PARTE SECONDA

CAPITOLO PRIMO

«Tutti dicono che è l'Ottobre più freddo che vi sia mai stato. Io non ne ricordo di peggiori. Anche la pioggia. Mai così abbondante da riempire i serbatoi o altro; ma sufficiente a inzupparvi e a farvi sentire di più il freddo. Non è vero?»

Shirl annuì. Non ascoltava le parole, ma dal tono ascendente della voce capì che la donna le aveva fatto una domanda. La coda delle persone si mosse in avanti e lei fece un passo di più dietro la donna che le aveva parlato, un fagotto senza forma di abiti pesanti ricoperti da un vecchio impermeabile di plastica annodato in vita con una corda. Sembrava un sacco, un sacco voluminoso. Non che io abbia un aspetto migliore, pensò Shirl tirandosi sul capo un lembo della coperta che l'avviluppava, per meglio proteggersi dalla pioggerella persistente. Non c'era da aspettare tanto, ora che poche decine di persone soltanto la precedevano nella fila. Ma la sosta era durata più di quanto avesse previsto. Era quasi buio. Una luce era stata accesa sull'autobotte. Faceva luccicare i suoi fianchi neri e illuminava la cortina di pioggia. La coda si mosse ancora, e la donna che precedeva Shirl fece un passo avanti, tirandosi dietro il bambino, un mucchietto di cenci, informe come sua madre, col viso nascosto da una sciarpa annodata e che piagnucolava senza posa.

«Smettila,» disse la donna. Si voltò verso Shirl, il suo viso gonfio pareva una specie di tumefazione rossa intorno all'apertura scura della bocca quasi interamente sdentata.

«Piange perché è stato dal medico. Crede che sia una malattia ma è solo il kwash.» Prese la mano gonfia del bambino. «Si vede quando gli si gonfiano le mani e gli escono delle macchie scure sulle ginocchia. Ho fatto due mesi di anticamera all'ospedale di Bellevue per vedere un dottore che mi ha detto ciò che sapevo già. Ma è l'unico modo di farsi firmare il libretto. E così ho ottenuto una razione di burro di arachidi. Mio marito ne va pazzo. Abitiamo nello stesso isolato, non è vero? Credo di avervi già vista…»

«26a Strada,» disse Shirl, svitando il tappo del suo bidone e infilandolo nella tasca del cappotto. Si sentiva tutta gelata. Era certa di aver preso freddo.

«Difatti, sapevo che eravate voi. Aspettatemi un momento, torneremo insieme. Si fa tardi e ci sono in giro tanti malintenzionati che vi ruberebbero l'acqua senza tanti complimenti. La rivendono poi. La signora Ramirez, nel mio caseggiato (è una straniera, ma tanto brava, sapete, la sua famiglia abitava lì sin dalla seconda guerra mondiale), ebbene si è presa un pugno in un occhio ed è tanto gonfio che non ci vede più, e ha anche perso due denti. Un ragazzaccio l'ha picchiata con una mazza e le ha portato via l'acqua.»

«Sì, vi aspetterò, è una buona idea,» disse Shirl che a un tratto si sentì molto sola.

«Tessere!» disse il poliziotto di servizio e lei gli porse la sua, quella di Andy e quella di Sol. Le alzò per vederle meglio nella luce, poi gliele restituì. «Sei quarti,» disse l'uomo che manovrava le valvole.

«Ma non è la quantità giusta!» disse Shirl.

«Razione ridotta oggi, signora. Avanti, muovetevi, c'è un sacco di gente che aspetta.»

Shirl alzò il suo bidone e l'addetto alla fontana vi infilò un imbuto e lo riempì d'acqua. «Al prossimo!» gridò.

Il bidone gorgogliava mentre lei camminava, ed era tragicamente leggero. Andò ad aspettare vicino al poliziotto dove la raggiunse la donna con il bambino da una mano, la latta da cinque galloni dall'altra, che pareva piena. Doveva avere una famiglia numerosa.

«Andiamo,» disse la donna, e il bambino si faceva trascinare, miagolando piano, attaccato alla sua mano.

Mentre si allontanavano dal binario morto della ferrovia della 12a Strada, il buio si accentuò, la pioggia oscurava la scarsa luce del giorno. Gli edifici erano quasi tutti dei vecchi magazzini e delle vecchie officine, dagli alti muri ciechi che nascondevano gli inquilini rifugiatisi all'interno. I marciapiedi erano bagnati e deserti. La luce più vicina era a un isolato di distanza.

«Mio marito mi dirà di tutto quando mi vedrà arrivare così tardi,» disse la dorma mentre voltavano l'angolo. Due persone bloccarono il marciapiede piantandosi davanti a lei.

«Dateci l'acqua,» disse quello più vicino, e la luce lontana si rifletté sul coltello che teneva in pugno.

«No! Vi prego, no!» implorò la donna, e faceva oscillare la sua latta dietro di sé, lontano dalle loro mani. Shirl si appiattì contro il muro e quando quei due avanzarono, vide che erano giovani, dei ragazzi. Ma avevano un coltello.

«L'acqua!» disse il primo, appoggiando il coltello sulla donna.

«Eccola!» urlò, facendo oscillare il bidone come un peso in cima al braccio. Prima che il ragazzo potesse evitarlo, il bidone lo colpì in pieno su un lato della testa, e cadde in terra, urlando. Il coltello era volato per aria. «Anche tu ne vuoi?» gridò avanzando verso il secondo ragazzo. Quello era disarmato.

«No, io non voglio guai,» pregò. Tirò l'altro per il braccio, poi indietreggiò vedendola avvicinare. Quando lei si chinò a raccogliere il coltello, il ragazzo riuscì a fare alzare il compagno e a trascinarlo oltre l'angolo. Tutto si era svolto in pochi secondi, e Shirl era sempre rimasta addossata al muro, tremante di paura.

«Non se l'aspettavano, eh?» disse trionfante la donna, alzando il vecchio coltello per ammirarlo. «Questo mi sarà più utile che a loro. Sono proprio dei novellini, dei ragazzi.» Era eccitata e felice. In tutto quel tempo non aveva mai mollato la mano del suo bambino che ora piangeva più forte.

Non vi furono altri intoppi e la donna accompagnò Shirl sino alla sua porta. «Grazie moltissimo,» disse Shirl, «non so che cos'avrei fatto…»

«Nessun disturbo,» disse sorridendo la donna. «Avete visto come l'ho conciato?… E chi ha il coltello, ora?» Si allontanò zampettando con il bidone pesante in una mano, il bambino dall'altra. Shirl entrò in casa.

«Dove sei stata?» chiese Andy quando spinse la porta dell'ingresso. «Mi stavo chiedendo che cosa ti fosse capitato.»

Faceva caldo nella stanza, c'era un odore di fumo stantio e lui e Sol sedevano vicino al tavolo con un bicchiere in mano.

«È stato a causa dell'acqua. La coda era lunga quanto un isolato. Mi hanno dato solo sei quarti, le razioni sono state ridotte ancora una volta.» Vide il suo sguardo cupo e decise di non raccontargli nulla dell'incidente occorsole al ritorno. Si sarebbe doppiamente irritato e lei non voleva che questo pasto fosse turbato.

«È veramente magnifico,» disse Andy sarcasticamente. «Le razioni erano già insufficienti, e allora le hanno ulteriormente ridotte. È meglio che ti tolga di dosso quella roba bagnata, Shirl, mentre Sol ti preparerà un Gibson. Il suo vermouth fatto in casa è ormai maturo e io ho comprato un po' di vodka.»

«Bevete,» disse Sol porgendole il bicchiere brinato. «Ho fatto un po' di minestra con quella roba, l'Ener-Gi-A. È l'unico modo di poterla utilizzare, e dovrebbe essere pronta. Sarà la nostra prima portata prima di…» Finì la frase accennando col capo al frigorifero.

«Che c'è,» disse Andy, «è un segreto?»

«No, nessun segreto,» disse Shirl aprendo il frigorifero, «solo una sorpresa. Le ho trovate oggi al mercato, una per ognuno.» Prese un piatto con tre piccole fette di soylent. «Sono quelle nuove, ne hanno parlato alla TV. Con un profumo affumicato di fuoco di legna.»

«Ti saranno costate un capitale,» disse Andy, «non mangeremo per il resto del mese.»

«Non sono affatto care. Comunque le ho comprate con i miei soldi, non con quelli della spesa.»

«Non importa, il denaro è sempre denaro. Potremmo vivere una settimana, probabilmente, con quel che costano queste fette.»

«La minestra è in tavola,» disse Sol, facendo scivolare i piatti sul tavolo. Shirl aveva un nodo in gola e non disse nulla. Si sedette al suo posto, guardando il piatto e sforzandosi di non piangere.

«Mi spiace,» disse Andy, «ma tu sai come salgono i prezzi, dobbiamo stare attenti. L'imposta comunale sul reddito è più alta, ora, quasi l'ottanta per cento da quando hanno aumentato i sussidi e quindi quest'inverno le cose andranno molto male. Non pensare che io non apprezzi…»

«Se lo apprezzi, perché non la pianti subito di chiacchierare e mangi la tua minestra?» disse Sol.

«Tu non mettere becco,» disse Andy.

«Io non metterò becco se tu vai a discutere fuori della mia stanza. Su, avanti, una buona cenetta come questa non si deve rovinare.»

Andy stava per rispondergli, poi cambiò idea. Allungò il braccio e prese la mano di Shirley. «Sarà un'ottima cena,» disse, «la mangeremo con piacere.»

«Ottima non direi,» disse Sol arricciando il naso sul primo cucchiaio di minestra. «Aspetta di aver assaggiato questa roba… Per fortuna le fette di soylent ci toglieranno questo sapore di bocca.»

Seguì un lungo silenzio mentre mangiavano la minestra. Poi Sol cominciò a raccontare una delle sue storielle dei tempi della guerra, ed era tanto buffa che dovettero ridere per forza e si sentirono tutti meglio. Sol distribuì equamente il resto dei Gibson, mentre Shirl serviva le fette.

«Se fossi sbronzo a sufficienza, questa roba avrebbe quasi il sapore della carne,» annunciò Sol masticando con gioia.

«Sono buone,» disse Shirl. Andy assentì. Shirl terminò rapidamente la sua fetta e inzuppò nel sugo un pezzo di cracker d'alga, poi bevette il suo cocktail. La disavventura capitatale per strada le pareva già molto lontana. Che cos'aveva detto quella donna parlando del suo bambino malato?

«Sapete, voi, che cos'è il kwash?» chiese Shirl.

Andy alzò le spalle. «Una specie di malattia, non so altro. Perché lo chiedi?»

«C'era una donna vicino a me nella fila, che mi ha parlato. Aveva con sé un bambino piccolo, malato di kwash. Non avrebbe dovuto farlo uscire sotto la pioggia, malato com'era. E mi stavo chiedendo se quel male fosse contagioso.»

«No di certo,» disse Sol. «Kwash è l'abbreviazione di kwashiorkor. Se per amore dell'igiene voialtri guardaste le trasmissioni mediche della TV come faccio io, o leggeste di tanto in tanto un libro, sapreste tutto di questa malattia. Non è contagiosa perché è una deficienza organica, come il beri-beri e lo scorbuto.»

«Non ho mai sentito parlare neanche di quelle,» disse Shirl.

«Ce n'è poco in giro, viceversa c'è un sacco di kwash. È dovuta alla scarsità di proteine. Prima esisteva solo in Africa, ora si è diffusa dappertutto negli Stati Uniti. È incredibile. Non si può comprare carne perché non ce n'è, le lenticchie e i fagioli di soia costano un patrimonio, allora le mamme rimpinzano i bambini di crackers d'alghe, di dolciumi, di tutto ciò che costa poco…»

La luce della lampadina vacillò e si spense. Sol attraversò a tastoni la stanza e trovò l'interruttore nel labirinto dei fili sopra il frigo. Un piccolo bulbo elettrico, collegato alle batterie, si accese. «Hanno bisogno di essere caricate, ma possono aspettare fino a domani. Fa male agitarsi dopo i pasti. È dannoso per la circolazione e per la digestione.»

«Mi fa piacere avervi qui, dottore,» fece Andy in tono ironico, «mi occorre appunto un parere medico. Io soffro di questo disturbo: vedete, tutto ciò che mangio mi va nello stomaco…»

«Molto spiritoso, signor Sputasentenze. Shirl, come fate a sopportarlo?»

Si sentirono tutti meglio dopo aver mangiato e chiacchierarono per un po', finché Sol annunciò che spegneva la luce per risparmiare corrente nelle batterie. Le mattonelle di carbone di mare si erano già consumate e la stanza diventava fredda. Si dettero la buonanotte e Andy entrò per primo nella stanza per prendere la sua torcia elettrica. La loro stanza era ancora più fredda dell'altra.

