PARTE TERZA FIAT VOLUNTAS TUA

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Vi furono di nuovo astronavi, in quel secolo, e le navi erano guidate da bizzarre impossibilità che camminavano su due gambe e avevano ciuffi di pelo su improbabili regioni anatomiche. Erano una specie garrula. Appartenevano a una razza capacissima di ammirare la propria immagine in uno specchio, ed egualmente capace di tagliarsi la gola sull'altare di qualche dio tribale, come la deità della Rasatura Quotidiana. Era una specie che si considerava, fondamentalmente, una razza di meccanici divinamente ispirati; qualsiasi entità intelligente di Arcturus avrebbe immediatamente intuito che essi erano, fondamentalmente, una razza di appassionati oratori da dopocena.

Era inevitabile, era destino manifesto, lo sentivano (e non per la prima volta), che la loro razza andasse a conquistare le stelle. Per conquistarle parecchie volte, se fosse stato necessario, e certamente per fare discorsi sulla conquista. Ma era anche inevitabile che la razza soccombesse di nuovo alle antiche malattie sui nuovi mondi, come prima sulla Terra, nella litania della vita e nella speciale liturgia dell'Uomo: i versetti venivano detti da Adamo, le Risposte dal Crocifisso.


Noi siamo i secoli.

Noi siamo i taglia-mento e gli sferza-gole,

e presto discuteremo l'amputazione della vostra testa.

Noi siamo i vostri spazzini-cantori, Signore e Signora, e marciamo in cadenza dietro di voi, cantando ritmi che a qualcuno sembrano strani.

Un-due-tre-quattro!

Sinist!

Sinist!

Aveva-una-buona-moglie-ma

Sinist!

Sinist!

Sinjst! Dest!

Sinist!

Wir, come dicono nel vecchio paese, marschieren welter wenn alles in Scherben fällt.

Noi abbiamo i vostri eoliti e i vostri mesoliti e i vostri neoliti. Abbiamo le vostre Pompei, i vostri Cesari e i vostri manufatti cromati (impregnati di ingredienti vitali).

Noi abbiamo le vostre accette insanguinate e le vostre Hiroshima…

Noi marciamo a dispetto dell'Inferno, noi marciamo…

Atrofia, Entropia, Proteus vulgaris,

raccontando barzellette sconce su una ragazza di campagna chiamata Eva e su un commesso viaggiatore chiamato Lucifero.

Noi seppelliamo i vostri morti e le loro reputazioni.

Noi vi seppelliamo. Noi siamo i secoli.

Nascete, allora, aspirate boccheggiando il veto, gridate alla sculacciata dell'ostetrico, cercate la virilità, assaggiate un po' di bontà, provate dolore, generate, lottate ancora un po', soccombete:

(Morendo, andatevene senza far rumore dalla porta posteriore, per favore).

Generazione, rigenerazione, ancora, ancora, come in un rito, con i vestimenti macchiati di sangue e le mani graffiate, figli di Merlino, a caccia di uno scintillio. Figli, anche di Eva, che ricostruiscono l'Eden per sempre… e che poi lo sfasciano a calci, in preda a pazzia furiosa benché, in qualche modo, non è lo stesso. Ahi! Ahi! Ahi!… un idiota grida la sua angoscia insensata fra le macerie. Ma presto! fate che il suo grido sia sommesso dal coro, che canta Alleluja a novanta decibel).

Ascoltate allora l'ultimo Cantico dei Fratelli dell'Ordine di Leibowitz, come venne cantato dal secolo che lo inghiottì:

V. — Lucifero è caduto.

R. — Kyrie eleison.

V. — Lucifero è caduto.

R. — Christe eleison.

V. — Lucifero è caduto.

R. — Kyrie eleison, eleison imas!

LUCIFERO È CADUTO! Le parole in codice, trasmesse elettricamente attraverso il continente, furono sussurrate nelle sale delle conferenze, circolarono sotto forma di crocchianti promemoria timbrati SUPREME SEGRETISSIMO furono prudentemente tenute nascoste alla stampa. Le parole si levarono in una minacciosa marea dietro una diga di segretezza ufficiale. V'erano parecchie falle nella diga, ma le falle erano intrepidamente tappate da burocratici eroi i cui polpastrelli si gonfiavano spaventosamente, mentre schivavano le raffiche verbali sparate dalla stampa.


PRIMO GIORNALISTA: Qual è il commento di Vostra Signoria sulla dichiarazione di Sir Rische Thon Berker, secondo la quale il livello di radiazione sulla costa nordoccidentale è superiore di dieci volte al livello normale?

MINISTRO DELLA DIFESA: Non ho letto questa dichiarazione.

PRIMO GIORNALISTA: Se la si considerasse vera, che cosa potrebbe esserne considerata responsabile?

MINISTRO DELLA DIFESA: Questa domanda richiede una congettura. Forse Sir Rische ha scoperto un ricco deposito di uranio. No, cancellatelo. Non ho commenti da fare.

SECONDO GIORNALISTA: Vostra Signoria considera Sir Rische come uno scienziato competente e responsabile?

MINISTRO DELLA DIFESA: Non ha mai lavorato alle dipendenze del mio ministero.

SECONDO GIORNALISTA: Questa non è una risposta esauriente.

MINISTRO DELLA DIFESA: È molto esauriente, invece. Poiché non ha mai lavorato per il mio ministero, non ho modo di conoscere la sua competenza o responsabilità. Non sono uno scienziato.

UNA GIORNALISTA: È vero che recentemente è avvenuta una esplosione nucleare in un punto del Pacifico?

MINISTRO DELLA DIFESA: Come la signora sa bene, i test di armi nucleari di qualunque specie sono un crimine gravissimo e un atto di guerra, secondo l'attuale legge internazionale. Noi non siamo in guerra. Questo risponde alla vostra domanda?

LA GIORNALISTA: No, Vostra Signoria, no. Non ho chiesto se è stato effettuato un test. Ho chiesto se si è verificata una esplosione.

MINISTRO DELLA DIFESA: Noi non abbiamo provocato tale esplosione. Se fossero stati "loro" a provocarla, signora, credete che questo governo ne sarebbe stato informato?

(Risate educate).

LA GIORNALISTA: Questo non risponde alla mia…

PRIMO GIORNALISTA: Vostra Signoria. Il Delegato Jerulian ha accusato la Coalizione Asiatica di montare armi all'idrogeno nello spazio aperto, e afferma che il nostro Consiglio Esecutivo lo sa e non fa nulla in proposito. È vero?

MINISTRO DELLA DIFESA: Credo che sia vero che il Tribunale dell'Opposizione abbia formulato qualche accusa ridicola, sì.

PRIMO GIORNALISTA: Perché è un'accusa ridicola? Perché "loro" non costruiscono nello spazio missili spazio-terra? O perché noi stiamo facendo qualcosa in proposito?

MINISTRO DELLA DIFESA: È ridicola in ogni senso. Vorrei fare osservare, comunque, che la fabbricazione delle armi nucleari è stata proibita da un trattato, fin da quando furono riscoperte. Sono proibite dovunque… nello spazio e sulla Terra.

SECONDO GIORNALISTA: Ma non esiste un trattato che proibisca la messa in orbita di materiale fissile, non è vero?

MINISTRO DELLA DIFESA: Naturalemente no. I veicoli spazio-spazio funzionano tutti a energia nucleare. Devono essere riforniti di combustibile, quindi.

SECONDO GIORNALISTA: E non esiste alcun trattato che proibisca la messa in orbita di altri materiali coi quali potrebbero essere costruite armi nucleari?

MINISTRO DELLA DIFESA (irritato): Per quel che ne so, l'esistenza di tale materiale al di fuori dell'atmosfera non è mai stata bandita da alcun trattato o atto parlamentare. Mi risulta, inoltre, che lo spazio è pieno di corpi come la Luna e gli asteroidi, che non sono fatti di formaggio verde.

LA GIORNALISTA: Vostra Signoria intende suggerire che sarebbe possibile costruire armi nucleari senza bisogno di materiale grezzo proveniente dalla Terra?

MINISTRO DELLA DIFESA: Non intendevo affatto suggerire questo. Naturalmente, è possibile, in teoria. Stavo dicendo che nessun trattato o legge proibisce la messa in orbita di materie grezze particolari… solo di armi nucleari.

LA GIORNALISTA: Se vi fosse stata qualche recente esplosione sperimentale in Oriente, cosa riterrebbe più probabile: una esplosione sotterranea malriuscita, o un missile spazio-terra con una testata atomica difettosa?

MINISTRO DELLA DIFESA: Signora, la vostra domanda è così congetturale che mi costringe a rispondere: "no comment".

LA GIORNALISTA: Mi limitavo a ricollegarmi alle affermazioni di Sir Rische e del Delegato Jerulian.

MINISTRO DELLA DIFESA: Loro sono liberi di indulgere a speculazioni avventate. Io no.

SECONDO GIORNALISTA: A rischio di sembrare sarcastico… Ditemi, qual è l'opinione di Vostra Signoria a proposito del tempo?

MINISTRO DELLA DIFESA: È piuttosto caldo in Texarkana, non è vero? E mi risulta che vi siano brutte tempeste di sabbia nel sudovest. Può darsi che ne risentiamo le conseguenze.

LA GIORNALISTA: Siete favorevole al Matriarcato, Lord Ragelle?

MINISTRO DELLA DIFESA: Sono decisamente contrario, signora. Esercita un'influenza maligna sulla gioventù, specie sulle giovani reclute. I servizi militari disporrebbero di soldati migliori, se i nostri combattenti non fossero stati corrotti dal Matriarcato.

LA GIORNALISTA: Posso citare questa vostra dichiarazione?

MINISTRO DELLA DIFESA: Certamente, signora… ma soltanto nel mio necrologio, non prima.

LA GIORNALISTA: Grazie. Lo preparerò in anticipo.


Come altri abati prima di lui, Don Jethrah Zerchi non era per natura un uomo molto contemplativo, sebbene, come capo spirituale della sua comunità, avesse fatto voto di promuovere lo sviluppo di certi aspetti della vita contemplativa nel suo gregge, e, come monaco, avesse fatto voto di coltivare in se stesso una disposizione alla contemplazione. Ma Don Zerchi non eccelleva nell'una o nell'altra cosa. La sua natura lo spingeva verso l'azione, anche nel pensiero: la sua mente rifiutava di rimanere immobile e di contemplare. C'era in lui una irrequietezza che l'aveva portato alla guida del gregge; aveva fatto di lui un capo più ardito, qualche volta più efficiente di alcuni dei suoi predecessori, ma quella stessa irrequietezza poteva facilmente diventare un difetto, o addirittura un vizio.

Zerchi si rendeva vagamente conto, quasi sempre, della sua inclinazione per l'azione affrettata o impulsiva, quando doveva affrontare draghi non facili da uccidere. Per il momento, tuttavia, quella consapevolezza non era vaga ma acuta. Operava in una sfortunata retrospettiva. Il drago aveva già morso San Giorgio.

Il drago era un Abominevole Autoscrivano, e la sua maligna enormità elettronica riempiva parecchie unità cubiche di una parete cava e un terzo del volume della scrivania dell'abate. Come al solito, quell'ordigno funzionava malissimo. Sbagliava le maiuscole, la punteggiatura e scambiava fra loro le parole. Soltanto un momento prima, aveva commesso un atto di lesa maestà elettronica contro la persona dell'abate, il quale, dopo aver chiamato un tecnico specializzato e dopo averne aspettato invano per tre giorni la comparsa, aveva deciso di riparare personalmente quell'abominazione stenografica. Il pavimento dello studio era cosparso di pezzi di carta con dettature di prova. Fra questi, un esempio tipico era dato da quello che recava la seguente informazione:


pRova prOva proVa? PRova prOva? danNazionE? perchÉ queste matTe maiuSCOle ora È il moMENto peR tutti i buoNI memorizZATORI di Attaccarsi aL dOLORe dei conTRABbandieRi di libRi? ACcidenti; pUoi Far meGLio in LAtino adeSSo traDuCi: nECCesse Est epistULam sacri coLLegio mIttendAm esser statim dictem? Dov'è il guastO IN queSTa maleDETTa MACchina.


Zerchi sedette sul pavimento in mezzo al disordine e cercò di cancellare, con un massaggio, il tremito involontario dell'avambraccio, che poco prima aveva preso una scarica elettrica, mentre esplorava le regioni intestinali dell'Autoscrivano. Le torsioni muscolari gli ricordavano la reazione galvanica di una zampa di rana recisa. Poiché si era prudentemente ricordato di staccare la macchina prima di cominciare a frugarvi, poteva soltanto supporre che quel mascalzone di inventore l'avesse fornita dei mezzi per fulminare i clienti anche quando era stata tolta la corrente. Mentre toccava e tirava i contatti alla ricerca di fili staccati, era stato aggredito da un condensatore ad alto voltaggio che aveva approfittato dell'occasione per scaricarsi a terra attraverso la persona del Reverendo Padre Abate quando il gomito del Reverendo Padre aveva sfiorato il telaio. Ma Zerchi non aveva modo di sapere se era stato vittima di una legge di Natura che riguardava i condensatori o di una astutissima trappola intesa a scoraggiare le velleità dei clienti. Comunque, era caduto e il fatto che fosse seduto sul pavimento era involontario. Il suo unico titolo di competenza alla riparazione di quegli arnesi di trascrizione poliglotta consisteva nella prodezza da lui compiuta una volta, quando aveva estratto un topo morto dai circuiti di memoria, correggendo in tal modo una misteriosa tendenza da parte della macchina a scrivere sillabe doppie (silsillabebe dopdoppiepie). Questa volta, poiché non aveva scoperto alcun topo morto, poteva soltanto cercare qualche filo staccato e sperare che il Cielo gli avesse concesso il proprio crisma come guaritore elettronico. Ma a quanto pareva non era così.

— Frate Patrick! — gridò verso l'anticamera, e si rimise fiaccamente in piedi.

— Ehi, frate Pat! — gridò di nuovo.

La porta si aprì immediatamente e il suo segretario entrò, guardò gli armadi a muro aperti, con i loro stupefacenti labirinti di circuiti elettronici, osservò il pavimento coperto di fogli, poi studiò cautamente l'espressione del suo capo spirituale.

— Devo telefonare ancora al servizio assistenza, Padre Abate?

— Perché disturbarsi? — grugnì Zerchi. — Li avete già chiamati tre volte. Hanno fatto tre promesse. Abbiamo aspettato tre giorni. Io ho bisogno di uno stenografo. Subito! Preferibilmente un cristiano. Quella cosa… — e indicò irritato l'Abominevole Autoscrivano — …è una dannata infedele o peggio. Sbarazzate vene. Non la voglio più qui.

— L'APLAC?

— L'APLAC. Vendetela a un ateo. No, non sarebbe gentile. Vendetela come rottame. Ne ho abbastanza. Perché, per amor del cielo, l'Abate Boumous — sia benedetta la sua anima — comprò questo sciocco trabiccolo?

— Ecco, Domne, dicono che al vostro predecessore piacessero molto questi arnesi; e questo è utile per scrivere lettere in lingue che non si conoscono.

È? Dovreste dire sarebbe. Quell'ordigno… ascoltate, fratello, sostengono che quell'ordigno pensi. Dapprima non lo credevo. Il pensiero implica un principio razionale, che implica un'anima. Il principio di una "macchina pensante", fatta dall'uomo, può essere un'anima razionale? Bah! In principio mi pareva una concezione assolutamente pagana. Ma volete sapere una cosa?

— Padre?

— Nulla potrebbe essere così perverso senza premeditazione! Deve pensare! Conosce il bene e il male, e sceglie quest'ultimo. E smettete di sogghignare, per favore. Non è divertente. Non è neppure una concezione pagana. L'uomo ha fatto questo ordigno, ma non ne ha creato il principio. Parlano del principio vegetativo come di un'anima, no? Un'anima vegetale? E l'anima animale? Poi c'è l'anima umana razionale, e questo è quanto elencano come princìpi vivificanti incarnati, poiché gli angeli sono incorporei. Ma come sappiamo se la lista è completa? Vegetativa, animale, razionale… e poi che altro? Quella è qualche cosa d'altro. Quella cosa. Ed è caduta. Fatela togliere di qui… Ma prima devo trasmettere un radiogramma a Roma.

— Devo prendere il blocco, Reverendo Padre?

— Voi sapete l'alleganiano?

— No, non lo so.

— Non lo so neppure io, e il Cardinale Hoffstraff non sa il sudoccidentale.

— Perché non usate il latino, allora?

— Quale latino? Il volgare o il moderno? Non mi fido del mio anglolatino, e se lo usassi, probabilmente lui non si fiderebbe del suo. — E guardò accigliato la mole dello stenografo robotico.

Frate Patrick si accigliò a sua volta, poi si avvicinò agli armadi a muro e cominciò a curiosare nel labirinto di componenti elettronici.

— Niente topi — gli assicurò l'abate.

— Cosa sono tutte queste piccole manopole?

— Non toccatele! — gridò l'Abate Zerchi mentre il segretario sfiorava incuriosito una delle parecchie dozzine di manopole che regolavano altrettanti quadranti. Quei comandi erano montati su una cassetta, alla quale l'abate aveva tolto il coperchio che portava l'irresistibile avvertimento: LA REGOLAZIONE DEVE ESSERE EFFETTUATA ESCLUSIVAMENTE DA INCARICATI DELLA DITTA COSTRUTTRICE.

— Non l'avete mosso, vero? — domandò l'abate, raggiungendo Patrick.

— Può darsi che l'abbia spostato un pochino, ma credo che adesso sia come prima.

Zerchi gli indicò l'avvertimento sul coperchio della cassetta.

— Oh! — disse Pat. Rimasero tutti e due a guardare.

— È soprattutto la punteggiatura, non è vero, Reverendo Padre?

— La punteggiatura e le maiuscole disposte a casaccio, e qualche parola scambiata.

Contemplarono insieme i vari sgorbi, in un silenzio sbalordito.

— Avete mai sentito parlare del Venerabile Francis dello Utah? — chiese finalmente l'abate.

— Non ricordo quel nome, Domne. Perché?

— Speravo soltanto che sia in grado di pregare per noi, adesso, per quanto non creda che sia mai stato canonizzato. Ecco, proviamo a girare un po' questa cosa qui.

— Frate Joshua è un ingegnere di qualche specie. Non mi ricordo di quale. Ma è stato nello spazio. Quella gente deve saperla lunga sui calcolatori.

— L'ho già chiamato. Ha paura di toccarla. Ecco, forse c'è bisogno…

Patrick si scostò. — Se volete scusarmi, Monsignore, io…

Zerchi lanciò uno sguardo al segretario che rabbrividiva. — Oh, uomo di poca fede! — disse, regolando un'altra delle manopole proibite.

— Mi sembrava di avere sentito qualcuno, lì fuori.

— Prima che il gallo canti tre volte… inoltre, siete stato voi a toccare la prima manopola, non è vero?

Patrick si avvilì. — Ma era stato già tolto il coperchio e…

Hinc igitur effuge. Fuori, fuori, prima che mi convinca che è stata colpa vostra!


Rimasto di nuovo solo, Zerchi inserì la spina nella presa alla parete, sedette alla scrivania, e dopo aver mormorato una breve preghiera a San Leibowitz (il quale, in quegli ultimi secoli, aveva acquistato una maggiore popolarità come santo patrono degli elettricisti di quanta ne avesse mai avuta come fondatore dell'Ordine Albertiano di San Leibowitz), girò l'interruttore. Ascoltò, in attesa di sibili e sputacchiamenti, ma non udì nulla, soltanto il lieve ticchettìo dei relé e il ronzio familiare di motori che raggiungevano la massima velocità. Fiutò l'aria. Non c'era fumo, né odore di ozono. Finalmente aprì gli occhi. Persino le spie sul quadro dei comandi della scrivania erano accese come al solito. LA REGOLAZIONE DEVE ESSERE EFFETTUATA ESCLUSIVAMENTE DA INCARICATI DELLA DITTA COSTRUTTRICE proprio!

Un po' rassicurato, spostò il selettore di formato su RADIOGRAMMA regolò il selettore di processo su DETTATURA-REGISTRAZIONE, il blocco traduttore su DA SUDOCCIDENTALE e su IN ALLEGANIANO, si accertò che l'interruttore della trascrizione fosse spento, premette il pulsante del microfono e cominciò a dettare:


— Urgente-Precedenza: A Sua Eminenza Reverendissima, Signor Eric Cardinale Hoffstraff, Vicario Apostolico Designato, Vicariato Provvisionale Extraterrestre, Sacra Congregazione di Propaganda Fide, Vaticano, Nuova Roma…

"Eminentissimo Signore: in considerazione del recente rinnovarsi della tensione nel mondo, dei sintomi di una nuova crisi internazionale, e addirittura dei rapporti riguardanti una corsa clandestina all'armamento nucleare, saremmo grandemente onorati se l'Eminenza Vostra considerasse opportuno consigliarsi riguardo l'attuale stato di certi piani tenuti in sospeso. Mi riferisco alle questioni delineate nel Motu Proprio di Papa Celestino Ottavo di felice memoria, emanato la Festa dell'Annunciazione della Santa Vergine, Anno Domini 3735, che inizia con queste parole… — L'abate fece una pausa per consultare i documenti sulla scrivania. — Ab hac pianeta iam abisse et numquam redituros esse intelligimus! Mi riferisco inoltre al documento di conferma Anno Domini 3749. Quo peregrinata grex, pastor secum, che autorizzava la ricerca di una stazione… ehm… di certi veicoli. Mi riferisco infine alla Casu belli nunc remoto del defunto Papa Paolo, Anno Domini 3756, e alla corrispondenza che ne seguì tra il Santo Padre e il mio predecessore e che culminò in un ordine con il quale si trasferiva a noi l'incarico di tenere il piano. Quo peregrinatur in uno stato di… ehm… animazione sospesa, ma soltanto fino a che Vostra Eminenza lo approvasse. Il nostro grado di preparazione in rapporto al Quo peregrinatur è stato mantenuto, e se dovesse diventare desiderabile l'attuazione del piano, avremmo bisogno di un preavviso di circa sei settimane…"

Mentre l'abate dettava, l'Abominevole Autoscrivano non fece altro che registrare la sua voce e tradurla in un cifrario fonetico su nastro. Quando ebbe finito di parlare, regolò il selettore di processo su ANALIZZARE e premette un bottone che recava la scritta ELABORAZIONE DEL TESTO. La spia del "pronto" si spense e la macchina cominciò l'elaborazione.

Nel frattempo, Zerchi studiava i documenti che aveva davanti.

Un campanello squillò. La spia del "pronto" si accese ammiccando. La macchina era silenziosa. Con una sola occhiata nervosa alla scatola de LA REGOLAZIONE DEVE ESSERE EFFETTUATA ESCLUSIVAMENTE DA INCARICATI DELLA DITTA COSTRUTTRICE, l'abate chiuse gli occhi e premette il pulsante SCRITTURA.

Clacchete-ciac-clacchete-clacchete-pip-pip, poppete-tac-fub-clocchete, la macchina da scrivere automatica cominciò a lavorare su quello che l'abate sperava fosse il testo del radiogramma. Ascoltò, speranzoso, il ritmo dei tasti. Quel primo clacchete-ciac-clacchete-pip aveva avuto un suono molto autoritario. Cercò di udire i ritmi di un discorso in alleganiano nel rumore della battitura, e dopo un po' decise che c'era veramente un certo piglio alleganiano, mescolato al ticchettìo dei tasti. Aprì gli occhi. Dall'altra parte della stanza, lo stenografo robotico stava lavorando con vivacità. Lasciò la scrivania e andò ad osservare il lavoro. Con estrema chiarezza, l'Abominevole autoscriba stava scrivendo l'equivalente alleganiano di:


AZNEDECERP — ETNEGRU — AMMARGOIDAR


cirE rongiS ,amissidnereveR aznenimE auS: A

,ffartsffoH elanidraC

otairaciV ,otangiseD ocilotsopA oiraciV

,ertserretartx elanoisiworP

,ediF adnagaporP id enoizagergnoC arcaS

amoR avouN ,onacitaV


sabbA ,LOA ,ihcreZ harhteJ .veR: AD

ztiwobieL naS id aizabbA

tsevoduS id oirotirreT ,sttiwoB ylnaS


xerG rutanirgereP ouQ: OTTEGGO

,erongiS omissitnenimE

— oisnet alled isravonnir etnecer led enoizaredisnoc ni

— oizanretni isirc avoun anu id imotnis ied ,odnom len en

asroc anu itnadraugir itroppar ied aruttiridda e ,elan

…ommeras ,eraelcun otnemamra'lla anitsednalc


— Ehi, Frate Pat!

Spense la macchina, disgustato. San Leibowitz! Abbiamo faticato per questo? Non riusciva a vedere alcun miglioramento rispetto a una penna d'oca bene appuntita e a un calamaio pieno d'inchiostro di more di gelso.

— Ehi, Pat!

