IL LIBRO DI LEIF

XXI RITORNO A KARAK

Ridistesi Jim e gli posai un bacio sulla fronte. Mi alzai. Ero stordito dall’angoscia. Ma sotto lo stordimento ribolliva una rabbia straziata, un orrore torturante. Una rabbia mortale contro l’Incantatrice e il Fabbro… orrore per me stesso, per ciò che ero stato… orrore di… Dwayanu!

Dovevo trovare Tibur e l’Incantatrice… ma prima c’era un’altra cosa da fare. Quei due ed Evalie potevano aspettare.

«Dara… Ordina di sollevarlo. Portatelo in una delle case.»

Le seguii a piedi, mentre portavano via Jim. I combattimenti continuavano ancora, ma lontano da noi. Lì c’erano soltanto i morti. Immaginai che Sirk stesse tentando l’ultima resistenza in fondo alla valle.

Dara, Naral ed io, ed una mezza dozzina di soldatesse varcammo la porta sfondata di quella che fino al giorno precedente era stata una casa graziosa. Al centro c’era una sala a colonne. Le altre soldatesse si raggrupparono intorno alle porte sfasciate, guardandone l’entrata. Ordinai di portare nella sala sedie e letti e tutto ciò che si poteva bruciare, di preparare un rogo.

Dara disse: «Signore, permettimi di lavarti la ferita.»

Sedetti su uno sgabello e pensai, mentre lei mi lavava lo squarcio alla testa con vino bruciante. Oltre allo strano stordimento, la mia mente era limpidissima. Ero Leif Langdon. Dwayanu non era padrone del mio cervello… e non lo sarebbe stato mai più. Eppure viveva. Viveva come parte di me stesso. Era come se il trauma di riconoscere Jim avesse dissolto Dwayanu in Leif Langdon. Come se due correnti contrastanti si fossero confuse in una; come se due gocce si fossero unite; come se due metalli antagonistici si fossero fusi insieme.

Era limpido come il cristallo ogni ricordo di tutto ciò che avevo udito e visto, detto e fatto e pensato dal momento in cui ero stato scaraventato dal ponte Nansur. E limpido, atrocemente limpido, era tutto quello che era accaduto prima. Dwayanu non era morto, no! Ma era solo una parte di me, ed io ero più forte. Potevo servirmi di lui, della sua forza, della sua saggezza… ma lui non poteva servirsi di me. Adesso comandavo io. Io ero il padrone.

E pensai che se volevo salvare Evalie… se volevo fare ciò che adesso sapevo di dover fare, a costo della vita, dovevo continuare ad essere, esteriormente, solo Dwayanu. Quello era il mio potere. Non sarebbe stato facile spiegare alle mie soldatesse una trasformazione come quella che avevo subito. Credevano in me e mi seguivano perché ero Dwayanu. Se Evalie, che mi aveva conosciuto come Leif, che mi aveva amato come Leif, che aveva ascoltato Jim, non aveva capito… come potevano capire costoro? No, non dovevano vedere nessun cambiamento.

Mi tastai la testa. Il taglio era lungo e profondo: a quanto pareva, il mio cranio non si era spaccato soltanto perché era troppo solido.

«Dara… hai visto chi mi ha ferito?»

«È stato Tibur, Signore.»

«Ha tentato di uccidermi… Perché non mi ha finito?»

«La sinistra di Tibur non ha mai fallito nel dare la morte. Lui crede che non possa fallire. Ti ha visto cadere… ti ha creduto morto.»

«E la morte mi ha mancato di un capello. Non mi avrebbe mancato, se qualcuno non mi avesse scaraventato da una parte. Sei stata tu, Dara?»

«Sono stata io, Dwayanu. L’ho visto insinuare la mano nella cintura, ho capito cosa stava per fare. Ti ho abbrancato alle ginocchia… in modo che lui non mi vedesse.»

«Perché? Hai paura di Tibur?»

«No. Perché volevo lasciargli credere che non aveva sbagliato il colpo.»

«E perché?»

«In modo che tu avessi un’occasione migliore per ucciderlo, Signore. La tua forza stava dileguando insieme alla vita del tuo amico.»

Guardai attento la mia capitana dagli occhi arditi. Che cosa sapeva? Bene, avrei avuto tempo per scoprirlo. Guardai la pira funebre. Era quasi completa.

«Che cosa ha lanciato, Dara?»

Lei si sfilò dalla cintura un’arma bizzarra, quale non avevo mai visto. L’estremità era appuntita come un pugnale, con quattro costolature affilate come rasoi ai lati. Aveva un manico metallico, lungo venti centimetri, rotondo, simile all’asta di un giavellotto in miniatura. Pesava circa due chili. Era fatta di un metallo che non riconobbi: più completo e più duro del migliore acciaio temperato. In pratica, era un coltello da lancio. Ma nessuna maglia metallica poteva respingere quella punta adamantina, scagliata da un uomo forte come il Fabbro. Dara me la tolse di mano e tirò il corto manico. Immediatamente, le costole scattarono aprendosi come flange. All’estremità erano foggiate come uncini rovesciati. Era un’arma diabolica, se mai ne avevo vista una. Una volta piantata, non c’era modo di svellerla se non tagliando; tirando il manico si facevano scattare le flange che si agganciavano nella carne. La ripresi dalle mani di Dara e me l’infilai nella cintura. Se avevo avuto qualche dubbio su ciò che avrei fatto a Tibur… ora non ne avevo più.

La pira era stata ultimata. Andai a prendere Jim, e ve lo deposi. Lo baciai sugli occhi e gli misi una spada nella mano. Spogliai la sala delle ricche tappezzerie, e lo drappeggiai con quelle. Con una selce, appiccai il fuoco alla pira. Il legno era asciutto e resinoso, e bruciò rapidamente. Guardai le fiamme salire fino a quando il fumo e il fuoco formarono un baldacchino attorno a Jim.

Poi, ad occhi asciutti ma con la morte nel cuore, uscii da quella casa, tra le mie soldatesse.

Sirk era caduta, ed il saccheggio era in corso. Dovunque, dalle case devastate, si levava il fumo. Un distaccamento di soldatesse ci incrociò, trascinando una dozzina di prigionieri: erano tutte donne e bambini, e alcuni erano feriti. Poi vidi che tra quelli che avevo scambiato per bambini c’era un gruppetto di pigmei dorati. Quando mi videro le soldatesse si fermarono, s’irrigidirono e mi guardarono incredule.

Poi una gridò.

«Dwayanu! Dwayanu è vivo!» Alzarono le spade in atto di saluto, lanciando un grido: «Dwayanu!»

Feci un cenno alla capitana.

«Allora credevate che Dwayanu fosse morto?»

«Così ci hanno detto, Signore.»

«E vi hanno detto anche come ero stato ucciso?»

Quella esitò.

«Alcuni dicevano che era stato il Nobile Tibur… per errore… aveva lanciato l’arma contro il comandante di Sirk che ti stava minacciando… e invece ha colpito te… e che il tuo corpo era stato portato via da quelli di Sirk… non so…»

«Basta così, soldatessa. Conduci a Karak i prigionieri. Non indugiare, e non dire che mi hai visto. È un ordine. Per un po’, lascerò che mi si creda morto.»

Le soldatesse si scambiarono strane occhiate, salutarono e passarono oltre. Gli occhi gialli dei pigmei, saturi di un odio velenoso, non mi lasciarono fino a quando non si furono allontanati. Attesi, riflettendo. Dunque era quello che avevano raccontato! Ma dovevano avere paura, altrimenti non si sarebbero presi il disturbo di diffondere la diceria dell’incidente! Presi una decisione. Era inutile aggirarmi per Sirk in cerca di Tibur. Era assurdo farmi vedere, in modo che alle orecchie di Tibur e di Lur arrivasse la notizia che Dwayanu era vivo! Sarebbero venuti da me… senza saperlo. C’era un’unica via per uscire da Sirk: passare per il ponte. Li avrei attesi là. Mi rivolsi a Dara.

Le soldatesse girarono i cavalli, e per la prima volta notai che tutte avevano un destriero. E per la prima volta mi accorsi che erano tutte della mia guardia: e molte di loro avevano fatto parte delle truppe a piedi, ma adesso anche quelle erano a cavallo, e su una dozzina di selle c’erano i colori dei nobili che avevano seguito me, l’Incantatrice e Tibur attraverso il varco di Sirk. Fu Naral che, intuendo la mia perplessità, parlò con il suo abituale tono quasi impudente.

«Queste sono le tue fedelissime, Dwayanu! I cavalli erano senza cavaliere… o almeno, qualcuno lo abbiamo reso tale. Per difenderti meglio se Tibur… commettesse un altro errore.»

Non risposi fino a quando non aggirammo la casa in fiamme e fummo in uno dei vialetti. Poi dissi loro: «Naral, Dara, parliamo un momento.»

Quando ci fummo allontanati un po’ dalle altre, dissi: «Vi devo la vita… soprattutto a te, Dara. Potete chiedermi tutto ciò che sono in grado di darvi e ve lo darò. Vi domando solo… la verità.»

«Dwayanu… te la diremo.»

«Perché Tibur vuole uccidermi?»

Naral replicò, asciutta: «Il Fabbro non era l’unico che ti voleva morto, Dwayanu.»

Lo sapevo, ma volevo sentirmelo dire da loro.

«Chi altri, Naral?»

«Lur… e quasi tutti i nobili.»

«Ma perché? Non gli avevo aperto Sirk?»

«Stavi diventando troppo forte. Dwayanu. Lur e Tibur non accetterebbero mai di venire al secondo posto… o al terzo… o forse di non averlo.»

«Ma avevano già avuto la possibilità…»

«Ma tu non avevi preso Sirk per loro,» osservò Dara.

