PARTE TERZA l’avventura di Karsten

Capitolo primo La tomba di Volt

Cinque uomini giacevano sulla sabbia battuta dalle onde nella piccola conca della baia, ed uno di essi era morto, con un grande squarcio attraverso la fronte. Era una giornata calda, e i raggi del sole investivano i loro corpi seminudi. L’odore del mare ed il fetore delle alghe in putrefazione si fondevano, con il caldo, in un’esalazione tropicale.

Simon tossì, puntellando sui gomiti il corpo dolorante. Era pieno di lividi e la nausea lo tormentava. Lentamente, si trascinò un po’ in disparte: vomitò, ma il suo stomaco contratto era vuoto. Lo spasmo lo scosse, rendendogli la lucidità: appena riuscì a dominarlo, si mise a sedere.

Ricordava solo in parte il passato immediato. La fuga da Forte Sulcar era stata l’inizio dell’incubo. Quando Magnis Osberic aveva distrutto il proiettore d’energia che forniva luce e calore al porto, non solo aveva fatto saltare la piccola città, ma aveva probabilmente aggravato la furia della tempesta che s’era scatenata poco dopo. E in quella tempesta, le poche Guardie superstiti che si erano affidate alle barche di salvataggio, erano state disperse senza speranza di mantenere la rotta.

Tre dei vascelli si erano allontanati dal porto, ma erano rimasti insieme poco più a lungo del momento in cui avevano visto per l’ultima volta il chiarore della città esplosa. E poi era venuto il terrore, perché l’imbarcazione era stata travolta, sbatacchiata e infine scagliata contro le rocce della costa, durante un periodo di tempo che non corrispondeva più ad un’ordinata successione di ore e di minuti.

Simon si passò le mani sul volto. Le ciglia erano incrostate di sale, incollate, ed era difficile aprire gli occhi. C’erano quattro uomini… Poi scorse la testa sfracellata… tre uomini e il morto.

Da una parte c’era il mare, ormai abbastanza calmo, che lambiva i grovigli di alghe gettate a riva. Di fronte all’acqua c’era una parete rocciosa accidentata che doveva offrire appigli sufficienti, pensò Simon. Ma non aveva nessuna voglia di tentare quella scalata e neppure di muoversi. Era piacevole starsene lì seduto e lasciare che il tepore del sole scacciasse il gelo mordente della tempesta e dell’acqua.

«Saaa…»

Una delle figure sulla sabbia si mosse. Un lungo braccio spazzò la sabbia, scostando una massa d’alghe. L’uomo tossì, fu scosso da conati di vomito, e alzò la testa per guardarsi intorno, stordito. Poi il Capitano di Estcarp scorse Simon e lo fissò con occhi vitrei, prima di muovere la bocca in un tentativo di sorriso.

Koris si sollevò: le spalle e le braccia massicce sostennero quasi tutto il suo peso, mentre si trascinava verso uno spazio libero della sabbia spianata dalle acque.

«A Gorm dicono,» cominciò con voce arrugginita, gracchiante, «che un uomo nato per sentire sul collo la scure del carnefice non annega. E poiché mi è stato spesso preannunciato che un’ascia è il mio destino… come vedi, i detti dei vecchi hanno ragione!»

Faticosamente, si avvicinò al più vicino degli uomini ancora distesi, e fece girare il corpo inerte, scoprendo un viso biancogrigiastro. Il petto della Guardia si alzava e si abbassava in un respiro regolare: e sembrava che non avesse ferite.

«Jivin,» disse Koris. «Un eccellente cavaliere,» aggiunse pensieroso. E Simon si sorprese a ridere fiaccamente, premendosi i pugni contro i muscoli intormentiti dello stomaco.

«Naturalmente,» proruppe, tra gli scoppi d’ilarità quasi isterica, «c’è un gran bisogno della sua specializzazione, in questo momento!»

Ma Koris si era accostato a un altro corpo intatto. «Tunston!»

Simon ne fu lieto, vagamente. Durante il breve periodo trascorso nella Guardia di Estcarp, aveva incominciato a provare un autentico rispetto per l’anziano ufficiale. Si mosse, a fatica, e aiutò Koris a trascinare i due uomini ancora inconsci al di sopra della battigia invasa dalle alghe. Poi si mise in piedi, aggrappandosi alla parete di roccia.

«Acqua…» Il senso di benessere che aveva provato per qualche istante dopo il risveglio era svanito. Aveva sete, e tutto il suo corpo spasimava per il desiderio d’acqua, all’interno ed all’esterno, per bere e per lavarsi, per togliere la bruciante crosta di sale dalla pelle troppo sensibile.

Koris lo raggiunse, per esaminare la parete. C’erano solo due modi per uscire dalla conca in cui si trovavano. Tornare in acqua e cercare di superare a nuoto le lingue di roccia, oppure arrampicarsi su per quello strapiombo. E Simon si sentiva tremare per il disgusto al pensiero di nuotare o di tornare nell’acqua da cui era emerso miracolosamente.

«Non deve essere troppo difficile,» disse Koris, aggrottando la fronte. «Si direbbe quasi che un tempo vi fossero appigli qua e là.» Si alzò in punta di piedi, accostandosi alla roccia, tendendo le lunghe braccia sopra la testa, e insinuò le dita nelle piccole aperture. Sulle spalle, i muscoli si gonfiarono: Koris alzò un piede, inserì la punta dello stivale in una crepa e cominciò a salire.

Lanciando un’ultima occhiata alla spiaggia ed ai due uomini che adesso erano lontani dalle onde, Simon lo seguì. Si accorse che il Capitano aveva ragione. C’erano comodi appigli per le mani ed i piedi, naturali o artificiali che fossero: raggiunse Koris su un cornicione, circa tre metri al di sopra della spiaggia.

Era impossibile non riconoscere l’origine artificiale di quel cornicione, poiché si vedevano ancora i segni lasciati dagli utensili che l’avevano modellato. Saliva come una rampa rìpida verso la sommità della parete. Non era un cammino facile per un uomo tormentato dai capogiri e con le gambe deboli: ma era molto meglio di quanto avesse osato sperare.

Koris riprese a parlare. «Puoi farcela da solo? Vedrò se mi riesce di far muovere gli altri.»

Simon annuì, e subito si pentì di quel gesto. Si aggrappò alla parete ed attese che il mondo smettesse di girare spiacevolmente. Stringendo i denti, affrontò l’erta. Spesso dovette procedere carponi, fino a quando uscì sotto una sporgenza incavata. Stringendosi le mani doloranti, si affacciò in quella che poteva essere soltanto una grotta. L’erta non proseguiva: si poteva solo sperare che la caverna avesse un’altra uscita, più in alto.

«Simon!» Il grido che saliva dalla spiaggia era ansioso, incalzante.

Si spinse sul ciglio del cornicione e guardò giù.

Koris era là, con la testa rovesciata all’indietro nel tentativo di guardare verso l’alto. Anche Tunston era in piedi, e sorreggeva Jivin. Al cenno di Simon si mossero, e unendo i loro sforzi riuscirono ad issare Jivin fino al cornicione.

Simon restò dov’era. Non se la sentiva di entrare da solo nella grotta. E del resto, sembrava che la sua forza di volontà si fosse esaurita, così come il suo corpo non aveva più energie. Ma dovette entrare a ritroso nella cavità, quando Koris lo raggiunse e si girò per tirare su Jivin.

«C’è qualcosa di strano, in questo posto,» sentenziò il Capitano. «Non sono riuscito a vederti, dal basso, fino a quando hai agitato la mano. Qualcuno si è dato molto da fare per nascondere questa porta.»

«Vuoi dire che deve essere importante?» Simon indicò l’imboccatura della grotta. «Non m’importa, anche se è la sala del tesoro d’un re, purché ci dia la possibilità di trovare l’acqua.»

«Acqua!» gli fece eco Jivin, con un filo di voce. «Acqua, Capitano?» insistette, rivolgendosi fiduciosamente a Koris.

«Non ancora, camerata. C’è ancora un po’ di strada.»

Scoprirono che per varcare l’ingresso della caverna era necessario procedere carponi. Koris stentò a passare, scalfendosi la pelle delle spalle e delle braccia.

Più oltre c’era un corridoio, ma vi filtrava così poca luce che dovettero procedere a tentoni, aggrappandosi alle pareti. Simon tastava con il piede il terreno, prima di muovere un passo.

«È un vicolo cieco!» Le sue mani protese incontrarono la roccia compatta. Ma aveva parlato troppo presto, perché sulla sua destra c’era un vago barlume: si accorse che il corridoio svoltava bruscamente, ad angolo retto.

A partire da quel punto, si vedeva un po’ meglio; affrettarono il passo. Ma al termine del corridoio li attendeva una delusione. La luce non aumentò, e si trovarono nel crepuscolo, e non nella luce del sole.

La sorgente di quel chiarore attirò l’attenzione di Simon, facendogli dimenticare preoccupazioni e dolori. In linea retta, lungo una delle pareti, c’era una serie di finestre perfettamente rotonde, come gli oblò di una nave. Non riusciva a capire come mai non le avessero scorte dalla spiaggia, poiché evidentemente dovevano essere sulla superficie esterna della roccia. Ma la sostanza di cui erano formate lasciava filtrare la luce in raggi nebulosi.

Quella luce, tuttavia, era più che sufficiente per mostrare loro l’unico occupante di quella camera di pietra. Stava su un seggio scolpito nella stessa pietra, con le mani posate sui larghi braccioli, la testa abbandonata sul petto come se dormisse.

Solo quando Jivin trasse un profondo sospiro simile ad un singhiozzo, Simon comprese che si trovavano in una tomba. E il silenzio polveroso si chiuse intorno a loro, come se fossero prigionieri in un sarcofago, senza via di scampo.

Poiché si sentiva intimorito ed inquieto, Simon si avviò deciso verso i due blocchi su cui stava il seggio, fissando con aria di sfida colui che vi sedeva. C’era un fitto strato di polvere che copriva quella figura. Eppure Tregarth poteva vedere che quell’uomo — capotribù, sacerdote o re, o qualunque altra cosa fosse stato in vita — non apparteneva ad una razza affine a quella di Estcarp né a quella di Gorm.

La pelle incartapecorita era scura, levigata, come se l’arte dell’imbalsamatura l’avesse trasmutata in legno lucido. Il viso seminascosto era caratterizzato da un grande vigore, e dominato da un grande naso aquilino. Il mento era minuto, appuntito, e gli occhi chiusi erano profondamente incassati. Sembrava una creatura umanoide i cui remoti antenati non erano primati, bensì uccelli.

Quasi per accrescere l’illusione le vesti, sotto il velo di polvere, erano d’una stoffa che sembrava intessuta di piume. Una cintura cingeva la vita sottile, e attraverso i braccioli del seggio era posata un’ascia così lunga e massiccia da indurre Simon a dubitare che quell’essere fosse mai stato in grado di sollevarla.

I capelli erano pettinati in una cresta, tenuta ritta da un cerchietto ingemmato. Numerosi anelli brillavano sulle dita esili posate sulla lama e sul manico dell’ascia. E intorno al seggio, all’essere ed a quell’ascia da combattimento c’era un’atmosfera di vita aliena così intensa che Simon si arrestò davanti al primo gradino del podio.

«Volt!» Il grido di Jivin era quasi un urlo. Poi le sue parole divennero incomprensibili per Simon: il giovane balbettava, in un’altra lingua, qualcosa che poteva essere una preghiera.

«Quella leggenda è pura verità!» Koris si era portato a fianco di Tregarth. Gli brillavano gli occhi, come la notte in cui si erano aperti la strada combattendo per uscire da Forte Sulcar.

«Volt? Verità?» gli fece eco Simon; e l’uomo di Gorm rispose, impaziente.

«Volt dell’Ascia. Volt che scaglia i tuoni… Volt che ormai è solo uno spauracchio per spaventare i bambini cattivi! Estcarp è antica, la sua sapienza proviene da tempi anteriori alla storia dell’uomo… o alle sue leggende. Ma Volt è ancora più vecchio di Estcarp! È uno di coloro che vennero prima che l’uomo si armasse di clave e di pietre per combattere le belve. Solo Volt continuò a vivere: conobbe i primi uomini, ed essi conobbero lui… e la sua ascia. Nella sua solitudine, Volt ebbe pietà degli uomini, e con l’ascia aprì loro la strada verso la sapienza e il dominio, prima di abbandonarli.

«In alcuni luoghi ricordano Volt con gratitudine, sebbene lo temano, poiché era incomprensibile. E in altri luoghi lo odiano di un odio profondo, perché la sapienza di Volt ostacolava i loro desideri più grandi. Perciò noi rammentiamo Volt con preghiere e maledizioni, ed egli è nel contempo dio e demonio. Eppure noi quattro, ora, possiamo constatare che un tempo era un essere vivente, in questo affine a noi. Anche se, forse, possedeva altri doni in armonia con la natura della sua razza.

«Ah, Volt!» Koris levò il lungo braccio in un gesto di saluto. «Io, Koris, che sono Capitano di Estcarp e delle sue Guardie, ti reco il mio omaggio, e l’annuncio che il mondo non è cambiato molto dal giorno in cui lo abbandonasti. Combattiamo ancora, e la pace dura solo per poco tempo: ma forse ora, da Kolder, sta giungendo per noi la notte. E poiché sono stato disarmato dal mare, ti chiedo le tue armi! Se per tuo volere potremo fronteggiare ancora Kolder, mi sia concesso di brandire la tua ascia!»

Salì sul primo gradino e tese la mano, con sicurezza. Simon udì il grido soffocato di Jivin, il respiro sibilante di Tunston. Ma Koris sorrideva, mentre tirava delicatamente l’arma verso di sé. La figura assisa sembrava così viva che Simon quasi si aspettava che le mani cariche di anelli si stringessero, per strappare l’arma gigantesca all’uomo che l’aveva chiesta. Ma l’arma si liberò senza difficoltà, cedendo alla stretta di Koris, come se colui che l’aveva impugnata per tante generazioni non soltanto la lasciasse volontariamente, ma la spingesse verso il Capitano.

Simon si aspettava che il manico si sgretolasse, putrefatto, quando Koris la liberò. Ma il Capitano la brandì, levandola alta, e l’avventò in un colpo discendente, arrestandola a pochi centimetri dalla pietra del gradino. Nelle sue mani l’arma era una cosa viva, bellissima.

«Ti sarò grato per tutta la vita, Volt!» gridò. «Con questa conquisterò la vittoria, perché mai ho avuto nelle mani una simile arma. Io sono Koris, già di Gorm, Koris il Deforme. Eppure, grazie ai tuoi auspici, oh, Volt, sarò Koris il Conquistatore, ed il tuo nome sarà di nuovo grande in questa terra!»

Forse fu il timbro della sua voce a smuovere antiche correnti d’aria; Simon cercò di aggrapparsi a quella spiegazione razionale, di fronte a ciò che seguì. L’uomo seduto — o la figura antropomorfa — parve annuire, una volta, due volte, accettando le promesse esultanti di Koris. Poi il corpo che fino a pochi secondi prima era apparso tanto solido, cambiò sotto il loro sguardo, ripiegandosi su se stesso.

Jivin si nascose il volto tra le mani e Simon soffocò un’esclamazione. Volt — se pure era veramente Volt — era scomparso. Sul seggio era rimasta solo la polvere, null’altro… e l’ascia nella stretta di Koris. Tunston, che era un uomo privo d’immaginazione, si rivolse al suo ufficiale.

«Il suo turno di servizio era terminato, Capitano. Ora incomincia il tuo. Hai fatto bene a rivendicare l’arma. E credo che ci porterà fortuna.»

Koris stava facendo roteare di nuovo l’ascia; la lama curva passò sibilando nell’aria. Simon volse le spalle al seggio vuoto. Da quando era entrato in quel mondo aveva assistito alle magie delle streghe e le aveva accettate come parte della sua nuova vita: e adesso accettava anche questo. Ma neppure l’acquisizione della favolosa Ascia di Volt avrebbe portato loro l’acqua ed il cibo necessari alla loro sopravvivenza, e lo disse.

