano minacciose.
«Su, fagli vedere» Io esortò Rakkis. Si raccolsero tutti intorno alla vasca. Simon Kress trovò i suoi occhiali ingranditori e se li infilò. Se stava per perdere mille standard, voleva almeno vedere bene lo spettacolo.
I re della sabbia avevano percepito l’invasore. In tutto il castello erano cessate le attività. Le piccole unità mobili rosse erano come irrigidite, in allerta.
Il ragno cominciò a muoversi verso l’oscura promessa dell’ingresso. Dall’alto della torre il volto di Simon Kress guardava giù impassibile.
D’un tratto scoppiò una grande agitazione. Le unità rosse più vicine si disposero a doppia V e scivolarono sulla sabbia verso il ragno. Altri guerrieri eruppero dall’interno del castello e si schierarono su tre linee per proteggere l’accesso al sotterraneo dove viveva la mandibola. Esploratori accorsero velocemente dalle dune, richiamati per combattere.
Si aprirono le ostilità.
I re della sabbia dilagarono subitaneamente sul ragno. Le mascelle si chiudevano di scatto su zampe e addome, e si aggrappavano. Unità rosse correvano su per le zampe dorate, verso il dorso dell’invasore. Mordevano e strappavano. Una di loro trovò un occhio, e lo estirpò con i suoi piccoli tralci gialli. Kress sorrise, indicandola.
Ma erano piccoli, e non avevano veleno: il ragno non si fermò. Le sue zampe facevano schizzare i re della sabbia da una parte e dall’altra. Le sue fauci gocciolanti ne trovarono altri, e li lasciarono spezzati e irrigiditi. Già una dozzina di unità rosse giacevano sul campo. Il ragno del deserto continuava ad avanzare. Passò attraverso le tre linee di guardiani davanti al castello, e queste gli si chiusero attorno, lo ricoprirono, in una lotta disperata. Un plotone di re della sabbia aveva staccato una zampa al ragno, notò Kress. I difensori saltarono giù dalle torri atterrando su quella pesante massa che avanzava a scatti, sussultando.
Sepolto sotto i re della sabbia, il ragno in qualche modo scivolò giù nell’oscurità e scomparve.
Jad Rakkis esalò un lungo respiro. Era pallido. «Fantastico!» disse qualcuno. Malada Blane gorgogliò una risata.
«Guarda!» esclamò Idi Noreddian, tirando Kress per un braccio.
Erano stati così assorti nella battaglia che si svolgeva in quell’angolo, che nessuno aveva notato l’attività nel resto della vasca. Ma adesso il castello era tranquillo, la sabbia deserta, a parte le unità mobili rosse senza vita, e allora videro che cosa era successo.
Tre eserciti si erano schierati davanti al castello rosso. Immobili, perfettamente allineati, una fila dietro l’altra, arancioni, bianchi e neri. Aspettavano di vedere che cosa sarebbe emerso dai sotterranei.
Simon Kress sorrise. «Un cordone sanitario» disse. «E prova un po’ a dare un’occhiata agli altri castelli, Jad.»
Rakkis lo fece, e imprecò. Squadre di unità mobili stavano sigillando le porte con sabbia e pietre. Se il ragno fosse in qualche modo sopravvissuto a quell’incontro, non gli sarebbe stato facile entrare negli altri castelli. «Avrei dovuto portare quattro ragni» commentò Jad Rakkis. «Comunque ho vinto. Il mio ragno adesso è giù che si mangia la tua stramaledetta mandibola.»
Kress non rispose. Aspettava. C’erano movimenti nelle ombre.
A un certo punto, le unità mobili rosse cominciarono a uscire dall’ingresso. Ripresero i loro posti sul castello e cominciarono a riparare i danni provocati dal ragno. Gli altri eserciti si dispersero, ritornando ciascuno al proprio angolo.
«Jad» disse Simon Kress «penso che tu abbia le idee un po’ confuse su chi ha mangiato chi.»
La settimana successiva, Rakkis portò quattro piccoli serpenti argentei. I re della sabbia li fecero fuori senza tanti problemi.
La volta dopo tentò con un grande uccello nero. Mangiò più di trenta unità bianche, e dimenandosi e muovendosi goffamente in pratica distrusse il loro castello. Ma alla fine le ali non lo reggevano più, e i re della sabbia lo attaccarono in forze ovunque atterrasse.
Dopo di che fu la volta degli insetti, scarafaggi dotati di carapace, non troppo dissimili dagli stessi re della sabbia. Ma erano veramente stupidi. Arancioni e neri alleati spezzarono la loro formazione, li divisero e li massacrarono.
Rakkis cominciò a firmare a Kress delle cambiali.
Fu più o meno in quel periodo che Kress incontrò di nuovo Cath m’Lane, una sera che era andato ad Asgard per cenare in uno dei suoi ristoranti preferiti. Si fermò un attimo al suo tavolo e le accennò ai giochi di guerra, invitandola a partecipare. Lei arrossì, poi riprese il controllo e diventò glaciale. «Qualcuno deve fermarti, Simon. Penso proprio che sarò io» disse. Kress alzò le spalle e si gustò l’ottimo pasto, senza più ripensare a quella minaccia.
Fino a quando, una settimana più tardi, una donna piccola e tozza arrivò alla sua porta e gli mostrò il cinturino della polizia. «È stata sporta una denuncia» disse. «Lei ha in casa una vasca piena di insetti pericolosi, signor Kress?»
«Non sono insetti» disse furibondo. «Venga che glieli mostro.»
Quando vide i re della sabbia, la poliziotta scosse la testa. «Non è possibile. E comunque sia, che cosa sa di queste creature? Da che mondo arrivano? Hanno l’approvazione del comitato ecologico? Lei ha una licenza? Ci è stato riferito che sono carnivore, potenzialmente pericolose, e anche che sono semisenzienti. Dove ha preso questi animali?»
«Da Wo e Ombra» rispose Kress.
«Mai sentiti nominare» disse la donna. «Probabilmente li hanno fatti entrare di contrabbando, sapendo che i nostri ecologisti non li avrebbero mai approvati. No, Kress, è inammissibile. Confischerò questa vasca e la farò distruggere. E lei si aspetti di ricevere un bel po’ di multe.»
Kress le offrì cento standard per dimenticarsi di lui e dei suoi re della sabbia.
Lei non ci sentiva. «Adesso alle altre accuse dovrò aggiungere anche un tentativo di corruzione.»
Non ci fu modo di persuaderla fino a quando salì a duemila standard.
«Sa, non sarà facile» disse la poliziotta. «Ci sono verbali da contraffare, registrazioni da cancellare. E procurarsi una licenza degli ecologisti prenderà il suo tempo. Per non parlare di chi ha sporto la denuncia. Cosa facciamo se quella chiama di nuovo?»
«Non si preoccupi» la rassicurò Kress. «A lei ci penso io.» Rifletté un po’. Quella sera fece un paio di telefonate.
Prima di tutto a t’Etherane il Venditore di Piccoli Animali. «Voglio comprare un cagnolino» disse.
Il commerciante dalla faccia rotonda restò basito. «Un cagnolino? Non è da te, Simon. Perché non passi di qui? Ho un bell’assortimento.»
«Voglio un tipo di cane ben preciso» dichiarò. «Prendi nota, ti dico come deve essere.»
Dopo di che compose il numero di Idi Noreddian. «Idi, questa sera devi venire qui con la tua olo-attrezzatura. Ho intenzione di registrare una battaglia dei re della sabbia. Un regalo per uno dei miei amici.»
Quella notte, dopo la registrazione Simon Kress restò alzato fino a tardi. Seguì un nuovo dramma appassionante al sensorio, si preparò uno spuntino, fumò un paio di bastoncini-del-la-gioia e si scolò una bottiglia di vino. Sentendosi molto soddisfatto di sé, passeggiò per il soggiorno con il bicchiere in mano.
Le luci erano spente. Il bagliore rossastro del terrario accendeva le ombre, rendendole febbrili. Andò a controllare il suo dominio, curioso di vedere a che punto erano i neri con la riparazione del loro castello. Il cagnolino glielo aveva mezzo distrutto.
Il restauro procedeva bene. Ma mentre Kress ispezionava i lavori usando gli occhiali con le lenti d’ingrandimento, gli capitò di vedere da vicino la sua faccia. Trasalì.
Fece un passo indietro, batté le palpebre, bevve un bel sorso di vino e guardò di nuovo.
La faccia sul muro era ancora la sua. Ma era tutta sbagliata, tutta distorta. Le guance erano gonfie, da maiale, il sorriso una smorfia lubrica. Appariva incredibilmente malevola.
A disagio, fece il giro della vasca per controllare gli altri castelli. Le facce presentavano differenze minime, ma sostanzialmente erano uguali.
Gli arancioni avevano tralasciato la maggior parte dei particolari, ma il risultato era comunque rozzo, mostruoso: una bocca da bruto e occhi privi di intelligenza.
I rossi gli avevano attribuito una sorta di ghigno satanico. Gli angoli della bocca avevano una strana piega sgradevole.
