PARTE SECONDA Ver Dorco

1

Il materiale ritrascritto passò sullo schermo di classificazione. Accanto alla consolle del computer giacevano le quattro pagine fitte di definizioni accumulate fino a quel momento e un quaderno pieno di congetture grammaticali. Mordendosi il labbro inferiore, Rydra esaminò la classificazione di frequenze dei dittonghi bassi. Sulla parete aveva appuntato tre tabelle etichettate:

Possibile Struttura Fonetica…

Probabile Struttura Fonetica…

Ambiguità Siotiche, Semantiche e Sintattiche…

L’ultima conteneva i problemi ancora da risolvere. Le domande, formulate e risolte, venivano trascritte sulle prime due.

— Capitano?

Lei si girò sul sedile a bolla.

Appeso al portello per i ginocchi, c’era Diavalo.

— Sì?

— Cosa desiderate per pranzo? — Il piccolo cuoco era un ragazzo di diciassette anni. Due corna dovute a un intervento di chirurgocosmesi spuntavano dai suoi capelli bianchi di albino eternamente arruffati. Ora si stava grattando un orecchio con la punta della coda.

Rydra alzò le spalle. — Non ho preferenze. Chiedi al resto dell’equipaggio.

— Quei ragazzi mangerebbero i loro stessi rifiuti liquefatti, se io glieli servissi. Non hanno immaginazione, capitano. Cosa ne direste di fagiano sotto vetro, o di un pollo di Cornovaglia glassato?

— Sei proprio in vena di selvaggina?

— Be’… — Staccò un ginocchio dal portello e diede un colpetto alla parete, oscillando per alcuni secondi avanti e indietro. — Il pollame non mi dispiace.

— Allora, se nessuno ha obiezioni, tenta con Coq au vin, Idaho al forno e bistecche alla griglia con pomodori.

— Ora sì che ci siamo!

— Torta di fragole per dessert?

Diavalo schioccò energicamente le dita e con un balzo scomparve dal portello. Rydra scoppiò a ridere e si voltò verso il suo tavolo.

— Riesling sul Coq, vino di Maggio con il resto! — fu l’urlo festoso del ragazzo dagli occhi rosa che si allontanava.

Rydra aveva appena scoperto il terzo esempio di quello che sembrava una sincope sillabica, quando la poltroncina a bolla si curvò all’indietro. Il quaderno andò a sbattere contro il soffitto, e anche lei avrebbe seguito la sua sorte se non si fosse saldamente aggrappata all’orlo del tavolo. Le sue spalle tremarono. Dietro di lei, il rivestimento della poltroncina si spaccò lasciando scorgere il silicone in sospensione.

Poi tutto nella cabina sembrò tornare alla normalità, e Rydra si girò appena in tempo per assistere al tuffo di Diavalo attraverso il portello. Il ragazzo urtò violentemente con un fianco e riuscì ad aggrapparsi alla parete trasparente. Che stupido.

Rydra scivolò sull’umido, afflosciato involucro della poltrona a bolla. Il viso della Lumaca lampeggiò sull’intercom. — Capitano!

— Cosa diavolo…? — domandò lei.

La spia luminosa del Controllo Guida stava ammiccando. Di nuovo, qualcosa fece vibrare l’intera astronave.

— Respiriamo ancora?

— Solo un… — Il viso della Lumaca, pesante e orlato di una barba nera, assunse un’espressione sgradevole. — Sì Aria: tutto bene. È il Controllo Guida che si trova nei guai.

— Se quei maledetti ragazzi hanno… — Rydra si mise in contatto con loro. Flip, il Caposquadra balbettò: — Gesù, capitano è saltato qualcosa.

— Ma che cosa?

— Non lo so. — Il volto di Flop si affacciò sopra la sua spalla.

— Le luci dei commutatori A e B sono a posto. Quella del commutatore C sta bruciando come un fuoco artificiale del Quattro di luglio. Dove diavolo ci troviamo, comunque?

— Siamo alla prima ora di bordo fra la Terra e la Luna. Non siamo ancora usciti dal raggio del Centro Stellare 9.

Navigazione? — Ci fu un clic.

Il viso scuro di Mollya spuntò sullo schermo.

— Wie gehts? — le domandò Rydra.

Il Primo Navigatore svolse dinanzi ai suoi occhi la curva delle probabilità e localizzò approssimativamente l’astronave a mezza strada fra due spirali vagamente logaritmiche. — Stiamo orbitando intorno alla Terra a questa distanza — intervenne rapida la voce di Ron. — Qualcosa ci ha colpiti e buttati fuori rotta. Non abbiamo più potenza e stiamo andando alla deriva.

— A quale altezza e con quale velocità?

— Calli sta cercando di calcolarlo.

— Allora intanto darò un’occhiata fuori. — Chiamò il Gruppo Sensoriale.

— Naso, che odori ci sono là fuori?

— Solo puzza, capitano. Non c’è nulla alla mia portata.

— Senti qualcosa, Orecchio?

— Nemmeno uno squittio, capitano. Tutte le correnti di stasi in questa regione sono inattive. Siamo troppo vicini a una grande massa gravitazionale. C’è una debole eccitazione eterica di quasi cinquanta unità spettrali nel mio settore K ma non credo che ci porterà da nessuna parte, se non a girare in tondo. Stiamo procedendo con la velocità acquisita dopo l’ultimo vento rigido dalla mangosfera terrestre.

— Com’è lì fuori, Occhio?

— Come l’interno di una carbonaia, capitano. Qualunque cosa ci abbia colpiti, e io non ho visto nulla, abbiamo proprio scelto un angolo morto per tirarcela addosso. Nel mio campo quell’eccitazione è leggermente più potente, e potrebbe tirarci fuori di qui.

Ottone fece sentire la sua voce. — Mi ’iacerebbe allora sa’ere dove si trova con esattezza, ’rima di ’ensare a farci un salto dentro. Il che significa, che ’rima vorrei sa’ere dove ci troviamo noi.

— Navigazione?

Dall’altra parte vi fu silenzio per un istante. Poi i tre visi comparvero insieme sullo schermo. Calli mormorò: — Non lo sappiamo, capitano.

Il campo gravitazionale a bordo si era ora stabilizzato a poche unità al disotto della norma. Il silicone uscito dalla poltrona si era radunato in un angolo della cabina. Il piccolo Diavalo scosse tremando il capo e sbatté più volte gli occhi. Attraverso la maschera di dolore che gli copriva il viso, sussurrò: — Che cos’è successo, capitano?

— Che io sia dannata se lo so — fece di rimando Rydra. — Ma intendo scoprirlo.


Il pranzo fu consumato in silenzio. La squadra, tutti ragazzi al di sotto dei ventun anni, cercava di fare il minor rumore possibile. Al tavolo degli ufficiali i tre Navigatori sedevano sul lato opposto a quello occupato dalle forme incorporee degli Osservatori Sensoriali. La tarchiata Lumaca, a capotavola, versava il vino all’equipaggio. Rydra pranzava con Ottone.

— Non ca’isco. — Lui scosse la testa e la criniera oscillò. Fece girare il bicchiere fra gli artigli scintillanti. — ’rocedevamo benissimo, e la via era com’letamente libera. Qualunque cosa sia successa, deve essere successa all’interno della nave.

Diavalo, con il fianco serrato dalle bende a pressione, zoppicò fino a loro per servire la torta e ritornò con lo stesso passo incerto al tavolo dell’equipaggio.

— Così — disse Rydra — siamo in orbita intorno alla Terra con tutti i nostri strumenti fuori uso, e non possiamo neppure sapere dove ci troviamo.

— Le a’’arecchiature di i’erstasi sono ancora intatte — le ricordò lui.

— Solo che non ’ossiamo sa’ere dove ci troviamo noi da questa ’arte del salto.

— E non possiamo saltare se non conosciamo il punto da cui partiamo.

Rydra lanciò un’occhiata alla sala da pranzo. — Ottone, cosa credi che stiano pensando?

— S’erano che voi li facciate uscire da questa situazione, ca’itano.

Lei sfiorò appena l’orlo del bicchiere con il labbro inferiore.

— E se qualcuno non ci riuscirà, resteremo qui dentro a mangiare i ’ranzetti di Diavalo ’er sei mesi, ’oi soffocheremo. Non ’ossiamo nemmeno lanciare un segnale di soccorso, con le normali a’’arecchiature in queste condizioni. Dobbiamo as’ettare finché non riusciremo a infilarci in i’erstasi. Ho chiesto ai Navigatori se ’otevano im’rovvisare qualcosa ma non ce l’hanno fatta. È stato tutto tro’’o ra’ido, sono riusciti a vedere solamente che eravamo lanciati in una grande orbita circolare.

— Dovremmo avere dei finestrini — disse Rydra. — Almeno potremmo osservare le stelle e calcolare la nostra orbita. Non dovrebbe essere superiore alle due ore.

Ottone annuì. — Ecco i risultati della tecnica moderna. Un oblò e un antiquato sestante sarebbero sufficienti a farci uscire di qui, ma ormai siamo ’ieni di congegni elettronici fino alle orecchie e senza di loro siamo ’erduti.

— Girando… — Rydra depose il bicchiere.

— Che cosa?

— Der Kreis — disse lei, aggrottando la fronte.

— Che cos’è? domandò di nuovo Ottone.

— Ratas, orbis, cerchio. — Appoggiò con forza le palme sul tavolo. — Cerchi — disse. — Il cerchio in diverse lingue!

La confusione di Ottone era terrificante dietro le sue zanne. La sua vellutata criniera si rizzò sulla fronte.

— La sfera — continuò lei — il globo, gumlas. — Poi si alzò in piedi. — Kule, Kuglet. Kring!

— Ma cosa im’orta la lingua? Un cerchio è un cer…

Ma lei si era messa a ridere, ed era uscita correndo dalla sala da pranzo. Nella sua cabina raccolse la traduzione incompleta. Sfogliò all’indietro alcune pagine, poi schiacciò il pulsante dei Navigatori. Ron, leccandosi un baffo di panna dal labbro superiore, chiese: — Sì, capitano? Che cosa desiderate?

— Un orologio — ordinò Rydra — e… un sacchetto di biglie!

— Huh? — fece Calli.

— Finirete più tardi la torta. Raggiungetemi subito al Centro G.

— Bi-glie? — sillabò meravigliata Mollya. — Biglie?

— Uno dei ragazzi della squadra le avrà certamente. Prendetele e portatemele al Centro G.

Con un balzo superò il flaccido involucro del sedile a bolla e corse oltre il portello, lungo il corridoio cilindrico che portava alla sala sferica completamente vuota del Centro G. Il centro calcolato della gravità di un’astronave consisteva in una stanza del diametro di nove metri in costante caduta libera. Qui alcuni strumenti sensibili alla gravità potevano svolgere indisturbati i loro compiti. Un istante più tardi, i tre Navigatori fecero la loro comparsa attraverso il boccaporto circolare. Ron stringeva una reticella contenente parecchie palline di vetro. — Lizzy dice che le rivuole indietro per domani pomeriggio: i ragazzi del Controllo Guida l’hanno sfidata e lei vuole difendere il suo titolo.

— Se la mia idea funziona, le riavrà prima di stanotte.

— Funziona? — Volle sapere Mollya. — Idea tua? — Già. Solo che non si tratta di un’idea del tutto mia.

— Di chi è allora, e di cosa si tratta? — chiese Ron incuriosito.

— Credo che appartenga a qualcuno che parla un’altra lin gua. Ora noi dobbiamo sistemare le biglie lungo le pareti, for mando una sfera perfetta, e controllare i loro movimenti con l’orologio.

— Ma perché? — chiese Calli.

— Per vedere dove si dirigono e quanto tempo impiegano a spostarsi.

— Non ci arrivo — brontolò Ron.

— La nostra orbita tende a comporre un’immensa circonferenza intorno alla Terra, esatto? Questo significa che ogni cosa, a bordo, tende a seguire la stessa orbita, e che se fosse lasciata libera da ogni altra influenza si sposterebbe lungo la stessa direzione.