Naral disse, risentita: «Dwayanu, tu stai giocando con noi. Sai come noi o anche meglio qual era la ragione. Sei venuto qui con quell’amico che hai appena deposto sul rogo funebre. Lo sapevano tutti. Se tu dovevi morire… doveva morire anche lui. Non doveva sopravvivere, magari per fuggire e per condurre altri in questo luogo… perché io so, come sanno altri, che al di fuori di qui c’è la vita e che Khalk’ru non regna supremo, come vorrebbero farci credere i nobili. Bene… e qui vi incontrate tu e il tuo amico. E non solo voi due, ma anche la ragazza bruna dei Rrrllya, la cui morte o la cui cattura potrebbe fiaccare lo spirito del Piccolo Popolo e piegarlo al giogo di Karak. Tutti e tre… insieme! Ma, Dwayanu… era il posto e il momento per colpire! E Lur e Tibur l’hanno fatto: hanno ucciso il tuo amico, e credono di aver ucciso anche te, e hanno catturato la ragazza bruna.»

«E se io uccido Tibur, Naral?»

«Allora ci sarà da combattere. E dovrai stare in guardia, perché i nobili ti odiano, Dwayanu. È stato detto loro che sei contrario all’antica tradizione… che vuoi umiliarli ed innalzare il popolo. Che intendi persino porre fine ai Sacrifici…»

Mi diede un’occhiata di sottecchi.

«E se fosse vero?»

«Ormai quasi tutti i soldati sono dalla tua parte, Dwayanu. E se fosse vero, avresti dalla tua anche quasi tutto il popolo. Ma Tibur ha amici… anche tra i soldati. E Lur non è debole.»

Costrinse il suo cavallo ad alzare la testa, con cattiveria.

«È meglio che tu uccida anche Lur, finché te la senti, Dwayanu!»

Non risposi. Trottammo lungo i vialetti, senza parlare più. Dovunque c’erano cadaveri, e case sventrate. Uscimmo dalla città, e attraversammo la stretta spianata fino al varco tra le pareti rocciose. In quel momento non c’era nessuno, sulla strada, e passammo la gola inosservati. Uscimmo sullo spiazzo dietro la fortezza. Lì c’erano soldati, moltissimi, e gruppi di prigionieri. Io procedevo al centro del mio squadrone, chino sul collo del cavallo. Dara mi aveva fasciato approssimativamente la testa. Le bende e l’elmo che avevo raccolto nascondevano i miei capelli gialli. C’era molta confusione, e nessuno mi riconobbe. Mi avviai alla porta della torre, dietro la quale eravamo rimasti in agguato mentre le truppe di Karak prendevano il ponte. Entrai con il cavallo e chiusi a mezzo la porta. Le mie donne si raggrupparono all’esterno. Non era probabile che venisse contestato il loro diritto di restare lì. Io mi accinsi ad aspettare Tibur.

Era una dura attesa! La faccia di Jim, davanti al fuoco da campo. La faccia di Jim che mi sorrideva nelle trincee. La faccia di Jim china su di me, quando io giacevo sulla scarpata muscosa, alla soglia del miraggio… la faccia di Jim, rovesciata sotto di me, sulla strada di Sirk…

Tsantawu… Sì, Tsantawu! E tu pensavi che dalla foresta potesse uscire soltanto qualcosa di incantevole!

Evalie? Non m’importava nulla di Evalie in quel momento, preso com’ero in quel limbo che era contemporaneamente ghiaccio e furore incandescente.

«Salva… Evalie!» mi aveva raccomandato Jim. Ebbene, avrei salvato Evalie! A parte questo, lei non contava più dell’Incantatrice… sì, un po’ di più… Avevo un conto da saldare con l’Incantatrice… Con Evalie non ne avevo…

La faccia di Jim… sempre la faccia di Jim… librata davanti a me…

Udii un sussurro.

«Dwayanu… sta arrivando Tibur!»

«Lur è con lui, Dara?»

«No: c’è un gruppo di nobili. Sta ridendo. Porta in arcione la ragazza bruna.»

«Quant’è lontano, Dara?»

«Circa un tiro di freccia. Cavalca lentamente.»

«Quando uscirò, stringetevi dietro di me. Sarà un duello fra me e Tibur. Non credo che i suoi accompagnatori oseranno attaccarmi. Se lo faranno…»

Dara rise.

«Se lo faranno, gli balzeremo alla gola, Dwayanu. Ci sono uno o due amici di Tibur con i quali vorrei regolare il conto. Questo ti chiediamo: non sprecare parole né tempo con Tibur. Uccidilo in fretta. Perché, per gli Dèi, se lui uccide te, per tutte quelle di noi che catturerà ci saranno la vasca bollente e i coltelli degli scuoiatori.»

«Lo ucciderò, Dara.»

Aprii la grande porta, adagio. Adesso potevo vedere Tibur, sul suo cavallo che veniva al passo verso l’estremità del ponte. Sulla sella c’era Evalie. Lei stava afflosciata; i capelli neroazzurrati erano sciolti e le coprivano la faccia come un velo. Aveva le mani legate dietro il dorso, strette da una mano di Tibur. Intorno e dietro il Fabbro c’era una dozzina dei suoi seguaci: erano nobili, e quasi tutti uomini. Avevo notato che, sebbene l’Incantatrice avesse pochi uomini tra le sue guardie, il Fabbro dimostrava una preferenza per loro, come amici e come scorta personale. Teneva girata la testa verso di loro, e la sua voce ruggente di trionfo e la sua risata giungevano fino a me. Ormai nel recinto non c’erano quasi più soldati né prigionieri. Non c’era nessuno tra noi. Mi chiesi dove fosse l’Incantatrice.

Tibur era più vicino, più vicino.

«Pronte, Dara… Naral?»

«Pronte, Signore!»

Spalancai la porta. Spronai il cavallo verso Tibur, tenendomi chino, con il mio piccolo esercito che mi seguiva. Deviai verso di lui rialzando la testa, accostai la faccia alla sua.

Tibur s’irrigidì: mi guardò negli occhi e spalancò la bocca. Capii che quanti lo seguivano erano rimasti inchiodati dallo stesso sbalordimento incredulo. Prima che il Fabbro potesse riprendersi dalla paralisi, gli avevo strappato Evalie dalla sella e l’avevo passata a Dara.

Levai la spada per squarciare la gola di Tibur. Non gli diedi un preavviso. Non c’era tempo per le regole cavalieresche. Per due volte aveva cercato di uccidermi a tradimento. Lo avrei finito in fretta.

Sebbene il mio colpo fosse stato rapido, il Fabbro lo fu ancora di più. Si ributtò all’indietro, scivolò dal cavallo e atterrò sui tacchi, come un gatto. Balzai dal mio stallone prima che avesse alzato a mezzo il suo grosso martello per scagliarlo. Avventai la lama per trapassargli la gola. La parò con il martello. Poi fu preso da una furia folle. Il martello cadde con uno schianto sulla roccia. Si avventò su di me, ululando. Mi avvinghiò con le braccia, imprigionando le mie contro i fianchi, in una stretta di acciaio vivo. Con le gambe cercò di rovesciarmi. Le sue labbra erano ritratte, come quelle di un lupo idrofobo; mi piantò la testa alla base del collo, cercando di lacerarmi la gola con i denti.

Le costole mi scricchiolarono sotto la morsa delle braccia di Tibur. I polmoni mi scoppiavano, la vista si affievoliva. Mi contorsi e mi dibattei per sfuggire a quelle fauci rosse, a quelle zanne affannose.

Udii grida, attorno a me, udii e intravvidi il mulinare dei cavalli. Le dita convulse della mia mano sinistra toccarono la mia cintura… si chiusero su qualcosa… qualcosa che sembrava l’impugnatura di un giavellotto…

Il dardo diabolico di Tibur!

Mi afflosciai, inerte, all’improvviso, nella stretta del Fabbro. Tuonò la sua risata, rauca di trionfo. E per una frazione di secondo, la sua presa si allentò.

Quell’attimo fu sufficiente. Chiamai a raccolta tutte le mie forze e mi liberai dalla morsa. Prima che potesse abbrancarmi ancora, la mia mano era affondata nella cintura e ne aveva estratto il dardo.

L’alzai di scatto e lo piantai nella gola di Tibur, sotto k mascella. Tirai il manico. Le flange affilate come rasoi si aprirono, recidendo arterie e muscoli. La risata belluina di Tibur si cambiò in un orrendo gorgoglìo. Le sue mani cercarono l’impugnatura, la tirarono… la strapparono via…

E il sangue zampillò dalla gola squarciata di Tibur; le ginocchia gli si piegarono; barcollò e cadde ai miei piedi, soffocando… e le sue mani, debolmente, cercavano ancora di abbrancarmi…

Rimasi immobile, stordito, ansando per ritrovare il respiro, con il sangue che mi rombava nelle orecchie.

«Bevi questo, Signore!»

Alzai gli occhi verso Dara. Mi stava porgendo una borraccia di vino. La presi tra le mani tremanti e bevvi a lungo. Il buon vino mi sferzò. Mi staccai di colpo la borraccia dalle labbra.

«La ragazza bruna dei Rrrllya… Evalie. Non è con te?»

«Eccola là. L’ho messa su un altro cavallo. C’è stato da combattere, Signore.»

Guardai in faccia Evalie. Lei ricambiò il mio sguardo con gli occhi castani freddi, implacabili.

«È meglio che usi il resto del vino per lavarti il viso, Signore. Non sei uno spettacolo adatto ad una tenera fanciulla.»

Mi passai la mano sulla faccia e la ritirai bagnata di sangue.

«È sangue di Tibur, Dwayanu, grazie agli Dèi!»

Dara mi portò il mio cavallo. Mi sentii meglio quando fui di nuovo in sella. Gettai un’occhiata a Tibur. Le sue dita si agitavano ancora, debolmente. Mi guardai intorno. Accanto al ponte c’era una compagnia sbandata di arciere di Karak. Alzarono gli archi in atto di saluto.

«Dwayanu! Viva Dwayanu!»

Il mio drappello mi parve stranamente ridotto. Chiamai… «Naral!»

«È morta, Dwayanu. Ti ho detto che si è combattuto.»

«Chi l’ha uccisa?»

«Non importa. Quello l’ho fatto fuori io. E i superstiti della scorta di Tibur sono fuggiti. E adesso, Signore?»

«Attendiamo Lur.»

«Non dovremo attendere molto. Sta arrivando.»

Squillò un corno. Mi voltai e vidi l’Incantatrice che attraversava al galoppo lo spiazzo. Le trecce rosse erano sciolte, la spada arrossata: era sporca per la battaglia quasi quanto me. Con lei galoppavano una dozzina scarsa delle sue donne, e una mezza dozzina dei suoi nobili.