I bianchi, i suoi prediletti, avevano scolpito un dio stupido e crudele.
Simon Kress lanciò il bicchiere pieno di vino dall’altra parte del soggiorno, furibondo. «Voi osate» disse sottovoce. «Adesso resterete senza cibo per una settimana, maledetti...» La sua voce si era fatta acuta. «Vi insegnerò io.» Gli venne un’idea. Uscì dalla stanza, e poco dopo tornò con un’antica spada-da-lancio di ferro. Era lunga un metro, aveva la punta ancora affilata. Kress sorrise, si arrampicò e fece scivolare lateralmente il coperchio, quel tanto sufficiente per muoversi, scoprendo un angolo di deserto. Si chinò, e conficcò la lama nel castello bianco sotto di lui. La rigirò più volte, sgretolando mura e bastioni. La sabbia e le pietre crollarono, seppellendo le unità mobili che si arrampicavano. Con uno scatto del polso distrusse i lineamenti della caricatura insolente e offensiva che i re della sabbia avevano fatto della sua faccia. Poi tenne la punta della spada sospesa sopra la bocca scura, giù nella camera della mandibola, e colpì con tutte le sue forze. Udì un suono attutito, viscido, e incontrò resistenza. Tutte le unità mobili ebbero un tremito e collassarono. Kress ritirò la spada, soddisfatto.
Restò per un attimo a guardare, chiedendosi se aveva ucciso la mandibola. La punta della spada-da-lancio era umida e vischiosa. Ma alla fine i re della sabbia bianchi ricominciarono a muoversi. Debolmente, lentamente, ma si muovevano.
Stava per rimettere a posto il coperchio e passare al secondo castello, quando sentì qualcosa che gli strisciava sulla mano.
Lanciò un grido, lasciò cadere la spada, e scosse via il re della sabbia dalla mano. Cadde sul tappeto, e Kress lo schiacciò sotto il tallone, continuando a pestarlo anche dopo che era morto. All’inizio aveva sentito uno scricchiolio. A quel punto, tremando, si affrettò a sigillare di nuovo la vasca, e poi andò di corsa a farsi la doccia e ispezionarsi con cura. Mise a bollire tutti i vestiti.
Più tardi, dopo parecchi bicchieri di vino, tornò nel soggiorno. Si vergognava un po’ per come si era lasciato terrorizzare da quel re della sabbia. Ma non aveva intenzione di aprire di nuovo la vasca. Da quel momento in poi, il coperchio restò sempre sigillato. Tuttavia, doveva trovare una punizione per gli altri.
Kress decise di lubrificare i suoi processi mentali con un altro bicchiere di vino. Quando lo ebbe finito, arrivò l’ispirazione. Si avvicinò alla vasca, sorridendo, e modificò la regolazione dell’umidità.
Mentre si addormentava sul divano, con il bicchiere ancora in mano, i castelli di sabbia si dissolvevano sotto la pioggia.
Kress fu svegliato da colpi rabbiosi alla porta.
Si alzò, mezzo addormentato, la testa dolorante. I postumi di una sbronza da vino erano sempre i peggiori, pensò. Barcollò fino all’ingresso.
Fuori c’era Cath m’Lane. «Sei un mostro» lo aggredì. Aveva il viso gonfio, rigato di lacrime. «Ho pianto tutta la notte, maledetto. Ma adesso basta, Simon, basta.»
«Piano» disse lui, tenendosi la testa. «Ieri ho esagerato con l’alcol.»
Lei imprecò, lo spinse da parte ed entrò in casa. Lo shambler fece capolino per vedere che cos’era tutto quel baccano. Cath m’Lane gli sputò addosso e marciò diritta verso il soggiorno, mentre Kress la seguiva traballante, cercando invano di trattenerla. «Aspetta, ma dove... non puoi...» Kress si bloccò di colpo, atterrito. Nella mano sinistra reggeva una mazza. «No!» esclamò.
La donna puntò diritta verso la vasca dei re della sabbia. «Ti piacciono i piccoli incantatori, Simon? Allora puoi vivere con loro.»
«Cath!» gridò.
Sollevando il pesante martello con entrambe le mani, colpì la parete della vasca più forte che poté. Il rimbombo fece urlare Kress per il dolore alla testa; emise un cupo, singhiozzante suono di disperazione. La plastica però resse.
La donna colpì di nuovo. Questa volta ci fu un cedimento, e comparve un reticolo di linee sottili.
Kress si lanciò su di lei mentre si preparava a colpire per la terza volta. Rotolarono insieme per terra. Lei lasciò il martello e cercò di strangolarlo, ma Kress si liberò con uno strattone e le morse un braccio, facendolo sanguinare. Erano tutti e due malfermi sulle gambe, senza fiato.
«Dovresti vederti, Simon» disse lei con fare arcigno. «Ti cola sangue dalla bocca. Sembri uno dei tuoi animaletti domestici. Ti piace il suo gusto?»
«Vattene via» le disse. Scorse la spada-da-lancio, rimasta dove era caduta la notte precedente, e la afferrò. «Vattene via» ripeté, muovendo la spada per essere più convincente. «Non avvicinarti più a quella vasca.»
Lei loderise. «Non oseresti» disse, chinandosi per raccogliere il martello.
Kress lanciò un grido e si avventò su di lei. Prima di rendersi esattamente conto di quello che stava succedendo, la lama di ferro le era penetrata nell’addome. Cath m’Lane guardò con stupore prima lui, e poi la spada. Kress fece un passo indietro, gemendo. «Io non intendevo... volevo solo...»
Lei era trafitta, sanguinante, morta, ma non si sa perché non cadeva. «Sei un mostro» riuscì a dire, pur avendo la bocca piena di sangue. Ruotò in modo assurdo la spada dentro di sé, e con le ultime forze si scagliò contro la vasca. La parete tartassata andò in frantumi, e Cath m’Lane restò sepolta sotto una valanga di plastica, sabbia e melma.
Kress emise piccoli suoni isterici e si arrampicò sul divano.
I re della sabbia stavano affiorando dal cumulo di detriti sul pavimento del soggiorno. Si arrampicavano sul corpo di Cath. Alcuni di loro si avventurarono sul tappeto. Molti altri li seguirono.
Kress vide formarsi una colonna, un vivo, fremente plotone di re della sabbia che trasportavano qualcosa, qualcosa di informe e viscoso, un pezzo di carne cruda grosso come la testa di un uomo. Iniziarono a trasportarla lontano dalla vasca. Pulsava.
A quel punto Kress si diede alla fuga.
Era pomeriggio inoltrato quando trovò il coraggio di rientrare. Era corso al suo aeromobile ed era volato nella città più viaria, a una cinquantina di chilometri di distanza, quasi in preda ai conati per la paura. Ma una volta in salvo, aveva trovato un ristorantino, aveva buttato giù un paio di caffè e due pastiglie smaltisci-sbomia, aveva fatto una buona colazione, e a Poco a poco aveva ritrovato la calma.
Era stata una mattinata tremenda, ma rimuginarci sopra non avrebbe risolto niente. Ordinò un altro caffè e considerò la situazione con freddezza.
Cath m’Lane era morta per mano sua. Poteva sporgere denuncia, dichiarare che era stato un incidente? Poco verosimile. Dopo tutto l’aveva passata da parte a parte, e aveva anche detto alla poliziotta che si sarebbe occupato di lei. Doveva cancellare ogni prova, e sperare che lei non avesse detto a nessuno dove andava quel mattino. Era probabile. Doveva avere ricevuto il suo regalo la sera precedente sul tardi. Aveva detto che aveva pianto tutta la notte, ed era da sola quando era arrivata. Benissimo; aveva un cadavere e un aeromobile di cui sbarazzarsi.
Rimanevano i re della sabbia. Potevano creare delle difficoltà. Senza dubbio a quel punto erano scappati tutti. Al pensiero che vagassero per la casa, nel suo letto e tra i suoi vestiti, infestando il cibo, sentiva un formicolio per tutto il corpo. Rabbrividì e vinse il disgusto. In fondo non doveva essere difficile ucciderli, si ripeteva. Non doveva pensare alle singole unità mobili. L’importante erano le quattro mandibole, e basta. Ce la poteva fare. Erano grosse, lo aveva ben visto. Doveva trovarle e ucciderle.
Prima di tornare a casa Simon Kress andò a fare acquisti. Comprò una tuta di sottilpelle che lo avrebbe ricoperto dalla testa ai piedi, vari sacchetti di palline avvelenate per liberarsi dei rocciaclimber e una latta di un potente pesticida illegale. Si procurò anche un gancio magnetico da rimorchio.
Quando atterrò, agì con metodo. Per prima cosa agganciò l’aeromobile di Cath al suo con il gancio magnetico. Rovistando all’interno, ebbe il primo colpo di fortuna. Il chip di cristallo con l’olofilm di Idi Noreddian sul combattimento dei re della sabbia era sul sedile anteriore. Era stato in ansia per questo.