«Io vado a letto,» disse Shirl. «Non sono stanca ma è l'unico modo di stare al caldo.»

Andy cercò di accendere la lampada centrale ma non vi riuscì.

«Hanno ancora tagliato la corrente e io ho delle cose da fare. Quanto tempo è, una settimana, da quando non ci danno la luce alla sera?»

«Lasciami andare a letto e ti farò luce azionando la torcia a mano, va bene?»

«Per forza.»

Aprì il suo notes sul piano del canterano, vi pose vicino uno dei moduli riadoperabili e cominciò a stendere il suo rapporto. Con la mano sinistra premeva ritmicamente sulla torcia elettrica che produceva una luce fissa. La città quella sera era silenziosa. La gente non rimaneva per strada con il freddo e con la pioggia, perciò il fruscio delle piccole batterie e ogni tanto lo stridore della penna parevano più sonori del solito. La luce della torcia bastava a Shirl per spogliarsi. Rabbrividì al momento di togliersi gli abiti e infilò rapidamente un pesante pigiama invernale, un paio di calzini molto rattoppati che metteva per dormire e, su tutto, il suo golf pesante. Le lenzuola erano fredde e umide. Non le cambiava da quando era mancata l'acqua, sebbene lei provvedesse a dare aria ogni volta che poteva.

«Che cosa stai scrivendo?» gli chiese.

«Tutto ciò che ho racimolato su Billy Chung. Mi scocciano ancora perché lo rintracci, è la cosa più stupida che io abbia mai sentito.» Gettò via la penna con rabbia e cominciò a passeggiare in su e in giù, con la torcia in mano che proiettava ombre attorcigliate sul soffitto. «Abbiamo avuto una ventina di omicidi dal giorno in cui O'Brien è stato ucciso; un assassino l'abbiamo preso mentre sua moglie stava morendo dissanguata, ma tutti gli altri ce li siamo dimenticati, si può dire, dal giorno stesso in cui i fatti sono accaduti. Ma che ci sarà di tanto importante in quel Big Mike? Nessuno ha l'aria di saperlo, eppure tutti esigono dei rapporti. E così, dopo aver fatto due turni consecutivi di squadra, mi devo occupare di quell'individuo. Questa sera, per esempio, dovrei uscire a verificare un altro indizio cretino. Ma non ci andrò, anche se Grassy mi licenziasse domani. Sai quanto ho dormito in questi ultimi giorni?»

«Lo so,» disse Shirl, piano.

«Un paio d'ore per notte, al massimo. Stanotte mi voglio rifare, devo firmare il cartellino alle sette perché c'è un'altra dimostrazione di protesta a Union Square, quindi non riuscirò lo stesso a dormire molto.» Smise di camminare e le porse la torcia elettrica che subito si affievolì poi si riaccese quando Shirl cominciò ad azionarla.

«Sono io che brontolo sempre, povera Shirl, ma veramente dovresti essere tu a lamentarti. Hai conosciuto un mondo migliore prima di incontrare me.»

«Questo autunno è tremendo per tutti, non ho mai visto nulla di simile. Prima la mancanza d'acqua, ora la mancanza di combustibile, non capisco…»

«Non è questo che volevo dire, Shirl… Vuoi farmi luce sul cassetto?» Prese una lattina di petrolio e la borsetta degli attrezzi per la pulizia della rivoltella, e sparse il tutto su uno straccio, per terra vicino al letto. «È di te che voglio parlare, di te e di me. Qui le cose non sono all'altezza di quelle cui sei abituata.»

Lei evitava con la stessa sua prudenza le allusioni al periodo della sua convivenza con Mike. Era un argomento di cui non parlavano mai.

«La casa di mio padre è situata in un quartiere identico a questo,» disse, «le cose non sono poi tanto diverse.»

«Non sto parlando di questo.» Egli si accoccolò sul pavimento, smontò la rivoltella, poi passò la spazzola su e giù per la canna. «Dopo che hai lasciato i tuoi, le cose ti sono andate molto meglio, lo so, sei una ragazza carina, più che carina; probabilmente molti uomini ti avranno ronzato intorno…»

Parlava con esitazione, badando al suo lavoro.

«Se io sono qui è perché voglio essere qui,» disse, esprimendo con le parole quello che lui non era riuscito a dire. «Essere bella facilita molto le cose a una ragazza, lo so; ma non tutto è come… dovrebbe essere. Io vorrei… non lo so neanch'io con precisione… la felicità, suppongo. Tu mi hai aiutata quando realmente avevo bisogno di aiuto, e i momenti passati con te sono stati i più bei momenti della mia vita. Non te l'ho mai detto prima: io speravo tanto che tu mi chiedessi di venire qui, si andava così d'accordo!»

«È la sola ragione?»

Non avevano mai parlato di queste cose dalla sera in cui Andy le aveva detto di venire da lui, e ora lui voleva conoscere tutti i sentimenti della ragazza senza però svelarle i suoi.

«Perché mi hai detto di venire qui, Andy? Quali erano le tue ragioni?» Aveva evitato di rispondere alla sua domanda.

Fece scattare la canna dentro la rivoltella senza guardarla, e la avvitò col pollice e l'indice. «Mi piacevi, mi piacevi tanto. Se lo vuoi proprio sapere…» la sua voce si fece più bassa come se pronunciasse parole vergognose «… io ti amo.»

Shirl non sapeva che cosa rispondere e il silenzio si prolungò. La batteria della torcia ronzava, e di là dalla parete divisoria si udì uno scricchiolio di molle e un brontolio soffocato. Era Sol che si arrampicava sul suo letto.

«E tu, Shirl?» disse Andy a voce bassa affinché Sol non lo sentisse. Egli alzò il volto per la prima volta a guardarla.

«Io… sono felice qui, Andy. E mi fa piacere starci. Non ho pensato oltre…»

«Amore… matrimonio… bambini… Non hai mai pensato a queste cose?» Vi era una sfumatura di ansietà nella sua voce.

«Ogni ragazza pensa a queste cose, ma…»

«Ma non con un povero diavolo come me, in una trappola sconquassata come questa. È questo che volevi dire?»

«Non farmi dire quello che non dico, e non ho mai pensato. Io non mi lamento di nulla, tranne del fatto che tu sei sempre via.»

«Devo fare il mio lavoro.»

«Lo so. Io non ti vedo più. Eravamo molto più vicini, più spesso insieme in quelle prime settimane dopo che ti ho conosciuto. Era tanto bello.»

«Spendere soldi è sempre bello, ma la vita non può essere tutta così.»

«Perché no? Io non intendo dire continuamente, ma una volta di tanto in tanto, alla sera, qualche volta alla domenica, andar fuori… Sono settimane che non abbiamo parlato insieme. Non dico che si debba amoreggiare tutta la vita…»

«Io ho il mio lavoro. Per quanto tempo credi che si potrebbe amoreggiare se io vi rinunciassi?»

Shirl si sentiva vicina alle lacrime. «Ti prego, Andy, io non voglio farti arrabbiare. È proprio l'ultima cosa che vorrei. Ma non capisci che…»

«Io capisco benissimo. Se fossi un esponente dei sindacati, se dirigessi qualche traffico illecito, che so io, ragazze, hascisc, L. S. D., le cose sarebbero diverse. Ma sono soltanto un umile poliziotto che cerca di mantenere in piedi le cose che gli altri bastardi cercano di distruggere.»

Spinse le pallottole nel caricatore mentre parlava, senza guardarla e senza vedere le lacrime silenziose che le scorrevano sul volto. A tavola Shirl era riuscita a reprimere il pianto, ma ora non ce la faceva più. Era il freddo, era il ragazzo armato di coltello, era la scarsità di acqua, era tutto quanto. Tutto si accumulava. Ora anche questo. Quando Shirl ripose la torcia sul pavimento la luce si affievolì e quindi si spense. Prima che si rianimasse nella mano di Andy, lei si era già voltata dalla parte del muro e si era tirata la coperta sulla testa.

Andy le piaceva, di questo era certa. Ma lo amava? Come fare a saperlo? Si vedevano così di rado. Perché lui non lo capiva? Lei non cercava di nascondere nulla, o di evitare nulla. Ma la sua vita non era con lui, la sua vita era in quella terribile stanza, dove lui metteva raramente i piedi. In quella strada. Con quella gente. Il ragazzo armato di coltello… Si morse le labbra ma non riuscì a frenare il pianto.

Andy andò a letto senza darle la buonanotte e lei non sapeva che cosa avrebbe potuto dirgli. Con lui in letto aveva più caldo, sebbene le desse fastidio l'odore di petrolio con il quale aveva pulito la rivoltella. Gli era rimasto nelle dita e non si poteva togliere del tutto. Quando le fu vicino si sentì meglio.

Gli toccò il braccio e sussurrò: «Andy?»

Ma era troppo tardi. Si era già addormentato.

CAPITOLO SECONDO

«Sento che c'è qualcosa che bolle in pentola,» disse l'investigatore Steve Kulozik mentre finiva di sistemare la fodera del suo elmetto di fibra di vetro. Se lo mise in testa e aggrottò la fronte sotto la visiera.

«Ma davvero?» Andy scosse il capo. «Hai proprio un fiuto meraviglioso. Tutto il reparto, pattuglia e investigatori compresi, è sul piede di guerra. Ci distribuiscono gli elmetti e le bombe lacrimogene, alle sette del mattino. Siamo chiusi, qui, senza notizie, senza ordini. E tu pensi che ci sia qualcosa che bolle in pentola? Ma dimmi un po', qual è il tuo segreto, Steve?»

«È un dono naturale,» disse quel pacioccone senza scomporsi.

«Attenti! Voi tutti!» gridò il capitano. Le voci e lo scalpiccio cessarono, gli uomini tacquero e guardarono incuriositi verso l'estremità della stanza dove il capitano si trovava.

«Oggi dovremo svolgere dei compiti un po' speciali,» disse il capitano. «L'investigatore Dwyer, qui presente, vi spiegherà la cosa.»

Ci fu un movimento d'interesse fra gli uomini, e quelli delle ultime file cercarono di vedere, sopra la testa degli altri, cosa stesse succedendo.

La squadra del Comando era specializzata nella repressione delle sommosse. La sua zona d'azione era intorno a Centre Street, dove era appunto la sede del Comando, e prendeva ordini direttamente dall'ispettore Ross.

«Mi sentite tutti? Anche quelli laggiù in fondo?» gridò Dwyer, poi salì su una sedia. Era un uomo largo e tarchiato, con il collo e il mento grinzosi del bull-dog, una voce aspra, una specie di basso brontolio. «Sono chiuse le porte, capitano?» chiese. «Ciò che sto per dire riguarda solamente questi uomini.» Si udì un mormorio affermativo ed egli si voltò naturalmente da quella parte, guardando le file dei poliziotti in divisa, e il gruppo degli investigatori vestiti in kaki che stavano in fondo.

«Vi saranno alcune centinaia, forse un paio di migliaia, di persone uccise in questa città prima di notte,» disse. «È vostro compito mantenere questa cifra più bassa che sia possibile. Uscendo di qui, è bene che vi rendiate conto che oggi potranno scoppiare delle rivolte, delle sommosse, e più presto agirete per fiaccarle, e meglio sarà per tutti. Gli spacci della Previdenza, oggi, non si apriranno, e per tre giorni almeno non vi sarà distribuzione di viveri.»

La sua voce si alzò bruscamente, coprendo l'improvviso mormorio degli uomini. «Zitti, tutti! Che cosa siete? Poliziotti o donnette? Io vi parlo con franchezza perché siate preparati al peggio e non perché facciate i vostri commenti.»

Il silenzio divenne totale.