L’aspettai. Lur frenò il cavallo davanti a me, scrutandomi con occhi accesi, frenetici.

Avrei dovuto ucciderla come avevo ucciso Tibur. Avrei dovuto odiarla. Ma mi accorsi che non l’odiavo. Tutto l’odio che prima c’era in me sembrava essersi riversato su Tibur. No, non l’odiavo.

Lei sorrise lievemente.

«È difficile ucciderti, Capelli Gialli!»

«Dwayanu… Incantatrice.»

Mi lanciò un’occhiata quasi sprezzante.

«Tu non sei più Dwayanu!»

«Prova a convincere i soldati, Lur.»

«Oh, lo so,» disse lei, e abbassò gli occhi su Tibur. «Così hai ucciso il Fabbro. Bene, almeno sei ancora un uomo.»

«L’ho ucciso per te, Lur!» l’irrisi. «Non te lo avevo promesso?»

Non mi rispose: chiese soltanto, come prima aveva fatto Dara: «E adesso?»

«Attendiamo qui, fino a che Sirk sarà vuota Poi andremo a Karak, e tu cavalcherai al mio fianco. Non mi piace averti alle spalle, Incantatrice.»

Lei parlò sottovoce alle sue donne, poi restò a testa china, riflettendo, senza rivolgermi più la parola.

Bisbigliai a Dara: «Possiamo fidarci delle arciere?»

Lei annuì.

«Ordina loro di attendere e di marciare con noi. E di’ che trascinino il corpo di Tibur in qualche angolo.»

Per mezz’ora passarono i soldati, con i prigionieri e i cavalli, il bestiame e il resto del bottino. Arrivarono al galoppo piccoli drappelli di nobili con i loro seguaci, e si fermarono per parlare: ma alla mia parola e al cenno di Lur, varcarono il ponte. Quasi tutti i nobili parevano sbigottiti e scontenti della mia resurrezione: i soldati mi salutavano gaiamente.

Poi anche l’ultima compagnia a ranghi ridotti uscì dal varco. Io mi aspettavo di vedere Sri, ma non era con quelli: ne dedussi che era stato portato a Karak insieme ai primi prigionieri, o forse era stato ucciso.

«Vieni,» dissi all’Incantatrice. «Di’ alle tue donne di precederci.»

Mi avvicinai ad Evalie, l’issai dalla sella e me la misi in arcione. Non oppose resistenza, ma la sentii ritrarsi da me. Sapevo che era convinta di essere passata da Tibur ad un altro padrone, di essere per me soltanto una preda di guerra. Se non avessi avuto la mente così stanca, penso che ne avrei sofferto. Ma ero troppo sfinito per curarmene.

Varcammo il ponte, tra le nebbie del vapore. Eravamo quasi arrivati alla foresta quando l’Incantatrice rovesciò all’indietro la testa e lanciò un richiamo lungo, ululante. I lupi bianchi irruppero dalle felci. Ordinai alle arciere d’incoccare le frecce. Lur scosse il capo.

«Non devi far loro del male. Vanno a Sirk. Si sono meritati la paga.»

I lupi bianchi corsero attraverso lo spiazzo spoglio verso l’estremità del ponte, l’imboccarono, svanirono. Li udii ululare tra i morti.

«Anch’io mantengo le mie promesse,» disse l’Incantatrice.

Proseguimmo, addentrandoci nella foresta, per tornare a Karak.

XXII LA PORTA DI KHALK’RU

Eravamo vicini a Karak quando i tamburi del Piccolo Popolo cominciarono a rullare.

Una stanchezza plumbea s’impadroniva di me, sempre più forte. Faticavo a restare sveglio. Il colpo che avevo ricevuto in testa da Tibur era una delle cause: ma avevo preso altri colpi e non avevo mangiato nulla da prima dell’alba. Non riuscivo a pensare, e meno ancora a progettare ciò che avrei fatto dopo essere rientrato a Karak.

I tamburi del Piccolo Popolo mi scossero dal letargo, mi ridestarono completamente. All’inizio scrosciarono come un tuono sopra il fiume bianco. Poi scesero ad un ritmo lento, misurato, carico di minacce implacabili. Sembrava che la Morte fosse ritta sulle tombe vuote e le calpestasse prima di mettersi in marcia.

Al primo scroscio Evalie si raddrizzò, poi ascoltò con tutti i nervi tesi. Trattenni il mio cavallo, e vidi che anche l’Incantatrice si era fermata e stava ascoltando con la stessa intensità di Evalie. C’era qualcosa d’inspiegabilmente inquietante in quel tambureggiare monotono. Qualcosa che andava al di là ed al di fuori dell’esperienza umana… o che non la raggiungeva. Era come se migliaia di cuori messi a nudo battessero all’unisono, in un unico ritmo inalterabile, che non sarebbe cessato fino a quando anche i cuori non si fossero fermati… inesorabile… crescente in un’area sempre più vasta… e si diffondeva, si diffondeva… fino a battere su tutta la terra al di là del bianco Nanbu.

Parlai a Lur.

«Sto pensando che questa è l’ultima delle mie promesse, Incantatrice. Ho ucciso Yodin, ti ho dato Sirk, ho ucciso Tibur… ed ecco la tua guerra con i Rrrllya.»

Non avevo pensato a quel che avrebbe provato Evalie! Si voltò e mi lanciò un lungo, fermo sguardo di sarcasmo; poi disse all’Incantatrice, freddamente, in un uiguro zoppicante: «È la guerra. Non te l’aspettavi, quando hai osato catturarmi? Ci sarà guerra fino a quando il mio popolo non mi riavrà. È meglio che tu stia attenta a come ti servi di me.»

L’autocontrollo dell’Incantatrice si spezzò a quelle parole, e i fuochi a lungo repressi della sua collera esplosero.

«Bene! Ora spazzeremo via una volta per tutti i tuoi cani gialli. E tu verrai scuoiata, o immersa nel calderone… o data a Khalk’ru. Che vincano o perdano… ai tuoi cani resterà ben poco di te. Tu verrai usata come vorrò io.»

«No,» dissi. «Come vorrò io, Lur.»

Gli occhi azzurri divamparono. E gli occhi castani incontrarono i miei, sardonici come prima.

«Dammi un cavallo. Non mi piace il tuo contatto… Dwayanu.»

«Nonostante questo dovrai cavalcare con me, Evalie.»

Entrammo in Karak. I tamburi rullavano, ora forte, ora sommessi. Ma sempre con quel ritmo immutabile, inesorabile. Ora forte, ora piano, forte e piano. Come se la Morte calpestasse le tombe cave… ora rabbiosamente ed ora con leggerezza.

C’era molta gente per le strade. Guardavano tutti Evalie, e bisbigliavano. Non vi furono acclamazioni né grida di benvenuto. Sembravano incupiti, spaventati. Poi capii che erano così intenti ad ascoltare i tamburi da avvedersi appena del nostro passaggio. I tamburi erano più vicini. Li sentivo parlare di postazione in postazione lungo la sponda opposta del fiume. Le lingue dei tamburi parlanti risuonavano più forti delle altre. E continuavano a ripetere: «E-vah-li! Evah-li!»

Attraversammo lo spiazzo aperto, verso la porta della cittadella nera. Mi fermai.

«Tregua, Lur.»

Lei lanciò un’occhiata beffarda ad Evalie.

«Tregua! Che bisogno c’è d’una tregua tra me e te, Dwayanu?»

Io dissi, calmo: «Sono stanco di massacri. Tra i prigionieri vi sono alcuni Rrrllya. Portiamoli dove possono parlare con Evalie e con noi due. Poi ne libereremo una parte, li manderemo oltre il Nanbu, a portare l’annuncio che non intendiamo fare alcun male ad Evalie. Che invitiamo i Rrrllya a inviarci domani un’ambasceria autorizzata a concludere una pace duratura. E che quando la pace sarà conclusa, potranno ricondurre Evalie con loro, e illesa.»

Lur disse, sorridendo: «Dunque… Dwayanu ha paura dei nani!»

Io ripetei: «Sono stanco di massacri.»

«Ahimé,» sospirò lei. «Eppure non una volta sola ho sentito Dwayanu vantarsi che egli mantiene sempre le sue promesse… e mi sono lasciata indurre a pagare in anticipo! Ahimé, Dwayanu è cambiato!»

Mi aveva punto sul vivo: ma riuscii a dominare la mia collera. Dissi: «Se non vuoi accettare, Lur, allora darò gli ordini personalmente. Ma allora la nostra città sarà divisa, e facile preda per il nemico.»

Lur rifletté.

«Quindi non vuoi la guerra contro i piccoli cani gialli? E sei persuaso che se la ragazza verrà loro restituita, la guerra non ci sarà? E allora cosa aspetti? Perché non la rimandi subito insieme ai prigionieri? Portali al Nansur, parlamenta con i nani che sono là. Il dialogo fra i tamburi potrebbe sistemare tutto in poco tempo… se tu hai ragione. E allora questa notte potremo dormire senza che i tamburi ci disturbino.»

Era vero: ma intuivo la malizia delle sue parole. La verità era che non volevo rimandare subito Evalie. Altrimenti non avrei avuto mai più una occasione per giustificarmi con lei, lo sapevo, per vincere la sua diffidenza… per indurla ad accettarmi ancora come il Leif che lei aveva amato. Ma se avessi avuto un po’ di tempo… forse ci sarei riuscito. E l’Incantatrice lo sapeva.

«Non possiamo farlo troppo in fretta, Lur,» obiettai, soavemente. «Penserebbero che abbiamo paura di loro… come la mia proposta ti ha indotto a pensare che io li temessi. Per concludere un trattato del genere abbiamo bisogno di ben altro che un’affrettata conversazione fra tamburi. No: terremo la ragazza come ostaggio fino a quando avremo fissato le nostre condizioni.»

Lur piegò il capo, riflettendo, poi mi guardò con gli occhi limpidi e sorrise.

«Hai ragione, Dwayanu. Manderò a prendere i prigionieri non appena mi sarò ripulita della sporcizia di Sirk. Verranno condotti nella tua camera. E nel frattempo non farò altro. Ordinerò d’informare i Rrrllya di Nansur che presto i loro compagni catturati torneranno tra loro con un messaggio. In questo modo, almeno, acquisteremo tempo. E abbiamo bisogno di tempo, Dwayanu… Tutti e due.»