Quando gli aeromobili furono pronti, indossò la sottilpelle ed entrò a prendere il corpo di Cath.
Non c’era.
Frugò con attenzione tra la sabbia quasi asciutta, ma non c’erano dubbi: il cadavere era sparito. Poteva essersi trascinata da qualche parte da sola? Improbabile. Kress comunque cercò. Una rapida ispezione della casa non rivelò né il corpo né altri segni dei re della sabbia. Non aveva tempo per un’indagine più accurata, non con l’incriminante veicolo parcheggiato davanti a casa. Ci avrebbe pensato più tardi.
A circa settanta chilometri a nord della proprietà di Kress c’era una serie di vulcani attivi. Volò fin laggiù, trainando l’aeromobile di Cath. Quando arrivò sopra il cratere più grande, sganciò il gancio magnetico e guardò l’aeromobile scomparire inghiottito dalla lava.
Quando tornò a casa era ormai l’imbrunire. Allora Kress si fermò a riflettere. Valutò rapidamente l’ipotesi di volare di nuovo in città e trascorrere lì la notte, ma la scartò. Aveva troppo da fare. Non era ancora salvo.
Sparse le palline avvelenate lungo il perimetro della casa. Nessuno avrebbe trovato la cosa sospetta. Aveva sempre avuto problemi con i rocciaclimber. Quando ebbe finito, prese il pesticida e si avventurò di nuovo all’interno.
Kress setacciò tutta la casa, una stanza dopo l’altra, accendendo tutti gli interruttori, fino a essere circondato da uno sfavillio di luce artificiale. Fece una sosta per ripulire il soggiorno, rimettendo la sabbia e i frammenti di plastica nella vasca rotta. I re della sabbia se n’erano andati tutti, come aveva temuto. I castelli si erano rimpiccioliti e stortati sotto il bombardamento acqueo che Kress aveva inflitto loro, e il poco rimasto si stava sgretolando man mano che asciugava.
Si accigliò e andò avanti a cercare, con la latta di pesticida spray sulle spalle.
Giù nella cantina dove teneva il vino trovò il cadavere di Cath m’Lane.
Era sdraiato in modo scomposto ai piedi della ripida rampa di scale, gli arti piegati come a seguito di una caduta. Sciami di unità mobili bianche lo ricoprivano, e quando guardò meglio, Kress vide che il corpo si muoveva sobbalzando sul pavimento di terra battuta.
Rise, e accese la luce al massimo. Nell’angolo più lontano, tra due rastrelliere per il vino, si vedevano un castello di terra piccolo e tozzo e un buco scuro. Kress riuscì a distinguere un grossolano abbozzo della sua faccia sul muro della cantina.
Il corpo si spostò ancora, avanzando di qualche centimetro verso il castello. Kress ebbe una rapida visione della mandibola bianca in famelica attesa. Poteva riuscire a mettere in bocca un piede di Cath, ma non di più. Era troppo assurdo. Rise di nuovo, e cominciò a scendere le scale con il tubo flessibile avvolto attorno al braccio destro e il dito sul grilletto. I re della sabbia — a centinaia che si muovevano come un solo corpo — si allontanarono dal cadavere e si schierarono in linee di combattimento, un campo di unità bianche tra lui e la mandibola.
D’un tratto Kress ebbe un’altra ispirazione. Sorrise e abbassò la mano pronta a sparare. «Cath è sempre stata dura da digerire» disse, compiaciuto della propria arguzia. «Soprattutto per chi ha la vostra taglia. Ecco, lasciate che vi aiuti. Altrimenti a cosa servono gli dèi?»
Salì nuovamente di sopra, e dopo poco ritornò con una mannaia. I re della sabbia, pazienti, aspettavano, mentre Kress tagliava Cath m’Lane in piccoli pezzi facilmente digeribili.
Quella notte Simon Kress dormì con indosso la tuta di sottilpelle e il pesticida a portata di mano, ma non ne ebbe bisogno. Le unità bianche, sazie, restarono in cantina, ed egli non vide in giro nessuna delle altre.
La mattina riprese le pulizie in soggiorno. Quando ebbe finito non rimaneva traccia della colluttazione, a parte la vasca rotta.
Mangiò un pasto leggero, e ricominciò la caccia ai re della sabbia scomparsi. Alla luce del giorno non fu difficile. I neri si erano insediati nel giardino di roccia, e avevano costruito un tozzo castello con quarzo e ossidiana. I rossi li trovò sul fondo della piscina da tempo inutilizzata, che negli anni si era parzialmente riempita di sabbia trasportata dal vento. Vide le unità mobili di entrambi i colori vagare qua e là sul terreno, molte di loro trasportando palline avvelenate per le mandibole. Kress decise che il pesticida era superfluo. Inutile rischiare una battaglia quando poteva semplicemente lasciare che il veleno facesse il suo lavoro. Le due mandibole sarebbero morte prima di sera.
Quindi mancavano all’appello solo i re della sabbia arancione bruciato. Kress fece più volte il giro della proprietà, in spirali sempre più ampie, ma non trovò alcuna traccia. Quando la sottilpelle cominciò a farlo sudare — era una giornata calda e asciutta — decise che era un problema secondario. Se erano fuori, probabilmente avrebbero mangiato anche loro le palline avvelenate come gli altri.
Mentre rientrava in casa, sentì con una certa soddisfazione lo scricchiolio delle unità mobili sotto i suoi piedi. Una volta all’interno, si tolse la sottilpelle, si preparò una buona cenetta e finalmente cominciò a rilassarsi. Era tutto sotto controllo. Nel giro di poco, due mandibole sarebbero morte, la terza era al sicuro in un posto dove poteva essere facilmente eliminata una volta che avesse finito di servire ai suoi scopi, ed era sicuro di trovare la quarta. Per quanto riguardava Cath, le tracce della sua visita erano state cancellate.
Quelle piacevoli fantasticherie furono interrotte dal videofono che cominciò a lampeggiare. Era Jad Rakkis; chiamava per vantarsi di certi vermi cannibali che avrebbe portato ai giochi di guerra quella sera.
Kress se n’era scordato, ma rimediò subito. «Oh, Jad, scusami. Ho dimenticato di dirtelo. Queste cose mi hanno stufato, e mi sono sbarazzato dei re della sabbia. Piccoli mostriciattoli. Mi dispiace, ma stasera non ci sarà nessuna festa.»
Rakkis era indignato. «E adesso, che cosa me ne faccio dei vermi?»
«Mettili in un cestino di frutta e mandali a una persona che ami» rispose Kress, chiudendo la comunicazione. Poi si affrettò a chiamare gli altri. Non voleva che qualcuno andasse a fargli visita in quella situazione, con i re della sabbia vivi, in giro per la proprietà.
Mentre stava chiamando Idi Noreddian, Kress si rese conto di un seccante particolare che aveva trascurato. Lo schermo cominciava a illuminarsi, segno che qualcuno dall’altra parte aveva risposto. Kress interruppe la comunicazione. Idi arrivò come prestabilito un’ora più tardi. Restò sorpresa nell’apprendere che la festa era stata annullata, ma ben felice di trascorrere una serata da sola con Kress. Lui la deliziò con il racconto della reazione di Cath all’ologramma che avevano girato insieme. Parlando, fece in modo di accertarsi che lei non avesse accennato a nessuno di quella burla. Annuì soddisfatto, e riempì di nuovo i bicchieri. Il vino era agli sgoccioli. «Vado a Prendere un’altra bottiglia» disse. «Scendi con me in cantina, così mi aiuti a scegliere una buona annata. Hai sempre avuto un palato migliore del mio.»
Lei lo accompagnò abbastanza volentieri, ma esitò in cima alle scale quando Kress aprì la porta e le fece segno di precederlo. «La luce, dov’è?» chiese. «E che cos’è questo strano odore, Simon?»
Quando lui le diede una spinta, il suo viso assunse un’espressione spaventata. Lanciò un grido ruzzolando giù per le scale. Kress chiuse la porta, e cominciò a inchiodarla con delle tavole di legno e il martello ad aria compressa che aveva preparato per l’occasione. Mentre finiva, sentì Idi gemere. «Mi sono fatta male. Simon, perché fai così?» D’un tratto uno strillo, dopodiché cominciarono le urla.
Andarono avanti per ore. Kress si sedette davanti al sensorio, e digitò una commedia leggera per cancellarle dalla sua mente.
Quando fu sicuro che era morta, Kress trainò l’aeromobile della donna verso nord e lo sganciò nel vulcano. Il gancio magnetico si era dimostrato un buon investimento.
Quando la mattina dopo Kress scese per dare un’occhiata, dalla cantina proveniva uno strano rumore, come di qualcuno che raspava la porta. Restò in ascolto per alcuni istanti, a disagio, chiedendosi se Idi Noreddian potesse essere sopravvissuta e stesse cercando di uscire. Era improbabile; dovevano essere i re della sabbia. Ma le implicazioni di quella spiegazione non lo rassicurarono affatto. Kress decise che avrebbe lasciato la porta sigillata, almeno per il momento, e uscì con una pala per seppellire le due mandibole, quella rossa e quella nera, nei rispettivi castelli.