«Va bene. Sono giorni e giorni che i guai sono in arrivo, ma non potevamo intervenire prima di sapere in che scarpe eravamo. Ora lo sappiamo. La civica amministrazione ha continuato a distribuire razioni integrali ma ora i magazzini sono quasi vuoti. Noi li chiuderemo, rifaremo le scorte e li riapriremo, fra tre giorni. Con razioni più piccole. E questa notizia è segreta, non deve essere ripetuta a chicchessia. Le razioni rimarranno scarse per tutto il resto dell'inverno, ricordatelo anche se sentite dire il contrario. La causa immediata dell'attuale carestia è collegata a quell'incidente sulla linea principale a nord di Albany; ma questa è soltanto una delle ragioni. Il grano comincerà di nuovo ad affluire, ma non sarà ancora sufficiente. È venuto un professore della Columbia University, al nostro Centro, per parlarci di tutti questi problemi, affinché, a nostra volta, potessimo spiegarli agli altri. Ma il discorso diventerebbe troppo tecnico e ci manca il tempo. Più o meno si tratta di questo:»

“Nella scorsa primavera c'è stata scarsità di fertilizzanti, e il raccolto è stato inferiore alle previsioni. Vi sono state burrasche e inondazioni. La trasformazione dei terreni in polvere avanza di continuo. Poi c'è stata la faccenda dei semi di soia avvelenati dagli insetticidi. Queste cose le sapete come me perché le avete viste alla televisione. Molti piccoli incidenti si sono accumulati per formare un grosso disastro. Sono stati commessi degli errori, anche da parte del Consiglio Presidenziale del Piano di Emergenza del Ministero dei Rifornimenti, dove naturalmente molti funzionari salteranno. E così, in città, tutti dovranno stringere la cintola. Ci sarà da mangiare per tutti finché la legge e l'ordine saranno rispettati. Ma non occorre dirvi che cosa accadrebbe se scoppiassero delle vere rivolte, degli incendi, guai grossi insomma. Aiuti dall'esterno non ne possiamo avere. L'esercito ha altri problemi cui badare. Siete voi, uomini appiedati, che farete il necessario. Non abbiamo neppure un hovercraft funzionante in dotazione. O mancano i pezzi di ricambio, o le macchine sono rotte e non si possono sostituire. Quindi tocca a voi. In questa città, trentacinque milioni di persone contano su di voi. Se volete che non muoiano di fame fate il vostro dovere. E adesso… chi ha domande da fare?”

Un mormorio attraversò la stanza affollata, poi un poliziotto alzò timidamente la mano e Dwyer fece un cenno col capo.

«E la questione dell'acqua, signore?»

«Verrà risolta presto. Le riparazioni dell'acquedotto sono a buon punto e l'acqua dovrebbe arrivare fra una settimana. Ma sarà ancora razionata a causa delle perdite sotterranee, e dei livelli sempre bassi nei serbatoi. E ciò mi fa venire in mente un'altra cosa. Abbiamo dato alla TV degli annunci, che verranno passati ogni ora, e abbiamo piazzato tutte le guardie disponibili lungo gli argini. Ma la gente continua a bere l'acqua del fiume. Come facciano, non lo so. Quel maledetto fiume non è altro che una fogna aperta quando arriva qui, ed è anche salato, per la vicinanza del mare. Eppure la gente beve lo stesso quell'acqua, neanche la fa bollire. È veleno, veleno puro. Gli ospedali sono pieni di casi di tifo, di dissenteria e Dio sa che altro. Sarà ancor peggio quest'inverno. Gli elenchi dei sintomi sono affissi sui quadri dei bollettini. Imparateli a memoria, tenete aperti gli occhi e informate il Ministero della Sanità di tutto ciò che vedrete, riferite ogni caso sospetto che cercasse di farla franca, aggiornatevi con le iniezioni e non vi succederà nulla. Il nostro Ministero ha tutto il vaccino necessario.»

Mise una mano a coppa sull'orecchio, guardò le prime file e aggrottò la fronte. «Mi sembra di avere udito qualcuno pronunciare le parole “commissario politico”. Ma forse mi sono sbagliato. Diciamo pure che mi sono sbagliato. È un'espressione che ho sentito altre volte e che sentirete ripetere anche voi. Mettiamo subito le cose in chiaro. I comunisti hanno inventato questa espressione e nel modo come la usano loro, significa un individuo che fa rispettare la linea del partito fra i militari, fa vedere lucciole per lanterne, una quantità di scempiaggini. Non è il nostro sistema, qui in America. Forse sono anch'io un commissario politico: ma mi metto alla vostra portata, vi dico tutta la verità in modo che, appena usciti di qui, possiate svolgere il vostro lavoro sapendo esattamente che cosa dovete fare. Altre domande?»

Si guardò tutt'intorno, girando lentamente il testone. Il silenzio si prolungava, nessuno faceva domande. Allora Andy, senza entusiasmo, alzò la mano.

«Sì?» disse Dwyer.

«E per i mercati, signore, che facciamo?» disse Andy e le persone vicine voltarono il capo per guardarlo. «C'è il mercato delle pulci a Madison Square dove vendono anche generi alimentari, e c'è il mercato di Gramercy Park.»

«Sì, è una domanda pertinente, perché saranno proprio quelli i nostri punti nevralgici. Molti di voi pattuglieranno quei mercati o le loro vicinanze. Succederà un pasticcio ai depositi viveri quando questi non si apriranno, e un altro pasticcio ci sarà a Union Square con gli Anziani. Quelli creano sempre pasticci…» Una doverosa risata di consenso sottolineò quelle parole. «I magazzini dovranno vendere tutto e chiudere, a questo baderemo noi. Ma non possiamo controllare i mercati nello stesso modo. Gli unici generi alimentari in vendita a New York si trovano proprio lì e la gente farà presto a capirlo. Tenete gli occhi aperti e se nasce qualche tafferuglio, soffocatelo prima che guadagni terreno. Avete i vostri bastoni, avete i gas, usateli se occorre. Avete delle rivoltelle, e quelle lasciatele stare. Non vogliamo che si spari indiscriminatamente. Ciò peggiorerebbe la situazione e nient'altro.»

Non vi furono altre domande. L'investigatore Dwyer se ne andò prima che fossero assegnate le zone e i compiti, e non lo si vide più. La pioggia era quasi cessata quando uscirono, ma l'aveva sostituita una nebbia fredda e densa che saliva dalla Lower Bay. Due camioncini coperti da un telone erano ad attenderli vicino al marciapiede, assieme a un vecchio autobus cittadino dipinto di uno smorto verde oliva. Metà dei suoi finestrini erano chiusi con assi di legno inchiodate.

“Denaro contato alla mano”, «disse Steve che seguiva Andy nell'autobus.» Chissà dove avranno scovato questa anticaglia.

«Nel museo cittadino,» disse Andy, «dove hanno anche prelevato queste bombe lacrimogene. Le hai guardate?»

«Le ho contate, se è ciò che intendi,» disse Steve sprofondando in uno dei sedili spaccati vicino a Andy. Entrambi tenevano la sacca con le bombe sulle ginocchia per lasciare più spazio per sedersi. Andy aprì la sua sacca e prese uno dei proiettili.

«Leggi questo,» disse, «se sai leggere.»

«Sono stato in collegio,» brontolò Steve, «so leggere l'irlandese e anche l'americano… “Granata sotto pressione. Gas lacrimogeno. MOA-397… “»

«Le lettere piccole, giù in basso.»

«“… sigillato e bollato nell'Arsenale di St. Louis, Aprile 1974”. Ebbene, che cosa c'è? Questa roba non invecchia mai.»

«Spero proprio di no, perché, stando a quanto ci ha detto il nostro “commissario politico”, oggi avremo da usarle.»

«Non succederà nulla. Tempo bagnato, non va per le sommosse.»

L'autobus si fermò bruscamente all'incrocio di Broadway e North Square, e il tenente Grassioli fece un cenno a Andy puntando il pollice verso la porta. «Tu che t'interessi tanto dei mercati, Rusch, pattugliami la zona, da qui sino alla 33a Strada. Anche tu, Kulozik.»

La porta si chiuse alle loro spalle e l'autobus si fece strada lentamente fra la folla. Questa scorreva da ogni lato, inciampando e urtandosi senza neanche accorgersene, marea di gente sempre nuova e sempre identica. Una specie di risucchio si formava spontaneamente intorno ai due investigatori creando un piccolo spazio vuoto di strada bagnata in mezzo alla ressa. I poliziotti non erano affatto visti di buon occhio in generale, e quelli in elmetto, con gli sfollagente per disperdere gli assembramenti, venivano scansati ancor di più. Lo spazio libero si spostò con loro attraverso la Quinta Avenue, all'altezza del Monumento della Luce Perenne, ora spenta per scarsità di combustibile.

«Quasi le otto,» disse Andy il cui sguardo scrutava continuamente la gente che li circondava. «È l'ora in cui generalmente si aprono gli spacci della Previdenza. Anche gli annunci alla TV andranno in onda adesso.»

Si avviarono lentamente verso la 23a Strada, camminando in mezzo alla via perché le bancarelle del mercato delle pulci avevano invaso tutto il marciapiede.

«Coprimozzi! Coprimozzi? Qui troverete i migliori coprimozzi!» gridò un mercante mentre passavano, un ometto smarrito in un immenso pastrano, la cui testa rasata usciva dal colletto come la testa di un avvoltoio dal suo collare di piume arruffate. L'ometto si asciugò il naso col dorso della mano. Pareva un po' scemo.

«Comprate qui i vostri coprimozzi, ufficiale, sono i migliori. Ne potete fare ciotole, pentole, zuppiere, vasi da notte. Qualsiasi cosa va bene…» lo oltrepassarono e non lo udirono più.

Alle nove avvertirono qualcosa di diverso nell'aria, una specie di tensione che non c'era prima. Il brusio della folla era aumentato e anche l'agitazione. Era come l'acqua che sta per bollire. Quando i due agenti ripassarono davanti alla bancarella dei coprimozzi, videro che la maggior parte della merce era stata messa sotto chiave e quei pochi pezzi rimasti sul banco erano arrugginiti e non valevano lo sforzo di rubarli. Il venditore si era rannicchiato vicino al banco e non vantava più la sua roba. Sedeva immobile e soltanto i suoi occhi parevano vivi.

«Hai sentito?» chiese Andy, ed entrambi si voltarono verso il mercato. Al disopra del ronzio crescente delle voci si udì un grido selvaggio seguito da altri. «Diamo un'occhiata,» disse Andy spingendosi in uno dei viali che attraversavano il mercato.

Una folla urlante si era addensata fra bancarelle e carrette a mano e gli bloccava la strada. La gente si agitò ma non si mosse per lasciarli passare nemmeno quando usarono il fischietto. Ebbero miglior risultato i bastoni. Qualche colpetto su gambe e caviglie aprì subito un varco nella folla, e videro tre bancarelle divelte, delle quali una pressoché capovolta, con i crackers d'alghe sparsi tutt'intorno.

«Avevano alzato il prezzo,» urlò una megera dal viso ossuto. «È contro la legge alzare i prezzi! Chiedevano il doppio per le loro gallette.»

«La legge non dice nulla, possiamo chiedere ciò che vogliamo,» gridò un altro venditore, facendosi largo con un bastone. Era pronto a difendere con la vita i suoi crackers sbriciolati, il cibo più economico e più insipido di cui l'uomo si fosse mai nutrito.

«Non ne avete il diritto, vendicroste! Quei prezzi sono esosi,» gridò un uomo, e la folla si agitò, minacciosa.

Andy fischiò a perdifiato. «Basta,» gridò oltre la folla. «Ora la vedo io, ma state a posto.» Steve rimase in attesa, guardando la folla e facendo oscillare il lungo bastone davanti a sé, mentre Andy si rivolgeva a bassa voce al venditore. «Non fare lo stupido, chiedi un prezzo equo e vendi tutto.»

«Io ho il diritto di chiedere ciò che voglio. Non c'è alcuna legge…» protestava il venditore. Si fermò quando Andy colpì la bancarella col bastone.

«Va bene. Non c'è legge. Ma ora la legge la faccio io. Vuoi perdere tutto, compresa la tua stupida testa? No? Allora fissa un prezzo e vendi, altrimenti io me ne vado e lascio che la gente faccia ciò che vuole.»

«Ha ragione, Al,» intervenne il venditore vicino. «Vendi e vattene se no quelli ti travolgeranno. Io calo i prezzi.»

«Sei un crumiro, pensa a quei bei quattrini…» protestò Al.

«Cretino, pensa al buco nella tua testa, se non tiriamo giù i prezzi. Io vendo.»

Vi fu ancora un po' di trambusto, poi appena i prezzi calarono la gente venne a comprare e l'aggressiva solidarietà della folla si allentò. Altre voci si fecero sentire sul lato della piazza che dava sulla Quinta Avenue.

«Qui va bene,» disse Steve. «Ora circoliamo.»

Molti venditori avevano chiuso bottega e vi erano spazi vuoti fra le bancarelle, dove i proprietari dei carretti a mano avevano tagliato la corda. Una vecchia cenciosa, distesa per terra singhiozzava in mezzo alla distruzione del suo banco. La sua merce (fagioli cotti pressati fra due crackers d'alghe) era stata saccheggiata, perduta.