Non vi fu alcuna immediata risposta dall'anticamera, ma dopo pochi secondi un monaco dalla barba rossa aprì la porta e, dopo aver guardato gli armadi a muro, il pavimento coperto di fogli e l'espressione dell'abate, ebbe ancora il coraggio di sorridere.

— Che succede, Magister meus? Non vi piace la nostra tecnologia moderna?

— Non particolarmente! — insorse Zerchi. — Ehi, Pat!

— È fuori, Monsignore.

— Frate Joshua, non siete capace di aggiustare questo ordigno? Davvero?

— Davvero… No, non ne sono capace.

— Devo spedire un radiogramma.

— È un vero peccato, Padre Abate. Non posso fare neppure questo. Ci hanno portato via la radio a galena e hanno chiuso a chiave l'ufficio.

— Chi è stato?

— La Difesa Interna di Zona. Tutti i trasmettitori privati devono cessare le trasmissioni.

Zerchi ritornò alla sua seggiola e vi si lasciò cadere. — Un allarme difensivo. Perché?

Josha alzò le spalle. — Si parla di un ultimatum. È tutto quello che so, ad eccezione di quello che mi hanno detto i contatori di radiazioni.

— Continuano a salire?

— Continuano a salire.

— Chiamate Spokane.


Prima di sera, si levò il vento carico di polvere. Il vento passò sopra la mesa e sulla cittadina di Sanly Bowitts. Spazzò la campagna circostante, strappando rivoli di sabbia dagli orli sterili. Gemette contro le mura di pietra dell'antica abbazia e contro le mura di vetro e di alluminio delle costruzioni più recenti aggiunte all'abbazia. Oscurò il sole che si arrossava con il terriccio del suolo, e mandò diavoli di polvere a correre sull'asfalto dell'autostrada a sei corsie che separava l'antica abbazia dalle costruzioni moderne.

Sulla strada secondaria che a un certo punto fiancheggiava l'autostrada e conduceva dal monastero alla città, attraverso un quartiere residenziale, un vecchio mendicante vestito di tela da sacco si fermò ad ascoltare il vento. Il vento portava da sud il rombo esplosivo delle esercitazioni missilistiche. I missili d'intercettamento terra-spazio venivano lanciati verso orbite-bersaglio da una base di lancio lontana, nel deserto. Il vecchio guardò il debole disco rosso del sole, mentre si appoggiava al bastone e mormorava, a se stesso e al sole: — Cattivo augurio, cattivo augurio…

Alcuni bambini stavano giocando nel cortile pieno di erba incolta di una casupola al di là della strada laterale; i loro giochi procedevano sotto la sorveglianza muta ma onniveggente di una donna nera e rugosa che fumava una pipa piena d'erba sulla veranda e proferiva di tanto in tanto qualche parola di consolazione o di rimostranza a uno o all'altro dei giocatori piangenti che si presentava come querelante davanti al tribunale della nonna, sulla veranda della casupola.

Ben presto, uno dei bambini notò il vecchio vagabondo che se ne stava ritto in mezzo alla strada, e subito si levò alto un grido: — Guarda, guarda! Il vecchio Lazar! La zia dice che è il vecchio Lazar, quello che è stato risuscitato dal Signore Gesù! Guarda! Lazar! Lazar!

I bambini si accalcarono alla staccionata malconcia. Il vecchio vagabondo li guardò burbero per un momento, poi proseguì il cammino. Un ciottolo saltellò sul suolo, ai suoi piedi.

— Ehi, Lazar!

— La zia dice, quello che il Signore Gesù ha risuscitato resta vivo! Guardatelo! Già! Sta ancora cercando il Signore che l'ha risuscitato. La zia dice…

Un altro sasso saltellò dietro il vecchio, che tuttavia non si voltò. La vecchia annuì, assonnata. I bambini ritornarono ai loro giochi. La tempesta di polvere si fece più forte.

Dalla parte opposta dell'autostrada, rispetto alla vecchia abbazia, sul tetto di uno dei nuovi edifici di alluminio e di vetro, un monaco stava misurando il vento. Lo misurava con un arnese aspirante che inghiottiva l'aria polverosa e soffiava il vento filtrato alla presa di un compressore. Il monaco non era più giovane, ma non era ancora anziano. La sua corta barba rossa sembrava carica di elettricità, perché attirava ragnatele volanti e vortici di polvere; ogni tanto se la grattava, irritato, e una volta spinse il mento nell'estremità del tubo aspirante; il risultato lo fece brontolare in modo colorito, dopodiché si fece il segno della croce.

Il motore del compressore tossì e si spense. Il monaco spense la macchina aspirante, ne staccò il tubo e la trascinò attraverso la terrazza verso l'ascensore. Mucchietti di polvere si erano accumulati negli angoli. Chiuse la porta e premette il bottone della discesa.

Nel laboratorio, posto all'ultimo piano, guardò l'indicatore del compressore, che indicava MASSIMO NORMALE, poi chiuse la porta, si tolse l'abito, ne scosse la polvere, l'appese a un attaccapanni e vi passò sopra il tubo dell'aspiratore. Poi si avvicinò alla profonda vasca d'acciaio all'estremità del banco del laboratorio, aprì il rubinetto dell'acqua fredda e la lasciò salire fino al livello 200 BROCCHE. Cacciò la testa nell'acqua, si lavò il fango dalla barba e dai capelli. Era piacevolmente gelata. Sgocciolando e sputacchiando, guardò la porta. La probabilità che arrivasse qualche visitatore proprio in quel momento era molto ridotta. Si tolse la biancheria, entrò nella vasca e vi si accomodò con un sospiro tremulo.

Improvvisamente la porta si aprì. Suor Helene entrò con in mano un vassoio di provette nuove. Sconvolto, il monaco balzò in piedi.

— Frate Joshua! — strillò la suora. Mezza dozzina di provette si sfracellarono sul pavimento.

Il monaco ricadde a sedere, facendo schizzare l'acqua tutto intorno sul pavimento. Suor Helene balbettò, squittì, scaraventò il vassoio sul banco e fuggì.

Joshua schizzò fuori dalla vasca e infilò l'abito senza asciugarsi e senza indossare la biancheria. Quando arrivò sulla porta, Suor Helene era già fuori del corridoio… probabilmente era già fuori dell'edificio, a metà strada verso la cappella delle sorelle, a fianco della strada laterale. Mortificato, il monaco si affrettò a completare il suo lavoro.

Vuotò il contenuto dell'aspiratore e raccolse in una fiala un campione della polvere. Poi portò la fiala al banco da lavoro, mise in testa una cuffia, e mise la fiala davanti a un contatore di radioattività mentre consultava l'orologio e ascoltava.

Il compressore aveva un contatore inserito. Joshua premette un pulsante con la scritta AZZERAMENTO. L'indicatore dei decimali riscattò vertiginosamente a zero e ricominciò a contare. Il monaco lo fermò dopo un minuto e si scrisse il totale sul dorso della mano. Era soprattutto aria comune, filtrata e compressa: ma c'era una zaffata di qualcosa d'altro.

Chiuse il laboratorio per la pausa pomeridiana. Scese nell'ufficio del piano sottostante, trascrisse il dato su un grafico appeso a una parete, ne osservò la preoccupante ascesa, poi sedette alla scrivania e girò l'interruttore del visifono. Fece il numero alla cieca, senza smettere di guardare il grafico. Lo schermo lampeggiò, l'audio sibilò, e il visore si mise a fuoco sulla spalliera di una sedia vuota, posta dietro una scrivania. Dopo pochi secondi un uomo scivolò sulla sedia e guardò nel visore.

— Qui l'Abate Zerchi — grugnì l'abate. — Oh, frate Joshua. Stavo per chiamarla. Stavate facendo il bagno?

— Sì, Monsignor Abate.

— Potreste almeno arrossire!

— Sto arrossendo.

— Bene, sullo schermo non risulta. Ascoltatemi. Da questa parte dell'autostrada c'è una scritta, proprio davanti alle nostre porte. L'avrete notata, naturalmente. Dice "Le Donne Non Possono Entrare Per Non…" e così via. L'avete notata?

— Sicuro, Monsignore.

— Fate il bagno da questa parte della scritta.

— Certamente.

— Fate penitenza per aver offeso il pudore della sorella. Anche se voi non ne avrete. Immagino che non riusciate neppure a passare vicino al bacino dell'acqua potabile senza saltarvi dentro, nudo come un neonato, per fare una nuotatina.

— Chi vi ha detto questo, Monsignore? Voglio dire… mi sono limitato a passare a guado…

— S-s-s-sì? Bene, lasciate perdere. Perché mi avete chiamato?

— Volevate che chiamassi Spokane.

— Oh, sì. L'avete fatto?

— Sì. — Il monaco si mordicchiò una pellicina secca agli angoli delle labbra screpolate dal vento e fece una pausa imbarazzata. — Ho parlato con Padre Leone. Anche loro l'hanno notato.

— L'aumento del tasso di radioattività?

— Non è tutto. — Esitò di nuovo. Non gli faceva piacere dirlo. Comunicare un fatto sembrava sempre attribuirgli un'esistenza più completa.

— Ebbene?

— È connesso al movimento sismico di qualche giorno fa. È portato in questa direzione dai venti d'alta quota. Tutto considerato, sembra come un fallout di una esplosione a bassa quota nell'ordine di megatoni.

— Ehau! — Zerchi sospirò e si coprì gli occhi con una mano. — Lucifer ruisse mihi dicis?

— Sì, Domne, temo che fosse una bomba.

— Non è possibile che sia stato un incidente industriale?

— No.

— Ma se vi fosse in corso una guerra, lo sapremmo. Un esperimento illecito? No, neppure questo. Se volessero provare una bomba, potrebbero sperimentarla sull'altra faccia della Luna o meglio ancora su Marte, per non farsi scoprire.

Joshua annuì.

— Quindi che cosa rimane? — continuò l'abate. — Una esibizione voluta? Una minaccia? Un avvertimento?

— È tutto quello a cui riesco a pensare.

— Così questo spiega l'allarme difensivo. Eppure, nelle notizie non c'è nulla: soltanto voci e rifiuti di rilasciare commenti. E un silenzio di morte da parte dell'Asia.

— Ma l'esplosione deve essere stata registrata da qualcuno dei satelliti-osservatorio. A meno che… non mi piace pensare a questo, ma… a meno che qualcuno non abbia scoperto il modo di lanciare un missile spazio-terra oltre i satelliti, senza che nessuno possa accorgersene fino a che non è sull'obiettivo.

— È possibile?

— Se ne è parlato, Padre Abate.

— Il governo lo sa. Il governo deve saperlo. Molti governi lo sanno. Eppure noi non sentiamo nulla. Ci proteggono dall'isterismo. Non dicono così? Maniaci! Il mondo è in uno stato abituale di crisi da cinquant'anni. Cinquanta? Che cosa dico? È in uno stato abituale di crisi fin dall'inizio… ma da mezzo secolo, la tensione è quasi insopportabile. E perché, per amor di Dio? Qual è l'elemento irritante fondamentale, l'essenza della tensione? Filosofie politiche? Economia? Pressione demografica? Differenza di civiltà e di credo? Lo chieda a una dozzina di esperti, otterrà una dozzina di risposte. E adesso di nuovo Lucifero. La nostra razza è congenitamente folle, fratello? Se siamo nati pazzi, dov'è la speranza del Paradiso? Solo attraverso la Fede? O non esiste affatto? Dio mi perdoni, non intendevo questo. Ascoltate, Joshua.

— Monsignore?

— Non appena avrete chiuso bottega, venite qui… Quel radiogramma… devo mandare frate Pat in città per farlo tradurre e inoltrare regolarmente. E voglio che siate qui quando arriverà la risposta. Sapete di che si tratta?

Frate Joshua scosse il capo.

Quo peregrinatur grex.

Il monaco impallidì lentamente. — Deve entrare in fase esecutiva, Domne?

— Sto appunto cercando di scoprire a che punto è il piano. Non parlatene a nessuno. Naturalmente, riguarderà anche voi. Venite qui da me; non appena avete finito.

— Certamente.

Chris-tecum.

Cum spiri'tuo.

Lo schermo si spense. La stanza era calda, ma Joshua rabbrividiva. Guardò fuori dalla finestra, in un crepuscolo prematuro carico di polvere. Non riusciva a vedere altro che lo sbarramento protettivo vicino all'autostrada, dove una processione di fari di camion accendeva aloni mobili nella nube di polvere. Dopo un po', si accorse che qualcuno era fermo vicino al cancello, dove si apriva il viale d'accesso. La figura era a mala pena visibile, controluce, quando l'aurora boreale dei fari gli passava accanto, lampeggiando. Joshua rabbrividì ancora una volta.

La figura era, inconfondibilmente, quella della signora Grales. Nessun altro avrebbe potuto essere riconoscibile in quella visibilità così scarsa, ma la forma del fardello incappucciato sulla sua spalla sinistra, e il modo in cui teneva la testa inclinata verso destra, rendevano unico il profilo della Vecchia Madama Grales.

Il monaco tirò le tende e accese la luce. La deformità della donna non gli ripugnava; il mondo si era ormai abituato a simili deformazioni genetiche. Lui stesso aveva una piccola cicatrice sulla mano sinistra, dove un sesto dito era stato asportato, durante la sua infanzia. Ma l'eredità del Diluvium Ignis era qualcosa che preferiva dimenticare, per il momento, e la signora Grales ne era uno degli eredi più cospicui.

Toccò un mappamondo posato sulla scrivania. Lo fece girare, in modo che l'Oceano Pacifico e l'Asia Orientale passassero davanti a lui. Dove? Dove, precisamente? Fece roteare il globo più in fretta, colpendolo leggermente, ogni tanto, in modo che girasse come una trottola, più in fretta e più in fretta, fino a che i continenti e gli oceani si confusero. Fate le vostre scommesse, Signori e Signore. Dove? Frenò bruscamente il globo con il pollice. Banco: paga l'India. Prego, incassi, Signora.

Era assurdo tentare di indovinare. Fece girare ancora il globo, fino a che il sostegno assiale tintinnò; i "giorni" fuggivano come istanti brevissimi… In senso inverso, notò all'improvviso. Se Madre Gaia avesse ruotato in quel senso, il sole e il resto dello scenario girevole sarebbero sorti a ovest e sarebbero tramontati a est. Rovesciando il tempo, di conseguenza? Colui che portava il mio nome disse: Non muoverti, o Sole, verso Gabaon, né tu, o Luna, verso la valle… un bello scherzo, semplice, e utile anche in questi tempi. Risali, o Sole, e tu, Luna recedite in orbitas reversas…

Continuò a fare girare il globo a rovescio, come se sperasse che quel simulacro della Terra possedesse Chronos per il tempo necessario per ritornare a zero. Un terzo di milioni di giri potrebbero cancellare abbastanza giorni per riportarla al Diluvium Ignis. Meglio usare un motore e farla roteare fino all'inizio dell'Umanità. Fermò di nuovo il globo con il pollice. Ancora una volta la divinazione fu casuale.

Eppure si tratteneva in ufficio, e temeva di ritornare a "casa". "Casa" era subito oltre l'autostrada, nelle sale infestate di quegli edifici antichi, le cui mura contenevano ancora pietre che erano state il cemento, ridotto in macerie, di una civiltà morta diciotto secoli prima.

Attraversare l'autostrada per raggiungere la vecchia abbazia era come attraversare un eone. Qui, nei nuovi edifici di alluminio e di vetro, lui era un tecnico dietro un banco da lavoro, e gli eventi erano solamente fenomeni che dovevano essere osservati in rapporto al loro Come, senza porre in discussione il loro Perché. Da questa parte della strada, la caduta di Lucifero era soltanto un'inferenza derivata dalla fredda aritmetica del chiacchierio dei contatori di radioattività, dall'improvviso scatto di un ago di sismografo. Ma nella vecchia abbazia, lui smetteva di essere un tecnico: là era un monaco di Cristo, un contrabbandiere di Libri e un memorizzatore nella comunità di Leibowitz. Laggiù, la domanda sarebbe stata: "Perché, Signore, perché?". Ma la domanda era già stata formulata, e l'abate aveva detto "Venite da me".

Joshua prese la cartella e si avviò per obbedire alla chiamata del suo superiore. Per evitare di incontrare la signora Grales, si servì del sottopassaggio pedonale: non era il momento adatto per una educata conversazione con la vecchia bicefala venditrice di pomodori.

25

La diga del segreto si era spezzata. Parecchi eroi della burocrazia furono spazzati via dall'ondata furibonda; l'ondata li portò fuori da Texarkana, nelle loro tenute di campagna, dove non rilasciarono alcuna dichiarazione. Altri rimasero ai loro posti e tentarono fiaccamente di tappare le nuove falle. Ma la caduta di certi isotopi nel vento creò una frase universale, pronunciata agli angoli delle strade e gridata da titoli enormi: LUCIFERO È CADUTO.

Il ministro della Difesa, con l'uniforme immacolata, l'acconciatura intatta, l'equanimità imperturbata, affrontò di nuovo la confraternita dei giornalisti: questa volta la conferenza stampa fu trasmessa per televisione in tutta la Coalizione Cristiana.


LA GIORNALISTA: Vostra Signoria appare piuttosto calma, di fronte ai fatti. Si sono verificate recentemente due violazioni della legge internazionale, entrambe definite dal trattato come atti bellici. Questo non preoccupa il ministero della Guerra?

MINISTRO DELLA DIFESA: Signora, come sapete benissimo, noi non abbiamo un ministero della Guerra: noi abbiamo un ministero della Difesa. E, per quel che ne so, si è verificato soltanto una violazione della legge internazionale. Vi dispiacerebbe mettermi al corrente dell'altra?

LA GIORNALISTA: Di quale non siete al corrente? Del disastro di Itu Wan, o dell'esplosione-monito in mezzo al Sud Pacifico?

MINISTRO DELLA DIFESA (improvvisamente severo): Signora, senza dubbio non intendevate essere faziosa, ma la vostra domanda sembra dare appoggio, se non credito, alle accuse assolutamente false degli asiatici, secondo i quali il cosiddetto disastro di Itu Wan sarebbe stato il risultato del collaudo di un'arma da parte nostra e non da parte loro!

LA GIORNALISTA: Se è così vi invito a farmi arrestare immediatamente. La domanda era basata su una versione neutrale del Vicino Oriente, secondo la quale il disastro di Itu Wan è stato il risultato dell'esplosione sotterranea di una bomba asiatica, che finì per esplodere all'aperto. La stessa versione afferma che l'esperimento di Itu Wan è stato visto dai nostri satelliti e che, in risposta, un missile spazio-terra fu fatto esplodere, come avvertimento, a sudest della Nuova Zelanda. Ma ora che siete voi a suggerirlo, il disastro di Itu Wan è stato il risultato di un esperimento nucleare effettuato da noi?

MINISTRO DELLA DIFESA (con forzata pazienza): riconosco l'obbligo, per un giornalista, di essere obiettivo. Ma suggerire che il governo di Sua Supremazia avrebbe deliberatamente violato…

LA GIORNALISTA: Sua Supremazia ha soltanto undici anni e definire il governo come "suo" è non soltanto un arcaico, ma altamente disonorevole, e persino meschino tentativo di eludere la responsabilità di una piena smentita da parte vostra…

MODERATORE: Signora! Vi prego di cambiare il tono della vostra…

MINISTRO DELLA DIFESA: Lasciate perdere, lasciate perdere! Signora, avete la mia smentita più recisa, se volete dare importanza a queste fantastiche accuse. Il cosiddetto disastro di Itu Wan non è stato il risultato di un nostro esperimento nucleare. E non sono a conoscenza di altre recenti esplosioni atomiche.

LA GIORNALISTA: Grazie.

MODERATORE: Credo che il direttore del Texarkana Star-Insight voglia dire qualcosa.

DIRETTORE: Grazie. Vorrei chiedere a Vostra Signoria, che cosa è accaduto a Itu Wan.

MINISTRO DELLA DIFESA: Non vi sono nostri connazionali in quella zona; non vi abbiamo neppure osservatori, da quando i rapporti diplomatici furono rotti durante l'ultima crisi. Di conseguenza, posso fare conto soltanto su prove indirette, e sulle versioni alquanto contrastanti dei neutrali.

DIRETTORE: Questo lo comprendo.

MINISTRO DELLA DIFESA: Benissimo, allora, mi risulta che vi sia stata un'esplosione nucleare sotterranea, nell'ordine dei megatoni, e che è sfuggita al controllo. Era, evidentemente, un esperimento. Fosse un'arma o, come sostengono alcuni "neutrali" che simpatizzano con gli asiatici, un tentativo di deviare un fiume sotterraneo… era comunque chiaramente illegale, e i paesi confinanti stanno preparando una protesta da presentare alla Corte Mondiale.

DIRETTORE: C'è pericolo di una guerra?

MINISTRO DELLA DIFESA: Io non prevedo una cosa simile. Ma come sapete, alcuni distaccamenti delle nostre forze armate sono soggetti a coscrizione da parte della Corte Mondiale, a sostegno delle sue decisioni, se fosse necessario. Non prevedo una simile necessità, ma non posso parlare a nome della Corte.

PRIMO GIORNALISTA: Ma la coalizione asiatica ha minacciato una immediata rappresaglia totale contro le nostre installazioni spaziali se la Corte non intraprenderà un'azione contro di noi. E se la Corte tardasse ad agire?

MINISTRO DELLA DIFESA: Non è stato emesso alcun ultimatum. La minaccia era per il consumo interno asiatico, secondo me; per coprire l'errore di Itu Wan.

LA GIORNALISTA: Come va la vostra fede nel Matriarcato, oggi, Lord Ragelle?

MINISTRO DELLA DIFESA: Spero che il Matriarcato abbia in me la stessa fede che io ho nel Matriarcato.

LA GIORNALISTA: È il meno che voi meritiate, ne sono certa.


La conferenza stampa, irradiata dal satellite a trentamila chilometri dalla Terra, investì quasi tutto l'emisfero occidentale con l'ammiccante segnale WHF che portava quelle notizie agli schermi delle moltitudini. Unico fra quelle moltitudini, l'Abate Don Zerchi spense l'apparecchio. Camminò avanti e indietro per un po', aspettando Joshua, cercando di non pensare. Ma "non pensare" si rivelò impossibile.

Ascolta, siamo impotenti? Siamo destinati a farlo ancora e ancora e ancora? Non abbiamo altra scelta se non fare la parte della Fenice, in una interminabile sequenza di ascese e di cadute? Assiria, Babilonia, Egitto, Turchia, Cartagine, Roma, l'impero di Carlomagno, l'impero ottomano. Ridotti in polvere e cosparsi di sale. Spagna, Francia, Bretagna, America… bruciate nell'oblio dei secoli. E ancora e ancora e ancora.

Siamo destinati a questo, Signore, incatenati al pendolo del nostro pazzo orologio, impotenti a fermare la sua oscillazione?

Questa volta ci lancerà nell'oblio, pensò.

Il sentimento di disperazione svanì bruscamente quando frate Pat gli portò il secondo telegramma. L'abate l'aprì, lo lesse con una occhiata e ridacchiò. — È ancora qui frate Joshua, fratello?

— Sta aspettando fuori, Reverendo Padre.

— Fatelo entrare.

— Oh, fratello, chiudete la porta e accendete il silenziatore. Poi leggete questo.

Joshua guardò il telegramma. — Una risposta da Nuova Roma?

— È arrivato questa mattina. Ma prima accendete quel silenziatore. Abbiamo alcune cose da discutere.

Joshua chiuse la porta e girò un interruttore sulla parete. Gli altoparlanti nascosti fecero udire un breve squittìo di protesta. Quando lo squittìo fini, le proprietà acustiche della stanza sembravano improvvisamente cambiate.

Don Zerchi gli accennò di sedersi, e Joshua lesse in silenzio il primo telegramma.

— … nessuna azione dovrà essere da voi intrapresa in rapporto con il Quo peregrinatur grex - lesse, a voce alta.

— Dovrete gridare, con quell'ordigno in attività — disse l'abate, indicando il silenziatore. — Cosa dicevate?

— Stavo solo leggendo. Dunque il piano è cancellato?

— Non mostratevi tanto sollevato. Quello è arrivato questa mattina. Questo è arrivato nel pomeriggio. — L'abate gli buttò un secondo telegramma:

IGNORARE PRECEDENTE MESSAGGIO DI QUESTA DATA. "QUO PEREGRINATUR" DEVE ESSERE RIATTIVATO IMMEDIATAMENTE PER RICHIESTA DEL SANTO PADRE. PREPARARE I QUADRI ALLA PARTENZA ENTRO TRE GIORNI. ASPETTATE TELEGRAMMA DI CONFERMA PRIMA DI PARTIRE. RIFERIRE QUALUNQUE LACUNA NELLA ORGANIZZAZIONE DEI QUADRI. INIZIARE ATTUAZIONE CONDIZIONALE DEL PIANO. ERIC CARDINALE HOFFSTRAFF, VICARIO APOST. EXTRATERR. PROVINCIALE.

Il volto del monaco impallidì. Posò il telegramma sulla scrivania e tornò a sedersi, con le labbra strette.

