— Ma le idee non possono fare del male a nessuno!

— Io ho trasformato le cose in numeri per comprenderle. Ma loro vogliono avere il controllo — disse amaro Simon. — Loro sono penetrati nei miei numeri come…

Gridò.

DALLA A NOI O LO FAREMO A PEZZI.

Esk guardò la faccia da incubo che vedeva più vicina.

— Come so che posso fidarmi di voi? — chiese.

TU NON PUOI FIDARTI DI NOI. MA NON HAI SCELTA.

Esk fissò il cerchio di volti che perfino un necrofilo avrebbe disdegnato. Volti messi insieme con gli scarti di un pescivendolo, volti presi a casaccio tra le creature celate nelle fosse oceaniche e nelle caverne infestate dalle apparizioni. Volti non abbastanza umani per mostrare una espressione malvagia o lasciva. E tuttavia minacciosi come un gorgo sospetto vicino a un incauto bagnante.

Lei non poteva fidarsi di loro. Ma non aveva scelta.


Intanto un’altra vicenda si svolgeva in un luogo lontano quanto lo spessore di un’ombra.

Gli apprendisti maghi erano tornati di corsa nella Grande Sala, dove Tagliangolo e la Nonnina erano ancora avvinghiati nell’equivalente magico di una presa di lotta libera. Sotto il corpo della Nonnina le lastre di pietra erano mezze fuse e piene di crepe e dietro Tagliangolo, il tavolo aveva messo le radici e già portava una ricca messe di ghiande.

Uno degli studenti si era guadagnato varie ricompense al valore, avendo osato di tirare il bordo del mantello dell’Arcicancelliere…

E adesso si affollavano tutti nella stanzetta e guardavano i due corpi.

Tagliangolo convocò i medici del corpo e i medici della mente, che si misero all’opera. Nella stanza si diffuse il ronzio della magia.

La Nonnina batté una mano sulla spalla del grande mago.

— Una parola all’orecchio, giovanotto — gli disse.

Lui sospirò. — Non direi giovane, signora, non direi proprio. — Si sentiva svuotato. Erano passati decenni da quando aveva duellato con la magia, sebbene questa fosse cosa abbastanza comune tra gli studenti. Aveva il brutto presentimento che alla fine la Nonnina avrebbe vinto. Combattere con lei, era come schiacciarsi una mosca sul naso. Non riusciva a capire come gli fosse venuto in mente di provarci.

La Nonnina lo condusse nel corridoio e a un sedile sotto la finestra, voltato l’angolo. La vecchia si sedette e appoggiò la scopa alla parete. La pioggia tamburellava forte sui tetti e delle saette indicavano che si stava avvicinando alla città un temporale degno delle Ramtop.

— È stata una dimostrazione davvero notevole — disse. — Sei stato per vincere una o due volte.

— Oh! — Tagliangolo si rianimò. — Lo pensi seriamente?

La Nonnina annuì.

Tagliangolo si tastò la tunica in vari posti finché non pescò una borsa catramosa di tabacco e un rotolo di carta. Con mani tremanti si confezionò alla bell’e meglio una striminzita sigaretta con pochi fili di tabacco da pipa usato e ci passò su la lingua, inumidendola a malapena. Poi gli tornò in mente una vaga rimembranza di decenza.

— Uhm, ti dispiace se fumo?

La vecchia si limitò a scrollare le spalle. Lui accese un fiammifero sul muro e cercò disperatamente di dirigere fiamma e sigaretta pressappoco nella stessa posizione. La Nonnina gli tolse con delicatezza il fiammifero dalla mano tremante e gliela accese.

Tagliangolo aspirò il tabacco, ebbe il colpo di tosse di rito, e si appoggiò all’indietro. L’estremità incandescente della cicca era l’unica luce nel corridoio semibuio.

— Se ne sono andati vagando — annunciò alla fine la Nonnina.

— Lo so.

— I tuoi maghi non saranno capaci di riportarli indietro.

— So anche questo.

— Tuttavia, potrebbero riportare indietro qualchecosa.

— Vorrei che tu non l’avessi detto.

Seguì una pausa mentre entrambi contemplavano cosa sarebbe potuto tornare. Esseri che avrebbero abitato i corpi viventi e avrebbero agito quasi come i legittimi proprietari.

— Probabilmente è colpa mia… — affermarono all’unisono e s’interruppero sorpresi.

— Prima tu, signora — disse Tagliangolo.

— Quei cosi, le sigarette, sono buone per i nervi? — domandò la vecchia.

Lui aprì la bocca per osservare cortesemente che il tabacco era un’abitudine riservata ai maghi, ma ci ripensò. Porse alla Nonnina la borsa del tabacco.

Lei gli raccontò della nascita di Esk, dell’arrivo del vecchio mago e della verga, delle scorrerìe della bambina nella magia. Prima di avere finito, era riuscita ad arrotolarsi un cilindro sottile e compatto, che bruciava con una fiammella azzurra e le faceva lacrimare gli occhi.

— Non so se i nervi scossi non sarebbero meglio — ansimò.

Tagliangolo non la stava ascoltando.

— È assolutamente sorprendente — affermò. — Dici che la bambina non ne ha risentito in alcun modo?

— Che io sappia, no. La verga pareva… be’, stare dalla sua parte, se capisci ciò che intendo.

— E dove si trova ora questa verga?

— Ha detto di averla buttata nel fiume…

Il vecchio mago e l’anziana strega si guardarono, i volti illuminati dalla luce di un lampo.

Tagliangolo scosse la testa. — Il fiume è in piena — disse. — C’è una possibilità su un milione.

La Nonnina fece un sorriso inflessibile. Il genere di sorriso che fa fuggire i lupi. Afferrò decisa la sua scopa.

— Una possibilità su un milione si verifica nove volte su dieci — sentenziò.


Ci sono temporali francamente scenografici, tutti saette e rombi metallici di tuono. Altri sono tropicali e soffocanti, inclini a venti bollenti e palle di fuoco. Ma quello era un temporale delle pianure del Mare Circolare, la cui principale ambizione era colpire il suolo con la maggiore quantità di pioggia possibile. Il genere di temporale che ti induce a pensare che l’intero cielo abbia ingoiato un diuretico.

Tuoni e lampi restavano nello sfondo e fornivano una sorta di coro, ma la pioggia era la stella dello spettacolo. Che ballava il tip-tap attraverso il paesaggio.

I terreni dell’Università si stendevano fino al fiume. Di giorno formavano uno schema formale e ben disegnato di viali inghiaiati e di siepi. Ma in una notte burrascosa di pioggia, si sarebbe detto che le siepi si fossero spostate e che i viali se ne fossero semplicemente andati da qualche parte per restare asciutti.

Una debole luce arcana brillava tra le foglie gocciolanti. Ma la pioggia passava ugualmente.

— Sai usare una di quelle palle di fuoco dei maghi?

— Abbi un po’ di cuore!

— Sei sicuro che Esk sarebbe passata di qua?

— Qui vicino ci deve essere una specie di passerella, a meno che mi sia perso.

Si udì il rumore di un corpo pesante che avesse inciampato in un cespuglio e poi uno spruzzo.

— Ho trovato il fiume, comunque.

Nonnina Weatherwax si sforzò di vedere attraverso l’oscurità fradicia. Udì il rombo dell’acqua e scorse confusamente le creste bianche dell’onda di piena. Si sentiva anche l’odore inconfondibile dell’Ankh, da farti immaginare che varie armate l’avessero usato prima come orinatoio e poi come sepolcro.

Tagliangolo tornò verso di lei in condizioni pietose.

— Questa è follia. Senza offesa, signora. Con una tale inondazione la verga sarà già in mare. E io morirò di freddo.

— Non puoi diventare più bagnato di quanto sei ora. E comunque, cammini sotto la pioggia nel modo sbagliato — lo informò la Nonnina.

— Prego?

— Vai curvo, la combatti. Non è questo il modo. Dovresti… be’, muoverti tra le gocce. — E, in realtà, il vestito della vecchia pareva semplicemente umido.

— Me ne ricorderò. Andiamo via. Ho bisogno di un bel fuoco scoppiettante e di un bicchiere di una bevanda potente.

La Nonnina sospirò. — Non so. In qualche modo mi aspettavo di vederla spuntare dal fango, o altro. Non soltanto tutta quest’acqua.

Tagliangolo le batté con garbo una mano sulla spalla.

