19. Rabbia all’Inferno

L’accozzaglia di pozze stagnanti e di rocce frastagliate attorno al lago di sangue brulicava di larve striscianti. Ma quelle pietre ospitavano anche qualcos’altro, una creatura devastata e informe, annerita dal fuoco, qualcosa che avrebbe potuto rispondere al nome di Elminster, se solo avesse avuto una bocca per farlo. Il mago osava guarirsi solo molto lentamente. Le larve lo succhiavano e lo rosicchiavano nel punto in cui si trovava, immobile nell’ombra profonda.

La creatura scura che sguazzava nel lago non aveva notato il suo arrivo. Era troppo occupata a tessere un incantesimo di sua invenzione.

Si trattava di una sfera sospesa, fatta di bagliori brillanti in continuo mutamento e di piccoli campanelli. Nelle sue profondità sagome scure tremolarono e si ruppero, per poi dar vita a fili di fumo.

La creatura sibilò irritata. Aggrottò la fronte e alimentò la magia con ulteriore potere attraverso i suoi lunghi artigli ricurvi. «Lavora per Malachlabra», mormorò con ferocia, scrutando le profondità della sfera. «Mostrami il mago umano, non la mia caverna!»

Un tuono echeggiò lungo i cunicoli di pietra che conducevano al lago. Negli occhi giallognoli del demone si accesero fiamme rosse di rabbia. Malachlabra sollevò la testa e guardò attentamente il cunicolo che aveva usato per raggiungere quel luogo segreto: era disseminato delle ossa rosicchiate del drago che aveva creduto di aver trovato una bella tana lì dentro.

Il rumore si affievolì e non ricomparve. Con un grugnito la figlia di Dispater si mosse nel sangue fumante del lago e si girò, schiaffeggiando oziosamente il liquido scuro con le tre code serpentine. Poi scrutò in maniera ancora più attenta nelle profondità della sfera magica.

Alcune ombre vi turbinarono nel mezzo; ancora una volta le stava mostrando le rocce frastagliate, acqua rossa e fumante, con una sagoma lunga e sinuosa, color ossidiana che si crogiolava nella piscina e guardava in una…

La magia esplose con una pioggia di scintille, come fanno tali incantesimi quando vengono rivolti direttamente sulla propria persona. Malachlabra, Duchessa dell’Inferno e figlia di Dispater, indietreggiò con un ringhio.

«I miei incantesimi sono tanto deboli? O c’è qualcosa che altera la mia magia? La sfera ha sempre funzionato finora!»

Le ali di pipistrello si spiegarono una volta, mentre il demone si stirava irrequieto. Un corpo liscio, color ossidiana, si sollevò dal sangue caldo della piscina. Il liquido rosso e denso le colò dai seni alti e discese lungo il torso, sin là dove le code serpentine si riunivano a formare un’ampia pelvi. Malachlabra aveva un corpo femminile prosperoso, per quanto il suo collo serpentino e ondulato sarebbe risultato grottescamente lungo per una donna umana. Le due corna che spuntavano dalle tempie, invece, di umano non avevano proprio nulla. La sua lingua biforcuta sibilò pensierosa fra le labbra e guizzò in avanti per saggiare l’aria, mentre rifletteva su come tornare da Nergal.

Nergal il bruto, stupido e troppo fiducioso del suo potere e della sua intelligenza. Nergal la spia, sempre pronto a impicciarsi degli affari altrui, per potersi avventare scaltramente su questo e da manipolare quell’altro. Nergal che si credeva il successore legittimo del Temuto Asmodeus in persona! Beh, lei lo avrebbe…

La cosa piombò su Malachlabra dall’imboccatura del cunicolo senza alcun avvertimento. Era a pochi passi di distanza quando esplose in una dozzina di lampi blu brillanti di magia.

Il demone serpente non ebbe nemmeno il tempo di tentare di vedere chi avesse scagliato quei fulmini, poiché ne venne trafitta, causandole un dolore freddo e tagliente. Un altro incantesimo sollevò alcune rocce dietro la creatura e gliele gettò addosso, spingendola nel lago a faccia all’ingiù.

Malachlabra frustò disperatamente l’aria con le sue tre code, colpendo forte il vuoto, poi fu ricompensata con un impatto violento e sordo.