«Anche questo è vero,» riconobbe Tunston. «Se non ci sono altre vie d’uscita, dovremo ritornare sulla spiaggia e cercare altrove.»

Ma un’altra via c’era, perché la parete dietro il grande seggio mostrava un’arcata chiusa da terriccio e detriti. Cominciarono a scavare con le mani ed i coltelli. Era un lavoro sfibrante, e lo sarebbe stato anche per uomini che si fossero accinti a compierlo perfettamente riposati. E solo il nuovo orrore per il mare induceva Simon ad insistere. Alla fine, sgombrarono un corto corridoio e si trovarono di fronte ad una porta.

Un tempo doveva essere stata saldissima, intagliata com’era in un forte legno locale. La putredine non l’aveva erosa: ma la chimica naturale del suolo l’aveva trasformata in una sostanza dura come selce. Koris accennò agli altri di tirarsi indietro.

«Questo è un lavoro per me.»

Ancora una volta, l’Ascia di Volt si sollevò. Simon si lasciò quasi sfuggire un grido, temendo che la splendida lama si danneggiasse. Vi fu un clangore, e l’ascia si levò di nuovo, si abbatté, spinta dalle spalle poderose del Capitano.

La porta si schiantò: una parte s’inclinò verso l’esterno. Koris si scostò: e tutti e tre cominciarono ad allargare il varco. Il fulgore del sole li investì, e la frescura della brezza scacciò l’odore muffito del sepolcro.

Tolsero di mezzo ciò che restava della porta e irruppero attraverso uno schermo di rampicanti secchi e di arbusti; si trovarono sul fianco d’una collina, dove l’erba tenera della primavera spiccava a chiazze vive e i piccoli fiori gialli brillavano come monete d’oro. Erano sulla sommità della parete rocciosa e il pendio, da questa parte, scendeva verso un ruscello. Senza pronunciare una parola, Simon scese barcollando verso l’acqua che prometteva di togliergli la polvere dalla gola e di alleviare la tortura delle incrostazioni di sale sulla pelle.

Alzò la testa sgocciolante dal ruscello, qualche minuto dopo, e vide che Koris non c’era. Eppure era certo che il Capitano fosse uscito con loro dalla Tomba di Volt.

«Koris?» chiese a Tunston. L’altro si massaggiava il volto con manciate d’erba bagnata, sospirando di soddisfazione, mentre Jivin giaceva sul dorso accanto al ruscello, ad occhi chiusi.

«È andato a fare ciò che si deve fare per quell’uomo laggiù,» rispose Tunston in tono distaccato. «Nessuna Guardia deve restare abbandonata al vento e alle onde, se il suo ufficiale può provvedere diversamente.»

Simon arrossì. Aveva dimenticato il cadavere sulla spiaggia. Sebbene fosse entrato spontaneamente nella Guardia di Estcarp, non aveva mai sentito di farne veramente parte. Estcarp era troppo antica, ed i suoi uomini — e le sue streghe — gli erano alieni. Eppure, cosa gli aveva promesso Petronius, quando gli aveva offerto una via di scampo? L’uomo che si serviva del Seggio Periglioso trovava il mondo desiderato dal suo spirito. Lui era un soldato ed era giunto in un mondo in guerra: tuttavia quello non era il suo modo di combattere, e si sentiva ancora uno straniero senza patria.

Ricordò la donna con cui era fuggito attraverso la brughiera, senza sapere, allora, che era una strega di Estcarp. In certi momenti, durante la fuga, li aveva uniti un tacito cameratismo. Ma poi anche quello era svanito.

Lei era salita a bordo d’una delle altre barche, quando avevano lasciato Forte Sulcar. Aveva incontrato una sorte eguale, sul mare spietato? Si scosse, turbato da una sensazione che non voleva riconoscere, aggrappandosi disperatamente al suo ruolo di spettatore. Si girò sull’erba, appoggiò la testa sul braccio piegato, rilassandosi con uno sforzo di volontà come aveva imparato a fare molto tempo prima, e si addormentò.

Simon si svegliò altrettanto rapidamente, con i sensi vigili. Non poteva aver dormito molto, poiché il sole era ancora alto. Nell’aria c’era odore di cibi che cuocevano. Al riparo d’una roccia ardeva un piccolo fuoco, e Tunston vi arrostiva alcuni pesci infilati su fuscelli appuntiti. Koris dormiva accanto all’ascia; il suo volto fanciullesco appariva più tirato e logorato dalla stanchezza di quando era sveglio. Jivin stava disteso bocconi in riva al ruscello, e dimostrava di essere qualcosa di più d’un esperto cavaliere: la sua mano emerse dall’acqua stringendo un pesce appena catturato.

Quando Simon si avvicinò, Tunston inarcò un sopracciglio. «Scegli pure,» disse, indicando il pesce. «Non è il vitto della mensa, ma per ora può andare.»

Simon aveva allungato la mano quando l’improvvisa tensione di Tunston lo indusse a seguire Io sguardo dell’ufficiale. Sopra le loro teste volteggiava un uccello dal piumaggio nero, segnato da una grande V bianca sul petto.

«Un falcone!» Tunston mormorò quella parola come se riassumesse un pericolo non meno grande di un’imboscata dei Kolder.

Capitolo secondo Il nido del falcone

Il grosso uccello, con l’arte tipica dei rapaci, planava sopra di loro ad ali spiegate. Simon vide i nastri o i geti rossovivi che svolazzavano tra le zampe, e capì che non era un animale selvatico.

«Capitano!» Tunston andò a svegliare Koris, che si sollevò a sedere, stropicciandosi gli occhi con i pugni, in un gesto quasi infantile.

«Capitano, i Falconieri!»

Koris alzò la testa di scatto, poi si alzò in piedi, schermandosi gli occhi con la mano, e seguì i lenti volteggi dell’uccello. Fischiò un richiamo che salì, in note squillanti. Il falcone smise di volteggiare, e Simon assistette ad un miracolo di fulminea precisione… la discesa. Il rapace venne a posarsi sul manico dell’ascia di Volt, che giaceva seminascosta tra l’erba del piccolo prato. Il becco adunco si aprì, lanciando un grido aspro.

Il Capitano s’inginocchiò accanto all’uccello. Cautamente, sollevò una delle cordicelle annodate alle zampe, e un minuscolo ciondolo metallico balenò nel sole, mentre l’uomo lo esaminava.

«Nalin. Deve essere una delle sentinelle. Vai, guerriero alato,» disse Koris, rivolgendosi all’uccello irrequieto. «Noi siamo della stessa razza del tuo padrone, e c’è pace tra noi.»

«Peccato, Capitano, che le tue parole non possano giungere alle orecchie di questo Nalin.» commentò Tunston. «I Falconieri usano prima difendere i loro confini e poi fare domande, se resta ancora in vita qualche invasore da interrogare.»

«Proprio così, vagabondo!»

Quelle parole risuonarono dietro di loro. Si voltarono quasi all’unisono, e scorsero soltanto le rocce e l’erba. Era stato l’uccello a parlare? Jivin scrutò dubbioso il rapace, ma Simon rifiutò di accettare quella magia… o quell’illusione. Toccò la sua unica arma, il coltello che portava infilato nella cintura quando era giunto a riva.

Koris e Tunston non si mostrarono sorpresi. Evidentemente, si aspettavano quella sfida. Il Capitano alzò la testa e parlò all’aria, lentamente, come se le sue parole dovessero convincere l’ascoltatore invisibile.

«Io sono Koris, Capitano di Estcarp, spinto su questa terra da una tempesta. E costoro sono Guardie di Estcarp: Tunston, ufficiale del Grande Forte, Jivin e Simon Tregarth, uno straniero entrato al servizio della Guardiana. Per il Giuramento della Spada e dello Scudo, del Sangue e del Pane, ti chiedo l’ospitalità concessa quando due non si fanno guerra, ma vivono delle loro armi!»

L’eco fioca delle sue parole ondeggiò nell’aria e svanì. Poi il rapace lanciò di nuovo quel grido stridulo e si sollevò. Tunston sogghignò ironicamente.

«Ed ora, immagino, dobbiamo attendere una guida o un dardo nella schiena?»

«Un nemico invisibile?» chiese Simon.

Koris scrollò le spalle. «Ogni comandante ha i suoi misteri. E i Falconieri ne hanno molti. Se manderanno una guida, saremo veramente fortunati.» Fiutò l’aria. «Ed è inutile soffrire la fame durante l’attesa.»


Simon mangiò il pesce, ma continuò a sorvegliare il piccolo prato tagliato dal ruscello. I suoi compagni sembravano rassegnati al futuro, e lui non immaginava come fosse stato compiuto quel trucco con la voce. Ma aveva imparato a considerare Koris come una specie di strumento di misura, quando si presentava una situazione nuova. Se il Capitano della Guardia era disposto ad attendere, forse non sarebbero stati costretti a combattere, dopotutto. D’altra parte, gli sarebbe piaciuto sapere qualcosa di più sul conto dei suoi possibili ospiti.

«Chi sono i Falconieri?»

«Come Volt,» disse Koris, posando la mano sull’ascia in un gesto carezzevole, «appartengono alla leggenda ed alla storia, ma non solo altrettanto antichi.

«All’inizio erano mercenari, giunti attraverso il mare a bordo di navi di Sulcar, da una terra dove avevano perduto i loro possedimenti in seguito ad un’invasione barbarica. Per qualche tempo servirono i mercanti come guardie delle carovane e fanti di marina. Talvolta si arruolano ancora, quando sono molto giovani. Ma in maggioranza non amavano il mare: erano nati tra le vette, e la nostalgia per le montagne li divorava. Perciò si recarono dalla Guardiana, nella Città di Estcarp e proposero un patto, offrendosi di proteggere i confini meridionali in cambio del diritto d’insediarsi tra i monti.»

«Era una proposta saggia!» interruppe Tunston. «Peccato che la Guardiana non potesse accettare.»

«E perché non poteva?» chiese Simon.

Koris sorrise cupamente. «Non hai abitato ancora abbastanza a lungo in Estcarp, Simon, se non sai che è un matriarcato? Infatti, il Potere che ne garantisce la sicurezza non sta, in primo luogo, nelle spade dei suoi uomini, ma nelle mani delle sue donne. E le detentrici del Potere sono veramente donne.

«D’altra parte, i Falconieri hanno strani costumi, a loro cari quanto i costumi di Estcarp sono cari alle streghe. È un ordine guerriero, formato esclusivamente da maschi. Due volte l’anno, vengono prescelti giovani che si recano nei loro vari villaggi abitati dalle donne, per generare nuova prole, come gli stalloni vengono mandati al pascolo con le giumente. Ma i Falconieri non riconoscono né affetto, né simpatia, né eguaglianza tra uomini e donne. E non ammettono che una donna abbia altra funzione che partorire figli.

«Perciò, agli occhi di Estcarp, apparivano inevitabilmente come selvaggi, le cui usanze corrotte disgustavano la gente civile, e la Guardiana giurò che se si fossero insediati tra le montagne, entro i confini del paese, con il consenso delle streghe, il Potere profanato sarebbe svanito. Perciò fu loro risposto che Estcarp non permetteva di stabilirsi sulle sue frontiere. Tuttavia, fu accordato loro di attraversare in pace il paese, con le provviste necessarie, per andare in cerca di altre montagne. Se fossero stati disposti a crearsi una signoria oltre i confini di Estcarp, le streghe avrebbero augurato loro ogni bene e non li avrebbero attaccati. E così è stato per più di cento anni.»

«E immagino che i Falconieri riuscirono a crearsi una signoria?»

«Infatti.» Fu Tunston a rispondere alla domanda di Simon. «Tanto che per tre volte hanno battuto le orde inviate contro di loro dai Duchi di Karsten. Il territorio che hanno prescelto combatte al loro fianco.»

«Tu hai detto che Estcarp non offrì loro amicizia,» osservò Simon. «E allora, che cosa intendevi quando hai parlato del Giuramento della Spada e dello Scudo, del Sangue e del Pane? Sembrava che aveste veramente una specie di legame.»

Koris s’indaffarò ad estrarre una minuscola lisca dal suo pesce. Poi sorrise, e Tunston rise apertamente. Solo Jivin assunse un’espressione un po’ vergognosa, come se parlassero di cose che era meglio non ricordare.

«I Falconieri sono uomini…»

«Ed anche le Guardie di Estcarp lo sono,» azzardò Simon.

Il sorriso di Koris si allargò, sebbene Jivin stesse aggrottando la fronte. «Non fraintenderci, Simon. Abbiamo la massima reverenza per le Donne del Potere. Ma il loro modo di vivere le divide da noi, e dalle cose che possono motivarci. Infatti, come sai, il Potere abbandona una strega, se diventa veramente donna. Perciò sono doppiamente gelose della loro forza, poiché per detenerla hanno rinunciato ad una parte della loro vita. Inoltre, sono fiere di essere donne. Per loro, i costumi dei Falconieri, che negano quella fierezza ed il Potere, riducendo una donna ad un corpo privo d’intelligenza e di personalità, sono più o meno ispirati dai demoni.

«Non possiamo essere d’accordo con la mentalità dei Falconieri, ma come combattenti noi Guardie li consideriamo con rispetto, e quando li abbiamo incontrati in passato non vi sono mai stati dissidi tra noi. Le Guardie di Estcarp ed i Falconieri sono in pace. Inoltre…» aggiunse, gettando via lo stecco da cui aveva staccato a morsi l’ultimo pezzo di pesce, «forse presto verrà un giorno in cui questo sarà utile per tutti.»

«Questo è vero!» disse Tunston, in tono concitato. «Karsten ha combattuto contro di loro. E piaccia o no alla Guardiana, se Karsten marcerà contro Estcarp, i Falconieri si troveranno in mezzo. Ma noi lo sappiamo bene, e in quest’ultimo anno la Guardiana ha fatto finta di non vedere, quando c’è stata la Grande Nevicata e grano e bestiame sono stati portati a sud, ai villaggi dei Falconieri.»

«C’erano donne e bambini che soffrivano la fame, in quei villaggi,» disse Jivin.

«Sì. Ma le vettovaglie erano abbondanti, più di quanto avrebbero potuto consumare gli abitanti dei villaggi,» ribatté Tunston.

«Il Falcone!» Jivin indicò il cielo: videro il rapace bianco e nero veleggiare nell’aria sopra di loro. Questa volta, era l’avanguardia di un gruppetto d’uomini a cavallo, che apparvero e si fermarono ad osservare le Guardie.

I cavalli erano piccoli, con il vello ruvido, e Simon giudicò che dovevano essere abbastanza agili per percorrere gli stretti sentieri di montagna. Le selle erano semplicissime, ma con il corno biforcuto: su ognuno di essi stava appollaiato uno dei falconi; l’uccello che li aveva guidati fin lì andò a posarsi sulla sella del capo.

Come le guardie e gli uomini di Forte Sulcar, indossavano usberghi di maglia metallica e portavano sulle spalle piccoli scudi rombici. Ma gli elmi erano modellati ad imitazione delle teste degli uccelli che addestravano. E sebbene sapesse che erano occhi umani, quelli che li scrutavano dietro le visiere, Simon giudicò inquietante quella foggia bizzarra.

«Io sono Koris, al servizio di Estcarp.»

Koris, con la grande ascia appoggiata sull’avambraccio, si alzò di fronte ai quattro uomini taciturni.

L’uomo il cui falcone era appena tornato a posarsi alzò la destra in un gesto universale, antico quanto il tempo.

«Nalin delle montagne esterne.» La sua voce echeggiò cavernosa dietro la visiera.

«Tra noi vi è pace.» Koris tenne un tono quasi interrogativo a quelle parole.