— Forse possiamo fare qualcos’altro… — cominciò e fu interrotto dalla luce di un lampo e da un altro scroscio di tuono.

— Ho detto che forse c’è qualcosa… — ricominciò.

— Che ho visto? — domandò la Nonnina.

Il mago era sorpreso. — Che cos’era?

— Dammi un po’ di luce!

Con un sospiro, il mago tese una mano. Un lampo di luce dorata saettò sull’acqua schiumante e si spense con un sibilo.

— Là! — esclamò trionfante la Nonnina.

— È solo una barca — disse Tagliangolo. — I ragazzi la usano d’estate…

Seguì a fatica ma con tutta la velocità possibile la figura decisa della vecchia.

— Non puoi pensare di portarla fuori in una notte come questa — protestò. — È una pazzia!

Lei proseguì lungo le assi bagnate della passerella, che era già quasi sott’acqua.

— Non sai niente di barche! — obiettò il mago.

— Allora dovrò imparare in fretta — replicò calma la Nonnina.

— Ma non sono più salito su una barca da quando ero un ragazzo!

— Non intendevo chiederti di venire. La parte a punta va davanti?

Tagliangolo gemette.

— Tutto ciò ti fa onore, ma forse possiamo attendere fino a domattina?

In quel momento un lampo illuminò il viso della vecchia.

— Forse no — ammise l’Arcicancelliere. Andò all’estremità della passerella e tirò a sé la piccola barca a remi. Salirci era questione di fortuna, ma alla fine ci riuscì e armeggiò con la cima nell’oscurità.

La barca fu presa nella corrente e portata via, ruotando lentamente su se stessa.

La Nonnina si teneva ben stretta al sedile che oscillava nelle acque turbolente, e nella semioscurità guardava piena di aspettativa Tagliangolo.

— Allora? — esclamò.

— Allora, cosa?

— Hai detto di sapere tutto delle barche.

— No. Ho detto che tu non lo sapevi.

— Oh.

Non si persero d’animo mentre la barca roteava pericolosamente, si raddrizzava come per miracolo ed era trascinata a valle di poppa.

— Quando hai detto che non eri più stato su una barca da quando eri un ragazzo… — cominciò la Nonnina.

— Avevo due anni, credo.

La barca fu presa in un vortice, roteò ancora, e partì come una freccia spinta dalla corrente.

— Ti avevo fatto il genere di ragazzino che andava tutto il giorno dentro e fuori delle barche.

— Sono nato tra le montagne. Mi viene il mal di mare sull’erba bagnata, se proprio vuoi saperlo — disse Tagliangolo.

La barca urtò pesantemente contro un tronco sommerso e un’onda si riversò sulla prora.

— Conosco un incantesimo contro l’annegamento — aggiunse sconsolato.

— Mi fa piacere.

— Solo che bisogna pronunciarlo stando sulla terraferma.

— Togliti gli stivali — gli ordinò la Nonnina.

— Cosa?

— Togliti gli stivali, uomo!

Tagliangolo si agitò a disagio sul sedile.

— Cosa hai in mente?

— Si suppone che l’acqua stia fuori della barca, questo almeno lo so! — La Nonnina additò l’acqua scura che sciabordava sul fondo. — Riempi gli stivali di acqua e versala fuori dal bordo!

Il mago annuì. Aveva la sensazione d’essere stato trascinato via durante le ultime due ore senza che lui potesse opporsi. E per un momento ebbe il consolante pensiero che la vita fosse totalmente sfuggita al suo controllo e che, qualunque cosa succedesse, nessuno avrebbe potuto biasimarlo. Riempire i suoi stivali d’acqua mentre andava alla deriva a mezzanotte su un fiume in piena con quella che poteva descrivere solo come una donna, pareva una cosa logica come un’altra, date le circostanze.

Una bella figura di donna, disse dentro di lui una voce sopita. Nel suo modo di usare la scopa consunta per spingere la barca nell’acqua tumultuosa, c’era qualcosa che turbava angoli a lungo dimenticati del subconscio di Tagliangolo.

Naturalmente, non poteva essere certo della bella figura, un po’ per la pioggia e il vento, e un po’ per l’abitudine della Nonnina di indossare in una sola mandata il suo intero guardaroba. Il mago, incerto, si schiarì la gola. Metaforicamente una bella figura, decise.

— Uhm, senti — disse. — Questo ti fa molto onore. Ma considera i fatti, cioè la velocità della corrente e così via, capisci? Ormai la verga potrebbe trovarsi a miglia di distanza nell’oceano. Potrebbe non tornare più a riva. Potrebbe perfino essere precipitata nella Cascata.

La Nonnina, che fissava il corso d’acqua davanti a sé, si girò.

— Non riesci a pensare a qualcos’altro di utile che potremmo fare? — domandò.

Lui sgottò ancora per qualche momento, prima di rispondere.

— No.

— Hai mai sentito di qualcuno che è tornato indietro?

— No.

— Allora vale la pena di tentare, no?

— L’oceano non mi è mai piaciuto — dichiarò Tagliangolo. — Dovrebbero pavimentarlo. Dentro ci sono delle creature spaventevoli, giù nei tratti profondi. Mostri marini orribili. O così almeno si dice.

— Continua a sgottare, ragazzo mio, o potrai vedere tu stesso se è vero.

Sopra di loro il temporale continuava a imperversare avanti e indietro. Lì, sulle piatte distese intorno al fiume, era sprecato. Esso apparteneva alle alte Ramtop, dove sapevano apprezzare una buona tempesta. Se ne andava in giro brontolando, in cerca anche di una modesta collina sulla quale scaricare i suoi lampi…

La pioggia violenta si stabilizzò in un ticchettio garbato, che è capace di andare avanti per giorni di fila. Per assisterlo, si levò anche la nebbia dal mare.

— Se avessimo i remi potremmo remare, se sapessimo dove stiamo andando — osservò Tagliangolo. La Nonnina non gli rispose.

Il mago versò fuori del bordo ancora qualche stivalata d’acqua. E gli venne in mente che probabilmente il gallone d’oro della sua tunica non sarebbe più stato lo stesso. Sarebbe stato bello poter pensare, un giorno, che la cosa avesse importanza.

— Suppongo che tu non sappia, per caso, da quale parte si trova il Centro? — si arrischiò a chiedere. — Tanto per parlare.

— Guardate da quale lato dell’albero c’è il muschio — disse la Nonnina, senza girare la testa.

— Ah! — annuì il mago.

Fissò con aria cupa l’acqua oleosa. A giudicare dall’odore salmastro ora si dovevano trovare fuori nella baia.

Del mare lo terrorizzava il pensiero che l’acqua fosse la sola cosa tra lui e gli esseri orribili che vivevano nelle sue profondità. Sicuro, sapeva che logicamente l’unica cosa che lo separava da lui e, diciamo, le tigri mangiatrici d’uomini delle giungle di Klatch era soltanto la distanza. Ma non era affatto lo stesso. Le tigri non sorgevano dai freddi abissi, con le bocche piene di denti aguzzi…

Rabbrividì.

— Non senti? — gli chiese la strega. — Si sente nell’aria. Magia! Sta filtrando da qualche cosa.

— In realtà non è solubile nell’acqua. — Tagliangolo schioccò una volta o due le labbra. In effetti la nebbia aveva un gusto di latta e nell’aria c’era una certa oleosità, doveva ammetterlo.

La Nonnina replicò severamente: — Tu sei un mago. Non sei capace di evocarla o roba del genere?

— Una questione simile non si è mai posta — rispose lui. — I maghi non gettano via le loro verghe.

— È qui da qualche parte. Aiutami a cercarla, uomo! — gli ordinò la vecchia.

Tagliangolo ebbe un gemito. Era stata una lunga notte e prima di cimentarsi ancora con la magia, gli occorrevano dodici ore di sonno, dei buoni pasti e un pomeriggio tranquillo davanti a un grande fuoco. Si stava facendo troppo vecchio, ecco il guaio. Ma chiuse gli occhi e si concentrò.

Era vero, intorno c’era della magia. Esistono dei luoghi dove la magia si accumula naturalmente. Essa si ammassa intorno ai giacimenti di ottirone, il metallo transmondano, nel legno di certi alberi, nei laghi isolati. Volteggia impalpabile nel mondo e gli esperti in materia possono catturarla ed immagazzinarla. Nella zona esisteva infatti uno di tali magazzini.

— È potente. Molto potente. — Tagliangolo si portò le mani alle tempie.

