33 Nella trama

Senza smontare di sella, Perrin guardò, accigliato, la pietra piatta seminascosta dalle erbacce lungo la strada. Quella strada in terra battuta, chiamata Strada del Lugard, ora che si avvicinavano al fiume Manetherendrelle e alla frontiera lugardiana, in un lontano passato era selciata (così aveva detto Moiraine due giorni prima) e di tanto in tanto frammenti di selciato ancora affioravano in superficie. Quella pietra aveva un segno bizzarro.

Se i cani avessero lasciato orme sulla pietra, lui avrebbe detto che quel segno era l’impronta d’un grosso segugio. Nel terreno brullo, dove la terra più morbida poteva conservarle, non c’erano orme di segugio e lui non fiutava usta di cani. Nell’aria aleggiava solo una debole traccia di bruciato, simile al puzzo di zolfo dopo lo scoppio di fuochi d’artificio. Più avanti, alla confluenza fra strada e fiume, c’era un paesotto: forse dei ragazzini erano venuti di nascosto fin lì a far scoppiare qualche prodotto degli Illuminatori.

Una gran bella distanza, per dei ragazzini, si disse. Ma aveva visto alcune case coloniche. Forse si trattava di ragazzi di quelle fattorie. Comunque, l’odore nell’aria non aveva niente a che fare con l’impronta sulla pietra. Gli asini non volano e i cani non lasciano orme sulle pietre. Si sentiva troppo stanco per pensare correttamente.

Sbadigliò e diede di tallone a Stepper; il grigio si lanciò al galoppo dietro agli altri. Moiraine li aveva spinti duramente, dopo la partenza da Jarra, e non avrebbe aspettato nessuno che si fosse fermato anche per poco. Quando l’Aes Sedai prendeva una decisione, era dura come ferro martellato a freddo. Sei giorni prima, Loial aveva smesso di leggere durante il cammino, dopo essersi ritrovato indietro d’un miglio, mentre gli altri scomparivano oltre la cresta della collina seguente.

Perrin fece rallentare Stepper accanto all’enorme cavallo dell’Ogier, dietro la giumenta bianca di Moiraine, e sbadigliò di nuovo. Lan era da qualche parte più avanti, in avanscoperta. Il sole, alle loro spalle, in meno di un’ora sarebbe sceso dietro le cime degli alberi, ma il Custode aveva detto che prima di buio sarebbero giunti in un paese chiamato Remen, sul Manetherendrelle. Perrin non era sicuro di voler scoprire che cosa li aspettava laggiù. Non immaginava di che cosa potesse trattarsi, ma, dopo Jarra, era diventato diffidente.

«Non capisco perché non puoi dormire» disse Loial. «Quando lei ci lascerà fermare per la notte, sarò così stanco da prendere sonno prima d’essermi disteso.»

Perrin si limitò a scuotere la testa. Non poteva spiegare a Loial che non osava dormire profondamente e che perfino il dormiveglia gli si riempiva di sogni tormentosi. Come quello in cui comparivano Egwene e Hopper. Be’, non era sorprendente che sognasse Egwene. Chissà come stava. Al sicuro nella Torre, ormai, a imparare come divenire Aes Sedai. Verin avrebbe badato a lei e anche a Mat. Nynaeve non avrebbe avuto bisogno di nessuno che badasse a lei; intorno a Nynaeve, secondo lui, erano gli altri ad avere bisogno di qualcuno che badasse a loro.

Non voleva pensare a Hopper. Riusciva a tenere fuori della propria mente i lupi vivi, seppure a costo di sentirsi come se una mano frettolosa l’avesse martellato e stiracchiato; non voleva che un lupo ormai morto gli si insinuasse nei pensieri. Si scosse e si costrinse a spalancare gli occhi. Neppure Hopper.