«Tra noi vi è pace. Il Signore delle Ali schiude il Nido al Capitano di Estcarp.»


Simon temeva che quei cavallini non avrebbero potuto trasportare un doppio carico. Ma quando montò dietro uno dei Falconieri, si accorse che l’animale procedeva sicuro, anche sul sentiero più pericoloso, e che il peso supplementare di un altro cavaliere non sembrava infastidirlo.

Le piste del territorio dei Falconieri non erano fatte certamente per attirare un comune viaggiatore. Simon tenne gli occhi aperti con uno sforzo di volontà, mentre procedevano lungo le cengie, costeggiando strapiombi che preferiva non misurare.

Di tanto in tanto, uno dei falconi s’involava per precedere il gruppo, scrutando le valli strette che caratterizzavano quella regione, e più tardi ritornava dal suo padrone. Simon avrebbe voluto chiedere informazioni su quello strano accordo tra uomini e rapaci, perché sembrava che gli esploratori alati avessero un loro modo di fare rapporto.

Scesero da un pendio, su una strada pianeggiante, ma l’attraversarono e ripresero a salire sul terreno accidentato. Simon si azzardò a parlare all’uomo dietro al quale cavalcava.

«Non conosco questa terra meridionale… Quella non è una via che attraversa le montagne?»

«È una delle strade dei mercanti. Noi gliele manteniamo aperte, e c’è guadagno per tutti. Dunque tu sei lo straniero che è entrato nelle Guardie?»

«Infatti.»

«Le Guardie non sono scudi senza stemma. E il loro Capitano è un valoroso. Ma sembra che il mare vi abbia conciati male.»

«Nessun uomo può vincere le tempeste,» rispose evasivamente Simon. «Siamo vivi… e questa è una fortuna.»

«Ed è una fortuna anche più grande che non siate stati spinti più a sud. I saccheggiatori di Verlaine raccolgono molte cose dal mare. Ma non amano gli uomini vivi. Un giorno,» aggiunse, in tono più tagliente, «forse Verlaine scoprirà che le sue scogliere non basteranno a salvarla. Quando il Duca imporrà il suo dominio su quel luogo, non sarà più un piccolo fuoco per ingannare i viaggiatori, ma una fornace ardente!»

«Verlaine appartiene a Karsten?» chiese Simon. Cercava di raccogliere notizie appena poteva, e le aggiungeva, frammento per frammento, per ricostruire l’enorme rompicapo di quel mondo.

«La figlia di Verlaine sta per sposare il Duca, secondo le consuetudini di quegli stranieri. Infatti, credono che una femmina possa avere diritti sulle terre! E grazie a questo diritto assurdo, il Duca pretenderà Verlaine, per i ricchi tesori strappati al mare in tempesta: e forse ingrandirà la trappola per catturare tutte le navi dirette verso la costa. Da molto tempo abbiamo messo le nostre spade al servizio dei mercanti, anche se il mare non è il nostro campo di battaglia prediletto: quindi forse verremo chiamati, quando Verlaine dovrà essere spazzata via.»

«Gli uomini di Forte Sulcar sono tra coloro che sareste disposti ad aiutare?»

L’uomo annuì vigorosamente, scuotendo l’elmo a forma di testa d’uccello. «Fu a bordo di navi di Sulcar che scampammo al sangue, alla morte ed al fuoco, Guardia! Sulcar ha la prima opzione nei nostri confronti, da quel giorno!»

«Non l’avrà più.» Simon non sapeva perché avesse detto questo, e subito se ne pentì.

«Porti qualche notizia, Guardia? I nostri falchi volano lontano, ma non si spingono fino ai promontori settentrionali. Che è accaduto a Forte Sulcar?»

L’esitazione di Simon si prolungò, mentre tutti i falchi volteggiavano nel cielo, lanciando strida.

«Lasciami andare e scendi!» ordinò bruscamente il cavaliere. Simon obbedì; e le quattro Guardie restarono sul sentiero, mentre i cavalli avanzavano ad un’andatura temeraria, per quella zona. Koris accennò ai compagni di proseguire.

«C’è una sortita.» Cominciò a correre dietro ai cavalli, con l’ascia sulle spalle, procedendo ad un trotto forzato che soltanto Simon riuscì ad eguagliare.

Da lontano giungevano grida e clangore di metallo contro metallo.

«Forze di Karsten?» chiese ansimante Simon, mentre raggiungeva il Capitano.

«Non credo. Vi sono fuorilegge tra queste montagne, e Nalin ha detto che diventano sempre più sfrontati. Secondo me, è solo una piccola parte della verità. Alizon minaccia dal nord, Kolder avanza da occidente, le bande di fuorilegge diventano irrequiete, e Karsten si agita. Da molto tempo i lupi e i rapaci notturni sognano di spolpare le ossa di Estcarp, anche se finiranno per azzuffarsi tra loro per la spartizione della preda. Alcuni uomini vivono nella sera e sprofondano nelle tenebre difendendo i resti di ciò che venerano.»

«E questa è la sera per Estcarp?» chiese Simon, stentando a trovare il fiato.

«Chi può dirlo? Ah… sono banditi!»

Videro, dall’alto, una delle strade dei mercanti. E vi infuriava una battaglia. I cavalieri dagli elmi a testa di falcone smontarono, poiché il terreno pianeggiante era troppo limitato per offrire un vantaggio alla cavalleria, e avanzarono all’unisono, abbattendo coloro che si erano lasciati indurre ad uscire allo scoperto. Ma c’erano cecchini nascosti tra cespugli e rocce, ed i loro dardi causavano perdite tra i Falconieri.

Koris balzò sul sentiero, e piombò in una depressione dove stavano accovacciati due uomini. Simon proseguì lungo una pista fino ad un punto da cui, con una pietra, abbatté un bandito intento a sparare nella mischia. Gli bastò un momento per spogliare il cadavere del lanciadardi e delle munizioni; e subito puntò l’arma contro i camerati dell’ucciso.

I falchi volavano urlando, avventandosi su facce ed occhi, lacerando con gli artigli aguzzi. Simon sparò, prese di nuovo la mira e tornò a sparare, constatando i propri successi con rabbiosa soddisfazione. Un po’ dell’amarezza per la sconfitta subita a Forte Sulcar lo abbandonò in quei momenti frenetici, mentre c’era ancora resistenza attiva intorno a lui e sulla strada.

Uno squillo di corno stroncò le grida degli uccelli. Dall’altra parte della valle, una bandiera lacera si agitò vigorosamente, e i fuorilegge che erano ancora in piedi ripiegarono, sebbene non si dessero alla fuga fino a quando raggiunsero una zona boscosa, dove gli uomini a cavallo non avrebbero potuto inseguirli. Stava scendendo rapidamente la sera, e le ombre li inghiottirono.

I banditi potevano nascondersi agli uomini, ma non agli occhi dei falchi. I rapaci volteggiarono sui pendii, lanciandosi in picchiata: talvolta trovavano una preda, come attestavano le urla di dolore. Simon vide Koris sulla strada, con l’ascia in pugno chiazzata di scuro. Parlava concitatamente con un Falconiere, senza badare agli altri che passavano da un caduto all’altro e che talvolta sferravano con la spada un rapido colpo di grazia. C’era lo stesso impegno rabbioso, in quella procedura, che Simon aveva osservato dopo l’imboscata tesa dalle truppe di Gorm. Simon si diede da fare per allacciarsi la nuova cintura, poiché preferiva non osservare quella particolare attività.

I falchi stavano ridiscendendo nel cielo della sera, in risposta ai fischi dei loro padroni. I corpi di due Falconieri vennero legati attraverso le selle, e altri uomini cavalcavano fasciati, sorretti dai compagni. Ma le perdite dei fuorilegge erano state molto più pesanti.

Simon montò di nuovo in sella dietro un Falconiere: ma non era lo stesso uomo. E questo non aveva voglia di parlare: si stringeva al petto il braccio ferito e imprecava sommessamente ad ogni scossone.

La notte scese rapida tra le montagne: i picchi più alti nascondevano il sole, cingendo gore sempre più vaste d’oscurità. Si avviarono per un sentiero più largo e pianeggiante che, con una ripida scalata, li portò al nido che i Falconieri s’erano costruiti nella terra del loro esilio. La vista del forte strappò a Simon un fischio di meraviglia.

Era stato profondamente colpito dalle antiche mura di Estcarp, che sembravano modellate dalle ossa di quel mondo nei giorni della sua creazione. E Forte Sulcar, sebbene ammantato dalla nebbia innaturale, gli era apparso poderoso. Ma questa fortezza faceva parte dei precipizi e della montagna. Poteva solo pensare che i costruttori avessero scoperto per caso una vetta traforata da una serie di grotte, e le avessero ampliate e adattate. Il Nido non era un castello: era una montagna trasformata in fortezza.

Attraversarono un ponte levatoio gettato su un abisso fortunatamente nascosto dal crepuscolo: era così stretto che poteva passare solo un cavallo per volta. Simon riprese a respirare solo quando il cavallo passò sotto le punte affilate d’una saracinesca ed entrò in una caverna. Aiutò il Falconiere ferito a smontare e l’affidò ad uno dei suoi compagni, poi si girò per cercare le Guardie: notò la testa bruna di Tunston prima di scorgere gli altri.

Koris si diresse verso di loro, seguito da Jivin. Per qualche istante, sembrò che i loro ospiti li avessero dimenticati. I cavalli furono condotti via, e ciascuno degli uomini si trasferì il falcone sul guanto imbottito, prima di avviarsi verso un’altra galleria. Alla fine, uno degli elmi a forma di testa d’uccello girò verso di loro, e un ufficiale dei falconieri si avvicinò.

«Il Signore delle Ali vorrebbe parlare con voi, Guardie. Sangue e Pane, Spada e Scudo al nostro servizio!»

Koris gettò in aria l’ascia, l’afferrò al volo, e rivolse cerimoniosamente la lama lontano dall’altro. «Spada e Scudo, Sangue e Pane, uomo dei falchi!»

Capitolo terzo Una strega a Kars

Simon si sollevò a sedere sulla branda, stringendosi la testa dolorante. Aveva fatto un sogno vivido e terrificante, di cui ricordava solo il terrore. Si era svegliato, e s’era trovato nell’austera stanza di un Falconiere, con quel dolore tremendo che gli trafiggeva la testa. Ma ancora più torte della sofferenza c’era la sensazione di dover obbedire ad un ordine… oppure doveva rispondere ad un’invocazione?

Il dolore si dileguò, ma il turbamento rimase. Non poteva rimanere a letto. Indossò gli abiti di cuoio forniti dai suoi ospiti, ed uscì, calcolando che doveva mancare poco all’aurora.

Erano al Nido da cinque giorni, e Koris intendeva dirigersi presto al nord, avviandosi verso Estcarp attraverso leghe e leghe di territorio infestato dai banditi. Simon sapeva che il Capitano sperava di legare i Falconieri alla causa della nazione settentrionale. Appena giunto alla capitale, avrebbe usato la sua influenza per vincere i pregiudizi delle streghe, in modo che i valenti guerrieri dagli elmi a testa di rapace potessero venire arruolati al servizio di Estcarp.

La caduta di Forte Sulcar aveva scosso gli abitatori delle montagne, e si parlava di preparativi di guerra. Nelle grotte più basse della strana fortezza, i fabbri lavoravano giorno e notte, gli armaioli non avevano tregua, e un gruppo di tecnici preparava le minuscole sfere che venivano fissate ai geti dei falchi e che permettevano ai rapaci di riferire ai loro padroni. Quello era il segreto più gelosamente custodito della nazione, e Simon era riuscito soltanto a sapere che era basato su un congegno meccanico.

Molte volte, Tregarth era rimasto sconcertato, nella sua valutazione di quei popoli, da sorprese inaspettate come quella. Gli uomini che combattevano armati di spade e scudi non avrebbero dovuto realizzare mezzi di comunicazione tanto complessi. Quelle stranezze erano sconcertanti. Poteva accettare la «magia» delle streghe più facilmente dell’idea che i falconi portassero occhi, orecchi e — quand’era necessario — anche voci.

La magia delle streghe… Simon salì una scala intagliata in una delle gallerie, e uscì in una postazione di vedetta. Non c’erano nebbie che nascondessero la catena di colline, nella luce del mattino. Attraverso un varco lontano, poteva scorgere la distesa pianeggiante che sapeva essere Karsten.

Karsten! Era così intento ad osservare che Simon non si accorse della presenza della sentinella fino a quando l’uomo parlò:

«Hai un messaggio, Guardia?»

Un messaggio? Quelle parole fecero scattare qualcosa nella mente di Simon. Per un istante, sentì rinascere la sofferenza sopra gli occhi, la certezza di dover fare qualcosa. Era una sorta di precognizione, ma diversa da quella che aveva provato sulla strada per Forte Sulcar. Adesso veniva chiamato, non avvertito. Koris e le Guardie potevano dirigersi a nord, se volevano: ma lui doveva andare a sud. Simon abbassò l’ultima difesa contro quella sensazione insidiosa, e lasciò che lo invadesse.

«È giunta qualche notizia dal sud?» chiese alla sentinella.

«Chiedilo al Signore delle Ali, Guardia.» L’uomo era sospettoso, come tutti i suoi simili. Simon si avviò verso la scala.

«Puoi starne certo!»

Prima di recarsi dal Comandante dei Falconieri, cercò il Capitano: lo trovò occupato nei preparativi per la partenza. Koris alzò gli occhi dai sacchi da sella, e smise di tirare fibbie e cinghie.

«Cosa c’è?»

«Ridi pure, se vuoi,» rispose seccamente Simon. «La mia strada volge al sud.»

Koris sedette sull’orlo di un tavolo, facendo dondolare lentamente un piede avanti e indietro. «Perché Karsten ti attira?»

«È così e basta!» Simon si sforzò di tradurre in parole ciò che lo trascinava, contro ogni suggerimento della ragione. Non era mai stato molto eloquente, e stava scoprendo che lì era ancora più difficile esprimersi. «Mi sento attratto…»

Il piede di Koris smise di dondolare. Sul bel volto amareggiato era impossibile leggere una qualunque espressione. «Da quando… e com’è cominciato?» La domanda fu brusca ed aspra: la domanda di un ufficiale che esigeva un rapporto.

Simon disse la verità. «Ho fatto un sogno, e poi mi sono svegliato. Quando ho guardato le valli di Karsten ho compreso che la mia strada conduce là.»

«E il sogno?»

«Era un sogno di pericolo: non ricordo altro.»

Koris batté un pugno sul palmo dell’altra mano. «Così sia! Vorrei che tu avessi maggior potere… o meno. Ma se ti senti attirato, andremo a sud.»

«Andremo?»

«Tunston e Jivin porteranno nostre notizie ad Estcarp. I Kolder non potranno sfondare la barriera del Potere ancora per diverso tempo. E Tunston può comandare la Guardia. Ascolta, Simon: io sono di Gorm, ed ora Gorm combatte contro la Guardia, anche se forse Gorm è morto e animato da demoni. Ho servito Estcarp meglio che ho potuto, da quando la Guardiana mi ha concesso asilo, e continuerò a servirla. Ma forse è venuto il tempo in cui potrò servirla meglio al di fuori dei ranghi dei suoi guerrieri.

«Come posso…» Gli occhi scuri erano cerchiati d’ombra: occhi stanchi di uno sfinimento che non era fisico. «Come posso sapere se il pericolo non colpirà il cuore stesso di Estcarp per mio tramite, poiché io sono di Gorm? Abbiamo visto ciò che i Kolder hanno fatto ad uomini che conoscevo bene. Che altro potranno fare quegli esseri diabolici? Hanno volato nell’aria per prendere Forte Sulcar.»

«Ma questo potrebbe non essere il risultato di una magia,» l’interruppe Simon. «Nel nostro mondo, il volo aereo è un normale mezzo per viaggiare. Vorrei avere avuto la possibilità di vedere come erano arrivati… potrebbe esserci utile!»