Fuochi di Nessus, che dolore intenso! Tremante, il demone riemerse con gli artigli pronti, in cerca di…

Tutto fuorché ciò che vide: una maga umana con due grezze ali da pipistrello ripiegate attorno al corpo, in piedi fra le rocce insanguinate. Le sue mani si agitavano compiendo gesti complicati. «Lo sento!» sibilò la donna, gli occhi scintillanti. «Che cosa gli hai fatto, demone?»

L’intrusa non attese risposta. L’incantesimo che aveva elaborato esplose in un’altra raffica di fulmini blu, che si riversarono su Malachlabra.

Urlante, in mezzo al fuoco bianco, la figlia di Dispater si contorse e s’inarcò. Lottò per eseguire un incantesimo e singhiozzò insolitamente di dolore quando questo le riuscì… portandola da un’altra parte.

In pochi istanti si ritrovò sulla superficie di Averno, fumante e brulicante di spinagon, non lontano dalla caverna dalla quale era fuggita. Rabbrividendo, mise da parte odio e dolore e cercò di pensare al modo migliore per distruggere quella formidabile nemica. Come aveva fatto l’umana a raggiungerla…?

La terza raffica di proiettili magici scagliò il demone serpente con la faccia sulle rocce; Malachlabra cercò di aggrapparsi alla vita e di rimanere cosciente attraverso una densa foschia rossa.

«Non avevamo ancora finito, demone», esclamò la voce rabbiosa dell’umana alle sue spalle. «O almeno io non avevo finito.»

La spada che trapassò la base del cranio di Malachlabra era molto fredda e dura. Scivolò dentro di lei e le uscì dal naso prima che il demone potesse emettere un solo grido, inchiodandole le mascelle semiaperte, e generando una scintilla da una pietra davanti a lei.

Chiamando a raccolta tutta la sua volontà e il suo potere, il demone gettò la sua consapevolezza dentro a quella scintilla e la spinse lontano…

«Muori, demone!» sibilò Alassra Silverhand.

La spada incantata le si sciolse fra le mani, lasciandole soltanto un dolore lancinante. La maga balzò all’indietro quando le fiamme si levarono in una colonna tuonante, che scuoteva il terreno pietroso. Il calore costrinse la regina ad allontanarsi ulteriormente.

Il corpo molle del demone serpente si contorse avvizzito al centro della colonna. Poi si rimpicciolì e svanì.

Un’altra colonna di fuoco avvampò dietro la maga, sciogliendole la punta di un’ala. La Simbul rimase a bocca aperta per il dolore, dopodiché si voltò ad affrontare quel nuovo pericolo e mormorò in fretta le parole che avrebbero fatto scomparire le ali.

«Solleva lo sguardo, umana, prima di morire», comandò una voce fredda.

Per una volta la regina di Aglarond obbedì.

Un demone degli abissi, più grande di qualsiasi altro lei avesse mai visto, stava sospeso nell’aria rossa, fiancheggiato da altri due. In lontananza, stormi di erinni si stavano avvicinando in volo. Sulle rocce circostanti si verificarono varie esplosioni e apparvero i demoni spinati chiamati a raccolta, che iniziarono ad avanzare verso di lei con ghigno crudele. Uno di essi sembrava in difficoltà, in preda a convulsioni, e a mano a mano che s’avvicinava le sue dimensioni aumentavano. Le gambe si trasformarono in tre code serpentine e il corpo si allungò e acquisì fattezze aggraziate…

Un’altra colonna di fuoco comparve all’improvviso e ruggì rivolta verso il cielo, accerchiando la Simbul. Sul margine della valle nella quale si trovava apparve un esercito pallido e luccicante: un mare mugugnante di creature polpose, informi, dagli occhi sporgenti: erano lemuri, i senza mente, i rifiuti viventi dell’Inferno, simili a larve. Sui loro volti vuoti si leggeva il terrore, nei loro occhi c’era solo oscurità, mentre si dirigevano verso di lei con braccia informi. Diverse fruste schioccarono sui loro corpi e gli abishai sorveglianti guardarono avidamente l’umana solitaria al centro delle fiamme.