— Esatto. E allora?

— Aiutatemi a sistemare queste biglie — ordinò Rydra. — Hanno un nucleo di ferro, così sarà sufficiente magnetizzare le pareti per mantenerle a posto. Poi le lasceremo libere tutte insieme.

Ron, piuttosto confuso, andò a magnetizzare le paratie della sala sferica.

— Ancora non capite? Siete tutti ottimi matematici, parlatemi delle massime circonferenze.

Calli raccolse una manciata di biglie e cominciò ad applicarle alle pareti, un leggero clic dopo l’altro. — Una circonferenza massima è il cerchio più grande che si ottiene tagliando una sfera.

— Il diametro della circonferenza massima è uguale al diametro della sfera — continuò Ron, allontanandosi dai comandi.

— La somma degli angoli di intersezione di tre circonferenze massime date, all’interno di una forma delimitata topologicamente, è prossima a cinquecentoquaranta gradi. La somma degli angoli di N. circonferenze massime è prossima a N volte centottanta gradi. — Mollya intonò con la sua voce musicale due delle definizioni che quella mattina aveva iniziato a memorizzare in inglese, grazie all’aiuto di un personafix. — Biglie qui, sì?

— Dappertutto, sì. Distanziate nello stesso modo, per quanto è possibile. Ditemi qualcos’altro sulle intersezioni.

— Be’ — disse Ron — data una sfera, tutte le sue circonferenze massime si intersecano fra loro… oppure sono coincidenti.

Rydra scoppiò in una risata. — Ehi, non la fai troppo semplice? Non ci sono altre circonferenze su una sfera che devono intersecarsi, a prescindere dal modo in cui le manovri?

— Credo che si possa spostare ogni altra circonferenza in modo che siano equidistanti in tutti i punti e non si tocchino. Tutte le circonferenze massime devono avere almeno due punti in comune.

— Rifletti per un attimo su questo e osserva le biglie che stanno formando le circonferenze massime del Centro G.

Di colpo Mollya batté le mani e si allontanò fluttuando dalla paratia. Con un’eccitata luce di comprensione negli occhi, balbettò rapidamente qualcosa in Kiswahili, e Rydra rise. — Esatto — disse poi. Per gli altri due Navigatori che la fissavano stralunati, tradusse. — Le biglie si muoveranno le une verso le altre e le loro orbite si intersecheranno.

Calli spalancò gli occhi. — È vero. Quando avremo compiuto un quarto della nostra orbita, le biglie dovrebbero essersi appiattite a formare un piano circolare.

— Parallelo al piano della nostra orbita — terminò per lui Ron.

Mollya aggrottò la fronte e con le mani fece un gesto di stiramento.

— Già — disse Ron — un piano circolare distorto, inclinato di un certo angolo che ci permetterà di calcolare da quale parte si trova la Terra.

— Astuto, no? — Rydra cominciò a dirigersi verso il corridoio. — Penso che dopo aver determinato l’inclinazione dell’asse terrestre, potremo accendere i nostri reattori quel tanto necessario per spostarci di un centinaio di chilometri senza danneggiare nulla. Da quello riusciremo a ottenere la lunghezza della nostra orbita e la nostra velocità, informazioni che basteranno a farci localizzare la nostra posizione rispetto all’influsso gravitazionale maggiore nelle vicinanze. Allora potremo saltare in stasi. Tutti i nostri strumenti per la comunicazione iperstatica funzionano. Potremo inviare una richiesta di soccorso e ottenere quello che ci serve da una stazione di stasi.

Gli allibiti Navigatori la raggiunsero nel corridoio. — Conto alla rovescia — disse Rydra.

Allo zero, Ron smagnetizzò le pareti del Centro G. Lentamente le palline cominciarono a muoversi, e lentamente presero ad allinearsi.

— Ogni giorno si impara qualcosa di nuovo — borbottò Calli. — Se fosse dipeso da me, saremmo rimasti fermi qui fino al giorno del giudizio. Eppure cose del genere avrei dovuto saperle. Che cos’è stato a darvi questa idea, capitano?

— La parola usata per indicare una circonferenza massima in… un’altra lingua.

— Lingua in altra lingua? — chiese Mollya. — Come?

— Be’… — Rydra tirò fuori uno stilo e una piastra da ricalco. — Dovrò semplificare parecchio, ma proverò a spiegarvi. — Tracciò qualche segno sulla piastra. — Diciamo che la parola per “cerchio” è O. Questa lingua possiede un sistema melodico per illustrare i comparativi. Li rappresenteremo con i segni convenzionali rispettivamente “il più piccolo”, “il comune” e “il più grande”. Allora, cosa significherebbe O?

— Il cerchio più piccolo possibile? — disse Calli. — È il singolo punto.

Rydra annuì. — Ora, quando facciamo riferimento a un cerchio su una sfera, supponiamo che la parola per indicare un cerchio comune sia O, seguita da uno di altri due simboli che significano rispettivamente “il cerchio non tocca niente altro” e “il cerchio interseca”… e sono rappresentati da II e X. Cosa significherebbe OX?

— Circonferenze massime intersecanti — disse Ron.

— E poiché tutte le circonferenze massime si intersecano, in questa lingua la parola per circonferenza massima è sempre OX. Trasmette l’informazione direttamente nella parola. Proprio come in inglese parole sul tipo di busstop e foxhole trasmettono informazioni che mancano nei termini equivalenti francesi la gare e le terrier. Il termine “circonferenza massima” trasmette alcune informazioni, ma non quelle necessarie a toglierci dal guaio in cui siamo. Dobbiamo rivolgerci a un’altra lingua per poter pensare con chiarezza al problema, senza dover percorrere un’infinità di sentieri tortuosi.

— Di quale lingua si tratta? — chiese Calli.

— Non conosco il suo vero nome. Per ora è chiamata Babel-17. Ma da quel poco che ne conosco, ho già scoperto una cosa molto strana; quasi tutte le sue parole comprendono più informazioni riguardo alle cose a cui si riferiscono, di quattro o cinque lingue che conosco unite insieme. E in uno spazio minore. — Poi tradusse il tutto a Mollya.

— Chi parla? — domandò lei.

Rydra si morse il labbro inferiore. Quando si poneva lei stessa quella domanda, sentiva la bocca del suo stomaco serrarsi e il desiderio di rispondere salire e gonfiarsi nella gola come un nodo di paura. Successe anche allora. — Non lo so. Scoprirlo è il motivo di questo viaggio.

— Babel-17 — ripeté Ron.

Uno dei meccanici della squadra tossicchiò dietro di loro.

— Cosa c’è, Carlos?

Tarchiato, taurino, con una folta massa di capelli neri e riccioluti, Carlos possedeva muscoli grandi e sciolti. — Capitano, potrei mostrarvi qualcosa? — Si spostava da un lato all’altro con un imbarazzo da adolescente, strisciando i piedi nudi (resi callosi dalle arrampicate sui tubi di propulsione) contro la soglia del portello. — Qualcosa giù ai propulsori. Credo che dovreste vederlo di persona.

— Te lo ha detto Lumaca di venirmi a cercare?

Carlos si stropicciò un orecchio con un pollice dall’unghia rosicchiata. — Um-hm.

— Voi tre potete occuparvi da soli del resto?

— Certo, capitano. — Calli sorrise alle biglie in lento movimento.

Rydra seguì Carlos. Scesero una scaletta e dovettero curvarsi per non urtare contro il soffitto basso di un corridoio.

— Ecco qui — disse Carlos, ed esitando aprì uno sportello nella parete. — Guardate. — Rimosse una piastra di circuiti stampati. — Qua. — Una sottile fenditura attraversava la superficie di plastica. — È stata spezzata.

— Come? — chiese Rydra.

— Così — rispose lui, e prendendo la piastra con entrambe le mani, fece l’atto di piegarla.

— Sei certo che non si sia spezzata da sola?

— Non poteva — disse Carlos. — Quando è al suo posto, questa piastra è praticamente indistruttibile. Neppure un maglio riuscirebbe a spezzarla. Questo pannello contiene tutti i circuiti di comunicazione.

Rydra annuì.

— I deflettori di campo giroscopico per le manovre nello spazio normale… — Carlos aprì un altro pannello e ne tolse una seconda piastra. — Ecco.

Rydra fece scorrere l’unghia sulla fessura che la divideva in due. — Qualcuno sulla nave le ha spezzate — mormorò poi. — Portale in officina. E di’ a Lizzy che non appena le avrà ristampate, dovrà portarmele subito. Le rimetterò io al loro posto. Le restituirò anche le sue biglie.

2

Lasciate cadere una gemma in olio denso. La sua lucentezza ingiallisce lentamente, si fa ambrata, infine rossa, e si spegne. Questo era il salto nello spazio iperstatico.

China sulla consolle del computer, Rydra studiava i suoi appunti e i diagrammi. Il dizionario si era raddoppiato dall’inizio del viaggio. La soddisfazione riempiva un lato della sua mente come il ricordo di un buon pasto. Le parole e la loro disposizione, ormai facili per la sua lingua e le sue dita, si ordinavano quasi da sole sotto i suoi occhi, rivelando e determinando.

E c’era un traditore. La domanda, un vuoto nel quale nessuna informazione poteva fare la sua comparsa dicendo chi e perché, provocava una sensazione di vacuità nell’altro lato della sua mente e la faceva sentire impotente. Qualcuno aveva deliberatamente spezzato quelle piastre. Anche Lizzy lo aveva detto, dopo averle viste. Quali parole per definirlo? I nomi dell’intero equipaggio seguiti da un punto interrogativo.

Gettate un gioiello su un mucchio di gioielli. Quella era l’uscita dell’iperstasi nell’area dei Cantieri di Guerra dell’Alleanza ad Armsedge.


Al tavolo comunicazioni, Rydra indossò l’Elmetto Sensorio. — Volete tradurre per me?

L’indicatore luminoso ammiccò il consenso. Ognuno dei tre osservatori discorporati percepiva minuziosamente i flussi gravitazionali ed elettromagnetici delle correnti di stasi per una certa frequenza con tutti i propri sensi, ma solo nel proprio campo determinato. I dettagli di quell’osservazione erano infiniti, e il pilota guidava l’astronave attraverso quelle correnti come una nave a vela attraverso oceani liquidi. Ma l’elmetto permetteva una condensazione di quei particolari che il capitano poteva osservare, ridotta a termini che non avrebbero danneggiato uno spettatore corporeo.

Rydra aprì l’elmetto, coprendosi così gli occhi, e orecchie e il naso.

Tuffato fra cumuli bluastri e punteggiato di azzurro, il complesso delle stazioni e degli asteroidi che formavano i Cantieri di Guerra si stagliava nello spazio. Un ronzio musicale intercalato da esplosioni statiche risuonava negli auricolari. Dai trasmettitori olfattivi proveniva un confuso aroma di profumi e di olio caldo, saturo dell’amara presenza della scorza di limone bruciata.

Con tre dei suoi sensi occupati a quel modo, Rydra aveva perso ogni contatto con la realtà della cabina circostante e ora si muoveva in un oceano di astrazioni sensorie. Le occorse più di un minuto per collegare quelle sensazioni e incominciare a interpretarle.

— Va bene. Cosa sto osservando?

— Le luci sono gli asteroidi e le stazioni anulari che costituiscono i Cantieri di Guerra — le spiegò l’Occhio. — Quella sfumatura blu sulla sinistra è una rete radar che si estende in direzione del centro stellare 42. I lampi rossi nell’angolo superiore destro sono soltanto il riflesso di Bellatrix su un disco solare semi-smaltato che ruota di quattro gradi all’esterno del nostro campo visivo.

— Che cos’è quel ronzare? — domandò Rydra.

— La propulsione dell’astronave — le spiegò l’Orecchio. — Non fateci caso. Se lo preferite, posso escluderla.

Rydra annuì, e il ronzio cessò.

— Quel clicchettio… — cominciò l’Orecchio.

— … è codice Morse — finì Rydra. — Lo riconosco. Devono essere due radioamatori che vogliono tenersi alla larga dai circuiti visivi.