Koris rise sarcasticamente. «Senza dubbio avremo in futuro molte altre occasioni di osservare i loro metodi. Credo, Simon, che se sei attirato verso il sud, questo abbia uno scopo intelligente. E due spade, o meglio,» si corresse con un sorrisetto, «un’ascia e un lanciadardi sono più forti del solo lanciadardi. Il fatto stesso che tu sia stato chiamato è un buon segno: deve significare che colei che è venuta con noi a Forte Sulcar è ancora viva, e agisce in favore della nostra causa.»

«Ma come possiamo sapere che si tratta di lei? E perché?» Anche Simon aveva avuto quel sospetto: e la conferma da parte di Koris gli pareva decisiva.

«Come? Perché? Coloro che hanno il Potere possono lanciarlo lungo certe vie della mente, come i Falconieri inviano i loro rapaci attraverso l’aria. E se incontrano qualcuno della loro specie, possono chiamare o avvertire. In quanto al perché… sono convinto, Simon, che sia la dama che tu hai salvato dai cacciatori di Alizon, poiché sarebbe facilmente in grado di comunicare con qualcuno che conosce.

«Tu non sei sangue del nostro sangue, ossa delle nostre ossa, Simon Tregarth: e si direbbe che nel tuo mondo il Potere non sia esclusivamente nelle mani delle donne. Non avevi fiutato l’imboscata sulla strada costiera, esattamente come avrebbe potuto fare una strega? Sì, verrò a Karsten affidandomi alle prove che mi hai dato, poiché conosco il Potere e perché, Simon, ho combattuto al tuo fianco. Lasciami il tempo di dare a Tunston le istruzioni ed un messaggio per la Guardiana, e andremo a gettare le reti in acque turbolente, in cerca di grossi pesci.»

Partirono a cavallo verso il sud, equipaggiati con gli usberghi e le armi tolti ai nemici uccisi, gli scudi senza stemma per indicare che erano mercenari disposti ad accettare un ingaggio. La guardia confinaria dei Falconieri li scortò fino al limitare delle montagne, dove passava la strada dei mercanti che portava a Kars.

Poiché non avevano altra guida che quella vaga sensazione, Simon si chiedeva se quella decisione era veramente saggia. Ma il richiamo lo assillava notte e giorno, anche se non aveva più incubi. E ogni mattina si svegliava impaziente di rimettersi in cammino.

Karsten aveva molti villaggi, sempre più grandi e più ricchi via via che i viaggiatori penetravano nelle fertili terre nere, lungo gli ampi fiumi. E c’erano signorotti, insediati nei feudi, che offrivano d’ingaggiare i due guerrieri venuti dal nord. Mentre Koris rideva sprezzante dei salari che venivano loro proposti, accrescendo così il rispetto ispirato da lui e dalla sua ascia, Simon parlava poco, ma osservava tutto attentamente, tracciando le mappe del territorio nella propria mente, annotando le usanze e le leggi del comportamento; e intanto, quando viaggiavano soli, cercava di estorcere al Capitano informazioni sempre nuove.

Il Ducato era stato un tempo un territorio scarsamente popolato da una razza affine all’antica stirpe di Estcarp. E di tanto in tanto un’orgogliosa testa bruna, un volto pallido dai lineamenti fini, ricordavano a Simon gli uomini del nord.

«Qui, fu la maledizione del Potere a finirli,» osservò Koris, quando Simon gliene parlò.

«La maledizione?»

Il Capitano scrollò le spalle. «È a causa della natura del Potere. Coloro che l’usano non si riproducono. Perciò ogni anno, il numero delle donne che si sposano ed hanno figli continua a ridursi. Una fanciulla da marito, a Estcarp, può scegliere tra dieci uomini; tra poco potrà scegliere tra venti. E vi sono molte case senza bambini.

«E così avvenne anche qui. Perciò, quando i barbari vennero d’oltremare e s’insediarono lungo le coste, non incontrarono un’opposizione attiva. S’impadronirono di territori sempre più vasti. Poi, con l’andare del tempo, s’imposero i comandanti militari. Perciò vennero i Duchi, ed ora c’è questo Yvian… che era solo un mercenario, e che ha dato la scalata al trono grazie all’intelligenza e alla forza del suo braccio.»

«E ad Estcarp toccherà la stessa sorte?»

«Forse. Ma c’è stata l’unione con il sangue di Sulcar, l’unico, sembra, che possa dare unioni feconde con Estcarp. Perciò al nord il vecchio sangue si è rinnovato e rinvigorito. Tuttavia, forse Gorm ci inghiottirà prima che si veda qualche risultato. Dimmi, Simon: la cittadina cui ci stiamo avvicinando ti ispira qualcosa? È Gartholm, sul fiume. E più oltre c’è soltanto Kars.»

«Allora andiamo a Kars,» rispose Simon, dopo un lungo istante. «Perché il peso continua ad opprimermi.»

Koris inarcò le sopracciglia, sotto l’elmo senza cimiero. «Allora dovremo procedere con prudenza e guardarci le spalle. Sebbene il Duca non sia di sangue nobile, e venga guardato con disprezzo dalle antiche famiglie, è tutt’altro che stupido. A Kars ci saranno occhi ed orecchi aperti per seguire gli stranieri, e agli scudi senza stemma verranno rivolte molte domande. Soprattutto se non cercheranno di arruolarsi sotto la bandiera del sovrano.»

Simon guardò pensieroso le chiatte fluviali all’ancora lungo il molo.

«Ma il Duca non sarebbe disposto ad arruolare un mutilato. Inoltre, a Karsten non ci sono dottori capaci di curare un uomo ferito in battaglia? Un uomo, diciamo, che in seguito ad un colpo in testa non vede più bene?»

«Quell’uomo sarebbe accompagnato da un camerata, che lo condurrebbe dai famosi dottori di Kars, no?» ridacchiò Koris. «Sì, ottima idea, Simon. E chi è il guerriero ferito?»

«Credo che il ruolo spetti a me. Potrebbe coprire gli eventuali errori che non sfuggirebbero ad un’attenta spia del Duca.»

Koris annuì vigorosamente. «Venderemo i nostri cavalli qui a Gartholm. Sono troppo riconoscibili, e denuncerebbero la nostra provenienza dalle montagne. E in Karsten, i montanari sono sospetti. Possiamo imbarcarci su uno dei battelli fluviali. Un piano eccellente.»

Fu il Capitano a trattare la vendita dei cavalli; stava ancora contando i pezzi di metallo a forma di cuneo che servivano come moneta nel ducato, quando raggiunse Simon sulla chiatta. Koris ripose il danaro nella borsa, con un sorriso.

«Ho sangue di mercante, e oggi l’ho dimostrato,» disse. «Una volta e mezzo il prezzo che ero disposto ad accettare: quanto basta per ungere le ruote quando arriveremo a Kars se fosse necessario. E per vivere, fino a quando verrà il momento.» Depose il sacco accanto all’ascia da cui non si era mai separato dal momento in cui l’aveva presa dalle mani di Volt.

Per due giorni scivolarono pigramente sulla corrente del fiume. Verso il tramonto del secondo giorno videro le mura e le torri di Kars che spiccavano non molto lontano, e in quel momento Simon si portò le mani alla testa. La sofferenza lo trafisse di nuovo sopra gli occhi con l’intensità di una percossa. Poi sparì, lasciando una piccola immagine vivida di un vicolo mal lastricato, un muro, ed una porta. Quella era la loro meta: e si trovava in Kars.

«Allora ci siamo, Simon?» Il Capitano gli posò la mano sulla spalla.

«Sì.» Simon chiuse gli occhi ai colori del tramonto che si rispecchiavano nel fiume. In qualche angolo di quella città doveva trovare il vicolo, il muro, la porta, e incontrarsi con colei che attendeva.

«Un vicoletto, un muro, una porta…»

Koris comprese. «Non è molto,» osservò. Scrutava la città come se, con la forza della volontà, potesse far valicare ad entrambi lo spazio che ancora separava la chiatta dal molo.

Poco dopo, risalendo il lungofiume, giunsero alla porta della città. Simon camminava lentamente, recitando il suo ruolo, e cercava di muoversi con l’incertezza di un uomo che non può fidarsi della propria vista. Eppure i suoi nervi fremevano: era certo che, una volta in città, avrebbe saputo trovare il vicolo. Il filo che l’aveva attirato attraverso l’intero ducato adesso era più solido.

Koris parlò per entrambi, alla porta; e la spiegazione dell’infermità di Simon, accompagnata da un dono passato sottobanco al sergente della guardia, servì a farli ammettere. Il Capitano sbuffò, quando giunsero in fondo alla via e svoltarono all’angolo.

«Se quell’uomo fosse ad Estcarp, gli avrei tolto lo stemma dallo scudo e l’avrei cacciato dalla città prima che avesse tempo di dirmi il suo nome! Si dice che il Duca si sia rammollito, da quando è salito al trono: ma non avrei mai creduto fino a questo punto!»

«Si dice anche che ogni uomo ha il suo prezzo,» osservò Simon.

«È vero. Ma un ufficiale intelligente conosce il prezzo degli uomini che comanda, e li utilizza di conseguenza. Questi sono mercenari, e si possono comprare, nelle cose di poco conto. Ma forse, se il loro codice ha ancora valore, si batteranno coraggiosamente per colui che li paga. Cosa c’è?»

Lo chiese bruscamente, perché Simon s’era fermato, e s’era voltato a mezzo.

«Siamo avviati nella direzione sbagliata. Dobbiamo andare verso est.»

Koris studiò la strada. «C’è un vicolo, quattro porte più avanti. Sei sicuro?»

«Sono sicuro.»

Temendo che il sergente di guardia alla porta fosse più furbo di quanto l’avessero giudicato, procedettero a passo lento: Simon si lasciava guidare. Il vicolo rivolto verso est portava ad altre vie. Simon si soffermò sotto un voltone, mentre Koris andava a controllare il tratto che avevano già percorso. Nonostante il suo aspetto facilmente riconoscibile, il Capitano sapeva bene come non farsi notare. Poco dopo ritornò.

«Se ci hanno messo alle calcagna un segugio, dovrebbe essere più abile dei più abili uomini di Estcarp, e non lo credo. Perciò muoviamoci, prima di dare nell’occhio. La pista conduce sempre ad est?»

Il dolore sordo nella testa di Simon affluiva e defluiva; poteva servirsene, stranamente, come di una guida. Poi una fitta particolarmente acuta lo condusse all’imboccatura di un vicolo tortuoso. Era fiancheggiato da muri ciechi, e le poche finestre che vi si affacciavano erano buie e chiuse da tende.

Affrettarono il passo, e Simon lanciò un’occhiata ad ogni finestra, temendo di scorgervi un volto. Poi scorse la porta della visione. Si fermò, ansimando un poco, non per la fatica ma per il tumulto interiore. Alzò il pugno e bussò.

Non ebbe risposta, e si sentì assurdamente deluso. Poi spinse, e sentì che la porta doveva essere bloccata da una sbarra.

«Sei sicuro che sia qui?» chiese Koris.

«Sì!» Non c’era un chiavistello esterno che Simon potesse forzare. Eppure ciò che cercava, ciò che l’aveva portato fin là, stava dall’altra parte.

Koris arretrò di qualche passo, misurando con gli occhi l’altezza del muro.

«Se fosse più buio potremmo scavalcarlo. Ma adesso verremmo notati.»

Simon abbandonò ogni prudenza e bussò con violenza, come se percuotesse un tamburo. Koris gli afferrò il braccio.

«Vuoi attirare qui tutte le compagnie del Duca? Andiamo in una taverna, e torniamo al cader della notte.»

«Non ce n’è bisogno.»

Koris sollevò l’ascia dalla spalla. Simon si portò la mano sul lanciadardi. La porta si socchiuse e una voce bassa ed atona giunse fino a loro.

Tra il legno della porta ed i mattoni del muro stava un giovane. Era molto più piccolo di Simon, addirittura più di Koris, e molto snello. La parte superiore del volto era nascosta dalla visiera di un elmo, e portava un usbergo di maglia senza l’emblema di un signore.

Guardò prima Simon, poi il Capitano; la vista di Koris, stranamente, parve rassicurarlo, perché arretrò ed accennò loro di entrare. Si trovarono in un giardino, con gli steli fragili dei fiori uccisi dall’inverno disposti in aiuole ordinate, e passarono oltre una fontana asciutta, segnata da un bordo di antica schiuma, dove un uccello di pietra con il becco spezzato cercava all’infinito la propria immagine nell’acqua che non c’era più.

C’era un’altra porta, che conduceva all’interno della casa; e là il torrente di luce era come uno striscione di benvenuto. Il giovane passò in mezzo a loro, correndo, dopo aver sbarrato la porta del giardino. Ma sulla soglia c’era qualcun altro che fece loro segno di entrare.

Simon aveva visto quella donna vestita di stracci, mentre fuggiva davanti a una muta di segugi. E l’aveva vista nel consiglio, avvolta nelle vesti austere del suo ordine. Aveva cavalcato al suo fianco, quando lei era partita insieme alle Guardie, chiusa nell’armatura. Adesso era abbigliata d’oro e di scarlatto, con anelli alle dita e una reticella ingemmata che racchiudeva i capelli corti.

«Simon!» Non gli tese le mani, non gli rivolse altro saluto che quel nome, e tuttavia Tregarth si sentì riscaldare e rasserenare. «E Koris.» Rise, dolcemente, come invitandoli a partecipare ad uno scherzo, e si rivolse a loro con la profonda reverenza d’una dama di corte. «Siete venuti, signori, a consultare la Donna Saggia di Kars?»

Koris appoggiò l’ascia sul pavimento e lasciò cadere le sacche da sella che teneva gettate sulle ampie spalle.

«Siamo accorsi al suo richiamo, o meglio al richiamo che hai inviato a Simon. E quel che faremo qui spetta a te deciderlo. Tuttavia, è bello sapere che sei sana e salva, signora.»

Simon si limitò ad annuire. Ancora una volta, non riusciva a trovare le parole adatte per esprimere sensazioni che preferiva non definire.

Capitolo quarto Filtro d’amore

Koris posò la coppa con un sospiro. «Prima un letto che nessuna caserma potrebbe offrire, e poi due pasti come questo. Non ho assaggiato un vino simile da quando ho lasciato Estcarp. E non ho mai banchettato in una compagnia tanto piacevole.»

La strega batté le mani. «Koris il cortigiano! E Simon il paziente. Non ci avete ancora chiesto cosa facciamo a Kars, sebbene abbiate trascorso una notte e parte di un giorno sotto questo tetto.»

«Sotto questo tetto,» ripeté pensoso Simon. «Per caso, questa è l’ambasciata di Estcarp?»

La strega sorrise. «Molto acuto, Simon. Ma no, non siamo qui ufficialmente. C’è veramente un’ambasciata di Estcarp in Kars: vi è insediato un nobile con precedenti impeccabili e senza odore di stregoneria. Cena con il Duca nelle feste ufficiali e presenta una splendida facciata di rispettabilità. Questa casa è situata in un quartiere ben diverso. Cosa facciamo qui…?»

S’interruppe, e Koris chiese, in tono superficiale:

«Immagino che ci sia bisogno del nostro aiuto, altrimenti Simon non avrebbe avuto quel tremendo mal di testa. Dobbiamo rapire Yvian per farti piacere, o basta che spacchiamo qualche testa qua e là?»

Il giovane che si muoveva in silenzio e parlava poco ma era sempre presente, che la strega chiamava Briant ma senza aggiungere altre spiegazioni, prese un piatto di pasticcini. Senza l’elmo e l’usbergo che aveva indosso in occasione del loro primo incontro, sembrava un ragazzo sottile, quasi fragile, troppo giovane per essere esperto nell’uso delle armi che portava. Eppure la sua bocca aveva una piega decisa, i suoi occhi una luce ferma: probabilmente la donna di Estcarp, dopotutto, aveva fatto bene a reclutarlo.

