20

Cieco di rabbia, Alec uscì nella notte gelida. Passando davanti alla casa di Angela vide le luci accese e scorse nell'interno un gruppo di donne che ridevano e chiacchieravano preparando la colazione.

Proseguì. Dopo avere frettolosamente radunato le sue poche cose e sellato il cavallo, si avviò alle prime luci dell'alba sotto un cielo cupo come i suoi pensieri.

Cavalcò per tutto il giorno e si accampò sulle colline, sotto un folto di abeti. I loro rami facevano un fuoco che bruciava rapidamente ma che dava ben poco calore. All'alba del giorno dopo si svegliò intirizzito fino alle ossa. E affamato.

L'unica arma in suo possesso era il fucile automatico che aveva già con sé al suo arrivo alla base. Era pesante e di difficile impiego contro la selvaggina minuta. E Alec scoprì ben presto che la sua mira non era abbastanza precisa per colpire un coniglio o un piccolo roditore che correva sul terreno gelato. Si trovava di fronte a un angoscioso dilemma: per catturare un coniglio doveva scaricargli addosso tutto un caricatore, augurandosi inoltre di non ridurre l'animale in brandelli. Ma questo significava consumare in un paio di giorni tutta la scorta di munizioni.

Il terzo giorno cominciò a nevicare. Era una violenta bufera che ululava nei boschi e azzerava la visibilità. Alec ebbe la fortuna di trovare una caverna e legna secca sufficiente per accendere un fuoco che durò tutta la notte. Anche il cavallo aveva bisogno di calore. Non c'era foraggio, e l'animale andava rapidamente indebolendosi. Alec pensò di abbatterlo, per poi mangiarlo, ma così si sarebbe ritrovato solo, a piedi in quella landa desolata coperta di neve.

Restò due giorni bloccato nella caverna dalla bufera. Senza cibo, senza fuoco, senza niente oltre al puzzo del cavallo e all'ululato del vento. Quando la bufera cessò e tornò l'azzurro, il mondo era completamente coperto da una coltre di neve. La neve aderiva ai tronchi degli alberi e sui rami scintillava come un cristallo ai primi raggi del sole. Il vento ne aveva ammucchiata all'imbocco della caverna fino all'altezza del petto, e al di là, il terreno era una distesa ondulata, uniforme, tutta bianca.

Alec ne ammirò per qualche minuto la bellezza. Poi la fame e la paura di morire lo spinsero fuori nel freddo abbraccio della neve.

Il cavallo morì quella mattina. Cadde sotto di lui con un fremito e un lamento e si accasciò nella neve. Alec sentì il calore della vita spegnersi nel corpo della bestia. Adesso era completamente solo. Non c'era anima viva in vista. Non esistevano punti di riferimento per indicargli una direzione. Non aveva più speranza. Rimase fermo nella neve che gli arrivava alle cosce, fradicio e tremante di freddo, disperazione e paura.

Guardò la carcassa del cavallo, gingillandosi con l'idea di tagliare qualche pezzo di carne per mangiarlo crudo, ma non riuscì a farlo. Dormire, pensò. È di questo che ho bisogno. Sonno e riposo.

E poi il vento sospirò, e gli alben gli cantarono in coro: Dormi… sì, dormi.

Ma poi, da un recesso della sua memoria emerse un frammento di poesia che ignorava di sapere. Gli si presentò spontanea alla mente, e lui si drizzò e la mormorò fra sé. Quindi gettò la testa all'indietro, allargò le braccia e la gridò agli alberi e al vento: — Dormire! Sognare, forse sì, questo è il problema. Perché nel sonno della morte quali sogni possono giungere…

Il sonno della morte. Alec ripeté fra sé. E chinandosi in avanti si fece strada in mezzo alla neve. Fu una battaglia dura, estenuante, tanto contro se stesso quanto contro gli elementi. Freddo, fame, stanchezza. Con ferrea volontà ignorò i muscoli che protestavano e lo stomaco vuoto, e continuò ad andare avanti. Ci sono alcuni villaggi da queste parti. Guarda se scorgi del fumo, o magari una strada.

Trovò prima una strada. Riuscì a intravvederla a malapena, perché non c'era niente che la distinguesse dal resto del paesaggio fatta eccezione per due solchi appena visibili dove erano passate alcune slitte. Alec continuò a trascinarsi, cercando di avanzare in discesa, lontano dalla base e verso il fondovalle dove c'erano cascine e villaggi.