Le trovò tutt’altro che moribonde.
Il castello nero scintillava di vetro vulcanico, gremito di re della sabbia che eseguivano riparazioni e migliorie. La torre più alta gli arrivava alla cintola, e sulla cima c’era una maschera ripugnante della sua faccia. Quando si avvicinò, le unità mobili nere sospesero le attività e si schierarono in due falangi minacciose. Kress si guardò alle spalle e ne vide delle altre che gli stavano chiudendo la via di fuga. Spaventato, lasciò cadere la pala e si allontanò di corsa dalla trappola, schiacciando alcune unità sotto gli stivali.
Il castello rosso stava crescendo lentamente fino a raggiungere l’altezza delle pareti della piscina. La mandibola se ne stava tranquillamente adagiata in una fossa, circondata da concrezioni di sassi e sabbia e da bastioni. Le unità rosse si aggiravano sul fondo della piscina. Kress le guardò trasportare nel castello un rocciaclimber e una grossa lucertola. Si ritrasse dal bordo della piscina, inorridito, e sentì un rumore di ganasce. Guardò giù: tre unità mobili si stavano arrampicando sulla sua gamba. Le spazzò via e le calpestò, ma altre si avvicinavano rapidamente. Erano molto più grandi di come le ricordava. Alcune avevano quasi la dimensione del suo pollice.
Kress si mise a correre. Il tempo di mettersi in salvo in casa, ed era senza fiato, con il cuore che batteva all’impazzata. Chiuse la porta, affrettandosi a far scattare la serratura. La casa doveva essere a prova di parassiti. Lì sarebbe stato al sicuro.
Una bella dose di alcol gli calmò i nervi. Dunque il veleno non fa niente, pensò. Avrebbe dovuto immaginarlo. Wo gli aveva detto che la mandibola può mangiare di tutto. Avrebbe fatto meglio a usare il pesticida. Per maggior sicurezza Kress bevve un altro bicchiere, poi indossò la tuta di sottilpelle e si assicurò la latta sulla schiena. Aprì la porta.
Fuori, i re della sabbia stavano aspettando.
Davanti a lui c’erano due eserciti, alleati contro la minaccia comune, più numerosi di quanto avrebbe mai immaginato. Quelle mandibole dovevano essere prolifiche come i rocciaclimber. I re della sabbia dappertutto, un oceano strisciante.
Kress sollevò il tubo flessibile e azionò il grilletto. Un velo di nebbia grigia si rovesciò sulla prima fila. Spostò il getto da una parte e dall’altra.
Dove cadeva la schiuma, i re della sabbia si contorcevano violentemente e morivano tra spasmi improvvisi. Kress sorrise. Non avevano scampo con lui. Spruzzò disegnando un ampio arco davanti a sé e avanzò sicuro verso un ammasso di corpi neri e rossi. Gli eserciti si ritirarono. Kress si spinse avanti, con l’intenzione di aprirsi un varco fino alle mandibole.
D’un tratto la ritirata si arrestò. Un migliaio di re della sabbia si sollevarono contro di lui.
Kress si era aspettato il contrattacco. Mantenne la sua posizione, facendo oscillare il tubo nebulizzante davanti a sé con grandi spazzate circolari. Marciavano verso di lui e morivano. Alcuni riuscirono a passare; non poteva innaffiare dappertutto contemporaneamente. Li sentiva che gli si arrampicavano su per le gambe, avvertiva le loro ganasce che mordevano inutilmente la plastica rinforzata della sottilpelle. Li ignorò, e andò avanti a spruzzare.
Poi cominciò a sentire dei tonfi leggeri sulla testa e sulle spalle.
Kress rabbrividì, in preda al panico, e guardò in su. La facciata della casa brulicava di re della sabbia neri e rossi, a centinaia. Si stavano lanciando nel vuoto, piovendogli addosso. Cadevano intorno a lui. Uno gli atterrò sulla visiera, le sue mascelle annasparono verso i suoi occhi per un terribile secondo, prima che lui lo spazzasse via.
Sollevò il tubo, spruzzò in aria e irrorò la casa, finché i re della sabbia aerei non furono tutti morti o morenti. La nebbiolina gli ricadde addosso, seccandogli la gola. Tossì e continuò a spruzzare il pesticida. Solo quando la facciata della casa fu ripulita, Kress rivolse di nuovo l’attenzione verso terra.
Era circondato: decine di unità mobili gli scorrazzavano sul corpo, e altre centinaia stavano accorrendo in rinforzo. Rivolse il getto verso di loro. A un certo punto il getto morì. Kress udì un forte sibilo, e la nebbia mortifera si levò in una grande nuvola alle sue spalle, ricoprendolo, soffocandolo, irritandogli gli occhi e offuscandogli la vista. Risalì il tubo a tentoni, e la sua mano si ritrasse coperta di re della sabbia agonizzanti: era stato reciso, lo avevano eroso. Kress era avvolto da un sudario di pesticida, accecato. Inciampò, lanciò un grido e prese a correre verso la casa, strappandosi freneticamente i re della sabbia dal corpo.
Una volta dentro, chiuse la porta e si lasciò cadere sul tappeto, rotolandosi da una parte e dall’altra finché non fu sicuro di averli uccisi tutti. La latta nel frattempo era finita, con un sibilo. Kress si strappò di dosso la sottilpelle e fece la doccia. L’acqua calda lo ustionò, lasciandogli la pelle arrossata e sensibile, ma gli tolse il formicolio.
Indossò gli abiti più pesanti che aveva, spessi pantaloni da lavoro e gambali di cuoio, dopo averli scossi nervosamente. «Maledizione» continuava a ripetere «maledizione.» Aveva la gola secca. Dopo avere ispezionato con attenzione l’ingresso, per assicurarsi che fosse pulito, si concesse di mettersi a sedere e versarsi da bere. «Maledizione» ripeté. La sua mano tremava mentre si riempiva un bicchiere, rovesciando metà del liquore sul tappeto.
L’alcol lo calmò, ma non gli tolse la paura. Dopo essersi servito di nuovo, si affacciò furtivamente alla finestra. I re della sabbia brulicavano dall’altra parte del pannello di plastica. Kress rabbrividì e si diresse al quadro comandi per la telecomunicazione. Aveva bisogno di aiuto, pensò febbrilmente. Avrebbe inviato un appello alle autorità, la polizia sarebbe intervenuta con i lanciafiamme e...
Simon Kress si fermò a metà numero, ed emise un gemito. Non poteva chiamare la polizia. Avrebbe dovuto dire loro dei bianchi in cantina e avrebbero scoperto anche i cadaveri. Forse a quell’ora la mandibola aveva finito Cath m’Lane, ma di certo non Idi Noreddian. Non l’aveva neanche fatta a pezzi. E poi ci sarebbero comunque state le ossa. No, la polizia andava chiamata come ultima risorsa.
Si sedette alla console con espressione accigliata. La sua attrezzatura per la telecomunicazione occupava un’intera parete; da lì poteva raggiungere chiunque su Baldur. Non gli mancavano i soldi e l’astuzia: era sempre stato orgoglioso dei suoi guizzi d’ingegno. In un modo o nell’altro se la sarebbe cavata anche quella volta.
Prese per un attimo in considerazione l’ipotesi di chiamare Wo, ma lasciò subito cadere l’idea. Wo sapeva troppo, poteva fare domande, e Kress non si fidava di lei. No, aveva bisogno di qualcuno che agisse senza fare domande.
La sua fronte si spianò, e lentamente tornò il sorriso. Simon Kress aveva dei contatti. Digitò la chiamata per un numero che non usava da tanto tempo.
Sul videofono prese forma il viso di una donna: i capelli bianchi, l’espressione mite, e un lungo naso ricurvo. La sua voce era secca ed efficiente. «Ciao, Simon. Come va il lavoro?» disse.
«Tutto bene, Lissandra» rispose Kress. «Ho un incarico per te.»
«Una rimozione? I miei prezzi sono saliti dall’ultima volta, Simon. Sono passati ormai dieci anni.»
«Sarai pagata bene» assicurò Kress. «Conosci la mia generosità. Voglio che tu mi faccia una bella disinfestazione.»
La donna fece un sorrisetto. «È inutile ricorrere a eufemismi, Simon. La chiamata è protetta.»
«No, parlo sul serio. Ho un problema di parassiti. Animali pericolosi. Occupati di loro per conto mio. Niente domande, intesi?»
«Ricevuto.»
«Bene. Ti serviranno... mmh, tre o quattro operatori. Sottilpelli resistenti alle alte temperature, lanciafiamme o laser, roba del genere. Venite a casa mia. Vedrete qual è il problema. Cimici: molte, molte cimici. Nel mio giardino di roccia e nella vecchia piscina troverete dei castelli: distruggeteli, uccidete tutto quello che c’è dentro. Poi bussate alla porta, e vi mostrerò cos’altro bisogna fare. Potete arrivare rapidamente?»