— Esatto — confermò l’Orecchio.

— Che cos’è che puzza in questo modo?

— L’odore principale è soltanto il campo gravitazionale di Bellatrix. Voi non potete ricevere le sensazioni olfattive in stereo, ma la buccia di limone bruciata è quella centrale d’energia situata nella luce verde di fronte a voi.

— Dove attraccheremo?

— Nel suono della triade E-minore.

— Nell’olio caldo che potete annusare alla vostra sinistra.

— Al centro di quel cerchio bianco.

Rydra passò il contatto al pilota. — Va bene, Ottone. Portala giù.


Il disco scivolò lentamente lungo la rampa mentre lei si adattava rapidamente alla gravità che era pari ai quattro quinti di quella terrestre. Una leggera brezza che spirava nel crepuscolo artificiale le sollevò i capelli sulle spalle. Intorno a lei si stendeva il più grande arsenale dell’Alleanza. Per un istante, considerò il destino che l’aveva fatta nascere all’interno dei possedimenti dell’Alleanza. Se soltanto fosse nata nella galassia accanto, ora si sarebbe trovata facilmente fra le file degli Invasori. Le sue poesie erano popolari da entrambe le parti. Era un pensiero sconvolgente, e si sforzò di allontanarlo.

— Capitano Wong voi giungete sotto gli auspici del generale Forester.

Lei annuì mentre il suo disco si arrestava.

— Ci ha avvisati inoltre che attualmente siete la maggiore esperta su Babel-17.

Lei annuì ancora. L’altro disco si fermò accanto al suo.

— Sono veramente felice di conoscervi, e per qualsiasi aiuto vi possa servire, non avrete che da chiedere.

Lei gli tese la mano. — Vi ringrazio, barone Ver Dorco.

Le ciglia dell’uomo si alzarono e il taglio della bocca si incurvò nel viso quasi nero. — Conoscete l’araldica? — Alzò le lunghe dita sottili allo scudo sul petto.

— Sì.

— I miei complimenti, capitano. Viviamo ormai in un mondo di comunità isolate, raramente a contatto con quelle pure più vicine, e sembra che tutti parlino lingue diverse.

— Io ne parlo parecchie.

Il barone annuì. — Qualche volta io penso, capitano Wong, che senza l’Invasione, cioè senza qualcosa che serva all’Alleanza per focalizzare le proprie energie, la nostra società si disintegrerebbe. Capitano Wong… — Si fermò, e i lineamenti sottili del suo viso mutarono, quasi contratti in un’improvvisa concentrazione. — Rydra Wong…?

Lei confermò con un cenno, sorridendo al suo sorriso, eppure circospetta dinanzi a quello che il riconoscimento avrebbe potuto significare.

— Non mi ero reso conto… — Lui le tese la mano, quasi si trattasse di un nuovo incontro. — Ma è naturale… — La superficialità del suo contegno scivolò via come una foglia nel vento, e quella trasformazione diede a Rydra un’insolita sensazione di calore. — I vostri libri, vorrei dirvi che… — La frase si spense in un leggero movimento del capo. Gli occhi neri troppo vuoti; le labbra, nel loro sorriso troppo simile ad un sogghigno malizioso; le mani che si cercavano fra le pieghe del vestito: tutto le parlava di un inquieto desiderio della sua presenza, di una fame repressa per qualcosa che lei era, o avrebbe potuto essere, di una vorace… — Nella mia casa, la cena è servita alle sette. — Lui interruppe i suoi pensieri con inquietante tempismo. — Questa sera cenerete con me e con la baronessa.

— Vi ringrazio. Ma volevo discutere con il mio equipaggio…

— Estendo anche a loro il mio invito. Abbiamo una casa spaziosa, e la sala delle conferenze è a vostra disposizione, così come gli intrattenimenti, certo meno limitati che a bordo della vostra nave. “La lingua purpurea e tremolante dietro i bianchi denti; le morbide linee scure delle labbra” pensò lei “formano le parole con gli stessi languidi movimenti delle mandibole inferiori di una mantide cannibale.”

— Vi prego di venire con un certo anticipo, in modo che sia possibile prepararvi…

Rydra trattenne il respiro, poi si giudicò una sciocca. Un leggerissimo restringimento delle sue ciglia le disse che il Barone aveva notato la sua esitazione.

— … per la visita attraverso i cantieri. Il generale Forester ha proposto che voi veniate informata di tutti i nostri sforzi contro gli Invasori. Questo è un grande onore, signora. Molti dei più alti ufficiali addetti a questi cantieri non conoscono neppure la natura di certe nostre ricerche. Vi mostreremo cose che ben poche persone hanno visto. Anche se oso dire che una buona parte di esse saranno probabilmente molto noiose. Ma alcuni dei nostri tentativi hanno dato risultati affascinanti. Noi manteniamo sempre attiva la nostra immaginazione.

“Quest’uomo porta a galla la paranoia che è in me” pensò Rydra. “Non mi piace.”

— Preferirei non dovervi importunare, barone. Ci sono alcune cose, sulla mia nave, che devo…

Dovete venire. Il vostro lavoro qui verrà facilitato enormemente se accettate la mia ospitalità, ve lo assicuro. Una donna con le vostre grazie e le vostre doti rappresenterebbe un onore per la mia casa. E recentemente ho sentito molto la mancanza di… — le labbra scure scivolarono sui denti luccicanti — una conversazione intelligente.

Rydra sentì la propria mascella socchiudersi involontariamente per il terzo cerimonioso rifiuto. Ma il barone stava già dicendo: — Vi aspetto con il vostro equipaggio, senza alcuna fretta, prima delle sette.

Il disco scivolò via veloce lungo il viale. Rydra lanciò un’occhiata alle spalle, verso la rampa dove attendeva il suo equipaggio, stagliato contro il crepuscolo artificiale. Poi il suo disco cominciò a risalire il pendio verso la Rimbaud.

— Bene — disse al piccolo cuoco albino che era uscito dalle bende a pressione solo il giorno prima — per questa sera sei senza lavoro. Lumaca, stasera la ciurma esce a cena. Vedi se puoi rinfrescare loro il galateo… assicurati che tutti sappiano con quale posata si mangiano i piselli.

— La forchetta per l’insalata è quella piccola sul lato superiore del piatto — cominciò con voce soave la Lumaca, girandosi verso la squadra.

— E quell’altra piccolina più in alto? — chiese Allegra.

— Quella serve per le ostriche.

— Ma supponi che servano ostriche?

Flop si grattò il mento con una nocca. — Credo che si possa usare per pulirsi i denti.

Ottone appoggiò una zampa sulla spalla di Rydra. — Come vi sentite, ca’itano?

— Come un maiale sulla buca del barbecue.

— Sembrate quasi troppo… — cominciò Calli.

— Troppo…? — chiese lei.

— … cotto — finì lui scherzosamente.

— Forse ho lavorato troppo. Questa sera saremo ospiti del barone Ver Dorco. Credo che potremo rilassarci un po’.

— Ver Dorco? — domandò Mollya.

— È il coordinatore dei diversi progetti di ricerca contro gli Invasori.

— Allora è qui che costruiscono tutte quelle grosse armi segrete? — volle sapere Ron.

— Possono anche essere piccole, e di solito sono le più mortali — intervenne Calli.

— A ’ro’osito di quei tentativi di sabotaggio — cominciò Ottone. Rydra aveva dato loro qualche informazione su ciò che stava succedendo. — Se ne andasse a segno uno qui ai Cantieri di Guerra, sarebbe un brutto col’o ’er noi.

— Quasi come piazzare una bomba sotto il Quartier Generale Amministrativo dell’Alleanza.

— Riuscirete a impedirlo? — chiese la Lumaca.

Rydra sospirò, voltandosi verso le traslucide presenze degli osservatori discorporati. — Ho avuto un paio di idee. Ora ascoltatemi, sto per chiedervi di fare qualcosa di poco consono alle leggi dell’ospitalità, stasera. Dovrete fare un po’ di spionaggio per conto vostro. Occhio, voglio che tu rimanga a bordo dell’astronave e che ti assicuri che non ci sia nessun altro. Orecchio, quando andremo dal barone dovrai diventare invisibile e non allontanarti da me finché non saremo tutti di ritorno alla nave. Naso, tu manterrai le comunicazioni fra noi e la nave. Sta succedendo qualcosa che non mi piace per nulla. E non so se è solo la mia fantasia o che altro.

L’Occhio disse qualcosa con tono sinistro. Di solito, i corporei potevano parlare con i discorporati e ricordare le loro parole soltanto mediante speciali accorgimenti tecnici. Altrimenti tutto svaniva in pochi secondi come neve al sole. Rydra aveva risolto quel problema per sé traducendo immediatamente qualsiasi cosa le venisse detta in dialetto Basco, prima che il debole ricordo delle parole svanisse del tutto dalla sua mente. E ora, benché le parole originali fossero già state scordate, la traduzione rimaneva: “Quei circuiti spezzati non erano nella vostra immaginazione” era il nucleo della frase in Basco che ora ricordava.

Lasciò che i suoi occhi scorressero sconfortati sull’equipaggio assiepato dinanzi a lei. Se qualcuno dei ragazzi o degli ufficiali avesse sofferto soltanto di una psicosi distruttiva, il suo psico-indice lo avrebbe mostrato. Così invece c’era fra di loro qualcuno che intendeva distruggere coscientemente. Ricordò come li aveva cercati, uno per uno, quella notte. Orgoglio. Un caldo orgoglio per il modo in cui quei ragazzi avevano saputo far muovere la sua nave attraverso le stelle. Quel calore che dentro di lei le lasciava chiaramente capire come nulla avrebbe funzionato a bordo della macchina-chiamata-nave, se la macchina-chiamata-equipaggio non fosse stata sincronizzata e precisa. E insieme, un freddo orgoglio in un’altra parte della mente, alla vista della tranquillità con la quale tutti loro si muovevano a bordo: i ragazzi, così privi di esperienza nella vita e nel lavoro, e gli adulti, così vulnerabili alle situazioni che avrebbero potuto scardinare la loro lucida efficienza e lanciarli a cozzare gli uni contro gli altri. Ma lei li aveva scelti, e la nave, il loro mondo, era un luogo meraviglioso per camminare, lavorare, vivere durante ogni giorno.

Ma c’era un traditore.

A quel pensiero ne seguì automaticamente un altro.

“In qualche luogo dell’Eden, allora…” ricordò, sfiorando ancora l’equipaggio con lo sguardo. “In qualche luogo dell’Eden, allora, un verme, un verme!” Quelle maledette piastre glielo ripetevano: il verme non voleva distruggere solo lei, ma l’intera nave, il suo equipaggio, e lentamente. Non lame tuffate nella notte, non colpi dall’angolo di una strada, nessun laccio intorno al collo entrando in una cabina buia. Una lenta ossessione nascosta. Ma quale parte poteva avere Babel-17 in quella storia?

— Lumaca, il barone vuole che io arrivi in anticipo per mostrarmi le ultime armi. Bada che i ragazzi arrivino puntuali. Io vado. Occhio e Orecchio, saltate a bordo.

— Okay, capitano — disse la Lumaca.

I discorporati sbiadirono come fumo nel tramonto.

Lei guidò il suo disco verso il viale, scivolando fra l’attonita curiosità dell’equipaggio.

3

— Rozze armi barbariche. — Il barone gesticolò con sufficienza verso la lunga fila di cilindri in plastica allineati in ordine di grandezza lungo la rastrelliera. — È inutile perdere tempo su questi antiquati congegni. Il più piccolo può distruggere un’area di centotrenta chilometri quadrati all’incirca, mentre il più grande lascia un cratere profondo quaranta chilometri e largo trecentosettanta. Barbarico. Mi sento rabbrividire al pensiero che possano ancora essere usate armi simili. Quella a sinistra è già abbastanza ingegnosa: esplode una prima volta con forza sufficiente a demolire un complesso di edifici piuttosto vasto, ma la bomba vera e propria viene ricoperta e protetta da queste macerie. Sei ore dopo esplode di nuovo, stavolta compiendo gli stessi danni di una bomba atomica di media potenza. Questo ritardo lascia alle vittime il tempo necessario per fare affluire sul posto i reparti medici e di ricostruzione, e soprattutto gli esperti che dovrebbero stabilire l’entità dei danni. Allora puf. Un’esplosione ritardata all’idrogeno e un buon cratere di quaranta o sessanta chilometri. I danni materiali sono minori di quelli provocati dalla più piccola bomba della nuova serie, ma se non altro in questo modo si eliminano molti mezzi pesanti di soccorso e una quantità di personale di pronto intervento. Comunque, rimane pur sempre un’arma da scolaretti. Le conservo tutte nella mia collezione personale solo per dimostrare che disponiamo anche della produzione standard.