«Sozzi poliziotti,» gridò quando passarono, «perché non li avete fermati, perché non fate nulla? Sozzi che siete!» Passarono senza guardarla ed entrarono nella Quinta Avenue. La folla era in subbuglio e dovettero farsi strada con la forza.

«Lo senti quel rumore a nord?» disse Steve. «Sembra che cantino o che gridino.»

La pressione della folla assunse una direzione più decisa, diventava un movimento unanime che puntava verso il centro. Il canto della folla cresceva ogni momento, punteggiato dallo stridore stentoreo di un altoparlante.

Uno, due, tre e quattro

Le razioni sono in ritardo.

Cinque, sei, sette, otto

I medicinali sono sotto.

«Sono gli Anziani,» disse Andy, «marciano di nuovo su Times Square. Hanno scelto il giorno giusto; oggi ci capitano tutte.»

La folla si assiepava sui marciapiedi e i primi Anziani apparvero preceduti da una mezza dozzina di agenti che roteavano i loro bastoni per farsi largo. Dietro veniva la prima ondata della legione dei vecchi, un gruppo di individui canuti, o completamente calvi, guidati da Kid Reeves. Quest'ultimo zoppicava un po' ma rimaneva in testa alla colonna, con il suo megafono a batteria, una specie di imbuto metallico munito di un microfono. Lo alzò davanti alla bocca e la sua voce risuonò sulla folla coprendone il brusio.

«Su, voialtri, sui marciapiedi! Unitevi a noi, marciate con noi, unitevi alla nostra protesta, fate sentire la vostra voce. La nostra manifestazione non vale solo per noi, ma anche per voi. Se siete un cittadino anziano siete già con noi di cuore, perché questa marcia è intesa ad aiutarvi. Se siete giovani sapete che la nostra manifestazione è intesa ad aiutare i vostri genitori perché ricevano quell'aiuto che anche voi, un giorno, riceverete.»

C'era gente che veniva spinta, fuori dell'imbocco della 24a Strada, ed era costretta a tagliare la strada al corteo. Tutti si guardavano atterriti alle spalle mentre la calca li sospingeva sempre più avanti. La marcia degli Anziani a furia di rallentare divenne un moto strisciante, poi si fermò in una confusione di corpi umani. Il fischietto dei poliziotti trillò in lontananza, e gli agenti che marciavano in testa alla colonna cercarono invano di fermare la sua avanzata. Furono travolti e confusi nella folla in un attimo quando lo stretto sbocco della 24a Strada riversò un'ondata di gente in corsa, investendo la folla, confondendosi con l'avanguardia degli Anziani.

«Fermatevi voialtri, fermatevi!» La voce tonante di Reeves gridava nel megafono. «Non intralciate la nostra manifestazione. Questa è una manifestazione autorizzata.» I nuovi arrivati si gettarono su di lui e un omone con rivoli di sangue che gli scendevano giù dal capo, afferrò il megafono.

«Dammi questa roba!» ordinò, e le sue parole, amplificate e mescolate a quelle di Reeves, divennero un tuono confuso.

Andy vide chiaramente ciò che stava per accadere, senza poter fare niente per fermarli perché la folla lo aveva diviso da Steve e rigettato sulla fila vacillante delle bancarelle.

«Dammi quella roba!» muggì nuovamente la voce, superata da un urlo di Reeves al quale il megafono veniva strappato di mano.

«Vogliono farci morire di fame!» martellò la voce sulla folla. Pallidi volti si voltarono verso di lui. «I depositi della Previdenza rigurgitano di viveri ma li hanno chiusi e non vogliono darcene. Sfondate i magazzini, e prendeteli voi, prendete tutto! Andiamo!»

La folla grugnì il suo assenso e con un brusco dietro-front si spinse su per la 24a Strada, travolgendo, calpestando molti Anziani per seguire quella voce piena di rancore. La folla diventava un tumulto, e il tumulto si sarebbe presto trasformato in sommossa se non si faceva qualcosa subito. Andy cominciò a menare il bastone sui più vicini, facendosi strada fra di essi, cercando di avvicinarsi il più possibile all'uomo col megafono per poterlo arrestare.

Un gruppo di Anziani faceva catena intorno al suo leader ferito, Reeves, che continuava a gridare alla folla delle cose che nessuno udiva, tenendosi l'avambraccio destro con la mano sinistra, per proteggerlo. Infatti gli pendeva stranamente dalla spalla: era rotto. Andy cercò di avanzare col bastone, ma capì che non ce la faceva, la massa si addensava e si allontanava più presto di quanto lui potesse muoversi.

«… i viveri, se li tengono loro! Lo avete mai visto, voi, un poliziotto magro? E gli uomini politici? Quelli si mangiano le nostre razioni e se ne infischiano se noi moriamo di fame!»

Il sarcasmo tonante di quella voce istigava sempre più la folla alla sommossa. Già delle persone, per la maggior parte Anziani, erano cadute ed erano state calpestate. Andy aprì con uno strappo la sua sacca e afferrò una delle bombe lacrimogene. Erano regolate in modo da esplodere liberando il gas tre secondi dopo aver strappato la sicura. Andy la tenne bassa, strappò l'anello, poi la scagliò con violenza contro l'uomo del megafono. Il proiettile descrisse una larga traiettoria, cadde nella folla accanto a quell'uomo, e non scoppiò.

«Bombe!» urlò quello. «La polizia vuol farci fuori per non lasciarci prendere i viveri! Ma non ci fermerà! Andiamo! Andiamo a prenderceli! Bombe!»

Andy imprecò e prese un'altra granata. Purché questa scoppiasse! La prima non aveva fatto che peggiorare la situazione. Respinse la folla intorno a sé con il bastone, per avere lo spazio necessario a fare oscillare il braccio, strappò la sicura, e contò sino a due prima di scagliare la bomba.

Questa volta esplose con un tonfo sordo quasi al disopra dell'uomo col megafono, e il suo immediato, spasmodico conato di vomito fu come un urlo al disopra del frastuono delle voci. La folla ondeggiò, la solidarietà si sgretolava. Tutti tentavano di fuggire lontano dalla nube di vapore accecante dei gas lacrimogeni, lo stomaco morso dalla nausea. Andy afferrò la maschera in fondo alla sua saccoccia e con gesto veloce e sicuro, frutto di molte esercitazioni di emergenza, se la infilò. L'elmetto gli scivolò lungo il braccio sinistro, appeso alla sua cinghia sottogola, mentre con ambo le mani, pollici in dentro, scuoteva la maschera per liberarne gli attacchi. Trattenendo il respiro chinò la testa, infilò il mento nella maschera e con un sol gesto rapido strinse i legacci che assicuravano la maschera sul capo. Con il palmo della mano destra fissò il boccaglio, e espellendo con forza l'aria dai suoi polmoni fece vibrare i lati della maschera. Ogni traccia di gas scomparve. Mentre compiva questo gesto, con l'altra mano raddrizzava l'elmetto e se lo rimetteva sul capo.

Sebbene questa operazione non fosse durata più di tre secondi, lo spettacolo dinnanzi a lui era drasticamente mutato. La gente spingeva in ogni direzione, tentava di sfuggire alla nube di gas che continuava ad estendersi e che vagava come una nebbia sottile su una parte sempre più larga della strada. Gli unici che non si muovevano erano quelli caduti, distesi sul selciato, o piegati in due dagli spasimi di un vomito incoercibile. Era un gas potente. Andy corse difilato sull'uomo che si era impadronito del megafono. Era in terra, a quattro zampe, accecato, insudiciato dal suo rigurgito, ma impugnava sempre il megafono e imprecava fra un conato e l'altro. Andy tentò di strapparglielo di mano, ma egli si difendeva ciecamente e selvaggiamente, teneva il microfono stretto in una morsa invincibile finché Andy fu costretto a colpirlo con la mazza alla base del cranio. Cadde sul selciato imbrattato e Andy gli strappò il megafono di mano.

Il più duro era fatto. Grattò con l'unghia il microfono che rispose con uno scoppiettio amplificato. L'aggeggio funzionava ancora. Andy fece un lungo respiro, riempiendosi i polmoni con fatica a causa della resistenza dei filtri contenuti nella maschera, poi si tolse la maschera dal viso.

«Parla la polizia!» disse, e tutti i visi si voltarono nella sua direzione. «È tutto a posto, tornate tranquillamente alle vostre case, disperdetevi. È tutto finito, terminato. Non vi saranno più bombe a gas se ve ne andate tranquillamente.» Vi fu un crescendo nel brusio quando egli pronunciò la parola “gas”, e la compattezza della folla cedette. Andy cercò di reprimere la nausea che gli stringeva la gola. «La polizia ha in mano la situazione, tutto è terminato…» Mise la mano sul microfono per tapparlo mentre si piegava in due dallo spasimo, e vomitava.

CAPITOLO TERZO

La città di New York pencolava sull'orlo del disastro. Ogni deposito chiuso era un focolaio di tumulto, circondato com'era da una folla affamata, impaurita, in cerca di un responsabile da accusare. L'ira incitava alla rivolta, e le proteste per la mancanza di viveri si tramutavano in proteste per la mancanza d'acqua, e poi in saccheggio, ogni volta che era possibile. La polizia reagiva, formando ancora una leggerissima barriera tra la protesta rabbiosa e un caos cruento.

In principio, sfollagente e manganelli frenavano i disordini, e, quando non bastavano più, i gas disperdevano gli assembramenti. La tensione aumentava perché la gente fuggiva per riunirsi di nuovo in un luogo diverso. I robusti idranti della polizia fermavano facilmente i dimostranti che tentavano di introdursi negli spacci della Previdenza. Ma i carri pompa erano insufficienti e non potevano rifornirsi di acqua, una volta vuotata la cisterna. Il Ministero della Sanità aveva proibito di usare l'acqua del fiume, sarebbe stato come irrorare veleno sulla gente. Quella poca acqua disponibile era assolutamente necessaria per combattere gli incendi che scoppiavano in tutta la città. Con le strade bloccate in molti punti i pompieri non potevano circolare e le macchine erano costrette a fare lunghi giri viziosi. Alcuni incendi stavano estendendosi e a mezzogiorno, tutti i mezzi disponibili erano ormai in servizio.

Il primo colpo di arma da fuoco fu sparato pochi minuti dopo mezzogiorno, da una guardia del Ministero della Previdenza, uccidendo un uomo sorpreso a spaccare i vetri di una finestra del deposito viveri di Tompkins Square nel tentativo di introdursi all'interno. Era stato il primo colpo sparato, ma non certo l'ultimo e neppure la vittima sarebbe stata l'ultima.

Il filo spinato volante era servito a bloccare alcune delle zone più agitate, ma anche di questo ce n'era poco. Quando la scorta fu terminata, gli elicotteri sorvolarono inutilmente le strade affollate. Servivano solamente da osservatori aerei in aiuto alla polizia, indicando i punti dove il filo spinato era più necessario. Ma era un lavoro senza frutto perché non vi erano più scorte. Tutti ormai combattevano in prima linea.

Dopo quello scontro di Madison Square, nulla riuscì più a impressionare Andy. Per il resto della giornata e la maggior parte della notte, egli, come tutti gli altri poliziotti in quella città, sfidò la violenza e rispose con la violenza, per restaurare la legge e l'ordine in una città devastata dalla battaglia. L'unico intermezzo di riposo era stato il momento in cui era rimasto vittima della sua stessa bomba a gas lacrimogeno, ed era riuscito a raggiungere l'ambulanza del Ministero della Sanità per farsi medicare. Un assistente gli aveva lavato gli occhi, poi gli aveva dato una pastiglia anti-nausea. Si era disteso su una delle barelle all'interno dell'autolettiga stringendosi al petto l'elmo, le bombe e la mazza, mentre cercava di rimettersi dal suo disturbo. Il guidatore dell'ambulanza sedeva su un'altra barella vicino alla porta, imbracciando una carabina calibro 30 per scoraggiare chiunque avesse dimostrato troppo interesse per l'ambulanza o per il suo prezioso contenuto di strumenti chirurgici. Andy vi sarebbe rimasto con piacere più a lungo, ma una nebbia ghiacciata entrava dalla porta aperta ed egli cominciò a tremare con tale violenza da battere i denti per il freddo. Con difficoltà si rimise in piedi e tornò sulla via. Muovendosi, si sentì subito meglio, più caldo. L'assalto al centro della Previdenza era stato sventato, forse il fatto di aver afferrato lui quel megafono aveva contribuito a calmare le acque. Si avviò lentamente in direzione del gruppo più vicino di divise blu, storcendo il naso per l'odore fetido che i suoi stessi abiti emanavano.