«Briant,» gli disse la strega, «come vuoi che ci portino Yvian?» In quella domanda c’era una sfumatura maliziosa.

Il giovane scrollò le spalle e addentò un pasticcino. «Se tu ci tieni a vederlo. Io non ci tengo.» Quella leggera enfasi sull’«io» non sfuggì ai due uomini.

«No, non è il Duca che intendiamo divertire. È un altro componente della sua famiglia: Dama Aldis.»

Koris zufolò. «Aldis! Non avrei mai pensato…»

«Che abbiamo a che fare con l’amante del Duca? Ah, commetti un errore tipico degli uomini, Koris. C’è una ragione per cui desidero sapere di più sul conto di Aldis: e una ragione eccellente per spingerla a venir qui.»

«E sarebbero?» suggerì Simon.

«Il suo potere nel ducato è fondato esclusivamente sul favore di Yvian. Finché lo tiene legato al suo letto, lei ha ciò che più desidera: non gioielli e vesti, ma influenza. Gli uomini che sperano di realizzare qualche progetto devono rivolgersi ad Aldis, per avere accesso al Duca, anche se appartengono all’antica nobiltà. In quanto alle donne d’alto rango… Aldis ha ripagato duramente molte vecchie umiliazioni.

«Quando ha incominciato ad attirare l’interesse di Yvian le bastavano i gioielli e le vesti; ma con il passare degli anni, il potere ha finito per starle più a cuore. Senza il potere, non è più di una sguattera di taverna, e lo sa perfettamente.»

«E Yvian sta diventando irrequieto?» chiese Koris.

«Yvian si è sposato.»

Simon guardò la mano che si accostava al piatto dei pasticcini. Questa volta non completò il gesto, e prese invece il calice che stava davanti al piatto di Briant.

«Ne abbiamo sentito parlare tra le montagne, del matrimonio con l’erede di Verlaine.»

«Un matrimonio d’ascia,» spiegò la strega. «Yvian non ha ancora visto la novella sposa.»

«E l’amante teme la concorrenza. La signora di Verlaine è dunque considerata tanto bella?» chiese oziosamente Simon: ma notò un’improvvisa occhiata di Briant.

Fu proprio il ragazzo a rispondere: «No!» In quella negazione brusca c’era qualcosa di amaro che sconcertò Simon. Non sapevano chi fosse Briant, né dove l’avesse trovato la strega: ma forse aveva nutrito qualche simpatia per l’erede di Verlaine ed era deluso per averla perduta.

La strega rise. «Anche questo è opinabile. Ma sì, Simon, credo che Aldis non dorma tranquilla, la notte, da quando ha sentito leggere il decreto sulla piazza del mercato di Kars… E si chiede per quanto tempo ancora Yvian correrà da lei. In questo stato d’animo, è matura per il nostro proposito.»

«Capisco perché quella dama potrebbe cercare aiuto,» ammise Simon. «Ma perché dovrebbe chiederlo a te?»

La strega assunse un tono di rimprovero. «Anche se non mi presento come una Donna del Potere venuta da Estcarp, godo d’una certa reputazione in questa città. Non è la prima visita, per me. Gli uomini e le donne, ma soprattutto le donne, desiderano sempre sentirsi predire il futuro. Due damigelle di Aldis sono venute qui, negli ultimi tre giorni, armate di falsi nomi e di storie ancora più false. Quando le ho chiamate con i loro veri nomi e ho detto alcune particolari cosette, sono tornate di corsa dalla loro signora. Verrà abbastanza presto, non temete.»

«Ma perché la vuoi? Se la sua influenza su Yvian sta tramontando…» Koris scosse il capo. «Non ho mai preteso di capire le donne, ma per la verità ora mi trovo in un labirinto. Il nostro nemico è Gorm, non Karsten… almeno, non attivamente.»

«Gorm!» Vi fu un balenio d’emozione, dietro la facciata impassibile di quel volto. «Gorm ha messo radici anche qui.»

«Cosa?» Koris batté con violenza le mani sul tavolo. «E che c’entra Gorm con il Ducato?»

«C’entra… in un certo senso. È Karsten che va a Gorm: o almeno ci va una parte dei suoi uomini.» La strega appoggiò il mento sulle mani intrecciate, con i gomiti sul piano del tavolo e parlò concitatamente.

«A Forte Sulcar abbiamo visto ciò che le forze di Kolder hanno fatto degli uomini di Gorm… li hanno usati come armi da guerra. Ma Gorm è soltanto una piccola isola, e quando venne invasa, molti dei suoi uomini dovettero cadere in battaglia prima che fosse possibile… convertirli.»

«È vero!» La voce di Koris era rabbiosa. «Non possono aver preso molti prigionieri.»

«Infatti. E quando Forte Sulcar è caduto, Magnis Osberic deve avere annientato gran parte degli invasori, distruggendo la cittadella. Così facendo, ha reso un servigio prezioso alla sua gente. Quasi tutte le navi mercantili erano in mare, e gli uomini di Sulcar usano portare con sé le loro famiglie durante i lunghi viaggi. Il loro porto su questo continente non c’è più: ma la loro nazione vive, e potranno ricostruire. Ma i Kolder potranno rimpiazzare con la stessa facilità gli uomini che loro hanno perduto?»

«Senza dubbio, si trovano a corto di effettivi,» disse Simon, in tono quasi interrogativo, riflettendo sulle possibilità.

«Può essere così. O forse, per qualche altra ragione, non possono o non vogliono affrontarci apertamente. Sappiamo ben poco sul conto dei Kolder, sebbene siano insediati alle soglie di casa nostra. E adesso comprano uomini.»

«Ma gli schiavi non sono combattenti fidati,» osservò Simon. «Mettergli le armi in mano equivale a spingerli alla rivolta.»

«Simon, Simon, hai dimenticato cos’erano gli uomini che ci attendevano sulla strada del mare? Chiediti se erano pronti alla rivolta. No, coloro che marciano al suono dei tamburi di guerra di Kolder non hanno più volontà. Ma è vero anche questo: negli ultimi sei mesi, molte galee hanno gettato l’ancora nelle acque di un’isola alla foce del fiume di Kars: e sono stati caricati a bordo prigionieri provenienti da Karsten. Alcuni vengono dalle carceri del Duca, altri sono stati rastrellati per le vie ed i moli: uomini senza amici, o di cui nessuno sentirà la mancanza.

«Sono cose che non si possono tenere segrete in eterno. Un mormorio qui, una frase là… poco a poco abbiamo ricostruito la verità. Sono uomini venduti a Kolder per gli scopi di Kolder. E se questo avviene a Karsten, perché non accade anche ad Alizon? Ora capisco perché la mia missione ad Alizon è fallita, e perché sono stata scoperta tanto rapidamente. Se i Kolder hanno certi poteri — e noi crediamo che li abbiano — potrebbero stanare me od altre come me, con la stessa facilità con cui i segugi seguivano le nostre tracce nella brughiera.

«Ormai abbiamo la certezza che i Kolder, su Gorm, stiano radunando un esercito con lo scopo d’invadere il continente. Forse quel giorno Karsten ed Alizon scopriranno di aver fornito le armi per la loro sconfitta. È per questo che devo trattare con Aldis: dobbiamo saperne di più di questo osceno traffico con Gorm, che non potrebbe esistere se il Duca non fosse informato e consenziente!»

Koris si agitò irrequieto. «Anche i soldati chiacchierano, signora. Un giro delle taverne, compiuto da uno scudo senza stemma con le tasche piene di danaro, potrebbe fornirci notizie in abbondanza.»

La strega lo scrutò, dubbiosa. «Yvian è tutt’altro che stupido. Ha occhi e orecchie dovunque. Se uno come te si presentasse nelle taverne di cui hai parlato, Capitano, ne verrebbe subito informato.»

Koris non sembrava preoccupato. «Koris di Gorm, un mercenario, non ha forse perduto i suoi uomini e la sua reputazione a Forte Sulcar? Non dubitare, avrò una buona storia da raccontare, se qualcuno me la chiederà. Tu,» prosegui, rivolgendo un cenno a Simon, «faresti bene a starmi vicino, perché la frottola che abbiamo raccontato per varcare la porta della città non ci smascheri. Ma… e quel giovanetto?» chiese, rivolgendo un sorriso a Briant.

Simon si sorprese nel vedere che il ragazzo, di solito così serio, ricambiava timidamente il sorriso. Poi guardò la strega, come per chiedere il suo permesso. E Simon rimase altrettanto sorpreso quando lei l’accordò, con la stessa espressione maliziosa di poco prima.

«Briant non è un attaccabrighe, Koris. Ma è rimasto imprigionato qui dentro anche troppo a lungo. E non sottovalutare la sua spada. Posso assicurarti che è in grado di sbalordirti… e sotto più di un punto di vista!»

Koris rise. «Non ne dubito affatto, signora, poiché lo dici tu.» Allungò la mano verso l’ascia appoggiata accanto alla sedia.

«Faresti meglio a lasciar qui quel grazioso gingillo,» l’ammonì la strega. «Almeno quello verrebbe notato.» Posò la mano sull’impugnatura.

Fu come se le sue dita si fossero trasformate in pietra. E per la prima volta dal suo arrivo, Simon la vide perdere la calma.

«Che cos’è, Koris?» chiese con voce un po’ stridula.

«Non lo sai, signora? Mi è stata data dalla bontà di colui che un tempo la faceva cantare. E l’ho cara quanto la mia vita.»

La strega ritrasse di scatto la mano, come se avesse toccato un tizzone ardente.

«L’arma è venuta a te volontariamente?»

Koris scattò, di fronte a quel dubbio. «Non mentirei mai, a questo proposito. È venuta a me, e servirà soltanto me.»

«E allora più che mai ti dico di non portarla per le vie di Kars.» Era per metà un ordine, per metà una preghiera.

«Mostrami un posto sicuro dove io possa riporla,» ribatté il Capitano, senza nascondere la riluttanza.

La donna rifletté un momento, passandosi l’indice sul labbro inferiore. «Così sia. Ma più tardi dovrai raccontarmi tutto, Capitano. Prendila, e ti mostrerò il posto più sicuro di questa casa.»

Simon e Briant li seguirono in un’altra stanza, con le pareti coperte da arazzi così antichi che si poteva soltanto immaginarne i motivi ornamentali. La strega ne scostò uno, scoprendo un pannello intagliato a figure di belve favolose che ringhiavano e guardavano minacciose. Lo tirò; all’interno c’era un armadio, e Koris vi ripose l’ascia.

Come Simon aveva sentito i secoli passati nella città di Estcarp, le onde del tempo che l’investivano con una pressione poderosa, come aveva provato una riverenza sgomenta nella Tomba dove Volt aveva tenuto silenziosamente la sua corte tra la polvere e le ombre, ora avvertiva una sorta di radiazione che emanava dalle pareti, qualcosa di tangibile nell’aria che gli faceva aggricciare la pelle.

Eppure Koris si sbrigò a riporre il suo tesoro, e la strega chiuse il ripostiglio con la stessa indifferenza con cui una massaia avrebbe richiuso il portascope. Perché lui, invece, provava quella sensazione? E ne era così ossessionato che restò quando gli altri se ne andarono. A passi lenti, si portò al centro della stanza.

C’erano soltanto due mobili. Un seggio a schienale alto, di legno nero, che poteva provenire da una sala delle udienze. Di fronte c’era uno sgabello dello stesso colore tetro. E sul pavimento, nel mezzo, una strana accozzaglia di oggetti che Simon esaminò come se cercasse di trovarvi la soluzione dell’enigma.

C’era un piccolo braciere d’argilla in cui poteva ardere una manciata di carbonella, non di più. Era posato su un asse di legno, lucido e levigato. Accanto c’era una ciotola di terracotta, contenente una farina biancogrigiastra, e poi una bottiglia tozza. Una sedia, uno sgabello e quello strano assortimento di oggetti… eppure lì c’era anche qualcosa d’altro.

Simon non sentì che la strega era tornata, e trasalì, quando la sentì parlare.

«Che cosa sei, Simon?»

Lui la guardò negli occhi. «Lo sai. Vi ho detto la verità, a Estcarp. E voi dovete avere i mezzi per distinguere il vero dal falso.»

«Li abbiamo, e tu hai detto la verità. Tuttavia devo chiedertelo di nuovo, Simon… che cosa sei? Sulla strada del mare, hai sentito l’imboscata prima che il Potere mi avvertisse. Eppure sei un uomo!» Per la prima volta, il suo autocontrollo sembrava scosso. «Tu sai ciò che viene fatto qui… lo senti!»

«No. So soltanto che qui c’è qualcosa che non riesco a vedere… eppure esiste.» Ancora una volta, le disse la verità.

«Ecco!» La strega accostò i pugni. «Non dovresti sentire queste cose, eppure le percepisci! Io, qui, recito una parte. Non uso sempre il Potere, cioè un potere maggiore dell’esperienza acquisita nel leggere uomini e donne, nell’indovinare i loro desideri e ciò che hanno nel cuore. Il mio dono è per tre quarti illusione: l’hai visto all’opera. Non evoco demoni, non chiamo nulla da un altro mondo per mezzo dei miei incantesimi, che agiscono soprattutto sulle menti di coloro disposti a credere nei prodigi. Eppure c’è il Potere, e talvolta io posso chiamarlo. Allora posso operare prodigi autentici. Posso prevedere i disastri, anche se non sempre posso sapere quale forma assumeranno. Questo posso farlo… ed è reale! Lo giuro sulla mia vita!»

«Ti credo,» rispose Simon. «Perché anche nel mio mondo c’erano cose che non potevano venire spiegate con la logica.»

«Ed erano le vostre donne a fare queste cose?»

«No. Là il dono poteva toccare all’uno o all’altro sesso. Ho avuto al mio comando uomini che avevano precognizioni di disastri, della morte… la loro o quella di altri. E ho conosciuto certe vecchie case in cui si annidava qualcosa cui non era piacevole pensare, qualcosa che non si poteva vedere o sentire più di quanto possiamo ora vedere o sentire ciò che adesso è con noi, qui.»

La strega lo guardava con aperto stupore. Poi mosse la mano nell’aria, tracciando un segno che, per un istante, sfolgorò come fuoco.

«L’hai visto?» Era un’accusa o un riconoscimento trionfante? Simon non ebbe il tempo di scoprirlo perché nella casa risuonò la nota di un gong.

«Aldis! E sarà accompagnata dalle guardie!» La strega attraversò la stanza per aprire il ripostiglio in cui Koris aveva messo l’ascia. «Entra qui,» ordinò. «Perquisiranno la casa, come fanno sempre, e sarebbe meglio se non sapessero della tua presenza.»

Non gli lasciò il tempo di protestare, e Simon si trovò rinchiuso in quello spazio troppo piccolo. Poi il pannello sbatté. Ma Simon scoprì che era un posto adattissimo per spiare. Tra gli intagli c’erano aperture che gli permettevano di respirare e di vedere nella stanza.

Era avvenuto tutto così rapidamente che lui s’era lasciato trascinare. Ma ora si ribellò: premette le mani sul pannello, deciso ad uscire. Tuttavia scoprì, troppo tardi, che dalla sua parte non c’era serratura, e che lui era stato rinchiuso in cassaforte insieme all’ascia di Volt: doveva attendere che fosse la strega a farlo uscire.

Con crescente irritazione, Simon appoggiò la fronte allo schermo scolpito per guardare la stanza. E rimase immobile quando la donna di Estcarp rientrò, e venne spinta a lato da due soldati che cominciarono ad aggirarsi con fare deciso, scostando gli arazzi.

La strega rideva, mentre li osservava. Poi girò la testa per parlare a qualcuno che indugiava ancora oltre la soglia.