Rydra seguì il barone sotto la volta che immetteva nella sala seguente. C’erano diversi armadietti metallici lungo le pareti e un’unica teca di vetro al centro della stanza.

— Ora ecco un’arma di cui mi sento giustamente orgoglioso. — Il barone si avvicinò alla teca e le pareti trasparenti scivolarono di lato.

— Di che cosa si tratta, con esattezza? — chiese Rydra.

— A cosa assomiglia?

— A… un pezzo di roccia.

— A un frammento metallico — la corresse lui.

— Esplosivo? Oppure è particolarmente duro?

— Non può esplodere — le assicurò il barone. — La sua durezza è leggermente superiore a quella dell’acciaio al titanio, ma possediamo materie plastiche ben più dure.

Rydra fece per avvicinare una mano, poi pensò che avrebbe fatto meglio a chiedere il permesso. — Posso raccoglierlo per esaminarlo da vicino?

— Ne dubito — disse il barone. — Comunque potete provare.

— Cosa succederà?

— Lo vedrete con i vostri occhi.

Rydra allungò la mano per afferrare il metallo opaco, ma le dita si chiusero sull’aria a cinque centimetri dalla sua superficie. Mosse le dita verso il basso per toccarla, e ancora il frammento sembrò scivolare di lato. Rydra aggrottò la fronte.

— Aspettate — il barone sorrise, raccogliendo per lei lo strano oggetto. — Se capitasse di vedere una cosa come questa sul terreno, non la guardereste certo due volte, vero?

— È velenoso? — suggerì Rydra. — O è un componente di qualcosa d’altro?

— No. — Il barone giocherellò con quell’ombra scura. — Si tratta soltanto di un materiale altamente selettivo. E obbediente. — Alzò di colpo la mano verso di lei. — Immaginate di avere bisogno di una pistola — …nella mano del barone c’era ora un lucido vibratore di un modello che Rydra non aveva mai visto prima… — o di una chiave a doppio uso. — Ora stringeva una chiave inglese lunga trenta centimetri. Con due dita ne aggiustò l’apertura. — O di un machete. — La lama scintillò mentre lui spostava indietro il braccio. — O di una piccola balestra. — L’impugnatura di legno era solida fra le dita del barone e la molla d’acciaio tesa in posizione di lancio. Rydra lo vide schiacciare il grilletto (non c’era freccia) e lo schiocco secco della molla liberata, seguito dalla vibrazione della minuscola asticciola elastica, le fece serrare d’impulso i denti.

— È una specie di illusione ottica — disse Rydra. — Ecco perché non riuscivo a toccarla.

— Un punzone per metallo — disse il barone. E subito comparve nella sua mano, un martello munito di una testa particolarmente pesante. Con quello diede un colpo sulla base metallica che aveva sorretto l’“arma” fino a qualche minuto prima. — Ecco.

Rydra vide l’intaccatura circolare lasciata dal martello. In rilievo, al centro della leggera depressione, c’era lo stemma dei Ver Dorco. Sfiorò con la punta delle dita l’incisione e trovò il metallo ancora tiepido per l’impatto.

— Nessuna illusione — disse lui. — Quella balestra poteva spedire un dardo da dodici centimetri attraverso una tavola di quercia spessa un palmo, alla distanza di quaranta metri. E il vibratore… sono certo che conoscete i suoi effetti.

Ora il barone stringeva di nuovo il frammento metallico senza forma. Lo tese a Rydra.

— Rimettetelo al suo posto.

Rydra cercò di infilare le mani fra quelle del barone per afferrarlo meglio. Ma non appena lui tolse le dita dal metallo, questo scomparve dalla stretta di Rydra e ricomparve al suo posto sulla base metallica.

— Nessun trucco. Soltanto selettivo e… obbediente.

Si allontanò dal ripiano e le pareti di vetro si richiusero intorno all’oggetto. — Un “giocattolo interessante, vero? Diamo un’occhiata a qualcosa d’altro.

— Ma come funziona?

Ver Dorco sorrise. — Siamo riusciti a polarizzare alcune leghe formate dagli elementi più pesanti in modo da farle esistere soltanto su certe matrici percettive. Cioè, al di fuori del campo visivo di un osservatore l’arma non è di’stinguibile. Nessun peso, nessun volume; possiede solamente inerzia. Il che significa che sistemando questo materiale a bordo di una nave in iperstasi si può mandare all’aria ogni suo controllo. Due o tre grammi nascosti nelle vicinanze del sistema di guida inerzia-stasi saranno sufficienti a mettere fuori uso tutti gli strumenti. Questa è la sua funzione principale. Se riusciamo a infilarla a bordo delle navi degli Invasori potremo smettere di preoccuparci di loro. Il resto… è solo un gioco per ragazzi. Un’inaspettata proprietà della materia polarizzata è la memoria elastica.

Entrarono in un’altra sala.

— Temprata per una sola volta in una forma prescelta, la struttura di questa forma viene codificata e ritenuta dalle molecole. Al di fuori delle forme particolari per le quali sono state polarizzate, le molecole hanno un movimento del tutto libero. Basta farle vibrare in un senso o in un altro, e loro riassumono le diverse strutture come gomma. — Il barone lanciò un’occhiata verso la teca alle sue spalle. — A ben guardare, è molto semplice. Quella… — indicò con un cenno la lunga fila di armadietti metallici — …è la vera arma: quasi tremila progetti individuali imperniati su quel piccolo frammento polarizzato. L’“arma” consiste nella conoscenza di quello che si può fare con quello che si ha. In un combattimento a mani nude, un filo di vanadio lungo venti centimetri può essere mortale. Inserito direttamente nel cranio dall’angolo interno dell’occhio, diagonalmente rispetto ai lobi frontali, e poi abbassato di colpo, può perforare il cervelietto e provocare paralisi totale; immerso completamente, giunge a lacerare l’articolazione del midollo spinale: morte. E si può usare lo stesso filo per sabotare irreparabilmente un’unità di comunicazione Tipo 27-QX, che è correntemente impiegata dagli Invasori nei loro sistemi di stasi.

Rydra si sentì irrigidire i muscoli della schiena. E la repulsione contro la quale aveva lottato fino a quel momento sembrò sommergerla per un attimo.

— Il prossimo esemplare proviene dai Borgia. I Borgia — rise lui — è il mio soprannome per il nostro reparto tossicologico. Ed ecco di nuovo alcuni ritrovati terribilmente grossolani. — Raccolse una fiala di vetro sigillata da un contenitore. — Tossina difterica pura. Qui dentro ce n’è quanto basta per inquinare mortalmente le riserve idriche di una città di medie dimensioni.

— Ma le comuni procedure di vaccinazione… — cominciò Rydra.

— Tossina difterica, mia cara. Tossina! Quando in passato le malattie contagiose erano ancora un problema, si esaminavano i corpi delle vittime della difterite e non si scopriva altro che alcune centinaia di migliaia di bacilli, tutti nella gola della vittima. Niente altro. Con qualsiasi altra specie di bacilli, quella concentrazione non sarebbe stata sufficiente neppure a causare una leggera tosse. Occorsero anni per scoprire che cosa succedesse in realtà. Quel minuscolo gruppo di bacilli produceva un’ancora più minuscola quantità di una sostanza che è tuttora il composto organico più letale che l’uomo conosca. La dose necessaria per uccidere un uomo… e sarebbe meglio dire trenta o quaranta uomini… è assolutamente indiscernibile. E ancora oggi, nonostante i nostri progressi nel campo della tossicologia, l’unico modo per ottenere questa sostanza consiste nel disporre di qualche cortese bacillo difterico. Ma i Borgia hanno cambiato tutto.

Indicò un’altra fiala. — Cianuro, il vecchio cavallo di battaglia! Ma ormai, il profumo di mandorle rivelatore… siete affamata signorina Wong? Possiamo salire per i cocktail in qualsiasi momento lo desideriate.

Lei scosse il capo, rapidamente e fermamente.

— Questi altri sono deliziosi. Catalitici. — Mosse una mano da una fiala all’altra. — Cecità ai colori, cecità totale, sordità ai toni bassi, a quelli alti, sordità totale, atassia, amnesia, e così fino in fondo. — Abbassò la mano e sorrise come un roditore affamato. — E tutti questi effetti sono controllati a piacere. Il problema principale con sostanze del genere, per il loro potere altamente specifico, è sempre dato dalla necessità di introdurre nel corpo della vittima una dose sufficientemente alta. Per tutte queste, la percentuale minima è un decimo di grammo. Così le abbiamo rese catalitiche. Nessuna di queste sostanze avrebbe il benché minimo effetto su di voi, neppure se ingoiaste l’intero contenuto di una fiala. Sollevò l’ultimo contenitore della fila e premette un bottone sul coperchio. Subito ci fu un debole sibilo di gas. — E resterebbero innocue finché non fossero attivate nel corpo dell’ingeritore da questa sostanza. Un catalizzatore altrettanto innocuo e atomizzato.

— Solo questo può attivare i veleni che producono… quegli effetti?

— Esattamente — sorrise il barone. — E il catalizzatore può essere in dosi altrettanto microscopiche quanto quelle della tossina difterica. Il contenuto di questa ampolla blu potrebbe darle un discreto mal di stomaco e una leggera emicrania per meno di mezz’ora. Nulla di più. La verde accanto, invece… Totale atrofia cerebrale per oltre una settimana. La vittima si trasforma in una creatura puramente vegetativa per tutto il resto della sua vita. Quella rossa: morte.

Il barone si stropicciò le mani e rise. — Sono affamato — disse. — Vogliamo andare a cena?

“Chiedigli cosa c’è nella sala dopo” si disse Rydra, e avrebbe senz’altro superato quell’ondeggiante curiosità se non si fosse accorta in tempo che stava pensando in Basco. Era un messaggio della sua incorporea guardia del corpo, invisibile accanto a lei.

— Quando ero una bambina, barone… — si mosse verso la porta chiusa — …subito dopo essere arrivata sulla Terra, qualcuno mi portò al circo. Era la prima volta che mi capitava di vedere tante cose meravigliose in una sola volta, e così da vicino. Non riuscivo ad adattarmi all’idea di dover tornare a casa. Che cosa tenete in questa stanza?

Sorpresa nel piccolo movimento dei muscoli sulla sua fronte.

Lei sorrise. — Fatemi vedere.

Lui piegò il capo in un gesto di semischerzosa acquiescenza. — Una guerra moderna può essere combattuta su parecchi differenti livelli — continuò come se la loro visita non si fosse neppure interrotta. — Uno può vincere una battaglia dopo essersi assicurato in anticipo che le sue truppe abbiano abbastanza tromboni o asce da guerra affilate come quelle che tengo nella prima sala; oppure sistemando a dovere venti centimetri di vanadio in un’unità di comunicazione Tipo 27-QX. Seminando gli ostacoli adatti, e ritardando l’esecuzione degli ordini nemici, uno scontro può anche non avere mai luogo. Consideriamo l’allenamento e la preparazione di un soldato, le armi manuali, i generi di sopravvivenza, il mantenimento: tremila crediti per ogni spaziale arruolato che svolge una ferma di due anni effettivi. Per una guarnigione di millecinquecento uomini l’aggravio si aggira intorno ai quattro milioni. Questa stessa guarnigione vivrà e combatterà in tre navi da battaglia che, completamente equipaggiate, costeranno un milione e mezzo di crediti l’una. Una spesa totale, quindi di nove milioni. In certe occasioni, però, abbiamo speso forse anche più di un milione per la preparazione di una sola spia o di un sabotatore. Il che è piuttosto caro, pensando al ridicolo prezzo di venti centimetri di vanadio… Ma la guerra è costosa. E benché sia stato necessario un certo tempo, ora il Comando Amministrativo dell’Alleanza sta incominciando a capire che anche l’astuzia rende. Da questa parte, prego.