— Si sta facendo maledettamente freddo — disse la Nonnina. La pioggia insistente si era tramutata in neve.

Nel mondo si produsse un cambiamento improvviso. La barca si arrestò, senza una scossa, ma come se il mare avesse a un tratto deciso di diventare solido. La Nonnina guardò fuori dal bordo.

Il mare era diventato solido. Il rumore delle onde veniva da una grande distanza e si allontanava sempre di più.

La vecchia strega si chinò fuori del bordo e batté sull’acqua.

— Ghiaccio — annunciò. La barca era immobile in un oceano di ghiaccio. Che scricchiolava in modo sinistro.

Tagliangolo annuì lentamente.

— È logico — disse. — Se loro sono… dove pensiamo che siano, allora fa molto freddo. Fredda come la notte tra le stelle, dicono. Così anche la verga lo sente.

— Giusto. — La Nonnina scese dalla barca. — Non ci resta che trovare il centro del ghiaccio e lì c’è la verga, giusto?

— Sapevo che l’avresti detto. Posso almeno rimettermi gli stivali?

Presero a vagare sulla distesa di onde ghiacciate, con il mago che ogni tanto si fermava per cercare di individuare la posizione esatta della verga. I vestiti gli si gelavano addosso. I denti gli battevano.

— Non hai freddo? — chiese alla Nonnina, il cui abito scricciolava mentre camminava.

— Ho freddo — ammise lei. — Solo che non rabbrividisco.

— Quando ero ragazzo, i nostri inverni erano come questo — disse Tagliangolo, soffiandosi sulle dita. — Praticamente ad Ankh non nevica mai.

— Davvero — disse distratta la Nonnina, che si sforzava di penetrare con lo sguardo la nebbia gelida.

— C’era la neve sulle cime delle montagne tutto l’anno, ricordo. Oh, non ci sono più le temperature che c’erano quand’ero ragazzetto.

— Fino a questo momento almeno — aggiunse, battendo i piedi sul ghiaccio. Questo scricchiolò minaccioso e gli ricordò che era tutto ciò che lo separava dagli abissi marini. Batté di nuovo i piedi, ma questa volta il più delicatamente possibile.

— Quali sono queste montagne? — gli domandò la Nonnina.

— Oh, le Ramtop. Su verso il Centro. Un posto chiamato Collo d’Ottone.

La Nonnina muoveva le labbra. — Tagliangolo, Tagliangolo — disse piano. — C’è una parentela con il vecchio Aktur Tagliangolo. che viveva in una grande casa antica sotto la Montagna del Salto? Aveva un sacco di figli.

— Mio padre. Come mai lo sai?

— Sono cresciuta lassù — rispose lei, resistendo alla tentazione di sorridere come chi la sa lunga. — La vallata vicina. Cattivo-Somaro. Mi ricordo di tua madre. Una brava donna, allevava galline bianche e marroni, e io ero solita salire lassù per comprare le uova per la mia mamma. Questo, naturalmente, accadeva prima della mia vocazione di diventare una strega.

— Io non ti ricordo. Certo, è stato tanto tempo fa. A casa nostra c’erano sempre un sacco di ragazzini. — Sospirò. — Può darsi che una volta ti tiravo i capelli. Era una mia abitudine.

— Forse. Io mi ricordo di un ragazzetto grasso. Piuttosto antipatico.

— Potevo essere io. A me sembra di ricordare una ragazzina prepotente, ma è stato tanto tempo fa. Tanto tempo fa.

— Non avevo i capelli bianchi allora — disse la Nonnina.

— A quell’epoca, ogni cosa aveva un colore diverso.

— Questo è vero.

— D’estate non pioveva tanto.

— I tramonti erano più rossi.

— C’erano più vecchi. Il mondo ne era pieno — affermò il mago.

— Già, lo so. E adesso è pieno di giovani. Strano, davvero, si crederebbe che fosse il contrario.

— Anche l’aria era migliore. Era più facile respirare — aggiunse Tagliangolo. Continuarono a camminare faticosamente in mezzo al turbinio della neve e intanto riflettevano sulle strane vie del Tempo e della Natura.

— Sei mai tornato a casa? — chiese la Nonnina.

L’altro scrollò le spalle. — Quando morì mio padre. Strano, non ho mai raccontato questo a nessuno, ma… be’, c’erano i miei fratelli (perché io sono l’ottavo figlio, naturalmente), e avevano figli e anche nipoti. E nessuno di loro è capace di scrivere il proprio nome. Mi sarei potuto comperare l’intero villaggio. E loro mi trattavano come un re, ma… Voglio dire, sono stato in luoghi e visto cose che li farebbero rabbrividire, ho affrontato creature più terribili dei loro incubi, conosco segreti noti a molto pochi…

— Ti sentivi tagliato fuori. Non c’è nulla di strano in questo — lo assicurò lei. — Succede a tutti noi. È stata una nostra scelta.

— I maghi non dovrebbero mai andare a casa — dichiarò Tagliangolo.

La Nonnina non era d’accordo. — Non credo che possono andare a casa. Non è possibile attraversare lo stesso fiume due volte, dico sempre io.

Dopo averci pensato, l’altro ribatté: — Qui penso che ti sbagli. Io devo avere attraversato lo stesso fiume, oh, migliaia di volte.

— Ah, ma non era lo stesso fiume.

— Non era?

— No.

Lui alzò le spalle. — Sembrava lo stesso dannato fiume.

— Non c’è bisogno di prendere quel tono — lo rimproverò la vecchia. — Non vedo perché dovrei ascoltare un simile linguaggio da un mago che non può nemmeno rispondere alle lettere.

Seguì un silenzio, rotto soltanto dal rumore di nacchere dei denti di Tagliangolo.

— Oh, capisco — disse alla fine. — Venivano da te, è così?

— Esatto. Le ho firmate in fondo. Questo dovrebbe essere una specie di indizio, no?

— Va bene, va bene. Pensavo che fossero uno scherzo, ecco tutto — disse lui di malumore.

— Uno scherzo?

— Non riceviamo molte domande di ammissione da parte di donne. Non ne riceviamo nessuna.

— Mi domandavo perché non avevo risposta.

— Le ho gettate via, se proprio vuoi saperlo.

— Avresti almeno potuto… eccola lì!

— Dove? Dove? Oh, lì!

La nebbia si aprì e adesso la videro chiaramente… uno zampillo di fiocchi di neve, una colonna ornamentale di aria ghiacciata. E sotto…

La verga non era racchiusa nel ghiaccio, ma era tranquillamente distesa in una polla d’acqua ribollente.

Uno degli aspetti insoliti di un universo magico è l’esistenza degli opposti. Si è già detto che il buio non è il contrario della luce, è semplicemente l’assenza della luce. Allo stesso modo, lo zero assoluto è semplicemente l’assenza del calore. Se volete conoscere cos’è il vero freddo, il freddo così intenso che l’acqua non può nemmeno congelarsi ma anti-bolle, limitatevi ad osservare quella polla.

I due rimasero a guardarla in silenzio per qualche secondo, dimentichi del loro battibecco.

Poi Tagliangolo disse lentamente: — Se ci infili la mano, le dita ti salteranno via come carote.

— Credi di essere in grado di sollevarla con la magia? — gli chiese la Nonnina.

Tagliangolo si mise a tastarsi le tasche e alla fine tirò fuori la sua borsa del tabacco. Distribuì con dita esperte i resti di pochi mozziconi su una nuova cartina e la leccò per farne una sigaretta, senza mai distogliere gli occhi dalla verga.

— No. Ma ci proverò comunque.

Dopo un’occhiata bramosa alla sigaretta, se la infilò dietro l’orecchio. Tese le mani, a dita aperte, e le sue labbra si mossero senza suono per pronunciare una formula di potere.

La verga roteò nella polla, quindi si sollevò adagio dal ghiaccio, dove diventò immediatamente il centro di un bozzolo di aria ghiacciata. Tagliangolo gemeva dallo sforzo. La levitazione diretta è la più difficile delle pratiche magiche. C’è infatti il pericolo sempre presente del ben noto principio di azione e reazione. Ciò significa che un mago, il quale tenti di sollevare un oggetto pesante con il solo potere della mente, si trova di fronte alla prospettiva di finire con il cervello dentro gli stivali.

— Riesci a farla stare diritta? — chiese la Nonnina.