«Sembra che a Kars nessuno venga creduto sulla parola. Eppure, quando mai questa casa e coloro che vivono sotto il suo tetto hanno avuto legami con il male? I tuoi segugi possono trovare un po’ di polvere, qualche ragnatela… confesso di non essere un’eccellente massaia. Ma nient’altro, signore. E con le loro perquisizioni ci fanno perdere tempo.»

C’era un tono ironico, nella sua voce. Simon apprezzò l’abilità con cui la strega aveva parlato: come un adulto che asseconda un bambino, ma è impaziente di passare a cose più serie. E sottilmente invitava la persona invisibile a comportarsi da adulta come lei.

«Halsfric! Donnar!»

Gli uomini scattarono sull’attenti.

«Frugate il resto della tana, se volete, ma lasciateci sole!»

I due soldati si scostarono, mentre entrava un’altra donna. La strega chiuse la porta alle loro spalle prima di volgersi verso la nuova venuta, che lasciò cadere il mantello con cappuccio sul pavimento.

«Benvenuta, Dama Aldis.»

«Stiamo sprecando tempo, donna, come hai detto tu stessa.» Le parole erano dure, ma la voce che le pronunciava le avvolgeva in drappeggi di velluto. Era una voce che poteva piegare la volontà di un uomo al solo udirla.

E l’amante del duca non aveva l’aspetto della ragazza di taverna cui l’aveva paragonata la strega, non era straripante e tornita; sembrava una fanciulla ancora non del tutto conscia di sé, con i piccoli seni alti pudicamente coperti e tuttavia rivelati dalla veste. Era una donna piena di contraddizioni… lussuriosa e serena. Simon, mentre l’osservava, capiva benissimo come era riuscita a conservare tanto a lungo il suo potere su un famigerato libertino.

«Hai detto a Firtha…» Di nuovo quella nota tagliente avvolta nel velluto.

«Ho detto alla tua Firtha solo quello che potevo e che era necessario.» La strega era brusca e sbrigativa quanto la sua cliente. «Il patto ti va bene?»

«Mi andrà bene se avrà successo, e non prima. Dammi ciò che mi assicurerà la sicurezza e poi potrai chiedere il pagamento.»

«Hai uno strano modo di mercanteggiare, signora. I vantaggi sono tutti tuoi.»

Aldis sorrise. «Ah, ma se tu hai il potere di cui ti vanti, Donna Saggia, puoi annientare e non soltanto aiutare, ed io sarò per te una preda facile. Dimmi che cosa devo fare, e affrettati; posso fidarmi di quei due là fuori solo perché tengo in pugno le loro vite. Ma in questa città vi sono altri occhi ed altri orecchi!»

«Dammi la mano.» La donna di Estcarp prese la piccola ciotola di farina. Mentre Aldis tendeva la mano inanellata, l’altra la punse con un ago tratto dalla veste, facendo cadere nella ciotola un paio di gocce di sangue. Aggiunse un po’ di liquido dalla bottiglia e mescolò il tutto. Poi riattizzò le braci del minuscolo fornello.

«Siedi.» E indicò lo sgabello. Quando l’altra fu seduta, la strega le mise l’asse di legno sulle ginocchia e vi posò sopra il braciere.

«Pensa a colui che vuoi, signora: concentra la mente su lui solo.»

La strega gettò l’impasto sulle braci e cominciò a cantare. Stranamente, ciò che pochi momenti prima aveva allarmato Simon e che era parso addensarsi nel secondo in cui lei aveva tracciato il segno fiammeggiante, ora defluiva dalla stanza.

Ma il suo canto intesseva un altro incantesimo, cambiando le immagini del pensiero, evocando una reazione diversa. Simon, riconoscendolo per ciò che era e per ciò che poteva fare, dopo qualche attimo d’incredulità, si morse il labbro inferiore. Questo… da parte di una donna che credeva di incominciare a conoscere. Una magia adatta ad Aldis ed a quelli come lei, ma non alla fresca purezza di Estcarp. E cominciava ad avere effetto anche su di lui. Simon si tappò le orecchie con le dita per escludere il calore afoso che passava dalle parole al sangue tumultuoso delle sue vene.

Rinunciò a quella difesa solo quando vide che le labbra della strega non si muovevano più. Il viso di Aldis era invaso da un rossore delicato; le labbra socchiuse erano umide, gli occhi fissi nel vuoto; poi la strega le tolse dalle ginocchia l’asse ed il braciere. La donna di Estcarp prese l’impasto, lo sbriciolò in una pezzuola di tela bianca e lo porse alla cliente.

«Un pizzico di questo aggiunto nel suo cibo o nelle sue bevande.» La voce della strega era spenta; parlava come se fosse esausta per la stanchezza.

Aldis le strappò dalle mani l’involto, lo ripose nello scollo della veste. «Stai certa che l’userò nel modo giusto!» Raccolse il mantello, avviandosi alla porta. «Ti farò sapere com’è andata.»

«Lo saprò, signora. Lo saprò.»

Aldis uscì e la strega si appoggiò con una mano alla spalliera del seggio, come se avesse bisogno di un sostegno. Il suo volto esprimeva stanchezza, disgusto e una vaga vergogna, come se avesse usato mezzi malvagi per realizzare un buon fine.

Capitolo quinto Tre squilli di corno

Le mani di Koris si muovevano con un ritmo costante, lucidando la lama dell’ascia con i lenti colpi della stoffa serica. Aveva reclamato il suo tesoro nell’istante in cui era rientrato, e adesso, seduto sul ripiano d’una finestra, tenendolo sulle ginocchia, continuava a parlare.

«…si è precipitato dentro come se avesse i Kolder alle calcagna e l’ha gridato al sergente, che ha risputato metà del vino offerto da me e si è fatto prendere dal terrore, quando questo tale l’ha afferrato gridando e balbettando. Scommetterei la paga di una settimana che c’è un pizzico di verità in tutto questo, anche se la storia è confusa.»

Simon stava osservando gli altri due. Non si aspettava che la strega si mostrasse sorpresa, o lasciasse capire di aver già sentito quella storia. Tuttavia, il giovanetto che lei sembrava aver evocato dal nulla poteva essere non altrettanto addestrato: e il suo atteggiamento dimostrò che Simon aveva ragione. Briant si controllava troppo bene. Se avesse saputo dissimulare meglio, avrebbe dimostrato un certo stupore.

«Immagino,» disse Simon, interrompendo il racconto del Capitano, «che questa storia non sia un enigma per te, signora.» La cautela che era entrata nei suoi rapporti con lei dopo la scena con Aldis, qualche ora prima, era lo scudo con cui si difendeva. La donna ne sentiva forse la presenza, ma non cercava di superarlo.

«Hunold è veramente morto,» disse, con voce secca. «Ed è morto a Verlaine. E Dama Loyse è sparita dalla faccia della terra. Questo è vero, Capitano,» proseguì, rivolgendosi a Koris anziché a Simon. «Che questi due eventi siano stati la conseguenza di un’incursione di Estcarp, naturalmente, è assurdo.»

«Questo lo sapevo, signora. Non è il nostro modo di combattere. Ma questa storia nasonde qualcosa d’altro? Non ti abbiamo fatto domande, ma le altre Guardie sono giunte a terra sulle scogliere di Verlaine?»

La donna scosse il capo. «A quanto ne so io, Capitano, tu e quelli che si sono salvati insieme a te siete gli unici superstiti di Forte Sulcar.»

«Eppure una simile notizia si diffonderà, e servirà come pretesto per attaccare Estcarp.» Koris, adesso, stava aggrottando la fronte. «Hunold era un favorito di Yvian. Non credo che il Duca accetterà con calma la sua morte, soprattutto se è circondata da un mistero.»

«Fulk!» Quel nome esplose dalle labbra di Briant come un dardo. «Questa è la scappatoia di Fulk!» Il suo volto pallido, adesso, era fin troppo espressivo. «Ma dovrà eliminare anche Siric e il Nobile Duarte! Credo che Fulk si sia dato parecchio da fare. Se quel soldato conosceva tanti dettagli dell’incursione, doveva avere avuto accesso ad un rapporto diretto.»

«È appena sbarcato un messaggero, arrivato per mare. Ho sentito che quell’uomo lo diceva,» rispose Koris.

«Per mare!» La strega balzò in piedi, facendo ondeggiare la veste d’oro e scarlatto. «Fulk di Verlaine non è uno sciocco, certamente: ma la prontezza con cui si è mosso per approfittare di avvenimenti casuali puzza di qualcosa di più del suo desiderio di proteggersi dalla vendetta di Yvian!»

C’era un’oscurità tempestosa nei suoi occhi, mentre li guardava freddamente, tutti e tre. Sembrava quasi che li considerasse ostili. «Non mi piace. Oh, ci si poteva aspettare qualcosa da Verlaine. Fulk doveva inventare una versione da buttare in pasto ad Yvian, per non vedersi crollare addosso le sue torri. Ed è assolutamente capace di uccidere anche Siric e Duarte per renderla più credibile e coprire le sue tracce. Ma si è mosso troppo in fretta, e con troppa lucidità! Avrei giurato…»

Cominciò a camminare avanti e indietro nella camera: la gonna scarlatta le ondeggiava intorno alle caviglie. «Noi siamo maestre dell’illusione, ma sono pronta a giurare davanti al Potere di Estcarp che quella tempesta non era un’illusione! A meno che i Kolder dominino le forze della natura…» Si fermò, si portò le mani alla bocca, come per ricatturare le parole che le erano già sfuggite. «Non posso credere che noi siamo stati spinti qua e là secondo il loro volere. Non oso crederlo! Eppure…» Si girò di scatto e si diresse verso Simon.

«Conosco Briant, so quello che fa e perché lo fa. E conosco Koris, e le sue motivazioni. Ma tu… uomo uscito dalle nebbie di Tor, io non ti conosco. Se sei più di ciò che sembri, allora forse hai attirato la fine su di noi.»

Koris smise di lucidare l’ascia. Il panno cadde sul pavimento, quando le sue mani si strinsero sul manico. «È stato accettato dalla Guardiana,» disse in tono neutro: ma la sua attenzione era fissa su Simon, nella valutazione impersonale di un duellante che avanzava per accettare una sfida.

«Sì!» esclamò la donna di Estcarp. «Ed è impossibile che ciò che viene dominato dai Kolder non sia scoperto dai nostri metodi. Potrebbero nasconderlo: ma lo stesso vuoto che lo maschera ci indurrebbe a sospettare! C’è ancora una prova.» Slacciò il colletto della sua veste ed estrasse la gemma opaca. Per un lungo momento la tenne fra le mani, scrutandola, poi si sfilò la catena dal collo e la porse a Simon. «Prendila!» ordinò.

Koris lanciò un grido e balzò giù dal ripiano. Ma Simon prese la gemma. Al primo contatto, era liscia e fredda come qualunque pietra levigata: poi cominciò a riscaldarsi. E il calore cresceva ad ogni secondo. Tuttavia quel calore non bruciava, non aveva alcun effetto sulla sua pelle. La pietra prese vita: scie di fuoco opalescente serpeggiarono sulla superficie.

«Lo sapevo!» La voce rauca e sommessa della strega riempì la stanza. «No, non Kolder! Non Kolder! Un Kolder non potrebbe stringere la gemma senza risentirne, non potrebbe accendere il Potere e non soffrirne! Benvenuto, fratello nel Potere!» Tracciò di nuovo un simbolo che brillò fulgido come la gemma, prima di svanire. Poi riprese la pietra e tornò a nasconderla sotto la veste.

«È un uomo! Il mutamento di forma non potrebbe operare così, e non è possibile ingannarci, nella caserma in cui ha vissuto,» disse Koris. «E com’è possibile che un uomo abbia il Potere?»

«È un uomo venuto da un altro tempo e da un altro spazio. Non possiamo sapere ciò che avviene su altri mondi. Ora posso giurare che non è di Kolder. Quindi forse è lui, ciò che Kolder dovrà fronteggiare nella battaglia decisiva. Ma ora dobbiamo…»

Furono interrotti bruscamente dal ronzìo di un segnale. Simon e Koris fissarono la strega. Briant estrasse il lanciadardi. «La porta del giardino,» disse.

«Eppure è il segnale giusto, anche se nel momento sbagliato. Andate a rispondere, ma tenetevi pronti.»

Briant stava già uscendo dalla stanza. Koris e Simon si affrettarono a seguirlo verso la porta del giardino. Quando ebbero lasciato lo spessore delle mura di quella strana casa, udirono un clamore che proveniva dalla città. Simon si sentì assillare da un ricordo. In quelle grida lontane c’era una nota che sicuramente aveva già udito. Koris sembrava sconcertato.

«È una folla infuriata! È il ringhio di una folla in caccia.»

E Simon, ricordando un orrore del suo passato, annuì vivacemente. Impugnò il lanciadardi per accogliere chiunque si trovasse oltre la porta del giardino.

Era impossibile ingannarsi circa la razza dell’uomo che entrò barcollando. La ferita sanguinante non nascondeva i tipici lineamenti di Estcarp. Crollò in avanti, e Koris lo cinse con un braccio. Poi per poco non caddero, quando un’esplosione di frastuono e un violento spostamento d’aria li investirono ed il suolo sussultò sotto i loro piedi.

L’uomo sorretto da Koris si mosse, sorrise, cercò di parlare. Momentaneamente assordati, non poterono udirlo. Briant chiuse la porta e rimise a posto le sbarre. Insieme, Simon e il Capitano trasportarono in casa il fuggitivo.

L’uomo si riprese quanto bastava per abbozzare un saluto quando lo condussero dalla strega. Lei misurò un po’ di liquido azzurino in una coppa e gliela accostò alle labbra per farlo bere.

«Il Nobile Vortimer?»

L’uomo si abbandonò sulla sedia su cui l’avevano deposto. «Hai appena udito la sua fine, signora… in quel tuono! E con lui sono finiti tutti quelli del nostro sangue che erano riusciti ad arrivare all’ambasciata. Gli altri… stanno dando loro la caccia per le strade. Yvian ha ordinato i tre squilli del corno per tutti coloro che appartengono ad Estcarp o alla vecchia stirpe! Sembra impazzito!»

«Anche questo?» La strega si premette le mani sulle tempie, come per alleviare una sofferenza quasi insopportabile. «Non abbiamo tempo, dunque?»

«Vortimer mi aveva mandato ad avvertirti. Vuoi seguirlo sulla stessa strada, signora?»

«Non ancora.»

«Coloro che sono stati indicati dal corno possono venire uccisi, dovunque si trovino. E oggi, a Kars, la morte non viene rapida,» aggiunse spassionatamente il ferito. «Non so quali speranze tu possa riporre in Dama Aldis…»

La strega rise. «Aldis non è affatto una speranza, Vortgin. Siamo in cinque…» Rigirò la coppa tra le dita e poi guardò direttamente Simon. «C’è in gioco qualcosa di più importante delle nostre vite. Vi sono coloro che appartengono alla vecchia stirpe e vivono nelle zone periferiche di Karsten: messi in guardia, potrebbero attraversare le montagne e raggiungere Estcarp, per rafforzare le nostre schiere. E ciò che abbiamo appreso qui, sia pure frammentariamente, deve essere riferito. Io non posso sperare di evocare un sufficiente potere… tu dovrai aiutarmi, fratello!»

«Ma non so come fare… non so usare il potere,» protestò Simon.

«Puoi sostenermi. È la nostra unica speranza.»

Koris si staccò dalla finestra: fino a quel momento aveva scrutato il giardino.

«Mutamento di forma?»

«È l’unico modo. E per quanto tempo potrà resistere?» La donna scrollò le spalle.

Vortgin si umettò le labbra con la lingua. «Portatemi fuori da questa città maledetta, e io darò la sveglia all’intera campagna. Ho molti parenti, nelle zone più remote, che agiranno quando glielo chiederò!»