La guardai, attento. Lei rise e spronò il cavallo. La seguii oltre la porta, nella grande piazza cintata. Era affollata di soldati e di prigionieri. Lì il rullo dei tamburi era più intenso. Sembrava provenire dalla stessa piazza, da tamburi invisibili percossi da suonatori invisibili. I soldati erano chiaramente a disagio, i prigionieri eccitati, tesi in un curioso atteggiamento di sfida.

Entrato nella cittadella chiamai vari ufficiali che non avevano preso parte all’attacco contro Sirk: ordinai che la guarnigione delle mura di fronte al Ponte Nansur venisse rafforzata. Inoltre, comandai di suonare un allarme per far rientrare i soldati e la gente dagli avamposti e dalle fattorie. Ordinai di rafforzare anche la guardia sulle mura dalla parte del fiume e di avvertire la popolazione della città che quanti desideravano rifugiarsi nella rocca potevano farlo, ma prima del crepuscolo. Mancava un’ora scarsa al cader della notte. Non ci sarebbero stati problemi per provvedere a loro in quella piazza immensa. Feci tutto questo nell’eventualità che il messaggio non sortisse alcun effetto. In quest’ultimo caso, non volevo causare un massacro a Karak, che poteva resistere ad un assedio fino a quando io fossi riuscito a convincere il Piccolo Popolo della mia buona fede. O convincerne Evalie, e indurla a concludere la pace.

Poi condussi Evalie nelle mie stanze: non era l’appartamento del Gran Sacerdote, dove la Piovra Nera incombeva sui tre seggi, ma un complesso di comode stanze in un’altra parte della cittadella. Il drappello che mi aveva seguito durante il sacco di Sirk e più tardi, venne con noi. Affidai Evalie a Dara. Mi feci lavare, medicare e fasciare le ferite, poi mi vestii. Le finestre guardavano sul fiume, e i tamburi rullavano da impazzire. Ordinai di portare cibo e vino, e chiamai Evalie. Me la portò Dara. Era stata ben trattata, ma non volle mangiare con me. Mi disse: «Temo che il mio popolo avrà ben poca fiducia nei messaggi che tu invierai, Dwayanu.»

«Più tardi parleremo dell’altro messaggio, Evalie. Non sono stato io a inviarlo. E Tsantawu, che è morto tra le mie braccia, mi ha creduto quando gli ho detto che non ero stato io.»

«Ti ho sentito dire a Lur che le avevi promesso Sirk. A lei non hai mentito, Dwayanu… perché Sirk è caduta. Come posso crederti io?»

Ribattei: «Avrai la prova che dico la verità, Evalie. Ed ora, giacché non vuoi mangiare con me, va con Dara.»

Evalie non trovò nulla da ridire su Dara. Dara non era un traditore bugiardo, ma un soldato, e combattere a Sirk o altrove era il suo mestiere. Andò con lei.

Mangiai poco e bevvi parecchio. Il vino mi ridiede una nuova vita, scacciò gli ultimi residui di stanchezza. Per il momento accantonai risolutamente la mia angoscia per Jim, pensando a ciò che intendevo fare ed a come dovevo farlo. Poi bussarono alla porta, ed entrò l’Incantatrice.

Le trecce rosse l’incoronavano, allacciate con il filo di zaffiri. Non recava i segni delle lotte sostenute quel giorno, né tracce di stanchezza. Gli occhi erano fulgidi e limpidi, le labbra rosse sorridevano. La sua voce dolce e bassa, il suo tocco sul mio braccio richiamarono ricordi che credevo svaniti insieme a Dwayanu.

Chiamò, e dalla porta entrò una fila di soldatesse, conducendo una dozzina di pigmei slegati: i loro occhi gialli si accesero d’odio nel vedermi, ma anche di curiosità. Parlai gentilmente con loro; mandai a chiamare Evalie. Lei arrivò, ed i pigmei dorati le corsero incontro, le si buttarono addosso come una frotta di bimbi, cinguettando e trillando, accarezzandole i capelli, toccandole le mani ed i piedi.

Evalie rise, li chiamò per nome uno ad uno, poi parlò rapidamente. Riuscii a capire poco di quel che diceva: dall’espressione rannuvolata di Lur mi resi conto che lei non aveva capito nulla. Ripetei ad Evalie, meticolosamente, quanto avevo detto a Lur: e lei già lo sapeva almeno in parte, perché aveva dimostrato di comprendere l’uiguro, o l’ayjir, meglio di quanto volesse ammettere. Poi, per Lur, tradussi dalla lingua dei nani.

Il patto venne concluso in fretta. Metà dei pigmei avrebbero subito attraversato il Nanbu per raggiungere la guarnigione oltre il ponte. Per mezzo dei tamburi parlanti, avrebbero inoltrato il nostro messaggio alla roccaforte del Piccolo Popolo. Se fosse stato accettato, il rullo dei tamburi sarebbe cessato immediatamente.

Dissi a Evalie: «Quando parleranno con i loro tamburi, dicano che non verrà chiesto nulla di più di quanto era stabilito dalla vecchia tregua… e che non li attenderà più la morte, quando attraverseranno il fiume.»

L’Incantatrice disse: «E questo che significa, Dwayanu?»

«Ora che Sirk è stata annientata, è una punizione che non ha più motivo di essere, Lur. Che raccolgano pure le loro erbe ed i loro metalli come vogliono: è tutto.»

«Tu hai in mente qualcosa d’altro…» Lur socchiuse gli occhi.

«Loro mi hanno capito, Evalie… ma diglielo anche tu.»

I pigmei si scambiarono trilli; poi dieci di loro si fecero avanti: erano quelli prescelti per portare il messaggio. Mentre stavano per andarsene, li fermai.

«Se Sri si è salvato, ditegli di venire con l’ambasceria. Meglio ancora… che la preceda. Avvertitelo per mezzo dei tamburi che venga al più presto possibile. Lui è il mio salvacondotto, e resterà con Evalie fino a quando tutto non sarà sistemato.»

I pigmei si consultarono e acconsentirono. L’Incantatrice non fece commenti. Per la prima volta vidi gli occhi di Evalie addolcirsi nel guardarmi.

Quando i pigmei se ne furono andati, Lur andò alla porta e fece un cenno. Entrò Ouarda.

«Ouarda!»

Mi era simpatica. Ero contento di sapere che era ancora viva. Le andai incontro a mani tese. Lei me le strinse.

«Sono state due soldatesse, Signore. Avevano delle sorelle a Sirk. Hanno tagliato la scala prima che potessimo impedirglielo. Le abbiamo uccise,» disse.

Fosse piaciuto a Dio che l’avessero tagliata prima che qualcuno mi seguisse!

Stavo per parlare, quando una delle mie capitane bussò ed entrò.

«L’oscurità è già scesa e le porte sono chiuse, Signore. Tutti coloro che hanno voluto entrare sono nella cittadella.»

«Sono molti, soldatessa?»

«No, Signore… non più di un centinaio o giù di lì. Gli altri hanno rifiutato.»

«Hanno spiegato le ragioni del rifiuto?»

«Questa domanda è un ordine, Signore?»

«È un ordine.»

«Hanno detto che sono più al sicuro dove stanno. Che i Rrrllya non hanno motivi di risentimento nei loro confronti, perché loro non sono mai stati altro che carne per Khalk’ru.»

«Basta, soldatessa!» La voce dell’Incantatrice era aspra. «Va’! E porta con te i Rrrllya.»

La capitana salutò, girò sui tacchi e se ne andò con i pigmei. Io risi.

«Le soldatesse hanno tagliato la nostra scala per simpatia verso coloro che sono fuggiti da Khalk’ru. Il popolo teme meno i nemici di Khalk’ru che i suoi servitori e macellai. Facciamo bene a concludere questa pace con i Rrrllya, Lur.»

La vidi impallidire, poi arrossire, vidi le nocche delle sue mani sbiancarsi, quando le strinse. Poi sorrise, si versò del vino, alzò il calice con mano ferma.

«Bevo alla tua saggezza… Dwayanu!»

Era un’anima forte… l’Incantatrice! Un cuore di guerriero. Mancava un po’ di tenerezza femminile, certo. Ma non mi sorprendeva che Dwayanu l’avesse amata… a modo suo e per quanto poteva amare una donna.

Nella camera scese il silenzio, stranamente intensificato dal rullare continuo dei tamburi. Non so per quanto tempo rimanemmo seduti in quel silenzio. Ma all’improvviso, il battito dei tamburi si affievolì.

E poi, di colpo, i tamburi smisero, completamente. Il silenzio portò con sé un senso d’irrealtà. Sentii i nervi tesi allentarsi come molle tenute in pressione troppo a lungo. Quel silenzio improvviso mi fece dolorare le orecchie, mi rallentò il battito del cuore.

L’Incantatrice si alzò.

«Tieni con te la ragazza questa notte, Dwayanu?»

«Dormirà in una di queste stanze, Lur. Sarà sorvegliata. Nessuno la potrà raggiungere senza passare attraverso la mia camera.» La guardai, con un’espressione significativa. «Ed io ho il sonno leggero. Non devi aver paura che fugga.»

«Sono lieta perché i tamburi non disturberanno il tuo sonno… Dwayanu.»

Mi rivolse un saluto ironico e se ne andò, insieme a Ouarda.

E all’improvviso la stanchezza s’impadronì nuovamente di me. Mi rivolsi a Evalie, che mi osservava con occhi in cui mi sembrava si fosse insinuato un dubbio. Certo non c’era disprezzo né odio, in quegli occhi. Bene, adesso l’avevo portata dove avevo inteso portarla con tutte quelle manovre. Sola con me. E mentre la guardavo sentivo che, di fronte a tutto ciò che mi aveva visto fare, a tutto ciò che aveva sopportato per causa mia… le parole non servivano. E non riuscivo a trovare quelle che avrei voluto. No, ci sarebbe stato tutto il tempo… l’indomani mattina, forse, quando io avessi dormito… o quando avessi fatto ciò che dovevo fare… allora lei avrebbe dovuto credere…

«Dormi, Evalie. Dormi senza paura… e credimi: tutto ciò che è accaduto sta trovando la sua giusta soluzione. Vai con Dara. Sarai ben protetta. Nessuno può arrivare fino a te se non passando per questa stanza, e qui ci sarò io. Dormi, e non aver paura di nulla.»