Era quasi buio quando finalmente raggiunse un villaggio. Se non era quello che avevano occupato qualche mese prima, era il suo gemello. Poi vide il vecchio seduto davanti al cancello, riconoscibile anche nel pesante giaccone e col berretto calato fino agli occhi. Con lo stesso fucile posato in grembo.

Non scambiarono una sola parola. Alec stava fermo vicino al cancello, con le ginocchia tremanti e le mani che faticavano a reggere il fucile, ansimando, intorpidito dal freddo. Il vecchio gli stava davanti, col fucile in mano, incerto sul da farsi, col viso arrossato sotto gli ultimi raggi del sole.

Infine si strinse nelle spalle, si voltò ed entrò nel villaggio facendo segno ad Alec di seguirlo. Alec gli tenne dietro barcollando lungo le viuzze gelide e deserte dove i passi degli abitanti avevano trasformato la neve in un gelido strato uniforme.

Il vecchio lo accompagnò fino a una capanna. — Lì — disse con una voce roca, arrugginita dagli anni.

Alec spalancò la porta. La prima cosa che percepì fu il calore del fuoco che gli bruciò la faccia. Poi vide due uomini seduti al tavolo che lo guardavano stupiti, e una zuppiera fumante.

Alec ebbe il tempo di accorgersi che quelli erano due dei suoi uomini, prima di crollare svenuto sul pavimento di terra battuta.


Per due giorni lo rimpinzarono di cibo caldo e lo lasciarono riposare sul loro giaciglio. Per miracolo Alec non si era buscato una polmonite. Se l'era cavata con un leggero congelamento, per cui bastarono nutrimento, caldo e riposo per rimetterlo in sesto.

Gli uomini, Zimmermann e Peters, avevano deciso di rimanere nel villaggio quando le forze di Alec si erano disperse. Il grosso si era unito alla banda di Will Russo, dopo avere saputo che Alec era prigioniero di Douglas. Jameson e pochi altri si erano diretti verso sud. Nessuno sapeva cosa ne fosse stato di Furetto. Era semplicemente scomparso. Poco a poco Alec si rese conto che Zimmermann e Peters vivevano insieme come amanti. Dapprima ne rimase sorpreso, sebbene l'omosessualità fosse diffusa nella colonia lunare, ma dopo qualche giorno fu più che altro imbarazzato. Avrebbe voluto andare a starsene per conto suo in un'altra capanna.

— Dicevi che Jameson si è diretto a sud? — chiese a Peters il terzo giorno mentre facevano colazione. Zimmermann era già uscito per dare una mano a spalare la neve dalle strade del villaggio.

Peters annuì. Si era lasciato crescere una barba lussureggiante che in quel momento era cosparsa di briciole di pane e goccioline di miele.

— Ha detto che era sua intenzione cercare di mettersi in contatto con Kobol — spiegò fra un boccone e l'altro.

— Come faceva sapere che Kobol è sulla Terra?

— Ce l'ha detto Russo. Jameson ci ha lasciati liberi di decidere. È stato allora che Zim e io… be', siamo arrivati alla conclusione che ne avevamo abbastanza di fare i soldati. Abbiamo aiutato la gente di qui a mietere il raccolto, e loro ci hanno invitati a restare. Sono stati molto gentili e comprensivi.

E probabilmente credono che sulla Luna siano tutti omosessuali, pensò Alec, e ad alta voce chiese: — Quanti uomini hanno seguito Jameson?

— Mi pare quattro… No, cinque.

Restò sbigottito. Non ne è rimasto uno. Non uno disposto a venire con me, pensò. Sono completamente solo.

Dopo una settimana, gli anziani del villaggio andarono da Alec. Furono gentilissimi, addirittura deferenti, ma anche decisi. Non volevano essere immischiati nella controversia fra Douglas e suo figlio, e il cibo di cui disponevano era appena sufficiente per l'inverno. Perciò Alec doveva essere così gentile da andarsene non appena si fosse sentito di nuovo in forze. Gli avrebbero dato viveri, munizioni e anche un buon cavallo, ma doveva lasciare il villaggio e… ecco, l'indomani sarebbe stato il giorno giusto per la partenza.

