7 Un giorno fra i castori

Mentre i due ragazzi chiacchieravano sottovoce, Susan e Lucy erano andate un po’ avanti. Improvvisamente, si fermarono con un lungo oooh! di meraviglia e disappunto. Poi Lucy disse: — È volato via. Non c’è più.

Ed era così, infatti: il pettirosso era scomparso.

— E adesso? Cosa facciamo? — chiese Edmund, gettando a Peter un’occhiatina speciale come per dirgli: te l’avevo detto, io.

— Ssst. Guardate là — bisbigliò Susan.

— Cosa c’è? — domandò Peter.

— Qualcosa si muove tra gli alberi, laggiù a sinistra.

Tutti guardarono da quella parte, aguzzando gli occhi, ma non riuscirono a vedere nulla.

— Eccolo di nuovo — disse infine Susan.

— Stavolta l’ho visto anch’io — aggiunse Peter. — È ancora là, dietro quel grosso albero.

— Ma che cos’è? — domandò Lucy, cercando di non sembrare nervosa.

— Qualsiasi cosa o chiunque sia, si prende gioco di noi. Oppure non vuol farsi vedere…

— Torniamo a casa — propose Susan.

Allora si resero conto di quello che Edmund aveva fatto notare a Peter pochi momenti prima: avevano perso la strada per tornare al guardaroba.

— Ma cos’era? A cosa somigliava? — chiese Lucy, tornando a guardare tra gli alberi.

— Mah. Sembrava un animale, almeno così mi è parso — rispose Susan. E poi: — Guarda, presto. Eccolo di nuovo.

Stavolta riuscirono a vedere un musetto peloso, con due ciuffi di setole per baffi, che spuntava dietro un grosso albero. E stavolta la bestiola non si ritirò subito, ma restò un po’ a guardare i ragazzi, tenendo una zampa sulla bocca. Pareva uno che si metta il dito sulle labbra per raccomandare di stare zitti. I quattro ragazzi rimasero immobili, trattenendo il fiato, e la bestiola sparì.

Un attimo dopo, eccola di nuovo. Lo strano personaggio si guardò intorno, come per assicurarsi che non ci fossero spie in giro, bisbigliò — Ssst — e fece un cenno con la zampa: che si avvicinassero, dunque, e lo seguissero nel folto del bosco.

— Ho capito — disse Peter, mentre la creatura spariva nuovamente. — È un castoro. Ho visto la coda, l’ho riconosciuto.

— Vuole che andiamo con lui — mormorò Susan. — E ci raccomanda di non far rumore.

— Ho capito anche questo — ribatté Peter. — Ma il problema è un altro. Dobbiamo fidarci oppure no? Tu, Lucy, che ne dici?

— A me è sembrato un castoro molto carino e gentile.

— Già — commentò subito Edmund. — Ma come facciamo a esser sicuri che sia un castoro per bene?

— Perché non rischiare? — chiese Susan. — Voglio dire, qualsiasi cosa sarà meglio di star qui senza far niente e con la fame in corpo.

Proprio in quel momento il castoro mise fuori di nuovo il muso baffuto e ripeté i cenni di invito.

— Su, andiamo — disse Peter. — Ma cerchiamo di restare uniti, a scanso di brutte sorprese. Se viene fuori che il castoro è un nemico, sapremo difenderci. Caspita, siamo in quattro contro uno.

Così, i ragazzi si avvicinarono al grosso albero dietro il quale era scomparsa la loro guida e naturalmente la trovarono là che li aspettava. Tuttavia, quando li vide si tirò indietro, sussurrando con una strana vocetta gutturale: — Andate più avanti. Più in là, a destra. Non è bene restare dove ci possono vedere, non siamo al sicuro qui.

Solo quando li ebbe guidati in un posticino buio dove quattro grandi abeti crescevano così vicini l’uno all’altro che i rami formavano una cupola, e la terra bruna, coperta di aghi di pino, era ben visibile tra i piedi perché la neve non passava, il signor Castoro incominciò a parlare.

— Siete figlie di Eva e figli di Adamo, voi?

