Robert Silverberg e la hystorical fantasy

Silverberg non finisce mai di stupirci. Dopo anni e anni passati a scrivere fantascienza classica, tutto ad un tratto si è proiettato nel settore della Heroic Fantasy, dove ha dato prova di sé in diversi volumi e cicli di mole non certo indifferente. Non contento, ora si è cimentato in un altro settore della narrativa di fantasy, per essere esatti quell’Hystorical Fantasy che negli Stati Uniti tanto successo riscuote presso gli appassionati di ogni età.

In quest’ottica eccolo affrontare quella che è senza dubbio alcuno la leggenda di maggior respiro e più antica che sia dato di conoscere sul nostro pianeta: la leggenda di Gilgamesh e della sua ricerca dell’immortalità.

Storia, Leggenda e Mito, si fondono inestricabilmente in quest’epopea che affonda le sue origini nell’alba della storia dell’Uomo: non dobbiamo infatti dimenticare che il poema epico che narra delle avventure di Gilgamesh risale addirittura ad un migliaio d’anni prima della Bibbia.

Quest’opera di letteratura è sicuramente la più antica che sia sopravvissuta sino ai nostri giorni e, se viene dato per certo che è di mille anni antecedente ai poemi omerici dell’Iliade e dell’Odissea, molte sono le tesi che tendono a farla risalire ad un periodo ancora più antico. Il testo che ci è pervenuto è incompleto, ma comprende la storia nelle sue linee essenziali.

Varie versioni della stesura originale sono giunte sino a noi, e il fatto che siano oggi a nostre mani, è dovuto solo a pura fortuna. Comunque, la versione più lunga tra tutte quelle oggi note, fu trovata nel Diciannovesimo Secolo da alcuni archeologi nella grande biblioteca del famoso Re assiro, Assurbanipal e, a questo proposito, non dobbiamo dimenticare che gli Assiri furono gli ultimi eredi della grande cultura mesopotamica, molto tempo dopo che i Sumeri — i quali erano stati appunto i fondatori di questa cultura — erano stati assorbiti da razze più giovani e vigorose.

È opinione comune tra gli studiosi che il poema di Gilgamesh fosse stato inciso su tavolette d’argilla intorno al 700 a.C., comunque ne abbiamo anche una versione successiva — purtroppo in frammenti — scritta in babilonese, ossia la lingua di quel popolo che dominò le terre tra il Tigri e l’Eufrate dopo i Sumeri e prima degli Assiri. A titolo di cronaca, va annotato che del poema di Gilgamesh ne esiste anche una versione in lingua ittita (Siria), e questo ci dimostra come questa storia fosse diffusa in pratica in tutto l’Oriente. Comunque, sia le versioni che ho ora citate, sia diverse altre coeve e successive, risalgono tutte ad un testo sumerico originale che è andato perso.

Per tornare a Silverberg, due sono le cose che colpiscono di più in questo romanzo. La prima è appunto la scelta di una branca particolare della Fantasy quale è appunto la Hystorical e di cui ho fatto cenno in apertura di questa breve presentazione; la seconda invece, che tendo a rimarcare, è che, contrariamente a tutti gli stilemi tipici dei narratori di Fantasy, questa volta Silverberg, partendo da una premessa assolutamente fantastica qual è appunto la Saga di Gilgamesh, cerca di renderla il più realistica possibile, ossia cerca di attribuirle una patente di verosimiglianza e — vorrei dire — perfino di storicità.

A questo scopo ha adottato il metodo di far narrare a Gilgamesh in prima persona le avventure descritte in questo libro, come se lo stesso avesse steso un diario o qualcosa di simile. Inoltre si è volutamente dilungato in particolari attinenti la vita degli antichi Sumeri, a volte addirittura in modo pignolo, si da dare un’impressione di «quotidianeità» che fornisca una patina di assoluta verosimiglianza alle avventure vissute dal nostro Eroe.