Alec sorrise e si dichiarò d'accordo. La mattina dopo gli portarono una mansueta cavalla baia, che caricarono con un sacco a pelo, provviste e scatole di munizioni. Peters diede ad Alec un vecchio fucile da caccia, e Zimmermann la sua pistola completa di fondina e cartuccera.

Gli anziani rimasero a guardare in silenzio mentre Alec salutava i suoi due ex camerati e montava in sella. Dopo averli salutati con un cenno, Alec incitò la cavalla a muoversi con un colpo di tallone e uscì dal villaggio al piccolo trotto.

Dove devo andare?, si chiese. A sud per raggiungere Kobol? Istintivamente scrollò la testa, bandendo l'idea.

Rimuginò sul dilemma per tutto il giorno, e quando il sole scomparve oltre la cresta delle colline a ponente, trovò una piccola caverna in un'altura coperta di neve e decise di passarci la notte.

Kobol arriverà quassù a primavera, pensò dissellando la cavalla. Lasciamo che sia lui a venire da me. Ma un'altra parte della sua mente commentava con ironia: Prima, però, devi sopravvivere all'inverno.

Raccolse alcune bracciate di legna secca dagli alberi scheletriti nelle vicinanze della caverna e accese il fuoco. Legò la cavalla all'aperto. Sulle prime il fumo gli fece lacrimare gli occhi, ma non ci fece caso. Meglio il fumo che l'odore del cavallo. Era troppo tardi per cercare di procurarsi un po' di selvaggina col fucile di Peters, perciò mangiò qualcosa di quello che gli avevano dato al villaggio: carne salata e pane di granoturco.

La cavalla se ne stava immobile come una roccia, appena fuori dall'imbocco della caverna. Il fuoco si era ridotto a pochi tizzoni. Alec, chiuso nel sacco a pelo, cercava di addormentarsi, di non pensare ad Angela. Ma non riusciva a togliersela dalla mente. La notte era buia e silenziosa, solo a tratti una folata di vento rompeva il gelido silenzio.

Avrebbe accettato di venire con me?, si chiese. Ma forse è meglio che non sia venuta. C'è mancato poco che ci lasciassi la pelle. Non avrei mai voluto… Uno scricchiolio. Alec aprì gli occhi. Non vide niente. Troppo buio. Distingueva a malapena l'ingresso della caverna. Il rumore si ripeté. Passi leggeri sulla neve. Alec portò la mano alla pistola. Il fucile era alla sua portata. Senza fare rumore, si rigirò sullo stomaco, in modo da aver di fronte l'imbocco della caverna. Forse, pensò, sono gli uomini del villaggio venuti a riprendersi i loro regali. Se il figlio di Douglas dovesse morire in una caverna non sarebbe colpa loro. E perché allora perdere un buon cavallo?

Tendendo le orecchie Alec ebbe l'impressione di sentire il passo di due cavalli che si stavano lentamente avvicinando.

— Signor Morgan? — disse una voce giovanile.

Lui non rispose.

— Signor Morgan. — All'ingresso della caverna si stagliò una sagoma, e poi un'altra. — Vorremmo venire con voi, se ci volete.

Erano giovanissimi. Stanchi della vita che conducevano al villaggio avevano visto in Alec l'occasione dell'avventura, l'opportunità di girare il mondo. Alec cercò di dissuaderli, dicendo che aveva da offrire loro solo rischi e forse una morte prematura. I due ragazzi risposero sorridendo che non avevano paura ed erano disposti a seguirlo ovunque.

E infine Alec accettò di prenderli con sé.

Dapprima attraversarono le città semideserte dove c'era ancora qualcosa di utile da portare via. Alec evitò con circospezione di entrare in contatto con le micidiali bande annidate negli edifici semidistrutti e combatté solo quando fu proprio costretto. I due giovani rimasero sconvolti le prime volte che dovettero uccidere, ma poi ci fecero l'abitudine. Alec barattò parte delle munizioni e il fucile di Peters in cambio di viveri e un altro cavallo in un villaggio alla periferia del territorio di Douglas. Partirono di là con un'altra recluta, un adulto che aveva perduto moglie e figli in seguito a una malattia, e non voleva più vivere in quel posto che risvegliava in lui penosi ricordi.