— Be’, in un certo senso — esclamò Peter.

— Ssst! — lo zittì immediatamente il signor Castoro. — Non a voce così alta, prego. Non siamo al sicuro neanche qui.

— Ma di chi ha paura? — chiese Peter. — Siamo soli.

— Ci sono gli alberi — bisbigliò il signor Castoro. — Ascoltano tutto quello che diciamo. Per lo più gli alberi sono dalla nostra parte, ma ce ne sono di quelli che parteggiano per "lei" e potrebbero tradirci. Sapete a chi alludo, vero?

— Già che parliamo di parteggiare per l’uno o per l’altro — intervenne brusco Edmund — chi ci assicura che tu sia nostro amico?

— Non vogliamo essere sgarbati, signor Castoro — aggiunse in fretta Peter. — Ma insomma, noi siamo stranieri qui. Lei capisce…

— Giusto, giusto — annuì il castoro facendo grandi cenni con la testa. — Giustissimo. Ecco il mio contrassegno. — E così dicendo levò in alto qualcosa di bianco che pareva, ed era, un pezzo di stoffa quadrata.

— Oh, il mio fazzoletto! — esclamò Lucy. — È proprio quello che ho regalato al signor Tumnus per ricordo.

— Giusto, giusto — fece di nuovo il signor Castoro. — Il mio povero e sfortunato amico, il fauno Tumnus, me lo ha consegnato poco prima che l’arrestassero. Perché, vedete, era venuto a saperlo in anticipo e mi ha detto che se gli fosse successo quello che temeva, avrei dovuto cercarvi qui e portarvi… — La voce del signor Castoro si spense in un bisbiglio quasi incomprensibile.

I quattro ragazzi si avvicinarono ancora di più, formando un cerchio così stretto che i baffi della bestiola facevano loro il solletico alle guance. Poi il signor Castoro bisbigliò: — Si dice che Aslan stia per arrivare. Forse è già sbarcato sulla nostra spiaggia.

Fu allora che accadde una cosa veramente strana. I quattro ragazzi non avevano la minima idea di chi fosse questo Aslan che doveva arrivare e forse era già arrivato, eppure, sentendone pronunciare il nome, furono presi da una strana sensazione. Qualcosa di simile può succedere nei sogni e forse sarà capitato anche a voi. Qualcuno (nel sogno) dice qualcosa che non si capisce bene o non si capisce affatto, ma che sembra pieno di significato: poi il sogno si trasforma in un incubo terribile o un’avventura meravigliosa, troppo bella per essere spiegata a parole; qualcosa di indimenticabile. E in effetti non si dimentica più e lascia per sempre il desiderio che il sogno si ripeta e torni.

Sentendo il nome di Aslan, dunque, i quattro ragazzi ebbero un tuffo al cuore. Edmund fu invaso da una misteriosa sensazione di orrore, Peter si senti improvvisamente coraggioso e pieno di spirito d’avventura, Susan ebbe l’impressione di essere avvolta da un’onda di profumo o forse da una musica deliziosa. Lucy, da parte sua, si sentì come chi si risveglia per accorgersi che è cominciata l’estate ed è tempo di vacanza. Chiese: — Ma il signor Tumnus dov’è?

— Ssst — fece il signor Castoro. — Ssst. Andiamo a parlare in un posto più sicuro. Vi dirò tutto durante il pranzo.

Nessuno, tranne Edmund, pensò di non fidarsi del signor Castoro; tutti, compreso Edmund, furono soddisfatti di sentire la parola "pranzo". Seguirono il nuovo amico che si era messo a camminare con un’andatura incredibilmente veloce. Sempre attraverso il folto del bosco, marciarono per oltre un’ora; poi gli alberi cominciarono a diradarsi e la piccola comitiva si trovò davanti a un paesaggio semplicemente delizioso. Erano sull’orlo di una discesa piuttosto ripida, in alto il sole splendeva nel cielo azzurro e ai loro piedi si apriva una valle attraversata da un bel fiume. Il fiume, purtroppo, era coperto da una lastra di ghiaccio che tuttavia lasciava libera una bella diga, di quelle che i castori sanno costruire con maestria. I ragazzi non ebbero dubbi: la bellissima diga era opera del loro nuovo amico. Bastava guardare l’espressione del muso per capirlo subito: il signor Castoro, infatti, aveva quell’aria di soddisfazione e finta modestia che appare sul viso di una persona quando ti mostra un lavoro che ha fatto da sé, come un giardino ben coltivato o un quadro ben dipinto. Perciò Susan si sentì obbligata a esprimere la sua ammirazione, che del resto era sincera.

