XXII

Il ritorno alla coscienza avvenne di colpo. Barrent si sollevò, e si rese conto immediatamente di trovarsi nella cabina di comando. La porta metallica alle sue spalle era chiusa, e adesso lui poteva respirare senza difficoltà. Il locale era deserto. Forse, pensando che sarebbe rimasto svenuto a lungo, erano andati a chiamare le guardie.

Si alzò, e istintivamente raccolse la pistola. Dopo averla osservata attentamente corrugò la fronte e la ripose in tasca.

Perché, si chiese, lo avevano lasciato nella cabina comando, la parte più importante dell’astronave? E perché gli avevano lasciato la pistola?

Cercò di ricordare le facce intraviste prima di svenire. Erano figure indistinte, vaghe e sfuocate, con voci cavernose, da sogno. C’erano state veramente delle persone in quella stanza?

Più ci pensava, più si convinceva che quelle figure gli erano nate nella coscienza nel momento in cui stava per svenire. In quella stanza non c’era mai stato nessuno. Lui era solo, nel centro vitale dello scafo.

Si avvicinò al grande pannello dei comandi. Era diviso in dieci sezioni, ciascuna zeppa di quadranti con gli indici su cifre di incomprensibile lettura, e di interruttori, pulsanti, reostati e leve.

Barrent esaminò lentamente le dieci sezioni. L’ultima sembrava essere il controllo generale delle altre nove. Sotto uno dei quadranti c’era scritto: “Coordinazione, Manuale/Automatica”. La parte automatica era illuminata. E c’erano quadranti simili per la navigazione, per il controllo delle collisioni, per l’entrata e l’uscita dal subspazio, per l’entrata e l’uscita dallo spazio normale, e per l’atterraggio. Tutti erano disposti sul comando automatico. Poi scoprì lo schermo che indicava il progresso del volo in ore, minuti e secondi. Il tempo per giungere al posto di controllo. Uno era di ore 29,4 minuti, 51 secondi. Fermata, tre ore. Tempo dal posto di controllo alla Terra, 480 ore.

Le luci dei quadranti si accendevano e spegnevano, automaticamente. E Barrent ebbe l’impressione che la presenza di un uomo fosse un sacrilegio in quel tempio delle macchine.

Controllò il quadrante dell’aria. Era disposto per il rifornimento sufficiente a una persona.

Ma dov’era l’equipaggio? Barrent poteva capire le necessità di guidare un’astronave con mezzi automatici. Una struttura così enorme e complessa doveva essere autosuffìciente. Ma gli uomini l’avevano costruita, e gli uomini avevano predisposto tutti i comandi automatici. Perché non erano presenti per il caso che fosse stato necessario variare i programmi stabiliti? Poteva capitare che le guardie dovessero fermarsi più a lungo su Omega. Poteva capitare di dover saltare il posto di controllo e fare ritorno direttamente sulla Terra, o di doversi dirigere verso un’altra destinazione. Chi avrebbe modificato i programmi, chi avrebbe dato i nuovi ordini, chi possedeva un’intelligenza responsabile per dirigere le operazioni?

Barrent si guardò attorno, e scoprì il ripostiglio che conteneva i respiratori a ossigeno. Ne prese uno, e dopo averlo provato uscì nel corridoio.

Percorse tutto il corridoio sino alla porta su cui era scritto “Alloggio Equipaggio”. La stanza era nuda e deserta. I letti, disposti in file ordinate, erano senza lenzuola e coperte. E negli armadi non c’erano indumenti o altri oggetti personali. Uscì da quella stanza, ed entrò nell’alloggio degli ufficiali e del Comandante. Ma anche lì niente indicava che quei locali fossero abitati.

Tornò nella cabina comando. Era evidente ormai che l’astronave non aveva equipaggio. Forse le autorità della Terra, sicure dei loro calcoli di rotta e piene di fiducia nelle astronavi, avevano deciso che i piloti erano superflui.

Però a Barrent questo sistema sembrava piuttosto strano. Era incomprensibile che si permettesse il volo di un’astronave senza la supervisione di un essere umano.

Decise di non trarre conclusioni finché non avesse saputo di più. Per il momento era più importante pensare a sopravvivere. Aveva portato con sé dei cibi concentrati, ma non aveva molta acqua. Avrebbe trovato qualcosa nelle cucine? Poi doveva ricordarsi del distaccamento di guardie presente nella parte inferiore dell’astronave. E doveva pensare al miglior modo di agire nel momento in cui lo scafo si sarebbe fermato al posto di controllo.