Con grande delicatezza la verga girò lenta nell’aria finché rimase sospesa di fronte alla vecchia, a qualche centimetro dal ghiaccio. Il gelo brillava sulle sue incisioni. Attraverso la nebbia rossastra dell’emicrania che gli velava gli occhi, sembrò a Tagliangolo che la verga lo guardasse. Con risentimento.

La Nonnina si aggiustò il cappello e si raddrizzò con aria decisa.

Bene - disse.

Tagliangolo oscillò. Il tono di voce di lei lo trapassò come un seghetto da diamanti. Ricordava confusamente sua madre che lo sgridava da piccolo. Ebbene, la voce era la stessa, solo più raffinata concentrata arrotata con schegge di carborundo. Un tono di comando che avrebbe fatto mettere sull’attenti un cadavere e probabilmente lo avrebbe fatto marciare per metà cimitero, prima di ricordarsi di essere morto.

La Nonnina era ritta davanti alla verga oscillante, che quasi si scioglieva nel suo involucro di ghiaccio sotto la collera che brillava nel suo sguardo.

— È questa la tua idea di un comportamento corretto, vero? Startene stesa da qualche parte nel mare, mentre le persone muoiono? Oh, eccellente!

Fece un mezzo giro intorno alla verga. E, con enorme stupore di Tagliangolo, quella si voltò a seguirla.

— E così sei stata gettata via? — continuò aspra la Nonnina. — E allora? Lei è solo una bambina, e i bambini presto o tardi ci buttano via tutti. È un servizio leale il tuo? Non ti vergogni, a startene lì imbronciata, quando finalmente potresti renderti utile?

Si chinò in avanti, con il naso adunco a pochi centimetri dalla verga. Tagliangolo era quasi sicuro che il bastone cercasse di chinarsi all’indietro per scansarla.

— Devo dirti cosa succede alle verghe malvage? — sibilò la vecchia. — Se Esk è perduta per il mondo, debbo dirti che cosa ti farò? Sei già stata salvata dal fuoco una volta, perché sarebbe stata la fine della bambina. La prossima volta, non sarà il fuoco.

La sua voce si abbassò in un bisbiglio simile a una frustata.

— Prima sarà la pialla. E poi la carta vetrata, quindi la trivella e il coltello per aguzzare…

— Dico, sta calma — disse Tagliangolo con le lacrime agli occhi.

— …e ciò che resta, lo lascerò nel bosco a disposizione dei funghi velenosi, le termiti e gli scarafaggi. Potrebbero volerci degli anni.

Le incisioni si contorcevano; la maggior parte si erano spostate sul dietro, per sfuggire lo sguardo della Nonnina.

— Adesso — continuò lei — ti dirò che cosa farò. Ti raccolgo e ce ne torniamo tutti all’Università, ti pare? Altrimenti, è il momento della sega spuntata.

Si arrotolò le maniche e stese una mano.

— Mago — ordinò — Voglio che tu la liberi.

Tagliangolo annuì con aria sconsolata.

Quando dico adesso, adesso. Adesso!


Tagliangolo riaprì gli occhi.

La Nonnina, ritta in piedi con il braccio sinistro steso davanti a lei, stringeva nella mano la verga.

Dalla verga il ghiaccio esplodeva in getti di vapore.

— Bene, e se questo accade di nuovo, diventerò veramente furiosa, sono stata chiara? — concluse la vecchia strega.

Tagliangolo abbassò le mani e le corse accanto.

— Ti sei fatta male?

Lei scosse la testa. — È come tenere in mano un ghiacciuolo — rispose. — Andiamo, non abbiamo tempo di starcene qui a chiacchierare.

— Come facciamo a tornare indietro?

— Oh, mostra di avere un po’ di spina dorsale, uomo, per amor del cielo! Voleremo.

La Nonnina agitò la sua scopa, che l’Arcicancelliere guardò con aria dubbiosa.

— Su quella?

— Naturale. Forse che i maghi non volano sulle loro verghe?

— È poco dignitoso.

— Se posso adattarmi io, puoi farlo anche tu.

— Sì, ma è sicura?

Lei lo incenerì con un’occhiata.

— Intendi in senso assoluto? — chiese. — O, diciamo, paragonato a rimanere qui su una lastra di ghiaccio che si scioglie?

— È la prima volta che volo su una scopa — osservò Tagliangolo.

— Davvero.

— Credevo che bastasse salirci e quella volasse. Non sapevo che bisognava mettersi a correre su e giù e farle tutti quegli urli.

— È questione di abilità che si acquista con l’esercizio.

— E poi — continuò il mago — credevo che volassero più veloci e, ad essere franchi, più alte.

— Che vuoi dire, più alte? — Girarono per risalire il fiume, con la Nonnina che si sforzava di manovrare per compensare il peso del mago sul sellino. Come tutti i passeggeri che viaggiano sul sellino, sin dall’alba dei tempi, lui persisteva a inclinarsi dalla parte sbagliata.

— Be’, almeno un po’ di più al di sopra degli alberi — spiegò Tagliangolo. abbassandosi quando un ramo gocciolante gli portò via il cappello.

— Non c’è niente di sbagliato in questa scopa a cui non si potrebbe rimediare se tu perdessi qualche chilo — lo rimbeccò lei. — O preferiresti scendere e camminare?

— A parte il fatto che metà del tempo i miei piedi toccano comunque terra, non vorrei metterti in imbarazzo. Se mi avessero chiesto — continuò il mago — di elencare tutti i pericoli del volo, sai, non mi sarebbe mai venuto in mente d’includerci di avere le gambe massacrate dalle felci alte.

Senza voltarsi, lo sguardo cupo fisso davanti a sé, la Nonnina gli chiese: — Stai fumando? Qualcosa brucia.

— Era solo per calmarmi i nervi, signora, con tutto questo precipitarci a capofitto nell’aria.

— Be’, spegni immediatamente. E reggiti.

La scopa rollò all’improvviso in su e aumentò la velocità tipo jogging geriatrico.

— Signor Mago.

— Ohilà?

— Quando dicevo di reggerti…

— Sì?

— Non intendevo lì.

Una pausa.

— Oh! Sì. Capisco. Mi dispiace terribilmente.

— Va bene.

— La mia memoria non è più quella di un tempo… Ti assicuro… non intendevo mancarti di rispetto.

— D’accordo.

Volarono per un momento in silenzio.

— Tuttavia — riprese la Nonnina in tono cortese — penso che, tutto sommato, preferirei che spostassi le mani.


La pioggia batteva sulle lamiere di piombo del tetto dell’Università Invisibile e scorreva nelle grondaie dove i nidi delle cornacchie, abbandonati fin dall’estate, galleggiavano come barche mal costruite. L’acqua gorgogliava nei vecchi condotti incrostati. Si fece strada sotto le tegole e salutò i ragni annidati sotto i cornicioni. Rimbalzò dai timpani e formò laghi segreti in alto tra le guglie.

Interi sistemi ecologici vivevano sui tetti sterminati dell’Università: a paragone Gormenghast sembrava un capanno degli attrezzi su un terreno della ferrovia. Uccelli cantavano nelle minuscole giungle cresciute dai semi di mela e quelli delle erbacce; ranocchiette nuotavano nelle grondaie superiori e una colonia di formiche si affaccendava a inventare una civiltà interessante e complessa.

Una cosa che l’acqua non poteva fare era gorgogliare fuori dai doccioni ornamentali allineati intorno ai tetti. Questo perché i doccioni se ne andavano a rifugiarsi nelle soffitte al primo segnale di pioggia. Loro sostenevano che la bruttezza non era sinonimo di stupidità.

Piovevano ruscelli. Piovevano fiumi. Piovevano mari. Ma soprattutto pioveva attraverso il tetto della Grande Sala, dove il duello tra la Nonnina e Tagliangolo aveva lasciato un enorme buco. E a Treatle sembrava che in qualche modo piovesse su lui personalmente.

Stava in piedi su un tavolo a organizzare le squadre di studenti che staccavano dalle pareti i quadri e le antiche tappezzerie prima che si bagnassero. Su un tavolo perché il pavimento era già sommerso da diversi centimetri di acqua.

Non acqua piovana, purtroppo. Quella era acqua dotata di una vera personalità, la personalità inconfondibile che l’acqua acquista dopo un lungo viaggio attraverso una contrada melmosa. Aveva la consistenza dell’autentica acqua dell’Ankh… troppo dura da bere, troppo liquida da arare.