— Sapete cosa è il Quo peregrinatur?

— So che cosa è, Domne, ma non nei particolari.

— Ecco, cominciò come un piano per mandare qualche prete insieme a un gruppo di coloni diretto ad Alfa Centauri. Ma non funzionava, perché occorrono vescovi per ordinare i preti, e dopo la prima generazione di coloni, sarebbe stato necessario mandare altri preti, e così via. La questione si ridusse a una discussione sulla probabile durata delle colonie, e sulla opportunità di prendere provvedimenti per assicurare la successione apostolica sui pianeti colonizzati senza fare ricorso alla Terra. Sapete che cosa significherebbe?

— L'invio di almeno tre vescovi, immagino.

— Sì, e sembrava un'idea piuttosto sciocca. I gruppi di coloni sono sempre stati piuttosto piccoli. Ma durante l'ultima crisi mondiale, il Quo peregrinatur divenne un piano d'emergenza per perpetuare la Chiesa sulle colonie planetarie se sulla Terra accadesse il peggio. Abbiamo una nave.

— Un'astronave?

— Infatti. E abbiamo un equipaggio in grado di guidarla.

— Dove?

— L'equipaggio è qui.

— Qui nell'abbazia? Ma chi…? — Joshua si interruppe. Il suo viso divenne ancora più grigio. — Ma, Domne, la mia esperienza nello spazio è limitata esclusivamente a veicoli orbitali, non alle astronavi! Prima che Nancy morisse e che io entrassi nei Cisterc…

— So tutto. Vi sono altri che hanno esperienza in fatto di astronavi. Sapete chi sono. Corrono persino alcune battute sul numero degli exspaziali che sembrano provare una vocazione per il nostro Ordine. Non è un caso, naturalmente. E ricordate quando eravate un postulante, quante domande vi fecero sulla vostra esperienza spaziale?

Joshua annuì.

— Dovete anche ricordare che vi fu chiesto se eravate disposto a ritornare nello spazio, se l'Ordine ve lo avesse chiesto.

— Sì.

— Quindi non eravate completamente ignaro del fatto che eravate assegnato condizionalmente al Quo peregrinatur, se mai fosse stato attuato?

— Credo… credo di aver temuto proprio questo, Monsignore.

— Temuto?

— Sospettato, diciamo. E anche un po' temuto, perché ho sempre sperato di trascorrere il resto della mia vita nell'Ordine.

— Come prete?

— Questo… ecco, questo non l'ho ancora deciso.

— Il Quo peregrinatur non vi libererà dai voti e non significherà abbandonare l'Ordine.

— Parte anche l'Ordine?

Zerchi sorrise. — E con esso i Memorabilia.

— Tutto quanto… e… Oh, vuol dire su microfilm. E dove?

— Nella colonia del Centauro.

— E per quanto staremo lontani, Domne?

— Se partite, non ritornerete mai.

Il monaco respirò pesantemente e fissò il secondo telegramma senza mostrare di vederlo. Si grattò la barba, perplesso.

— Tre domande — disse l'abate. — Non rispondete subito, ma cominciate a pensarci, e pensateci bene. Primo, siete disposto ad andare? Secondo, avete la vocazione per il sacerdozio? Terzo, siete disposto a guidare il gruppo? E per "disposto" non intendo "disposto per la santa ubbidienza": intendo entusiasta, desideroso di fare così. Pensateci sopra. Avete tre giorni di tempo per pensarci… forse meno.

I cambiamenti moderni avevano fatto soltanto poche incursioni sugli edifici e sul terreno dell'antico monastero. Per proteggere gli antichi edifici dall'assedio di una architettura più impaziente, erano state fatte altre aggiunte, all'esterno delle mura, e perfino al di là dell'autostrada… qualche volta a spese della convenienza. Il vecchio refettorio era stato condannato da un tetto pericolante, e adesso era necessario attraversare l'autostrada per raggiungere il nuovo refettorio. L'inconveniente era mitigato dal sottopassaggio che i fratelli percorrevano ogni giorno per andare a prendere i pasti.

Vecchia di secoli, ma ampliata in tempi recenti, l'autostrada era la stessa strada usata da eserciti pagani, pellegrini, contadini, carretti trainati da asini, nomadi cavalieri selvaggi venuti dall'Est, artiglieri, carri armati e camion da dieci tonnellate. Il traffico vi era fluito abbondante, scarso o quasi inesistente, a seconda dell'epoca e delle stagioni. Un'altra volta, non molto tempo prima, c'erano state sei corsie e un traffico automatico. Poi il traffico si era fermato, la pavimentazione si era screpolata, e ciuffi d'erba sparsa erano cresciuti nelle screpolature, dopo qualche raro acquazzone. La polvere l'aveva coperto. Gli abitatori del deserto avevano estratto il suo cemento spezzato per costruire baracche e barricate. L'erosione ne aveva fatto una pista nel deserto, attraverso la desolazione. Ma adesso c'erano sei corsie e un traffico automatico, come prima.

— C'è poco traffico, questa sera — osservò l'abate mentre lasciavano l'antico portone. — Attraversiamo. Quel sottopassaggio diventa soffocante, dopo una tempesta di sabbia. O forse non avete voglia di schivare gli autobus?

— Andiamo — dichiarò frate Joshua.

I camion con i fari anabbaglianti — che servivano soltanto come avvertimento — passavano davanti a loro, con i pneumatici che gemevano e le turbine che brontolavano. Con le antenne sorvegliavano la strada, con i sensori magnetici sentivano le strisce-guida d'acciaio inserite nel letto della strada e le seguivano, mentre correvano sul fiume roseo e fluorescente del cemento oleoso. Corpuscoli dell'economia in una arteria dell'Uomo, i leviatani procedevano a passo di carica davanti ai monaci che li schivavano da una corsia all'altra. Essere urtati da uno di loro significava essere investiti da un camion dopo l'altro, fino a che una macchina della polizia stradale avrebbe trovato l'impronta appiattita di un uomo sul cemento e si sarebbe fermata per cancellarla. I meccanismi sensori degli autopiloti riuscivano molto meglio a identificare masse di metallo che masse di carne e sangue.

— È stato un errore — disse Joshua, quando raggiunsero lo spartitraffico e si fermarono per respirare. — Guardate chi c'è laggiù.

L'abate guardò per un attimo, poi si batté una mano sulla fronte. — La signora Grales! Me ne ero dimenticato; è la sera in cui viene a ronzarmi intorno. Ha venduto i pomodori al refettorio delle sorelle, e adesso mi sta cercando di nuovo.

— Sta cercando voi? Era lì anche ieri sera, e anche la sera prima. Credevo che aspettasse qualcuno che le desse un passaggio. Cosa vuole da voi?

— Oh, niente, veramente. Ha finito di salassare le sorelle con il prezzo dei pomodori, e adesso vorrà regalarmi il guadagno in più per la cassetta delle elemosine. È un piccolo rito. Non mi importa il rito in sé. È quello che viene dopo che è triste. Vedrete.

— Dobbiamo tornare indietro?

— E offenderla? Sciocchezze. Ormai ci ha visti. Venite.

Tornarono a tuffarsi nella corrente di camion.

La donna a due teste e il suo cane a sei zampe aspettavano, con una cesta vuota, accanto alla porta nuova; la donna parlava sottovoce al cane. Quattro delle zampe del cane erano sane, ma il paio in soprannumero gli pendeva inutile dai fianchi. In quanto alla donna, una testa era inutile quanto le zampe in più del cane. Era una testa piccina, una testa cherubica, ma non apriva mai gli occhi. Non dimostrava di dividere la respirazione o l'intelligenza della donna. Dondolava inutile su di una spalla, cieca, sorda, muta, viva solo vegetativamente. Forse mancava del cervello, perché non mostrava segni di una coscienza o di una personalità indipendenti. L'altro viso era vecchio e grinzoso, ma la testa superflua conservava i lineamenti dell'infanzia, sebbene fosse stata indurita dal vento sabbioso e scurita dal sole del deserto.

La vecchia si inchinò al loro avvicinarsi, e il cane si tirò indietro, con un ringhio.

— 'sera, Padre Zerchi — cantilenò la donna, con forte accento dialettale — una bella serata a voi… e a voi, fratello.

— Oh, salve, signora Grales…

Il cane latrò, si arruffò, e cominciò una danza frenetica, fiutando le caviglie dell'abate con le zanne scoperte, per azzannare. La signora Grales colpì prontamente la bestia con il canestro delle verdure. I denti del cane lacerarono il canestro; il cane si rivoltò alla padrona. La signora Grales lo tenne a bada con il canestro; e, dopo aver ricevuto alcuni colpi sonori, il cane si ritirò e sedette, brontolando, sulla soglia.

— Priscilla è di ottimo umore — osservò piacevolmente Zerchi. — Deve avere i cuccioli?

— Domando perdono, vostro onore — disse la signora Grales — ma non è perché deve avere i cuccioli che è così, il diavolo se la porti!, ma è stata colpa del mio uomo. Ha stregato questa povera bestia, lui… proprio per il gusto di farlo… e lei ha paura di tutto. Chiedo perdono a vostro onore per la sua cattiveria.

— Non importa. Bene, buonanotte, signora Grales.

Ma la fuga non fu facile. La donna prese l'abate per una manica e sorrise del suo irresistibile sorriso sdentato.

— Un minuto, Padre, solo un minuto per la vecchia donna dei pomodori, se potete.

— Certo, naturalmente. Sarò felice…

Joshua rivolse all'abate un sogghigno di straforo e proseguì per negoziare con la cagna il diritto di transito. Priscilla lo guardò con aperto disprezzo.

— Ecco, Padre, ecco — stava dicendo la signora Grales. — Prendete qualcosa per la cassetta delle elemosine. Ecco…-Le monete tintinnarono mentre Zerchi protestava. — No, ecco, prendete, prendete — insistette la donna. — Oh, so quello che dite sempre voi, perbacco! Ma non sono così povera come potete credere. E ho un buon lavoro. Se non prendete questi soldi, quel buono a niente del mio uomo me li prenderà lui, e farà l'opera del Diavolo. Ecco… ho venduto i pomodori, ci ho guadagnato un po', e ho comprato da mangiare per una settimana e anche un giocattolo per Rachel. Voglio che li prendiate. Ecco qua.

— È molto gentile…

— Grryump! — risuonò dalla soglia un latrato autoritario. — Grryump! Rowf! rowf! Rrrrr Owwff!… — E fu seguito da una rapida sequenza di abbaiamenti, e dai ringhi di Priscilla in ritirata.

Joshua ritornò, con le mani nascoste nelle maniche.

— Siete ferito?

— Grryump! — disse il monaco.

— Che cosa avete fatto a quella bestia?

— Grryump! — ripeté frate Joshua. — Rowf! Rowf! Rrrr Owwff! — poi spiegò: — Priscilla crede nei lupi mannari. Era lei ad abbaiare. Adesso possiamo passare.

La cagna era scomparsa; ma la signora Grales tornò a prendere l'abate per le mani. — Ancora un momento, Padre, e poi non vi tratterrò più. Volevo parlarvi della piccola Rachel. Bisogna pensare a battezzarla, e volevo chiedervi se mi fareste l'onore di…

— Signora Grales — si intromise gentilmente l'abate — dovete consultare il vostro parroco. Tocca a lui pensare a queste cose, non a me. Io non ho parrocchia… solo l'abbazia. Parlate a Padre Selo, a San Michele. La nostra chiesa non ha neppure un fonte. Le donne non sono ammesse, tranne che nella tribuna…

— La cappella delle sorelle ha un fonte, e le donne possono…

— Spetta a Padre Selo, non a me. Deve essere registrato nella sua parrocchia. Solo in caso di emergenza, io potrei…

— Sì, sì, questo lo so. Ma ho parlato a Padre Selo. Ho portato Rachel nella sua chiesa e quello sciocco non ha voluto toccarla.

— Ha rifiutato di battezzare Rachel?

— Proprio, quello sciocco.

— State parlando di un prete, signora Grales, e non è uno sciocco, lo conosco bene. Deve avere avuto le sue ragioni, per rifiutare. Se non accettate le sue ragioni, allora consultate qualcun altro… ma non un prete monastico. Parlate al pastore di Santa Maisie, magari.

— Sì, ho fatto anche questo… — Si lanciò in quello che prometteva di essere un resoconto prolungato di tutte le sue schermaglie in favore della non battezzata Rachel. I monaci ascoltarono dapprima pazientemente, ma, mentre l'osservava, Joshua afferrò il braccio dell'abate, sopra al gomito; le sue dita affondarono gradualmente nel braccio di Zerchi fino a che l'abate rabbrividì per il dolore e si liberò con l'altra mano.

— Cosa fate? — sussurrò, ma poi notò l'espressione del monaco. Gli occhi di Joshua erano fissi sulla vecchia come se fosse un basilisco. Zerchi seguì quello sguardo, ma non vide nulla di più strano del solito; la testa in più era seminascosta da una specie di velo, ma frate Joshua l'aveva certamente vista abbastanza spesso.

— Scusatemi, signora Grales — l'interruppe Zerchi non appena la donna fu a corto di fiato. — Adesso devo proprio andare. Vi dirò cosa dobbiamo fare: parlerò a nome vostro con Padre Selo, ma è tutto quello che posso fare. Ci vedremo poi, ne sono sicuro.

— Vi ringrazio molto, e vi chiedo perdono per avervi trattenuto.

— Buona notte, signora Grales.

Varcarono la porta e si diressero verso il refettorio. Joshua si batté più volte la mano sulla tempia, come per rimettere a posto qualcosa…

— Perché la fissavate in quel modo? — domandò l'abate. — Mi sembrava una scortesia.

— Non l'avete notato?

— Notato cosa?

— Allora non l'avete notato. Bene… lasciamo perdere. Ma chi è Rachel? Perché non battezzano la bambina? È la figlia della donna?

L'abate sorrise, senza allegria. — È quello che sostiene la signora Grales. Ma è un problema sapere se Rachel sia sua figlia, sua sorella… o semplicemente una escrescenza che le è spuntata sulla spalla.

— Rachel! La sua altra testa?

— Non gridate così, o ci sentirà.

— E vuole farla battezzare?

— Con una certa urgenza, non vi sembra? Pare una vera ossessione.

Joshua agitò le braccia. — E come sistemano questi casi?

— Non lo so, e non voglio saperlo. Sono grato al cielo che non tocchi a me sbrogliarli. Se fosse un semplice caso di gemelli siamesi, sarebbe semplice. Ma non lo è. I vecchi dicono che Rachel non c'era, quando la signora Grales nacque.

— Una favola da contadini!

— Forse. Ma qualcuno è disposto a ripeterla sotto giuramento. Quante anime ha una vecchia con una testa in più… una testa che "le è cresciuta"? Casi come questi provocano molte ulcere in alto loco, figlio mio. Dunque, che cosa avete notato? Perché la fissavate e cercavate di strapparmi il braccio?

Il monaco fu lento a rispondere. — Mi sorrideva — disse, alla fine.

— Che cosa vi sorrideva?

— La tes… ehm… Rachel. Sorrideva. Pensavo che stesse per svegliarsi.

L'abate lo fermò sulla porta del refettorio e lo osservò, incuriosito.

— Sorrideva — ripeté premurosamente il monaco.

— Ve lo siete immaginato.

— Sì, Monsignore.

— Allora fate come se lo aveste immaginato.

Frate Joshua tentò. — Non posso — ammise.

L'abate lasciò cadere le monete della vecchia nella cassetta delle elemosine.

— Entriamo — disse.


Il nuovo refettorio era funzionale, rifinito a cromature, acusticamente perfetto, e provvisto di una illuminazione germicida. Erano scomparse le pietre annerite dal fumo, le lampade a sego, le ciotole di legno e i formaggi maturati nelle cantine. Ad eccezione della disposizione a croce dei sedili e di una fila di immagini sacre lungo una parete, il luogo sembrava una mensa aziendale. L'atmosfera era cambiata, come era cambiata l'atmosfera di tutta l'abbazia. Dopo anni di sforzi per conservare i resti della cultura di una civiltà morta da molto tempo, i monaci avevano visto l'ascesa di una civiltà nuova e più potente. I vecchi compiti erano stati realizzati; ne erano stati trovati di nuovi. Il passato era venerato ed esibito in bacheche di vetro, ma non era più il presente. L'Ordine si conformava ai tempi, a un'età di uranio e di acciaio e di razzi fiammeggianti, in mezzo al rombo dell'industria pesante e l'acuto gemito dei convertitori dei motori stellari. L'Ordine si conformava… almeno negli aspetti superficiali.

Accedite ad eum - intonò il Lettore.

Le legioni in tonaca rimasero irrequiete ai loro posti durante la lettura. Non era ancora stato portato il cibo. Le tavole non erano apparecchiate. La cena era stata ritardata. L'organismo, la comunità la cui cellula erano uomini, la cui vita era fluita attraverso settanta generazioni, sembrava teso, quella sera, sembrava sentire una nota stonata, sembrava conscio, attraverso la connaturalità dei suoi componenti, di ciò che era stato detto solamente a pochi. L'organismo viveva come un corpo, pregava e lavorava come un corpo, e qualche volta sembrava vagamente cosciente come una mente infusa nei suoi membri che sussurrasse a se stessa e a Un Altro nella lingua prima, la lingua infantile della specie. Forse la tensione era accresciuta dal debole ringhio delle esercitazioni di una lontana base di missili anti-missili, quanto dall'inatteso rinvio del pasto.

L'abate batté una mano sul tavolo per ordinare il silenzio, poi fece cenno al priore, Padre Lehy, di avvicinarsi al leggio. Il priore mostrò per un momento un viso addolorato, prima di parlare.

— A tutti noi spiace — disse, alla fine — la necessità di turbare la quiete della vita contemplativa con notizie dal mondo esterno. Ma dobbiamo anche ricordare che siamo qui per pregare per il mondo e per la sua salvezza, come per la nostra. Specialmente ora, al mondo sarebbe utile qualche preghiera. — Si interruppe per guardare Padre Zerchi.

L'abate annuì.

— Lucifero è caduto — disse il prete, e si fermò. Rimase là ritto, a guardare oltre il leggio, come se fosse improvvisamente stordito.

Zerchi si alzò. — Questa è una deduzione di frate Joshua, comunque — disse. — Il Consiglio di Reggenza della Confederazione Atlantica non ha detto nulla di cui valga la pena di parlare. La casa reale non ha fatto dichiarazioni. Sappiamo poco di più di quanto sapessimo ieri, tranne che la Corte Mondiale si è riunita in sessione d'emergenza, e che quelli della Difesa Interna si stanno dando molto da fare. C'è un allarme difensivo, e questo riguarderà anche noi, ma non lasciatevi turbare. Padre…?

— Grazie, Domne — disse il priore, che parve riacquistare la voce quando Don Zerchi fu di nuovo seduto. — Ora, il Reverendo Padre Abate mi ha chiesto di fare i seguenti annunci:

"Primo, nei prossimi tre giorni canteremo il Piccolo Ufficio di Nostra Signora, prima del Mattutino, chiedendo la sua intercessione per la pace.

"Secondo, le istruzioni generali per la difesa civile, in caso di allarme per un attacco missilistico o spaziale sono a disposizione di tutti sul tavolo vicino all'ingresso. Ciascuno ne prenda una copia. Se le avete lette, rileggetele.

"Terzo, nel caso che suoni l'allarme, i seguenti fratelli devono presentarsi immediatamente nel cortile della Vecchia Abbazia per speciali istruzioni. Se non vi sarà alcun allarme, gli stessi fratelli si presenteranno nello stesso luogo, in ogni caso, dopodomani mattina, dopo il Mattutino e le Laudi. Ecco i nomi: i fratelli Joshua, Christopher, Augustin, James, Samuel…"

I monaci ascoltarono con quieta tensione, senza tradire emozioni. Erano ventisette nomi in tutto, ma fra essi non c'era un solo novizio. Alcuni erano eminenti studiosi, ma c'erano anche un custode e un cuoco. A prima vista, si poteva pensare che i nomi fossero stati estratti a sorte. Prima che Padre Lehy avesse finito di leggere l'elenco, alcuni frati avevano già cominciato a guardarsi l'un l'altro, incuriositi.

— E questo stesso gruppo si presenterà al dispensario per una visita medica completa, domattina, dopo la Prima — finì il priore. Si voltò per guardare Don Zerchi con aria interrogativa. — Domne?

— Sì, solo una cosa ancora — disse l'abate, avvicinandosi al leggio. — Fratelli, non pensiamo che vi sarà una guerra. Ricordiamoci che Lucifero è stato con noi, questa volta, per quasi due secoli. È stato sganciato due volte soltanto, in potenze inferiori al megatone. Noi tutti sappiamo che cosa potrebbe accadere, se scoppiasse la guerra. Le deviazioni genetiche sono ancora con noi, dall'ultima volta in cui l'Uomo cercò di sradicare se stesso. Allora, al tempo di San Leibowitz, forse non sapevano che cosa sarebbe accaduto. O forse lo sapevano, ma non potevano crederlo fino a che non l'avessero provato… come un bambino che sa cosa può fare una pistola carica, ma che non ne ha mai premuto il grilletto. Non avevano ancora visto miliardi di cadaveri. Non avevano visto i mostri, e disumanizzati, i ciechi. Non avevano visto la follia e l'omicidio e gli orrori senza ragione. Poi lo fecero, e videro tutto questo.

"Ora… ora i prìncipi, i presidenti, i presidium, adesso lo sanno, con assoluta certezza. Lo sanno, per i figli che generarono e che mandarono negli ospizi per i deformi. Lo sanno, e hanno mantenuto la pace. Non la pace di Cristo, certamente, ma la pace, fino a qualche tempo fa… con due soli incidenti bellici in molti secoli. Adesso hanno la terribile certezza. Figli miei, non possono farlo di nuovo. Soltanto una razza di dementi potrebbe farlo ancora…"

Smise di parlare. Qualcuno sorrideva. Era solo un lieve sorriso, ma in mezzo a un mare di volti seri spiccava come una mosca morta in una tazza di panna. Don Zerchi si accigliò.

Il vecchio continuò a sorridere ironicamente. Sedeva al "tavolo dei mendicanti" con altri tre vagabondi di passaggio… era un vecchio dalla barba ispida, macchiata di giallo attorno al mento. Portava, come giacca, un sacco in cui erano stati praticati i buchi per farvi passare le braccia. Continuò a sorridere a Zerchi. Sembrava vecchio come un rudere consumato dalla pioggia, un candidato adatto per la lavanda dei piedi, il Giovedì Santo. Zerchi si chiese se stava per alzarsi e fare un annuncio ai suoi ospiti, o per suonare in un corno di montone, forse?… ma era solo un'illusione provocata dal sorriso. L'abate scacciò l'impressione di aver già visto quel vecchio, in qualche posto, prima d'allora. E concluse le sue osservazioni.

Mentre ritornava al posto, si fermò. Il mendicante fece un cenno con il capo verso il suo ospite. Zerchi si avvicinò.

— Chi siete, se posso farvi questa domanda? Ci siamo già visti prima in qualche posto?



— Cosa?

Latzar shemi - ripeté il mendicante.

— Non capisco…

— Mi chiami Lazarus, allora — disse il vecchio, e ridacchiò.

Don Zerchi scosse il capo e proseguì. Lazarus? In quella regione correva una favola da vecchie comari, in proposito… ma che mito assurdo era quello. Risorto da Cristo, ma ancora non cristiano, dicevano. Eppure non riusciva a sfuggire l'impressione di aver già visto quel vecchio in qualche posto.

— Fate portare il pane per la benedizione — esclamò, e il rinvio della cena ebbe termine.

Dopo le preghiere, l'abate guardò verso la tavola dei mendicanti. Il vecchio stava sventolando la minestra con una specie di cappello di vimini. Zerchi scrollò le spalle e il pasto cominciò, in un solenne silenzio.


Compieta, la preghiera notturna della Chiesa, sembrò particolarmente profonda quella sera.

Ma più tardi Joshua dormì male. Nel sogno, incontrò di nuovo la signora Grales. C'era un chirurgo che affilava un coltello e diceva: «Questa deformità deve essere asportata, prima che diventi maligna». E Rachel aprì gli occhi e cercò di parlare a Joshua, ma lui la poteva udire solo debolmente, e non la comprendeva affatto.

— Io sono l'accurata eccezione — sembrava dire. — Io commisuro la delusione. Io.

Non riuscì a capire, però tentò di avvicinarsi per salvarla. Ma davanti a lui sembrava vi fosse un muro di vetro elastico. Si fermò e tentò di leggere il movimento delle sue labbra.

Io sono, io sono…

— Io sono l'Immacolata Concezione — venne il mormorio di sogno.

Cercò di farsi largo oltre il vetro elastico per salvarla dal coltello, ma era troppo tardi e poi vi fu molto sangue. Si svegliò dall'incubo blasfemo con un brivido, e pregò, per qualche tempo; ma non appena si riaddormentò sognò di nuovo la signora Grales.