Lentamente, le ali della Simbul svanirono con una sorta di gemito. La maga s’inginocchiò sulle rocce dure, incrociando i polsi in un gesto di resa e di schiavitù.

«Bene, bene», mormorò il demone degli abissi, «è più facile di quanto non pensassi. Rimani dove sei, umana, mentre vengo a incatenarti».

Scintille minuscole scaturirono fra i polsi della Simbul, là dove due squame metalliche incastonate sotto la pelle si toccarono: così aveva trasformato i suoi bracciali dopo aver distrutto Tasnya, e vi aveva trasferito gli ultimi incantesimi dei suoi indumenti bruciacchiati. Adesso era giunto il momento di evocare i loro veri poteri, una delle magie più potenti che avesse mai creato.

La regina di Aglarond socchiuse gli occhi. La sua magia stava diminuendo rapidamente e in quel luogo v’erano troppi nemici da combattere. Era tempo di usare l’Anello di Sangue.

Rabbrividì e rivolse occhi supplicanti al demone degli abissi che scendeva verso di lei, scuotendo pigramente gli anelli di una catena spinata, incrostata di sangue vecchio. La volontà della Simbul si concentrò su creature distanti, e la sua magia le prese.

D’un tratto qualcosa apparve nell’aria di fronte al demone. Qualcosa di sferico e di fluttuante, che ostentava fauci dentate, ampie e sorridenti, un occhio centrale spalancato per la rabbia e per la paura, e sopra di esso, come una corona, una foresta di antenne occhiute in continuo movimento. Il demone degli abissi lo fissò sbalordito, poi sogghignò rivolto a ciò che doveva essere un’illusione ottica. All’Inferno nessun beholder vagava libero a lungo. Numerosi occhi si posarono sul demone alato.

«Molto astuta, umana!» la schernì… poco prima che la magia del tiranno occhiuto lo raggiungesse. Il demone lottò a mezz’aria per un istante, prigioniero di quegli sguardi. Poi s’irrigidì, divenne scuro… e cominciò la sua lenta e rovinosa caduta verso le rocce sottostanti e la morte.

Quello era solo uno dei molti nemici che aveva di fronte. Alcuni lemuri ruzzolarono nell’avvallamento. Gli hamatula avanzarono tra i buchi nelle fiamme e numerosi demoni riempirono l’aria.

Improvvisamente, accanto alla maga inginocchiata, apparvero altre creature. Due maghi umani si guardarono attorno perplessi e terrorizzati ed estrassero subito la bacchetta magica dalla cintura. Nessuno dei due sembrò vedere l’altro o la Simbul, solo demoni, demoni dappertutto.

In mezzo a loro, la maga chiuse gli occhi e ordinò al beholder di attaccare gli altri due demoni degli abissi, prima di concentrarsi e chiamare altre creature. Sì: il drago…

Le erano occorsi decenni di duro e meticoloso lavoro, e di dolore, per creare l’Anello di Sangue. Ogni creatura legata a esso doveva avere un po’ del suo sangue dentro di sé, in qualche cisti, nel tessuto cicatriziale o nel grasso corporeo, inoculato dalla Alassra durante una battaglia sanguinosa. Se fosse sopravvissuta a quella lotta infernale, avrebbe forse impiegato secoli a ricostruire l’anello. Ma ovviamente quello era un grande interrogativo…

Un folto gruppo di erinni si gettò in picchiata. A quella vista Ravedrin dello Zhentarim si mise a piagnucolare a gran voce e urlò, disperato, un incantesimo che trasformò una delle colonne di fuoco in un geyser acido. Questo esplose formando un gran pennacchio, e si spense sibilando fragorosamente mentre ricadeva su demoni urlanti.

Dall’altro lato della Simbul, Kaladras Yarlamm, dei Maghi Rossi, vide gli effetti della magia, ma non chi li aveva causati. L’uomo abbandonò il fulmine con cui stava frustando un demone, per fare la stessa cosa con le fiamme più vicine. Alcuni degli hamatula erano a pochi passi da lui, e avrebbe dovuto…

Morire, gridando, quando la magia di un demone degli abissi lo spinse traballante fra le braccia di un mostro spinato. Questo, con disinvoltura, gli squarciò la gola e la faccia con un colpo d’artiglio.