Chiamai Dara, le impartii le istruzioni, ed Evalie uscì con lei. Di fronte alla tenda che chiudeva l’accesso alla stanza accanto lei esitò, si girò a mezzo come per dire qualcosa, ma tacque. Poco dopo, Dara ritornò. Mi disse: «È già addormentata, Dwayanu.»

«Dovresti dormire anche tu, amica mia,» le dissi. «E anche tutte quelle che sono state al mio fianco, oggi. Credo che non abbiamo nulla da temere, per questa notte. Scegli quelle di cui puoi fidarti e mettile a guardia del corridoio e della mia porta. Dove l’hai condotta?»

«Nella stanza accanto a questa, Signore.»

«Sarebbe bene che tu e le altre dormiste qui, Dara. C’è una mezza dozzina di stanze a vostra disposizione. Fatevi portare cibi e vino… in abbondanza.»

Dara rise.

«Ti aspetti un assedio, Dwayanu?»

«Non si sa mai.»

«Non ti fidi molto di Lur, Signore?»

«Non me ne fido affatto, Dara.»

Lei annuì e si voltò per andarsene. D’impulso, le dissi: «Dara, tu e le tue compagne dormireste meglio, questa notte, e scegliereste meglio le sentinelle, se ti dicessi che non ci saranno più sacrifici a Khalk’ru finché io avrò vita?»

Trasalì: il suo volto s’illuminò, si addolcì. Mi tese la mano.

«Dwayanu… Io avevo una sorella che è stata data a Khalk’ru. Intendi davvero fare ciò che hai detto?»

«Per la vita del mio sangue! Per tutti gli Dèi viventi! Intendo farlo veramente!»

«Dormi bene, Signore!» La sua voce era soffocata. Passò tra le tende; ma ebbi il tempo di scorgere le lacrime sulle sue guance.

Bene, una donna aveva il diritto di piangere… anche se era un soldato. Anch’io avevo pianto, quel giorno.


Mi versai del vino e sedetti riflettendo, mentre bevevo. I miei pensieri erano incentrati soprattutto sull’enigma di Khalk’ru. E c’era una buona ragione.

Che cos’era Khalk’ru?

Mi sfilai la catena che portavo al collo, aprii il medaglione e studiai l’anello. Poi lo richiusi e lo gettai sulla tavola. Sentivo che era meglio tenerlo lì, anziché sul mio cuore, mentre riflettevo.

Dwayanu aveva dubitato che quella Cosa terribile fosse lo Spirito del Vuoto ed io, che adesso ero Leif Langdon ed un passivo Dwayanu, mi sentivo sicuro che non lo era. Eppure non potevo accettare la teoria di Barr sull’ipnosi collettiva… e potevo escludere con assoluta certezza che si trattasse di un trucco.

Qualunque cosa fosse Khalk’ru, come aveva detto l’Incantatrice, Khalk’ru era. O almeno quella Forma che diventava materiale grazie al rito, all’anello ed allo schermo… era.

Pensai che avrei potuto attribuire ad un’allucinazione l’esperienza nel tempio dell’oasi se non si fosse ripetuta lì, nella Terra Oscurata. Ma non potevo dubitare della realtà dei Sacrifici che io avevo compiuto; non potevo dubitare della distruzione… dell’assorbimento, della dissoluzione delle dodici ragazze. Né della fede di Yodin nel potere del tentacolo nero che avrebbe dovuto eliminarmi, né del suo completo annientamento. E pensai che se le vittime dei sacrifici e Yodin erano nascosti tra le quinte a ridere di me, come aveva detto Barr… allora erano fra le quinte di un teatro in un altro mondo. E c’era l’orrore profondo del Piccolo Popolo, l’orrore di tanti Ayjir… e c’era stata la rivolta nell’antica terra degli Ayjir, nata dallo stesso orrore, che aveva distrutto la Madrepatria con la guerra civile.

No, quale che fosse la Cosa, anche se alla scienza ripugnava ammettere la sua realtà… c’era ancora l’atavismo, la superstizione, come l’avrebbe chiamata Barr: io sapevo che la Cosa era reale. Non di questa terra… no, certamente non di questa terra. E neppure sovrannaturale; o meglio, sovrannaturale solo in quanto poteva uscire da un’altra dimensione, o addirittura da un altro mondo che i nostri cinque sensi non sapevano rivelare.

Pensai che la scienza e la religione sono sorelle, ed è soprattutto per questo che si odiano tanto; che scienziati e religiosi sono eguali in fatto di dogmatismo, d’intolleranza; è per questo che ogni lotta religiosa per l’interpretazione di un credo o di un culto ha il suo parallelo nelle controversie della scienza per un osso o per una pietra.

Eppure, come nelle chiese vi sono uomini la cui mentalità non si è fossilizzata religiosamente, così vi sono uomini nei laboratori le cui menti non si sono fossilizzate scientificamente… Einstein che aveva osato sfidare tutte le concezioni dello spazio e del tempo con il suo spazio quadridimensionale in cui il tempo stesso era una dimensione, e provava l’esistenza dello spazio a cinque dimensioni, al posto delle nostre quattro, le sole percepibili dai nostri sensi, che le percepiscono nel modo sbagliato… la possibilità che una dozzina di mondi roteassero intrecciati con questo… nello stesso spazio… l’energia che noi chiamiamo materia potrebbe essere sintonizzata, in quelli, su altre vibrazioni, ed ognuno di essi potrebbe essere assolutamente ignaro dell’altro… sovvertendo completamente il vecchio assioma secondo il quale due corpi non possono occupare lo stesso spazio nello stesso tempo.

E pensai… cosa sarebbe accaduto se in un tempo molto lontano uno scienziato degli Ayjir avesse scoperto tutto ciò! Se avesse scoperto la quinta dimensione, oltre alla lunghezza, la larghezza, lo spessore ed il tempo. O se avesse scoperto uno dei mondi intrecciati, la cui materia filtra tra gli interstizi della materia del nostro. E se, dopo aver scoperto quella dimensione o quel mondo, avesse trovato la via di rendere manifesti gli abitanti di quella dimensione o di quel mondo agli abitanti del nostro. Con il suono e con il gesto, con l’anello e con lo schermo, aveva aperto una porta attraverso la quale quegli abitanti potevano venire… o almeno apparire! E allora, di quale arma aveva potuto disporre lo scopritore! Di quale arma avrebbe potuto disporre l’inevitabile sacerdote della Cosa! Ed era accaduto così in un tempo lontanissimo, così come accadeva lì a Karak.

In quel caso, era un solo abitatore, oppure molti, quelli che stavano in agguato sulla porta per bere la vita? I ricordi lasciatimi da Dwayanu mi dicevano che c’erano stati altri templi nella terra degli Ayjir, oltre a quello dell’oasi. Era lo stesso Essere che compariva in ciascuno? La Forma uscita dalla pietra infranta dell’oasi era la stessa che si era nutrita nel tempio del miraggio? Oppure ve n’erano molti… abitatori di un’altra dimensione o di un altro mondo… che rispondevano avidi alla chiamata? Non era necessario che nel loro ambiente tali Cose avessero la forma del Kraken. Quella poteva essere la forma che le leggi naturali imponevano loro per passare nel nostro mondo.

Riflettei molto a lungo. Mi sembrava che fosse la migliore spiegazione di Khalk’ru. In tal caso, allora il modo per liberarsi di Khalk’ru consisteva nel distruggere le sue vie d’accesso. E quello, riflettei, era stato il motivo del dissidio tra gli antichi Ayjir.

Ma non bastava a spiegare perché soltanto coloro che appartenevano al sangue antico potevano compiere l’evocazione…

Udii una voce sommessa, alla porta. Mi accostai in punta di piedi, ascoltai. Aprii l’uscio: c’era Lur, che parlava alle mie guardie.

«Cosa cerchi, Lur?»

«Voglio parlare con te. Ti porterò via soltanto pochissimo tempo, Dwayanu.»

Studiai l’Incantatrice. Era ritta, taciturna, e nei suoi occhi non c’era sfida, né risentimento, né calcoli sottili… solo una supplica. Le trecce rosse le ricadevano sulle spalle candide: non aveva armi né ornamenti. Sembrava più giovane di quanto l’avessi mai vista, e desolata. Non provai l’impulso di beffarmi di lei, né di respingerla. Provai invece un fremito di profonda pietà.

«Entra, Lur… e dimmi tutto ciò che hai da dire.»

Chiusi la porta dietro di lei. Si avvicinò alla finestra, guardò la notte semibuia, scintillante di verde. Mi avvicinai.

«Parla sottovoce, Lur. La ragazza dorme nella camera accanto. Lasciala riposare.»

Lei parlò con voce atona.

«Vorrei che tu non fossi mai venuto qui, Capelli Gialli.»

Io pensai a Jim e risposi.

«Lo vorrei anch’io, Incantatrice. Ma sono qui.»

«Perché mi odii tanto?»

«Non ti odio, Lur. Non provo più odio… se non per una cosa.»

«Quale?»

Involontariamente guardai la tavola. Vi ardeva una candela, e la sua luce cadeva sul medaglione che conteneva l’anello. Lo sguardo di Lur seguì il mio.

Disse: «Che intendi fare? Spalancare ai nani le porte di Karak? Restaurare Nansur? Governare su Karak e sui Rrrllya, con la ragazza bruna al tuo fianco? È così… e se è così, che ne sarà di Lur? Rispondimi. Ho il diritto di sapere. C’è un legame tra noi… ti ho amato quando eri Dwayanu… lo sai bene…»

«E hai cercato di uccidermi quando ero ancora Dwayanu,» dissi, cupo.

«Perché ho visto morire Dwayanu, mentre guardavi negli occhi lo straniero,» rispose lei. «Tu, che Dwayanu aveva dominato, stavi uccidendo Dwayanu. Io amavo Dwayanu. Perché non avrei dovuto vendicarlo?»