«Venite!» La strega li guidò nella stanza della magia, ma Koris si fermò, appena varcata la soglia.

«Porto con me ciò che mi è stato donato. Non darmi una forma in cui non possa usare il dono di Volt.»

«Direi che sei sciocco,» ribatté la donna, «se non conoscessi il valore di quella tua lama. Ma non è stata fabbricata da mani umane, e forse non cambierà forma nell’illusione. Possiamo soltanto tentare. Prepariamoci, presto!»

Scostò un tappeto dal pavimento, mentre Simon e Koris spingevano via il seggio e lo sgabello e portavano gli altri oggetti dall’altra parte della stanza. La strega si chinò, tracciò linee complesse con la gemma del potere; e quelle linee brillarono debolmente, in forma d’una stella a cinque punte. Quasi con aria di sfida, Koris lasciò cadere l’ascia al centro del motivo.

La strega si rivolse a Simon. «In realtà le forme non mutano: ma si crea un’illusione per ingannare coloro che ci cercano. Lascia che io attinga al tuo potere per aumentare il mio. Ora…» Si guardò intorno e portò il piccolo braciere d’argilla sull’ascia, soffiando per riattizzare le braci. «Ora possiamo fare ciò che si deve fare. Preparati.»

Koris afferrò Simon per il braccio. «Spogliati… completamente. Il potere non funziona, altrimenti!» Il Capitano si stava sfilando il giustacuore. Simon obbedì all’ordine, e poi entrambi aiutarono Vortgin.

Il fumo salì dal braciere, riempiendo la stanza di una nebbia rossastra che nascondeva quasi la figura tozza di Koris e il corpo muscoloso del ferito.

«Mettetevi sulle punte della stella… uno per punta.» La voce della strega risuonò nella semioscurità. «Ma tu, Simon… vicino a me!»

Tregarth seguì la voce, perdendo in quella nebbia Koris e l’altro uomo. Un braccio bianco si protese verso di lui, una mano strinse la sua. Poté vedere, sotto i suoi piedi, le linee della punta della stella.

Qualcuno cantava… in lontananza. Simon era perduto in una nube, dove fluttuava senza esistere. Eppure, nello stesso tempo, si sentiva riscaldato… interiormente, non esteriormente. E quel calore si irradiava dal suo corpo, scorreva lungo il suo braccio destro. Simon ebbe la sensazione che, se avesse potuto osservarlo, sarebbe riuscito a scorgere quella corrente — sangue rosso, caldo — che defluiva continuamente. Eppure non vedeva altro che la nebbia grigiastra, e sapeva soltanto che il suo corpo esisteva ancora.

Il canto divenne più forte. Già una volta l’aveva udito… e allora aveva suscitato i suoi desideri, l’aveva esortato a soddisfare brame che aveva represso con la forza della volontà. Ora agiva su di lui in modo diverso, e non gli ispirava più avversione.

Aveva chiuso gli occhi per non vedere il turbinio incessante della nebbia, e rimaneva sintonizzato sul canto, in modo che ogni nota pulsasse entro il suo corpo per diventare parte di lui, fondendosi nella carne e nel sangue… eppure, nello stesso tempo, quel fiume caldo continuava a defluire da lui.

Poi la sua mano ricadde inerte contro la coscia. Il deflusso era cessato, e il canto svaniva. Simon aprì gli occhi. L’oscurità non era più un muro compatto: vi erano alcuni squarci. Attraverso uno di essi, scorse una faccia animalesca, una caricatura bestiale d’un essere umano: ma aveva gli occhi sardonici di Koris. E un poco più indietro c’era un altro essere, con la pelle divorata dall’infermità, ed una palpebra piatta che nascondeva l’assenza di un occhio.

L’essere che aveva gli occhi del Capitano deviò lo sguardo da Simon all’altro, e sogghignò, mostrando zanne gialle e corrose. «Siamo una bella compagnia!»

«Vestitevi!» intimò la strega, dall’oscurità che si andava disperdendo. «Oggi siete usciti dalle fogne di Kars per saccheggiare ed uccidere. La vostra razza prospera grazie al corno!»

Indossarono gli abiti che avevano portato a Kars: ma adesso erano più intonati alla loro condizione miserabile. E Koris raccolse dal pavimento… non l’Ascia di Volt… ma un’asta arrugginita munita di uncini di cui Simon preferiva non immaginare la funzione.

Non c’erano specchi in cui poteva guardarsi: ma sapeva che doveva avere un aspetto non meno disgustoso di quello dei suoi compagni. Si era aspettato notevoli cambiamenti anche nella strega e in Briant… ma non quelli che vide. La donna di Estcarp era una vecchia megera dai sudici capelli grigi sparsi sulle spalle aggobbite, dall’espressione maligna. E il giovanetto era esattamente l’opposto. Simon spalancò gli occhi sbalordito, perché si trovò di fronte una fanciulla abbigliata della veste d’oro e di scarlatto abbandonata dalla strega.

Mentre Briant era pallido e incolore, questa aveva una bellezza affascinante, messa in mostra chiaramente, perché le stringhe del corpetto non erano bene allacciate. La megera puntò un dito verso Simon.

«Questo è il tuo bottino. Caricatela sulle spalle, e se ti stanchi del peso… bene, questi altri bricconi ti daranno una mano. Recita bene la tua parte.» Diede uno spintone alla fanciulla, tra le scapole, mandandola a finire tra le braccia di Simon. Lui la sollevò, caricandosela sulla spalla, mentre la strega li osservava con l’attenzione di un regista e si affrettava a scostare ancora di più il corpetto dalle spalle dell’ex giovinetto.

Simon era sbalordito della perfezione dell’illusione. Aveva pensato che influisse soltanto sugli occhi; ma adesso si rendeva conto di tenere sulle spalle un corpo femminile. E doveva continuare a ricordare a se stesso che in realtà si trattava di Briant.

Scoprirono che a Kars c’erano molte altre bande come la loro, quel giorno. E gli spettacoli cui dovettero assistere, impotenti a recare soccorso, li straziarono durante il tragitto fino ai moli. C’era un servizio di guardia alla porta, ma quando Simon si avvicinò, con la vittima gemente buttata sulla spalla, seguito dai compagni, la strega corse avanti, portando un sacco. Inciampò e cadde, ed il contenuto scintillante rotolò e si sparse in mezzo alla strada.

Gli uomini di guardia scattarono; l’ufficiale scostò a calci la megera. Ma un uomo mostrò di avere un maggiore senso del dovere, o forse era più interessato al presunto bottino di Simon. Gli puntò una picca contro il petto e sogghignò.

«Hai un bel carico morbido, canaglia. Troppo bello per un tuo pari. Lascia che l’assaggi prima uno migliore di te!»

L’asta uncinata di Koris scattò, agganciandogli i piedi e facendolo cadere. Mentre l’uomo ruzzolava a terra, attraversarono correndo la porta e si precipitarono verso i moli, inseguiti da altre guardie.

«Dentro!» Briant venne strappato alla stretta di Simon, e scagliato nella corrente del fiume. Il Capitano lo seguì con un agile tuffo e riemerse accanto al corpo abbigliato di rosso e d’oro. Vortgin si lanciò, a corsa incerta. Ma Simon, vedendo che Koris era già vicino a Briant, si voltò indietro a cercare la strega.

Più indietro, sul molo, c’era un movimento convulso, un groviglio di figure. Tornò indietro di corsa, con il lanciadardi in pugno, soffermandosi per sparare tre colpi rapidi. Ogni volta eliminò un uomo, uccidendolo o ferendolo. La corsa lo condusse sul posto in tempo per vedere la figura dai capelli grigi che giaceva immobile, mentre una spada si avventava verso la gola scarna.

Simon sparò ancora due volte. Poi il suo pugno centrò la carne, la schiacciò contro l’osso. Qualcuno urlò e fuggì, mentre lui raccoglieva la strega: era più pesante di Briant. Caricandosela sulla spalla, si avviò barcollando verso la chiatta più vicina; ansimante, girò in mezzo alle merci ammucchiate sul ponte, e si diresse verso l’altro parapetto, verso il centro del fiume.

La donna si rianimò all’improvviso, respingendolo come se fosse un nemico. Simon perse l’equilibrio: entrambi caddero, piombarono nel fiume con una violenza che lui non si aspettava. Inghiottì un po’ d’acqua, si sentì soffocare, e si dibatté istintivamente, goffamente.

Riemerse con la testa e si guardò intorno, cercando la strega: scorse un braccio magro, intralciato dagli stracci fradici, che fendeva l’acqua.

«Oh!»

Il richiamo proveniva da una chiatta che scendeva la corrente. Una fune venne lanciata verso di loro. Simon e la strega si arrampicarono sul ponte, e Koris accennò loro, impaziente, di portarsi dall’altra parte; la chiatta doveva servire come schermo tra loro e la riva.

Ma dall’altra parte c’era una barca; Vortgin attendeva, seduto, mentre Briant si sporgeva fuoribordo, vomitando in acqua, stringendosi addosso disperatamente la veste rossa come se fosse stato veramente vittima di un ratto. Mentre scendevano nella barca, Koris la spinse lontano dalla chiatta con la punta della lancia uncinata.

«Credevo che l’avessi perduta alla porta della città!»

Il volto canagliesco di Koris tradì lo sbalordimento per l’osservazione di Simon. «Questa? Non potrei mai perderla! Bene, ora avremo un po’ di respiro. Crederanno che ci siamo nascosti nella chiatta. Speriamolo, almeno. Ma sarebbe meglio dirigerci verso l’altra riva, non appena questa si sarà allontanata abbastanza dai moli.»

Tutti approvarono il suggerimento del Capitano: ma i minuti durante i quali rimasero vicini alla chiatta furono lunghissimi. Alla fine Briant si rialzò, ma continuò a volgere loro le spalle, come se si vergognasse molto di quel travestimento. La strega era seduta a prua, e scrutava l’altra sponda con intensità ansiosa.

Per fortuna, stava scendendo la notte. E Vortgin conosceva bene la campagna circostante. Sarebbe stato in grado di guidarli verso l’entroterra, attraverso i campi, evitando le case e le fattorie, fino a quando avessero messo tra loro e Kars una distanza sufficiente per sentirsi al sicuro.

«I tre squilli del corno… sì, Yvian può dare l’ordine a Kars, perché la città è sua. Ma gli antichi signori hanno legami con noi, e quando non vi sono né legami di simpatia, né legami di sangue, possono essere animati dalla gelosia nei confronti del Duca. Forse non ci aiuteranno attivamente, ma non aiuteranno neppure gli uomini del Duca ad ucciderci. Cercheranno soprattutto di chiudere gli occhi e gli orecchi, fingendo di non vedere e di non udire nulla.»

«Sì, ormai Karsten ci è chiusa,» ammise la Strega, quando Vortgin ebbe finito di parlare. «E vorrei dire a tutti quelli della vecchia stirpe che devono fuggire verso il confine. Forse i Falconieri ci aiuteranno. Ecco… ecco… viene la nostra notte!»

Ma Simon comprese che la donna non si riferiva alla notte che stava scendendo su di loro.

Capitolo sesto Il falso falco

Erano sdraiati dietro il pagliaio preparato per l’inverno, Simon, Koris e Vortgin: coperti da manciate di paglia umida, osservavano ciò che avveniva nel piccolo villaggio al crocevia. Si scorgevano le sgargianti sopravvesti verdi e azzurre degli uomini del Duca: erano quattro, montati su cavalli robusti, circondati da un gruppo di abitanti del villaggio, dalle vesti scure. Con fare cerimonioso, il comandante del piccolo drappello portò il cavallo sotto il Palo della Proclamazione e si accostò il corno alle labbra: la placcatura argentea s’incendiò nel sole del mattino.

«Uno… due… tre…» Koris contò ad alta voce quei suoni. Li udirono chiaramente: tutta la campagna circostante doveva averli uditi, sebbene ciò che gli uomini del Duca dissero poi agli abitanti del villaggio giungesse soltanto come un brusio remoto.

Koris guardò Vortgin. «Stanno diffondendo l’ordine molto rapidamente. Sarà meglio che tu ti affretti, se vogliamo che qualcuno dei nostri riceva in tempo l’avvertimento.»

Vortgin affondò il pugnale nella terra del campo, come se trafiggesse uno dei cavalieri dalla cotta azzurra. «Mi servirebbe qualcosa di meglio delle gambe.»

«Infatti. Ed ecco là quello che ci occorre.» Koris indicò con uno scatto del pollice gli uomini del Duca.

«Oltre il ponte, la strada taglia attraverso un boschetto,» disse Simon.

Il volto effimero di Koris espresse un maligno apprezzamento per quell’indicazione. «Fra poco avranno finito di parlare. Muoviamoci.»

Si allontanarono, strisciando, guadarono il fiume, e trovarono la pista che tagliava il bosco. Le strade che portavano al nord non erano ben tenute. La signoria di Yvian, in quella zona, era sempre stata osteggiata segretamente dai nobili e dalla gente comune. Lontano dalle vie principali di comunicazione, tutte le strade erano rudimentali.

Ai due lati si ergevano scarpate coperte di arbusti e d’erba. Non era un posto sicuro per i viaggiatori, e doppiamente sospetto per quelli che portavano la livrea ducale.

Simon si nascose da un lato del passaggio, Koris andò a piazzarsi più vicino al fiume, pronto a tagliare una eventuale ritirata. Vortgin si mise di fronte a Simon. Restava solo da attendere.

Il comandante dei messaggeri non era uno sciocco. Uno dei suoi uomini precedette gli altri, studiando ogni cespuglio smosso dal vento, ogni ciuffo d’erba troppo alta. Passò in mezzo agli uomini nascosti e proseguì al trotto. Dopo di lui veniva quello che portava il corno, insieme ad un compagno, mentre il quarto uomo stava alla retroguardia.

Simon sparò quando quest’ultimo gli passò davanti. Ma l’uomo che cadde trafitto dal dardo era quello inviato in avanscoperta.

Il comandante fece girare il cavallo di scatto, e vide l’uomo alla retroguardia crollare dalla sella, tra fiotti di sangue.

«Sul… Sul… Sul!» Il grido di battaglia che Simon aveva udito per l’ultima volta nella fortezza condannata si levò stridente. Un dardo scalfì la spalla di Simon, strappando il cuoio e bruciando l’epidermide… il comandante doveva avere occhi felini.

L’ultimo guerriero rimasto cercò di appoggiare l’attacco del suo superiore, ma poi Vortgin balzò dal nascondiglio e lanciò il pugnale. L’arma roteò nell’aria fino a quando l’elsa pesante colpì l’altro alla base del cranio. L’uomo cadde senza un gemito.

Due zoccoli rasparono l’aria sopra la testa di Simon. Poi il cavallo si sbilanciò e piombò all’indietro, inchiodando il cavaliere sotto il suo peso. Koris uscì dal nascondiglio, e avventò l’asta uncinata sul caduto che si dibatteva debolmente.

Cominciarono a spogliare i caduti e a recuperare i cavalli. Per fortuna il cavallo che era piombato a terra si rialzò, spaventato e sbuffante, ma illeso. I cadaveri vennero trascinati tra gli arbusti, e gli usberghi di maglia, gli elmi e le armi furono legati sulle selle. Poi i cavalli furono guidati verso l’ovile deserto dove avevano trovato rifugio i fuggitivi.

I tre uomini giunsero in tempo per assistere ad un’accanita discussione. La vecchia megera e la bruna bellezza dalla lacera veste d’oro e di scarlatto si fronteggiavano con occhi ardenti. Ma tacquero quando Simon varcò la breccia nel recinto sfasciato. Nessuna delle due parlò, fino a quando gli uomini portarono i cavalli. Poi la fanciulla rossovestita lanciò un grido e si buttò su uno dei fardelli di cuoio e di maglia metallica.

«Rivoglio il mio vero aspetto… e subito!» gridò alla strega.