Poco a poco il progetto di Alec prese forma. Lasciamo che Kobol cerchi di arrivare da queste parti la prossima primavera. Prima di allora avrò tracciato la posizione di tutte le postazioni difensive, lo aspetterò e assumerò il comando delle sue truppe.

Ma gli occorreva una radio. E sapeva dove trovarne una.

Aspettò. Con una pazienza che ignorava di possedere, aspettò l'occasione proprizia.

Durante le bufere di neve si accampava per giorni nelle caverne: reclutava altri uomini, per lo più giovanissimi; e cercava di convincere gli anziani dei villaggi a venire a patti con lui, perché i giorni del regno di Douglas erano contati.

Imparò a conoscere il territorio. Tracciò mappe delle valli e delle colline, dei torrenti, delle strade, delle città abbandonate e dei villaggi. E delle postazioni difensive di Douglas. Vide che stavano erigendo una nuova recinzione di rete metallica; squadre di uomini scavavano nella neve e nel terreno gelato ai margini del territorio di suo padre. Erigevano anche nuove torri di guardia lontane circa un chilometro l'una dall'altra. E tutto questo nonostante le proibitive condizioni atmosferiche. Douglas non aspettava la primavera.

Alec localizzò gli avamposti istallati in cima alle colline all'interno della nuova recinzione. Vide squadre di esploratori e pattuglie armate che attraversavano la campagna innevata, ma si tenne sempre a distanza, perché voleva evitare gli scontri. Non ancora. Una volta gli parve di riconoscere Will Russo alla testa di una colonna di uomini.

Quando attaccò l'avamposto, le giornate si erano ormai notevolmente allungate. Per arrivarci fece compiere ai suoi uomini una lunga deviazione. Entrarono così nel recinto in un tratto non ancora terminato e abbastanza distante dalla più vicina torre di guardia. Faceva ancora freddo e il cielo era grigio, ma verso sera il sole fece capolino attraverso le nubi, e Alec scorse un fiorellino azzurro che sbucava fra la neve sulla riva di un torrentello.

Sorrise fra sé, non perché commosso dalla grazia del fiore e dalla bellezza del tramonto, ma perché capì di aver calcolato il momento giusto per l'attacco.

Aspettarono fin dopo mezzanotte prima di risalire il versante della collina su cui si ergeva l'avamposto, identico a quello in cui Alec era già stato. Gli uomini si arrampicarono sui terrapieni e affrontarono i difensori con archi e coltelli. Alec s'impossessò della radio prima che il comandante avesse il tempo di servirsene. Lo uccise con due colpi di pistola in pieno petto e si precipitò alla consolle dei comandi.

Alec si attenne alle regole di guerra delle bande: nessun prigioniero. Smontarono con cura la radio e il generatore e li caricarono sul camion dell'avamposto, poi con gli esplosivi trovati sul luogo fecero saltare i locali sotterranei e i pezzi d'artiglieria, in modo da non lasciare traccia del furto della radio.

Douglas sospetterà, pensò Alec. Ma noi ci terremo a distanza dalle sue emittenti, e così non potrà intercettare le nostre trasmissioni.

Il camion avanzò slittando e cigolando nella notte, con la radio e gli uomini di Alec a bordo. Si allontanarono a distanza di sicurezza dal territorio di Douglas, e poi continuarono ad andare avanti per un'altra giornata prima che Alec provasse a chiamare la stazione spaziale. Quando finalmente riuscì a mettersi in contatto, la voce che crepitò negli auricolari suonava incredula.

— Credevamo che fossi morto…

— O che fossi passato dalla parte di Douglas?

— Be'…

— Non fa niente — tagliò corto Alec. — Avvertite Kobol che voglio vedere lui o un suo rappresentante non appena può mandare qualcuno qui. Abbiamo dei progetti da elaborare. Io rimarrò in contatto ancora per un altro giorno e vi saprò dire dove potranno trovarmi.

— Senz'altro. Immagino che vorrai collegarti con la Luna e parlare con tua madre.

Alec rispose senza esitare: — No. È pericoloso restare a lungo in contatto. Potrebbero intercettare il colloquio. Riferite a mia madre che sto bene e che fra non molto la missione sarà compiuta.

— Questo è tutto?

— Sì, è tutto.

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