«Se credi che io non sia più Dwayanu, allora io sono l’uomo il cui amico tu hai attirato in trappola e assassinato… l’uomo di cui hai attirato in trappola la donna amata… e l’avresti uccisa… E se è così… che diritti hai su di me, Lur?»

Non mi rispose per lunghi istanti. Poi disse: «Ho la giustizia dalla mia parte. Ti dico che amavo Dwayanu. Sapevo qualcosa di te fin dall’inizio, Capelli Gialli. Ma ho visto destarsi Dwayanu dentro di te. E sapevo che era veramente lui! E sapevo anche che, finché vivevano il tuo amico e la ragazza bruna, c’era pericolo per Dwayanu. Ecco perché ho tramato per condurli a Sirk. Ho gettato il dado, nella speranza di poterli uccidere prima che tu li vedessi. Poi, pensavo, tutto sarebbe andato per il meglio. Non sarebbe rimasto più nessuno per risvegliare in te ciò che Dwayanu aveva soverchiato. Ho perduto. Ho capito di aver perduto quando, per un capriccio di Luka, vi siete ritrovati tutti e tre. Ed il furore e l’angoscia si sono impadroniti di me… e ho fatto quello che ho fatto.»

«Lur,» dissi, «rispondimi sinceramente. Quel giorno che sei ritornata al Lago degli Spettri dopo aver inseguito le donne… non erano le tue spie che portarono il falso messaggio a Sirk? E non hai atteso fino a quando hai saputo che il mio amico ed Evalie erano in trappola, prima di lasciarmi partire? Non pensavi che, se ti avessi spalancato le porte di Sirk, ti saresti liberata non solo di quei due ma anche di Dwayanu? Perché ricorda… forse tu amavi Dwayanu, ma come lui stesso ti aveva detto, amavi il potere più di lui. E Dwayanu era una minaccia per il tuo potere. Rispondimi sinceramente.»

Per la seconda volta scorsi le lagrime negli occhi dell’Incantatrice. Parlò con voce spezzata.

«Ho mandato le mie spie, sì. Ho atteso che quei due fossero in trappola. Ma non ho mai avuto intenzione di fare del male a Dwayanu!»

Non le credevo. Tuttavia non provavo collera né odio. La pietà si fece più forte.

«Lur, ora ti dirò la verità. Non ho intenzione di regnare su Karak e sui Rrrllya insieme ad Evalie. Non desidero più il potere. Quel desiderio è scomparso insieme a Dwayanu. Concluderò la pace con i nani, e tu regnerai su Karak… se vorrai. La ragazza bruna tornerà con il Piccolo Popolo. Non vorrà certo rimanere a Karak. E neppure io…»

«Non puoi andare con lei,» m’interruppe Lur. «I suoi cani gialli non si fideranno mai di te. Avresti sempre puntate addosso le loro frecce.»

Annuii… l’avevo pensato anch’io, da tanto tempo.

«Allora tutto dovrà sistemarsi,» dissi. «Ma non ci saranno più sacrifici. La porta di Khalk’ru verrà chiusa per sempre. E la chiuderò io.»

I suoi occhi si dilatarono.

«Vuoi dire…»

«Voglio dire che escluderò per sempre Khalk’ru da Karak… a meno che Khalk’ru si riveli più forte di me.»

Si torse le mani, disperata.

«Ed a che mi servirà allora regnare su Karak… come potrò tenere in pugno il popolo?»

«Comunque… distruggerò la porta di Khalk’ru.»

Lur mormorò: «Per gli Dèi… se avessi l’anello di Yodin…»

Sorrisi a quelle parole.

«Incantatrice, tu sai benissimo che Khalk’ru non viene al richiamo di una donna.»

Le luci stregate le balenarono negli occhi, con uno sfolgorìo di gemme verdi.

«C’è un’antica profezia, Capelli Gialli, che Dwayanu non conosceva… o che aveva dimenticato. Dice che quando Khalk’ru accorre al richiamo di una donna… rimane! È per questa ragione che nell’antica terra degli Ayjir nessuna donna poteva essere sacerdotessa del sacrificio.»

Risi.

«Un grazioso animaletto domestico, Lur… da aggiungere ai tuoi lupi.»

Lur si avviò verso la porta e si soffermò. «E se potessi amarti… come amavo Dwayanu? Sapresti amarmi come Dwayanu mi amava? E ascolta! Rimanda la ragazza bruna al suo popolo e togli il bando di morte, per loro, da questa parte del Nanbu. Lasceresti le cose come stanno… regneresti con me su Karak?»

Le aprii la porta.

«Ti ho detto che non desidero più il potere, Lur.»

Se ne andò.

Ritornai alla finestra, accostai una sedia e sedetti a riflettere. All’improvviso, vicino alla cittadella, udii il grido di un lupo. Ululò tre volte, e poi tre volte ancora.

«Leif!»

Balzai in piedi. Evalie mi era accanto. Mi guardava tra i veli dei suoi capelli: i suoi occhi limpidi splendevano… senza più dubbi, odii, paure. Erano come un tempo.

«Evalie!»

Le mie braccia la cinsero; le mie labbra trovarono le sue. «Ho ascoltato, Leif!»

«Tu mi credi, Evalie!»

Mi baciò, mi tenne abbracciato.

«Ma quella donna aveva ragione, Leif. Non puoi ritornare con me nella terra del Piccolo Popolo. Loro non capirebbero mai… mai. E io non vorrei mai abitare a Karak.»

«Allora verrai con me, Evalie… nella mia terra? Dopo che avrò fatto ciò che devo fare… e se non verrò annientato nel farlo?»

«Verrò con te, Leif!»

Pianse un poco, e poi si addormentò tra le mie braccia. La sollevai, la riportai nella sua camera, la coprii con le coperte di seta. Non si svegliò.

Ritornai nella mia stanza. Quando passai accanto alla tavola presi il medaglione, feci per infilarmelo al collo. Lo ributtai sul tavolo. Non avrei portato mai più quella catena. Mi gettai sul letto, con la spada a portata di mano. Mi addormentai.

XXIII NEL TEMPIO DI KHALK’RU

Mi svegliai due volte. La prima, furono gli ululati dei lupi a destarmi. Sembrava che fossero sotto la mia finestra. Ascoltai, assonnato, e mi riaddormentai.

La seconda volta mi svegliai di colpo da un sogno angoscioso. Mi aveva scosso un rumore nella stanza: di questo ero certo. La mia mano cercò la spada che giaceva sul pavimento accanto al letto. Ebbi l’impressione che nella camera ci fosse qualcuno. Non riuscii a scorgere nulla, in quella verde oscurità. Chiesi, sottovoce: «Evalie! Sei tu?»

Non una risposta, non un suono.

Mi levai a sedere sul letto, spinsi addirittura una gamba fuori dalle coperte per alzarmi. Poi ricordai le sentinelle alla mia porta, e Dara e le sue soldatesse che erano vicine, e mi dissi che era stato solo il mio sogno angoscioso a svegliarmi. Tuttavia per qualche tempo rimasi desto, in ascolto, con la spada in mano. E poi il silenzio mi cullò, mi fece riaddormentare.


Sentii bussare alla mia porta, e mi dibattei per uscire dal sonno. Vidi che l’alba era già passata. Andai alla porta senza far rumore per non destare Evalie. L’aprii, e lì, insieme alle guardie, c’era Sri. L’omettino era venuto ben armato, con le lance e la spada falcata: alle spalle portava appeso uno dei piccoli sonori tamburi parlanti. Mi guardò con espressione amichevole. Gli accarezzai la mano e indicai la tenda.

«Evalie è là, Sri. Vai a svegliarla.»

Mi trotterellò davanti. Salutai le guardie, e mi voltai per seguire il pigmeo. Era fermo davanti alla cortina e mi guardava con occhi che non erano più amichevoli. Disse: «Evalie non c’è.»

Lo fissai, incredulo. Gli passai accanto e mi precipitai in quella stanza. Era vuota. Mi accostai al mucchio di sete e di cuscini su cui aveva dormito Evalie, lo toccai. Non serbava più il suo calore. Con Sri alle calcagna passai nella stanza accanto. Dara e una mezza dozzina di soldatesse stavano dormendo. Evalie non era con loro. Toccai la spalla di Dara. Lei si sollevò a sedere, sbadigliando.

«Dara… la ragazza è sparita!»

«Sparita!» Mi fissò, incredula, come io avevo fissato il pigmeo dorato. Saltò in piedi, corse nella stanza vuota, poi insieme a me nelle altre camere. C’erano le soldatesse addormentate, ma non Evalie.

Tornai correndo nella mia stanza, alla porta. Una rabbia furiosa s’impadronì di me. In fretta, aspramente, interrogai le guardie. Non avevano visto nessuno. Nessuno era entrato; nessuno era uscito. Il pigmeo dorato ascoltava, senza abbandonarmi un attimo con lo sguardo.

Mi mossi per tornare nella stanza di Evalie. Passai davanti alla tavola su cui avevo lasciato il medaglione. Lo presi, lo sollevai; era stranamente leggero… l’aprii…

L’anello di Khalk’ru non c’era!

Fissai furioso il medaglione vuoto, e come una fiamma torturante m’investì la consapevolezza di ciò che poteva significare la sparizione di Evalie e dell’anello. Gemetti, mi appoggiai alla tavola per non cadere.

«Il tamburo, Sri! Chiama il tuo popolo! Ordina che vengano, presto! Forse c’è ancora tempo!»

Il pigmeo dorato sibilò: i suoi occhi divennero minuscole pozze di fuoco giallo. Non poteva avere compreso tutto l’orrore del mio pensiero… ma capì abbastanza. Balzò alla finestra, girò il tamburo e cominciò a lanciare un messaggio dopo l’altro… perentorio, rabbioso, cattivo. Subito arrivarono le risposte… da Nansur, e poi lungo tutto il fiume, e più oltre, ruggivano i tamburi del Piccolo Popolo.

Lur li avrebbe uditi? Non poteva non udirli… ma avrebbe ascoltato? Quella minaccia sarebbe bastata a fermarla? Avrebbe capito che ero sveglio e che il Piccolo Popolo sapeva del suo tradimento… e di Evalie.

Dio! Se Lur udiva… ero in tempo per salvare Evalie?