C’erano altre ragioni, non solo i brutti sogni, per la voglia di non dormire sodo. Avevano trovato altri segni del passaggio di Rand. Fra Jarra e il fiume Eldar non ce n’erano stati; ma, attraversato l’Eldar sul ponte di pietra che descriveva un arco alto cinquanta piedi da una riva all’altra, si erano lasciati alle spalle un paesino chiamato Sidon, ridotto in cenere. Fino all’ultimo edificio. Solo alcuni muri di pietra e qualche camino rimanevano fra le macerie.

Malconci paesani avevano detto che l’incendio era stato provocato da una lanterna caduta in un fienile; poi il fuoco si era scatenato e ogni cosa era andata per storto. Metà dei secchi disponibili era tutta un buco. Le pareti in fiamme erano crollate verso l’esterno e avevano appiccato fuoco alle case contigue. Travi ardenti della locanda erano rotolate chissà come fino al pozzo principale nella piazza, per cui non era stato possibile attingere acqua per combattere l’incendio; alcune case erano crollate proprio sopra altri tre pozzi. Perfino il vento era parso capriccioso e aveva alimentato le fiamme in tutte le direzioni.

Era stato superfluo domandare a Moiraine se l’accaduto era da imputare alla presenza di Rand: il suo viso, freddo come acciaio, era di per sé una risposta. Il Disegno si sagomava intorno a Rand e il caso impazziva.

Dopo Sidon, avevano attraversato altri quattro paesini, ma solo l’abilità di Lan aveva detto che Rand era passato da lì. Rand era a piedi, ora, già da un poco. Avevano trovato il suo cavallo nei pressi di Jarra, morto, sbranato da lupi o da cani inselvatichiti. Per Perrin era stato duro non aprire la mente al contatto, soprattutto quando Moiraine aveva alzato gli occhi, pensierosa, e l’aveva fissato. Per fortuna Lan aveva trovato le tracce degli stivali di Rand, che partivano dal punto dove il cavallo era morto. Uno stivale aveva nel tacco un taglio triangolare provocato da una roccia, che rendeva facile riconoscere le impronte. Però, a piedi o a cavallo, Rand pareva tenersi sempre avanti a loro.

Nei quattro villaggi dopo Sidon, l’evento più entusiasmante che gli abitanti ricordassero era l’arrivo di Loial e la scoperta che si trattava di un vero Ogier in carne e ossa. La gente era rimasta così colpita da non notare gli occhi di Perrin; e quando qualcuno li notò... be’, se gli Ogier esistevano davvero, allora gli uomini potevano avere occhi di qualsiasi colore.

Ma dopo ci fu un piccolo villaggio chiamato Willar, dove si faceva festa. Nel prato comune era tornata la primavera, dopo un anno passato a portare acqua dal fiume a un miglio di distanza, quando ogni tentativo di scavare pozzi era fallito e metà della popolazione se n’era andata. Alla fin fine, Willar non sarebbe morto. Seguirono in rapida successione altri tre villaggi, tutti in una sola giornata, e poi ci fu Samaha, dove ogni pozzo si era prosciugato proprio la notte precedente e tutti mormoravano attribuendone la colpa al Tenebroso; e poi Tallan, dove solo la mattina precedente tutte le antiche ruggini erano tornate a galla come latrine straripanti ed erano stati necessari tre omicidi per riportare tutti alla ragione; e infine Fyall, dove le messi di quella primavera parevano le più misere a memoria d’uomo, ma il sindaco, scavando dietro casa una nuova latrina, aveva scoperto dei sacchi di cuoio mezzo marcio pieni d’oro, così nessuno avrebbe sofferto la fame. Nessuno, a Fyall, riconosceva le grosse monete con una faccia di donna da un lato e un’aquila dall’altro; Moiraine disse che erano state coniate nel Manetheren.

Alla fine, una sera, mentre sedevano intorno al fuoco, Perrin sollevò l’argomento. «Dopo Jarra» disse «ho pensato... Erano così felici, con tutte quelle nozze. Perfino i Manti Bianchi parevano un gruppo di sciocchi. Fyall va bene... non si può incolpare Rand del cattivo raccolto: le messi erano misere già prima che arrivasse lui e quell’oro è di certo una buona cosa, vista la situazione... ma tutto il resto... Il villaggio incendiato, i pozzi prosciugati... Questo è male, Moiraine. Non credo che Rand sia malvagio. Forse il Disegno si sagoma intorno a lui, ma come può essere così malvagio? Non ha senso. E tutto deve avere un senso. Se fai un utensile privo di senso, è metallo sprecato. Il Disegno non farebbe sprechi.»