Il viso della donna era rimasto impassibile. «Partiremo entro un’ora.»
Lissandra fu di parola. Arrivò a bordo di un affusolato aeromobile nero, accompagnata da tre operatori. Tenendosi al riparo, Kress li guardava da una finestra del secondo piano. Coperti da capo a piedi da sottilpelli di plastica scura, erano senzafaccia. Due di loro imbracciavano lanciafiamme portatili, il terzo aveva un cannone laser e dell’esplosivo. Lissandra non portava niente; Kress la riconobbe da come impartiva gli ordini.
Il loro aeromobile aveva perlustrato la zona a volo radente, per farsi un’idea della situazione. I re della sabbia sembravano impazziti. Le unità mobili rosse e quelle ebano erano corse in tutte le direzioni, freneticamente. Dal suo punto d’osservazione privilegiato Kress poteva scorgere il castello nel giardino di roccia. Era alto quanto un uomo. I suoi bastioni erano gremiti di difensori neri, e un flusso costante di unità mobili scendeva giù nelle segrete.
L’aeromobile di Lissandra atterrò vicino a quello di Kress, gli operatori saltarono giù con le armi spianate. Avevano un aspetto inumano, letale.
L’esercito nero si schierò tra loro e il castello. I rossi... d’un tratto Kress si rese conto che non riusciva a vedere i rossi. Batté le palpebre. Dov’erano finiti?
Lissandra indicò e lanciò un grido: due lanciafiamme entrarono in azione contro i re della sabbia neri. Le armi tossirono in modo sordo e cominciarono a tuonare: lunghe lingue di fuoco azzurognolo-rossastre saettarono dalle loro bocche. I re della sabbia restarono carbonizzati e caddero. Gli operatori puntavano il fuoco prima da una parte e poi dall’altra, con un efficiente schema a scacchiera. Avanzavano con passi cauti e misurati.
L’esercito nero era bruciato, disintegrato, le unità mobili scappavano in mille direzioni, alcune tornavano verso il castello, altre marciavano incontro al nemico. Nessuna raggiunse gli operatori con i lanciafiamme. Gli uomini di Lissandra erano molto professionali.
Poi uno di loro inciampò.
O almeno così parve. Kress guardò meglio, e vide che il terreno sotto di lui stava cedendo. Delle gallerie, pensò con un brivido di paura: tunnel, trappole, tranelli. L’operatore con il lanciafiamme era sprofondato fino alla vita, e subito il terreno intorno a lui sembrò entrare in eruzione, e l’uomo fu ricoperto da re della sabbia rossi. Lasciò cadere il lanciafiamme e cominciò a grattarsi selvaggiamente. Le sue urla erano orribili.
Il compagno esitò, poi si girò e fece fuoco. Una fiammata inghiottì l’uomo e i re della sabbia. Le urla cessarono all’istante. Soddisfatto, il collega si voltò di nuovo verso il castello e avanzò di un altro passo, ma si bloccò pieno di terrore quando sentì il suo piede sprofondare e svanire fino all’anca. Cercò di estrarlo e tornare indietro, ma il terreno intorno a lui si aprì in una voragine. L’uomo perse l’equilibrio, vacillò, agitando le braccia; i re della sabbia erano ovunque, una massa brulicante, lo ricoprirono mentre si contorceva e roteava. Il suo lanciafiamme era inutile e dimenticato.
Kress batté come un pazzo alla finestra, gridando per richiamare l’attenzione. «Il castello! Distruggete il castello!»
Lissandra, che era rimasta vicino al suo aeromobile, lo udì e fece cenno di sì. Il terzo operatore prese la mira con il cannone laser e sparò. Il raggio pulsò attraverso il giardino e scoperchiò il castello. Lo abbassò notevolmente, sgretolando la sabbia e i parapetti in pietra. Le torri crollarono. La faccia di Kress si disintegrò. Il laser penetrò nel terreno, frugando in varie direzioni. Il castello rovinò; adesso era solo un cumulo di sabbia. Ma le unità nere continuavano a muoversi. La mandibola era sepolta troppo in profondità, non l’avevano colpita.
Lissandra impartì un altro ordine. L’operatore lasciò il laser, preparò dell’esplosivo e si lanciò in avanti. Superò con un balzo il cadavere del primo operatore, atterrò sul terreno compatto all’interno del giardino roccioso di Kress, e tirò. L’ordigno atterrò proprio sulle rovine del castello nero. Una vampata incandescente bruciò gli occhi di Kress, e si alzò un potente getto di sabbia, roccia e unità mobili. Per un attimo la polvere oscurò tutto. Piovvero re della sabbia, o loro brandelli.
Kress vide che le unità mobili nere erano morte e stecchite.
«La piscina» gridò dalla finestra. «Prendete il castello nella piscina.»
Lissandra capì subito; il terreno era disseminato di neri senza vita, ma i rossi si stavano ritirando e riorganizzavano i ranghi. Il suo operatore restò incerto, poi allungò il braccio e preparò altro esplosivo. Avanzò di un passo, ma Lissandra lo richiamò, e lui tornò indietro di corsa.
Dopodiché tutto procedette speditamente. L’operatore salì a bordo dell’aeromobile, e Lissandra decollò. Kress corse alla finestra di un’altra stanza per vedere. Scesero in picchiata sulla piscina, e l’operatore sganciò le bombe dall’alto sul castello rosso, senza esporsi. Dopo il quarto passaggio, il castello era irriconoscibile, e i re della sabbia avevano smesso di muoversi.
Lissandra ce l’aveva fatta. Ordinò di lanciare ancora altre bombe sui castelli. Poi l’operatore usò il cannone laser, zigzagando metodicamente finché non risultò evidente che sotto quelle zolle di terra non poteva essere rimasto niente di vivo.
Quando tutto fu finito, andarono a bussare alla porta. Kress li fece entrare con la faccia irrigidita in un sorriso che pareva un ghigno. «Bravi, bravi» si complimentò.
Lissandra si tolse la maschera di sottilpelle. «Tutto questo ti costerà un bel po’ di quattrini, Simon. Due operatori morti, per non parlare del pericolo che ho dovuto correre personalmente.»
«Certamente» la rassicurò Kress. «Sarai pagata bene, Lissandra. Quello che vorrai, appena finito il lavoro.»
«Che cosa resta ancora da fare?»
«Dovete ripulire la cantina» disse Kress. «C’è un altro castello. E dovrete farlo senza usare gli esplosivi. Non voglio che mi crolli in testa la casa.» Lissandra fece cenno all’operatore. «Esci a prendere il lanciafiamme di Rajk. Dev’essere intatto.»
L’uomo tornò armato, pronto, silenzioso. Kress fece strada.
La pesante porta della cantina era ancora inchiodata, così come l’aveva lasciata. Mostrava solo una leggera protuberanza verso l’esterno, come se fosse sottoposta a una enorme pressione. La cosa fece sentire Kress a disagio, come del resto il silenzio che calò su di loro. Si tenne a una certa distanza dalla porta quando Lissandra e l’operatore tolsero i chiodi e le assi. «È sicuro qui dentro?» si trovò a mormorare, indicando il lanciafiamme. «Non vorrei che scoppiasse un incendio, capite?»
«Ho il laser» rispose Lissandra. «Userò quello per l’eliminazione. Probabilmente il lanciafiamme non sarà necessario, ma preferisco averlo in caso di bisogno. Ci sono mali peggiori del fuoco, Simon.»
Kress annuì.
Venne staccata anche l’ultima asse. Dalla cantina non proveniva alcun rumore. Lissandra diede un ordine secco, il subalterno indietreggiò e prese posizione alle sue spalle, puntando il lanciafiamme diritto verso la porta. Lei si infilò di nuovo la maschera, sollevò il laser, avanzò di un passo e spalancò la porta.
Nessun movimento. Nessun rumore. Laggiù era buio.
«Dov’è la luce?» chiese Lissandra.
«Subito dopo la porta, sulla destra» rispose Kress. «Attenta alle scale, sono piuttosto ripide.»
Lei varcò la soglia, passò il laser nella sinistra e allungò la destra, cercando a tentoni l’interruttore. Non successe niente. «Lo sento» disse Lissandra «ma a quanto pare non...»
Poi lanciò un grido, e barcollò all’indietro. Un grande re della sabbia bianco le si era avvinghiato al polso. Il sangue sgorgava dalla sottilpelle là dove erano affondate le ganasce. Era grande quanto la sua mano.
Lissandra si mosse per la stanza in un orribile balletto, sbattendo la mano contro la parete più vicina. Più e più volte. Si udivano i tonfi pesanti della carne spiaccicata. Alla fine il re della sabbia si staccò. Lei piagnucolò e cadde in ginocchio. «Penso di essermi rotta le dita» disse debolmente. Continuava a uscirle sangue. Aveva lasciato cadere il laser vicino alla porta della cantina.
«Non ho intenzione di scendere là sotto» annunciò l’operatore con voce decisa.