Di nuovo si trovarono in una sala che conteneva una sola teca, ma stavolta era alta poco più di due metri.

“Una statua” pensò Rydra. No, la carne pareva reale, con la precisione dei muscoli e delle articolazioni; eppure doveva essere una statua. Nessun corpo umano, morto o in animazione sospesa, avrebbe potuto sembrare così… vivo. Solo l’arte poteva produrre quell’impalpabile senso di vibrazione.

— Capirete, quindi — disse il barone seguendola nella sala — come le spie siano parte importantissima del nostro sistema militare. Questo è uno dei nostri modelli sperimentali più costosi. Non arriva ancora al milione di crediti, ma è la mia spia favorita, benché in pratica abbia i suoi difetti. Con alcune lievi modifiche, la terrei volentieri come parte permanente del nostro arsenale.

— Un modello di spia? — chiese Rydra. — Una specie di robot o di androide?

— Niente affatto. — Si avvicinarono entrambi alla teca. — Abbiamo costruito una mezza dozzina di TW-55, dopo una serie di ricerche genetiche molto minuziose. La scienza medica è ormai talmente progredita da consentire la sopravvivenza a quei rifiuti umani che oggi vivono e si riproducono con un ritmo davvero spaventoso… creature inferiori che sarebbero risultate troppo deboli per sopravvivere pochi secoli fa. Abbiamo scelto i nostri genitori con grande attenzione, poi con l’inseminazione artificiale abbiamo ottenuto i sei zigoti che ci interessavano, tre maschili e tre femminili. Li abbiamo allevati in un ambiente altamente nutritivo e accuratamente controllato, accelerando la loro crescita con ormoni e altri ritrovati artificiali. Ma il più bello è stato il condizionamento sperimentale che hanno ricevuto. Creature splendide perfettamente sane; non avete idea delle cure che queste creature hanno ricevuto.

— Una volta ho trascorso l’estate in una fattoria dove allevavano buoi — esclamò secca Rydra.

Il cenno d’assenso del barone fu altrettanto spiccio. — Avevamo già usato prima il condizionamento sperimentale, così sapevamo quello che stavamo facendo. Ma mai per sintetizzare completamente la situazione vitale di, diciamo, un essere umano di sedici anni. Nello spazio di sei mesi riuscimmo a portarli a questa età fisiologica. Potete vedere da sola quale splendido modello ne sia risultato. I suoi riflessi sono superiori del cinquanta per cento a quelli di un uomo cresciuto normalmente. La muscolatura è stata progettata con ogni attenzione: una persona che non mangia da tre giorni, oppure un ammalato affetto da sei mesi da atrofia miastenica è in grado, con la somministrazione di apposite droghe stimolanti, di rovesciare un veicolo del peso di una tonnellata e mezzo. Lo sforzo risulta mortale…, ma rimane tuttavia un rimarchevole esempio di efficienza. Se poi pensiamo a quello che un corpo biologicamente perfetto può compiere, operando in continuazione al novantanove per cento della sua efficienza, il nostro campo d’azione si dilata considerevolmente.

— Credevo che gli stimolanti ormonali per la crescita fossero stati proibiti. Il loro uso non riduce drasticamente la durata della vita del paziente?

— Nella misura in cui noi li abbiamo usati, la riduzione vitale è stata superiore al settantacinque per cento. — Sorrideva con la stessa aria di chi stesse osservando un bizzarro animaletto intento a qualche suo buffo gioco. — Ma, signora, noi costruiamo armi. Se un TW-55 può funzionare a pieno regime anche per solo venti anni, avrà pur sempre superato di cinque anni la durata media in un incrociatore. Per trovare fra le persone ordinarie qualcuno che possa fare la spia, qualcuno che abbia il desiderio di agire come tale, noi dovremmo cercare individui ai limiti delle nevrosi, dei veri e propri psicopatici. E benché certe deviazioni possano comportare una grande energia in aree particolari, di solito portano con sé una generale debolezza della personalità. Senza contare che, funzionando in un solo campo specifico, una spia può risultare pericolosamente inefficiente. Anche gli Invasori hanno gli psico-indici, e questo ci impedirebbe di piazzare le nostre spie comuni nelle posizioni desiderate. Inoltre, una buona spia catturata è dodici volte più pericolosa di una cattiva in libertà. Le suggestioni suicide post-ipnotiche possono essere aggirate facilmente con diversi tipi di droghe; e sono pericolose per il morale. Questo TW-55, invece, risulta del tutto normale a una lettura di psicoindice. Possiede oltre sei ore di conversazione sugli argomenti più disparati, riassunti completi degli ultimi romanzi pubblicati, conosce le varie situazioni politiche, la musica e la critica artistica… credo che sia stato programmato per citare almeno un paio di volte, in una sola serata, il vostro nome, un onore che condividete solo con Ronald Quar. E aggiornato su un argomento sul quale può discutere con acutezza universitaria per almeno un’ora e mezzo… nel caso in esame credo si tratti delle “Configurazioni aptoglobiniche fra i marsupiali”. Una volta indossato l’abito di protocollo, si potrà trovare perfettamente a suo agio sia a un ballo d’ambasciata che a una pausa per il caffè durante una conferenza governativa ad alto livello. È un assassino di prim’ordine, addestrato con tutte le armi che abbiamo visto finora e molte altre. È dotato di dodici ore di conversazione su vari episodi della sua pseudo-vita, in quattordici lingue e dialetti, concernenti conquiste amorose, esperienze di gioco, risse e aneddoti umoristici sulle sue imprese semiillegali, tutte fallite miseramente. Strappategli la camicia, ungetegli il viso di grasso e infilategli una tuta; chi dubiterebbe che si tratta di un meccanico di servizio in uno dei cantieri spaziali sull’altro lato della Frattura? È in grado di mettere fuori uso ogni sistema di guida spaziale, ogni mezzo di comunicazione, ogni impianto radar o d’allarme usato dagli Invasori negli ultimi vent’anni con niente altro che…

— Venti centimetri di vanadio?

Il barone sorrise. — Può alterare a piacere le impronte digitali e lo schema della retina. Un leggero intervento di chirurgia neurale ha reso volontari tutti i muscoli del suo viso, il che significa che può mutare drasticamente la sua struttura facciale. Matrici chimiche e riserve ormoniche inserite sotto i capelli gli permettono di cambiare il loro colore in meno di un paio di secondi, oppure, nel caso avesse dovuto tagliarli, di farseli ricrescere in mezz’ora. Inoltre, è un vero maestro nella psicologia e nella fisiologia della coercizione.

— Tortura?

— Se preferite. È totalmente obbediente alle persone alle quali è stato condizionato a guardare come suoi superiori; totalmente distruttivo verso quelle che gli è stato ordinato di distruggere. Non esiste nulla, in quella sua meravigliosa testolina, che sia lontanamente simile a un super-ego.

— È… — cominciò lei, e si stupì delle proprie parole — bello. — Gli occhi dalle lunghe sopracciglia nere, con le palpebre che parevano sul punto di sollevarsi tremanti, le larghe mani appoggiate alle cosce nude, le dita semi-arricciate, quasi volessero allargarsi o tramutarsi in un pugno. La luce sembrava nebbiosa contro la sua pelle abbronzata e quasi traslucida. — E dite che non è un modello, ma veramente vivo?

— Oh, più o meno. Ma ora è immerso completamente in qualcosa di simile alla trance yoga, o all’ibernazione di una lucertola. Potrei attivarlo per voi ma mancano solo dieci minuti alle sette. Non preferite raggiungere gli altri che ci attendono a tavola?

Lei distolse lo sguardo dalla figura dietro il vetro e fissò il viso scuro e liscio del barone. La mascella, sotto la guancia leggermente concava, sembrava ondulare sul proprio cardine.

— È come il circo — disse Rydra. — Ma ora sono più vecchia. Andiamo. — Fu necessario un preciso atto di volontà per offrirgli il suo braccio. La mano del barone era come carta assorbente, e così leggera che lei dovette trattenersi a forza dal ritrarre il braccio.

4

— Capitano Wong! Sono felicissima di conoscervi.

La baronessa le tese la mano paffuta, di uno strano colore grigio-rosa che ricordava qualcosa non del tutto bollito. Le sue spalle rotonde e lentigginose reggevano le spalline di un abito da sera abbastanza elegante intorno alla sua figura grassa ma ugualmente grottesco.

— Abbiamo così poche distrazioni, qui ai Cantieri, e quando si riceve la visita di una personalità talmente illustre… — Lasciò terminare la frase in quello che avrebbe voluto essere un sorriso estatico, ma il peso delle sue guance lo trasformò in una smorfia porcina e rigonfia.

Rydra strinse le soffici dita malleabili per il minimo tempo consentito dall’educazione e ricambiò il sorriso. Ricordava che da bambina si era sempre sentita obbligata a non piangere quando la punivano. Ma dover anche sorridere era troppo. La baronessa assomigliava a un enorme, soffocato, vacuo silenzio. I leggeri movimenti muscolari del viso, quelle comunicazioni rivelatrici che lei era solita usare nelle conversazioni dirette, nella baronessa risultavano soffocate dal grasso. Anche se la sua voce usciva dalle labbra pesanti con stridenti piccoli strilli, era come se entrambe parlassero attraverso due coperte.

— Ma il vostro equipaggio! Volevamo che venissero tutti. So che un equipaggio completo consiste di ventuno persone. — Alzò un dito in segno di condiscendente disapprovazione. — E siete venuti soltanto in diciotto.

— Ho pensato che i membri discorporati potessero restare sulla nave — spiegò Rydra. — Sarebbe necessario un equipaggiamento particolare per parlare con loro, e ho temuto che potessero turbare gli altri ospiti. In fondo, non sentono bisogno di compagnia e non mangiano.

“Ora stanno mangiando agnello arrosto per cena, e tu andrai all’inferno per aver detto una bugia” pensò Rydra… in dialetto Basco.

— Discorporati? — La baronessa si dette qualche colpetto sull’intricata acconciatura lucida di lacca. — Volete dire morti? Oh, ma è naturale. Non ci avevo assolutamente pensato. Vedete come siamo isolati in questo nostro mondo? Farò togliere i loro posti.

Rydra si chiese se il barone non avesse in funzione qualche rivelatore per discorporati, poi la baronessa si chinò verso di lei e le sussurrò in tono confidenziale: — Il vostro equipaggio ha incantato tutti! Vogliamo andare?

Con il barone alla sua sinistra e la baronessa alla destra, Rydra si mosse dalle bianche pietre dell’atrio verso la sala.

— Ehi, capitano! — urlò Calli galoppando verso di loro dall’altra estremità della sala. — Bel posticino, questo, vero? — Fece con i gomiti un gesto circolare verso la folla alle sue spalle, poi sollevò il suo bicchiere per mostrarne le dimensioni. Si leccò le labbra e annuì. — Lasciate che vi offra qualcuno di questi, capitano. — Le mostrò nell’altra mano una manciata di sandwich, di olive ripiene di fegato e di prugne avvolte nel prosciutto. — C’è un tizio che ne ha un vassoio pieno e che gira da quelle parti. — Accennò di nuovo con un gomito alle sue spalle. — Signora, barone… — scivolò con gli occhi ai padroni di casa… — posso offrirne qualcuno anche a voi? — Poi si infilò un sandwich in bocca e lo fece seguire da un sorso dal bicchiere. — Uhmm.

— Aspetterò finché non li riporteranno dalle nostre parti — rispose la baronessa.

Divertita, Rydra lanciò un’occhiata alla sua ospite, ma captò soltanto un sorriso di proporzioni smisurate. — Spero che vi piacciano.