— Che splendida diga! — esclamò.

Il signor Castoro, stavolta, non la zittì come al solito, ma con una specie di noncuranza, disse: — Oh, è una cosetta da nulla. Una sciocchezzuola che ho costruito personalmente. E non è neppure finita.

A monte della diga c’era un laghetto che ora appariva come una enorme lastra di ghiaccio verde scuro, perfettamente levigata. Ai piedi della diga, là dove avrebbe dovuto esserci la cascatella, c’era del ghiaccio rappreso in forme strane, onde, vortici, blocchi di schiuma, come al momento in cui era arrivato il gelo improvviso. Infine, la parte della diga da cui l’acqua era solita gocciolare, filtrare o sprizzare di sotto aveva l’aspetto di un muro scintillante di mille ghiaccioli, disposti a ghirlanda o a festoni e che sembravano zucchero filato della migliore qualità. Nel centro della diga, quasi in cima, sorgeva una casetta che a dir la verità aveva più la forma di un alveare che di una casa vera e propria. Un alveare enorme, beninteso, con un buco sul tetto dal quale usciva un bel pennacchio di fumo che solo a vederlo (specialmente a chi ha fame) faceva venire in mente una pentola che bollisse, così da mettere più fame ancora.

Questo fu quello che videro, ma Edmund notò qualcos’altro: verso il fondo della valle un secondo e piccolo fiume si gettava in quello più grande, scendendo da una valletta minore chiusa da due colline. Vedendole, fu sicuro di riconoscerle: erano proprio le colline gemelle che la Strega Bianca gli aveva indicato come punto di riferimento per tornare da lei. Là sorgeva il palazzo della regina di Narnia, a poco più di un chilometro di distanza. Edmund ricordò la dolcezza incomparabile delle gelatine di frutta e la promessa della regina di farlo diventare re.

"Voglio proprio vedere la faccia che farà Peter" si disse il ragazzo, e un orribile pensiero gli attraversò la mente.

— Eccoci arrivati — annunciò il signor Castoro. — Sembra che mia moglie ci stia aspettando. Bene, vi faccio strada. Attenzione a non scivolare.

La diga era abbastanza ampia per camminarci su, ma un po’ pericolosa (almeno per i figli di Adamo e le figlie di Eva) perché coperta da una sottile crosta di ghiaccio e fiancheggiata da una parte dal lago ghiacciato, dall’altra da un brutto precipizio: il salto della cascata irta di ghiaccioli. I quattro ragazzi seguirono il signor Castoro tenendosi in fila indiana e fermandosi ogni tanto per ammirare la strana bellezza del fiume di ghiaccio, visibile per molti chilometri, sia a monte che a valle. Infine, raggiunsero la casa del signor Castoro, il quale aprì la porta e disse: — Cara, eccoci. Li ho trovati, due figli di Adamo e due fighe di Eva.

Entrarono e Lucy sentì uno strano rumore meccanico, come di una ruota che girasse in fretta: poi vide una femmina di castoro piuttosto anziana che si dava un gran daffare con la manovella di una macchina per cucire.

La signora Castoro aveva gli occhiali sul naso, teneva un lungo filo da imbastire tra le labbra e lavorava di buona lena. Appena vide i nuovi venuti, fermò la macchina e alzando due zampette grinzose esclamò: — Ah, eccovi finalmente. Temevo che non sarei vissuta abbastanza per vedere questo fausto giorno. Le patate sono già sul fuoco, marito mio, direi che dovresti procurarci un bel po’ di pesce.