Lissandra lo guardò dal basso in alto. «No» rispose. «Mettiti sulla porta e brucia tutto. Riduci tutto in cenere. Chiaro?»
Lui fece cenno di sì con la testa.
Simon Kress si lamentò. «La mia casa» gemette. Gli si contorsero le budella. Il re della sabbia bianco era così grosso. Quanti altri ce n’erano laggiù? «Fermi» esclamò. «Lasciate stare. Ho cambiato idea. Basta.»
Lissandra non capì. Gli mostrò la mano. Era ricoperta di sangue e di un icore nero-verdognolo. «Il tuo amichetto mi ha morso tranciando di netto il guanto, e hai visto che cosa ci è voluto per staccarlo. Me ne infischio della tua casa, Simon. Tutto quello che c’è là sotto deve morire.»
Kress la udì appena. Pensò di avere intravisto del movimento tra le ombre, oltre la porta della cantina. Immaginò un esercito bianco che avanzava, formato da tanti re della sabbia grandi come quello che aveva attaccato Lissandra. Si vide sollevato da cento piccole braccia, e trascinato giù nell’oscurità, dove la mandibola attendeva famelica. Era terrorizzato. «Non fate niente» ripeté.
Lo ignorarono.
Kress si lanciò in avanti, e la sua spalla urtò contro la schiena dell’uomo di Lissandra, proprio mentre stava per aprire il fuoco. Questi grugnì, perse l’equilibrio e cadde in avanti nel buio. Kress lo sentì precipitare giù per le scale. Dopo si udirono altri rumori: suoni attutiti di qualcosa che corre, tenta di mordere, come di vischioso.
Kress si voltò per affrontare Lissandra. Grondava sudore freddo, ma in lui c’era una sorta di eccitazione malsana. Quasi sessuale.
Gli occhi calmi e glaciali di Lissandra lo fissavano attraverso la maschera. «Che cosa stai facendo?» gli chiese, quando Kress raccolse il laser che lei aveva lasciato cadere. «Simon!»
«Voglio fare la pace» disse con una risatina imbarazzata. «Non faranno del male al loro dio, almeno finché sarà un dio buono e generoso. Sono stato crudele. Ho fatto patire loro la fame. Adesso devo rimediare, capisci.»
«Tu sei pazzo» disse Lissandra. Furono le sue ultime parole. Con una fiammata Kress le aprì nel petto un foro abbastanza grande da farci passare un braccio. Trascinò il cadavere sul pavimento e lo fece rotolare giù per le scale. I rumori furono più forti: urti di carapaci, raschi, echi di qualcosa di denso e liquido. Kress inchiodò nuovamente le assi sulla porta.
Allontanandosi, provò un profondo senso di soddisfazione che rivestiva la sua paura come uno strato di sciroppo. Sospettò che non fosse roba sua.
Progettò di abbandonare la casa, fuggire in città e prendere una camera per una notte, o magari per un anno. Invece cominciò a bere. Non sapeva bene perché. Andò avanti per ore, finché vomitò tutto con forti conati sul tappeto del soggiorno. Dopo di che si addormentò. Quando si svegliò, nella casa era buio pesto.
Si raggomitolò contro il divano. Sentiva dei rumori. Qualcosa si stava muovendo sulle pareti. Erano tutt’intorno a lui. Il suo udito era estremamente acuto. Ogni cigolio corrispondeva al passo di un re della sabbia. Chiuse gli occhi e aspettò, nell’attesa del terribile contatto, con la paura di muoversi nel timore di urtare una di quelle creature.
Kress gemette, e restò immobile per un po’, ma non successe niente.
Aprì di nuovo gli occhi. Tremava. A poco a poco le ombre cominciarono a diradarsi e dileguarsi. Il chiaro di luna filtrava attraverso le alte finestre. I suoi occhi si adattarono.
Il soggiorno era deserto. Non c’era niente, solo le sue paure da ubriaco.
Simon Kress si armò di coraggio, si alzò e accese la luce.
Niente. La stanza era silenziosa, deserta.
Restò in ascolto. Niente. Nessun rumore. Niente sulle pareti. Era stato tutto frutto della sua immaginazione, della sua paura.
I ricordi di Lissandra e di quella cosa in cantina gli tornavano spontaneamente alla memoria. Un sentimento di vergogna e di rabbia lo invase. Perché lo aveva fatto? Avrebbe potuto darle una mano a bruciarla, eliminarla. Perché... lui lo sapeva. Era stata la mandibola, era stata lei a fargli nascere dentro la paura. Wo aveva detto che aveva poteri psionici nonostante le piccole dimensioni. E adesso era diventata grande, enorme. Aveva banchettato con Cath e Idi, e adesso laggiù c’erano altri due cadaveri. Avrebbe continuato a crescere. E aveva imparato a gustare la carne umana, pensò.
Cominciò a tremare, ma poi si dominò e recuperò la calma. Non gli avrebbe fatto del male. Lui era dio. I bianchi erano sempre stati i suoi preferiti.
Ricordò come l’aveva pugnalata con la spada-da-lancio. Era successo prima dell’arrivo di Cath, maledizione a lei.
Kress non poteva restare lì. La mandibola avrebbe avuto fame di nuovo. Grande com’era, non ci sarebbe voluto tanto. Il suo appetito sarebbe stato mostruoso. Che cosa sarebbe stata capace di fare, allora? Doveva andarsene, mettersi in salvo in città, mentre lei si trovava ancora in cantina. Giù c’era solo intonaco e terra battuta: le unità mobili avrebbero potuto scavare, aprire una galleria. E una volta libere... Kress non voleva pensarci.
Andò in camera sua e fece i bagagli. Prese tre valigie. Gli serviva solo un cambio di vestiti; il resto dello spazio lo riempì con oggetti di valore, gioielli, pezzi d’arte e altre cose che non si sentiva di lasciare. Non pensava di ritornare.
Lo shambler lo seguì giù per le scale, fissandolo con i suoi demoniaci occhi incandescenti. Era magrissimo. Kress si rese conto che erano secoli che non gli dava da mangiare. Di solito riusciva a cavarsela da solo, ma indubbiamente negli ultimi tempi la scelta si era ridotta. Quando l’animale cercò di aggrapparsi alle sue gambe, gli ringhiò contro e lo allontanò con una pedata, e quello corse via, offeso.
Kress uscì furtivo, trascinando le valigie, e chiuse la porta dietro di sé.
Per un momento si appoggiò contro il muro della casa, con il cuore che gli batteva forte. Ormai c’erano solo pochi metri, tra lui e l’aeromobile. Aveva paura a percorrerli. Il chiaro di luna brillava intensamente, il terreno davanti alla casa era uno scenario di carneficina. I corpi dei due operatori di Lissandra erano rimasti dove erano caduti, l’uno contorto e carbonizzato, l’altro sepolto sotto una massa di re della sabbia morti. E tutto intorno a lui c’erano unità mobili, nere e rosse. Bisognava fare uno sforzo per ricordare che erano morte: sembravano solo in attesa, come se lo avessero fatto altre volte.
Un’assurdità, si disse Kress. Le solite paure da ubriaco. Aveva visto i castelli cadere a pezzi. Erano morti tutti, e la mandibola bianca era intrappolata giù in cantina. Fece alcuni profondi respiri e camminò sopra i re della sabbia. Li sentì scricchiolare sotto i piedi. Li ridusse rabbiosamente in polvere. Nessuno di essi si mosse.
Kress sorrise, e attraversò con calma il campo di battaglia, ascoltando i rumori, il suono della salvezza.
Croc, crac, croc.
Posò le valigie a terra e aprì lo sportello dell’aeromobile.
Qualcosa si mosse nel passaggio dall’oscurità alla luce. Una pallida ombra sul sedile del veicolo, lunga come il suo avambraccio. Udì le ganasce chiudersi con uno scatto delicato, e alzarsi verso di lui sei occhietti distribuiti lungo tutto il corpo.
Kress se la fece sotto e indietreggiò lentamente.
Altri movimenti nell’abitacolo. Aveva lasciato lo sportello aperto. Il re della sabbia uscì, avanzando verso di lui, guardingo. Altri lo seguivano. Erano stati nascosti sotto i sedili, rintanati nell’imbottitura. Adesso però uscivano allo scoperto. Formarono un anello frastagliato attorno all’aeromobile.
Kress si inumidì le labbra, si girò e andò rapidamente verso il veicolo di Lissandra.
Si fermò ancora prima di aver percorso metà del tragitto. Anche lì qualcosa si muoveva nell’abitacolo. Cose simili a grosse larve, intraviste nel chiarore della luna.
Kress emise un lamento e tornò verso casa. Arrivato alla porta d’ingresso guardò in alto. Contò una decina di lunghe ombre bianche che strisciavano lungo i muri dell’edificio. Quattro di esse erano raggruppate vicino alla cima della torretta campanaria abbandonata, dove un tempo era appollaiato l’avvoltoio. Stavano incidendo qualcosa. Un volto. Facilmente riconoscibile.