Che Gilgamesh sia vissuto realmente non abbiamo alcun motivo di dubitarlo. Scorrendo gli elenchi dei Re della Mesopotamia al tempo dei Sumeri, troviamo il suo nome citato più volte e, con sufficiente approssimazione, possiamo situare il periodo in cui entrò nella Storia, attorno al 2500 a.C. Parimenti gli va dato atto che deve essere stato un Re sempre vittorioso — al punto da essere praticamente invincibile — tant’è che, sino al 500 a.C, periodo in cui ebbe fine la potenza mesopotamica, il suo nome fu sinonimo di Grande Re per eccellenza, di guerriero ineguagliabile e di sommo statista. Fu proprio nell’arco di questi duemila anni che intorno alla sua figura ed al suo nome vennero a crearsi tutta una serie di miti e di leggende che lo volevano un Semidio (per due parti Dio e per una parte essere umano) il quale accentrava in sé le caratteristiche di altri Eroi e Semidei altrettanto leggendari quali Ercole, Ulisse e Prometeo.

È indubbio, come ho già detto e come vi accorgerete nel corso della lettura, che Silverberg abbia tentato di interpretare in chiave quanto più possibile realistica o «storicistica» gli avvenimenti fantasiosi e leggendari che appaiono nei poemi originali che trattano di Gilgamesh e della sua Leggenda. D’altro canto però, va pure detto che, chi ha potuto prendere visione dei testi originali, tutto può trovarvi salvo che fatti «normali e quotidiani» come invece cerca in qualche modo di prospettarci Silverberg. Come mai, allora, Silverberg ha tanto calcato la mano sulla parte «storica» della vicenda?

È semplice. Una volta addentratosi nell’esame di testi attinenti la notissima Leggenda sumerica, testi scritti da autorevoli critici e saggisti sia contemporanei che del secolo scorso come ad esempio Alexander’ Heidel, Samuel Noah Kramer e E.A. Speiser, ha ad un certo momento abdicato al suo ruolo di romanziere per immedesimarsi in quello di ricercatore e storico.

In questo modo, il romanzo che prendeva via via forma sotto le sue dita si è proiettato a fondo nei vari aspetti del sociale e del quotidiano della antica civiltà sumerico, aspetti questi che lo avevano affascinato quando aveva avuto modo di leggerli nei testi degli studiosi che ho sopra elencato. D’altro canto, non dobbiamo mai dimenticare il fascino irresistibile che esercita sugli americani tutto ciò che sa di antico, di epoche perdute, di civiltà scomparse, e che va attribuito alla mancanza in questo popolo di un retroterra di miti e leggende, mancanza derivante dalla sua recente costituzione in nazione appena duecento anni fa.

Che dire del poema di Gilgamesh? È un opera profonda e commovente, un vero poema meditativo sulla necessità della morte. Gilgamesh vi è si descritto come un Semidio, dotato di poteri soprannaturali, sicuro di sé e invincibile, ma è anche perseguitato da una sorta di paralisi derivantegli dalla paura di morire che lo spinge ad intraprendere una ricerca piena di avventure e pericoli per raggiungere l’immortale Utnapitshim (nel testo di Silverberg, Ziusudra) il quale, essendo sopravvissuto al Diluvio Universale, potrà donare anche a lui l’immortalità tanto agognata.

Qui Silverberg si discosta totalmente dal poema originale, ed inventa per Ut-napitshim una spiegazione che vuol essere una sorta di messaggio per l’uomo circa l’ineluttabilità e la necessità della morte. Permettetemi però di dissentire da questa concezione pessimistica e rassegnata di Silverberg, tanto più che esiste una leggenda che vuole Gilgamesh ancora vivo che cerca invece di scoprire il modo in cui poter mettere fine ai suoi giorni dato che è stanco della sua acquisita immortalità…

Un’ultima cosa che va doverosamente detta. L’anno scorso, con la Saga dì Gilgamesh appunto, Silverberg ha vinto il Premio Hugo, a dimostrazione del favore che questo genere della Fantasy riscuote presso gli appassionati americani.


Gianni Pilo

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