«Presto, Signore!» Dara mi chiamò, dalla tenda. Il nano ed io accorremmo. Lei indicò la parete laterale. Là, dove si congiungevano due pietre scolpite, pendeva un brandello di seta.

«Lì c’è una porta, Dwayanu! Ecco come l’hanno portata via. Andavano di fretta. La stoffa è rimasta impigliata quando la porta s’è chiusa.»

Cercai qualcosa per sfondare la pietra. Ma Dara stava già premendo qua e là. La pietra si mosse. Sri mi sfrecciò davanti e si lanciò nel passaggio buio. Lo seguii, vacillando, con Dara alle calcagna e poi le altre. Il passaggio era stretto, e non molto lungo. All’estremità c’era un muro compatto. Dara premette di nuovo fino a quando anche questo si aprì.

Irrompemmo nella camera del Gran Sacerdote. Gli occhi del Kraken mi fissavano, mi trapassavano con quella loro imperscrutabile malignità. Eppure mi sembrava che adesso contenessero anche una sfida.

Tutto il furore insensato, l’agitazione cieca della rabbia mi abbandonarono. Giunse una decisione fredda, uno scopo ben preciso che non aveva nulla di concitato… È troppo tardi per salvare Evalie?… Non è però troppo tardi per distruggerti, nemico mio…

«Dara… procuraci dei cavalli. Raduna in fretta tutte le donne di cui ti puoi fidare. Prendi soltanto le più forti. Falle trovare pronte alla porta della strada del tempio… Andiamo a farla finita con Khalk’ru. Diglielo.»

Mi rivolsi al pigmeo dorato.

«Non so se potrò aiutare Evalie. Ma la farò finita con Khalk’ru. Aspetti i tuoi… o vieni con me?»

«Vengo con te.»

Sapevo dove si trovava l’alloggio dell’Incantatrice nella cittadella nera: non era molto lontano. Sapevo che non l’avrei trovata, ma dovevo esserne certo. E forse aveva condotto Evalie al Lago degli Spettri, pensai mentre transitavo davanti a gruppi di soldatesse che mi salutavano inquiete e perplesse. Ma in fondo al cuore sapevo che non era così. Sapevo che era stata Lur a svegliarmi quella notte. Lur, che si era insinuata furtiva tra le tende per prendere l’anello di Khalk’ru. E se l’aveva fatto, c’era una sola ragione. No, non poteva essere al Lago degli Spettri.

Eppure, se era entrata nella mia stanza… perché non mi aveva ucciso? Oppure aveva avuto intenzione di farlo, e aveva dovuto desistere quando mi ero svegliato e avevo chiamato Evalie? Aveva avuto paura di spingersi troppo oltre? Oppure aveva voluto risparmiarmi?

Arrivai nelle sue stanze. Non c’era. Non c’era nessuna delle sue donne. L’alloggio era vuoto, e non c’erano neppure le soldatesse di guardia.

Mi misi a correre. Il pigmeo dorato mi seguì, lanciando grida acute, con i giavellotti nella sinistra, la spada falcata nella destra. Giungemmo alla porta della strada del tempio.

C’erano tre o quattrocento soldati che mi attendevano. Tutti a cavallo… e tutte donne. Balzai sullo stallone che Dara mi portò, issai Sri in sella. Ci lanciammo al galoppo verso il tempio.

Avevamo percorso metà della via quando, dagli alberi che la fiancheggiavano balzarono i lupi bianchi. Irruppero come un torrente candido, si buttarono alla gola dei cavalli, si scagliarono sui cavalieri. Frenarono il nostro impeto; i cavalli incespicarono, caddero addosso a quelli che i lupi avevano abbattuto nella rapida, inattesa imboscata; le soldatesse caddero con loro, furono sbranate dai lupi prima di riuscire a rimettersi in piedi. Mulinammo tra loro… cavalli e uomini e donne e lupi in un cerchio turbinoso, spruzzato di cremisi.

Alla mia gola balzò il grande lupo, il capo del branco di Lur, con gli occhi verdi fiammeggianti. Non ebbi il tempo per un affondo con la spada. Gli serrai la gola con la mano sinistra, lo sollevai e lo scagliai dietro di me. Ma le sue zanne mi avevano addentato e ferito.

Superammo i lupi. Quelli che erano rimasti ci inseguirono. Ma avevano decimato le mie truppe.

Udii il clangore di un’incudine… percossa tre volte… l’incudine di Tubalka!

Dio! Era vero… Lur era nel tempio… ed Evalie… e Khalk’ru!

Ci precipitammo verso l’ingresso. Udii delle voci levarsi nell’antico canto. La porta era sbarrata… irta delle spade dei nobili, uomini e donne.

«Passiamo in mezzo a loro, Dara! Travolgiamoli!»

Li investimmo come un ariete. Spada contro spada, colpendoli con i martelli e le asce da combattimento, travolgendoli sotto gli zoccoli dei cavalli.

Il canto stridulo di Sri non smetteva mai. Il suo giavellotto si avventava, la sua spada falcata lampeggiava.

Facemmo irruzione nel tempio di Khalk’ru. L’inno si arrestò. I cantori si levarono contro di noi, con spade ed asce e martelli: pugnalarono e massacrarono i nostri cavalli; ci fecero cadere. L’anfiteatro era un ribollente calderone di morte…

Davanti a me stava l’orlo della piattaforma. Spronai il mio cavallo in quella direzione, montai in piedi sulla sella e saltai sul podio. Vicino, alla mia destra, c’era l’incudine di Tubalka; accanto, con il maglio levato per colpire, stava Ouarda. Udii il rullo dei tamburi, i tamburi dell’evocazione di Khalk’ru. I sacerdoti erano chini sugli strumenti e mi voltavano le spalle.

Davanti ai sacerdoti, con l’anello di Khalk’ru levato alto, stava Lur.

E tra lei e l’oceano sferico di pietra gialla che era la porta di Khalk’ru, appesi a due a due alle cinture dorate c’erano i pigmei…

E nel Cerchio del Guerriero… Evalie!

L’Incantatrice non mi guardò: non si volse mai a guardare il ruggente calderone dell’anfiteatro dove si battevano i nobili e le soldatesse.

Si lanciò nel rituale!

Urlando, mi avventai su Ouarda. Le strappai dalle mani il grande martello. Lo scagliai contro lo schermo giallo… diritto verso la testa di Khalk’ru. Con ogni grammo della mia forza scagliai quel grande martello.

Lo schermo si screpolò! Il martello venne scagliato indietro… ricadde…

La voce dell’Incantatrice continuava… continuava… senza esitare mai.

Ci fu un ondeggiamento all’interno dello schermo screpolato. Il Kraken che galleggiava nell’oceano sferico parve arretrare… spingersi avanti…

Corsi verso di lui… verso il martello.

Mi soffermai per un attimo accanto ad Evalie. Infilai le mani nella cintura d’oro, la spezzai come se fosse stata di legno. Le gettai ai piedi la spada.

«Difenditi, Evalie!»

Raccolsi il martello. Lo alzai. Gli occhi di Khalk’ru si mossero… mi fissarono minacciosi, consci della mia presenza… i tentacoli si agitarono… Ed il freddo paralizzante cominciò a serpeggiare intorno a me… Gli lanciai contro tutta la mia volontà.

Scagliai il maglio di Tubalka contro la pietra gialla… ancora… e ancora…

I tentacoli di Khalk’ru si protesero verso di me!

Vi fu uno scroscio cristallino, come di un fulmine caduto molto vicino. La pietra gialla dello schermo s’infranse. Piovve intorno a me come grandine sospinta da un uragano gelido. Vi fu un tremore di terremoto. Il tempio ne fu squassato. Mi caddero le braccia, paralizzate. Il martello di Tubalka mi scivolò dalle mani che non riuscivano più a stringerlo. Il freddo gelido turbinò attorno a me, salì, salì… ci fu uno strillo ed un urlo terribile…

Per un istante, la forma del Kraken rimase librata là dove era stato lo schermo. Poi si contrasse. Parve risucchiata via, in lontananze incommensurabili. Svanì.

E la vita tornò a scorrere precipitosa dentro di me!

C’erano schegge irregolari di pietra gialla sul pavimento di roccia… e dentro, frammenti neri del Kraken… Battei freneticamente e le ridussi in polvere…

«Leif!»

La voce di Evalie, stridula, angosciata. Mi voltai di scatto. Lur si stava avventando contro di me, con la spada levata. Prima che potessi muovermi, Evalie si era buttata in mezzo a noi, s’era scagliata davanti all’Incantatrice e aveva sferrato un colpo con la sua spada.

La lama di Lur parò il colpo, affondò… morse… ed Evalie cadde…

Lur balzò verso di me. La guardai avanzare, senza muovermi, senza curarmene… c’era sangue sulla sua spada… sangue di Evalie…

Qualcosa di simile ad un lampo le toccò il petto. Lei si fermò, come se una mano gigantesca l’avesse respinta. Lentamente, cadde in ginocchio. Si afflosciò sulla roccia.

Dal ciglio della piattaforma balzò un lupo, ululando. Si scagliò su di me. Vi fu un altro lampo luminoso. Il lupo sobbalzò e cadde… a mezz’aria.

Vidi Sri, acquattato. Uno dei suoi giavellotti si era piantato nel petto di Lur, l’altro nella gola del lupo… Vidi il pigmeo dorato correre verso Evalie… La vidi alzarsi, coprendosi con la mano una spalla dalla quale sgorgava il sangue…

Mi incamminai verso Lur, irrigidito, come un automa. Il lupo bianco tentò di rialzarsi vacillando, poi si trascinò verso l’Incantatrice, strisciando sul ventre. La raggiunse prima di me. Le lasciò cadere la testa sul petto, poi la girò, e giacque guardandomi ferocemente, morendo.

L’Incantatrice levò lo sguardo verso di me. I suoi occhi erano dolci, e la sua bocca aveva perduto tutta la crudeltà. Era tenera. Mi sorrise.

«Vorrei che non fossi mai venuto qui, Capelli Gialli!»

E poi…

«Il mio Lago degli Spettri!»

La sua mano si sollevò, ricadde sulla testa del lupo morente, in una carezza. Sospirò…

L’Incantatrice era morta.