Simon Kress lanciò un urlo e corse dentro.
Una certa quantità di alcol gli procurò il piacevole oblio che cercava. Ma poi si svegliò, nonostante tutto si svegliò. Aveva un forte mal di testa, l’alito pesante ed era affamato. Sì, affamato come non era mai stato.
Kress sapeva che non era il suo stomaco a reclamare cibo.
Un re della sabbia bianco lo fissava dall’alto del cassettone in camera da letto, con le antenne che si muovevano impercettibilmente. Era grande come quello nell’aeromobile la notte precedente. Kress aveva la gola riarsa, come carta vetrata. Si inumidì le labbra e uscì dalla stanza.
La casa era piena di re della sabbia: doveva stare attento a dove metteva i piedi. Sembravano tutti indaffarati, ognuno se ne andava per conto proprio. Stavano apportando delle modifiche alla casa, entrando e uscendo dai muri, scolpendo qualcosa. Per due volte vide la propria effigie che lo fissava dai punti più impensabili. E sempre le facce erano alterate, contorte, livide di paura.
Uscì a prendere i cadaveri che stavano marcendo in mezzo al cortile, sperando di placare la fame della mandibola bianca. Erano entrambi spariti. Kress ricordò la facilità con cui le unità mobili potevano trasportare cose molte volte più pesanti di loro.
Era terribile pensare che, anche dopo quello, la mandibola potesse avere ancora fame.
Quando Kress rientrò in casa, una colonna di re della sabbia stava scendendo per le scale. Ognuno trasportava un pezzo del suo shambler. La testa sembrò fissarlo con aria di rimprovero, mentre lo superavano.
Kress svuotò i surgelatori, gli armadietti, tutto, accatastando sul pavimento della cucina tutto il cibo che aveva in casa. Una decina di bianchi aspettava di portarlo via. Evitarono i surgelati, lasciandoli a scongelarsi in una grande pozza, ma presero tutto il resto.
Finite le scorte, Kress sentì attenuarsi i morsi della fame, anche se non aveva mangiato niente. Però sapeva che la tregua sarebbe durata poco. Presto la mandibola avrebbe avuto ancora fame. Doveva nutrirla.
Kress sapeva cosa fare. Si diresse verso il telecomunicatore. «Malada» esordì con naturalezza, quando la prima dell’elenco dei suoi amici rispose. «Stasera do una festicciola. Mi rendo conto che il preavviso è veramente minimo, ma spero che tu riesca a venire. Lo spero proprio.»
Poi chiamò Jad Rakkis, e via via gli altri. Quando ebbe finito, nove avevano accettato l’invito. Kress si augurava che sarebbero bastati.
Andò ad accogliere gli ospiti all’esterno della casa — le unità mobili avevano ripulito tutto straordinariamente in fretta, e il giardino era quasi tornato come prima della battaglia — e li accompagnò fino alla porta. Li fece entrare, ma non li seguì.
Quando i primi quattro arrivati furono dentro, Kress raccolse tutto il suo coraggio. Chiuse la porta dietro l’ultimo ospite, ignorando le esclamazioni spaventate che ben presto diventarono acuti farfugliamenti, e scattò verso l’aeromobile con cui erano arrivati. Salì a bordo, sfiorò la piastra di partenza e imprecò. Ovviamente era programmata per poter decollare solo con l’impronta del pollice del suo proprietario.
Poi arrivò Jad Rakkis. Kress corse verso il suo aeromobile appena toccò terra, afferrò Rakkis per un braccio mentre stava scendendo. «Torna subito a bordo, presto» disse, spingendolo. «Portami in città. Dai, Jad. Andiamo via di qui!»
Ma Rakkis si limitò a fissarlo, e non si decideva a muoversi. «Perché, cosa c’è che non va, Simon? Non capisco. E la festa?»
A quel punto era troppo tardi, la sabbia smossa attorno a loro si stava animando, occhi rossi li fissavano e si udiva un battere di ganasce. Rakkis emise un suono strozzato, e fece per risalire sull’aeromobile, ma un paio di mascelle si chiusero di scatto all’altezza della sua anca, e lui improvvisamente si ritrovò in ginocchio. La sabbia sembrò ribollire di un’attività sotterranea. Jad si dimenò e gridò come un ossesso mentre veniva fatto a pezzi. Kress riuscì a stento a guardare.
Da quel momento non cercò più di fuggire. Quando tutto fu finito, diede fondo all’armadietto dei liquori, e si prese una sbronza colossale. Sapeva che sarebbe stata l’ultima bevuta. Tutti gli alcolici rimasti erano giù in cantina.
Kress non toccò cibo in tutto il giorno, ma si addormentò con la sensazione di essere pieno, finalmente sazio, la tremenda fame era scomparsa. Il suo ultimo pensiero cosciente, prima che gli incubi lo assalissero, fu chi avrebbe potuto chiamare l’indomani.
Il mattino era caldo e asciutto. Kress aprì gli occhi e vide il re della sabbia bianco di nuovo sul cassettone. Li richiuse subito, sperando di uscire dal sogno. Non fu così, e non poteva riaddormentarsi. Si ritrovò ben presto a fissare la creatura.
La osservò per cinque minuti prima di rendersi conto della stranezza: il re della sabbia non si muoveva.
Le unità potevano stare incredibilmente immobili, d’accordo. Le aveva viste aspettare e fissare qualcosa un sacco di volte. Ma in loro c’era sempre qualche movimento: l’aprirsi e chiudersi delle mascelle, le zampe che si contraevano, le lunghe antenne sottili che vibravano e oscillavano.
Invece il re della sabbia sul cassettone era assolutamente immobile.
Kress si alzò, trattenendo il fiato, senza osare sperare. Che fosse morto? Che qualcosa lo avesse ucciso? Attraversò la stanza.
Gli occhi erano vitrei e neri. La creatura sembrava rigonfia, come se fosse imputridita all’interno riempiendosi di gas che premeva contro le piastre del bianco carapace.
Kress allungò la mano tremante e lo toccò.
Era caldo, quasi bollente, e si stavano scaldando sempre di più. Però non si muoveva.
Ritirò la mano, e come lo fece un frammento dell’esoscheletro bianco si staccò. La carne sotto era dello stesso colore, ma sembrava più morbida, turgida e febbricitante. Pareva quasi pulsare.
Kress si ritrasse e corse verso la porta.
In corridoio c’erano altre tre unità mobili bianche. Erano come quella in camera da letto.
Scese di corsa le scale, scavalcando altri re della sabbia. Nessuno si muoveva. La casa ne era piena, tutti morti, morenti o in coma. A Kress non importava che cosa avessero, solo che non si potevano muovere.
Ne trovò quattro nell’aeromobile. Li raccolse uno alla volta, e li lanciò più lontano che poté. Maledetti mostri. Risalì a bordo, sui sedili mezzo smangiati, e sfiorò la piastra di partenza.
Non successe niente.
Riprovò di nuovo, e poi ancora. Niente. Non era giusto. Quello era il suo aeromobile, doveva partire, non capiva perché non decollasse.
Alla fine scese e controllò, temendo il peggio. Era così. I re della sabbia avevano strappato la griglia di gravità. Era in trappola. Ancora.
Con aria truce ritornò in casa. Andò nella veranda e trovò l’antica ascia che aveva appeso vicino alla spada-da-lancio che aveva usato per Cath m’Lane. Si mise all’opera. I re della sabbia non reagivano neanche se li faceva a pezzi. Quando li colpiva la prima volta schizzavano, i loro corpi sembravano scoppiare. L’interno era orribile: strani organi non ancora ben formati, una fanghiglia rossastra e vischiosa che assomigliava al sangue umano, e dell’icore giallo.
Kress ne distrusse venti prima di rendersi conto dell’inutilità di quello che stava facendo. Le unità mobili, infatti, non contavano niente. Inoltre, erano una miriade. Avrebbe potuto lavorare giorno e notte, e non riuscire a ucciderle tutte.
Doveva scendere in cantina, e colpire con l’ascia la mandibola.
Si incamminò deciso. Arrivò davanti alla porta, e si bloccò.
Non c’era neanche più una porta. Le pareti erano state sgretolate, per cui l’apertura era il doppio di prima, e rotonda. Come l’imboccatura di una miniera. Neppure un segno a indicare che lì c’era stata una porta chiusa con assi inchiodate su quell’abisso nero.
Da sotto si sprigionava un odore spettrale, fetido, soffocante.
E le pareti erano bagnate di sangue e ricoperte da chiazze di muffa bianca.
Ma il peggio era che quella cosa respirava.
Kress, dalla parte opposta della stanza, sentì il fiato caldo dell’espirazione che lo investiva, e cercò di non soffocare, e quando quel vento invertì la direzione scappò.
Tornato in soggiorno, distrusse altre tre unità mobili, poi si accasciò. Che cosa stava succedendo? Non capiva.
Poi si ricordò dell’unica persona che poteva saperlo. Si diresse di nuovo verso il telecomunicatore, calpestando nella fretta un’unità mobile, e pregò fervidamente che l’apparecchio funzionasse ancora.