Simon poteva capirlo. All’età di Briant, un ruolo come quello che gli era stato imposto doveva essere più esasperante della schiavitù. Del resto, nessuno di loro teneva a conservare l’apparenza disgustosa intessuta dalla donna di Estcarp, anche se era servita per uscire da Kars.

«È giusto,» dichiarò. «Possiamo cambiare secondo la nostra volontà… o meglio secondo la tua, signora? Oppure la metamorfosi dura per un certo periodo di tempo?»

La strega aggrottò la fronte, dietro il groviglio di capelli ispidi. «Perché perdere tempo? E non siamo ancora al di fuori della portata dei messaggeri di Yvian… anche se evidentemente ne avete sistemati alcuni.» Prese una delle sopravvesti, come per misurarsela.

Briant si accigliò, stringendosi al petto una bracciata d’indumenti maschili. Le labbra femminee si sporsero in una smorfia ostinata. «Me ne andrò di qui sotto il mio vero aspetto, o non me ne andrò,» annunciò deciso; e Simon era disposto a credergli.

La donna di Estcarp cedette. Dal corpetto lacero estrasse una borsa e la gettò a Briant. «Allora scendi al ruscello. Lavati con una manciata di questo. Ma non usarlo tutto: deve servire anche a noi.»

Briant afferrò al volo la borsa, tenne stretti gli abiti maschili e raccolse le ampie gonne per correre via, come se temesse di venire derubato.

«E noi?» domandò indignato Simon, pronto a seguire il giovane.

Koris legò i cavalli alla staccionata malconcia. Il suo volto volgare non poteva non apparire orribile, ma riuscì a suggerire un’ilarità sincera nella sua risata. «Lascia che il cucciolo si liberi di quei fronzoli in santa pace, Simon. Dopotutto, prima non aveva protestato. E quelle sottane dovevano dargli parecchio fastidio.»

«Sottane?» gli fece eco Vortgin, un po’ sorpreso. «Ma…»

«Simon non appartiene alla vecchia razza.» La strega si pettinò i capelli con le unghie affilate. «Non conosce le nostre usanze e le nostre metamorfosi. Hai ragione, Koris.» Guardò stranamente il Capitano. «È meglio lasciare che Briant possa ritrasformarsi in pace.»

Gli indumenti tolti agli sfortunati messaggeri del Duca andavano troppo grandi al giovane guerriero che tornava dal ruscello con un passo molto più baldanzoso. Gettò un fardello di stoffa rossa in fondo al rifugio e lo coprì di terra con un’energia rabbiosa, mentre Simon e gli altri scendevano verso il corso d’acqua.

Koris lavò e strofinò l’asta uncinata e rugginosa prima di tuffarsi, e continuò a tenere stretta l’Ascia di Volt mentre si ripuliva. Poi scelsero nel mucchio d’indumenti; Koris tornò a mettere il giaco di maglia con cui era uscito da Kars, perché gli altri non gli andavano. Ma infilò una delle sopravvesti: una precauzione prontamente imitata dai suoi compagni.

Simon rese la borsa alla strega, quando tornarono, e lei la tenne stretta nella mano per un istante, poi la nascose di nuovo. «Adesso siete un gruppo di valorosi guerrieri. Io sono vostra prigioniera. Con i cappucci e gli elmi, riuscirete a nascondere il vostro sangue di Estcarp. Vortgin, tu solo rechi l’impronta della vecchia razza. Ma se io apparissi sotto il mio vero aspetto, sareste tutti perduti. Aspetterò, prima di abbandonare questa forma.»

E così uscirono dal nascondiglio: quattro uomini con l’uniforme del Duca, e la megera appollaiata in sella dietro a Briant. I cavalli erano riposati, ma procedettero al trotto nella campagna, evitando le strade aperte fino a quando raggiunsero il punto dove Vortgin doveva deviare verso est.

«A nord, lungo le strade commerciali.» La strega si sporse dalla sella per impartire istruzioni. «Se possiamo avvertire i Falconieri, probabilmente aiuteranno i profughi a superare sani e salvi le montagne. Di’ alla tua gente di lasciare tutto, di portar via solo le armi ed i viveri che si possono portare sugli animali da soma. E che il Potere cavalchi con te, Vortgin, perché coloro che potrai mandare ad Estcarp saranno sangue prezioso per le nostre vene!»

Koris si sfilò il corno dalla spalla e lo porse. «Questo potrà servirti come salvacondotto, se incontrassi uomini di Yvian prima di raggiungere la tua zona. La fortuna sia con te, fratello: e quando giungerai al Nord, cerca le Guardie. Nella loro armeria c’è uno scudo per te!»

Vortgin salutò e spronò il cavallo al galoppo, verso est.

«E adesso?» chiese la strega a Koris.

«I Falconieri.»

Lei sghignazzò. «Tu dimentichi, Capitano, che vecchia e incartapecorita come sembro, sono pur sempre una femmina, e la fortezza degli uomini-falco mi è chiusa. Porta me e Briant oltre il confine, e poi vai pure in cerca dei tuoi amici misogini. Scuotili, se puoi, e convincili ad agire. Una frontiera irta di punte di spada farà riflettere Yvian. E se potranno assicurare un transito sicuro ai nostri cugini, saremo loro debitori. Però,» aggiunse, assestando sulle spalle di Briant la sopravveste, «direi che devi gettare via le insegne di un signore che non servi, oppure ti troverai inchiodato ad un albero prima di avere il tempo di farti riconoscere per ciò che sei.»

Questa volta, Simon non si stupì nel vedere che erano osservati da un falco, e non gli sembrò strano nell’udire Koris che si rivolgeva al rapace, dichiarando la loro vera identità e spiegando cosa facevano tra le colline. Si mise alla retroguardia, mentre il Capitano passava in testa; la strega e Briant procedevano tra loro. Si erano separati da Vortgin a metà del pomeriggio, e ormai si avvicinava il tramonto. Durante la giornata avevano mangiato solo le razioni trovate nelle sacche delle selle.

Koris rallentò e attese che lo raggiungessero. Mentre parlava, il Capitano scrutava le montagne; e Simon ebbe l’impressione che avesse perduto un po’ della sua incrollabile sicurezza.

«Non mi piace. Il mio messaggio deve essere stato trasmesso dal comunicatore del falco, e le guardie di frontiera non potevano essere troppo lontane. Ormai avrebbero dovuto venirci incontro. Quando eravamo nel Nido, sembravano ansiosi di far causa comune con Estcarp.»

Simon guardò inquieto i pendii che stavano davanti a loro. «Non me la sento di affrontare un simile percorso al buio, senza una guida. Se tu dici, Capitano, che non seguono la consuetudine, ragione di più per restare lontani dal loro territorio. Propongo di accamparci nel primo posto adatto che troveremo.»

Fu Briant ad intervenire, in quel momento; alzò la testa, osservando il rapace che volteggiava nel cielo.

«Quello non vola normalmente!» Il giovanetto lasciò cadere le redini e accostò le mani per imitare un paio d’ali. «Un uccello vero vola così… e un falcone così… Li ho osservati molte volte. Ma questo, vedete… Flap, flap, flap… Non è normale!»

Adesso, tutti guardavano l’uccello volteggiante. Agli occhi di Simon, poteva essere la stessa sentinella dalle piume bianche e nere che li aveva avvistati all’uscita della Tomba di Volt. Tuttavia, sarebbe stato il primo ad ammettere che non se ne intendeva.

«Puoi farlo scendere con un fischio?» chiese a Koris.

Il capitano sporse le labbra: le note chiare risuonarono nell’aria.

Nello stesso momento, Simon alzò il lanciadardi. Koris si voltò con un grido e cercò di colpirgli il braccio, ma ormai il dardo era già partito. Videro il colpo arrivare a segno, piantarsi nella punta della V bianca sul petto del falco. Ma quello non indugiò nel volo, non diede il minimo segno di sofferenza.

«Ve l’avevo detto! Non è un uccello!» gridò Briant. «Magia!»

Tutti guardarono la strega, in attesa di spiegazioni, ma lei fissava il falco che, con il dardo ancora piantato nel corpo, descriveva pigri cerchi nell’aria.

«Non è magia del Potere.» Pareva che rispondesse forzatamente. «Non so dirvi che cosa sia. Ma non è vivo, nel senso in cui noi intendiamo la vita.»

«Kolder!» sibilò Koris.

La donna scosse il capo, lentamente. «Se è di Kolder, non vi è stata un’alterazione della natura, come è avvenuto invece con gli uomini di Gorm. Non so dire cosa sia, vi ripeto.»

«Dovremo abbatterlo. Vola più basso da quando il dardo l’ha colpito. Forse il peso lo trascina in basso,» disse Simon. «Dammi il tuo mantello,» aggiunse smontando e rivolgendosi alla strega.

Lei gli porse il manto lacero. Simon se lo avvolse intorno al braccio e cominciò a salire la scarpata che fiancheggiava lo stretto sentiero. Sperava che l’uccello restasse dov’era, accontentandosi di sorvolarli. Era sicuro che ad ogni volteggio si avvicinasse di più al suolo.

Simon attese, sventolando leggermente il mantello. Poi lo lanciò, e il rapace volò incautamente nella rete improvvisata. Quando Simon tentò di ritirarla, il prigioniero si liberò, proseguì il volo alla cieca e andò a urtare a capofitto contro la parete di roccia.

Tregarth balzò giù per raccattarlo. Le penne erano vere… ma sotto! Lanciò un fischio sonoro quasi come quello che Koris aveva emesso poco prima: aggrovigliata tra le pieghe della pelle strappata e delle piume spezzate c’era una massa di delicati pezzi metallici, fili e minuscoli ingranaggi, e quello che poteva essere soltanto un motore di strano modello. Tenendolo tra le mani, ritornò dai compagni.

«Sei sicuro che i Falconieri usino soltanto falchi autentici?» chiese al Capitano.

«I falchi sono sacri, per loro.» Koris insinuò un dito nel groviglio metallico che Simon gli mostrava. Era sbalordito. «Non credo che questo l’abbiano fabbricato loro, perché ritengono che i rapaci siano il loro potere, e non oserebbero contraffarli, per timore che il potere li abbandoni o si volga contro di loro.»

«Eppure, qualcuno o qualcosa ha lanciato nell’aria questi falchi di montagna artificiali,» osservò Simon.

La strega si accostò, tendendo un dito per toccare lo strano oggetto come aveva fatto Koris. Poi levò gli occhi verso Simon, con aria interrogativa ed un’ombra di preoccupazione.

«Uomo di un altro mondo…» chiese, sussurrando. «Questo non è stato creato dalla nostra magia, né dalla magia del nostro tempo e del nostro spazio. È alieno, Simon, alieno…»

Briant l’interruppe con un grido, tendendo il braccio. Una seconda sagoma bianca e nera stava sopra di loro, e scendeva in picchiata. Simon fece per afferrare il lanciadardi con la mano libera, ma il ragazzo si chinò sulla sella per colpire il polso di Tregarth, facendogli mancare la mira.

«Questo è un falco vero!»

Koris fischiò e l’uccello obbedì al richiamo con la rapida picchiata tipica della sua razza. Si posò su una sporgenza di roccia, la stessa contro la quale il simulacro era andato a sfracellarsi.

«Koris di Estcarp,» disse il Capitano, volgendosi verso il rapace. «Ma fai in modo che colui che ti ha lanciato venga qui presto, fratello alato: perché qui vi è il male, e forse verrà anche il peggio!» Agitò la mano e il falcone riprese il volo, dirigendosi verso i picchi.

Simon ripose lo strano congegno in una sacca. Al Nido, era rimasto molto colpito dai mezzi di comunicazione portati dai veri falconi. Un meccanismo così delicato ed avanzato era fuori posto nella fortezza feudale di coloro che l’usavano. Ed i sistemi d’illuminazione e di riscaldamento di Estcarp, o degli edifici di Forte Sulcar, o la fonte d’energia con cui Osberic aveva fatto saltare la cittadella? Erano tutte vestigia di una civiltà più antica che era svanita lasciando solo le tracce di poche invenzioni? Oppure… erano innesti provenienti da un’altra origine? Simon fissava il sentiero, ma i suoi pensieri inseguivano quell’enigma.

Koris aveva parlato della razza non umana di Volt, che aveva preceduto gli uomini su quel mondo. Erano le vestigia di quella specie perduta? Oppure i Falconieri, i marinai di Forte Sulcar, avevano imparato ciò che più era loro utile da qualcuno, o da qualcosa d’altro… forse oltremare? Avrebbe dovuto avere la possibilità di esaminare il falso falco, per cercare di valutare, se poteva, il tipo di mentalità e di preparazione tecnica che era riuscito a creare un simile oggetto.

I Falconieri emersero dalle pendici della montagna come se uscissero dal suolo. E attesero che il gruppetto dei viaggiatori si avvicinasse, senza negare loro il passaggio e senza dar loro il benvenuto.

«Faltjar della porta meridionale.» Koris identificò il capo della schiera. Si tolse l’elmo per mostrare il viso nella luce fioca. «Io sono Koris di Estcarp, e cavalco insieme a Simon delle Guardie.»

«E anche con una femmina!» La replica fu gelida, e il falcone appollaiato sulla sella di Faltjar scrollò le ali e gridò.

«È una dama di Estcarp che devo portare al sicuro oltre le montagne,» corresse il Capitano, in un tono altrettanto gelido e carico di rimprovero. «Non pretendiamo che ci diate rifugio; ma vi sono notizie che il vostro Signore delle Ali dovrebbe ascoltare.»

«Potete passare attraverso le montagne, Guardie di Estcarp. E puoi dare le notizie a me; verranno riferite al Signore delle Ali prima del levar della luna. Ma nel tuo appello hai parlato di un male che è qui e di qualcosa di peggio che può avvenire. Devo saperlo, perché è mio dovere munire i pendii meridionali. Karsten sta mandando i suoi uomini?»

«Karsten ha suonato tre volte il corno per tutti coloro che appartengono alla vecchia razza, e che fuggono per salvarsi la vita. Ma c’è anche qualcosa d’altro. Simon, mostragli il falso falco.»

Simon era riluttante. Non voleva consegnare quella macchina prima di aver avuto il tempo di esaminarla. Il Falconiere guardò il rapace sfracellato che Tregarth estrasse dalla sacca della sella, lisciando un’ala con un dito, toccando un occhio aperto di cristallo, scostando un brandello di pelle piumata per scorgere il groviglio metallico.

«Questo volava?» chiese alla fine, come se non riuscisse a credere a ciò che vedeva e toccava.

«Volava come uno dei vostri uccelli, e ci sorvegliava come i vostri esploratori e messaggeri.»

Faltjar accarezzò con l’indice la testa del suo falcone, come per accertarsi che quello fosse una creatura vivente e non una copia.

«In verità, questo è un grande male. Devi parlare tu stesso con il Signore delle Ali!» Era evidentemente incerto tra le antichissime consuetudini del suo popolo e la necessità di agire immediatamente. «Se non avessi la femmina… la signora,» si corresse con uno sforzo, «ma lei non può entrare nel Nido.»

La strega intervenne. «Lascia che io mi accampi insieme a Briant, e tu vai al Nido, Capitano. Tuttavia ti dico, Falconiere, che presto verrà il giorno in cui dovremo abbandonare molte antiche usanze, noi di Estcarp e voi delle montagne, perché è meglio essere vivi e in grado di combattere, piuttosto che morire legati dalle catene del pregiudizio! Si prepara un’invasione quale nessuno ha mai visto. E tutti gli uomini di buona volontà dovranno schierarsi fianco a fianco.»

Il Falconiere non la guardò e non le rispose, sebbene abbozzasse un saluto, dando l’impressione che quella fosse una concessione enorme. Poi il suo falco s’involò con un grido, e Faltjar rivolse la parola a Koris.

«L’accampamento sarà preparato in un posto sicuro. Andiamo!»

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