Lan gli rivolse un’occhiata ironica e svanì nel buio per fare il giro intorno al campo. Loial, già disteso sulla coperta, rizzò la testa per ascoltare.

Per un poco Moiraine rimase in silenzio a scaldarsi le mani. Alla fine, fissando le fiamme, si decise a parlare. «Il Creatore è il bene, Perrin. Il Padre delle Menzogne è il male. Il Disegno dell’Epoca, il Merletto dell’Epoca, non è né l’uno né l’altro. Il Disegno è ciò che è. La Ruota del Tempo intesse nel Disegno tutte le vite, tutte le azioni. Un disegno di un unico colore non è un disegno. Per il Disegno di un’Epoca, male e bene sono trama e ordito.»

Anche cavalcando sotto il sole del tardo pomeriggio, tre giorni dopo, Perrin sentiva il gelo provato quando Moiraine aveva detto queste parole. Voleva credere che il Disegno fosse il bene. Voleva credere che, quando gli uomini facevano il male, andavano contro il Disegno, lo distorcevano. Per lui il Disegno era una bella e complessa creazione di un mastro artigiano. Il fatto che al buon acciaio unisse metallo scadente, senza il minimo ritegno, era un pensiero raggelante.

«Ma io me ne preoccupo» borbottò sottovoce. «Luce santa, se me ne preoccupo.» Moiraine si girò a guardarlo e Perrin tacque. Non sapeva bene di che cosa si preoccupasse l’Aes Sedai, a parte Rand.

Qualche minuto più tardi Lan ricomparve e si affiancò a Moiraine. «Remen è proprio al di là della prossima collina» disse. «Hanno avuto un paio di giorni pieni d’eventi, pare.»

Loial agitò le orecchie. «Rand?»

«Non lo so. Forse Moiraine capirà, quando avrà visto.» L’Aes Sedai gli rivolse un’occhiata interrogativa, poi spronò la giumenta.

Risalirono la collina e sotto di loro videro Remen, stagliato contro il fiume. Il Manetherendrelle in quel punto era largo più di mezzo miglio; non c’erano ponti, ma si vedevano due affollati traghetti simili a zattere che procedevano lentamente, spinti da lunghi remi, mentre un terzo, quasi vuoto, tornava. Altri tre erano ormeggiati a lunghi pontili di pietra, insieme con una decina di vascelli mercantili, alcuni a un solo albero, altri a due. Tozzi magazzini di pietra separavano i moli dal paese vero e proprio, i cui edifici parevano per la maggior parte di pietra, con tetti di tegole d’ogni colore, dal giallo al rosso al viola; dalla piazza centrale, le vie si dipartivano in ogni direzione.

Prima di scendere la collina, Moiraine si calò sugli occhi il cappuccio per nascondere il viso.

Come al solito, la gente per la strada fissava Loial; ma stavolta Perrin udì mormorii di stupore reverenziale: «Un Ogier!»

Loial si tenne dritto in sella più del consueto, a orecchie tese, con un accenno di sorriso. Cercava di non mostrarsi compiaciuto, ma aveva l’aria del gatto a cui grattino la testa.

Remen pareva simile a decine d’altri grossi villaggi: Perrin vi colse odori d’uomo e di cose fatte dall’uomo, oltre naturalmente all’intenso odore di fiume; si domandava che cosa avesse voluto dire Lan, quando si sentì rizzare i capelli: aveva colto un odore... sbagliato. L’odore sparì subito, come crine su braci ardenti, ma Perrin lo ricordò. Lo aveva già fiutato a Jarra e anche allora era svanito allo stesso modo. Non era di un Deforme né di un Mai-Nato, né di Trolloc né di Fade, eppure era altrettanto acuto, altrettanto malefico. Ma pareva che chiunque mandasse quel puzzo non lasciasse traccia durevole.