Il fiume aveva superato gli argini e un milione di rivoletti si spandevano all’intorno, allagando le cantine e giocando a rimpiattino sotto le pietre del lastrico. Di tanto in tanto si udiva il rombo distante di una magia dimenticata in un sotterraneo allagato, che scoppiava e liberava il proprio potere. Treatle era tutt’altro che entusiasta dei gorgogli e dei sibili che sfuggivano in superficie.

Pensò una volta di più quanto gli sarebbe piaciuto essere il tipo di mago che vive in una piccola grotta a collezionare erbe, a coltivare pensieri profondi e conoscere il linguaggio dei gufi. Ma probabilmente la grotta sarebbe stata umida e le erbe velenose. E, in fin dei conti, Treatle non sapeva esattamente quali pensieri fossero davvero profondi.

Scese dal tavolo goffamente e sguazzò nelle acque scure e vorticose. Be’ lui aveva fatto del suo meglio. Aveva cercato di convincere i maghi anziani a riparare il tetto con la magia. Ma dopo avere discusso senza costrutto degli incantesimi da usare, loro si erano trovati unanimi nel sostenere che in ogni caso quello era lavoro da artigiani.

"Eccoli lì, i maghi" pensava cupamente mentre passava sotto gli archi gocciolanti "sempre a scandagliare l’infinito e a non curarsi mai del definito. Specie in materia di lavori domestici. Non abbiamo mai avuto questi guai prima dell’arrivo di quella donna."

Con l’acqua che gli faceva ciac ciac nelle scarpe, prese a salire la scala illuminata in quel momento da un lampo particolarmente violento. Aveva la sgradevole certezza che, mentre nessuno avrebbe potuto biasimarlo per quel putiferio, tutti l’avrebbero fatto. Sollevò l’orlo della veste e lo strizzò sconsolato, poi tirò fuori la sua borsa del tabacco.

Era una bella borsa verde impermeabile. Con il risultato che tutta l’acqua che ci era entrata, non poteva uscirne. Una cosa indescrivibile.

Trovò il suo pacchetto di cartine. Si erano sciolte in un ammasso. Come la leggendaria banconota da una sterlina trovata nelle tasche posteriori dei pantaloni, dopo essere stati lavati, centrifugati, asciugati e stirati.

— Accidenti! — imprecò con tutti i sentimenti.

— Ehi! Treatle!

Treatle si guardò intorno. Era stato l’ultimo a lasciare la sala, dove ora perfino le panche cominciavano a galleggiare. I punti dove la magia filtrava su dalle cantine erano indicati da mulinelli e piccole pozze gorgoglianti, ma non si vedeva nessuno.

A meno che, naturalmente, una delle statue avesse parlato. Erano troppo pesanti da rimuovere e Treatle ricordava di avere detto agli studenti che una bella lavata probabilmente gli avrebbe fatto bene.

Guardando adesso i loro visi severi, lo rimpianse. Le statue di maghi defunti, e un tempo molto potenti, parevano a volte più realistiche di quanto le statue abbiano il diritto di essere. Forse avrebbe dovuto parlare a voce bassa.

— Sì? — si arrischiò a rispondere, acutamente conscio dei loro sguardi di pietra.

— Quassù, sciocco!

Lui alzò gli occhi. La scopa scendeva pesantemente nella pioggia con una serie di scatti e di giravolte. A circa un metro e mezzo dall’acqua, perse quel po’ che le restava di pretese aeree e cadde con un tonfo dentro un mulinello.

— Non startene lì in piedi, idiota!

Treatle sbirciò nervosamente nella semioscurità.

— Devo pure stare da qualche parte — protestò.

— Voglio dire, dacci una mano! — scattò Tagliangolo, che sorgeva dalle ondine come una Venere grassa e arrabbiata. — Prima la signora, naturalmente.

Si voltò verso la Nonnina, che stava pescando nell’acqua intorno.

— Ho perduto il mio cappello — annunciò.

L’Arcicancelliere se ne uscì in un sospiro. — Ha davvero importanza in un momento come questo?

— Una strega deve avere il suo cappello, altrimenti chi la riconosce? — ribatté lei. Allungò la mano per afferrare un oggetto scuro e fradicio che scivolava via, chiocciò trionfante, lo vuotò dall’acqua e se lo calcò sulla testa. Il cappello avendo perduto la rigidezza, le ricadde molle su un occhio dandole un’aria sbarazzina.

— Bene — disse la Nonnina. Il suo tono di voce stava a indicare che l’universo intero avrebbe fatto meglio a stare attento.

In quel preciso momento un lampo mandò un altro vivido bagliore. Il che dimostra che anche gli dei meteorologici hanno un senso teatrale ben sviluppato.

— Ti sta piuttosto bene — commentò Tagliangolo.

— Scusami — disse Treatle — ma non è lei la d…

— Non ti preoccupare — lo rassicurò Tagliangolo. Prese la Nonnina per mano e l’aiutò a salire i gradini. Agitò la verga.

— Ma è contro le nostre tradizioni permettere a una d…

S’interruppe per guardare la Nonnina che toccava la parete umida vicino alla porta. Tagliangolo gli batté sul petto.

— Dimmi dove sta scritto — disse.

— Sono nella Biblioteca — interloquì la Nonnina.

— Era l’unico posto asciutto — disse Treatle — ma…

— Questo edificio ha paura dei temporali — dichiarò la vecchia. — Gli farebbe bene essere confortato.

— Ma le tradizioni… — ripeté disperato Treatle.

La Nonnina percorreva già a grandi passi il corridoio, con Tagliangolo che le trotterellava dietro. Si voltò.

— Hai sentito la signora — disse.

Treatle, a bocca aperta, li guardò allontanarsi. Il rumore dei loro passi svanì in lontananza. Lui rimase in silenzio per un momento a riflettere sulla vita e a chiedersi dove avesse sbagliato nella sua.

Comunque, non voleva essere accusato di disubbidienza.

Senza sapere esattamente perché, allungò una mano con estrema cautela e diede un colpetto amichevole alla parete.

— Là, là — esclamò.

Strano a dirsi, si sentì molto meglio.


A Tagliangolo venne fatto di pensare che sarebbe spettato a lui fare strada, trovandosi nel proprio ambiente. Ma un nicotinomane quasi all’ultimo stadio non poteva competere con la Nonnina, che aveva fretta. E, per tenere il passo, doveva avanzare a saltelli come un granchio.

— È da questa parte — disse, sguazzando nelle pozzanghere.

— Lo so. Me l’ha detto l’edificio.

— Già, volevo domandartelo. Perché, vedi, io ho vissuto qui per anni e a me non ha mai detto niente.

— Lo hai mai ascoltato?

— Non esattamente ascoltato, no — ammise Tagliangolo. — Non così.

— Be’ allora. — La Nonnina si appiattì a! muro per superare una cascata dove prima si trovava la scala per la cucina (il bucato della signora Whitlow non sarebbe più stato lo stesso). — Credo che sia quassù e lungo il corridoio, vero?

Passò accanto a un terzetto di maghi, sorpresi dalla sua vista e addirittura esterrefatti da quella del suo cappello.

Tagliangolo le ansimava dietro e. alla porta della Biblioteca, la afferrò per un braccio.

— Ascolta — disse disperato. — Senza offesa, signorina… uhm, signora…

— Penso che ora sarà sufficiente Esmerelda. Con il fatto che abbiamo condiviso una scopa e tutto…

— Posso passare avanti? È la mia Biblioteca — la supplicò.

La Nonnina si girò a guardarlo. Era la sorpresa personificata. Poi sorrise.

— Naturale. Mi dispiace tanto.

— Per amore delle apparenze, capisci — si scusò Tagliangolo.

Aprì la porta.

La Biblioteca era piena di maghi. Loro tengono ai libri come le formiche tengono alle loro uova e, nei momenti difficili, li portano in giro pressappoco nello stesso modo. L’acqua cominciava a entrare perfino lì, e spuntava nei posti più curiosi, a causa degli strani effetti gravitazionali della Biblioteca. Tutti gli scaffali più bassi erano stati vuotati e studenti e maghi si davano il cambio per ammucchiare i volumi su ogni tavolo e ogni scaffale asciutti e ancora disponibili. L’aria risuonava del fruscio incollerito delle pagine, che quasi copriva la furia lontana del temporale.

La situazione evidentemente sconvolgeva il bibliotecario, che correva da un mago all’altro, tirandoli per le tuniche senza ottenere alcun risultato, e gridando "ook".