Da quel momento in poi, la stanchezza non lo abbandonò più e non serbò ricordo di nulla tranne che di facce urlanti, di piedi in corsa, del rumore degli spari, degli urli, del tonfo delle bombe lacrimogene, e di qualcosa che non aveva visto arrivare ma che gli era stata scagliata contro, colpendolo sul dorso della mano ove aveva prodotto un enorme livido.

Al cadere della notte cominciò a piovere, una pioggia violenta e fredda, mista a ghiaccio e fu questa, aggiunta alla stanchezza e all'esaurimento della gente, che svuotò le strade, non la polizia. Una volta sparita la folla, i poliziotti si resero conto che il vero lavoro cominciava ora. Le finestre spaccate e le porte sconquassate dovevano essere guardate finché non fossero riparate. Si dovevano trasportare i feriti all'ospedale per le cure, mentre i vigili del fuoco avevano bisogno di rincalzi per fermare gli innumerevoli incendi. La cosa si protrasse per tutta la notte e all'alba Andy si ritrovò disteso e addormentato su una panca del Distretto e udì il tenente Grassioli che lo chiamava per nome, facendo l'appello.

«Non possiamo lasciar liberi altri,» aggiunse il tenente. «Voi, prendetevi le vostre razioni prima di uscire e lasciate qui il vostro equipaggiamento speciale. Voglio che siate tutti di ritorno alle 18. 00, e non vi saranno scuse. Le nostre seccature non sono ancora terminate.»

Durante la notte, chissà a quale momento, la pioggia era cessata. Il sole nascente proiettava lunghe ombre sulle strade che attraversavano la città, ponendo un velo dorato sul selciato nero e bagnato. Una casa in pietra arenaria bruciava ancora, Andy si spinse fra le macerie fumanti che ricoprivano la strada li davanti. All'angolo della Settima Avenue, vide i frantumi di due taxi a pedali, già spogliati di ogni loro parte riutilizzabile e, pochi passi più avanti, il corpo rannicchiato di un uomo. Era forse solo addormentato, ma quando Andy gli passò vicino il viso rivolto in su affermava con prepotenza che quell'uomo era morto. Passò oltre, ignorandolo. Il Dipartimento della Sanità avrebbe raccolto oggi soltanto cadaveri.

I primi cavernicoli stavano uscendo dagli ingressi della metropolitana, abbagliati dalla troppa luce. Durante l'estate tutti prendevano in giro i cavernicoli, gente alla quale il Ministero della Previdenza aveva assegnato un alloggio nelle stazioni ora in disuso della metropolitana. Ma quando si avvicinava l'inverno, l'invidia sostituiva lo scherno. Là sotto si viveva probabilmente nella sporcizia, nella polvere e nell'oscurità; ma vi erano sempre alcuni radiatori elettrici accesi. Non vivevano nel lusso, ma perlomeno la Previdenza non li lasciava morire di freddo. Andy voltò l'angolo e si trovò nel suo isolato.

Salendo le scale calpestò pesantemente alcune persone addormentate, ma era troppo stanco per badarvi o anche per notarle. Non riuscì a trovare il buco della serratura per aprire la porta. Sol lo udì e venne lui ad aprire.

«Ho fatto un po' di minestra proprio in questo momento,» disse Sol. «Sei arrivato a puntino.»

Andy estrasse alcuni pezzi di crackers rotti dalla tasca del suo pastrano e li sparse sul tavolo.

«Hai rubato dei viveri?» chiese Sol, afferrando un pezzetto e mettendosi a rosicchiarlo. «Credevo non vi fosse distribuzione di viveri per altri due giorni.»

«Razioni della polizia.»

«È giusto, non si può combattere la cittadinanza a stomaco vuoto. Ne butto due o tre briciole nella minestra per darle un po' di consistenza. Penso tu non abbia visto la TV ieri, e così non saprai nulla degli svaghi e dei giochi del Congresso. Le cose vanno realmente in fretta.»

«È già sveglia, Shirl?» chiese Andy, uscendo dal suo cappotto e cadendo come un masso sulla poltrona.

Sol tacque un istante, poi disse lentamente: «Non è in casa.»

Andy sbadigliò. «È un po' presto per uscire. Perché?»

«Non oggi, Andy.» Sol rimescolava la minestra e voltava le spalle a Andy. «È uscita ieri, un paio d'ore dopo di te, non è ancora tornata.»

«Vuoi dire che è stata fuori tutto il tempo della sommossa e anche la notte scorsa? E tu cos'hai fatto?» Si era drizzato, aveva dimenticato la sua stanchezza.

«Che potevo fare? Uscire anch'io per farmi calpestare e uccidere come quegli altri barbogi? Scommetto che sta benissimo. Ha probabilmente visto che stava per succedere qualcosa, ed è rimasta in casa di amici, invece di tornare qui.»

«Quali amici? Di che cosa stai parlando? Bisogna che vada a cercarla.»

«Siediti,» ordinò Sol. «Che cosa puoi fare, là fuori? Mangia un po' di minestra e va' a dormire. È la miglior cosa che tu possa fare. Shirl sta bene,» aggiunse a malincuore.

«Che cosa sai, Sol?» Andy lo afferrò per le spalle, e lo fece voltare verso di sé.

«Giù le mani,» gridò Sol, allontanando la mano di Andy. Poi con voce più calma: «Tutto ciò che ti posso dire è che non è uscita senza scopo, aveva un'idea in mente. Si era messa il suo vecchio soprabito, ma sotto ho visto che indossava un vestito veramente elegante, e delle calze di nylon. Un capitale, su quelle gambe. E quando mi ha salutato, ho notato che era tutta truccata.»

«Sol… che cosa stai cercando di dire?»

«Non cerco. Dico. Si era vestita per andare in società, non per fare acquisti. Insomma, come se andasse a trovare qualcuno. Forse suo padre. Può darsi che sia stata a trovarlo.»

«Ma perché mai dovrebbe andare a trovarlo?»

«E che ne so? Avete litigato, voi due, non è vero? Forse ha preferito star via qualche giorno, il tempo di sbollire.»

«Litigato?… Sì, forse hai ragione.» Andy si lasciò cadere sulla poltrona, stringendosi la fronte fra le mani. Quando era stato, ieri notte? No, la notte prima. Pareva fossero trascorsi cent'anni da quando avevano avuto quella stupida discussione. Alzò il viso a un tratto, pieno di paura. «Ha portato via la sua roba? Ha portato qualcosa con sé?» chiese.

«Solo la borsetta,» disse Sol, e mise una ciotola fumante sul tavolo dinnanzi a Andy. «Mangia, ora me ne verso un piatto anch'io.» Poi: «Tornerà, vedrai.»

Andy era troppo stanco per discutere. E che cosa poteva dire? Mangiò meccanicamente la minestra e si accorse di avere molta fame. Mangiò con i gomiti sul tavolo, reggendosi la testa con la mano libera.

«Avresti dovuto sentire i discorsi al Senato, ieri,» disse Sol. «Lo spettacolo più comico di questo mondo. Stanno cercando di varare quella legge sullo stato di emergenza. Figurati, che emergenza! Saranno cent'anni che la legge è stata proposta, e dovresti sentirli mentre discutono sui punti senza importanza, e mai tirano fuori l'argomento essenziale.»

La sua voce assunse uno spiccato accento meridionale: «“Di fronte alle tremende difficoltà che ci assalgono, noi proponiamo un censimento delle immense ricchezze del più grande bacino alluvionale del mondo, il delta, signori, del più grande dei fiumi, il Mississippi. Terrapieni e idrovore, signori, la scienza, signori, e avrete i terreni coltivabili più fertili del mondo occidentale… “» Sol soffiò sulla minestra con rabbia. «Hanno discusso questo argomento centinaia di volte prima d'oggi. Ma nessuno dice ad alta voce la prima ed unica ragione di questa legge di emergenza. Assolutamente no. Dopo tanti anni sono ancora troppo fifoni per farsi avanti e spiattellare la verità. E così la nascondono in uno degli ultimi codicilli, giù, giù, in fondo al rapporto.»

«Ma di che cosa stai parlando?» chiese Andy che ascoltava con un orecchio solo.

«Del controllo delle nascite, ecco di che cosa si tratta. Stanno finalmente arrivando ad autorizzare legalmente delle cliniche che saranno aperte a tutte le donne, sposate o no, e a rendere obbligatoria per legge l'istruzione delle madri sul controllo delle nascite. Caro mio, ne sentiremo delle belle quando i puritani se ne accorgeranno.»

«Non ora, Sol. Sono stanco. Non ha detto niente Shirl, quando sarebbe tornata?»

«Mi ha detto solamente ciò che ti ho riferito…» si fermò e prestò attenzione a un rumore di passi che proveniva dal corridoio. I passi si fermarono e vi fu un leggero bussare alla porta.

Andy vi arrivò per primo, precipitandosi sulla maniglia e aprendo la porta con uno strappo.

«Shirl!» gridò. «Stai bene? Non hai nulla?»

«Certo che sto bene.»

La strinse a sé quasi soffocandola. «Con tutti quei tumulti in città, non sapevo che cosa pensare,» disse. «Sono anch'io tornato poco fa. Dove sei stata? Cosa ti è successo?»

«Volevo soltanto uscire un po'. Tutto qui.» Arricciò il naso. «Che cos'è, questo strano odore?»

Andy fece un passo indietro, allontanandosi da lei. La rabbia stava salendo in lui, superando la sua stessa stanchezza. «Ho respirato un po' del mio stesso gas lacrimogeno e ho vomitato. È difficile far scomparire l'odore. Cosa vuoi dire? Perché volevi uscire un po'?»

«Lascia che mi tolga il soprabito.»

Andy la seguì nell'altra stanza e chiuse la porta dietro di sé. Shirl estrasse dalla borsa un paio di scarpe dal tacco alto e le ripose nell'armadio. «Ebbene?» disse lui.

«Tutto qui, non è poi tanto complicato. Mi sentivo intrappolata qui dentro, con la mancanza di cibo, il freddo, e tutto il resto e tu che non ti fai mai vedere; ero scontenta perché avevamo litigato. Nulla pareva andare per il verso giusto. Allora ho pensato di vestirmi e recarmi in uno di quei locali dove avevo l'abitudine di andare, bermi una tazza di kofee o qualcosa del genere. Forse mi sarei sentita meglio dopo. Era per tirarmi su di morale, capisci?»

Shirl lanciò uno sguardo al suo volto impassibile, poi distolse subito gli occhi.

«Poi che cos'è successo?» chiese.

«Senti, io non sono qui al banco degli accusati, Andy. Perché prendi quel tono da tribunale?»

Le voltò le spalle e si mise a guardare fuori dalla finestra.

«Non ti accuso di nulla, ma… sei rimasta fuori tutta la-notte, come vuoi che la pensi, io?»

«Insomma, tu lo sai che cosa c'è stato ieri. Avevo paura di tornare a casa. Ero da Curley's…»

«Lo spaccio clandestino di bistecche?»

«Sì, ma se non si mangia nulla non è un locale caro. È soltanto il cibo che costa, non le bibite. Lì ho incontrato della gente che conoscevo, abbiamo chiacchierato. Loro andavano a una festa e mi hanno invitata. E così li ho accompagnati. Abbiamo visto il telegiornale e le sommosse e nessuno aveva più voglia d'uscire. Allora la festa è proseguita. Tutto qui. Un sacco di gente si è trattenuta per tutta la notte, e ho fatto così anch'io.» Fece scivolare il suo vestito e lo appese nell'armadio, poi infilò un paio di pantaloni di lana e un golf pesante.

«Hai fatto solo questo? Passato la notte?»

«Andy, sei stanco. Perché non vai a dormire? Ne riparleremo in un altro momento.»

«Voglio parlarne adesso.»

«Ti prego, non c'è altro da dire.»

«Sì, c'è dell'altro. Di chi era l'appartamento?»

«Di una persona che non conosci. Non è un ex-amico di Mike, solo uno che incontravo nelle feste.»

«Uno…» Il silenzio si fece lungo, lungo, finché la domanda di Andy lo infranse. «Hai passato la notte con lui?»

«Lo vuoi proprio sapere?»

«Certo che lo voglio sapere. Perché te lo chiederei, allora? Hai dormito con lui, vero?»

«Sì.»

La calma della sua voce, la rapidità della risposta lo sconcertarono. Era come se avesse fatto la domanda con la speranza di sentire una risposta diversa. Cercò le parole giuste per esprimere ciò che provava e riuscì solo a dire: «Perché?»

«Perché?» Quella parola diede la stura a tutta la sua rabbia fredda. «Perché? E che altra scelta avevo? Avevo cenato con lui, bevuto con lui, dovevo pur pagare la mia parte. E con che cosa posso pagare se non…»

«Basta, Shirl, tu sei…»

«Sincera, ecco che cosa sono. E tu mi lasceresti abitare qui con te se non venissi a letto con te?»