Fu una notte turbata, una notte che apparteneva a Lucifero. Fu la notte dell'attacco atlantico contro le installazioni spaziali asiatiche. In una immediata rappresaglia, un'antica città morì.

26

— Qui è la Rete di Emergenza — stava dicendo l'annunciatore quando Joshua entrò nello studio dell'abate dopo il Mattutino del giorno seguente. — Vi diamo l'ultimo bollettino sul fallout, in conseguenza dell'attacco missilistico nemico su Texarkana…

— Mi avete mandato a chiamare, Domne?

Zerchi gli fece cenno di tacere e di sedersi. Il viso del prete era tirato ed esangue, una maschera grigio-acciaio di autocontrollo. A frate Joshua sembrò contratto, invecchiato, dopo la notte precedente. Ascoltarono, in un cupo silenzio, la voce che si alzava e si abbassava ad intervalli di quattro secondi, mentre le stazioni trasmittenti venivano accese e spente per arrivare ad ostacolare gli strumenti di ricerca direzionale di cui disponeva il nemico.

— … ma prima, ecco un annuncio rilasciato dal Comando Supremo. La famiglia reale è salva. Ripeto: la famiglia reale è salva. Il Consiglio di Reggenza era assente dalla città quando il nemico ha colpito. Al di fuori dell'area del disastro, non si ha notizia di disordini civili, e non c'è ragione per prevederne alcuno.

"Un ordine di cessate il fuoco è stato emesso dalla Corte Mondiale delle Nazioni, con una proscrizione sospesa comportante la pena di morte per i capi responsabili dei governi di entrambe le nazioni. Essendo sospesa, la sentenza diventerà applicabile soltanto se si disubbidirà al decreto. Entrambi i governi hanno immediatamente trasmesso alla Corte di aver ricevuto l'ordine e c'è, pertanto, una forte probabilità che l'incidente stia per concludersi, poche ore dopo avere avuto inizio come attacco preventivo contro certe installazioni spaziali illegali. In un attacco di sorpresa, le forze spaziali della Confederazione Atlantica hanno colpito, la notte scorsa, tre postazioni missilistiche asiatiche segrete, poste sull'altra faccia della Luna, e hanno completamente distrutto una stazione spaziale nota come sistema di guida per missili spazio-terra. Era previsto che il nemico compisse una rappresaglia contro le nostre forze nello spazio, ma la barbara aggressione alla nostra capitale è stata un atto di disperazione che nessuno prevedeva.

"Bollettino speciale: Il nostro governo ha appena annunciato la sua intenzione di onorare il cessate il fuoco per dieci giorni, se il nemico accetta una immediata conferenza dei ministri degli Esteri e dei comandanti militari a Guam. Si prevede che il nemico accetterà."

— Dieci giorni — brontolò l'abate. — Non ci dà il tempo sufficiente.

— La radio asiatica, tuttavia, continua a insistere che il recente disastro termonucleare di Itu Wan, che ha causato ottantamila morti, è stato opera di un missile atlantico malfunzionante, e che la distruzione della città di Texarkana è di conseguenza una rappresaglia…

L'abate spense l'apparecchio. — Dov'è la verità? — chiese, quietamente. — A chi si deve credere? Ed ha importanza? Quando si risponde al genocidio con il genocidio, alla violenza con la violenza, all'odio con l'odio, non serve più chiedere quale ascia sia la più insanguinata. Il male sul male, ammucchiato sul male. C'era una giustificazione alla nostra "azione di polizia" nello spazio? Come possiamo saperlo? Certamente non c'era una giustificazione per ciò che loro hanno fatto… oppure c'era? Noi sappiamo soltanto ciò che dice quella cosa, e quella cosa è una specie di prigioniera. La radio asiatica deve dire ciò che meno dispiace al suo governo; la nostra deve dire ciò che meno dispiace alla nostra splendida plebe patriottica, il che, per coincidenza, è ciò che vuole comunque dire il governo… quindi, dov'è la differenza? Buon Dio, devono esservi almeno mezzo milione di morti, se hanno colpito Texarkana con una vera bomba. Ho voglia di dire parole che non ho mai neppure udito. Sterco di rospi. Pus di scrofa. Cancrena dell'anima. Putrefazione del cervello immortale. Mi capite, fratello? E Cristo respirò con noi la stessa aria ammorbata dalle carogne; come fu mite la Maestà del nostro Dio Onnipotente! Che infinito Senso dell'Umorismo… diventare uno di noi… Il Re dell'Universo, inchiodato a una croce come uno Yddish Schlemiel, dai nostri simili! Dicono che Lucifero fu scacciato per aver rifiutato di adorare il Verbo Incarnato: il Maligno doveva mancare completamente di senso dell'umorismo! O tu che sei il Dio di Giacobbe, che sei persino il Dio di Caino… perché lo fanno di nuovo?

"Perdono, sto delirando — aggiunse, non tanto rivolto a Joshua quanto alla vecchia scultura in legno di San Leibowitz che stava in un angolo dello studio. Si era fermato per guardare il volto dell'immagine. La statua era vecchia, molto vecchia. Qualche suo predecessore l'aveva mandata in un magazzino sotterraneo, per restarvi nella polvere e nella penombra, fino a che il polipo aveva logorato il legno, divorando la grana primaverile e lasciando la grana estiva, in modo che il viso sembrava profondamente rugoso. Il santo aveva un sorriso lievemente satirico. Zerchi aveva tolto la statua dall'oblio a causa di quel sorriso.

— Avete visto quel vecchio mendicante nel refettorio, ieri sera? — chiese con leggerezza, continuando a osservare curiosamente il sorriso della statua.

— Non l'ho notato, Domne. Perché?

— Non importa. Credo di essermelo immaginato. — Toccò con un dito il mucchio di fascine su cui stava ritto l'antico martire. Ecco su che cosa stiamo noi, ora, pensò. Sulle grosse fascine dei peccati del passato. E qualcuno di quei peccati è mio. Mio, di Adamo, di Erode, di Giuda, di Hannegan, mio. Di tutti. Culminato sempre nel colosso dello Stato, in un modo o nell'altro, e si avvolgono nel manto del bene, e vengono abbattuti, dall'ira del Cielo. Perché? Lo gridiamo abbastanza forte… Dio deve essere obbedito dalle nazioni come dagli uomini. Cesare deve essere il poliziotto di Dio, non il Suo successore plenipotenziario, non il Suo erede. A tutte le età, a tutti i popoli… "Chiunque esalti una razza o uno stato o una particolare forma di Stato o i depositari del potere… chiunque innalzi queste nozioni al di sopra del loro valore e le divinizzi a un livello di idolatria, distorce e perverte un ordine del mondo disposto e creato da Dio…". Da dove venivano quelle parole? Pio Undicesimo, pensò, senza esserne certo… diciotto secoli or sono. Ma quando Cesare ha i mezzi di distruggere il mondo, non è già divinizzato? Soltanto per il consenso del popolo… la stessa canaglia che gridava "Non habemus regem nisi caesarem" quando fu posta di fronte a Lui… al Dio Incarnato, irriso e sputacchiato. La stessa canaglia che martirizzò San Leibowitz…

— La divinità di Cesare si è mostrata di nuovo.

— Domne?

— Lascia perdere. I fratelli sono nel cortile?

— Ce n'era già una buona metà quando sono passato. Devo andare a vedere?

— Andate. Poi tornate qui. Ho qualcosa da dirvi, prima che li raggiungiamo.

Prima che Joshua ritornasse, l'abate aveva tolto i documenti del Quo peregrinatur dalla cassaforte a muro.

— Leggete attentamente le istruzioni — disse al monaco. — Guardate la tabella dell'organizzazione, leggete tutti i dati procedurali. Dovremo studiare il resto nei particolari, non adesso, ma più tardi.

Il comunicatore ronzò forte, mentre Joshua stava leggendo le istruzioni.

— Il Reverendo Padre Jethrah Zerchi, Abbas, prego — cantilenò la voce di un centralinista automatico.

— Sono io.

— Telegramma urgente del Signor Cardinale Eric Hoffstraff, Nuova Roma. Non c'è servizio di corriere, a quest'ora. Devo leggere?

— Sì, leggete il testo. Manderò qualcuno più tardi a prenderne una copia.

— Il testo è il seguente: Grex peregrinatur erit. Quam primum est factum suscipiendum vobis, jussu Sanctae Sedis. Suscipite ergo operis partem ordini vestro propriam…

— Potete rileggerlo nella traduzione in sudoccidentale? — chiese l'abate.

Il centralinista obbedì; ma neppure nella traduzione il messaggio sembrava contenere qualcosa di inaspettato. Era una conferma del piano e una richiesta di accelerarlo.

— Accuso ricevuta — disse alla fine.

— C'è risposta?

— Rispondete come segue: Eminentissimo Domino Eric Cardinali Hoffstraff obsequitur Jethrah Zerchius, A.O.L., Abbas. Ad has res disputandas iam coegi discessuros fratres ut hodie parati dimitti Romam prima aerisnave possint. Fine del testo.

— Rileggo: Eminentissimo…

— Bene. È tutto. Chiudo.

Joshua aveva finito di leggere le istruzioni. Chiuse il portacarte e alzò lentamente lo sguardo.

— Siete pronto a farvi inguaiare? — chiese Zerchi.

— Non sono… non sono sicuro di comprendere. — Il volto del monaco era pallido.

— Ieri vi ho rivolto tre domande. E adesso ho bisogno delle risposte.

— Sono disposto ad andare.

— Rimangono due domande che aspettano risposta.

— Non sono sicuro per quanto riguarda il sacerdozio, Domne.

— Bene, dovete decidervi. Avete meno esperienza degli altri, in fatto di astronavi. Nessuno degli altri è stato ordinato. Qualcuno deve essere sollevato in parte dai compiti tecnici per svolgere compiti pastorali e amministrativi. Vi avevo detto che questo non significherà abbandonare l'Ordine. Ma il vostro gruppo diventerà una casa-figlia indipendente dell'Ordine, con una regola modificata. Il Superiore verrà eletto per ballottaggio segreto dai professi, naturalmente… voi siete il candidato più probabile, se avete vocazione per il sacerdozio. L'avete o non l'avete? Spetta a voi deciderlo, ed è ormai il momento.

— Ma, Reverendo Padre, io non ho finito di studiare…

— Non importa. Oltre l'equipaggio di ventisette uomini — tutti i nostri — partiranno altri: sei sorelle e venti bambini della scuola di Saint Joseph, un paio di scienziati, e tre vescovi, due dei quali appena consacrati. Possono ordinare, e poiché uno di loro è delegato del Santo Padre, avranno anche l'autorità di consacrare vescovi. Potranno ordinare voi, quando sentirete di essere pronto. Rimarrete nello spazio per anni, lo sapete. Ma vogliamo sapere se avete una vocazione, e vogliamo saperlo subito.

Frate Joshua balbettò per un momento, poi scosse il capo. — Non lo so.

— Volete mezz'ora di tempo? Volete un bicchier d'acqua? Siete diventato grigio. Devo dirvi, figliolo, che se dovrete guidare il gregge, dovrete essere in grado di prendere decisioni immediate? Sarà necessario. Ebbene, riuscite a parlare?

— Domne, non sono… sicuro…

— Riuscite a gracchiare, però, eh? Vi sottometterete al giogo, figliolo? O non siete ancora pronto? Vi verrà chiesto di essere l'asino che Lui cavalca per entrare in Gerusalemme, ma è un carico pesante, e vi spezzerà la schiena, perché Lui porta tutti i peccati del mondo.

— Non credo che ne sarò capace.

— Gracchiate e gemete. Ma sapete anche ringhiare, e questo va bene, per il capo del gregge. Ascoltate, nessuno di noi è veramente capace. Ma abbiamo provato, e siamo stati provati. Si prova fino alla distruzione, ma siamo qui per questo. Questo Ordine ha avuto abati d'oro, abati di freddo, duro acciaio, abati di piombo, corroso, e nessuno di loro era veramente capace, qualcuno era più capace degli altri, e c'è stato anche qualche santo. L'oro si è ammaccato, l'acciaio è divenuto fragile e si è spezzato, e il piombo corroso è stato ridotto in cenere dal Cielo. Io, ho avuto la fortuna di essere di mercurio; mi spezzo, ma in qualche modo riesco sempre a rimettermi insieme. Sento arrivare un'altra scissione, però, fratello, e credo che durerà per sempre, questa volta. Voi di che cosa siete fatto, figliolo? Che cosa sarà messo alla prova?

— Sono fatto di coda di cane. Sono di carne, e ho paura, Reverendo Padre.

— L'acciaio grida quando è forgiato, ansima quando lo si piega. Scricchiola quando è sottoposto a un carico. Io credo che persino l'acciaio abbia paura, figliolo. Volete mezz'ora per pensare? Un bicchier d'acqua? Una boccata d'aria? Uscite per un po'. Se vi viene il mal di mare, vomitate prudentemente. Se vi spaventate, gridate. Se accade qualcosa, pregate. Ma venite in chiesa prima della Messa, e diteci di cosa è fatto un monaco. L'ordine si scinde, e la parte di noi che va nello spazio, se ne va per sempre. Voi siete chiamato ad esserne il pastore, o no? Andate e decidete.

— Penso che non vi sia via d'uscita.

— C'è, naturalmente. Dovete dire soltanto "Non sono chiamato a questo". E allora sarà eletto qualcun altro, ecco tutto. Andate, calmatevi, e poi venite da noi in chiesa con un sì o un no. Adesso andrò là. — L'abate si alzò e fece un cenno di commiato.


Nel cortile, l'oscurità era quasi totale. Solo un lieve filo di luce filtrava sotto le porte della chiesa. La debole luminosità delle stelle era smorzata da una nebbia polverosa. A oriente non era ancora apparso alcun segno dell'alba. Frate Joshua vagabondò, in silenzio. Finalmente sedette su un muretto che cingeva un'aiuola di rosai. Appoggiò il mento sulle mani e fece rotolare un sasso qua e là, con il piede. Gli edifici dell'abbazia erano ombre buie e addormentate. Una luna fioca, che sembrava una fetta di melone, pendeva bassa, a sud.

Dalla chiesa veniva il mormorio di un canto: Excita, Domine, potentiam tuam, et veni, ut salvos… Mostra la tua potenza, o Signore e vieni a salvarci. Quell'alito di preghiera sarebbe continuato, finché c'era respiro per alitarla. Anche se i fratelli la giudicavano inutile…

Ma non potevano giudicarla inutile. O potevano? Se Roma aveva qualche speranza, perché fare partire l'astronave? Perché, se credevano che le preghiere per la pace sulla Terra sarebbero state esaudite? L'astronave non era un atto di disperazione…? Retrahe a me, Satanas, et discede! pensò. L'astronave era un atto di speranza. La speranza per l'Uomo, altrove, per la pace, altrove, se non qui e subito, almeno in qualche altro luogo: forse il pianeta di Alfa Centauri, Beta Hydriae, o una delle colonie che si dibattevano faticosamente su quel pianeta della stella Come-si-Chiama dello Scorpione. Mandare quella nave è speranza, non inutilità, maligno Seduttore. È una speranza debole e stanchissima, forse, una speranza che dice: "Togliti la polvere dai calzari e vai a predicare a Sodoma e a Gomorra". Ma è speranza, altrimenti l'astronave non partirebbe. Non è speranza per la Terra, ma speranza per l'anima e la sostanza dell'Uomo, in qualche altro luogo. Con Lucifero che incombe, non mandare l'astronave sarebbe un atto di presunzione; come tu, o immondo, tentasti Nostro Signore: "Se tu sei il Figlio di Dio, gettati dalla guglia del tempio, perché gli angeli ti sorreggeranno".

La troppa speranza per la Terra aveva guidato gli uomini a farne un Eden, e di questo potevano disperare fino al tempo della consunzione del mondo…

Qualcuno aveva aperto le porte dell'abbazia. I monaci si dirigevano quietamente verso le loro celle. Solo un lieve chiarore filtrava dalla porta nel cortile. La luce era fioca, in chiesa. Joshua poteva vedere soltanto poche candele e il fioco occhio rosso della lampada del santuario. Gli altri ventisei confratelli erano appena visibili, mentre si inginocchiavano, in attesa. Qualcuno chiuse di nuovo le porte, ma non completamente, così che da una fessura Joshua poté vedere ancora il punto rosso della lampada. Un fuoco attizzato per venerazione, ardente nella lode, ardente con dolcezza, là, nel suo ricettacolo rosso. Il fuoco, il più amabile dei quattro elementi del mondo, eppure un elemento dell'Inferno. Mentre bruciava in adorazione nel cuore del Tempio, aveva anche arso la vita di una città, quella notte, e aveva riversato il suo veleno sulla Terra. Com'è strano che Dio abbia parlato da un roveto ardente, e che l'Uomo abbia fatto del simbolo del Cielo un simbolo dell'Inferno.

Levò di nuovo lo sguardo verso le stelle polverose del mattino. Ebbene, non vi si sarebbe trovato l'Eden, dicevano. Eppure c'erano uomini, là, adesso, uomini che guardavano i soli stranieri in cieli stranieri, respiravano aria straniera, aravano terra straniera. Su mondi di tundra equatoriale congelata, mondi di fumante giungla artica, un po' simili alla Terra, forse, abbastanza simili alla Terra perché l'Uomo potesse vivervi, dello stesso sudore della propria fronte. Erano soltanto un pugno, quei celesti coloni dell'Homo loquax nonnumquam sapiens, poche colonie di umanità che avevano avuto ben poco aiuto dalla Terra, fino a quel momento; e adesso non potevano aspettarsi aiuto alcuno, là, nei loro nuovi non-Eden, ancora meno simili al Paradiso di quanto fosse mai stata la Terra. Fortunatamente per loro, forse. Più gli uomini si avvicinavano al perfezionamento di un loro paradiso, più sembravano impazienti verso quel paradiso e verso se stessi. Facevano un giardino di delizie, e divenivano progressivamente più miserabili verso di esso, via via che esso cresceva in ricchezza e in potenza e in bellezza: perché allora, forse, era più facile per loro vedere che in quel giardino mancava qualcosa, qualche albero o cespuglio che non sarebbe cresciuto. Quando il mondo era nell'oscurità e nella infelicità, poteva credere nella perfezione e la desiderava ardentemente. Ma quando il mondo si ammantava di ragione e di ricchezze, cominciava a sentire la strettezza della cruna dell'ago, e questo era terribile per un mondo che non desiderava più credere e desiderare. Bene, stavano per distruggerlo ancora, non era così?… questo giardino Terra, civile e sapiente, doveva essere di nuovo fatto a pezzi perché l'Uomo potesse sperare ancora, nell'infelicità e nell'oscurità.

Eppure i Memorabilia sarebbero partiti con la nave! Era una maledizione?… Discede, Seductor informis! Non era una maledizione, quella conoscenza, a meno che non fosse pervertita dall'Uomo, così come lo era stato il fuoco, quella notte…

Perché debbo andarmene, Signore? si chiese. Devo andare? E cosa sto cercando di decidere: andare, o rifiutare di andare? Ma questo era già deciso: c'era stata una chiamata a questo… tanto tempo fa. Egrediamur tellure, allora, perché questo è stato comandato da un voto che io ho pronunciato. Dunque vado. Ma stendere le mani su di me e chiamarmi sacerdote, chiamarmi persino abbas, pormi a vegliare sulle anime dei miei fratelli? Il Reverendo Padre deve insistere su questo? Ma non insiste su questo: insiste solo per sapere se è Dio a insistere. Ma ha tanta fretta. È veramente così sicuro di me? Per far cadere la scelta su di me in questo modo, deve essere più sicuro di me di quanto non lo sia io stesso.

Parla, destino, parla! Il destino sembra sempre lontano decenni interi, ma all'improvviso non è più così lontano; è subito. Ma forse il destino è già qui, proprio qui, in questo preciso istante, forse.

Non è sufficiente che lui sia sicuro di me? Ma no, questo non è affatto sufficiente. Devo essere sicuro io stesso, in un modo o in un altro. In mezz'ora. Meno di mezz'ora, ormai. Audi me, Domine… Ti prego, Signore. Sono soltanto una delle tue vipere di questa generazione, che implora qualcosa, implora di sapere, implora un segno, un segno, un portento, un augurio. Non ho abbastanza tempo per decidere.

Trasalì, innervosito. Qualcosa… che strisciava…?

Udì un lieve fruscio tra le foglie secche, sotto i roseti dietro di lui. Si fermò, frusciò, strisciò di nuovo. Un segno del Cielo avrebbe strisciato? Un augurio o un portento potevano farlo. Il negotium perambulans in tenebris del Salmista lo poteva. Un serpente a sonagli lo poteva.

Un grillo, forse. Era solo un fruscio. Frate Hegan aveva ucciso un piccolo serpente a sonagli nel cortile, una volta, ma… Adesso strisciava di nuovo!… un lento trascinarsi tra le foglie. Sarebbe stato un segno appropriato se fosse strisciato fuori e l'avesse punto nella schiena?

Il suono della preghiera venne di nuovo dalla chiesa: Reminiscentur et convertentur ad Dominum universi fines terrae. Et adorabunt in conspectu universae familiae gentium. Quoniam Domini est regnum; et ipse dominabitur… Strane parole, per quella notte: tutti i confini della Terra ricorderanno e ritorneranno al Signore…

Il fruscio smise, improvvisamente. Era proprio dietro di lui. Davvero, Signore, un segno non è assolutamente essenziale. Davvero io…

Qualcosa gli sfiorò il polso. Balzò in piedi con un grido e scattò lontano dai rosai. Afferrò un sasso e lo gettò fra i cespugli. Il tonfo fu più forte di quanto si fosse aspettato. Si grattò la barba, e si sentì intimidito. Attese. Nulla uscì dai cespugli. Nulla frusciò. Scagliò un ciottolo. Anche quello rotolò, con un tintinnio offensivo, nell'oscurità. Attese, ma nulla si mosse tra gli arbusti. Chiedere un augurio, e lapidarlo quando giunge… de essentia hominum.

Una rosea lingua d'aurora cominciava a cancellare le stelle dal cielo. Presto avrebbe dovuto parlare all'abate. E cosa gli avrebbe detto?

Frate Joshua si tolse i moscerini dalla barba e si avviò verso la chiesa, perché qualcuno si era appena affacciato sulla porta e aveva guardato fuori… cercando lui?

Unus panis, et unum corpus multi sumus, veniva il mormorio dalla chiesa, omnes qui de uno… Noi siamo un pane e un corpo, sebbene siamo molti, e di un pane e di un calice noi siamo partecipi…

Si fermò sulla porta, per guardare indietro, verso i rosai. Era una trappola, non è vero? pensò. Tu l'hai mandato, sapendo che l'avrei preso a sassate, non è così?

Un attimo dopo entrò e andò a inginocchiarsi insieme agli altri. La sua voce si unì alle altre; per un po' smise di pensare, fra la compagnia di monastici navigatori spaziali lì raccolti. Annuntiabitur Domino generatio ventura… E sarà annunciata al Signore una generazione futura… e i cieli mostreranno la Sua giustizia. A un popolo che nascerà, e che il Signore ha creato…

Quando riacquistò consapevolezza, vide l'abate fargli un cenno. Frate Joshua andò a inginocchiarsi accanto a lui.

Volesne accipere hoc onorem, Fili? - sussurrò l'abate.

— Se mi vogliono — rispose sottovoce il monaco — honorem accipiam.

L'abate sorrise. — Mi avete capito male. Ho detto "onere", non "onore". Etsi intelligis Crucis "onerem" esse "onorem", bene auditium sum.

Accipiam - ripeté il monaco.

— Ne siete certo?

— Se mi scelgono, sarò certo.

— Così va abbastanza bene.

E questo era sistemato. Mentre il sole si levava, un pastore fu eletto per guidare il gregge.

Poi, la Messa conventuale fu una Messa per i Pellegrini e i Viaggiatori.


Non era stato facile ottenere un aereo per volare a Nuova Roma. Ancora più difficile fu ottenere via libera per il volo dopo che l'aereo fu ottenuto. Tutta l'aviazione civile era stata sottoposta alla giurisdizione dei militari, per la durata dell'emergenza ed era necessaria un'autorizzazione militare. La locale Difesa Interna di Zona l'aveva rifiutata. Se l'Abate Zerchi non avesse saputo che un certo maresciallo dell'aria e un certo cardinale erano amici, l'ostentato pellegrinaggio a Nuova Roma di ventisette contrabbandieri di libri avrebbe dovuto essere compiuto a piedi, perché mancava il permesso di usare un aviogetto per il trasporto veloce. Tuttavia, verso metà pomeriggio, l'autorizzazione era stata concessa. L'Abate Zerchi salì a bordo dell'aereo, poco prima del decollo… per gli ultimi saluti.

— Voi siete la continuità dell'Ordine — disse. — Con voi partono i Memorabilia. Con voi parte anche la successione apostolica e, forse… il trono di Pietro.