Entrarono nella piazza. Proprio al centro, un grosso blocco di pavimentazione era stato scalzato per innalzare una forca. Un grosso palo sosteneva un’asta trasversale controventata da cui pendeva una gabbia di ferro, a dieci piedi da terra. Un uomo alto, vestito di grigio e di marrone, sedeva nella gabbia, tenendo le ginocchia contro il mento. Non aveva spazio per altre posizioni. Tre bambini gli tiravano sassi. L’uomo guardava dritto davanti a sé e rimaneva impassibile anche quando un sasso entrava fra le sbarre e lo colpiva. Il sangue gli colava sul viso. Anche i passanti non badavano ai bambini, ma guardavano la gabbia, quasi tutti con approvazione, alcuni con paura.

Moiraine emise un suono strozzato, forse di disgusto.

«C’è dell’altro» disse Lan. «Vieni. Ho già preso delle stanze in una locanda. Lo troverai interessante, credo.»

Mentre seguiva gli altri, Perrin girò la testa a guardare l’uomo in gabbia. Trovava nello sconosciuto qualcosa di familiare, ma non sapeva identificarla.

«Non dovrebbero fare certe cose» disse Loial, con un brontolio che era quasi un ringhio. «I bambini, voglio dire. Gli adulti dovrebbero impedirglielo.»

«Dovrebbero» convenne Perrin, senza badargli troppo. Come mai gli pareva di conoscere quell’uomo?

La locanda, situata più vicino al fiume, si chiamava Forgia del Viandante; Perrin lo ritenne un buon auspicio, anche se nel locale non c’era niente che ricordasse le fucine, a parte l’uomo dal grembiule di cuoio, col martello in pugno, dipinto sull’insegna. Si trattava di un grande edificio a tre piani, in pietre grigie squadrate e levigate, con tegole viola, ampie finestre, porte intagliate a volute, aspetto florido. Garzoni di stalla accorsero a prendere i cavalli e s’inchinarono anche più profondamente, quando Lan tirò loro alcune monete.

All’interno, Perrin guardò gli avventori. Uomini e donne ai tavoli indossavano gli abiti della festa: da un bel pezzo non vedeva tante giubbe ricamate, merletti, nastri variopinti e sciarpe frangiate. Soltanto quattro uomini seduti allo stesso tavolo indossavano giubbe normali: furono gli unici a non alzare gli occhi all’ingresso di Perrin e degli altri, ma continuarono a parlare sottovoce. Perrin riuscì a udire brani dei loro discorsi sulla convenienza di commerciare pepe dei ghiacci anziché pellicce e sull’aumento dei prezzi a causa delle agitazioni nella Saldaea. Capitani di navi mercantili, si disse. Gli altri parevano gente del posto. Anche le cameriere erano in ghingheri: i lunghi grembiuli coprivano vesti ricamate e adorne di trine al colletto.

La cucina lavorava a tutto spiano: Perrin sentì profumo di montone, vitello, pollo, manzo, verdure. E di una focaccia alle spezie che per un attimo gli fece dimenticare la carne.

Quasi sulla soglia li accolse il locandiere in persona, un tipo grassoccio e pelato, con occhi castani e lucenti, faccia rosea e liscia, che s’inchinò, sfregandosi le mani. Se non si fosse presentato, Perrin non l’avrebbe ritenuto il proprietario: invece del solito grembiule bianco, indossava come tutti la giubba, di pesante lana azzurra con ricami in bianco e verde, che lo faceva sudare.

Perrin si domandò come mai fossero tutti vestiti a festa.