— Lo farò subito — rispose il signor Castoro.

Poi prese un secchio e uscì seguito da Peter. I due si avviarono di nuovo per la diga e raggiunsero un punto sul laghetto dove era visibile un largo foro praticato nel ghiaccio, che il signor Castoro provvedeva ogni giorno a mantenere aperto manovrando abilmente la sua piccola ascia da boscaiolo.

I due si sedettero ad aspettare: il signor Castoro, che se ne infischiava del freddo, stava immobile, con santa pazienza e con gli occhi fissi nel buco. A un certo momento ficcò la zampa nell’acqua e la ritirò di scatto: aveva preso una bella trota. La mise nel secchio e ricominciò ad aspettare.

Susan e Lucy, intanto, si erano messe ad aiutare la signora Castoro: prepararono la tavola, tagliarono il pane a fette, spillarono una bella caraffa di birra da un barile che stava nell’angolo, misero i piatti a scaldare nel forno e la teiera a bollire sul fuoco. Infine prepararono il necessario per friggere il pesce. Mentre faceva queste piccole cose, Lucy notò che la casa dei signori Castoro era pulita e non mancava di nulla, ma era molto diversa da quella del fauno. La tovaglia, candidissima, era di tela ruvida e grossolana. Alle pareti non c’erano quadri o scaffali di libri, ma soltanto arnesi da lavoro, accette, vanghe, cazzuole da muratore, recipienti per la malta, nonché reti e canne da pesca, impermeabili e stivaloni di gomma. Dal soffitto pendevano prosciutti e trecce di cipolle; sul pavimento mancava il tappeto; i letti non erano che due cuccette da marinaio, sistemate in un vano della parete. Insomma, si vedeva bene che quella era una casa di gente semplice e laboriosa.

Il grasso nella padella aveva già cominciato a sfrigolare, quando la porta si aprì ed ecco il signor Castoro con pesce per tutti. Bastava infarinarlo e friggerlo, perché aveva già provveduto a pulirlo con il coltellino mentre si trovava alla diga. Appena il pesce cominciò a dorarsi un poco, nella stanza si sparse un profumino delizioso.

Ai ragazzi venne l’acquolina in bocca, ancor più quando la signora Castoro disse: — Tra poco ci siamo.

Susan pelò le patate, Lucy aiutò la padrona di casa a fare le porzioni e un attimo dopo ognuno prendeva il suo sgabello (nella casa c’erano soltanto sgabelli a tre gambe e una sedia a dondolo speciale per il signor Castoro). Il pranzo ebbe inizio; per i giovani c’era una bella caraffa di latte e panna — la birra era riservata al padrone di casa — e in mezzo alla tavola un grosso pezzo di burro: ognuno poteva prenderne a volontà e mangiarlo con le patate calde.

I ragazzi mangiavano di gusto, trovando che non ci fosse niente di più delizioso di un buon pesce d’acqua dolce (e io sono d’accordo con loro), soprattutto quando arriva a tavola mezz’ora dopo essere stato pescato e un attimo dopo essere stato fritto.

Quando ebbero finito, la signora Castoro tirò fuori dal forno qualcosa di inatteso: uno splendido rotolo di pastafrolla e marmellata, ancora fumante. Mentre i ragazzi si buttavano sul dolce, la brava signora si occupò del tè; quando l’ultima briciola di dolce fu scomparsa, il tè era pronto per essere versato. Alla fine i commensali accostarono lo sgabello alla parete, per appoggiare la schiena, e diedero un gran sospiro di soddisfazione.

— Ora che la mia birra è finita — annunciò il signor Castoro, allontanando la caraffa vuota e tirando a sé la tazza di tè — lasciatemi accendere la pipa, poi parleremo di cose serie. — Diede un’occhiatina fuori dalla finestra e aggiunse: — Ricomincia a nevicare. Tanto meglio, vuol dire che non avremo visite. Oggi nessuno verrà a disturbarci. Se qualcuno vi avesse visti da lontano e cercasse di rintracciarvi, la neve coprirebbe le vostre impronte e nessuno riuscirebbe a trovarvi.

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