— No, no — aggiunse, in risposta al mormorio di sorpresa che si levò dai monaci. — Non Sua Santità. Non vi avevo detto questo, prima, ma se sulla Terra avvenisse il peggio, il Collegio dei Cardinali… o quanto ne resta… si unirà a voi. La Colonia del Centauro potrà allora essere dichiarata un patriarcato separato, con piena giurisdizione patriarcale assegnata al cardinale che vi accompagnerà. Se il flagello cadrà su di noi, qui, a lui spetterà il Patrimonio di Pietro. Perché, anche se la vita sulla Terra può essere distrutta… Dio non voglia… finché l'Uomo vivrà, l'ufficio di Pietro non potrà essere distrutto. Vi sono molti che pensano che, se la maledizione cadrà sulla Terra, il papato passerà a lui secondo il principio di Epikeia, se non vi saranno superstiti qui. Ma adesso non vi riguarderà direttamente, fratelli e figli, anche se voi sarete soggetti al vostro patriarca in forza di voti speciali simili a quelli che legano i Gesuiti al Papa.

"Rimarrete per anni nello spazio. La nave sarà il vostro monastero. Dopo che la sede patriarcale sarà stabilita nella Colonia del Centauro, vi stabilirete una casa madre dei Frati Visitazionisti dell'Ordine di San Leibowitz di Tycho. Ma la nave e i Memorabilia rimarranno nelle vostre mani. Se la civiltà, o un vestigio di essa, può essere mantenuta sul Centauro, manderete missioni sugli altri mondi coloniali, e forse, alla fine, alle colonie delle loro colonie. Dovunque vada l'Uomo, andrete voi e i vostri successori. E con voi, andranno i documenti e i ricordi di quattromila anni e più. Alcuni di voi, o quelli che verranno dopo di voi, saranno mendicanti e vagabondi, e insegneranno le cronache della Terra e i cantici del Crocifisso ai popoli e alle civiltà che potranno evolversi dai gruppi coloniali. Perché qualcuno potrebbe dimenticare. Qualcuno potrà essere perduto per la Fede, per qualche tempo. Insegnate ad essi, e accogliete nell'Ordine coloro, fra essi, che vi sono chiamati. Tramandate la loro continuità. Siate per l'Uomo il ricordo della Terra e dell'Origine. Ricordate questa Terra. Non dimenticatela mai, ma… non ritornate mai. - La voce di Zerchi divenne bassa e rauca. — Se mai ritornaste potreste trovare l'Arcangelo al confine orientale della Terra, a guardarne i passi con una spada di fuoco. Lo sento. Lo spazio sarà la vostra casa, d'ora innanzi. E un deserto più solitario del nostro. Dio vi benedica, e pregate per noi.

Percorse lentamente la corsia, fermandosi ad ogni sedile per benedire ed abbracciare, prima di lasciare l'aereo. L'apparecchio si avviò sulla pista e salì, ruggendo.

Zerchi lo seguì con lo sguardo fino a che scomparve, nel cielo serotino. Poi ritornò all'abbazia, al resto del suo gregge. A bordo dell'aereo, aveva parlato quasi che il destino del gruppo di frate Joshua fosse chiaro come le preghiere prescritte per l'Ufficio del giorno seguente: ma tanto lui che gli altri sapevano che si era limitato a leggere la mano di un piano, aveva descritto una speranza e non una certezza. Perché il gruppo di frate Joshua aveva soltanto cominciato la prima tappa di un viaggio lungo e pieno di dubbi, un nuovo Esodo dall'Egitto, sotto gli auspici di un Dio che doveva essere indubbiamente stanco della razza dell'Uomo.

Coloro che rimanevano avevano il compito più facile. Il loro compito era quello di aspettare la fine e di pregare perché la fine non venisse.

27

— La zona colpita dal fallout locale rimane relativamente stazionaria — disse l'annunciatore. — E il pericolo di ulteriore dispersione a causa del vento è quasi scomparso…

— Bene, per il momento non è accaduto ancora il peggio — osservò l'ospite dell'abate. — Fino ad ora, qui siamo stati al sicuro. E pare che lo saremo ancora, a meno che la conferenza non sia un fallimento.

— Lo saremo — brontolò Zerchi. — Ma ascoltate un momento.

— Il calcolo più recente delle perdite — continuò l'annunciatore — in questo nono giorno dopo la distruzione della capitale, dà un totale di due milioni e ottocentomila morti. Più di metà di questa cifra è costituita dalla popolazione della città vera e propria. Il resto è una stima basata sulla percentuale della popolazione dei dintorni e delle zone colpite dal fallout che hanno ricevuto dosi critiche di radiazioni. Gli esperti prevedono che la stima aumenterà via via che altri casi da radioattività verranno denunciati.

"È stato chiesto a questa stazione di trasmettere due volte al giorno questo annuncio, per tutta la durata della situazione di emergenza: 'I provvedimenti della Legge Pubblica 10-WR-3E non autorizzano in alcun modo i cittadini a praticare l'eutanasia alle vittime di avvelenamento da radiazione. Le vittime che sono state esposte, o che credono di essere state esposte a una radioattività molto superiore alla dose critica devono presentarsi alla più vicina Stazione di Alleviamento Stella Verde, dove un magistrato è autorizzato ad emettere un certificato di Mori Vult a chiunque venga giudicato come caso disperato, se il paziente desidera l'eutanasia. Qualunque vittima delle radiazioni che si tolga la vita in qualunque modo diverso da quello prescritto dalla legge sarà considerato un suicida, e metterà a repentaglio il diritto dei suoi eredi e dipendenti a reclamare l'assicurazione e altri benefici per l'assistenza antiradiazione, secondo la legge. Inoltre, ogni cittadino che assista un tale suicida può essere perseguitato per omicidio. La Legge sul Disastro da Radioattività autorizza l'eutanasia soltanto dopo una regolare procedura legale. I casi gravi di malattia da radiazione devono essere riferiti ai Centri della Stella Verde…'."

Bruscamente Zerchi spense l'apparecchio. Balzò dalla sedia e andò a fermarsi alla finestra, e guardò giù, nel cortile, dove una folla di profughi si aggirava attorno a tavole di legno costruite in fretta e furia. L'abbazia, vecchia e nuova, era invasa da gente di tutte le età e condizioni, le cui case erano sorte nelle regioni devastate. L'abate aveva temporaneamente ristretto le zone "clausura" dell'abbazia per concedere ai profughi accesso a tutto, ad eccezione dei dormiton dei monaci. La scritta davanti all'antica porta era stata rimossa, perché c'erano donne e bambini che dovevano essere sfamati, vestiti e ospitati.

Guardò due novizi che portavano un calderone fumante dalla cucina di emergenza. L'issarono su di una tavola e cominciarono a distribuire la minestra.

Il visitatore dell'abate si schiarì la gola e si agitò irrequieto nella sedia. L'abate si voltò.

— Procedura legale, la chiamano — brontolò. — Procedura legale di massa, suicidio assistito dallo stato. Con tutte le benedizioni della società.

— Già — disse il visitatore — ma è certamente meglio che lasciarli morire orribilmente poco a poco.

— Davvero? Meglio per chi? Per gli spazzini? Meglio che i cadaveri viventi camminino da soli fino a un centro di annientamento, finché, possono ancora camminare? Uno spettacolo, meno pubblico? Meno orrore sparso in giro? Meno disordine? Qualche milione di cadaveri che giacciono sparsi qua e là potrebbe dar l'avvio a una rivolta contro quelli che sono i responsabili. È questo che voi e il vostro governo intendete per "meglio", non è così, dottore?

— Non saprei come la pensa il governo — disse il visitatore, con una lievissima sfumatura di stizza nella voce. — Ciò che intendevo per "meglio" era "più misericordioso". Non intendo discutere con voi la vostra teologia morale. Se credete di avere un'anima che Dio manderebbe all'Inferno se sceglieste di morire senza soffrire invece che in un modo orribile, allora continuate pure a pensarla così. Ma voi siete una minoranza, lo sapete. Io non sono d'accordo, ma non è il caso di discuterne.

— Scusatemi — disse l'Abate Zerchi. — Non mi preparavo a discutere con voi di teologia morale. Stavo parlando soltanto di questo spettacolo di eutanasia di massa, in termini di movente umano. La stessa esistenza della Legge sul Disastro da Radioattività, e di leggi corrispondenti in altri paesi, è la prova più evidente che i governi erano completamente consci delle conseguenze di un'altra guerra, ma invece di cercare di rendere impossibile questo crimine, hanno cercato di provvedere in anticipo alle conseguenze del crimine. I sottintesi di questo fatto non hanno significato per voi, dottore?

— Naturalmente no, Padre. Personalmente, sono un pacifista. Ma attualmente siamo legati al mondo, così come è. E se non riescono a mettersi d'accordo sul modo di rendere impossibile un atto di guerra, allora è meglio stabilire qualche provvedimento relativo alle conseguenze, piuttosto che non prendere nessun provvedimento.

— Sì e no. Sì, se è in previsione del crimine di qualcun altro. No, se è in previsione di un crimine proprio. E specialmente no se i provvedimenti che dovrebbero alleviare le conseguenze sono a loro volta provvedimenti criminosi.

Il visitatore alzò le spalle. — Come l'eutanasia? Mi dispiace, Padre, io penso che siano le leggi della società che rendono qualcosa un crimine o no. So che non siete d'accordo. E possono esservi leggi cattive, mal concepite, questo è vero. Ma in questo caso, penso che sia una buona legge. Se invece credessi di avere un'anima e che in Cielo vi sia un Dio adirato, potrei essere d'accordo con voi.

L'Abate Zerchi sorrise, a labbra strette. — Voi non avete un'anima, dottore. Voi siete un'anima. Voi avete un corpo, temporaneamente.

Il visitatore rise, con educazione. — Una confusione semantica.

— È vero. Ma chi di noi è confuso? Voi o io?

— Non litighiamo, Padre. Io non faccio parte delle Squadre della Misericordia. Io lavoro nella Squadra Controllo Esposizione alle Radiazioni. Noi non uccidiamo nessuno.

L'Abate Zerchi lo fissò in silenzio per un momento. Il visitatore era un uomo basso e muscoloso, con una simpatica faccia rotonda e un cranio calvo bruciato dal sole. Indossava un'uniforme di saia verde, e un berretto con il distintivo della Stella Verde.

Già, perché litigare? Quell'uomo era una operatore medico, non un carnefice. In parte, il lavoro di assistenza della Stella Verde era ammirevole. Qualche volta era addirittura eroico. Il fatto che in qualche caso fosse anche malvagio, secondo le convinzioni di Zerchi, non era una ragione sufficiente per considerarne contaminate anche le buone azioni. La società lo favoriva, e i suoi membri erano in buona fede. Il dottore aveva cercato di essere amichevole. La sua richiesta era sembrata abbastanza semplice. Non si era mostrato né esigente né burocratico. Eppure, l'abate esitava prima di dire di sì.

— Il lavoro che intendete svolgere qui… richiederà molto tempo?

Il dottore scosse il capo. — Due giorni al massimo, credo… Abbiamo due unità mobili. Possiamo portarle nel vostro cortile, collegare i due furgoni, e cominciare il lavoro. Ci occuperemo dei casi evidenti da radiazione, e dei feriti, in primo luogo. Noi ci occupiamo solo dei casi più urgenti. Il nostro lavoro è un controllo clinico. I malati verranno curati in un campo di emergenza.

— E i più malati riceveranno qualcosa d'altro in un campo di misericordia?

Il medico si accigliò. — Soltanto se vogliono andarvi. Nessuno li costringe.

— Ma voi scrivete il permesso che li autorizza ad andare.

— Ho distribuito alcuni biglietti rossi, sì. Può darsi che debba farlo anche questa volta. Ecco… — Si frugò nella tasca e ne tolse un modulo di cartoncino rosso, qualcosa di simile a un cartellino per spedizione munito di un cordoncino, per attaccarlo a un'asola o a una cintura. Lo gettò sulla scrivania. — Un modulo "dose critica" in bianco. Ecco qui. Lo legga. Dice che l'individuo è ammalato, molto ammalato. E questo… ecco un biglietto verde, anche. Dice che l'individuo sta bene e non ha nulla di preoccupante. Guardate attentamente quello rosso! "Esposizione calcolata in unità di radiazione". "Esame del sangue". "Analisi delle urine". Su una facciata, è identico a quello verde. Dall'altra parte, quello verde non reca nulla, ma guardate quello rosso. Quella frase… è citata direttamente dalla Legge Pubblica 10-WR-3E. Deve esserci. La legge lo richiede. La si deve leggere all'interessato, che deve conoscere i suoi diritti. Ciò che ne fa, è affare suo. Ora, se preferite che piazziamo le unità mobili lungo l'autostrada, possiamo…

— Vi limitate a leggerglielo, vero? Nient'altro?

Il dottore fece una pausa. — Glielo dobbiamo spiegare, se non lo capisce. — Fece un'altra pausa, dominando l'irritazione. — Buon Dio, Padre, quando dite a un uomo che è un caso disperato, che cosa volete dirgli? Gli leggete qualche paragrafo della legge, gli mostrate la porta, e gli dite "Avanti un altro, prego"? "Voi state per morire, buongiorno"? Naturalmente non ci si limita a leggergli quelle frasi e basta, se si ha qualche sentimento umano!

— Lo capisco. Ciò che voglio sapere è qualcosa d'altro. Voi, come medico, consigliate ai casi disperati di andare a un campo di misericordia?

— Io… — il medico si interruppe e chiuse gli occhi. Appoggiò la fronte sulla mano. Rabbrividì, leggermente. — Sì, naturalmente — disse, alla fine. — Se aveste visto ciò che ho visto io, lo fareste anche voi. Naturalmente.

— Ma qui non lo farete.

— E allora noi… — Il dottore represse un'esplosione d'ira. Si alzò, fece per mettersi il berretto, poi si fermò. Buttò il berretto sulla sedia e si avvicinò alla finestra. Guardò cupamente in cortile, poi l'autostrada. E indicò qualcosa. — C'è il parco accanto alla strada. Possiamo impiantare bottega lì. Ma è a tre chilometri. Quasi tutti dovranno venirci a piedi. — Guardò l'Abate Zerchi, poi riabbassò pansieroso lo sguardo sul cortile. — Guardateli. Sono malati, feriti, fratturati, spaventati. Anche i bambini. Stanchi, storpiati, miserabili. Voi permettereste che fossero spinti sull'autostrada, per sedere nella polvere e nel sole e…

— Non voglio che vada così — disse l'abate. — Sentite… mi stavate dicendo in che modo una legge fatta dall'uomo abbia reso obbligatorio, per voi, leggere e spiegare questo a un caso di radiazione critica. Io non ho fatto obiezioni a questo. Diamo a Cesare ciò che gli spetta, fino a questo punto, poiché è questo che la legge vuole da voi. Ma allora, non potete comprendere che io sono soggetto a un'altra legge, la quale mi proibisce di permettere a voi o a chiunque altro di consigliare, a chiunque, qui, su questa proprietà affidata alle mie cure, di fare qualcosa che la Chiesa considera un male?

— Oh, lo comprendo abbastanza bene.

— Ottimamente. Dovete farmi soltanto una promessa, e potrete servirvi del cortile.

— Quale promessa?

— Semplicemente che non consiglierete a nessuno di andare a un "campo di misericordia". Limitatevi a fare la diagnosi. Se troverete casi disperati da radiazione, dite loro ciò che la legge vi costringe a dire, consolateli come volete, ma non dite loro di andare ad uccidersi.

Il medico esitò. — Io credo che sarebbe giusto fare questa promessa riguardo ai pazienti della vostra Fede.

L'Abate Zerchi abbassò gli occhi. — Mi dispiace — disse finalmente — ma non è abbastanza.

— Perché? Gli altri non sono legati dai vostri princìpi. Se un uomo non appartiene alla vostra religione, perché dovrebbe rifiutare di permettere… — Si interruppe, semisoffocato, incollerito.

— Volete una spiegazione?

— Sì.

— Perché se un uomo ignora il fatto che qualcosa è sbagliato, e agisce nell'ignoranza, non incorre in una colpa, purché la ragione naturale non sia sufficiente a mostrargli l'errore. Ma, mentre l'ignoranza può scusare l'uomo, non scusa l'atto che è errato in se stesso. Se io permettessi l'atto semplicemente perché l'uomo ignora che esso è sbagliato, allora incorrerei nella colpa, perché io so che è un errore. In realtà, come vedete è dolorosamente semplice.

— Ascoltatemi, padre. Stanno lì seduti, e vi guardano. Qualcuno grida. Qualcuno piange. Qualcuno si limita a starsene lì seduto. E tutti dicono: "Dottore, cosa posso fare?" E io, che cosa dovrei rispondere? Non dovrei dire nulla?

"Devo dire: 'Puoi morire, ecco tutto'. Voi che cosa direste?"

— "Prega".

— Sì, voi lo direste, non è vero? Ascoltate, la sofferenza è l'unico male che io conosco. È l'unico che io sappia combattere.

— E allora Dio vi aiuti.

— Mi aiutano di più gli antibiotici.

L'Abate Zerchi cercò una risposta tagliente, la trovò, ma la ringoiò in fretta. Cercò un pezzo di carta bianca e una penna e li spinse attraverso il piano della scrivania verso il dottore. — E allora scrivete: "Non raccomanderò l'eutanasia ad alcun paziente, finché sarò in questa abbazia". E firmate. Poi potrete servirvi liberamente del cortile.

— E se rifiutassi?

— Allora, immagino che i malati dovranno trascinarsi per tre chilometri lungo la strada.

— Non ho mai sentito nulla di più spietato…

— Al contrario. Vi ho offerto una possibilità di fare il vostro lavoro, come è richiesto dalla legge che voi riconoscete, senza calpestare la legge che io riconosco. Spetta a voi decidere se dovranno trascinarsi o no su quella strada.

Il medico fissò il foglio bianco. — Cosa c'è di tanto magico, se lo metto per iscritto?

— Io preferisco così.

L'altro si chinò in silenzio sulla scrivania, e scrisse. Guardò ciò che aveva scritto, poi tracciò in fretta la firma e si raddrizzò. — Benissimo, ecco la vostra promessa. Credete che valga di più della mia parola?

— No, no davvero. — L'abate ripiegò il foglio e lo nascose sotto la sua veste. — Ma è qui nella mia tasca, e voi sapete che è qui, e che io posso guardarla di tanto in tanto, ecco tutto. Mantenete le vostre promesse, fra parentesi, dottor Cors?

Il medico lo fissò, per un momento. — La manterrò. — Grugnì, poi girò sui tacchi e uscì.

— Frate Pat! — chiamò l'Abate Zerchi con voce debole. — Frate Pat, siete lì?

Il segretario si presentò sulla soglia. — Sì, Reverendo Padre?

— Avete sentito?

— In parte. La porta era aperta, e non ho potuto fare a meno di ascoltare. Non avevate attivato il silenziatore…

— Avete sentito cho diceva? «La sofferenza è l'unico male che io conosco». L'avete sentito?

Il monaco annuì, solennemente.

— E che la società è l'unica che stabilisce se un atto è giusto o non è giusto? Avete sentito anche questo?

— Sì.

— Buon Dio, come hanno potuto ritornare nel mondo, queste due eresie, dopo tutto questo tempo? L'inferno ha una immaginazione limitata. "Il serpente mi ha ingannato, ed io ne ho mangiato". Frate Pat, farete meglio a uscire di qui, o comincerò a delirare.

— Domne, io…

— Cos'è che vi trattiene? Cos'è, una lettera? Benissimo, date qui.

Il monaco gliela porse ed uscì. Zerchi non l'aprì, e guardò di nuovo la dichiarazione del dottore. Non aveva valore, forse. Eppure quell'uomo era sincero. E devoto al suo lavoro. Doveva essere devoto al suo lavoro, con la paga che gli dava la Stella Verde. Aveva l'aria di chi dorme troppo poco e lavora troppo. Probabilmente viveva di benzedrina e di gallette, da quando l'esplosione aveva assassinato la città. Vedere dovunque la sofferenza e detestarla, e desiderare sinceramente di poter fare qualcosa… Sinceramente… quello era l'inferno. In distanza, gli avversari sembravano malvagi, ma quando li guardavi da vicino, ne vedevi la sincerità, che era grande quanto la tua. Forse Satana era il più sincero di tutti.

Aprì la lettera e la lesse. La lettera l'informava che frate Joshua e gli altri erano partiti da Nuova Roma per una destinazione imprecisata, nell'Ovest. La lettera l'informava inoltre che qualche notizia sul Quo peregrinatur era trapelata alla Difesa Interna di Zona, la quale aveva mandato investigatori in Vaticano per indagare circa il supposto lancio di un'astronave non autorizzata… Evidentemente l'astronave non era ancora nello spazio.

Ben presto verranno a sapere del Quo peregrinatur, ma con l'aiuto del Cielo, lo scopriranno troppo tardi. E allora? si chiese.

La situazione legale era complicata. La legge proibiva la partenza di astronavi senza autorizzazione. L'autorizzazione era difficile da ottenere e la procedura per ottenerla era molto lenta. Zerchi era certo che la Difesa Interna di Zona e la commissione avrebbe ritenuto che la Chiesa aveva infranto la legge. Ma un concordato fra Stato e Chiesa esisteva ormai da un secolo e mezzo: esentava chiaramente la Chiesa dalle procedure di autorizzazione, e le assicurava il diritto di mandare missioni in "qualsiasi installazione spaziale e in qualsiasi avamposto planetario che non saranno stati dichiarati dalla predetta Commissione come ecologicamente critici o chiusi a spedizioni non autorizzate". Ogni installazione nel Sistema solare era "ecologicamente critica" e "chiusa" al tempo del concordato, ma più oltre il Concordato stabiliva il diritto della Chiesa a "possedere navi spaziali e a viaggiare, senza restrizioni, alle installazioni e agli avamposti aperti". Il concordato era molto amico. Era stato firmato nei giorni in cui il motore interstellare Berkstrun era soltanto un sogno nell'immaginazione di qualcuno che riteneva che i viaggi interstellari avrebbero aperto l'universo a un flusso illimitato di popolazione.

Ma le cose erano andate diversamente. Quando il progetto della prima astronave vide la luce, fu chiaro che nessuna istituzione, ad eccezione del governo, disponeva dei mezzi o dei fondi per costruirle; che non sarebbe derivato alcun profitto dal trasporto di colonie ai pianeti extrasolari, a scopo di "mercantilismo interstellare". Tuttavia, i dirigenti asiatici, avevano fatto partire la prima astronave coloniale. Poi, in Occidente, si era levato il grido: "Dobbiamo permettere che le 'razze inferiori' ereditino le stelle"? C'era stata una breve serie di lanci di astronavi coloniali cariche di gente nera, bruna, bianca e gialla, mandate nei cieli, verso il Centauro, in nome del razzismo. Poi, gli specialisti di genetica avevano maliziosamente dimostrato che — poiché ogni gruppo razziale era così piccolo che, se i discendenti non avessero praticato il matrimonio misto, ciascuno di essi avrebbe subito una degenerazione genetica a causa dell'accoppiamento tra consanguinei nei pianeti coloniali — i razzisti avevano reso necessaria, per la sopravvivenza, la mescolanza delle razze.

L'unico interesse che la Chiesa aveva mostrato per lo spazio era stato per i coloni, i quali erano figli della Chiesa, tagliati fuori dal gregge a causa delle distanze interstellari. Eppure non aveva approfittato del concordato che permetteva l'invio di missioni. Esistevano certe contraddizioni tra il concordato e le leggi dello Stato che davano potere alla Commissione, almeno nel senso che la legge più recente poteva, in teoria, influire sull'invio di missioni. La contraddizione non era mai stata portata dinanzi ai tribunali, poiché non vi era mai stato un motivo di lite. Ma ora, se la Difesa Interna di Zona avesse intercettato il gruppo di frate Joshua nell'atto di lanciare un'astronave senza un permesso della Commissione, vi sarebbe stato un motivo. Zerchi pregò che il gruppo potesse partire senza bisogno di una discussione in tribunale, che avrebbe potuto richiedere settimane o mesi. Naturalmente, dopo sarebbe scoppiato uno scandalo. Molti avrebbero sostenuto non soltanto che la Chiesa aveva violato le regole della Commissione ma anche quelle della carità, mandando dignitari ecclesiastici e un gruppo di monaci, quando avrebbe potuto usare la nave come strumento di salvezza per i poveri coloni, affamati di terra. Il conflitto tra Marta e Maria si ripresentava sempre.

L'Abate Zerchi si rese conto, all'improvviso, che il suo modo di pensare era cambiato, in quegli ultimi giorni. Qualche giorno prima, tutti avevano aspettato che il cielo esplodesse. Ma erano trascorsi nove giorni da quando Lucifero era prevalso nello spazio e aveva ucciso una città con la sua vampa. Nonostante i morti, gli storpiati e i morenti, erano stati nove giorni di silenzio. Poiché l'ira si era fermata, fino a quel momento, forse il peggio poteva essere evitato. Si sorprendeva a pensare cose che potevano accadere la settimana prossima o il prossimo mese, come se, dopotutto, potesse esservi, in realtà, una settimana prossima o un prossimo mese. E perché no? Facendo un esame di coscienza, scoprì che non aveva completamente perso la virtù della speranza.