Calli inghiottì. — Molto. — Poi aggrottò le sopracciglia, fece passare la lingua sui denti e scosse il capo. — All’infuori di quelli così salati con il pesce. Non mi vanno per niente, signora. Ma tutto il resto è una bomba.

— In confidenza… — la baronessa si sporse verso Calli, mentre il sorriso si scioglieva in una risatina chioccia — …nemmeno a me sono mai piaciuti quelli salati!

Il suo sguardo si spostò su Rydra e poi sul marito, con un sospiro di ironica rassegnazione. — Ma oggi siamo tutti tirannizzati dai nostri approvvigionatori, cosa possiamo farci?

— Se a me non fossero piaciuti — esclamò Calli alzando la fronte con determinazione — gli avrei detto di non portarne più!

Là baronessa lo fissò con le sopracciglia inarcate. — Ma sapete che avete perfettamente ragione? È proprio quello che farò! — E guardando il marito: — È proprio quello che farò la prossima volta, Felix.

Un cameriere si accostò con un vas.soio colmo di bicchieri.

— Questi sono troppo piccoli per voi, capitano — borbottò Calli, e volgendosi al cameriere: — Trovane uno grande come il mio.

Rydra scoppiò in una risata. — Mi dispiace, Calli, ma stasera dovrò comportarmi come una signora.

— Sciocchezze! — gridò la baronessa. — Anch’io ne voglio uno grande. E ora lasciatemi riflettere; ho messo il bar da qualche parte, ma dove?

— L’ultima volta che l’ho visto era là, — le indicò Calli.

— Siamo qui per divertirci, stanotte, e nessuno riuscirebbe a farlo con bicchieri come quelli. — La baronessa si impadronì del braccio di Rydra e si voltò al marito. — Mi raccomando, Felix. Cerca di essere socievole. — Poi si allontanò con Rydra. — Quello è il dottor Keebling. La donna con i capelli ossigenati è la dottoressa Crane, e quello è mio cognato Albert. Ve lo presenterò più tardi. Sono tutti colleghi di mio marito. Lavorano con lui su quelle cose spaventose che vi ha mostrato in cantina. Vorrei che ncn si tenesse in casa quella sua collezione privata. È macabro. Ho sempre paura che una di quelle orribili cose salga fin qui nel bel mezzo di una notte e ci tagli la testa. Ma penso che voglia continuarla a causa di nostro figlio. Lo sapevate? Abbiamo perso il nostro piccolo Nyles… credo che siano già otto anni. Da quel momento Felix si è immerso completamente nel suo lavoro. Ma temo che si tratti di una scusa troppo facile, non è vero? Capitano Wong, ci trova terribilmente provinciali?

— Per nulla.

— Eppure dovreste. Ma in fondo, voi non conoscete bene nessuno di noi. Oh, quei giovanotti che arrivano qui con le loro lucide e smisurate fantasie. Non fanno altro per tutto il giorno che trovare modi diversi di uccidere. È una società terribilmente placida, la nostra. E perché non dovrebbe esserla? Quegli orribili progetti vivono solo dalle nove alle cinque. Eppure, io penso che questo ambiente faccia qualcosa alle nostre menti. L’immaginazione dovrebbe essere impiegata per qualcosa di diverso dal progettare sempre omicidi, non credete?

— Senz’altro. — In lei cresceva l’interesse per quella donna.

Ma proprio allora furono fermati da un assembramento.

— Che cosa succede? — domandò la baronessa. — Sam, cosa stanno facendo lì dietro?

Sam sorrise e fece un passo indietro; Rydra e la baronessa si infilarono al suo posto.

— Teneteli indietro! — Rydra riconobbe la voce di Lizzy. Qualcun altro si mosse e allora riuscirono a vedere. I ragazzi della Guida avevano recintato uno spazio di quasi tre metri e ora sembravano fare la guardia. Al centro del cerchio, inginocchiati, c’erano Lizzy e altri tre ragazzi che, dagli abiti, sembravano di Armsedge. — Quello che dovete capire — stava dicendo Lizzy — è che tutto sta nel polso. — Lanciò una biglia col pollice, e la pallina ne colpì prima una, poi un’altra; la prima che era stata colpita ne andò a colpire una terza.

— Ehi, fallo ancora!

Lizzy raccolse un’altra biglia. — Solo una nocca contro il pavimento, così si può farla proiettare. Ma soprattutto è il polso.

La pallina partì, colpì, colpì e colpì. Cinque o sei persone applaudirono. Rydra era fra di loro.

La baronessa si toccò il seno. — Un colpo incantevole! Davvero incantevole! — Poi diede un’occhiata alle spalle. — Oh, devi proprio vederlo, Sam. Sei tu l’esperto balistico, no? — Lievemente imbarazzata, si girò verso Rydra e ripresero insieme a muoversi fra la folla. — Ecco. È per questo che sono così felice che voi e il vostro equipaggio siate venuti qui stasera. Ci avete portato una ventata piacevole e fresca, di un sapore che non conoscevamo.

— Parlate di noi come se fossimo un’insalata. — Rydra rise. Nella baronessa l’appetito non era così minaccioso.

— Oso dire che se rimarrete qui a lungo, correrete davvero il rischio di essere divorati. Ci avete portato qualcosa di cui noi eravamo affamati.

— E di cosa si tratterebbe?

Arrivarono al bar, poi si girarono con i loro bicchieri. Il viso della baronessa sembrò diventare di colpo duro. — Be’, voi… voi siete arrivati, e noi abbiamo immediatamente incominciato a imparare delle cose, cose su di voi, e in fondo su noi stessi.

— Non capisco.

— Prendete quel vostro Navigatore. Gli piacciono i bicchieri grandi e tutto quanto all’infuori delle acciughe. Be’, è già molto più di tutto quello che io so sulle preferenze di chiunque altro in questa sala. Se si offre Scotch, loro bevono Scotch. Se si offre tequila, loro bevono tequila. E solo un momento fa ho scoperto… — scosse il capo — …che è tutta questione di polso. Non me ne ero mai accorta prima.

— Eppure stiamo tutti parlando.

— Sì, ma solo voi dite le cose importanti. Quello che vi piace, quello che non vi piace, come fare certe cose… Desiderate davvero essere presentata a tutte quelle persone che pensano soltanto a uccidere la gente?

— In realtà no.

— Lo immaginavo. E non ho intenzione di imporvi una cosa simile. Però, ci sono tre o quattro persone che penso vi piacerebbero. Vedrò di presentarvele prima che ve ne andiate. — E si infilò nella folla.

“Maree” pensò Rydra. “Oceani. Correnti di iperstasi. I movimenti della folla in una sala sconfinata.” Si lasciò andare alla deriva.

Trovò una scala a spirale, nell’angolo in cui la massa la sospinse. Allora si mise a salirla, fermandosi una sola volta a osservare la gente sotto di lei. In cima c’era una porta socchiusa, e una leggera brezza le sollecitò la pelle. Uscì all’aperto.

Nel cielo il viola era stato sostituito da un artificioso colore purpureo venato di nubi bianche. Presto la cupola cromatica del planetoide avrebbe simulato la notte. Ciuffi di vegetazione spuntavano dalla ringhiera metallica. A un’estremità del terrazzo, i viticci avevano completamente invaso la pietra bianca.

— Capitano?

Ron, un’ombra sfiorata appena dalle foglie, sedeva in un angolo della balconata abbracciandosi le ginocchia. “La sua pelle non è d’argento” pensò lei “eppure ogni volta che lo osservo è come se guardassi una statua fatta di nodi di metallo bianco”. Lui sollevò la fronte dalle ginocchia e reclinò all’indietro il capo contro la muraglia verdeggiante. Le foglie si intrecciarono ai suoi capelli sottili.

— Cosa stai facendo?

— Troppa gente.

Lei annuì, osservando il suo tricipite guizzare sotto la pelle. A ogni respiro, i movimenti di quel corpo raggomitolato e contratto cantavano per lei in una lingua senza parole. Restò silenziosa a sentirli cantare per oltre un minuto, mentre la rosa sulla sua spalla mormorava stretta alle foglie. Poi gli domandò:

— Guai fra te, Mollya e Calli?

— No. Cioè… solo…

— Solo cosa? — Rydra sorrise e si sporse sulla ringhiera.

Lui infilò di nuovo il viso fra le ginocchia. — No… credo che tutto vada bene. Ma io sono il più giovane, e… — Di colpo sollevò le spalle. — Come diavolo potete capirmi? Certo, voi conoscete queste cose, ma non le conoscete veramente. Voi scrivete quello che vedete, non quello che fate! — Furono piccole esplosioni semisussurrate. Lei udì le parole e vide il muscolo della mascella guizzare e scivolare via come una piccola bestia nascosta sotto la guancia. — Pervertiti — continuò Ron. — È questo che voi tutti della Dogana pensate di noi. Il barone, la baronessa, tutta quella gente che ci guardava senza riuscire a capire come potessimo amarci in tre… E neppure voi potete capire, capitano.

— Ron?

Lui addentò una foglia e la strappò dal suo gambo.

— Cinque anni fa, Ron, anch’io… facevo parte di un trio.

Il viso del ragazzo si voltò nella sua direzione come lottando contro una molla, poi tornò alla posizione originaria. Ron sputò la foglia. — Voi appartenete al mondo della Dogana, capitano. Bazzicate il mondo dei Trasporti, ma basta vedere il modo in cui vi divorano con gli occhi, il modo in cui si voltano a guardare chi siete quando entrate in qualche locale: siete una Regina, certo. Ma una Regina della Dogana. Non siete dei nostri.

— Ron, io non sono di nessuno. Per questo mi guardano. Io scrivo libri. La gente della Dogana li legge, è vero, ma mi guardano perché vogliono sapere chi diavolo li ha scritti. Non è stato nessuno della Dogana a scriverli. Io parlo con la gente della Dogana e loro mi guardano e dicono: “Sei dei Trasporti”. — Scrollò le spalle. — Non appartengo a nessuno di questi due mondi. Però sono stata in un trio. Questo lo so.

— La gente della Dogana non si triplica — disse lui.

— Ero con due uomini. Se dovessi rifarlo, sceglierei una ragazza e un uomo. Per me sarebbe più facile, credo. Comunque, siamo rimasti in trio per tre anni. Il che è sempre più del doppio di quanto tu abbia mai provato.

— Ma il vostro non ha funzionato, allora. Il nostro sì. Almeno, con Cathy stava funzionando.

— Uno dei miei compagni rimase ucciso — disse Rydra. — L’altro è in animazione sospesa al Centro Medico Ippocrate, in attesa che qualcuno scopra una cura per il morbo di Caulder. Non credo che questo succederà nel corso della mia vita, ma… — In silenzio, Ron si voltò verso di lei. — Cosa c’è? — chiese Rydra.

— Chi erano?

— Vuoi sapere se erano della Dogana o dei Trasporti? — Rydra alzò le spalle. — Erano come me, senza legami precisi. Fobo Lombs era capitano di una nave da carico interstellare; è stato lui a insegnarmi il mestiere e a farmi ottenere il brevetto di capitano. Lavorava anche a terra nelle ricerche idroponiche, studiando i metodi di magazzinaggio per i voli iperstatici. Chi era? Era biondo, magro, e affezionato come pochi; a volte beveva troppo e appena finito un viaggio finiva prima in qualche rissa, poi in una cella a smaltire la sbronza. Noi dovevamo tirarlo fuori. Dopotutto è successo un paio di volte, ma lo abbiamo preso in giro per quello per un anno intero. E poi, non gli piaceva dormire nel mezzo di un letto perché voleva sempre avere un braccio che toccava il pavimento.

Ron scoppiò a ridere, stringendosi forte le braccia.

— Fobo rimase ucciso in una frana mentre esplorava le Catacombe di Ganimede, durante la seconda estate che passammo insieme lavorando con la Spedizione Geologica Gioviana.

— Come Cathy — disse Ron, dopo un istante di silenzio.