Un momento più tardi un demone degli abissi esplose in aria, sotto i colpi magici del beholder a cui stava devastando le antenne occhiute. Anche quest’ultimo svanì, in una nuvola turbinante di sangue, di pugnali sferzanti e di urla stridule.

L’ultimo demone degli abissi, ancora tremante per il fulmine del Mago Rosso, si voltò e fissò lo sguardo malevolo sulla donna inginocchiata nel cuore della battaglia. Era lei la causa di quel tumulto infernale. Era lei quella che doveva riportare in catene al suo comandante… in catene o ridotta a brandelli gocciolanti di sangue. Garauder preferì la seconda soluzione e, senza indugi, si gettò in una picchiata che sarebbe terminata sulla sua gola.

Non vide, tuttavia, il drago che apparve nel cielo dietro di lui. La bestia spalancò le fauci, le richiuse, e le zanne affilate posero fine a qualsiasi piano di Garauder, gettandolo in un oblio di sangue.

Stanca e ansimante, la Simbul guidò il drago con la sua volontà. Gli ordinò di abbattersi sulle erinni, tre volte, poi fece sì che piombasse e si rotolasse sui sopravvissuti, feriti e urlanti. Un hamatula riuscì a sfuggirgli, vacillante e cieco. I lemuri rimasero schiacciati e morirono sotto il corpo del drago.

La Strega-Regina di Aglarond radunò gli ultimi brandelli di magia. Era troppo debole per lottare ancora e sopravvivere.

Che Mystra ti protegga, El.

Non udì risposta al suo pensiero, ma un tremolio flebile e colmo di dolore, che apparve, solo per un istante, dietro a una consapevolezza malvagia e oscura. La donna conosceva bene quel tocco mentale.

Suo malgrado, gli occhi le si riempirono di lacrime, di rabbia e di dolore. «Resisti, amore! Tornerò!»

L’incantesimo che l’avrebbe portata fuori da Averno iniziò a manifestarsi. La forza di Mystra aprì una strada là dove gli incantesimi di maghi comuni avrebbero fallito.

Con gli ultimi incantesimi rimasti, la Simbul afferrò il drago e il mago sopravvissuto e li portò con sé fuori dall’Inferno, restituendoli ai luoghi in cui li aveva presi. Non meritavano di morire laggiù, intrappolati e tormentati. Non meritavano il destino di Elminster.

HAH! ALLA FACCIA DELLA LEALTÀ E DELLA TUA SPERANZA! LA TUA PUTTANA DI REGINELLA È FUGGITA, È TORNATA NELLE TERRE DOVE SPLENDE IL SOLE, LASCIANDO IL PICCOLO ELMINSTER IN MEZZO AI TORMENTI.

ALLA FINE CEDERAI, MAGO.

MI MOSTRERAI TUTTO CIÒ CHE SAI E CHE RICORDI, E MI IMPLORERAI DI LASCIARTI MORIRE. MI CHIEDERAI PIETÀ, SUPPLICANDO INVANO, SAPENDO SEMPRE CHE NERGAL È IL TUO DESTINO!

[risata diabolica, selvaggia]

NEL FRATTEMPO, UMANO, FAMMI VEDERE UN PO’ DI MAGIA, QUALCOSA CHE NE VALGA LA PENA, ALTRIMENTI TI MANGERÒ UNA O DUE MEMBRA, FACENDO IN MODO CHE TU RIMANGA COSCIENTE E AGONIZZANTE PER TUTTO IL TEMPO! AVANTI!

Sì, ma questo sarà un ricordo lungo. Devi essere paziente e guardarlo tutto, in modo che tu possa capire ciò che vedi…

CERTO, CERTO. CAPISCO FIN TROPPO BENE CHE MI HAI IMBROGLIATO E RIGIRATO PIÙ VOLTE, PROMETTENDOMI GRANDI RIVELAZIONI SULLA MAGIA E SU COME SCAGLIARE QUESTO O QUELL’INCANTESIMO, SOLO PER MOSTRARMI ROMANTICHERIE, PREDICHE MORALI E ALTRO CIARPAME INUTILE. DAMMI LA MAGIA, E VIVRAI; PRENDITI DI NUOVO GIOCO DI ME E MORIRAI. SEMPLICE, NO?