Appena scorse Tagliangolo, gli si avvicinò rapido appoggiandosi sulle nocche. La Nonnina non aveva mai visto prima un orangutan, ma non era disposta ad ammetterlo. Rimase pertanto calmissima davanti a un ometto col pancione e una pelle taglia 12 su un corpo taglia 8.

— Ook — spiegò quello — ook.

— Suppongo di sì — tagliò corto Tagliangolo e afferrò il mago più vicino, che vacillava sotto il peso di una dozzina di lessici. L’uomo lo fissò come se fosse stato un fantasma, scorse con la coda dell’occhio la Nonnina e lasciò cadere i libri per terra. Il bibliotecario trasalì.

— Arcicancelliere — ansimò il mago — sei vivo? Voglio dire… avevamo sentito che eri stato rapito da… — guardò di nuovo la Nonnina — …cioè, pensavamo… Treatle ci aveva detto…

— Oook — disse il bibliotecario che ripose delle pagine dentro le loro copertine.

— Dove sono il giovane Simon e la bambina? Che cosa ne avete fatto? — domandò la vecchia.

— Loro… li abbiamo messi qui — rispose il mago, indietreggiando. — Uhm…

— Facci strada. E smettila di balbettare, uomo — gli ordinò Tagliangolo. — Si crederebbe che non hai mai visto una donna.

Il mago deglutì forte e annuì con vigore.

— Certamente. E… voglio dire… seguitemi per piacere… uhm…

— Non stavi per dire qualcosa a proposito delle tradizioni, vero? — chiese Tagliangolo.

— Uhm… no, Arcicancelliere.

— Bene.

Lo seguirono standogli ai calcagni. I maghi che incontravano, smettevano di lavorare per fissare la Nonnina che passava.

— La cosa si sta facendo imbarazzante — dichiarò Tagliangolo, muovendo appena le labbra. — Dovrò nominarti mago onorario.

La Nonnina, che guardava fisso davanti a sé, sibilò: — Fallo e io ti nominerò strega onoraria.

L’Arcicancelliere chiuse di scatto la bocca.

Esk e Simon erano stesi su un tavolo in una delle sale di lettura laterali, vegliati da una mezza dozzina di maghi. Che si fecero da parte nervosamente all’avvicinarsi del terzetto, con il bibliotecario che li seguiva dondolante.

— Ci ho riflettuto — cominciò Tagliangolo. — Di sicuro sarebbe meglio dare la verga a Simon? Lui è un mago, e…

— Passando prima sul mio cadavere — disse la Nonnina. — E sul tuo, anche. È tramite suo che quelli acquistano il loro potere, vuoi dargliene di più?

L’Arcicancelliere sospirò. Aveva ammirato la verga, una delle migliori che avesse mai visto.

— Benissimo. Hai ragione, naturalmente.

Si chinò a deporre la verga sulla forma dormiente di Esk, e poi si tirò indietro con mossa drammatica.

Non accadde nulla.

Uno dei maghi tossì nervosamente.

Sempre nulla.

Sulla verga le incisioni sembravano ghignare beffarde.

— Non funziona, ti pare? — disse Tagliangolo.

— Ook.

— Dalle tempo — ribatté la Nonnina.

Le dettero tempo. Fuori, il temporale rumoreggiava nel cielo e cercava di portare via i tetti delle case.

La Nonnina si sedette su una pila di libri e si strofinò gli occhi. Le mani di Tagliangolo cercarono meccanicamente la borsa del tabacco. Il mago con la tosse nervosa fu accompagnato fuori della stanza da un collega.

— Ook — disse il bibliotecario.

— Lo so! — esclamò la Nonnina con tanto impeto che la sigaretta per metà arrotolata sfuggì dalle dita fiacche di Tagliangolo, in una pioggia di tabacco.

— Che cosa?

— Non è finito!

— Che cosa?

— Lei non può usare la verga, è naturale — dichiarò la vecchia, alzandosi in piedi.

— Ma dicevi che lei ci spazzava i pavimenti e che quella la protegge e… — cominciò Tagliangolo.

— Nonono. Significa che la verga usa se stessa o che usa lei, ma lei, Esk, non è mai stata capace di usarla, capisci?

Il grande mago guardò i due corpi immobili. — Lei dovrebbe essere in grado di usarla — protestò. — È una vera e propria verga da mago!

— Oh! Così lei è un vero e proprio mago, no?

Tagliangolo esitò.

— Be’, no, naturalmente. Non puoi chiederci di dichiarare che lei è un mago. Dov’è il precedente?

— Il che? — domandò seccamente la vecchia.

— Non è mai accaduto prima.

— Un sacco di cose non sono mai accadute prima. Noi nasciamo solo una volta.

Tagliangolo le lanciò un’occhiata di muto appello. — Ma è contro le t…

Voleva dire "tradizioni", ma la parola gli rimase in gola.

— Dove è detto? — chiese trionfante la Nonnina. — Dove è detto che le donne non possono essere maghi?

Nella mente di Tagliangolo i pensieri si accavallavano:

…Non è detto da nessuna parte, è detto ovunque.

…Ma il giovane Simon ha affermato, pare, che ogni luogo è talmente simile a nessun luogo che è praticamente impossibile definire la differenza.

…Voglio forse essere ricordato come il primo Arcicancelliere che ha permesso l’ingresso delle donne nell’Università? Tuttavia… verrei ricordato, questo è sicuro.

…Lei è davvero una donna imponente, quando è ritta in quel modo.

…Quella verga ha idee tutte sue.

…La cosa ha un certo senso.

…Mi riderebbero dietro.

…Potrebbe non funzionare.

…Potrebbe funzionare.


Non si poteva fidare di loro. Ma non aveva scelta.

Esk fissava le facce terribili che la guardavano e i corpi sparuti, per fortuna nascosti dai mantelli.

Strinse le mani a pugno.

Nel mondo delle ombre,!e idee sono reali. Fu come se questo pensiero le salisse su per le braccia.

Era un pensiero rassicurante, un pensiero pieno di forza. Rise e aprì le dita. E la verga brillò nelle sue mani come elettricità solida.

Le Creature cominciarono a pigolare nervosamente e una o due di quelle che stavano più indietro si allontanarono. I suoi sequestratori lasciarono andare Simon, che cadde in avanti e atterrò carponi sulla sabbia.

— Usala! — le gridò. — È così! Sono spaventati!

Esk gli sorrise e continuò a esaminare la verga. Per la prima volta riusciva a vedere bene che cos’erano le sue incisioni.

Simon raccolse svelto la piramide del mondo e corse verso di lei.

— Vieni! — la esortò. — Loro la odiano!

— Prego?

— Usa la verga — la incitò lui e tese la mano per prenderla. — Ehi! Mi ha morso!

— Mi dispiace — disse Esk. — Di che stavamo parlando? — Alzò gli occhi a guardare le lugubri Creature come se le vedesse per la prima volta. — Oh, quelle. Esistono soltanto nella nostra testa. Se non ci credessimo, non esisterebbero affatto.

Simon le guardò a sua volta.

— Francamente non posso affermare di crederti — protestò.

— Credo che ora dovremmo tornare a casa — disse lei. — La gente sarà preoccupata.

Avvicinò le mani e la verga svanì, sebbene per un attimo le mani rilucessero come se le stringesse a coppa intorno a una candela. Le Creature ulularono. Alcune di loro si disintegrarono.

— Ciò che importa nella magia è come non usarla — dichiarò Esk e prese Simon per un braccio.

Lui guardò le figure che gli crollavano intorno e fece un sorrisetto idiota.

— Tu non la usi? — le domandò.

— Oh, sì. Prova tu stesso — gli rispose lei mentre avanzavano verso le Creature.

Tese le mani, fece riapparire la verga e gliela offrì. Lui fece per prenderla, ma ritirò la mano.

— Oh, no. Non credo di piacerle molto.

— Io penso che va tutto bene, se sono io che te la do. Lei non può opporsi — ribatté la bambina.

— Ma dove va?

— Suppongo che diventi semplicemente un’idea di se stessa. Simon allungò di nuovo una mano e richiuse le dita sul legno lucente.

Bene. - La sollevò nella classica posa vendicativa del mago. — Gliela farò vedere a quelli!

— No, sbagliato.

— Cosa intendi per sbagliato? Adesso ho il potere!

— Loro sono una specie di… riflesso di noi stessi. È impossibile vincere il proprio riflesso, che possiede la nostra stessa forza. Ecco perché, quando cominci a usare la magia, loro si fanno più vicini. E non si stancano. Loro si nutrono della magia, così è impossibile batterli con quella. No, si tratta di… be’ non di non usare la magia perché non puoi. Ma di non usarla proprio perché puoi. E questo ciò che li sconvolge. Odiano l’idea. Se la gente smettesse di usare la magia, loro morirebbero.