— E Muels Aranlyde era…

Stella Imperiale! — esclamò Ron con gli occhi sfavillanti. — E i libri di Jo Comet! Siete stata in trio con Muels Aranlyde?

Lei fece un cenno d’assenso. — Quei romanzi erano piuttosto divertenti, non è vero?

— Diavolo, credo proprio di averli letti tutti. Che tipo era Muels? Assomigliava molto a Comet?

— Veramente, Jo Comet avrebbe dovuto essere Fobo. Lui capitava sempre in qualche storia poco comune, e Muels cominciava allora un nuovo romanzo.

— Volete dire che quelle storie erano vere?

Rydra scosse il capo. — Quasi tutti i libri parlavano di cose che sarebbero potute accadere, o che noi temevamo potessero accadere. In quanto a Muels… Nei romanzi si mascherava sempre dietro un computer. Era scuro di capelli e introverso, incredibilmente paziente e gentile. Mi mostrava prima tutti i dialoghi e i nuovi paragrafi… sai che l’unità emozionale per chi scrive è il paragrafo?… e mi insegnava a separare quello che si poteva dire da quello che si poteva sottintendere, e quando era il caso di ricorrere all’uno e all’altro… — Ebbe un attimo di silenzio. — Poi una volta mi diede un suo manoscritto e mi chiese: “Dimmi dove sbaglio con le mie parole”. L’unica cosa che potei trovare fu che forse, di parole, ce n’erano troppe. E fu proprio allora, subito dopo che Fobo rimase ucciso, che incominciai a rivolgermi alla poesia. Muels mi diceva sempre che se avessi voluto avrei potuto diventare una grande poetessa, poiché possedevo già tutti gli elementi per cominciare. E in quei momenti sentivo di dover fare qualcosa, perché Fobo era… ma tu sai già cosa vuol dire. Muels fu contagiato dal morbo di Caulder quattro mesi più tardi. Nessuno di loro vide mai il mio primo libro, anche se già avevano letto alcune poesie. Forse un giorno Muels le leggerà tutte. Forse scriverà anche qualche altra avventura di Jo Comet… e andrà fino alla Morgue per richiamare indietro la mia matrice mentale e chiedere: “Dimmi dove sbaglio con le mie parole”. E io sarò allora in grado di dirgli tante cose in più di quella prima volta. Ma non ci sarà più alcuna coscienza… — Avvertì immediatamente l’avvicinarsi di quelle emozioni pericolose, eppure le lasciò venire avanti. Pericolose o no, erano ormai tre anni che le sue emozioni la spaventavano a tal punto da impedirle di affrontarle a viso aperto.

Stella Imperiale e Jo Comet… — Rydra vide che ora Ron sedeva a gambe incrociate, con gli avambracci sulle ginocchia e le mani penzoloni. — Ci siamo divertiti un mondo con quelle storie, sia che si trattasse di discuterne tutta la notte bevendo caffè, di correggere le bozze, o di intrufolarci nelle librerie per sistemare in prima fila sugli scaffali le nostre avventure.

— Questo lo facevo anch’io — disse Ron. — Ma solo perché mi piacevano.

— Ci divertivamo anche scommettendo su chi di noi si sarebbe addormentato per primo rileggendole.

Fu come un segnale. Ron cominciò a ricomporsi: rialzò le ginocchia, si abbracciò le gambe e abbassò il mento. — Io ho ancora i miei due compagni, almeno — disse. — Immagino che dovrei essere piuttosto contento.

— Forse sì e forse no. Loro ti amano?

— Così dicono.

— E tu li ami?

— Cristo, sì. Quando parlo a Mollya, lei cerca di spiegarmi qualcosa e io vedo che non è ancora capace di spiegarsi molto bene, ma spesso riesco a capire quello che lei vuole dire e allora… — Raddrizzò il corpo e sollevò gli occhi, come se la parola che stava cercando fosse da qualche parte in cielo.

— È meraviglioso — suggerì lei.

— Già, è proprio… — Lui la fissò. — È meraviglioso.

— Tu e Calli?

— Diavolo, Calli è soltanto un vecchio e grosso orso, e posso giocare con lui come voglio. Ma è a causa sua e di Mollya. Lui non riesce ancora a capirla molto bene, e poiché io sono il più giovane, pensa che dovrebbe imparare a farlo più velocemente di me. Invece non ci riesce, e allora si tiene lontano da noi. Ora, come ho già detto, io so come prenderlo nei suoi momenti neri, ma Mollya non lo conosce ancora bene e crede che lui ce l’abbia con lei.

— Vuoi sapere cosa fare? — gli chiese Rydra dopo un istante.

— Lo sapete?

Lei annuì. — Fa molto più male quando c’è qualcosa che non fila e sembra di non potere fare nulla per rimediare. Ma in questo caso è abbastanza facile.

— Perché?

— Perché loro ti amano. Ora Ron stava aspettando.

— Quando Calli diventa di cattivo umore, Mollya non sa come aiutarlo, vero?

Ron annuì di nuovo.

— Mollya parla un’altra lingua, e Calli non sa come farsi capire, vero?

Ron annuì.

— Tu puoi comunicare con entrambi, quindi potresti agire da intermediario, ma questo non ha mai funzionato. Devi invece insegnare a ognuno di loro come fare ciò che tu sai già.

— Insegnare?

— Come ti comporti con Calli quando diventa di cattivo umore?

— Gli tiro le orecchie — rispose Ron deciso. — Lui continua a dirmi di piantarla, ma io insisto finché lui non incomincia a ridere e non gli sbollisce tutto.

Rydra sogghignò. — Non è molto ortodosso, ma se funziona è perfetto. Ora devi mostrare a Mollya come farlo. Lei è piuttosto atletica; lascia che si alleni su di te finché non avrà imparato alla perfezione.

— Ma a me non piace farmi tirare le orecchie — protestò Ron.

— Qualche volta occorre un piccolo sacrificio. — Cercò di soffocare un sorriso, ma non ci riuscì.

Ron si strofinò pensieroso il lobo di un orecchio. — Lo immagino.

— E poi devi insegnare a Calli le parole adatte per farsi capire da Mollya.

— Ma neppure io le conosco, a volte.

— E conoscendole bene, potresti farcela?

— Certo.

— Allora, quando torniamo sulla nave fai un salto nella mia cabina. Deve esserci da qualche parte una grammatica Kiswahili.

— Ehi, sarebbe l’ideale… — Si interruppe, arretrando di un poco fra le foglie.

— Ma Calli non legge molto.

— Lo aiuterai tu.

— Gli insegnerò io.

— Esatto.

— Credete che lui accetterà? — chiese Ron.

— Se lo scopo è quello di farsi capire da Mollya? — chiese Rydra.

— Tu che ne pensi?

— Lo farà. — Come metallo fluido, Ron si alzò bruscamente.

— Lo farà.

— Te la senti di tornare dentro, ora? — chiese lei. — Mangeremo fra pochi minuti.

Ron si voltò verso la balaustra e guardò il cielo. — Hanno impiantato un bello scudo, quassù.

— Per evitare di essere bruciati vivi da Bellatrix — disse Rydra.

— Così non devono pensare a quello che stanno facendo.

Rydra inarcò le sopracciglia. Di nuovo quell’interrogativo sul giusto e l’ingiusto, perfino in mezzo a problemi domestici. — Anche per questo — disse, e pensò alla guerra.

La tensione nelle spalle di Ron le disse che lui sarebbe sceso più tardi, che voleva riflettere ancora un po’. Superò la porta e cominciò a scendere la scalinata.

— Vi ho vista uscire, ho deciso di aspettare il vostro ritorno.

Déjà vu” pensò Rydra. Ma non poteva averlo incontrato prima in vita sua. Capelli blu, quasi neri, sopra un viso roccioso che denunciava la trentina. Fece un passo indietro per cederle la strada con un’incredibile economia di movimenti. Lei lo fissò, prima le mani, poi il viso, alla ricerca di un gesto che le rivelasse qualcosa. Lui le restituì lo sguardo, senza cederle nulla. Poi si girò, indicandole il barone al centro della sala. — Yon Cassius ha uno sguardo che oserei definire affamato.

— Mi domando quanto sia affamato — disse Rydra, e si sentì nuovamente strana.

La baronessa navigava agitata in mezzo alla folla in direzione del marito, alla ricerca di consigli: si doveva dare inizio alla cena o attendere ancora qualche minuto?

— Chissà come dev’essere un matrimonio fra due persone come loro? — chiese lo sconosciuto con una punta di divertimento compiaciuto.

— Molto tranquillo, immagino — rispose Rydra. — Possono preoccuparsi l’uno per l’altro.

Un educato sguardo interrogativo. Quando lui si accorse che lei non intendeva dare altre delucidazioni, ritornò con gli occhi alla folla. — Hanno tutti dei visi molto curiosi, quando guardano da questa parte per osservare voi, signorina Wong.

— Sono sguardi maligni — tagliò corto lei.

— Roditori. Ecco a cosa assomigliano. A un branco di roditori.

— Mi chiedo se non sia il loro cielo artificiale a farli sembrare così malaticci. — Rydra si accorse di non avere più il controllo totale sulla sua ostilità repressa.

Lo sconosciuto scoppiò in una risata. — Roditori malati di talassemia!

— Può darsi. Voi lavorate ai Cantieri? — La sua carnagione ostentava un colorito che stonava con il pallore generale.

— Per la verità, sì, signorina Wong.

Sorpresa, Rydra avrebbe desiderato domandargli qualcosa d’altro, ma in quel momento gli altoparlanti annunciarono: — Signore e Signori, la cena è servita.

Lui l’accompagnò per gli ultimi scalini, ma dopo alcuni passi nella folla, Rydra si trovò abbandonata. Continuò allora da sola verso la sala da pranzo.

Sotto la volta, il barone e la baronessa l’attendevano. Mentre la baronessa le prendeva il braccio, l’orchestra da camera sulla pedana sollevò gli strumenti.

— Venite, mia cara.

Si mantenne accanto alla rosea matrona che la guidava oltre la folla assiepata lungo il tavolo a forma di serpente.

— Noi siamo qui.

E allora il messaggio in Basco: “Capitano, sta succedendo qualcosa sulla nave.” La piccola esplosione nella sua mente la fece arrestare.

— Babel-17!

Il barone si voltò verso di lei. — Sì, capitano Wong? — Rydra vide l’incertezza tracciare pieghe cupe sul suo viso.

— C’è qualche luogo nei cantieri che contenga materiale di particolare importanza e che ora sia rimasto privo di sorveglianza?

— Tutto è controllato automaticamente. Perché?

— Barone, un sabotaggio verrà compiuto nei dintorni fra poco, oppure è già sul punto di essere portato a termine.

— Ma come potete…

— Non posso spiegarvelo ora, ma è meglio vi assicuriate che tutto funzioni alla perfezione.

La baronessa toccò il braccio del marito e disse con improvvisa freddezza: — Felix, questo è il tuo posto.

Il barone spinse indietro la sua sedia, si sedette e senza cerimonie fece da parte con un braccio tutto quello che aveva dinanzi. Sotto la tovaglia c’era un pannello di controllo. Mentre gli invitati si sedevano, Rydra vide Ottone, a circa sei metri, adagiarsi sull’amaca speciale preparata per la sua mole gigantesca e sfavillante.

— Voi accomodatevi qui, mia cara. Proseguiremo con la festa come se non stesse succedendo nulla. Penso sia la cosa migliore.

Rydra si sedette accanto al barone, e la baronessa si abbassò cautamente sulla sedia alla sua sinistra. Il barone stava mormorando qualcosa in un laringofono. Immagini, che Rydra non poteva vedere chiaramente, lampeggiavano senza soste sul piccolo schermo da otto pollici. Lui alzò per un attimo il capo e le disse: — Ancora nulla, capitano Wong.

— Ignoratelo, mia cara — disse la baronessa. — Questa è una cosa molto più interessante. — Le mostrò la piccola tastiera che aveva appena tolto da sotto il tavolo e ora riposava sul suo grembo. — È una cosuccia molto ingegnosa — proseguì la baronessa, guardandosi intorno. — Penso che ormai siano tutti pronti. Ecco! — Con l’indice paffuto premette un pulsante, e in tutta la sala le luci si affievolirono. — Posso controllare l’intera cena solo premendo il pulsante giusto al momento giusto. Guardate! — pigiò un altro pulsante.