Certo. Iniziamo, allora, quando la notte scende su Tamaeril.

QUANDO VUOI. MA SCEGLI, PER UNA VOLTA, LA STRADA GIUSTA, MAGO: IL TUO INCONTRO PIÙ RECENTE E SIGNIFICATIVO CON MYSTRA, RICORDA. È LA TUA ULTIMA CHANCE.

[immagini che risalgono a spirale, scintillano e diffondono luce davanti all’occhio della mente]

La piccola formazione di luci scintillanti gli si avvicinò alla guancia destra. «Confesso che mi metti molto a disagio, Elminster», affermò Mystra.

«Vedo», affermò il Vecchio Mago, senza rallentare il suo volo magico. «Per favore, Lady, metti da parte ogni esitazione. Non mi preoccupo dei miei sentimenti… parla liberamente. Non mi offenderai.»

Le luci si fecero più vicine al mago e sembrarono sospirare. «Bene, allora. Tu sei l’amante di colei che ha detenuto questo nome e questo potere prima di me. Lei desiderava che tu fossi la mia guida e il mio maestro, e lo sei stato. In modo mirabile. Non sono più l’orgogliosa, capricciosa Mezzanotte1 dalla testa vuota.»

Ora le luci erano tutt’intorno alla sua testa, e gli sfioravano la pelle come decine di carezze, soffici e rapide. «Tuttavia, mi turbi, mi metti soggezione, mi spaventi. E mi ripugni, un po’. Non desidero ardentemente dar vita a un corpo e unirmi a te, come ha fatto lei molte volte. L’ho fatto, sì, ma dietro l’eccitazione, sento che lei mi guarda e mi giudica. Sento che tu mi guardi e mi giudichi. Elminster, vecchio e saggio al suo servizio, possessore dei suoi ricordi.

«I vecchi modi risvegliano in me l’irrequietezza. La Tela si agita, e altra magia striscia intorno e dentro Toril. lo non sono la vecchia Mystra. lo ti sono grata per ciò che hai fatto per me e per colei che è venuta prima di me e, quando il pericolo sembra incombere su di te, lei si risveglia dentro di me, e io ti desidero e corro a proteggerti e ti considero il più prezioso di tutti. Desidero che tu sia sempre il mio servo fidato e più di questo, mio amico. Tuttavia vedo quanto sei diventato confuso al servizio di Mystra, nel corso dei secoli. Fidarmi di te mi riesce difficile. Sarebbe più semplice, credo, se ti privassi di tutti i grandi segreti che serbi, di tutte le memorie del mio potere. Nessuno potrà apprenderle da te nei tempi a venire, e io non mi sentirò giudicata in maniera negativa. Io… io devo farlo.»

Scese il silenzio per un momento, interrotto solo dal sibilo del vento. Lei parlò ancora, ansiosa come una madre che sa di aver ferito con le sue parole un figlio prediletto. «Come ti senti ora che ti ho detto tutto!»

Elminster fissò il cielo notturno davanti a sé e affermò: «Un po’ triste. Sollevato più che altro. Non sono arrabbiato, né restio. Giurai di servire Mystra molto, molto tempo fa, quando avrei potuto diventare re di Athalantar. Non sono nulla se spezzo il giuramento. Ho avuto secoli e secoli per assaggiare, odorare, vedere e fare più cose di molti umani, e non rimpiango nulla. Se le tue necessità o persino il tuo capriccio dovessero estinguere la mia esistenza in un istante, o tramutarmi in pietra per il resto dei secoli, sarò contento. Se riprenderti i ricordi ti rallegra, sarò lieto di accontentarti. Farò qualsiasi cosa desideri, con entusiasmo, e con amore».

Elminster sorrise. «Fai di me quello che ritieni meglio, Lady. L’hai sempre fatto.»

Mai prima d’allora aveva udito piangere uno sciame di granelli di luce incantati, ma del resto, gran parte dei maghi non vivono mai tale esperienza.

NOTA

1 Mezzanotte è uno dei personaggi principali della Trilogia di Avatara.

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