Un monaco ritornò da una commissione in città, quel pomeriggio, e riferì che nel parco, a tre chilometri dall'abbazia, veniva preparato un campo profughi.

— Credo che sia organizzato dalla Stella Verde, Domne — aggiunse.

— Bene! — disse l'abate. — Qui siamo anche in troppi, e ho dovuto rimandare indietro tre camion carichi di profughi.

I profughi rumoreggiavano nel cortile e quel rumore torturava i nervi logori. La quiete perpetua della vecchia abbazia era infranta da suoni estranei: la risata spavalda di uomini che raccontavano barzellette, il pianto di un bambino, il tintinnio di pentole e tegami, singhiozzi isterici, un medico della Stella Verde che gridava: «Ehi, Raff, portami un tubo per clistere!» Parecchie volte l'abate represse l'impulso di andare alla finestra e di ordinare il silenzio.

Dopo aver sopportato più a lungo che poté, prese un binocolo, un vecchio libro e un rosario, e salì su una delle antiche torri di guardia, dove uno spesso muro di pietra tagliava fuori quasi tutti i suoni provenienti dal cortile. Il libro era un volumetto di versi, anonimo, ma ascritto dalla leggenda a un mitico "santo" la cui canonizzazione era stata compiuta soltanto nella leggenda e nel folklore delle Pianure, ma non in alcun atto della Santa Sede. Nessuno, in realtà, aveva mai trovato una prova che fosse mai esistita una persona come il San Poeta dell'Occhio Miracoloso; la favola era probabilmente nata dal fatto che uno dei primi Hannegan aveva ricevuto in dono un occhio di vetro da un geniale fisico teorico suo protetto — Zerchi non ricordava se lo scienziato fosse stato Esser Shon o Pfardentrott — il quale aveva detto al principe che l'oggetto era appartenuto a un poeta morto per la Fede. Non aveva specificato per quale fede fosse morto il poeta — per quella di Pietro o per quella degli scismatici texarkani — ma evidentemente l'Hannegan l'aveva tenuto caro, perché aveva fatto montare l'occhio di vetro nella stretta d'una minuscola mano d'oro che era ancora portata, in certe occasioni ufficiali, dai prìncipi della dinastia Harq-Hannegan. L'occhio veniva chiamato Orbis Judicans Conscientiae oppure Oculus Poetae Judicis, e gli ultimi scismatici texarkani lo veneravano come una reliquia.

Qualcuno, qualche anno prima, aveva avanzato l'ipotesi piuttosto sciocca che San Poeta fosse lo stesso "versificatore scurrile" menzionato una volta nelle Cronache del Venerabile Abate Jerome, ma l'unica "prova" sostanziale in proposito era il fatto che Pfardentrott — o era Esser Shon? — aveva visitato l'abbazia durante il regno del Venerabile Jerome, all'incirca nell'epoca del riferimento al "versificatore scurrile" nella Cronaca, e che il dono dell'occhio a Hannegan era avvenuto qualche tempo dopo la visita all'abbazia. Zerchi sospettava che il libriccino di versi fosse stato scritto da uno degli scienziati secolari che avevano visitato l'abbazia per studiare i Memorabilia, all'incirca in quel tempo, e che uno di essi potesse essere identificato con il "versificatore scurrile" e probabilmente con il San Poeta del folklore e della favola. I versi anonimi erano un po' troppo arditi, pensava Zerchi, per essere stati scritti da un monaco dell'Ordine.

Il libro era un dialogo satirico in versi tra due agnostici che tentavano di stabilire, secondo la sola ragione naturale, che l'esistenza di Dio non poteva essere stabilita secondo la sola ragione naturale.

I due riuscivano a dimostrare che il limite matematico di una sequenza infinita di "dubitando la certezza con cui qualcosa di dubitato è noto come inconoscibile quando il 'qualcosa di dubitato' è una dichiarazione che precede la 'inconoscibilità' di qualcosa di dubitato", che il limite di questo processo di assoluta certezza, sebbene espresso come una serie infinita di negazioni di certezza. Il testo recava tracce del calcolo teologico di San Leslie, e, seppure sotto forma di dialogo poetico fra un agnostico identificato solo come "Poeta" e un altro identificato soltanto come "Thon" sembrava suggerire una prova dell'esistenza di Dio attraverso un metodo epistemologico, ma l'autore di quei versi era stato un poeta satirico: né il poeta né il thon abbandonavano le loro premesse di agnosticismo, dopo che era stata raggiunta la conclusione dell'assoluta certezza, ma invece concludevano così il loro dialogo: Non cogitamus, ergo nihil sumus.

L'Abate Zerchi si stancò presto dei suoi tentativi di decidere se il libro era una commedia intellettuale o una buffonata epigrammatica. Dalla torre poteva vedere l'autostrada e la città, e più oltre la mesa. Mise a fuoco il binocolo sulla mesa e osservò per qualche tempo le installazioni radar, ma non sembrava che lì stesse accadendo qualcosa di insolito. Abbassò lentamente lo strumento, per osservare il nuovo accampamento della Stella Verde, nel parco a fianco della strada. La zona del parco era stata cintata. Venivano rizzate le tende. Squadre di operai lavoravano alle deviazioni delle linee del gas e dell'energia elettrica. Parecchi uomini stavano rizzando un'insegna all'ingresso del parco, ma la reggevano trasversalmente rispetto all'abate, che non riuscì a leggerla. In qualche modo, quella frenetica attività gli ricordava un "carnevale" nomade che si avvicinasse alla città. C'era una grande macchina rossa. Sembrava avesse un focolare e una caldaia, ma l'abate non riuscì dapprima a indovinarne la funzione. Uomini che indossavano l'uniforme della Stella Verde stavano montando qualcosa che sembrava una piccola giostra. Almeno una dozzina di camion erano fermi sulla strada laterale. Alcuni erano carichi di legname, altri di tende e di lettini pieghevoli. Uno sembrava stesse scaricando mattoni refrattari, e un altro era carico di paglia e di vasellame.

Vasellame?

Studiò attentamente, attraverso il binocolo, il carico dell'ultimo camion. Corrugò lentamente la fronte. Era un carico di urne o di vasi, tutti eguali, avvolti in strati protettivi di paglia. Aveva già veduto qualcosa del genere, ma non riusciva a ricordare dove l'aveva visto.

Un altro camion non portata altro che una grande statua di "pietra"… fatta probabilmente di plastica rinforzata, e una lastra quadrata, sulla quale evidentemente doveva venir montata la statua. La statua era distesa sul dorso, sostenuta da una incastellatura di legno e da un nido di materiale da imballaggio. Poteva vederne soltanto le gambe e una mano protesa che sporgeva dalla paglia. La statua era più lunga del pianale del camion: i suoi piedi nudi sporgevano dal fondo. Qualcuno aveva legato una bandiera rossa a uno dei suoi alluci. Zerchi rifletté. Perché sprecare un camion per una statua, quando c'era probabilmente bisogno di un altro carico di cibo?

Guardò gli uomini che stavano montando l'insegna. Finalmente, uno di loro abbassò una estremità della tavola e salì su una scaletta per sistemare i sostegni superiori. Adesso che un'estremità poggiava sul terreno, l'insegna si inclinò, e Zerchi, allungando il collo, riuscì a leggerne la scritta:

CAMPO DI MISERICORDIA NUMERO 18
STELLA VERDE
ORGANIZZAZIONE DI EMERGENZA

Guardò di nuovo il camion. Il vasellame! E ricordò. Una volta era passato davanti a un crematorio e aveva visto gli uomini che scaricavano urne dello stesso tipo da un camion che portava il marchio della stessa ditta. Spostò di nuovo il binocolo, cercando il camion carico di mattoni refrattari. Si era spostato. Finalmente lo individuò; adesso era fermo all'interno della zona cintata. I mattoni venivano scaricati vicino alla grande macchina rossa. Esaminò di nuovo quella macchina. Ciò che a prima vista era sembrata una caldaia, adesso faceva pensare a una fornace. — Evenit diabolus! - grugnì l'abate, e si avviò verso la scala.

Trovò il dottor Cors nell'unità mobile, nel cortile. Il dottore stava allacciando un cartellino giallo al bavero della giacca di un vecchio, mentre gli diceva che doveva recarsi per qualche tempo in un campo di riposo e obbedire alle infermiere, ma che si sarebbe rimesso benissimo, se avesse avuto cura di sé.

Zerchi rimase ritto, a braccia conserte, mordicchiandosi le labbra e osservando freddamente il medico. Quando il vecchio si fu allontanato, Cors alzò lo sguardo, cautamente.

— Sì? — I suoi occhi notarono il binocolo e riesaminarono il volto di Zerchi. — Oh — brontolò. — Bene, io non ho niente a che fare con quella roba, assolutamente niente.

L'abate lo fissò per qualche secondo poi si voltò e se ne andò. Si recò nel suo ufficio e disse a frate Pat di chiamare il più alto funzionario della Stella Verde.

— Voglio che venga allontanato dalla nostra zona.

— Temo che la risposta sarà assolutamente no…

— Frate Pat, chiamate l'officina e fate salire subito frate Lufter.

— Non c'è, Domne.

— E allora mi mandino un carpentiere e un pittore. Chiunque andrà benissimo.

Qualche minuto dopo, arrivarono due monaci.

— Voglio che facciate immediatamente cinque leggeri cartelli — disse loro l'abate. — E voglio che abbiano aste lunghe e solide. Devono essere abbastanza grandi perché sia possibile leggerli a un isolato di distanza, ma abbastanza leggeri perché un uomo li possa reggere per molte ore senza stancarsi. Siete in grado di farli?

— Certo Monsignore. E cosa devono dire?

L'abate Zerchi lo scrisse. — Deve essere grande e chiaro — disse. — Fate che salti all'occhio. È tutto.

Quando se ne furono andati, richiamò frate Pat. — Frate Pat trovatemi cinque bravi novizi, giovani e sani, preferibilmente con il complesso del martire. Dite loro che potrebbero fare la fine di Santo Stefano.

E io posso fare una fine anche peggiore, pensò, quando lo saprà Nuova Roma.

28

Era stata cantata Compieta, ma l'abate rimase in chiesa, inginocchiato, da solo, nella penombra della sera.

Dominem mundorum omnium Factor, parsurus esto imprimis eis filiis aviantibus ad sideria coeli quorum victus difficilior… Pregò per il gruppo di frate Joshua… per gli uomini che erano partiti per salire su un'astronave e per scalare i cieli, in una incertezza più grande di qualsiasi altra mai affrontata dall'Uomo sulla Terra. Avevano grande bisogno che si pregasse per loro, nessuno era più suscettibile del viaggiatore ai mali che affliggono lo spirito per torturare la fede e per fare vacillare un credo inondando la mente di dubbi. In patria, sulla Terra, la coscienza ha i suoi supervisori e i suoi maestri esterni, ma nello spazio la coscienza era sola, divisa fra il Signore e l'Avversario. Rendili incorruttibili, pregò, fai che si attengano sinceramente alla via dell'Ordine.

Il dottor Cors lo trovò in chiesa, a mezzanotte, e gli fece cenno di uscire. Il medico sembrava imbarazzato, fuori di sé.

— Ho appena infranto la mia promessa! — dichiarò, in tono di sfida.

L'abate tacque. — E ne siete orgoglioso? — chiese, alla fine.

— Non particolarmente.

Si avviarono verso l'unità mobile e si fermarono nell'onda di luce azzurrina che filtrava dall'ingresso. Il medico aveva il camice zuppo di sudore; si asciugò la fronte con la manica. Zerchi lo osservò con la pietà che si prova per i perduti.

— Ce ne andremo subito, naturalmente — disse Cors. — Ho pensato che dovevo dirvelo. — E si girò per entrare nell'unità mobile.

— Aspettate un momento — disse il sacerdote. — Dovete dirmi il resto.

— Davvero? — Di nuovo quel tono di sfida. — Perché? Perché possiate minacciare il fuoco dell'inferno? È già abbastanza sofferente, quella ragazza, e anche la sua bambina. Non vi dirò niente.

— Me l'avete già detto. So a chi alludete. Anche la bambina, immagino.

Cors esitò. — Malattia da radiazione. Ustioni di vampa. La donna ha un'anca spezzata. Il padre è morto. Le otturazioni dei denti della donna sono radioattive. La bambina, quasi splende, nel buio. Il vomito è cominciato subito dopo l'esplosione. Nausea, anemia, follicoli putrefatti. Cieca di un occhio. La bambina piange continuamente per le ustioni. Come siano riuscite a sopravvivere è difficile da capire. Non posso far nulla per loro, se non mandarle alla squadra Eucrem.

— Le ho viste.

— E allora sapete perché ho infranto la mia promessa. Dovrò vivere dopo! E non voglio vivere come il torturatore di quella donna e di quella bambina!

— È più piacevole vivere come il loro assassino, invece?

— Con voi non si può fare una discussione ragionevole.

— Che cosa avete detto a quella ragazza?

— «Se volete bene alla vostra bambina, risparmiatele questa sofferenza. Andate a dormire, misericordiosamente, più presto che potete.» Ecco tutto. Ce ne andremo immediatamente. Abbiano finito con i casi di radiazione e con gli altri casi più gravi. Agli altri non farà male camminare per qualche chilometro. Non vi sono più casi di dose-critica.

Zerchi si allontanò, poi si fermò e si voltò. — Finite quel che dovete fare — gracchiò. — Finite e poi andatevene Se vi rivedrò ancora… ho paura di quello che potrei fare.

Cors sputò. — Non mi piace stare qui più di quanto a voi piaccia tenermi. Ce ne andremo subito, grazie.


Trovò la donna distesa su una branda, insieme alla bambina, nel corridoio della foresteria sovraffollata. Erano ammucchiate insieme sotto una coperta, e piangevano. L'edificio odorava di morte e di antisettico. La ragazza alzò lo sguardo verso la vaga figura che si profilava contro la luce.

— Padre? — La sua voce era spaventata.

— Sì.

— Siamo spacciate. Vedete? Vedete cosa mi hanno dato?

Non riuscì a vedere nulla, ma udì le dita di lei che facevano scattare l'orlo del cartoncino. Il biglietto rosso. Non riuscì a trovare voce per parlare. Si avvicinò alla branda. Si frugò nelle tasche e ne tolse un rosario. Lei udì il tintinnio dei grani e tese la mano per afferrarlo.

— Sapete che cos'è?

— Certamente, Padre.

— E allora tenetelo e usatelo.

— Grazie.

— Portatelo e pregate.

— So quello che devo fare.

— Non rendetevi complice. Per l'amor di Dio, figliola, non…

— Il dottore ha detto…

Si interruppe. Zerchi aspettò che finisse; ma lei continuò a tacere.

— Non rendetevi complice.

Lei tacque ancora. Zerchi le benedisse, più in fretta che poté. La donna aveva toccato i grani del rosario con dita che li conoscevano; non poteva dirle nulla che lei non sapesse già.


— La conferenza dei ministri degli Esteri, a Guam, si è appena conclusa. Non è stato ancora emesso alcun comunicato politico congiunto. I ministri stanno ritornando alle rispettive capitali. L'importanza di questa conferenza e l'ansia con cui il mondo attende i risultati, inducono questo commentatore a credere che la conferenza non sia ancora terminata, ma soltanto sospesa perché i ministri degli Esteri possano conferire per qualche giorno con i rispettivi governi. Un precedente rapporto secondo il quale la conferenza sarebbe stata interrotta in mezzo a feroci invettive è stato smentito dai ministri. Il primo ministro Rekol ha rilasciato una sola dichiarazione alla stampa: «Torno in patria per discutere con il Consiglio di Reggenza. Ma il tempo è stato bello, qui; può darsi che ci torni più tardi, a pescare.»

"Il periodo di tregua di dieci giorni scade oggi, ma si ritiene generalmente che il cessate il fuoco continuerà ad essere osservato. L'unica alternativa sarebbe l'annientamento reciproco. Due città sono state distrutte, ma bisogna ricordare che nessuna delle due parti ha risposto con un attacco in massa. I governanti asiatici affermano che si è applicato il principio 'dell'occhio per occhio'. Il nostro governo insiste che l'esplosione di Itu Wan non è stata causata da un missile atlantico. Ma, per lo più, entrambe le capitali mantengono uno strano silenzio riflessivo. Rare le voci che chiedono una vendetta totale. Una specie di stolto furore, perché la pazzia regna e prevale, ma nessuna delle due parti vuole la guerra totale. La difesa rimane all'erta. Lo Stato Maggiore ha emanato un annuncio, quasi un appello, che dichiara che noi non ci spingeremo fino in fondo se l'Asia farà lo stesso. Ma l'annuncio dice, più avanti: «Se useranno il fallout sporco, risponderemo nello stesso modo, e con tale potenza che nessuna creatura potrà vivere in Asia per mille anni!»

"Cosa strana, la nota più scoraggiante non viene da Guam ma dal Vaticano di Nuova Roma. Dopo la conclusione della Conferenza di Guam, si è risaputo che Papa Gregorio aveva smesso di pregare per la pace nel mondo. Due Messe speciali venivano cantate nella Basilica: la Exsurge quare obdormis, che è la messa contro gli infedeli, e la Reminiscere, la Messa in tempo di guerra. Successivamente, il rapporto afferma che sua Santità si è ritirato sulle montagne per meditare e per pregare per la giustizia.

"E ora una parola da…"

— Spegnete — ruggì Zerchi.

Il giovane prete che era con lui spense l'apparecchio e fissò l'abate ad occhi sbarrati. — Non ci credo!

— Che cosa? Ciò che hanno detto del papa? Non ci credo neppure io. Ma l'avevo già sentito, prima, e Nuova Roma aveva avuto il tempo di smentirlo. Ma non ha detto una parola.

— Che cosa significa?

— Non è ovvio? Il servizio diplomatico vaticano è al lavoro. È evidente che hanno inoltrato un rapporto sulla conferenza di Guam. Ed è evidente che quel rapporto ha inorridito il Santo Padre.

— Che ammonimento! Che gesto!

— È stato più di un gesto, Padre. Sua santità non dice Messe di Battaglia solo per amore di un effetto drammatico. Inoltre, molta gente penserà che lui intenda "contro gli infedeli" sull'altra riva dell'oceano, la "giustizia" della nostra parte. O, anche se la pensassero diversamente, continueranno a crederlo. — Si nascose la faccia fra le mani, se la massaggiò. — Dormire. Che cos'è dormire, Padre Lehy? Voi lo ricordate? Non ho visto un viso umano, in dieci giorni, che non avesse cerchi neri sotto gli occhi. Io sono riuscito a malapena a sonnecchiare, ieri notte, perché c'era qualcuno che gridava, nella foresteria.

— Lucifero non è l'uomo del sonno, lo sappiamo.

— Cosa state guardando, fuori dalla finestra? — chiese Zerchi con voce tagliente. — Ecco un'altra cosa. Tutti continuano a guardare il cielo, a guardare e a pensare. Se la bomba arriva, non avrete il tempo di vederla fino all'esplosione, e allora farete meglio a non guardare. Smettetela. È malsano.

Padre Lehy si allontanò dalla finestra. — Sì, reverendo Padre. Ma non stavo guardando per quello. Guardavo le poiane.

— Le poiane?

— Ce ne sono state moltissime, tutto il giorno. Dozzine di poiane… che volavano in cerchio.

— Dove?

— Sul campo della Stella Verde, sull'autostrada.

— Allora non è un segno di cattivo augurio. È soltanto sano appetito d'avvoltoio. Ah! Vado fuori a prendere un po' d'aria.

Nel cortile incontrò la signora Grales. Portava un cesto di pomodori, che posò in terra quando lo vide avvicinarsi. — Vi ho portato qualcosa, Padre Zerchi — gli disse. — Ho visto che avete tolto la scritta, e poi ho visto qualche povera ragazza dentro al portone, così ho pensato che non vi sarebbe spiaciuta una visita della vecchia donna dei pomodori. Ho portato un po' di pomodori vedete?

— Grazie, signora Grales. Abbiamo tolto la scritta per i profughi, ma non importa. Dovrete parlare con frate Elton, però per i pomodori. È lui che fa gli acquisti per la cucina.

— Oh, non li vendo, Padre. Eh-eh! Ve li ho portati gratis. Avete tanta gente da sfamare, tutti i poveracci che raccogliete qui. Così sono gratis. Dove devo metterli?

— La cucina d'emergenza è nel… ma no, lasciateli lì. Li farò portare alla forestiera.

— Li porto io, Padre. Li ho portati fin qui. — E riprese il canestro.

— Grazie, signora Grales. — E si volse per andarsene.

— Padre, aspettate — chiamò la donna. — Un minuto, vostro onore, soltanto un minuto…

L'abate represse un brontolio. — Mi dispiace, signora Grales ma è come vi ho detto… — Si interruppe, fissò il viso di Rachel. Per un momento, aveva immaginato… Aveva ragione frate Joshua? Ma no, sicuramente no. — È… una cosa che riguarda la vostra parrocchia e la diocesi, e non c'è nulla che io possa…

— Oh, no, Padre, non quello! — disse la donna. — Volevo chiedervi qualcosa d'altro. — (Ecco! Aveva sorriso! Ne era certo!) — Vorreste ascoltare la mia confessione, Padre? Vi chiedo perdono per il disturbo, ma io sono pentita dei miei peccati, e vorrei che foste voi ad assolvermi.

Zerchi esitò. — Perché non Padre Selo?

— Vi dirò la verità, vostro onore, è che quell'uomo è un'occasione di peccato per me. Vado da lui pensando tutto il bene possibile, ma basta che lo guardi in faccia una volta, e mi dimentico di me stessa. Dio lo ama, ma io non posso.

— Se lui vi ha offesa, dovete perdonarlo.

— Perdonare, è quello che faccio, è quello che faccio. Ma a buona distanza. È un'occasione di peccato per me, vi dico, perché io perdo la calma appena lo vedo.

Zerchi ridacchiò. — D'accordo, signora Grales. Ascolterò la vostra confessione, ma prima ho qualcosa da fare. Aspettatemi nella Cappella di Nostra Signora fra mezz'ora. Primo confessionale. Va bene?

— Sì, e siate benedetto, Padre! — La donna chinò più volte il capo. L'Abate Zerchi avrebbe giurato che anche la testa di Rachel ripeteva quei cenni, sia pure molto lievemente.

Scacciò quel pensiero e si diresse verso il garage. Un postulante gli portò fuori la macchina. Vi salì, regolò il quadrante per fissare la destinazione, e si abbandonò, stancamente, sui cuscini, mentre i controlli automatici mettevano in moto i meccanismi e spingevano la macchina verso il portone. Mentre varcava il portone, l'abate vide la ragazza ritta sul ciglio della strada. Aveva con sé la bambina. Zerchi premette il pulsante CANCELLATO. La macchina si fermò. — In attesa — disse il comando automatico.

La ragazza aveva un'ingessatura che la chiudeva dalla cintura al ginocchio sinistro. Si appoggiava a un paio di grucce e ansimava. In qualche modo era riuscita ad allontanarsi dalla foresteria e a varcare il portone, ma era evidentemente incapace di andare oltre. La bambina si aggrappava a una delle grucce e guardava il traffico sull'autostrada.

Zerchi aprì la porta della macchina e ne scese, lentamente. La ragazza lo guardò, poi distolse in fretta lo sguardo.

— Cosa state facendo fuori dal letto, figliola? — mormorò. — Non dovreste alzarvi, con quell'anca spezzata. Dove credevate di andare?

Lei spostò il proprio peso sull'altra gruccia, e il suo viso si torse per la sofferenza. — In città — disse. — Devo andare. È urgente.

— Non è così urgente che non possa andare qualcuno, al posto vostro. Manderò frate…

— No, Padre, no! Non può farlo nessuno, per me. Devo andare in città.

Mentiva. Zerchi era certo che mentiva. — Benissimo, allora — disse. — Vi porterò io in città. Ci stavo andando in ogni caso.

— No! Andrò a piedi! Io… — Fece un passo e boccheggiò. Zerchi la sorresse prima che cadesse a terra.

— Neppure se San Cristoforo vi tenesse le grucce, potreste arrivare fino in città, figliola. Venite, su, vi riconduco a letto.

— Devo andare in città, vi ho detto! — gridò lei, incollerita.

La bambina, spaventata dalla collera della madre, cominciò un pianto monotono. La ragazza cercò di calmarla, ma poi scattò.

— E sta bene, Padre. Mi portate in città?

— Non dovreste andarci.

— Ve l'ho detto, devo andare!

— Benissimo, allora. Lasciate che vi aiuti a salire… la piccolina… e adesso voi.

La bambina gridò istericamente quando il religioso la sollevò e la mise nella macchina, accanto alla madre; le si aggrappò e ricominciò il suo monotono singhiozzare. A causa dei vestiti sciolti e umidi e dei capelli bruciati, era difficile stabilire il sesso della creaturina, ma l'Abate Zerchi sapeva che era una bimba.