«Ah, padron Andra» disse il locandiere, rivolgendosi a Lan. «È un Ogier, proprio come avevi anticipato. Non che ne dubitassi, certo. No, con tutto quello che è accaduto... e non metterei mai in dubbio la tua parola, mastro Andra. Perché non un Ogier? Ah, amico Ogier, non sai quanto sono compiaciuto d’averti in casa. È una cosa molto bella e la degna conclusione di tutto. Ah, e la padrona...» Notò la seta azzurro scuro della veste e la ricca lana del mantello, impolverati per il viaggio ma sempre assai eleganti. «Chiedo scusa, lady.» Si piegò in due come ferro di cavallo. «Padron Andra non ha chiarito il tuo stato sociale, lady. Non intendevo mancarti di rispetto. Sei più benvenuta dell’amico Ogier, naturalmente, lady. Ti prego, non offenderti per la lingua scortese di Gainor Furlan.»

«Nessuna offesa» replicò Moiraine, con calma, accettando il titolo datole da Furlan. Non era la prima volta che l’Aes Sedai si presentava sotto falso nome e fingeva d’essere chi non era. E neppure la prima volta che Perrin aveva udito Lan farsi chiamare Andra. Il cappuccio calato sugli occhi nascondeva ancora il viso liscio da Aes Sedai e con la mano Moiraine si stringeva nel mantello come se avesse freddo. Ma non la mano con l’anello del Gran Serpente. «Ho sentito dire, locandiere, che nella tua locanda sono accaduti eventi bizzarri. Niente che infastidisca i viaggiatori, mi auguro.»

«Ah, lady, bizzarri davvero. La tua raggiante presenza, oltre a quella dell’Ogier, è più che sufficiente a onorare quest’umile casa; ma a Remen, proprio alla Forgia del Viandante, ci sono anche dei Cercatori del Corno di Valere, partiti da Illian per amore d’avventure. E avventure hanno trovato, lady, proprio qui a Remen: appena un paio di miglia a monte del fiume, hanno avuto uno scontro con i selvaggi Aiel, nientemeno! Riesci a immaginare, lady, la presenza nell’Altara di selvaggi Aiel dal velo nero?»

Aiel. Perrin capì come mai l’uomo in gabbia gli era parso familiare. Aveva visto un Aiel, una volta: uno dei fieri, quasi leggendari, abitanti di quel territorio aspro e selvaggio chiamato Deserto Aiel. L’Aiel da lui incontrato era molto simile a Rand, più alto della media, con occhi grigi e capelli rossicci, vestito come l’uomo in gabbia, tutto grigio e marrone che si confondevano con rocce e cespugli, e morbidi stivali legati al ginocchio. A Perrin parve di udire le parole di Min: «Un Aiel in gabbia. Una svolta nella tua vita, o un evento importante».

«Perché avete...» S’interruppe per schiarirsi la voce, in modo che non sonasse così aspra. «Come mai c’è un Aiel in gabbia proprio al centro della piazza?»

«Ah, padrone, questa è una storia da...» Furlan lasciò perdere il seguito, squadrandolo da tutti i lati, notando gli abiti da campagnolo e il lungo arco, soffermandosi sull’ascia alla cintola, dall’altro lato della faretra. Trasalì, quando con l’esame giunse al viso di Perrin, come se, con una lady e un Ogier presenti, avesse notato solo in quel momento gli occhi gialli. «Si tratta del tuo servitore, padron Andra?» domandò, prudente.

«Rispondigli» si limitò a dire Lan.

«Ah, sì, certo, padron Andra. Ma c’è chi può raccontarlo meglio di me: lord Orban in persona. Ci siamo riuniti proprio per ascoltare lui.»

Un uomo d’età giovanile, dai capelli scuri, in giubba rossa, con la testa fasciata, scendeva in quel momento la scala a lato della sala comune, usando stampelle imbottite: un’altra fasciatura gli avvolgeva il polpaccio sinistro, dalla caviglia al ginocchio. Dagli avventori si levò un mormorio, come alla vista di una scena stupefacente. I quattro capitani continuarono a discutere sottovoce: adesso parlavano di pellicce.