Barrent non fu costretto a mangiare i cibi che aveva portato con sé. Nella mensa ufficiali le macchine distribuivano ancora cibo e acqua alla semplice spinta di un bottone. Non riuscì a scoprire se fossero cibi naturali o chimici. Avevano un buon sapore ed erano nutrienti; non si preoccupò d’altro.

Esplorò gran parte dei piani superiori, ma, dopo essersi perso diverse volte, decise di non correre altri rischi. Il centro vitale dell’astronave era la cabina comando, e Barrent rimase in quella stanza per la maggior parte del tempo.

Riuscì a trovare un oblò. Muovendo una leva che apriva gli schermi di protezione, Barrent poté vedere lo spettacolo delle stelle che brillavano nell’oscurità dello spazio. Stelle senza fine che si estendevano oltre ogni limite della sua immaginazione. Guardandole, Barrent si sentì orgoglioso. Quelle stelle sconosciute erano sue, in certo senso.

Mancavano solo sei ore all’arrivo al posto di controllo. Barrent osservò le lancette dei quadranti che si spostavano, mentre altre macchine si mettevano in azione per preparare lo scafo all’atterraggio. Tre ore e mezzo prima dell’arrivo, Barrent fece un’interessante scoperta. Trovò l’apparecchio che lo metteva in comunicazione con tutto lo scafo. Sintonizzandolo sull’ascolto poté seguire la conversazione che si svolgeva nella sala delle guardie.

Sia per precauzione, sia per mancanza di cognizioni, le guardie non parlavano di politica. Vivevano al posto di controllo per tutto il tempo in cui non erano di servizio sull’astronave. Alcuni degli argomenti di cui parlarono riuscirono del tutto incomprensibili a Barrent. Tuttavia continuò ad ascoltare, affascinato da ciò che quegli uomini dicevano.

«Sei mai andato a nuotare in Florida?»

«L’acqua salata non mi è mai piaciuta.»

«L’anno prima di venir arruolato nelle Guardie, vinsi il terzo premio alla Fiera delle Orchidee di Dayton.»

«Sto comperando una villa ad Antartica.»

«Perché non ci danno mai i permessi per andare sulla Terra?»

«Lo sai. Il delitto è una malattia. Ed è infettiva.»

«E con questo?»

«Se stai accanto ai criminali puoi subire l’infezione. E potresti contaminare qualcuno della Terra.»

«Ma non è giusto!»

«Non ci si può fare niente. Gli scienziati sanno quel che fanno. Dopo tutto il posto di controllo non è poi così brutto.»

«Se ti piacciono le cose artificiali… aria, fiori, cibi…»

«Be’, non si può avere tutto. La tua famiglia è con te?»

«Vogliono tornare sulla Terra.»

«Dopo cinque anni al posto di controllo, dicono che non si può ritornare sulla Terra. La gravità ti schiaccerebbe.»

«Eppure vorrei tornare alla gravità. In qualsiasi momento.»

Da quelle conversazioni Barrent comprese che le guardie dal volto arcigno in fondo erano soltanto esseri umani, proprio come i prigionieri che vivevano su Omega.

La maggior parte delle guardie non amava il proprio lavoro. Come gli Omegani, desideravano fare ritorno sulla Terra.

Accantonò queste informazioni per seguire il volo. L’astronave aveva raggiunto il posto di controllo e i meccanismi automatici lavoravano febbrilmente per la difficile manovra dell’attracco.

Infine, a manovra compiuta, tutti i motori si spensero. Attraverso gli apparecchi di comunicazione Barrent sentì le guardie che uscivano dalla sala.

Le seguì lungo il corridoio fino alla scala, e sentì l’ultima esclamare:

«Ecco la Squadra di Controllo. Che ci dite, ragazzi?»

Non sentì la risposta. Le guardie erano uscite, e nei corridoi risuonò un nuovo rumore, il passo pesante di quelli che le guardie avevano chiamato “Squadra di Controllo”.

Sembravano parecchi. Cominciarono l’ispezione dalla sala macchine, muovendosi metodicamente verso l’alto.

Dai rumori sembrava che aprissero ogni porta e che frugassero in ogni armadio.

Barrent strinse la pistola con la mano sudata e si chiese dove avrebbe potuto nascondersi. Ormai era certo che stavano guardando dappertutto.

La sua unica possibilità era quella di passare non visto alle loro spalle, e andarsi a nascondere in una parte dello scafo già perquisita.

Indossò un respiratore e uscì nel corridoio.

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