Formulò di nuovo la destinazione. La macchina aspettò una pausa nel traffico, poi svoltò nell'autostrada, nella corsia della media velocità. Due minuti dopo, quando si avvicinarono all'accampamento della Stella Verde, la fece dirigere verso la corsia più lenta.

Cinque monaci stavano davanti all'accampamento, come un solenne picchetto incappucciato. Camminavano avanti e indietro, in processione, sotto all'insegna del Campo di Misericordia, ma badavano a stare nella zona aperta al pubblico. I loro cartelli, dipinti a fresco, dicevano:

LASCIATE OGNI SPERANZA
O VOI CHE ENTRATE

Zerchi aveva avuto intenzione di fermarsi per parlare con loro, ma poiché aveva a bordo la ragazza si accontentò di guardarli mentre passavano. Con i loro abiti, i cappucci e il lento procedere funebre, i novizi creavano veramente l'effetto desiderato. Era piuttosto improbabile che la Stella Verde si sentisse così imbarazzata da spostare il campo lontano dal monastero, specialmente perché una piccola folla di dimostranti si era presentata, qualche tempo prima per gridare insulti e scagliare sassi contro i cartelli portati dai picchettanti. C'erano due macchine della polizia, ferme sul fianco dell'autostrada, e parecchi agenti erano lì, a osservare la scena con facce inespressive. Poiché la folla di dimostranti era apparsa all'improvviso, e poiché le macchine della polizia erano comparse subito dopo, in tempo per vedere un dimostrante che cercava di strappare un cartello al picchettante, e poiché un funzionario della Stella Verde era andato a procurarsi un ordine del tribunale, l'abate sospettò che la dimostrazione fosse stata accuratamente organizzata quanto i picchetti, per mettere in grado il funzionario della Stella Verde di ottenere il mandato. Probabilmente il mandato sarebbe stato concesso, ma fino a che non fosse stato consegnato, l'Abate Zerchi intendeva lasciare i novizi al loro posto

Guardò la statua che gli operai avevano eretto accanto all'ingresso; e rabbrividì. La riconobbe per una delle composite immagini umane derivate da sondaggi psicologici di massa, in cui si sottoponevano ai soggetti disegni e fotografie di persone sconosciute e si domandava: "Quale preferireste conoscere?" e "Quale, secondo voi, sarebbe il genitore migliore?" oppure: "Quale vorreste evitare?" o "Quale è il criminale, secondo voi?". Dalle fotografie scelte come "più" o "meno" a seconda delle domande, dei risultati del sondaggio di massa, era stata costruita, per mezzo di calcolatori, una serie di "facce medie", ciascuna delle quali evocava un giudizio di personalità a prima vista.

Questa statua, notò Zerchi con sbigottimento, aveva una notevole somiglianza con alcune delle immagini più effeminate con cui gli artisti mediocri o peggio che mediocri avevano rappresentato tradizionalmente la personalità di Cristo. Il viso dolciastro, gli occhi vacui, le labbra dalla posa affettata, le braccia tese in un gesto di abbraccio. I fianchi erano larghi come quelli di una donna, e il petto recava un accenno di seni… a meno che non fossero pieghe della tunica. Caro Iddio del Golgota, mormorò l'Abate Zerchi, è così che la canaglia Ti immagina? Con qualche sforzo, poteva immaginare quella statua dire "Lasciate che i piccoli vengano a me", ma non poteva immaginare che dicesse "Allontanatevi da me nel fuoco eterno, maledetti", o che scacciasse a sferzare i mercanti dal Tempio. Quale domanda, si chiese, avevano rivolto ai soggetti, per evocare nella mente della canaglia quel viso composito? Era solo, anonimamente, un Cristo. La leggenda sul piedestallo diceva CONFORTO. Ma senza dubbio la Stella Verde doveva averne visto la somiglianza con il tradizionale Cristo aggraziato degli artisti meschini. Però l'avevano caricata su un camion con una bandiera rossa legata all'alluce, e sarebbe stato difficile provare che la somiglianza era intenzionale.

La ragazza aveva posato una mano sulla maniglia della portiera; fissava i comandi della macchina. Zerchi regolò i quadranti su CORSIA VELOCE. La macchina si lanciò in avanti. La ragazza tolse la mano dalla portiera.

— Ci sono molte poiane, oggi — disse Zerchi, quietamente, guardando il cielo, oltre il finestrino.

La ragazza rimase seduta, con il viso privo di espressione. Per un momento l'abate studiò quel viso. — Soffrite, figliola?

— Non importa.

— Offrite la vostra sofferenza al cielo, figliola.

Lei lo guardò freddamente. — Credete che Dio ne sarebbe compiaciuto?

— Se voi gliela offrite, sì.

— Non riesco a comprendere un Dio che si compiace delle sofferenze della mia bambina!

Il religioso rabbrividì. — No, no! Non è della sofferenza che Dio si compiace, figliola. Si compiace della perseveranza dell'anima nella fede e nella speranza e nell'amore, nonostante le afflizioni del corpo. La sofferenza è come una tentazione negativa. Dio non si compiace delle tentazioni che affliggono la carne; si compiace quando l'anima si leva al di sopra delle tentazioni e dice "Vai, Satana". E lo stesso è per la sofferenza, che è spesso una tentazione alla disperazione, all'ira, alla perdita della fede…

— Risparmiate il fiato, Padre. Non mi lamento. È la bambina che si lamenta. La bambina non può capire il suo sermone. Può soffrire, però. Può soffrire, ma non può capire.

"Che cosa posso risponderle?" si chiese stordito il religioso. "Devo dirle di nuovo che un tempo l'Uomo aveva avuto in dono una possibilità preternaturale, e che la gettò via nell'Eden? Che la bambina era una cellula di Adamo, e che di conseguenza… Era vero, ma quella ragazza aveva una figlia ammalata, e lei stessa era malata, e non avrebbe ascoltato".

— Non fatelo, figliola. Non fatelo.

— Ci penserò — disse lei, freddamente.

— Avevo un gatto, una volta, quando ero bambino — mormorò lentamente l'abate. — Era un grosso gattone grigio con le spalle come quelle di un mastino e una testa e un collo altrettanto solidi, e quella insolenza che li fa somigliare, qualche volta, a creature del Diavolo. Era un autentico gatto. Conoscete i gatti?

— Un po'.

— Quelli che amano i gatti non li conoscono. Non è possibile amare tutti i gatti se li si conosce, e quelli che potete amare se li conoscete sono quelli che non piacciono alla gente che ama i gatti. Zeke era un gatto di questo genere.

— E questo ha una morale, naturalmente? — La ragazza lo osservava, insospettita.

— Solo questa: che l'ho ucciso.

— Tacete. Qualunque cosa stiate per dire, tacete.

— Un camion, lo investì, gli fracassò le zampe posteriori. Si trascinò fino a casa e si infilò tra le cianfrusaglie del garage. Ogni tanto emetteva un suono, come fanno i gatti quando litigano, e si agitava un po', ma per lo più se ne stava quietamente sdraiato, e aspettava. «Bisognerebbe ucciderlo» continuavano a dirmi. Dopo qualche ora, si trascinò fuori dal garage. Piangeva, per invocare aiuto. «Bisognerebbe ucciderlo» dicevano. Non volevo che lo facessero. E mi risposero che era una crudeltà lasciarlo vivo. Così alla fine dissi che l'avrei fatto, se era necessario. Presi un fucile e un badile e lo portai sull'orlo del bosco. Lo stesi sul terreno, mentre scavavo una fossa. Poi gli sparai alla testa. Era un fucile di piccolo calibro. Zeke sussultò un paio di volte, poi si alzò e cominciò a trascinarsi verso un cespuglio. Gli sparai ancora. Il colpo lo stese secco, così pensai che fosse morto, e lo deposi nella fossa. Dopo un paio di palate di terra, Zeke si alzò e si trascinò fuori dalla buca e ricominciò a trascinarsi verso i cespugli. Io piangevo più forte del gatto. Dovetti ucciderlo con il badile. Dovetti rimetterlo nella fossa e usare la lama del badile come una mannaia, e mentre lo colpivo, Zeke continuava ad agitarsi. Mi dissero che era solo un riflesso spinale, ma io non lo credetti. Conoscevo quel gatto. Voleva arrivare a quei cespugli e distendersi lì, ad aspettare. Desiderai di avergli lasciato raggiungere quei cespugli, e morire come morirebbe un gatto se lo si lascia in pace… con dignità. Non lo dimenticai più. Zeke era solo un gatto, ma…

— State zitto! — sussurrò la ragazza.

— …ma anche gli antichi pagani osservavano che la Natura non ci impone niente che non ci abbia messo in grado di sopportare. Se questo è vero per un gatto, allora non è forse ancora più vero per una creatura dotata di volontà e di intelletto razionale… qualunque cosa possa pensare del Cielo?

— State zitto, maledizione, state zitto! — sibilò lei.

— Se sono un po' brutale — disse il religioso — lo sono verso di voi, non verso la bambina. La bambina, come dite voi, non può capire. E voi, come avete detto, non vi lamentate. Di conseguenza…

— Di conseguenza mi chiedete di lasciarla morire lentamente e…

— No! Non ve lo chiedo. Come prete di Cristo io vi comando, per l'autorità di Dio Onnipotente, di non alzare la mano sulla vostra bambina, di non offrire la sua vita in sacrificio a un falso Dio di sbrigativa misericordia. Io non vi consiglio, vi scongiuro e vi comando in nome di Cristo Re. È chiaro?

Don Zerchi non aveva mai parlato con quel tono, prima d'allora, e la facilità con cui le parole gli venivano alle labbra sorpresero persino lui mentre continuava a guardarla, lei abbassò gli occhi. Per un momento, l'abate aveva temuto che la ragazza gli ridesse in faccia. Quando la Santa Chiesa faceva capire, di tanto in tanto, che considerava assoluta la propria autorità sulle nazioni, superiore all'autorità degli stati, gli uomini, in quei tempi tendevano a sghignazzare. Eppure l'autenticità del comando poteva ancora essere sentita da una ragazza amareggiata che aveva una figlia morente. Era stata una brutalità tentare di ragionare con lei, e gli dispiaceva. Un semplice comando diretto poteva ottenere ciò che non poteva la persuasione. Adesso aveva bisogno della voce dell'autorità, più di quanto avesse bisogno di persuasione. Lo poté capire dal modo in cui la ragazza aveva sussultato, sebbene lui avesse formulato il comando con tutta la dolcezza di cui la sua voce era capace.

Raggiunsero la città. Zerchi si fermò per impostare una lettera, si fermò alla chiesa di San Michele per parlare qualche minuto con Padre Selo del problema degli sfollati, si fermò alla Difesa Interna di Zona per prendere una copia delle ultime direttive in materia di difesa civile. Ogni volta che ritornava alla macchina, quasi si aspettava di non trovarvi più la ragazza, ma lei se ne stava tranquilla, stringendo la piccina e fissando distratta nel vuoto.

— Mi volete dire dove dovete andare, figliola? — le chiese, alla fine.

— In nessun posto. Ho cambiato idea.

L'abate sorrise — Ma avevate bisogno urgente di andare in città.

— Lasciate perdere, Padre. Ho cambiato idea.

— Bene, allora torneremo a casa. Perché non lasciate che le sorelle si prendano cura della bambina, per qualche giorno?

— Ci penserò.

La macchina accelerò, sull'autostrada, verso l'abbazia. Come si avvicinarono al campo della Stella Verde, l'abate poté vedere che qualcosa non andava. I picchettanti non stavano più marciando. Si erano raccolti in gruppo e stavano parlando agli agenti — o li ascoltavano — e a un terzo uomo che Zerchi non poté identificare. Diresse la macchina sulla corsia lenta. Uno dei novizi vide la macchina, la riconobbe, e cominciò ad agitare il cartello. Don Zerchi non aveva intenzione di fermarsi, poiché aveva a bordo la ragazza, ma uno degli agenti uscì sulla corsia del traffico lento e puntò la paletta verso i detector della macchina; l'autopilota reagì automaticamente e fermò il veicolo. L'agente fece cenno di portare la macchina sul ciglio della strada. Zerchi non poteva disobbedire. I due agenti si avvicinarono, annotarono il numero della patente e chiesero i documenti. Uno di loro guardò, incuriosito, la ragazza e la bambina, notò i biglietti rossi. L'altro fece un cenno in direzione della fila, ora immobile, dei picchettanti.

— Dunque siete voi che avete organizzato tutto, non è vero? — grugnì, rivolto all'abate. — Bene, quel signore dalla tunica bruna, laggiù, ha qualche notizia per voi. Credo che farete meglio ad ascoltarlo. — E indicò con il capo un tipo grassoccio che avanzava pomposamente verso di loro.

La bambina aveva ricominciato a piangere. La madre si agitava, irrequieta.

— Agenti, questa ragazza e questa bambina non stanno bene. Accetterò il processo, ma per favore, lasciateci ritornare all'abbazia. Poi ritornerò qui da solo.

L'agente guardò di nuovo la ragazza. — Signora?

Lei guardò verso il campo e alzò gli occhi verso la statua che torreggiava all'ingresso. — Io scendo qui — disse, con voce incolore.

— Sarà bene che scendiate, signora — disse l'agente guardando di nuovo i biglietti rossi.

— No! — Don Zerchi l'afferrò per il braccio. — Figliola, vi proibisco…

La mano dell'agente scattò per afferrare il polso del religioso. — Lasciatela andare! — scattò; poi, con voce sommessa: — Signora, siete affidata a lui o qualcosa di simile?

— No.

— E allora perché proibite alla signora di scendere? — domandò l'agente. — Abbiamo già perduto un po' la pazienza con voi, caro signore, e sarà meglio che…

Zerchi lo ignorò e parlò rapidamente alla ragazza. Lei scosse il capo.

— La piccina, allora. Lasciate che porti la piccina alle sorelle. Insisto…

— Signora, la bambina è vostra? — chiese l'agente. La ragazza era già scesa dalla macchina, ma Zerchi teneva ancora la bambina.

La ragazza annuì. — È mia.

— Quest'uomo l'ha tenuta prigioniera o qualcosa di simile?

— No.

— Cosa volete fare, signora?

Lei si fermò.

— Risalite in macchina — le disse Don Zerchi.

— Abbassate quel tono di voce, caro signore — abbaiò l'agente.

— Signora, cosa decidete per la bambina?

— Scendiamo qui, tutte e due — disse lei.

Zerchi sbatté la portiera e cercò di rimettere in moto la macchina, ma la mano dell'agente scattò dal finestrino, premette il pulsante CANCELLATO e tolse la chiavetta.

— Tentato rapimento? — brontolò un agente, rivolto all'altro.

— Forse — disse l'altro, e aprì la portiera. — Adesso lasciate andare la bambina!

— Perché venga assassinata qui? — chiese l'abate. — Dovrete usare la forza per riprenderla!

— Vai dall'altra parte della macchina, Fal.

— No!

— Adesso infila il bastone sotto l'ascella. Ecco, tira! Benissimo, signora, ecco la vostra piccina. No, credo che non riuscirete a portarla, con quelle grucce. Cors? Dov'è Cors? Ehi, dottore!

L'Abate Zerchi intravide un viso familiare che si avvicinava, in mezzo alla folla.

— Portate via la piccina mentre noi teniamo questo matto, vi spiace?

Il medico e il religioso si scambiarono un'occhiata silenziosa, poi la piccina fu tolta dalla macchina. Gli agenti lasciarono i polsi dell'abate. Uno di loro si girò e si trovò bloccato dai novizi con i cartelli levati. Interpretò i cartelli come armi potenziali, e la mano gli cadde sulla pistola.

— Indietro! — urlò.

Sconvolti, i novizi indietreggiarono.

— Scendete.

L'abate scese dalla macchina. Si trovò di fronte al grassoccio ufficiale giudiziario. Quest'ultimo gli batté su un braccio con una carta ripiegata. — Il tribunale mi chiede di leggervi e di spiegarvi la seguente ordinanza. Questa è la vostra copia. Gli agenti testimoniano che vi è stata consegnata, così non potrete opporre resistenza.

— Oh, date qua.

— Così va bene. Ora, il tribunale ordina quanto segue: "Poiché è stata presentata una lamentela, affermante che un grave turbamento dell'ordine pubblico è stato…"

— Buttate i cartelli in quel barile, laggiù — disse Zerchi ai novizi — a meno che qualcuno non faccia obiezione. Poi salite in macchina e aspettate. — Non prestò attenzione alla lettura ma si avvicinò agli agenti mentre l'ufficiale giudiziario lo seguiva, leggendo con voce monotona. — Sono in arresto?

— Ci stiamo pensando.

— "…e presentarsi davanti a questo tribunale nella data predetta per la causa, poiché una ingiunzione…"

— C'è qualche accusa particolare?

— Potremmo elevare quattro o cinque accuse, se volete.

Cors ritornò. La donna e la piccina erano state scortate nel campo. L'espressione del medico era seria, se non colpevole.

— Ascoltate, Padre — disse. — So cosa provate davanti a tutto questo, ma…

Il pugno dell'Abate Zerchi colpì il medico in pieno viso. Cors fu colto alla sprovvista, e cadde a sedere sul viottolo. Sembrava sbalordito. Tirò su con il naso un paio di volte. All'improvviso, cominciò a perdere sangue dal naso. I poliziotti avevano bloccato il religioso per le braccia.

— "E di conseguenza non manchi di presentarsi" — continuò a blaterare l'ufficiale giudiziario — "altrimenti un decreto pro confesso…"

— Portalo alla macchina — disse uno degli agenti.

La macchina verso la quale l'abate fu spinto non era la sua ma quella della polizia.

— Il giudice sarà un po' deluso da voi — gli disse, acido, l'agente. — Adesso state qui e restate tranquillo. Ancora una mossa e vi spedisco in prigione.

L'abate e l'agente attesero accanto alla macchina mentre l'ufficiale giudiziario, il medico e l'altro agente discutevano sul viottolo. Cors si premeva sul naso un fazzoletto.

Parlarono per cinque minuti. Pieno di vergogna, Zerchi premette la fronte contro il metallo della macchina e cercò di pregare. Gli importava poco, per il momento, ciò che potevano decidere. Riusciva a pensare soltanto alla ragazza e alla bambina. Era certo che lei era già pronta a cambiare idea, aveva bisogno soltanto del comando "Io, prete di Dio, ti scongiuro" e della grazia di ascoltarlo… se non l'avessero costretto a fermarsi dove lei aveva potuto vedere "il prete di Dio" sommariamente sopraffatto "dai poliziotti di Cesare". Anche a lui, la Regalità di Cristo non era mai sembrata così lontana.

— Benissimo, caro signore. Siete proprio un uomo fortunato.

Zerchi alzò lo sguardo. — Cosa?

— Il dottor Cors rifiuta di firmare una denuncia. Dice che se l'è voluta lui. Perché l'avete colpito?

— Chiedeteglielo.

— Gliel'abbiamo chiesto. Sto solo cercando di decidere se devo portarvi via o limitarmi a darvi la citazione. L'ufficiale giudiziario dice che siete conosciuto, da queste parti. Che cosa fate?

Zerchi arrossì. — Questo non vi dice niente? — E si toccò la croce sul petto.

— No, quando chi la porta prende a pugni qualcuno. Che cosa fate?

Zerchi ringoiò l'ultima traccia di orgoglio. — Sono l'abate dei frati di San Leibowitz, all'abbazia che vedete là lungo la strada.

— E questo vi autorizza ad aggredire la gente?

— Mi dispiace. Se il dottor Cors vorrà ascoltarmi, mi scuserò con lui. Se mi consegnate una citazione, prometto che mi presenterò.

— Fal?

— La prigione è già piena di sfollati.

— Sentite, se dimentichiamo questa storia, starete alla larga da qui, e terrete a freno la vostra banda?

— Sì.

— Benissimo. Andatevene. Ma se fate tanto di passare di qui e di sputare, ve ne pentirete!

— Grazie.

Un organetto stava suonando, nel parco, mentre si allontanavano. E, guardandosi indietro, Zerchi vide che la giostra stava girando. Un agente si asciugò la faccia, batté la mano sulla spalla dell'ufficiale giudiziario, e tutti ritornarono alle rispettive macchine e se ne andarono. Anche se sulla macchina c'erano cinque novizi, Zerchi era solo con la sua vergogna.

29

— Credo che siate già stato messo in guardia contro questi scoppi d'ira — chiese Padre Lehy al penitente.

— Sì, Padre.

— Vi rendete conto che l'intento era relativamente omicida?

— Non c'era nessuna intenzione di uccidere.

— State cercando di scusarvi? — domandò il confessore.

— No, Padre. L'intenzione era di fargli male. Mi accuso di aver violato lo spirito del Quinto Comandamento con il pensiero e con l'azione, e di aver peccato contro la carità e la giustizia. E di aver portato disgrazia e scandalo sul mio ufficio.

— Vi rendete conto di aver infranto la promessa di non ricorrere mai alla violenza?

— Sì, Padre. Me ne pento profondamente.

— E l'unica circostanza attenuante è che avete visto rosso e avete colpito. Perdete spesso il controllo in questo modo?

L'interrogatorio continuò; il superiore dell'abbazia era in ginocchio, e il priore sedeva come un giudice al di sopra del suo maestro.

— Benissimo — disse alla fine Padre Lehy. — Ora, per penitenza, promettete di dire…

Zerchi arrivò alla cappella con un'ora e mezzo di ritardo, ma la signora Grales lo stava ancora aspettando. Era inginocchiata in un banco vicino al confessionale, e sembrava addormentata. Imbarazzato com'era, l'abate aveva sperato che lei non ci fosse. Doveva recitare la sua penitenza, prima di poterla ascoltare. Si inginocchiò vicino all'altare e trascorse venti minuti recitando le preghiere che Padre Lehy gli aveva assegnato come penitenza per quel giorno, ma quando si mosse verso il confessionale, la signora Grales era ancora lì. Le parlò due volte prima che lei l'udisse; e quando si alzò, incespicò. Si fermò per tastare il viso di Rachel, esplorandone le palpebre e le labbra con le dita avvizzite.

— C'è qualcosa che non va, figliola? — chiese l'abate.

La donna levò lo sguardo verso le alte finestre. I suoi occhi vagarono sul soffitto a volta. — Sì, Padre — sussurrò. — Sento il Maligno qui in giro, davvero. Il Maligno è vicino, molto vicino a noi, qui. Sento il bisogno del perdono, Padre… e anche di qualcos'altro.

— Qualcos'altro, signora Grales?

Lei si avvicinò, per sussurrare, dietro la mano. — Ho bisogno di perdonare Lui, anche.

Il prete si ritrasse, leggermente. — Chi? Non capisco!

— Perdonare… Colui che mi ha fatta come sono — gemette. Ma poi un lieve sorriso le schiuse la bocca. — Io… io non Lo avevo mai perdonato, per questo.

— Perdonare Dio… Come potete voi… Lui è giusto. Lui è la Giustizia, Lui è l'Amore. Come potete dire…

Gli occhi della donna erano supplichevoli. — E una vecchia donna che gira vendendo i pomodori non può perdonarLo un po' per la Sua Giustizia? Prima che io chieda il Suo perdono per me?

Don Zerchi deglutì. Guardò l'ombra bicefala sul pavimento. Alludeva a una terribile Giustizia… la forma di quell'ombra. Non poteva indursi a rimproverarla per aver scelto quella parola, perdonare. Nel suo semplice mondo, era concepibile il perdonare la giustizia come perdonare l'ingiustizia, era concepibile che l'Uomo perdonasse Dio come Dio perdonava l'Uomo. Così sia, allora, e abbi pazienza con lei, o Signore, pensò, aggiustandosi la stola.

La donna si genuflesse davanti all'altare, prima di entrare nel confessionale, e il religioso notò che, quando si fece il segno della Croce, la sua mano toccò la fronte di Rachel, oltre alla sua. Scostò la pesante cortina, entrò nel confessionale e sussurrò attraverso la griglia.

— Cosa volete, figliola?

— Benedizioni, Padre, perché io ho peccato…

Parlò a scatti. Non la poteva vedere, attraverso la reticella che copriva la griglia. C'era solo il lamento basso e ritmico di una voce di Eva. Lo stesso, lo stesso, sempre lo stesso, e neppure una donna con due teste poteva escogitare nuovi modi di corteggiare il male, ma poteva seguire soltanto una ottusa imitazione del Peccato Originale. Poiché provava ancora vergogna del suo comportamento con la ragazza e gli agenti e Cors, gli era difficile concentrarsi. Eppure, le mani gli tremavano mentre ascoltava. Il ritmo delle parole diventava sordo e sommesso, attraverso la griglia, come il ritmo di un martellare lontano. Chiodi infissi nelle palme trapassavano il legno. Come un alter Christus, sentiva il peso di ogni fardello, per un attimo, prima che passasse a Colui che li portava tutti. Era qualcosa che riguardava il compagno di lei. Erano cose sordide e segrete, cose da avvolgere in un giornale sporco e da seppellire durante la notte. Il fatto che riuscisse a comprenderle solo in parte, sembrava peggiorarne l'orrore.