Nel centro della tavola, per tutta la lunghezza, si aprirono dei pannelli e grandi vassoi colmi di frutta, di mele candite, di grappoli zuccherati e di mezzi meloni farciti di noci, si alzarono dinanzi agli ospiti.

— E il vino! — continuò la baronessa, premendo un altro pulsante.

Lungo tutta la tavolata spuntarono decine di fontanelle zampillanti.

— Riempite il vostro bicchiere, mia cara. Brindiamo — incalzò la baronessa, accostando il proprio calice a uno zampillo. Il cristallo si macchiò di scarlatto.

Alla destra di Rydra, il barone disse: — L’Arsenale sembra perfettamente in ordine. Ho avvertito anche i progetti speciali. Siete sicura che questo attacco avrà luogo?

— O è già in corso — rispose lei — o lo sarà entro due o tre minuti. Potrebbe essere un’esplosione o qualcosa d’altro.

— Questo non ci aiuta molto. Le comunicazioni hanno captato il vostro Babel-17. Sono stato avvisato di come questi sabotaggi procedono.

— Provate uno di questi, capitano Wong. — La baronessa le tese una fetta di mango e Rydra scoprì, dopo averla assaggiata, che doveva essere stata marinata nel Kirsch.

Quasi tutti gli ospiti, ora, erano seduti. Rydra scorse un ragazzo della squadra, di nome Mike, che cercava lungo il tavolo il segnaposto con il suo nome. E più indietro, vide lo sconosciuto che l’aveva fermata sulla scalinata avviarsi nella loro direzione.

— Il vino non è di uva, ma di prugne — disse la baronessa. — Un po’ pesante, forse, per incominciare un pasto, ma è così buono con la frutta. Io sono particolarmente fiera delle mie fragole. I legumi sono un incubo dei nostri laboratori idroponici, ma quest’anno siamo stati abbastanza fortunati.

Mike trovò il suo posto e subito immerse entrambe la mani nella coppa della frutta. Lo sconosciuto girò l’ultima ansa del tavolo, a pochi metri ormai dai loro posti. Calli reggeva due calici di vino e guardava ora l’uno, ora l’altro, probabilmente tentando di determinarne la capacità.

— Sono indecisa — si lamentò la baronessa — servire prima i sorbetti o una mia specialità, il caldo verde. Non riesco mai a decidere…

Lo sconosciuto raggiunse il barone, si chinò sulla sua spalla per osservare lo schermo, e gli sussurrò qualcosa. Il barone si girò verso di lui, poi si voltò indietro lentamente, con le mani appoggiate all’orlo del tavolo… e cadde in avanti. Un rivoletto di sangue gli strisciò dalla nuca sulla guancia

Rydra spinse indietro di colpo la sua sedia. Omicidio. Il mosaico si incastrò nella sua mente e quando l’ultimo frammento ebbe trovato il suo posto, disse: “omicidio”. Balzò in piedi.

La baronessa uscì in un fioco lamento e si alzò, rovesciando la sedia. Allungò tremando le mani rosa e paffute verso il corpo del marito e scosse incredula il capo.

Rydra si girò in tempo per vedere lo sconosciuto estrarre un vibratore da sotto la giacca.

Con uno strattone tolse allora la baronessa dalla linea di fuoco e il colpo basso centrò il tavolo, proprio sui comandi della baronessa.

Una volta in movimento, la baronessa raggiunse barcollante il marito e lo abbracciò. Il suo fioco lamento prese corpo e divenne un gemito acuto. Sempre stringendo il marito, la baronessa scivolò in ginocchio e cominciò a cullare dolcemente fra le braccia il cadavere di Felix Ver Dorco.

Gli ospiti si erano ormai alzati tutti in piedi, e i commenti erano diventati un ruggito fragoroso.

Con i controlli fuori uso, l’intera tavolata continuava a sfornare portate; i vassoi di frutta venivano spinti di lato dai pavoni che emergevano dai pannelli, cucinati e agghindati di nuovo con le teste zuccherate e le lunghe piume. Terrine di caldo verde affollarono le fontanelle del vino finché non si rovesciarono, inondando la tavola. Frutta rotolava sul pavimento.

Attraverso il vociare, Rydra sentì il vibratore sibilare altre due volte alla sua sinistra, poi a destra. La gente fuggiva dai loro posti, bloccandole la visuale. Udì ancora una volta la voce dell’arma e vide la dottoressa Crane piegarsi in due, per essere sostenuta da un vicino di posto sbalordito mentre i suoi capelli ossigenati si scompigliavano coprendole il viso.

Agnelli allo spiedo emersero a portare scompiglio fra i pavoni. Piume spazzarono il pavimento. Zampilli di vino colpirono le lucide dorature degli agnelli, che sibilarono e lanciarono sbuffi di vapore. Parte del cibo cominciò a ricadere all’interno dei pannelli e colpì le spire incandescenti del sistema di riscaldamento. Rydra fiutò odore di bruciato.

Si lanciò fra la folla e afferrò per un braccio il ciccione dalla barba nera. — Lumaca, porta i ragazzi fuori di qui!

— Cosa credete che stia facendo, capitano?

Rydra si allontanò, rimase bloccata da un’ansa del tavolo a serpentina, e scavalcò con un balzo il pozzo fumante. Un complicato dessert orientale, a base di banane sfrigolanti intinte nel miele, stava emergendo mentre lei spiccava il salto. La luccicante pasticceria schizzò attraverso il tavolo e cadde sul pavimento, il miele subito cristallizzato in spine scintillanti che rotolarono fra gli ospiti, scricchiolando sotto i loro piedi. Molti scivolarono e, mulinando le braccia, caddero.

— Brutto modo di scivolare su una banana, eh, capitano? — fu il commento di Calli. — Cosa sta succedendo?

— Porta Ron e Mollya sulla nave!

Ora stavano emergendo urne, che urtarono contro quanto restava della rosticceria e si rovesciarono, spargendo ovunque fondi di caffè e liquido bollente. Una donna urlò, stringendosi il braccio ustionato.

— Qui non c’è più da divertirsi — disse Calli. — Vado a prenderli.

Si allontanò mentre la Lumaca arrivava in senso opposto. Rydra lo riagguantò per un braccio. — Lumaca, che cos’è un bandicoot?

— Un animaletto cattivo. Marsupiale, mi pare. Perché?

— È vero. Adesso ricordo. E la talassemia?

— Bel momento per questo tipo di domande. Una specie di anemia.

— Questo lo so, ma quale specie? Sei tu il medico della nave.

— Fatemi pensare. — Chiuse gli occhi un momento. — L’ho studiata con un corso ipnotico. Già, ora la ricordo. È ereditaria, l’equivalente caucasico dell’anemia falcemica, cioè quando i globuli rossi del sangue crollano sotto l’azione delle aptoglobine…

— …e permettono alle emoglobine di filtrare fuori mentre i globuli sono distrutti dalla pressione osmotica. Me lo ero immaginato. Portali tutti fuori di qui.

Stupito, Lumaca si diresse verso la volta d’ingresso.

Rydra si avviò dietro di lui, ma scivolò su un sorbetto al vino e dovette aggrapparsi alla solida figura di Ottone che ora torreggiava al suo fianco. — Andateci ’iano, ca’itano!

— Portami fuori di qui, bimbo — gli disse lei. — E alla svelta.

— Una cavalcata? — Con un sogghigno che gli attraversava il viso da un orecchio all’altro, Ottone appoggiò una mano al fianco fornendo un appiglio a Rydra, che aggrappandosi con le ginocchia ai suoi fianchi raggiunse le spalle. I grandi muscoli che avevano sconfitto il Drago d’Argento si inarcarono sotto di lei, e Ottone spiccò un balzo, superando il tavolo e atterrando a quattro zampe. Dinanzi alle zanne di quella belva dorata, gli ospiti si sparsero ai lati della sala. Insieme, Rydra e Ottone mossero verso la porta a volta.

5

La pesante nebbia di un esaurimento isterico le occupava la mente. Si sforzò di cacciarla, entrando nella sua cabina sulla Rimbaud e premendo un pulsante dell’intercom. — Lumaca, sono tutti…

— Tutti a bordo, capitano.

— I discorporati…

— Tutti e tre ai loro posti.

Ottone, ansimante, riempiva con la sua mole il portello d’ingresso alle sue spalle.

Rydra passò a un altro canale, e un suono quasi musicale riempì la cabina. — Bene. Sta ancora girando.

— Che cos’è? — domandò Ottone.

— Babel-17. Viene trascritto automaticamente, così potrò studiarlo più tardi. Comunque, ora ci provo anch’io. — Azionò un interruttore.

— Cosa state facendo?

— Ho preregistrato alcuni messaggi e ora li sto trasmettendo. Forse riusciranno a passare. — Interruppe la prima emissione e iniziò la seconda. — Il guaio è che non conosco ancora bene questa lingua. Un po’, ma non abbastanza. Mi sento come qualcuno che a una rappresentazione di Shakespeare lanci insulti in slang americano.

Un segnale da una linea esterna attirò la sua attenzione. — Capitano Wong, qui è Albert Ver Dorco. — La voce era disturbata. — Abbiamo subito una terribile catastrofe, e ora ci troviamo nella confusione più assoluta. Non ho potuto rintracciarvi da mio fratello, ma la torre di controllo mi ha appena comunicato che avete richiesto l’autorizzazione per un immediato salto in iperstasi.

— Io non ho richiesto nulla del genere. Ho solo cercato di radunare tutta la mia ciurma a bordo della nave. Avete scoperto che cosa sta succedendo?

— Ma, capitano, mi ripetono che siete sul punto di prendere il volo. Godete di priorità assoluta e io non posso annullare il vostro ordine, ma vi ho chiamata per pregarvi di restare finché tutto non sarà chiarito. A meno che non disponiate di altre informazioni che…

— Noi non stiamo partendo — ripeté Rydra.

— Non ’otremmo farlo — intervenne Ottone. — Non sono ancora collegato con i comandi.

— A quanto pare, il vostro James Bond automatico ha dato i numeri — disse Rydra.

— … Bond? — chiese la voce stupita di Ver Dorco.

— Scusate. Un riferimento mitologico. Parlavo del TW-55.

— Oh, sì. Lo so. Ha assassinato mio fratello e quattro ufficiali estremamente importanti. Non avrebbe potuto scegliere meglio se fosse stato diretto da qualcuno.

— Lo è stato. Il TW-55 è stato sabotato. Ma non so come, è inutile. Vi suggerisco di entrare in contatto con il generale Forester…

— Capitano, la torre di controllo mi dice che voi state ancora segnalando il decollo! Io non possiedo ufficialmente autorità, ma dovete…

— Lumaca! Stiamo partendo?

— Ma… sì. Non mi avete appena dato gli ordini per un’uscita d’emergenza in iperstasi?

— Ottone non è nemmeno al posto di guida, razza d’idiota!

— Eppure ho ricevuto l’ordine trenta secondi fa. E Ottone è già collegato. Gli ho parlato…

Ottone fece un salto in avanti e abbaiò nel microfono: — Sono accanto al ca’itano, testa di nebbia! che cosa vuoi fare, mandarci a finire nel mezzo di Bellatrix? O nell’occhio di qualche nova? Quando ’artono, queste navi tendono sem’re a filare verso la massa ’iù grande nelle vicinanze!

— Ma mi hai appena…

Un suono stridente si levò sotto di loro. E un’improvvisa ondata violenta.

Dall’altoparlante venne ancora la voce di Albert Ver Dorco: — Capitano Wong!

Rydra urlò: Idiota, spegni i gen…

Ma il ruggito intorno a lei era ormai preponderante.

E una nuova, più tremenda ondata; si sentì scagliata lontana dal suo sedile e vide Ottone annaspare con gli artigli nell’aria. E…

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