Quando Jala Wo rispose, crollò e le raccontò tutto.
Lei lo lasciò parlare senza interromperlo, nessuna reazione a parte un’espressione leggermente accigliata sul pallido viso emaciato. Quando Kress ebbe finito, disse soltanto: «Dovrei lasciarla lì».
Kress cominciò a balbettare. «Non può. La prego, mi aiuti. La pagherò...»
«Dovrei» ripeté Wo «ma non lo farò.»
«Grazie» esclamò Kress. «Oh, grazie...»
«Stia zitto» disse Wo. «Mi ascolti. È tutta opera sua. Se uno li tratta bene, i re della sabbia si comportano come cortesi guerrieri rituali. Lei ha trasformato i suoi in qualcos’altro, con privazioni e torture. Era il loro dio. Li ha resi quello che adesso sono. La mandibola in cantina è malata, soffre ancora per la ferita che le ha inferto. Probabilmente è impazzita. Il suo comportamento è... anomalo.
«Deve andare subito via di lì, Kress. Le unità mobili non sono morte, sono in letargo. Le ho detto che il loro esoscheletro cade quando aumentano di dimensione. Normalmente, in effetti, cade molto prima. Non ho mai sentito di re della sabbia diventati grandi come i suoi che rimangono ancora a livello di insettoidi. Credo sia un altro risultato della menomazione subita dalla mandibola bianca. Ma non ha importanza ora.
«Ciò che conta è la metamorfosi che i suoi re della sabbia stanno attraversando. Vede, man mano che la mandibola cresce, diventa sempre più intelligente. I suoi poteri psionici si rafforzano, e la mente diventa più raffinata e ambiziosa. Le unità mobili rivestite di carapace sono utili quando la mandibola è piccola e solo semisenziente, ma adesso ha bisogno di servitori migliori, corpi con delle potenzialità, capisce? Tutte le unità mobili stanno per dare origine a una nuova razza di re della sabbia. Non posso dirle con esattezza quale sarà il loro aspetto. Ogni mandibola le progetta a seconda dei propri bisogni e desideri. Ma saranno bipedi, con quattro braccia, e pollice opponibile. Saranno in grado di costruire e far funzionare macchine di tipo avanzato. I singoli individui non saranno senzienti. La mandibola invece avrà poteri molto speciali.»
Simon Kress era a bocca aperta davanti all’immagine di Wo sul videofono. «I vostri operai» disse, a fatica. «Quelli che sono venuti qui... che hanno predisposto la vasca...»
Jala Wo fece un timido sorriso. «Ombra» disse.
«Ombra è un re della sabbia» ripeté Kress trasognato. «E voi mi avete venduto una nidiata di... neonati...»
«Non sia assurdo» replicò Wo. «Un re della sabbia al primo stadio è più simile a dello sperma che a un neonato. In natura le guerre li mitigano e li tengono sotto controllo. Solo uno su cento arriva al secondo stadio. E soltanto uno su mille raggiunge il terzo stadio, quello finale, diventando come Ombra. I re della sabbia adulti non sono sentimentali nei confronti delle piccole mandibole. Ce ne sono troppe, e le loro unità mobili sono infestanti.» Wo sospirò. «Tutto questo discorso è una perdita di tempo. Quel re della sabbia bianco ben presto diventerà totalmente senziente. Non avrà più bisogno di lei, Kress, anzi la odia, e sarà molto affamato. La trasformazione è faticosa. La mandibola deve mangiare enormi quantità di cibo prima e dopo. Quindi lei deve allontanarsi da lì. Ha capito?»
«Non posso» rispose Kress. «Il mio aeromobile è distrutto, e non riesco a far partire gli altri. Non so come fare per riprogrammarli. Potete venirmi a prendere?»
«Sì» disse Wo. «Ombra e io partiremo subito, ma da Asgard sono più di duecento chilometri, e dobbiamo portare l’attrezzatura per debellare il re della sabbia impazzito che lei ha generato. Nel frattempo non resti lì. Ha due gambe, cammini. Si diriga verso est, con la maggiore approssimazione possibile, e più in fretta che può. La zona è piuttosto brulla, la rintracceremo facilmente con uno scandaglio aereo, e lontano dal re della sabbia sarà al sicuro. È tutto chiaro?»
«Sì, certo» rispose Simon Kress.
Chiusero la comunicazione, e lui si diresse subito verso la porta. A metà strada udì un rumore, non capì se di qualcosa che scoppiava o che si incrinava.
Uno dei re della sabbia si era aperto in due. Dalla fessura uscirono quattro piccole mani, ricoperte di un sangue giallo-rosaceo, che cominciarono a spingere da parte il rivestimento morto.
Kress si mise a correre.
Non aveva tenuto conto della temperatura.
Le colline erano aride e rocciose. Kress si allontanò dalla casa più velocemente che poté, corse finché sentì male alle costole e iniziò ad annaspare, senza fiato. Allora si mise a camminare, ma appena si riprese cominciò a correre di nuovo. Per quasi un’ora corse e camminò, alternativamente, sotto un sole cocente. Sudava copiosamente, e avrebbe voluto essersi portato dell’acqua. Scrutò il cielo, nella speranza di scorgere Wo e Ombra.
Non era fatto per quelle cose. Il clima era troppo caldo e secco, e lui non era in forma. Ma si sforzò di proseguire, ricordando come aveva sentito respirare la mandibola e pensando alle piccole creature brulicanti che in quel momento stavano di certo scorrazzando per la casa. Sperò che Wo e Ombra sapessero che cosa farne.
Da parte sua aveva dei progetti per quei due. Era tutta colpa loro, aveva concluso, e ne avrebbero patito le conseguenze. Lissandra era morta, ma conosceva altri professionisti come lei. Kress si sarebbe vendicato. Se lo ripromise cento volte, mentre avanzava stanco e sudato verso est.
O almeno quello che sperava fosse l’Est. Non aveva un grande senso dell’orientamento, e non era sicuro della direzione che aveva preso all’inizio, in preda al panico com’era, anche se dopo si era sforzato di procedere verso est, come Wo gli aveva suggerito.
Dopo aver corso per ore, senza alcuna traccia dei soccorritori, Kress cominciò a convincersi di essersi sbagliato.
Poi la paura cominciò a invaderlo. E se Wo e Ombra non riuscivano a trovarlo? Sarebbe morto laggiù. Non mangiava da due giorni, era debole e spaventato, aveva la gola infuocata per mancanza di acqua. Non poteva proseguire. Il sole stava tramontando, e quando avesse fatto buio sarebbe stato completamente allo sbando. Che cosa era successo? I re della sabbia avevano mangiato Wo e Ombra? La paura lo assalì di nuovo e si impadronì di lui, e al tempo stesso sentì una grande sete e una fame tremenda. Ma non si fermò. Adesso, quando cercava di correre, incespicava, cadde per due volte. La seconda volta si scorticò una mano contro una roccia, e uscì del sangue. Si succhiò la ferita sempre continuando a camminare, preoccupato per una possibile infezione.
Il sole era sceso all’orizzonte, alle sue spalle. La terra diventò un po’ più fresca, cosa di cui Kress fu contento. Decise di camminare fino all’ultimo barbaglio di luce e poi di fermarsi durante la notte. Di certo era abbastanza lontano dai re della sabbia per essere al sicuro, e la mattina successiva Wo e Ombra lo avrebbero trovato.
Quando ebbe raggiunto la cima dell’altura, vide di fronte a sé la sagoma di una casa.
Non aveva le dimensioni della sua, ma era abbastanza grande. Era un’abitazione, la salvezza. Kress gridò e si mise a correre in quella direzione. Cibo, acqua, sarebbe stato nutrito, avrebbe finalmente potuto fare un pasto. Sentiva i morsi della fame. Corse giù per la collina verso la casa, agitando le braccia e urlando per richiamare l’attenzione degli abitanti. La luce ormai se n’era quasi andata, ma riusciva ancora a distinguere una mezza dozzina di bambini che giocavano nella penombra. «Ehi, laggiù» gridò. «Aiuto, aiuto.»
Loro gli corsero incontro.
Kress si fermò di colpo. «No. Oh, no» esclamò. «No, no.» Si voltò, scivolò sulla sabbia, si rialzò e cercò di correre ancora. Lo raggiunsero con facilità. Erano piccoli esseri orribili con occhi sporgenti e la pelle color arancione bruciato. Kress si divincolò, ma fu inutile. Per quanto fossero piccoli, ognuno di loro aveva quattro braccia e Kress soltanto due.
Lo portarono verso la casa. Era una costruzione misera e malandata, fatta di sabbia sgretolata, ma la porta era piuttosto grande, scura, e... respirava. Era orribile, ma non fu questo che fece urlare Simon Kress. Gridò a causa degli altri, dei piccoli bambini arancioni che sciamarono fuori dal castello, e lo fissarono imperturbabili mentre passava.
La loro faccia era assolutamente identica alla sua.