— Se state cercando di dirmi che siete colpevole di aborto — sussurrò — devo avvertirvi che l'assoluzione è riservata al vescovo e che io non posso…

Si interruppe. C'era un ruggito lontano, e il debole grugnito di missili lanciati dalla base.

— Il Maligno! Il Maligno! — gemette la vecchia.

L'abate si sentì accapponare la pelle del capo: un brivido improvviso di irragionavole allarme.

— Presto! Un atto di contrizione! — mormorò. — Dieci Ave, dieci Pater Noster per penitenza. Dovrete ripetere la confessione, più tardi, ma adesso un atto di contrizione.

La udì mormorare, dall'altra parte della griglia. In fretta sussurrò una assoluzione: — Te absolvat Dominus Jesus Chistus: ego autem eius autorictate te absolvo ab omni vinculo… Denique, si absolvi potes, ex tuis ego te absolvo in Nomine Patris…

Prima che finisse, una luce splendette attraverso la spessa cortina del confessionale. La luce divenne più fulgida e più fulgida, fino a che il confessionale fu pieno del chiarore di mezzogiorno. La cortina cominciò a fumare.

— Aspettate! — sibilò. — Aspettate che si spenga.

— Aspettate aspettate aspettate che si spenga — fece eco una strana voce sommessa, oltre la griglia. Non era la voce della signora Grales.

— Signora Grales? Signora Grales?

Lei rispose in un mormorio assonnato, con la lingua spessa.

— Non ho mai voluto… non ho mai voluto… mai amore… Amore… — Il mormorio si smorzò. Non era la stessa voce che gli aveva risposto un attimo prima.

— E adesso, presto, correte!

Senza aspettare di vedere se lei l'aveva ascoltato, si lanciò fuori del confessionale e lungo la corsia, verso l'altare. La luce si era smorzata, ma bruciava ancora la pelle con lo splendore meridiano. "Quanti secondi rimanevano?" La chiesa era piena di fumo.

Entrò nel santuario, inciampò nel primo gradino, definì questo una genuflessione, e andò all'altare. Con mani frenetiche, tolse il ciborio pieno di Cristo dal tabernacolo, si genuflesse di nuovo davanti alla Presenza, afferrò il Corpo di Dio e corse.

L'edificio gli crollò addosso.

Quando rinvenne, non c'era altro che polvere. Era inchiodato al suolo fino alla cintura. Giaceva sul ventre; cercò di muoversi. Un braccio era libero, ma l'altro era prigioniero del peso che l'inchiodava. La mano libera stringeva ancora il ciborio, che si era rovesciato nella caduta; il coperchio si era staccato, spargendo intorno molte Ostie.

L'esplosione l'aveva scagliato fuori della chiesa, pensò. Giaceva sulla sabbia, e vedeva i resti di un rosaio travolto dalla frana delle pietre. Una rosa era ancora attaccata a un ramo… una delle Armene color salmone, notò. I petali erano bruciacchiati.

C'era un grande ruggito di motori, nel cielo, e luci azzurre continuavano ad ammiccare, attraverso la polvere.

Dapprima non sentì dolore. Cercò di girare il collo per dare un'occhiata al mostro che lo teneva prigioniero, ma poi cominciò a soffrire. Gli occhi gli si annebbiarono. Gridò, sommessamente. Non si sarebbe più voltato. Cinque tonnellate di pietra lo tenevano inchiodato. Tenevano fermo ciò che rimaneva di lui, al di sotto della cintura.

Cominciò a raccogliere le Ostie. Mosse il braccio libero, goffamente. Con cautela, le raccolse, una ad una, dalla sabbia. Il vento minacciava di spargere intorno quelle minuscole scaglie di Cristo. Comunque, Signore, io ho tentato, pensò. C'è qualcuno che ha bisogno degli ultimi riti? Del Viatico? Dovranno trascinarsi fino a me, in questo caso. Ma è rimasto qualcuno?

Non poteva udire alcuna voce, al di sopra del terribile ruggito.

Un rivolo di sangue cominciò a scorrergli negli occhi. Lo asciugò con l'avambraccio, per non macchiare le Ostie con le dita insanguinate. Non è il vero sangue, Signore: è il mio, non il Tuo. Dealba me.

Rimise quasi tutte le Ostie nel ciborio, ma qualcuna era troppo lontana. Si tese per prenderle, me svenne di nuovo.

— GesùMariaGiuseppe! Aiuto!

Debolmente udì una risposta, lontana e scarsamente udibile, sotto il cielo ululante. Era la strana voce sommessa che aveva udito nel confessionale, e anche questa volta echeggiava le sue parole:

— gesù maria giuseppe aiuto.

— Cosa? — gridò.

Chiamò parecchie volte, ma non giunse altra risposta. La polvere cominciava a cadere. Richiuse il coperchio del ciborio per impedire alla polvere di mescolarsi alle Ostie. Giacque immobile per qualche tempo, con gli occhi chiusi.

Il guaio, quando si è un prete è che bisogna accettare i consigli che si danno agli altri. La natura non ci impone niente che non ci abbia messo in grado di sopportare. È quello che ottengo, per aver detto a quella ragazza ciò che disse lo Stoico, prima di dirle ciò che disse Dio, pensò.

Non provava dolore, solo un feroce prurito che veniva dalla sua metà imprigionata. Cercò di grattarsi; le sue dita incontrarono soltanto la pietra nuda. L'artiglio, per un momento, rabbrividì, poi tolse la mano. Il prurito lo faceva impazzire. I nervi lesi lampeggiavano folli richieste di una grattata. Si sentiva molto poco dignitoso.

"Ebbene, dottor Cors, come sapete se il prurito non è un male più fondamentale della sofferenza?"

Rise un poco, a quel pensiero. La risata provocò un improvviso svenimento. Si fece strada a unghiate fuori dall'oscurità, perché qualcuno gridava. Improvvisamente si accorse che era lui a gridare. Zerchi ebbe paura. Il prurito si era trasformato in dolore, ma le grida erano state di primitivo terrore, non di sofferenza. Adesso soffriva persino a respirare. La sofferenza persisteva, ma poteva sopportarla. Lo spavento era sorto da quell'ultimo assaggio di oscurità simile all'inchiostro. L'oscurità pareva incombere su di lui, sorvegliarlo, aspettarlo avidamente… un grande appetito nero con una passione per le anime. Poteva sopportare la sofferenza, ma non quella Spaventosa Oscurità. O in essa c'era qualcosa che non avrebbe dovuto esservi, o c'era ancora qualcosa, qui, che doveva essere fatto. Una volta che si fosse arreso a quell'oscurità, non vi sarebbe più stato nulla che avrebbe potuto fare o disfare.

Si vergognò della sua paura e tentò di pregare, ma le preghiere sembravano diverse dalle preghiere… simili a scuse, ma non petizioni, come se l'ultima preghiera fosse già stata detta, l'ultimo canto già cantato. La paura persisteva. Perché? Cercò di ragionare. Hai già visto altra gente morire, Jeth. Sembra facile. Si spengono, c'è un piccolo spasmo, ed è finita. Quell'Oscurità d'inchiostro… abisso fra aham e Asti… lo Stige più nero, abisso fra Dio e l'Uomo. Ascolta, Jeth, credi davvero che vi sia qualcosa sull'altra riva, non è vero? E allora perché tremi così?

Un versetto del Dies Irae gli galleggiò nella mente, lo tormentò:

Quid sum miser tunc dicturus?

Quem patronum rogaturus

Cum vix justus sit securus?

"Che cosa dirò, io miserabile? Chi chiamerò come protettore, quando a malapena l'uomo giusto sarà sicuro?" Vix securus? Perché "a malapena sicuro"? Senza dubbio Lui non dannerà il giusto. E allora perché tremi così?

"Davvero, dottor Cors, il male di cui persino voi avreste dovuto parlare non era la sofferenza, ma l'irragionavole paura della sofferenza. Metus doloris. Mettetelo insieme al vostro equivalente positivo, la ricerca per la sicurezza mondana, per l'Eden, e avrete la vostra 'radice del male', dottor Cors. Minimizzare la sofferenza e massimizzare la sicurezza erano i fini naturali e giusti della società e di Cesare. Ma poi ne diventavano gli unici fini, e l'unico fondamento della legge… una perversione. Inevitabilmente, allora, nel cercare soltanto quello, noi troviamo soltanto l'opposto: massima sofferenza e minima sicurezza.

"Il guaio del mondo sono io. Provatelo su voi stesso, mio caro Cors. Tu io Adamo l'Uomo noi. Non c'è 'male mondano' eccetto quello che è stato introdotto nel mondo dell'Uomo… io tu Adamo noi… con un piccolo aiuto da parte del padre delle menzogne. Biasima qualunque cosa, biasima persino Dio, ma, oh, non biasimare me. Dottor Cors? L'unico male del mondo, ormai, è che il mondo non esiste più. Che dolore ha portato?"

Rise debolmente, ancora, e questo riportò l'inchiostro.

— Me noi Adamo, ma Cristo, Uomo me: me noi Adamo, ma Cristo, Uomo me — disse a voce alta. — Sapete una cosa, Pat?… loro… insieme… preferiscono esservi inchiodati, ma non da soli quando sanguinano… vogliono compagnia. Perché… perché è così. Perché è per questo che Satana vuole l'Uomo pieno di inferno. Voglio dire, è per questo che Satana vuole l'Inferno pieno di Uomini. Perché Adamo… Eppure Cristo… Ma io… Ascoltate, Pat…

Questa volta occorse più tempo per scacciare l'Oscurità, ma era necessario che lo spiegasse a Pat, prima di sprofondarvi.

— Ascoltate, Pat, perché… perché sono stato a dirvi che la bambina doveva… è perché io. Voglio dire. Voglio dire che Gesù non chiese mai a un uomo di fare una sola cosa che Gesù non fece. Ma è lo stesso, perché io… Perché non posso lasciar perdere, Pat?

Batté le palpebre, più volte. Pat svanì. Il mondo si congelò di nuovo e l'oscurità scomparve. In qualche modo aveva scoperto di che cosa aveva paura. C'era qualcosa che doveva compiere prima che quella Oscurità si chiudesse sopra di lui. "Mio Dio, lasciami vivere abbastanza per compierlo". Aveva paura di morire prima di aver accettato tanta sofferenza quanta si era abbattuta sulla bimba che non la poteva capire, la bimba che aveva tentato di salvare per un'ulteriore sofferenza… no, non per quella, ma a dispetto di quella. Aveva comandato la madre in nome di Cristo. Non aveva sbagliato. Ma ora aveva paura di scivolare in quell'oscurità prima di aver sopportato quanto Dio poteva aiutarlo a sopportare.

Quem patronum rogaturus,

Cum vix justus sit securus?

"Sia per la bambina e per sua madre, allora. Ciò che io ho imposto, io devo accettare. Fas est."

La decisione sembrò diminuire il dolore. Giacque, quietamente, per qualche tempo, poi, cautamente, guardò di nuovo dietro di sé, al mucchio di pietre. Erano più di cinque tonnellate. C'erano diciotto secoli lì. L'esplosione aveva aperto le cripte, perché notò alcune ossa bloccate fra le rocce. Tese la mano libera, incontrò qualcosa di liscio, e finalmente riuscì a liberarlo. Lo lasciò cadere sulla sabbia, accanto al ciborio. Mancava la mandibola, ma il cranio era intatto, ad eccezione di un foro sulla fronte, da cui spuntava una scheggia di legno secco e semi putrefatto. Sembrava l'avanzo di una freccia. Il cranio pareva molto antico.

— Fratello — sussurrò, perché nessuno, tranne un monaco dell'Ordine, poteva essere stato sepolto in quelle cripte.

Che cosa hai fatto per loro, Osso? Hai insegnato loro a leggere e a scrivere? Li hai aiutati a ricostruire, hai dato loro Cristo, li hai aiutati a restaurare una civiltà? Hai ricordato di avvertirli che non avrebbe mai potuto essere un Eden? Naturalmente lo hai fatto. Sii benedetto, Osso, pensò, e tracciò un segno della Croce sulla sua fronte con il pollice. Per tutte le tue fatiche, ti hanno ripagato con una freccia fra gli occhi. Perché qui c'è ben più di cinque tonnellate e diciotto secoli di pietre. Immagino che vi siano circa due milioni di anni, là… sin dal primo Homo inspiratus.

Udì di nuovo la voce… la sommessa voce-eco che gli aveva risposto poco prima. Questa volta venne in una specie di cantilena infantile: "la la la, la-la-la…".

Anche se pareva la stessa voce che aveva udito nel confessionale, senza dubbio non poteva essere la signora Grales. La signora Grales aveva perdonato Dio ed era corsa a casa, se era uscita dalla cappella in tempo… e ti prego di perdonare il rovesciamento, Signore. Ma non era sicuro neppure di aver rovesciato la frase. Ascolta, Vecchio Osso, avrei dovuto parlare così a Cors? Ascoltate, mio caro Cors, perché non perdonate a Dio di permettere la sofferenza? Se Lui non la permettesse, il coraggio, la nobiltà, l'abnegazione umana sarebbero cose prive di significato. Inoltre, voi sareste senza lavoro, Cors.

Forse è questo che abbiamo dimenticato di dire, Osso. Bombe e collere, quando il mondo è amareggiato, perché rimane privo di un Eden ricordato a metà. L'amarezza era essenzialmente contro Dio. Ascolta, Uomo, devi rinunciare all'amarezza… "concedere perdono a Dio", direbbe lei… prima di qualunque altra cosa… prima di amare.

Ma le bombe e le collere. Quelle non perdonano.

Dormì, un poco. Era un sonno naturale e non l'orribile nulla dell'Oscurità che afferrava la mente. Cadde una pioggia che cancellò la polvere. Quando si svegliò, non era solo. Levò la guancia dal fango e le guardò, bruscamente. Erano tre, posate sul mucchio di macerie e lo guardavano con funerea solennità. Si mosse. Distesero le ali nere e sibilarono, nervosamente. Gettò contro di loro un pezzetto di pietra. Due si levarono e volarono in cerchio, ma la terza rimase dov'era, zampettando e sbirciandolo gravemente. Un uccello scuro e brutto, ma non simile all'Altra Oscurità. Questo desiderava soltanto il corpo.

— Il pranzo non è ancora pronto, fratello uccello — disse irritato. — Dovrai aspettare.

Non avrebbe dovuto pensare a molti pasti, osservò, prima che l'uccello diventasse il pasto per qualcun altro. Le sue penne erano bruciacchiate dalla vampata, e teneva un occhio chiuso. L'uccello era fradicio di pioggia, e l'abate pensò che anche la pioggia era piena di morte.

— la la la, la-la-la aspettate aspettate aspettate che si spenga…

La voce ritornò. Zerchi aveva temuto che fosse una allucinazione. Ma anche l'uccello l'udiva. Continuava a sbirciare qualcosa al di fuori della portata dello sguardo di Zerchi. Alla fine emise un sibilo rauco e prese il volo.

— Aiuto! — gridò, debolmente.

— Aiuto! — pappagallò la strana voce.

E la donna con due teste comparve, girando attorno a un mucchio di macerie. Si fermò e guardò Zerchi.

— Grazie a Dio! Signora Grales! Guardate se potete trovare Padre Lehy…

— grazie a Dio signora Grales guardate se potete…

Batté le palpebre per rimuovere il sangue dagli occhi e l'osservò attentamente.

— Rachel — mormorò.

— rachel — rispose la creatura.

Si inginocchiò davanti a lui e si appoggiò sui calcagni. L'osservò con freschi occhi verdi e sorrise innocentemente. Gli occhi erano desti, carichi di stupore, di curiosità… e forse di qualcosa d'altro… ma a quanto pareva non sembrava capire che lui soffriva. C'era qualcosa, in quegli occhi, che gli impedì di notare qualunque altra cosa per parecchi secondi. Ma poi notò che la testa della signora Grales dormiva sonoramente sull'altra spalla, mentre Rachel sorrideva. Era un sorriso giovane e timido, che sperava amicizia. Ritentò.

— Sentite, è rimasto vivo qualcun altro? Andate…

Melodiosa e solenne venne la sua risposta: — sentite è rimasto vivo qualcun altro… — Lei assaporava le parole. Le enunciava distintamente. Sorrideva su di esse. Era più che un'imitazione riflessa, decise. Stava cercando di comunicare qualcosa. Attraverso quella ripetizione, stava cercando di portargli l'idea: Io sono un po' simile a te.

Ma lei era appena nata.

"E tu sei anche diversa, in un certo senso", notò Zerchi, con una sfumatura di timore. Ricordava che la signora Grales aveva l'artrite alle ginocchia, ma il corpo che le era appartenuto adesso stava inginocchiato là, appoggiato sui calcagni, nella sciolta posa della gioventù. E poi, la pelle rugosa della vecchia sembrava meno grinzosa di prima, e sembrava splendere un poco, come se il vecchio tessuto coriaceo fosse di nuovo vivificato. Improvvisamente notò il braccio di lei.

— Sei ferita!

— sei ferita.

Zerchi indicò il braccio di lei. Invece di guardare dove lui indicava, imitò il suo gesto, guardandogli il dito e tendendo il proprio per toccarlo… servendosi del braccio ferito. C'era pochissimo sangue, ma c'erano almeno una dozzina di tagli, uno dei quali sembrava profondo. Zerchi le tirò il dito, per avvicinare il braccio. Ne trasse cinque schegge di vetro rotto. Forse lei aveva spinto il braccio attraverso una finestra o, più probabilmente, si era trovata sulla traiettoria di una finestra che esplodeva, quando c'era stato lo scoppio. Solo una volta, quando tolse una lancia di vetro lunga un pollice apparve una traccia di sangue. Quando tolse gli altri frammenti, lasciarono minuscoli segni azzurri, senza emorragia. Quell'effetto gli ricordò una dimostrazione di ipnosi cui aveva assistito una volta, di qualcosa che aveva rifiutato come un'impostura. Quando guardò di nuovo il volto di lei, il suo timore crebbe. Continuava a sorridergli, come se la rimozione delle schegge di vetro non le avesse causato alcun fastidio.

Lanciò un'occhiata al viso della signora Grales. Era diventata grigia, l'impersonale maschera del coma. Le labbra erano esangui. In qualche modo, fu certo che stava morendo. Poteva immaginarla mentre avvizziva e alla fine cadeva come una crosta o un cordone ombelicale. Chi era, dunque, Rachel? E che cosa?

C'era ancora un po' di umidità sulle pietre bagnate dalla pioggia. Inumidì un polpastrello e le fece cenno di avvicinarsi. Qualunque cosa fosse, probabilmente aveva ricevuto una dose di radiazioni troppo forte per vivere a lungo. Cominciò a tracciarle una croce sulla fronte con un dito umido.

Nisi baptizata es et nisi baptizari nonquis, te baptizo…

Non riuscì ad andare oltre. Lei si scostò in fretta da lui. Il suo sorriso gelò e svanì. No! sembrava gridare la sua espressione. Si allontanò da lui. Si asciugò dalla fronte la traccia di umidità, chiuse gli occhi, abbandonò le mani in grembo. Un'espressione di completa passività apparve sul suo viso. Con il capo piegato in quel modo faceva pensare a una preghiera. Gradualmente uscì dalla passività; il sorriso rinacque. Quando aprì gli occhi e lo guardò di nuovo, lo fece con lo stesso aperto calore di prima. Ma si guardava attorno, come se cercasse qualcosa.

Il suo sguardo cadde sul ciborio. Prima che Zerchi potesse fermarla, lo raccolse. — No! — tossì lui, con voce rauca, e cercò di afferrarlo. Lei era troppo svelta, e lo sforzo gli costò uno svenimento. Quando ritornò alla coscienza e alzò di nuovo il capo, riuscì a vedere solo immagini confuse. Lei era ancora inginocchiata, lì davanti. Finalmente riuscì a capire che reggeva la coppa d'oro nella mano sinistra, e nella destra, delicatamente, fra pollice e indice, un'Ostia. La stava offrendo a lui, oppure l'immaginava soltanto, come poco prima aveva immaginato di parlare a frate Pat?

Aspettò che le immagini confuse si schiarissero. Questa volta non si schiarirono, non completamente.

Domine, non sum dignus… - sussurrò — sed tantum dic verbo…

Ricevette l'Ostia dalla mano di lei. Lei richiuse il coperchio del ciborio e lo ripose in un punto più protetto, sotto una pietra sporgente. Non aveva usato i gesti convenzionali, ma la reverenza con cui l'aveva maneggiato lo convinse d'una cosa: lei sentiva la Presenza sotto i veli. Colei che non sapeva ancora usare le parole o comprenderle, aveva fatto ciò che aveva fatto come per istruzione diretta, in risposta al suo tentativo di battesimo.

Cercò di rimettere a fuoco gli occhi per dare un'altra occhiata al viso di quell'essere, che per mezzo dei soli gesti gli aveva detto: "Io non ho bisogno del vostro primo Sacramento, Uomo, ma io sono degna di impartirti questo Sacramento di Vita". Ora sapeva chi lei era, e singhiozzò debolmente quando non riuscì a rimettere a fuoco gli occhi su quei freschi, verdi occhi imperturbati di una nata libera.

Magnificat anima mea Dominum - sussurrò. — L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito si è rallegrato in Dio mio Salvatore, perché Lui ha posato lo sguardo sulla umiltà della Sua serva…

Voleva insegnarle quelle parole, come suo ultimo atto, perché era certo che lei condivideva qualcosa con la Fanciulla che per prima le aveva pronunciate.

Magnificat anima mea Dominum et exultavit spiritus meus in Deo, salutari meo, quia respexit humilitatem…

Rimase senza fiato prima di avere finito. Lo sguardo gli si annebbiò; non riusciva più a distinguere la figura di lei. Ma dita fresche gli toccarono la fronte, e la udì dire una parola:

— Vivi.

Poi lei scomparve. Poté udire la sua voce allontanarsi fra le nuove rovine: "la la la, la-la-la…"

L'immagine di quei freschi occhi verdi rimase con lui quanto la vita. Non chiese perché Dio avesse scelto di far crescere una creatura di originale innocenza dalla spalla della signora Grales, o perché Dio le avesse dato i doni preternaturali dell'Eden… quei doni che l'Uomo aveva cercato di strappare al Cielo con la forza bruta, fin da quando li aveva perduti. Aveva veduto l'innocenza originale, in quei giorni, e una promessa di resurrezione. Quell'unico sguardo era stato un grande dono, e pianse di gratitudine. Poi giacque con il viso nella terra umida e attese.

Non venne null'altro… nulla che lui vedesse, o sentisse, o udisse.

30

Cantarono mentre facevano salire i bambini sulla nave. Cantarono antichi canti spaziali ed aiutarono i bambini a salire la scaletta, uno alla volta, fino alla mani delle suore. Cantarono di cuore, per disperdere la paura dei piccini. Quando l'orizzonte eruttò, il canto si interruppe. Fecero salire sulla nave l'ultimo bambino.

L'orizzonte si accese di lampi mentre i monaci salivano la scaletta. L'orizzonte diventò un bagliore rosso. Un lontano banco di nubi era nato dove non c'era stata alcuna nube. Due monaci, sulla scaletta, distolsero lo sguardo dai lampi. Quando i lampi scomparvero, tornarono a guardare.

Il volto di Lucifero crebbe come un fungo orribile al di sopra del banco di nubi, alzandosi lentamente come un titano che si levasse in piedi dopo anni di prigionia nella Terra.

Qualcuno abbaiò un ordine. I monaci ripresero ad arrampicarsi. Presto furono tutti dentro la nave.

L'ultimo monaco, nell'entrare, si fermò nella camera stagna. Rimase ritto sul portello aperto e si tolse i sandali.

Sic transit mundus - mormorò, guardando verso il bagliore. Sbatté le suole dei sandali una contro l'altra, per toglierne la polvere. Il bagliore abbracciava un terzo del cielo. Si grattò la barba, gettò un ultimo sguardo all'oceano, poi indietreggiò e chiuse il portello.

Vi fu un lampo, un riflesso di luce, un gemito alto e sottile che vinceva il suono, e l'astronave si lanciò verso il cielo.

I frangenti battevano monotoni la spiaggia, gettando a riva i detriti. Un idrovolante abbandonato galleggiava oltre i frangenti. Dopo un po' i frangenti catturarono l'idrovolante e lo gettarono sulla spiaggia, insieme ai detriti. Si inclinò, si spezzò un'ala. C'erano gamberetti che facevano caroselli nei frangenti, e il meriango che si nutriva di gamberetti, e il pescecane che mangiava i merianghi e li trovava eccellenti, nella sportiva brutalità del mare.

Un vento spazzò l'oceano, portando con sé una cortina di fine polvere bianca. La cenere cadde nel mare, nei frangenti. I frangenti spinsero a riva i gamberetti morti, insieme ai detriti. Poi spinsero a riva il meriango. Il pescecane nuotò verso le sue acque più profonde, si crogiolò nelle fredde correnti pulite. Aveva molta fame, in quella stagione.

FINE
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