Davanti a loro, le Creature, nella loro fretta d’indietreggiare cadevano le une sulle altre.

Simon guardò la verga, poi Esk. poi le Creature, quindi di nuovo la verga.

— Le tue parole richiedono un bel po’ di riflessione — disse alla fine incerto. — Vorrei capire fino in fondo.

— Ci riuscirai benissimo.

— Perché tu affermi che il vero potere consiste nel penetrare nella magia e uscirne dall’altra parte.

— Però funziona, no?

Adesso erano soli sulla fredda distesa. Le Creature erano lontane, pupazzetti disegnati dai bambini.

— Mi domando se è questo che loro intendono per sortilegio? — disse Simon.

— Non lo so. Può essere.

— Mi piacerebbe veramente trovare la spiegazione — ripeté il ragazzo, rigirando la verga nelle mani. — Sai, potremmo fare degli esperimenti sul fatto di non usare deliberatamente la magia. Potremmo non disegnare un ottogramma sul pavimento. E potremmo volontariamente non evocare ogni sorta di cose e… sudo soltanto a pensarci!

— A me piacerebbe pensare come fare per tornare a casa — disse Esk, con lo sguardo fisso alla piramide.

— Be’, questa dovrebbe essere la mia idea del mondo. Dunque dovrei essere capace di trovare il modo. Come fai questo trucco con le mani?

Avvicinò le sue. E la verga gli scivolò tra le dita, brillando per un attimo, prima di scomparire. Simon fece un sorrisetto soddisfatto.

— Bene. Adesso non dobbiamo fare altro che cercare l’Università.


Tagliangolo accese la sua terza cicca dal mozzicone della seconda. Questa ultima sigaretta doveva molto al potere creativo dell’energia nervosa: assomigliava a un cammello con le gambe tagliate.

Aveva visto la verga sollevarsi piano da Esk e atterrare su Simon.

Adesso galleggiava di nuovo nell’aria.

Nella stanza si affollavano altri maghi. Il bibliotecario sedeva sotto il tavolo.

— Se soltanto avessimo una qualche idea di ciò che sta succedendo — esclamò Tagliangolo. — E la suspense che non sopporto.

— Pensa in modo positivo, uomo — scattò la Nonnina. — E spegni quella dannata sigaretta. Non riesco a immaginare che qualcuno desideri tornare in una stanza che sembra un caminetto.

Tutti i maghi si volsero, come un solo uomo, a guardare l’Arcicancelliere, in attesa della sua reazione.

Lui si tolse di bocca la cicca informe e la spense sotto il piede, con una occhiata minacciosa che fece abbassare lo sguardo agli altri.

— Probabilmente è tempo che io smetta comunque — disse. — E questo vale anche per tutti voi. Qualche volta questo posto è peggio di un cenerario.

Poi vide la verga. Era…

Il solo modo in cui avrebbe potuto descrivere l’effetto, era che pareva spostarsi rapidissima restando esattamente allo stesso posto.

Lingue fiammeggianti di gas (posto che fosse gas) si sprigionavano dalla verga e svanivano. Sfavillava come una cometa disegnata da un poco abile esperto in effetti speciali. Scintille colorate ne sprizzavano e poi scomparivano da qualche parte.

Cambiava anche colore: da un rosso opaco, su per tutto lo spettro fino a diventare di un violetto malsano. Per tutta la sua lunghezza, corruscanti serpenti di fuoco bianco.

("Dovrebbe esserci un termine per le parole che suonano come suonerebbero le parole se avessero la voce" pensò. "La parola ’brillare’, per esempio, brilla davvero oleosa. E se mai esistesse una parola che desse esattamente l’impressione delle scintille che guizzano su per la carta che brucia. O come le luci delle città risplenderebbero nel mondo se l’intera civiltà umana fosse stipata in una unica notte, allora ’corruscanti’ sarebbe il solo termine adatto.")

Sapeva che cosa sarebbe accaduto.

— Guardate — bisbigliò. — Sta per…

In un silenzio totale, quel genere di silenzio che aspira tutti i suoni e li soffoca, la verga brillò della luce dell’ottarino in tutta la sua lunghezza.

L’ottavo colore, prodotto dalla luce che attraversa un forte campo magico, brillò attraverso i corpi, gli scaffali dei libri, le pareti. Altri colori si confusero e si mescolarono, come se la luce fosse un bicchiere di gin versato sull’acquerello del mondo. Sopra l’Università, le nuvole si fecero brillanti, si torsero in forme affascinanti e impreviste, e fluttuarono in alto.

Un osservatore, piazzato al di sopra del Disco, avrebbe scorto un piccolo tratto di terra vicino al Mare Circolare splendere come un gioiello per diversi secondi e poi spegnersi.

Nella stanza il silenzio fu rotto dal tonfo della verga che, precipitando dall’aria, rimbalzò sul tavolo di legno.

Qualcuno disse: — Ook — con una voce flebile.

Tagliangolo si ricordò alla fine come servirsi delle mani e le sollevò fino all’altezza dove sperava ci fossero i suoi occhi. Tutto era diventato nero.

— C’è… qualcun’altro? — chiese.

— Dei, non sai quanto sono contento di sentirtelo dire — pronunciò un’altra voce.

D’improvviso il silenzio si tramutò in un brusio.

— Ci troviamo ancora dove eravamo?

— Non lo so. Dove eravamo?

— Qui, credo.

— Non puoi allungare una mano?

— Non finché non sono assolutamente sicura di ciò che toccherò, buon uomo. — Era la voce inconfondibile di Nonnina Weatherwax.

— Tutti cerchino di allungare una mano — disse Tagliangolo e soffocò un urlo sentendo una mano simile a un caldo guanto di pelle chiudersi intorno alla sua caviglia. Si udì un piccolo "ook" soddisfatto, che riuscì a esprimere il sollievo, il conforto e la pura gioia di toccare un altro essere umano o, in quel caso, antropoide.

Uno sfregamento e quindi una fiammella benedetta di luce rossa: in fondo alla stanza uno dei maghi si era acceso una sigaretta.

— Chi è stato?

— Mi rincresce, Arcicancelliere, la forza dell’abitudine.

— Fuma quanto ti pare, uomo.

— Grazie, Arcicancelliere.

— Mi pare di scorgere adesso il contorno della porta — disse un’altra voce.

— Nonnina?

— Sì, posso chiaramente vedere…

Esk?

— Sono qui, Nonnina.

— Posso fumare anche io, signore?

— Il ragazzo è con te?

— Sì.

— Ook.

— Sono qui.

— Che succede?

Smettete tutti di parlare!

Nella Biblioteca tornò la luce normale, che non feriva gli occhi. Esk si sedette, facendo spostare la verga che rotolò sotto il tavolo. Sentì qualcosa scivolarle sugli occhi e alzò la mano per toccarla.

— Solo un momento. — La Nonnina si slanciò in avanti, afferrò la bambina per le spalle e la fissò negli occhi.

— Bentornata — disse e la baciò.

Esk alzò una mano e sentì un oggetto duro sulla sua testa. Se lo tolse per esaminarlo.

Era un cappello a cono, un po’ più piccolo di quello della Nonnina, ma di un vivido azzurro con su dipinte due stelle d’argento.

— Un cappello da mago? — esclamò. Tagliangolo si fece avanti.

— Ah, sì. — Si schiarì la gola. — Vedi, abbiamo pensato… ci è sembrato… comunque, quanto ci abbia riflettuto…

— Sei un mago — affermò semplicemente la Nonnina. — L’Arcicancelliere ha cambiato le tradizioni. In realtà, è stata una cerimonia niente affatto complicata.

— Qui da qualche parte ci deve essere la verga — aggiunse Tagliangolo. — L’ho vista cadere… ah!

Si raddrizzò con la verga in mano e la mostrò alla vecchia.

— Credevo che ci fossero sopra delle incisioni — osservò. — Questa ha l’aspetto di un semplice bastone. — Ed era proprio così. La verga appariva minacciosa e potente quanto un pezzo di legna da ardere.

Esk rigirava il cappello nelle mani, allo stesso modo di chi, aprendo il proverbiale pacchetto sfarzosamente confezionato, trova dei sali da bagno.

— È molto carino — disse in tono incerto.