Guardai i volti spaventati di Evalie e di Dara.

«Evalie… la tua ferita…»

«Non è profonda, Leif… guarirà presto… non importa…»

Dara esclamò: «Salute, o Dwayanu! Hai compiuto una cosa grande, in questo giorno!»

Cadde in ginocchio e mi baciò la mano. Mi accorsi che le mie soldatesse superstiti erano salite sulla piattaforma e si stavano inginocchiando davanti a me. E Ouarda giaceva accanto all’incudine di Tubalka, e anche Sri era in ginocchio e mi fissava, gli occhi colmi di adorazione.

Udii il tumulto dei tamburi del Piccolo Popolo… non più sull’altra sponda del Nanbu… a Karak… e più vicini.

Dara riprese a parlare.

«Ritorniamo a Karak, Signore. Ora è tutta tua.»

Mi rivolsi a Sri.

«Suona il tamburo, Sri. Di’ ai tuoi compagni che Evalie è viva. Che Lur è morta. Che la porta di Khalk’ru è chiusa per sempre. Che non vi saranno più uccisioni.»

Sri rispose: «Ciò che hai fatto ha annientato ogni causa di guerra tra il mio popolo e Karak. Obbediremo a te e ad Evalie. Dirò loro ciò che hai fatto.»

Girò il piccolo tamburo, alzò le mani per suonare. Lo fermai.

«Aspetta, Sri. Io non sarò più qui a farmi obbedire.»

Dara gridò: «Dwayanu… non vorrai lasciarci?»

«Sì, Dara… Ora tornerò al luogo da cui sono venuto… Non vengo a Karak. E ho chiuso con il Piccolo Popolo, Sri.»

Intervenne Evalie, ansimante.

«Ed io… Leif?»

Le posai le mani sulle spalle, la guardai negli occhi.

«Questa notte hai detto che saresti venuta con me, Evalie. Ti libero dalla promessa… Penso che sarai più felice qui, con il tuo Piccolo Popolo…»

Lei rispose con fermezza.

«Io so dov’è la mia felicità. Mantengo la promessa… a meno che tu non mi voglia più…»

«Ti voglio… ragazza bruna!»

Evalie si rivolse a Sri.

«Porta tutto il mio afletto ai Piccolo Popolo, Sri. Non lo rivedrò più.»

L’omettino le si aggrappò, si gettò a terra davanti a lei, gemette e pianse mentre lei gli parlava. Alla fine si accosciò, e fissò a lungo la porta frantumata del Kraken. Vidi che la conoscenza segreta lo sfiorava. Mi si avvicinò, mi tese le braccia perché lo sollevassi. Mi alzò le palpebre e mi guardò profondamente negli occhi. Mi posò la mano e poi la testa sul petto, e ascoltò il battito del mio cuore. Poi saltò giù, attirò a sé la testa di Evalie e le bisbigliò qualcosa.

Dara disse: «La volontà di Dwayanu è la nostra volontà. Eppure è difficile capire perché non vuole rimanere con noi.»

«Sri lo sa… più di quanto lo sappia io. Non posso restare, Dara.»

Evalie mi si accostò. I suoi occhi brillavano di lacrime represse.

«Sri dice che ora dobbiamo andare, Leif… in fretta. Il mio popolo non deve vedermi. Dirà loro qualcosa, con il tamburo… non ci saranno combattimenti… e d’ora innanzi ci sarà pace.»

Il pigmeo dorato cominciò a battere sul tamburo parlante. Ai primi colpi tutti gli altri tamburi tacquero. Quando lui ebbe finito ripresero a suonare… giubilanti, trionfanti… fino a quando nel loro ritmo s’insinuò una nota interrogativa. Lui batte di nuovo un messaggio… Venne la risposta… irosa, perentoria… e stranamente incredula.

Sri mi disse: «Presto! Presto!»

E Dara: «Resteremo con te fino alla fine, Dwayanu.»

Annuii e guardai Lur. Sulla sua mano l’anello di Khalk’ru irradiò un bagliore improvviso. Mi accostai a lei, sollevai quella mano inerte e sfilai l’anello. Lo frantumai sull’incudine di Tubalka come avevo fatto con l’anello di Yodin.

Evalie disse: «Sri conosce una strada che ci condurrà fuori, nel tuo mondo, Leif. È alla sorgente del Nanbu. Ci guiderà lui.»

«La via passa per il Lago degli Spettri, Evalie?»

«Glielo chiederò… sì, passa di là.»

«Va bene. Andremo in una terra dove gli abiti che indosso non saranno adatti. E bisogna provvedere anche per te.»

Lasciammo il tempio a cavallo; Sri era sulla mia sella, ed Evalie e Dara mi stavano al fianco. I tamburi erano vicinissimi. Si smorzarono, quando emergemmo dalla foresta, sulla strada. Avanzammo rapidi. Verso la metà del pomeriggio raggiungemmo il Lago degli Spettri. Il ponte levatoio era abbassato. Non c’era nessuno nella guarnigione. Il castello dell’Incantatrice era deserto. Cercai e trovai i miei vecchi abiti; mi tolsi gli indumenti sontuosi di Dwayanu. Presi un’ascia da combattimento, m’infilai nella cintura una corta spada, scelsi dei giavellotti per Evalie e per me. Ci sarebbero serviti per aprirci un varco, e sarebbero stati i nostri mezzi per procurarci il cibo, più tardi. Portammo con noi delle provviste, prese nel castello di Lur, e pelli per vestire Evalie quando sarebbe uscita dal Miraggio.

Non salii nella stanza dell’Incantatrice. Udii il mormorio della cascata… e non osai guardarla.

Per tutto il resto del pomeriggio galoppammo lungo la riva del fiume bianco. I tamburi del Piccolo Popolo ci seguivano… interrogando… chiamando… «E-vah-li… E-vahli… E-vah-li…»

Al cader della notte eravamo giunti alle pareti di roccia in fondo alla valle. Lì il Nanbu scaturiva in un torrente poderoso da qualche sorgente sotterranea. L’attraversammo. Sri ci guidò dentro un burrone che saliva ripido, e lì ci accampammo.

E quella notte pensai a lungo a quello che Evalie avrebbe trovato nel nuovo mondo in attesa oltre il Miraggio… il mondo del Sole e delle stelle e del vento e del freddo. Pensai a lungo a ciò che dovevo fare per proteggerla fino a quando si sarebbe abituata a quel mondo. E ascoltai i tamburi del Piccolo Popolo che la chiamavano, e la guardai mentre dormiva, e piangeva e sorrideva nel sogno.

Doveva imparare a respirare. Sapevo che quando sarebbe uscita da quell’atmosfera in cui era vissuta sin dall’infanzia, avrebbe smesso subito di respirare… la privazione dello stimolo abituale dell’anidride carbonica avrebbe avuto quell’effetto immediato. Doveva imparare a respirare a forza fino a quando i riflessi fossero ridiventati automatici e non dovesse più pensarci consciamente. E di notte, quando dormiva, sarebbe stato tre volte più difficile. Avrei dovuto restare a vegliare accanto a lei.

E doveva entrare nel nuovo mondo con gli occhi bendati, fino a quando i suoi nervi abituati alla luminosità verde del Miraggio avrebbero potuto sopportare la luce più forte. Potevamo ricavare indumenti caldi dalle pelli. Ma il cibo… cosa aveva detto Jim, tanto, tanto tempo fa? Coloro che avevano mangiato il cibo del Piccolo Popolo sarebbero morti se ne avessero mangiato dell’altro. Ebbene, in parte era vero. Eppure, solo in parte: si poteva rimediare.

Con l’alba venne un ricordo improvviso: lo zaino che avevo nascosto sulla riva del Nanbu quando ci eravamo tuffati nel fiume bianco, inseguiti dai lupi. Se fosse stato possibile trovarlo, sarebbe servito a risolvere il problema, almeno per quanto riguardava il vestiario di Evalie. Ne parlai a Dara. E lei e Sri andarono a cercarlo. Durante la loro assenza le soldatesse cercarono il cibo, ed io insegnai ad Evalie quanto doveva fare per superare il pericoloso ponte che stava tra il suo mondo ed il mio.

Rimasero assenti due giorni… ma avevano trovato lo zaino. Portarono la notizia che vi era pace tra gli Ayjir ed il Piccolo Popolo. In quanto a me…

Dwayanu il Liberatore era venuto, come prometteva la profezia… Era venuto e li aveva liberati dall’antico, terribile destino… e se n’era andato, com’era suo diritto, nel luogo da cui era giunto per adempiere la profezia… e aveva con sé Evalie, come era egualmente suo diritto. Sri l’aveva fatto sapere a tutti.

Ed il mattino dopo, quando la luce mostrò che il Sole si era levato sui picchi circostanti alla Valle del Miraggio, partimmo… Evalie era al mio fianco, e sembrava un esile ragazzo.

Salimmo fino a quando ci trovammo tra le nebbie verdi. E lì ci separammo. Sri si aggrappò a Evalie, le baciò le mani e i piedi, pianse. E Dara mi strinse le mani sulle spalle.

«Ritornerai da noi, Dwayanu? Ti aspetteremo!»

Era come l’eco della voce del capo uiguro… tanto e tanto tempo prima…

Mi voltai e cominciai ad arrampicarmi, seguito da Evalie. Pensai che anche Euridice aveva seguito così il suo innamorato, uscendo dalla Terra delle Ombre, in un altro tempo lontanissimo.

Le figure di Sri e delle soldatesse si annebbiarono. Poi furono nascoste dai vapori verdi…

Sentii il tocco pungente del freddo sul mio viso. Raccolsi Evalie tra le braccia… e salii e salii… e finalmente uscii barcollando nel tepore assoluto dei pendii oltre i precipizi.


Spuntò il giorno in cui vincemmo la lunga, aspra lotta per la vita di Evalie. La stretta nel Miraggio non si era allentata facilmente. Ci volgemmo verso meridione e posammo i piedi sul sentiero che conduceva a Sud.

Eppure…


Lur… Incantatrice! Ti vedo giacere là, sorridendo con le labbra intenerite… e la testa del lupo bianco posata sul tuo petto! E Dwayanu vive ancora in me!


FINE
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