«Ma questo è diverso.»

«Davvero?» Cominciò a tremare. «Andy, io spero che lo sia, lo spero proprio, ma non capisco più nulla. Io vorrei tanto che noi due fossimo felici. Non so perché litighiamo, non è questo che voglio. Ma le cose vanno sempre tutte storte. Se tu fossi qui qualche volta, se fossimo più spesso insieme…»

«Ne abbiamo parlato l'altra sera. Io ho il mio lavoro, che cosa posso fare?»

«Niente purtroppo, niente…» Intrecciò le dita per fermare il tremito delle mani. «Va' a letto, ora, hai bisogno di sonno.»

Shirl andò nell'altra stanza e lui non si mosse finché non udì lo scatto della porta che si chiudeva. Stava per seguirla, poi si fermò e sedette sull'orlo del letto. Che cosa le poteva dire? Lentamente si tolse le scarpe e si sdraiò tutto vestito sul letto, tirandosi addosso la coperta.

Nonostante la sua immensa stanchezza gli ci volle un bel po' di tempo prima di prender sonno.

CAPITOLO QUARTO

Poiché molti non amano alzarsi quando ancora fa buio, la fila del mattino per la razione d'acqua era sempre la meno lunga del giorno. Eppure vi era un certo numero di persone, quando Shirl prese il suo posto nella fila, arrivando di corsa affinché nessuno la molestasse. Quando il suo turno fosse arrivato, il sole più alto avrebbe reso le strade più sicure. Inoltre, lei e la signora Miles avevano preso l'abitudine di ritrovarsi ogni giorno alla fontana. Chi arrivava per prima, teneva il posto all'altra, poi tornavano insieme a casa. La signora Miles aveva sempre con sé il ragazzino che pareva tuttora malato di kwash. Probabilmente il marito aveva più bisogno del bambino della dieta proteinica. La razione d'acqua era stata aumentata. Era una notizia tanto gradita che Shirl cercava di dimenticare il peso dei bidoni e la schiena che le doleva nel salir le scale. Ci si poteva persino lavare. La riapertura dei serbatoi era prevista per metà novembre e questa data non era lontana. Oggi, come la maggior parte degli altri giorni, Shirl tornò a casa prima delle otto, e quando arrivò nell'appartamento, vide che Andy era già vestito e pronto per uscire.

«Parlagli tu, Shirl,» disse Andy. «Diglielo che si comporta da testone. Dev'essere la vecchiaia.» La baciò prima di uscire.

Erano trascorse tre settimane da quando avevano litigato e a prima vista tutto sembrava essere tornato come prima; ma, sotto, qualcosa era cambiato, quel senso di sicurezza, o forse di affetto, era in parte scomparso. Non ne parlavano mai.

«Che cosa c'è?» chiese, togliendosi i primi strati degli indumenti con i quali si era infagottata. Andy si fermò nel vano della porta.

«Chiedilo a Sol, sono sicuro che sarà felice di raccontarti tutto nei minimi particolari. Ma quando avrà finito di parlare, ricordati di una cosa sola: che sbaglia.»

«Ogni uomo ha la sua opinione» disse Sol placidamente, strofinando il contenuto di una vecchia scatola di grasso su un paio di stivaletti militari ancora più vecchio.

«Opinione un corno,» disse Andy. «Tu vai soltanto in cerca di guai. Ci vediamo questa sera, Shirl. Se c'è in giro la stessa calma di ieri non verrò a casa tardi.» Chiuse la porta e lei fece girare la chiave.

«Ma di che cosa stavate parlando?» chiese Shirl, scaldandosi le mani sulla mattonella di carbone di mare che si scioglieva sulla stufa. Fuori faceva umido e freddo, e il vento scuoteva la finestra nel suo riquadro.

«Andy parla delle proteste,» disse Sol, ammirando la punta nera e lucida della sua scarpa. «O meglio, parla contro le proteste. Hai sentito della Legge di Emergenza? L'hanno strillata in TV tutta la settimana scorsa.»

«È quella che chiamano la legge uccidi-bambini?»

«Che cosa?» gridò Sol spazzolando rabbiosamente la scarpa. «Chi la chiama così? Un branco di cretini, ecco che cosa sono. Gente con la testa ancora nel medioevo, e i piedi fossilizzati. In altre parole, i fessi.»

«Ma Sol, non potete obbligare la gente a praticare una cosa nella quale non crede. Molti sono ancora persuasi che questa legge abbia ancora a che fare con l'uccisione di bambini.»

«E si sbagliano. È colpa mia se il mondo è pieno di tonti? Sai benissimo che il controllo delle nascite non ha niente in comune con l'uccisione di neonati. Li salva, invece. Qual è secondo te il maggiore dei due delitti, far morire i bambini di fame e di malattia, o fare in modo che, prima di tutto, i bambini non desiderati non vengano al mondo?»

«È un ragionamento troppo semplice, Sol. Le cose non sono mai così chiare come il bianco sul nero.»

«E sì che lo sono. Nessuno vuole ammetterlo, è tutto qui. Senti, noi viviamo oggi in un mondo lurido, e i nostri guai hanno una sola origine: troppa benedetta gente al mondo. Dimmi perché durante il novantanove per cento del tempo già trascorso dalla vita umana su questa terra, non vi è mai stato un problema di sovrappopolazione?»

«Non lo so, non ci ho mai pensato. Che cos'è cambiato?»

«Te lo dico io che cos'è cambiato.» Scosse la scarpa sotto il suo naso. «È arrivata la medicina moderna. Ogni malattia ha trovato la sua cura. La malaria è stata spazzata via, così come altre epidemie che decimavano la gente in giovane età e mantenevano basso il livello della popolazione. È arrivato il controllo della morte. I vecchi hanno vissuto più a lungo. Un maggior numero di bambini sono sopravvissuti anziché morire, e ora diventano dei vecchi che vivono più a lungo ancora. La gente viene al mondo con lo stesso ritmo di prima, solo che non muore più con lo stesso ritmo. Nascono tre persone per ogni due che muoiono. E la popolazione raddoppia, e raddoppia ancora, e continua a raddoppiare. Sempre più velocemente. La gente è un'epidemia, un flagello che infesta il mondo. Abbiamo più gente che vive più a lungo. Dovremo farne nascere meno, questa è la risposta al problema. Abbiamo conquistato il controllo della morte, ora dobbiamo farlo collimare con il controllo della vita, delle nascite.»

«Se la mettete così, naturalmente, capisco. Ma, visto che la cosa è tanto semplice, perché non si è fatto nulla prima d'oggi?»

Sol emise un lungo e tremulo sospiro, e tristemente riprese la scarpa per finire di lucidarla.

«È che non si dicono agli uomini le cose come sono. Nascono come bestie, e muoiono come bestie. Sempre in troppi. Io do la colpa a quei porcaccioni di uomini politici e ai cosiddetti leaders dei popoli, che hanno sempre evitato l'argomento, l'hanno sempre taciuto perché era troppo scottante. E così, porca miseria, passeranno degli anni prima di venire al dunque, e io invece, i miei anni me li voglio godere ora. L'umanità si è pappata in un secolo tutte le risorse della terra, risorse che avevano richiesto millenni di lavoro per arrivare al punto in cui erano arrivate. E nessuno di quelli che comandano vi ha pensato neppure un attimo, o ha dato retta alle voci di coloro che tentavano di avvisarli. Ci hanno tranquillamente lasciato superprodurre e superconsumare, fino a che il petrolio è sparito, il suolo si è impoverito o è scomparso, gli alberi sono stati tagliati, gli animali si sono estinti, la terra avvelenata, e in cambio, a giustificazione di questo saccheggio, abbiamo unicamente sette miliardi di persone che si contendono degli avanzi di cibo, che vivono un'esistenza precaria e miserabile, che continuano a riprodursi senza controllo. E sai che cosa ti dico? “È venuto il momento di alzarci in piedi e contarci… ” come dice la Bibbia.»

Sol si infilò le scarpe, se le allacciò, e fece un nodo. Poi infilò un maglione pesante, e prese dall'armadio una giacca militare tutta mangiata dalle tarme. Una fila di nastrini spiccava, con la sua linea multicolore, sul petto verde oliva della giacca. Sotto i nastrini vi era una medaglia di tiratore scelto e un distintivo della scuola tecnica. «Si dev'essere ristretta,» disse Sol che tentava invano di abbottonarla sulla pancia. Poi si annodò una sciarpa intorno al collo e mise il suo pastrano tutto logoro.

«Dove andate?» gli chiese Shirl, stupita.

«Vado a dimostrare. A cercar guai, come dice il nostro amico Andy. Ho settantasette anni e ho raggiunto questa venerabile età perché sono rimasto fuori, perché ho sempre evitato i guai, perché ho tenuto la bocca chiusa e non mi sono mai fatto avanti. Me l'aveva insegnato la vita nell'esercito. Forse vi sono state troppe persone come me al mondo, non lo so. Forse avrei dovuto protestare molto prima, ma non ho mai trovato nulla che meritasse la mia protesta. Ora sì, però. Le forze delle tenebre e le forze della luce oggi s'incontreranno. Io voglio unirmi alle forze della luce.» Si calcò fino agli orecchi un vecchio berretto di lana e si avviò alla porta.

«Sol, che cosa state dicendo? Vi prego, spiegatemi,» implorò Shirl non sapendo se ridere o piangere.

«C'è un raduno. Quei cretini della lega “Salvate i nostri bambini” hanno indetto una marcia di protesta davanti al palazzo del comune, per tentare di bloccare la legge di emergenza. C'è poi un altro raduno, in favore della legge. Più forte sarà il trambusto e meglio sarà. Se molta gente va a gridare il suo parere, forse riuscirà a farsi sentire, e potrebbe darsi che la legge sia finalmente approvata dal Senato. Potrebbe darsi…»

«Sol!» gridò per trattenerlo, ma la porta si era già chiusa dietro di lui.

Andy lo ricondusse a casa, quella sera, molto tardi, aiutato da due uomini dell'ambulanza che portavano la barella su per le scale. Sol era legato alla barella, il viso sbiancato, inconscio, con un respiro rantolante.

«C'è stato un tafferuglio per la strada,» disse Andy, «quasi una sommossa, quando i dimostranti hanno cominciato la marcia. Sol era in mezzo, è stato rovesciato, buttato a terra. Si è fratturato l'anca.» La guardò senza sorridere, stanco, mentre portavano dentro la barella.

«Può essere una cosa molto grave per un vecchio,» le disse.

CAPITOLO QUINTO

Sull'acqua si era formata una leggera crosta di ghiaccio. Si incrinò e si ruppe quando Billy vi spinse il secchio. Mentre risaliva le scale per tornare indietro, si accorse che un altro gradino metallico emergeva, all'asciutto. Avevano preso molta acqua da quella specie di pozzo, ma pareva ancora pieno a metà.

«C'è un po' di ghiaccio sulla superficie dell'acqua ma non credo che possa congelarsi tutta fino in fondo,» disse a Peter mentre chiudeva e sprangava la porta. «C'è ancora una quantità di acqua, una quantità.»

La misurava attentamente ogni giorno e serrava la porta come se fosse stata una cassaforte in banca piena di denaro. E perché no? Valeva quanto il denaro. Finché continuava la scarsità d'acqua in città, si poteva vendere a buon prezzo, e guadagnare tutti i D necessari a mangiar bene e a scaldarsi.

«Che ne dici, Peter?» disse appendendo il bidone al gancio sovrastante il fuoco di carbone di mare. «Ti sei mai fermato a pensare che noi, quest'acqua, ce la mangiamo? Perché la vendiamo e compriamo i viveri, ecco perché.»

Peter, accoccolato sulle natiche, guardava fissamente fuori dalla porta e non faceva attenzione alle parole di Bill, che infine si mise a gridare ripetendo quanto aveva già detto. Peter scosse il capo scontento.

«“Coloro che fanno del loro ventre un dio, e la cui gloria è la loro vergogna… “» recitò. «Te l'ho già spiegato, Billy, che presto verrà la fine di tutte le cose materiali. Se tu concupisci le cose materiali sei perduto…»

«E tu? Non sei perduto? Indossi gli abiti comperati con quest'acqua, e mangi questa pappa… Che significato hanno dunque le tue parole?»

«Io mangio solamente per poter vivere sino al giorno del Giudizio,» rispose con solennità. «Siamo ormai così vicini: ancora poche settimane, sembra incredibile. Fra poco mancheranno solamente alcuni giorni. È stupendo che ciò accada durante la nostra esistenza.» Si alzò e uscì. Billy udì che scendeva a terra.