Forse Furlan pensava che l’uomo in giubba rossa avrebbe raccontato meglio la storia, comunque proseguì: «Lord Orban e lord Gann hanno affrontato venti Aiel, pur avendo solo dieci servitori. Ah, uno scontro feroce e duro, con molte ferite inferte e ricevute. Sei bravi servitori sono morti e ognuno ha riportato ferite, lord Orban e lord Gann le più gravi; ma hanno ucciso tutti gli Aiel, esclusi quelli che sono fuggiti e l’unico che è stato preso prigioniero. L’avete visto nella piazza; non darà più fastidio a nessuno, con i suoi barbari modi, come quelli morti.»

«In questo distretto avete avuto fastidi dagli Aiel?» domandò Moiraine.

Perrin in quel momento si domandava la stessa cosa e con non poca costernazione. Di tanto in tanto, per indicare un tipo violento, alcuni usavano ancora l’espressione “Aiel velato di nero", a testimonianza dell’impressione lasciata dalla Guerra Aiel, che però ormai risaliva a vent’anni prima; da allora, e prima d’allora, gli Aiel non erano mai usciti dal deserto. Eppure lui ne aveva visto uno, da questa parte della Dorsale del Mondo, e ora ne aveva visto un secondo.

Il locandiere si sfregò la pelata. «Ah, no, lady, non proprio. Ma li avrebbero provocati di sicuro: venti selvaggi sguinzagliati nei dintorni. Tutti ricordano come uccisero, saccheggiarono, incendiarono, quando hanno attraversato il Cairhien. Uomini del nostro villaggio parteciparono alla battaglia delle Mura Lucenti, quando le nazioni si unirono per ricacciare gli Aiel nel loro deserto. A quel tempo soffrivo di uno strappo alla schiena e non potei partecipare, ma lo ricordo bene, come tutti noi. Però non so come mai siano venuti qui, così lontano dalle loro terre, né per quale motivo; comunque, lord Orban e lord Gann ci hanno salvati da loro.» Dalla gente in abito da festa provenne un mormorio d’assenso.

Orban stesso attraversò zoppicando la sala comune, come se non vedesse nessuno tranne il locandiere. Prima ancora che s’avvicinasse, Perrin sentì puzzo di vino stantio. «Dov’è finita quella vecchia con le sue erbe, Furlan?» domandò aspramente Orban. «Gann soffre per le ferite e io mi sento scoppiare la testa.»

Furlan s’inchinò fin quasi a sfiorare con la pelata il pavimento. «Ah, Mamma Leich tornerà domattina, lord Orban. Un parto, milord. Ma ha detto d’avere suturato e medicato le tue ferite e quelle di lord Gann, quindi non c’è da preoccuparsi. Ah, lord Orban, sono sicuro che verrà a visitarvi come prima cosa, domattina.»

L’altro borbottò sottovoce — per tutti, ma non per Perrin — qualcosa a proposito d’assistere una contadina che “figliava” e d’essere stato “cucito come un sacco di farina". Girò lo sguardo, cupo e rabbioso, e solo allora parve scorgere i nuovi venuti. Lasciò perdere subito Perrin, che peraltro non si sorprese. Sgranò un poco gli occhi nel vedere Loial ("Ha già visto gli Ogier” pensò Perrin “ma non pensava di trovarne uno qui."), li socchiuse scrutando Lan ("Riconosce un uomo abile con le armi, se lo vede, e non gli piace vederne.") e s’illuminò chinandosi a scrutare dentro il cappuccio di Moiraine, per quanto non fosse abbastanza vicino da vederla in viso.

Perrin decise di non immischiarsi e si augurò che Moiraine e Lan lasciassero perdere. Il lampo negli occhi del Custode gli rivelò che almeno questa parte dell’augurio non si sarebbe verificata.

«Dodici di voi hanno combattuto venti Aiel?» domandò Lan, in tono piatto.