— È tutto quello che sai dire? — chiese la Nonnina.

— È anche a punta. — In qualche modo, essere un mago non le faceva provare alcuna differenza dal non esserlo.

Simon si chinò su di lei.

— Ricorda — le disse — ti devi convincere di essere stata un mago. Allora puoi cominciare a guardare dall’altra parte. Come mi dicevi.

I loro occhi s’incontrarono e i due si sorrisero.

La Nonnina fissò Tagliangolo. Questi si strinse nelle spalle.

— Non so che dire. — Cosa ne è stata della tua balbuzie, ragazzo?

— Sembra che se ne sia andata, signore — rispose allegro Simon. — Devo essermela lasciata dietro, da qualche parte.


Il fiume era ancora scuro e gonfio, ma almeno somigliava di nuovo a un fiume.

Per essere alla fine dell’autunno faceva un caldo innaturale e da tutta la zona più bassa di Ankh-Morpork il vapore saliva da migliaia di tappeti e di coperte messi fuori ad asciugare. Le strade erano coperte di melma. Il che, tutto sommato, era un cambiamento in meglio: il numero impressionante di carcasse di cani morti della città era stato trascinato via in mare dalla corrente.

Il vapore si alzava pure dalla pavimentazione della veranda personale dell’Arcicancelliere, e dalla teiera sul tavolino.

Seduta comodamente in una vecchia poltrona di vimini, la Nonnina si godeva il calore fuori stagione che le riscaldava le caviglie. Osservava pigramente una colonia di formiche cittadine, vissute così a lungo sotto i pavimenti di pietra dell’Università da averne i geni alterati dall’alto tasso di magia. Gli insetti erano affaccendati a trasportare su un minuscolo carrello una zolletta di zucchero molliccia sottratta a una ciotola. Altri stavano innalzando sul bordo del tavolo una piattaforma di fiammiferi.

Avrebbe potuto interessarla oppure no sapere che una delle formiche era Tamburo Billet, che aveva finalmente deciso di concedere alla Vita un’altra occasione.

— Dicono — osservò — che se si trova una formica il Giorno della Posta al Cinghiale, il resto dell’inverno sarà molto mite.

— Chi lo dice? — domandò il mago.

— In genere la gente che ha torto — rispose la Nonnina. — Io faccio una nota nel mio Almanacco, capisci. Io controllo. Moltissime cose che la maggior parte delle persone credono, sono sbagliate.

— Come "rosso di sera, bel tempo si spera" — disse Tagliangolo. — Ed è impossibile insegnare nuovi trucchi a un vecchio cane.

— Secondo me, non è per questo che sono fatti i vecchi cani — ribatté lei. Adesso la zolletta di zucchero era arrivata al cavalletto e un paio di formiche la stavano fissando a un bozzello e un paranco microscopici.

Tagliangolo riprese a parlare: — Io non capisco nemmeno la metà delle cose che dice Simon, benché certi studenti ne siano entusiasti.

— Io capisco benissimo ciò che dice Esk, solo che non ci credo — dichiarò la Nonnina. — Eccetto il pezzo sui maghi che devono avere un cuore.

— Lei ha detto che le streghe hanno anche bisogno di una testa — affermò Tagliangolo. — Gradiresti un pasticcino? Un po’ molle, temo.

— Lei mi ha detto che se la magia dà alle persone ciò che desiderano, allora non usare la magia può dare loro ciò di cui hanno bisogno. — La vecchia aveva allungato la mano verso il piatto.

— Simon mi dice lo stesso. Quanto a me, non lo capisco. La magia è fatta per usarla, non per metterla da parte. Coraggio, serviti.

— La magia oltre la magia — sbuffò sprezzante la Nonnina. Prese il biscotto e ci spalmò della marmellata. Dopo un po’ ci spalmò anche della crema.

La zolletta di zucchero cadde a terra e fu immediatamente circondata da un’altra squadra di formiche, pronte ad assicurarla a una lunga fila di formiche rosse provenienti dall’orto, che lavoravano come loro schiave.

Tagliangolo si agitò imbarazzato sulla sua poltrona, che scricchiolò.

— Esmerelda — cominciò. — Volevo domandarti…

— No — tagliò corto lei.

— In realtà, stavo per dirti che pensiamo di potere ammettere all’Università qualche altra ragazza. Su base sperimentale. Una volta che avremo separato i servizi igienici.

— Questo dipende da te, naturalmente.

— E… e ho pensato che, dato che sembriamo destinati a diventare un istituto con istruzione mista, ho pensato, cioè…

— Allora?

— Se tu non avresti obiezioni a diventare, cioè, se accetteresti una Poltrona.

Si appoggiò allo schienale. La zolletta di zucchero passò sotto la sua poltrona su rulli fatti di fiammiferi. Lo squittio delle trasportatrici schiave era quasi impercettibile.

— Uhm — fece la Nonnina. — Non vedo perché no. Sai, ho sempre desiderato una di quelle grandi poltrone di vimini, con il tettuccio parasole. Se non è troppo disturbo.

— Non è esattamente ciò che intendevo — disse Tagliangolo, che si affrettò ad aggiungere: — Ebbene sono certo che si possa fare. No, voglio dire, verresti a tenere lezione agli studenti? Una volta ogni tanto.

— Su che cosa?

L’Arcicancelliere esitò, in cerca di un soggetto.

— Erbe? — arrischiò. — Qui non siamo molto ferrati in fatto di erbe. E "menteologia". Esk me ne ha parlato parecchio. Sembra affascinante.

Con uno strattone finale la zolletta di zucchero scomparve in una fessura della parete vicina.

Tagliangolo fece un cenno di testa in quella direzione. — Ci vanno giù pesanti con lo zucchero, ma non abbiamo cuore di prendere provvedimenti.

La Nonnina aggrottò la fronte. Poi, attraverso la foschia che gravava sulla città, accennò alla neve che brillava in lontananza sulle Ramtop.

— La strada è lunga — disse. — Alla mia età, non posso continuare ad andare avanti e indietro.

— Potremmo comperarti una scopa molto migliore — offrì Tagliangolo. — Una che non abbia bisogno di avviarla correndo. E tu, tu potresti avere un appartamento qui. E tutti i vecchi vestiti che puoi portare — aggiunse, usando l’arma segreta. Aveva saggiamente investito in una chiacchierata con la signora Whitlow.

— Uhm — bofonchiò la Nonnina. — Di seta?

— Nera e rossa. — La mente del mago fu attraversata dall’immagine della Nonnina abbigliata di seta nera e rossa. Addentò con vigore il suo biscotto.

— E forse d’estate potremmo portare degli studenti al tuo cottage per studi extra-murali.

— Chi è Extra Muriel?

— Voglio dire, c’è un sacco di cose che possono imparare, ne sono sicuro.

La Nonnina rimase a pensarci. Di certo, il gabinetto aveva bisogno di una bella ripassata prima che il tempo si facesse troppo caldo, e per primavera il recinto delle capre necessitava di una ripulita a fondo. Inoltre, zappare il campicello delle Erbe era un lavoro pesante. Il soffitto della camera da letto era in uno stato pietoso e certe tegole dovevano essere fissate.

— Cose pratiche — disse alla fine in tono riflessivo.

— Assolutamente.

— Uhm. Be’, ci penserò — concluse la Nonnina, vagamente conscia che era meglio non slanciarsi troppo per un primo appuntamento.

— Forse potrei chiederti se vorresti cenare con me questa sera e darmi una risposta? — Gli occhi di Tagliangolo brillavano.

— Cosa c’è da mangiare?

— Carne fredda e patate — La signora Whitlow aveva fatto bene il suo lavoro.

Ce n’era in abbondanza.

Esk e Simon continuarono a sviluppare un tipo del tutto nuovo di magia. Che nessuno riusciva esattamente a comprendere ma che, tuttavia, ognuno riteneva assai valido e in qualche modo confortante.

Cosa forse più importante, le formiche usarono tutte le zollette di zucchero che arrivarono a rubare per costruire una piccola piramide di zucchero in una cavità del muro nella quale deposero, con grande cerimonia, il corpo mummificato di una regina morta. Sulla parete di una delle minuscole camere nascoste tracciarono, nei geroglifici degli insetti, il vero segreto della longevità.

Lo avevano compreso appieno e probabilmente avrebbe avuto delle implicazioni importanti per l’universo, se non fosse stato dilavato per intero dalla successiva Inondazione dell’Università.

FINE
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