«La fine del mondo,» borbottò Billy a se stesso, mentre rimescolava i granuli di Ener-Gi-A nell'acqua. Che pazzo!

Non era la prima volta che lo pensava, ma non lo diceva mai. Le parole di quell'uomo parevano tutte folli. Ma poteva anche esser vero. Peter poteva dimostrarlo con l'aiuto della Bibbia e altri libri. Ora i libri non li aveva sottomano, ma li aveva letti così spesso che ne recitava a memoria lunghi brani. E perché non sarebbe stato così? Per quale altra ragione il mondo era come era? Non era sempre stato in quel modo. Lo dimostravano i vecchi film passati in TV. Tutto era cambiato, in fretta. Ci doveva essere una ragione. Forse, come diceva Peter, il mondo stava proprio per finire, e il primo dell'anno sarebbe stato il giorno del Giudizio Universale.

«Idea balorda,» disse ad alta voce, ma nello stesso tempo rabbrividì e allungò le mani sul fuoco.

Le cose non andavano poi tanto male. In fin dei conti lui indossava due golf e una vecchia giacca con le toppe di tubo di gomma di bicicletta ai gomiti; era l'indumento più caldo che avesse mai avuto. E poi, mangiavano bene. Aspirò rumorosamente con il cucchiaio da minestra il suo brodo di Ener-Gi-A. L'acquisto di tessere della Previdenza gli era costato un mucchio di dollari, ma ne valeva la pena, ne valeva proprio la pena. Ora avevano le razioni di cibo e anche delle razioni d'acqua, così potevano risparmiare la loro acqua per venderla. E Billy si era pagato il lusso di fiutare L. S. D. almeno una volta alla settimana. Ci voleva ancora del tempo prima che finisse il mondo.

Al diavolo quell'argomento. Il mondo andava benissimo, fino a quando egli teneva gli occhi aperti e badava a se stesso.

Un tintinnio metallico risuonò all'esterno, era prodotto da un rottame di metallo arrugginito che pendeva dalle costole spoglie della nave. Chiunque avesse tentato di arrampicarsi in quella cabina avrebbe dovuto respingere quegli ostacoli appesi, annunciando così la propria presenza. Da quando avevano scoperto l'acqua piovana, dovevano diffidare di chiunque avesse l'intenzione di installarsi nella nave come occupante. Billy impugnò il lungo ferro e andò fino alla porta.

«Ho fatto un po' di cucina per noi, Peter,» disse chinandosi oltre la ringhiera.

Una strana faccia dalla barba grigia alzò gli occhi a guardarlo.

«Scendi da lì!» urlò Billy. L'uomo brontolò qualcosa d'incomprensibile dato che teneva in bocca una lama proveniente dalla balestra di un'automobile, poi si appese con una mano e impugnò l'arma con l'altra.

«Bettyjo!» gridò con una voce rauca, e Billy fece un salto indietro mentre qualcosa fischiava ai suoi orecchi e si schiantava sulla paratia metallica alle sue spalle.

Una donna grassa, con una immensa criniera di capelli biondi, era in piedi, giù in basso, fra le costole della nave, e Billy si scansò quando lei scagliò un altro rottame di cemento nella sua direzione.

«Avanti, Donald!» urlò. «Va su, va su!»

Un secondo personaggio, capelluto e sporco, che pareva il gemello del primo, scavalcò le sagome di metallo arrugginito e cominciò ad arrampicarsi dall'altra parte della nave. Billy capì subito il tranello. Poteva rompere la testa a chiunque tentasse di arrivare sino a quella striscia di coperta di fronte alla porta, ma a uno solo per volta. Non avrebbe potuto guardarsi dai due lati nello stesso tempo. Mentre si batteva con uno dei suoi assalitori, l'altro si sarebbe arrampicato dietro di lui.

«Peter!» invocò più forte che poté. «Peter!»

Un altro pezzo di cemento volò in polvere dietro di lui. Corse sull'orlo della coperta e cercò di colpire con la sua sbarra di ferro il primo attaccante che si chinò bassissimo e lasciò che l'arma colpisse il metallo al disopra del suo capo. Il rumore diede a Billy un'idea e fece un balzo indietro, battendo con la sua sbarra sulla paratia metallica del ponte di comando, finché il rombo martellante echeggiò in tutto il cantiere. «Peter!» gridò una volta ancora, disperatamente, poi saltò dall'altra parte, sull'altro assalitore che si era già aggrappato con un braccio sull'orlo della coperta. L'uomo indietreggiò in fretta, mettendosi fuori portata della sua arma e ingiuriandolo.

Tornato al posto di prima, Billy vide che l'uomo dalla barba grigia aveva passato le due braccia sulla coperta e si stava tirando su. Urlando, più impaurito che rabbioso, Billy gli corse vicino brandendo il suo ferro. Sfiorò la testa dell'uomo e si abbatté sulla sua spalla facendogli saltare di bocca la lama di balestra. L'uomo urlò per la rabbia, ma non cadde. Billy fece oscillare l'arma per vibrargli un secondo colpo, ma si trovò improvvisamente acchiappato di dietro dall'altro compare. Non poteva più muoversi, appena respirare, mentre l'uomo davanti a lui stava sputando pezzi di denti. Ansava, il sangue gli scorreva per la barba, ma ciò non gl'impediva di spingersi e sollevarsi per salire sulla coperta. Appena in piedi cominciò a picchiare Billy con dei pugni duri come il granito. Billy urlò dal dolore, scalciò disperatamente per liberarsi, ma non vi era alcuna via d'uscita. I due uomini ora se la ridevano, lo spinsero oltre l'orlo della coperta, picchiandogli le mani che si aggrappavano, cercando di farlo cadere sui relitti di metallo, sette metri più in basso.

Era sempre aggrappato mentre gli calpestavano le dita per fargli mollare la presa, quando a un tratto fecero un balzo indietro. Fu in quel momento che Billy si accorse che Peter era tornato e si era arrampicato dietro di lui, minacciandoli con uno spezzone di tubo. Fu un momento di respiro durante il quale Billy cambiò mano, afferrandosi all'ossatura laterale e alleviando il peso doloroso del suo corpo, per scendere verso il suolo che gli sembrava atrocemente lontano.

Gli invasori erano ora in posizione di vantaggio. Peter scansò un colpo di balestra e raggiunse Billy che si ritirava verso terra. Si udirono delle parole, Billy capì che la donna urlava imprecazioni. Era da un po' che lo faceva.

«Ammazzali tutti e due!» gridava. «Mi ha colpito, mi ha buttato a terra, uccidilo!» Scagliava ancora rottami di cemento, ma era tanta la sua rabbia che sbagliava la mira e non li sfiorava nemmeno. Quando Peter e Billy raggiunsero il suolo, lei se la filò prontamente, bestemmiando da sopra la spalla, con la massa dei suoi capelli biondi che le ondeggiava sul capo. Erano riusciti nel loro intento, erano padroni della nave.

«Noi ce ne andiamo,» disse Peter, mettendo un braccio intorno alla spalla di Billy per aiutarlo a camminare, e adoperando lo spezzone di tubo come appoggio. «Sono più forti. Hanno in mano la nave. E anche l'acqua. E sono furbi abbastanza per fare buona guardia o almeno quella prostituta di Bettyjo lo è. La conosco, è una donna di malaffare, che dà il suo corpo a quei due, e così loro fanno tutto ciò che lei vuole. Sì, questo è proprio un presagio. È una prostituta di Babilonia che ci spinge fuori…»

«Dobbiamo ritornarci,» disse Billy con un sospiro.

«… per farci capire che dobbiamo andare presso quell'altra prostituta maggiore di Babilonia, laggiù oltre il fiume. Non si torna indietro.»

Billy si lasciò cadere in terra, ansante, cercando di massaggiarsi le dita contuse, mentre Peter guardava tranquillamente la nave che era stata la loro casa e la loro fortuna. Si vedevano lassù tre piccole figure saltellanti sul ponte superiore. I loro lazzi giungevano affievoliti dal vento freddo della baia. Billy cominciò a rabbrividire.

«Vieni,» gli disse Peter con gentilezza, e lo aiutò a mettersi in piedi. «Non possiamo restare qui. Non abbiamo più alloggio. So dove possiamo andare a ripararci, a Manhattan. Ci sono stato parecchie volte.»

«Io non ci voglio andare,» disse Billy tirandosi indietro. Gli era tornata in mente la polizia.

«Dobbiamo andarci, saremo al sicuro laggiù.»

Billy lo seguì lentamente. Perché no? pensò. La polizia doveva averlo dimenticato da molto tempo. Poteva essere una buona soluzione, specialmente se Peter conosceva un posto dove andare. Altrimenti, doveva rimanere nel cantiere da solo. La paura di questa eventualità era maggiore di tutta la paura che aveva della polizia. Non c'era nulla da temere fintanto che rimanevano insieme.

Erano giunti a metà del ponte di Manhattan quando Billy si accorse che una delle sue tasche si era strappata durante la zuffa.

«Aspetta!» gridò a Peter, e poi, più impaurito ancora cominciò a frugare in tutte le tasche con un panico crescente.

«Le ho perdute,» disse infine, appoggiandosi alla ringhiera. «Le tessere della Previdenza. Mi saranno cadute durante la colluttazione. O forse le hai tu?»

«No, se ben ricordi, le hai prese tu per andare alla fontana, ieri. Ma non ha importanza.»

«Non ha importanza!» singhiozzò Billy.

Il ponte era tutto loro, in una solitudine invernale acuta, dolorosa. Il colore grigio ardesia dell'acqua sotto di loro, si ritrovava nelle nuvole pesanti sul loro capo, sospinte da un vento gelato che penetrava attraverso gli abiti. Faceva troppo freddo per fermarsi, e Billy si mosse. Peter lo seguì.

«Dove andiamo?» chiese Billy quando ebbero attraversato il ponte e voltarono in Division Street. Sembrava che facesse più caldo, in quella strada, circondati dalla folla scalpicciante. Billy si sentiva sempre più tranquillo con tanta gente intorno.

«Andiamo ai vecchi parcheggi. Ce ne sono molti vicino ai nuovi quartieri di abitazione,» disse Peter.

«Sei pazzo! I vecchi parcheggi sono sempre pieni di gente. Lo sono sempre stati.»

«Non in questo momento dell'anno,» rispose Peter, indicando il ghiaccio sporco che riempiva la grondaia. «Non è mai stato facile vivere nei parcheggi, e in questo momento dell'anno è particolarmente difficile per i vecchi e gli invalidi.»

Soltanto in televisione Billy aveva visto le vie della città piene di automobili. Per lui era un fatto storico, quindi senza interesse perché gli ex-parcheggi erano lì da tanto tempo, fin da quando ricordava, parte integrante del paesaggio. Con la diminuzione del traffico, le macchine in stato di funzionamento erano diventate più rare, e le centinaia di parcheggi per automobili, disseminati in tutta la città, non avevano più avuto uno scopo. Gradatamente avevano cominciato a riempirsi di macchine abbandonate, portate in quei luoghi dalla polizia, o spinte a mano. Ogni parcheggio era come un piccolo villaggio, con gente che abitava in ogni macchina perché, pur essendo molto scomode, le macchine erano sempre meglio della strada. Sebbene ogni macchina avesse da tempo raggiunta la quota massima di inquilini, vi erano tuttavia dei posti vuoti, quando d'inverno i più deboli morivano.

I due cominciarono le loro ricerche nel grande parcheggio dietro le Seward Park Houses, ma furono respinti da un branco di ragazzini armati di pezzi di mattone e di coltelli fatti in casa. Scendendo la Madison Street, videro che la cinta intorno al piccolo parco adiacente alle case del quartiere La Guardia, era stata abbattuta da anni, e che il parco si era riempito dei relitti arrugginiti e senza ruote delle automobili. Non vi erano bambini aggressivi, e le poche persone che ciabattavano lì intorno avevano un aspetto miserabile, disperato. Il fumo usciva da uno solo dei molti camini che ornavano la maggior parte delle automobili. Peter e Billy si spinsero fra le macchine, scrutandole a una a una, attraverso il parabrezza o le finestre spaccate, togliendo la brina dai vetri quando questi non lasciavano trasparire l'interno. Dei volti pallidi, quasi dei fantasmi, si voltavano a guardarli, sagome informi che si muovevano all'interno mentre loro percorrevano il parcheggio.