Orban si raddrizzò con un sobbalzo. In tono elaboratamente casuale rispose: «Sì, bisogna aspettarsi incidenti del genere, quando si cerca il Corno di Valere. Non è stato il primo di questi incontri, per Gann e me, e non sarà l’ultimo, prima che troviamo il Corno. Se la Luce splenderà su di noi.» Lo disse come se la Luce fosse quasi obbligata a splendere su di loro. «Non tutti i nostri scontri sono stati contro degli Aiel, naturalmente, ma ci sono sempre coloro che fermerebbero i Cercatori, se potessero. Gann e io non ci lasciamo fermare facilmente.» Dagli avventori provenne un altro mormorio d’approvazione. Orban si raddrizzò ancora un poco.

«Avete perso sei uomini e fatto un prigioniero» disse Lan; dal tono, non era chiaro se lo ritenesse un successo o un fiasco.

«Sì, abbiamo ucciso gli altri, tranne quelli che sono fuggiti. Di sicuro al momento nasconderanno i loro morti, come ho sentito dire che usano fare. I Manti Bianchi sono andati a cercarli, ma non li troveranno mai.»

«Ci sono Manti Bianchi in paese?» intervenne Perrin.

Orban gli diede un’occhiata e lo trascurò di nuovo. Si rivolse a Lan. «I Manti Bianchi mettono sempre il naso dove non c’è bisogno di loro e nessuno li vuole. Sono una banda d’incapaci, tutti quanti. Sì, per giorni e giorni gireranno per le campagne, ma dubito che riescano a trovare anche solo la propria ombra.»

«Immagino di no» disse Lan.

Orban corrugò la fronte, come se non capisse bene che cosa avesse inteso dire Lan, e si rivolse di nuovo al locandiere. «Cerca quella vecchia!» disse. «La testa mi scoppia.» Diede un’occhiata a Lan, si allontanò a passo malfermo e risalì i gradini uno alla volta, seguito dal mormorio d’ammirazione per un Cercatore che aveva ucciso degli Aiel.

«Un villaggio pieno d’eventi» disse Loial, con voce profonda che attirò tutti gli sguardi. Fatta eccezione per i quattro capitani, che parevano discutere di gomene, a quanto capì Perrin. «Dovunque vada, voi esseri umani fate qualcosa, correte da tutte le parti, incappate in eventi insoliti. Come sopportate una vita così movimentata?»

«Ah, amico Ogier» disse Furlan «è tipico della razza umana cercare vita movimentata. Quanto rimpiango di non aver potuto marciare alle Mura Lucenti! Be’, lascia che ti dica...»

«Le nostre stanze.» Moiraine non alzò la voce, ma le sue parole colpirono il locandiere come coltelli acuminati. «Andra ha preso delle stanze, no?»

«Ah, lady, chiedo scusa. Sì, padron Andra ha preso delle stanze. Scusami, ti piego. Tutta questa confusione mi fa perdere la testa. Scusami, lady. Da questa parte, prego. Seguitemi.» Inchinandosi e fregandosi le mani, scusandosi e cianciando senza smettere un attimo, li precedette su per la scala.

In cima, Perrin si fermò a guardare di sotto. Udiva mormorii di “Lady” e di “Ogier", sentiva gli sguardi di tutti, ma gli pareva di sentire un paio d’occhi in particolare, puntati non su Moiraine e Loial, ma su di lui.

Individuò subito la persona. Innanzi tutto, stava in disparte; e poi era l’unica donna che non portava almeno un ornamento di trina. La veste grigio scuro, quasi nero, era di tipo comune come l’abbigliamento dei quattro capitani, con ampie maniche, sottane strette e nemmeno un punto di ricamo. La veste era divisa in due per montare a cavallo e la donna calzava stivali che spuntavano dall’orlo. Era giovane, più o meno della sua età, e di alta statura, per una donna; aveva capelli neri lunghi alla spalla, naso un po’ troppo grosso e troppo dritto, bocca generosa, zigomi alti, occhi scuri leggermente a mandorla. Perrin non avrebbe saputo dire se era bella o no.

Appena lui si era girato a guardare la sala, la donna si era rivolta a una cameriera e non aveva più guardato dalla parte delle scale; ma Perrin era sicuro di non essersi sbagliato: la donna aveva fissato proprio lui.

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