«Questa dovrebbe andar bene,» disse Billy, indicando una vecchia e tarchiata limousine Buick a turbina. Le finestre erano fortemente brinate su tutt'e due i lati, e solo il silenzio rispose ai loro tentativi di aprire la maniglie bloccate. «Mi chiedo come fanno ad entrarvi,» disse Billy, e salì sul cofano. Il tetto era scorrevole al disopra del sedile anteriore, e si mosse un po' quando si mise a spingerlo. «Porta qui il tubo, forse ci siamo,» gridò a Peter.

Il tetto cedette sotto la spinta del tubo e Billy lo fece scorrere fino in fondo. La luce grigia cadde sul volto e sugli occhi sbarrati di un vecchio. Impugnava una mazza di aspetto poco rassicurante, una specie di barra rivestita di pezzi di corda con molti nodi nei quali erano inserite schegge appuntite di vetro. Era morto.

«Doveva essere ben feroce, per tenersi una grossa macchina come questa tutta per sé,» disse Billy.

Era un omone, e il freddo lo aveva indurito. Dovettero faticare molto per farlo uscire dal tetto. Non avevano bisogno degli stracci sporchi di cui era coperto, ma gli presero le tessere della Previdenza. Peter lo trascinò fino alla strada affinché gli agenti della Sanità lo portassero via, mentre Billy aspettava all'interno della macchina con la testa fuori dal tetto, scrutando in tutte le direzioni, con il ferro armato di punte di vetro in pugno, pronto a entrare in azione se gli avessero contestato l'occupazione della loro nuova casa.

CAPITOLO SESTO

«Mamma mia, che bell'aspetto ha questo pacco,» disse la signora Miles in attesa all'estremità del banco, mentre l'impiegato della Previdenza faceva scivolare un pacco sul bancone, verso Shirl. «Avete un malato in casa?»

«Dov'è il vecchio imballo, signora?» si lamentò l'impiegato. «Lo sapete che non potete ritirare il pacco nuovo se non restituite l'involucro vecchio? Tre dollari.»

«Scusate,» disse Shirl, estraendo la busta di plastica tutta gualcita dalla sporta e porgendola all'impiegato insieme al denaro.

Egli brontolò qualcosa e fece un segno su uno dei suoi elenchi. «Al seguente,» chiamò.

«Sì,» disse Shirl alla signora Miles che stava sbirciando il pacchetto e muoveva le labbra leggendo lettera per lettera il nome stampato su di esso. «È il povero Sol, ha avuto un incidente. È quel vecchio con il quale dividiamo l'appartamento. Avrà più di settant'anni. Si è fratturato l'anca e non può più alzarsi dal letto. Questo pacco è per lui.»

«Saranno scaglie di carne, devono essere molto buone,» disse la signora Miles, restituendo il pacchetto e seguendolo con lo sguardo mentre spariva nella sporta di Shirl. «Come le cucinate?»

«Si possono cucinare in tanti modi, ma io faccio una minestra densa con crackers d'alghe sbriciolati, così è più facile mangiarli. Il povero Sol non può neppure sedersi.»

«Un uomo come quello dovrebbe stare in ospedale, specialmente se è tanto vecchio.»

«L'hanno portato all'ospedale, ma non c'era nemmeno un posto. Appena hanno scoperto che abitava in un appartamento, si sono messi in contatto con Andy e gli hanno chiesto di portarlo a casa. Chi ha una casa non può stare in ospedale. Bellevue è pieno zeppo, hanno requisito intere sezioni del Peter Cooper Village, aggiunto dei letti, e tuttavia non c'è posto a sufficienza.»

Shirl si rese conto che la signora Miles aveva qualcosa di diverso dagli altri giorni. Era la prima volta che la vedeva senza il ragazzetto a rimorchio.

«Come sta Tommy, non si sarà mica aggravato?»

«Né meglio né peggio. Il suo male è stazionario. Il che mi va bene perché mi permette di avere delle razioni speciali.» Indicò la tazza di plastica nella sua sporta, nella quale era stata depositata una pallina di burro d'arachide. «Tommy deve stare a casa quando fa tanto freddo, non abbiamo abiti a sufficienza per lasciare uscire tutti i bambini contemporaneamente, specialmente ora che Winny va a scuola ogni giorno. È una ragazzina tanto intelligente, sta per terminare la terza. È molto tempo che non vi vedo alla fontana.»

«Ci va Andy, adesso, io devo stare con Sol.»

«Siete fortunata ad avere un malato in casa, almeno una razione, qui, riuscite ad averla. Il resto della città quest'anno mangerà solamente crackers d'alghe e acqua, questo è sicuro.»

Fortunata? pensò Shirl, annodando il fazzoletto sotto il mento e osservando il locale scuro e nudo della Sezione Razioni Speciali della Previdenza. Il bancone divideva la stanza in due, da una parte gli impiegati e le lunghe file di scaffali mezzi vuoti, dall'altra le lunghe code di persone in attesa. Tra queste spiccavano i volti scarni e tirati dei malati dalle membra tremanti, bisognosi di diete speciali: diabetici, invalidi cronici, gente affetta da deficienze incurabili. E le innumerevoli donne incinte. Quelli erano i fortunati?

«Cosa farete domani per cena?» chiese la signora Miles scrutando le finestre sporche e tentando dì vedere il cielo.

«Non lo so, la stessa cosa degli altri giorni, probabilmente. Perché?»

«Può darsi che nevichi. Avremo forse la neve per il giorno di Thanksgiving, come ai tempi in cui ero bambina. Noi mangeremo un pesce, ho fatto qualche risparmio per questa occasione. Domani è giovedì, venticinque novembre. Non lo ricordavate?»

Shirl scosse il capo. «Francamente no. Tutto è cambiato da quando Sol si è ammalato.»

Camminarono a testa bassa per evitare le raffiche di vento, e quando voltarono l'angolo della Nona Avenue e della 19a Strada, Shirl urtò una persona che veniva in senso contrario sospingendola involontariamente contro il muro.

«Perdonatemi, disse Shirl,» non vi avevo vista…

«Eppure non siete cieca,» ribatté l'altra, «per andare addosso alla gente.» I suoi occhi si spalancarono quando vide Shirl. «Voi!»

«Vi ho chiesto scusa, signora Haggerty, non l'ho fatto apposta.» Riprese a camminare, ma l'altra le si parò davanti bloccandole la strada.

«Lo sapevo che vi avrei ritrovata,» disse la signora Haggerty trionfalmente «e vi darò querela. Avete rubato tutto il denaro di mio fratello. Non mi ha lasciato un soldo, nulla. E non è tutto, ho dovuto pagare le sue fatture, quella dell'acqua e tutto quanto. Erano così alte che mi sono dovuta vendere i mobili per pagarle, e non bastava neppure quello. Ora mi reclamano il resto. Voi me lo pagherete.»

Shirl ricordò le docce che Andy aveva preso, e parte dei suoi pensieri probabilmente le trasparirono sul viso perché la voce di Mary Haggerty diventò uno strillo acuto.

«E non mi prendete in giro, sono una donna onesta, io! Una donna come voi non dovrebbe nemmeno comparire nelle pubbliche vie, e ridere di una donna come me. Tutti lo sanno che tipo di donna siete voi…»

S'interruppe di colpo perché la signora Miles le aveva appioppato una sberla in piena faccia. «Tieni a posto questa linguaccia,» disse la Miles. «Nessuno si è mai permesso di parlare così a una mia amica!»

«Non mi potete fare una cosa simile!» sbraitò la sorella di Mike.

«L'ho già fatto, e ne piglierete ancora se non vi levate di torno.»

Le due donne ora si fronteggiavano e per il momento Shirl era dimenticata. Erano identiche, per gli anni e per l'origine, sebbene Mary Haggerty fosse un po' migliorata socialmente con il matrimonio. Ma era cresciuta in quelle strade e ne conosceva le leggi: picchiarsi o togliersi di mezzo.

«Non è affar vostro!» le disse.

«Ma io ne faccio l'affar mio,» rispose la signora Miles, stringendo il pugno e gonfiando il braccio.

«Non è affar vostro,» ripeté la sorella di Mike, ma nello stesso tempo faceva due passi indietro.

«Impiccati!» disse la signora Miles trionfante.

«Ci rivedremo!» disse Mary Haggerty da sopra la spalla, mentre raccoglieva i resti della sua dignità e se la svignava. La signora Miles rise freddamente e sputò nella direzione della megera.

«Mi spiace siate stata coinvolta in questa…»

«Figuratevi, è un piacere!» disse la signora Miles. «Speravo proprio che attaccasse briga, l'avrei polverizzata. Me ne intendo io, di quel tipo di persone.»

«Credetemi, io non le devo affatto dei soldi.»

«E che importa? Sarebbe più bello invece se gliene doveste. Che piacere poter imbrogliare una come quella!»

La signora Miles salutò Shirl davanti alla sua porta e scomparve con passo marziale nell'oscurità. Improvvisamente stanca, Shirl salì lentamente le interminabili scale che portavano all'appartamento e aprì la porta che non chiudeva più a chiave.

«Mi sembri esausta,» le disse Sol.

Spariva sotto una montagna di coperte dalle quali gli usciva soltanto il viso. Il suo berretto da notte di lana era calcato sino agli orecchi.

«Spegnimi quella roba, ti prego, non so se diventerò prima cieco o sordo.»

Shirl pose la borsa sul tavolo e spense la TV che andava a pieno volume.

«Fuori fa proprio freddo,» disse. «È perfino freddo qui dentro. Ora accendo il fuoco e nello stesso tempo faccio un po' di minestra.»

«Basta con quella schifosa carne in scaglie,» si lamentò Sol e fece una smorfia.

«Non dovreste parlare così,» disse Shirl con pazienza. «È carne vera, ed è proprio ciò di cui avete bisogno.»

«Ciò di cui ho bisogno non esiste più. Tu lo sai di preciso cosa sono le scaglie di carne? L'ho sentito oggi alla TV. Non avevo nessuna voglia di sentirlo, ma come facevo a spegnere quel dannato apparecchio? Un programma sull'addomesticamento di animali selvaggi in Florida. Selvatici! Dovrebbero sentirlo un po', quelli di Miami Beach! Pensa che hanno deciso di non prosciugare gli acquitrini della Florida, e di usarli per scopi indescrivibili: fattorie di lumache… che ne dici? Alleveremo la lumaca gigante sud-africana. Tre etti di carne per guscio. Pulita, tagliata, essiccata, irradiata, imballata, sigillata e spedita ai contadini affamati, qui, nel Nord gelato. Carne in scaglie… che ne pensi?»

«Mi sembra una buona cosa,» disse Shirl, rimescolando le briciole brune, lignose nella pentola. Ho visto una volta un film alla TV, dove c'era gente che mangiava lumache, doveva essere in Francia. Si diceva che fosse un cibo prelibato…

«Per i francesi, forse, non per me…» Sol fu colto da un accesso di tosse che lo lasciò stremato e pallido, accasciato sul guanciale con un respiro rapidissimo.

«Volete bere un po' d'acqua?» chiese Shirl.

«No… ora va bene.» La sua rabbia era scomparsa con il colpo di tosse. «Mi spiace darti tanto da fare, bambina. Ti occupi di me e tutto quanto. Il fatto è che non sono abituato a star fermo. Per tutta la vita sono stato in ottima forma, ho fatto del moto ogni giorno, questo è il mio segreto. Ho badato a me stesso, non ho mai chiesto nulla a nessuno. Ma c'è una cosa che non si può fermare,» guardò tristemente il letto, «il tempo che avanza. Le ossa diventano fragili, e se tu cadi, addio, ti mettono nel gesso fino al collo.»

«La minestra è pronta.»

«Non subito, non ho fame. Forse potresti aprire la TV? No, lascia. Ne ho abbastanza. Nel telegiornale hanno detto che la Legge di Emergenza sarà approvata forse dopo altri due mesi di discussioni e di chiacchiere al senato. Io non ci credo. Troppa gente non sa nulla di quella legge o non gliene importa nulla. Pertanto non fa pressione al Congresso. Avremo ancora della madri di dieci figli che muoiono in tenera età, e loro saranno sempre convinte che le famiglie poco numerose non sono benedette da Dio.»

«Su, andiamo, le cose non sono poi così brutte come le dipingete voi. In questo momento, si studiano dei rimedi.»

«È la solita storia del troppo tardi e troppo poco. Il mondo è andato (non sta andando, bada è andato) in rovina; e ne siamo stati noi gli artefici.»

Shirl rimescolò la minestra e gli sorrise. «Non state forse esagerando un pochino? Non si può veramente addossare tutti i nostri guai a un eccesso di popolazione.»

«Accidenti, se si può, scusa l'espressione. Il carbone che si prevedeva sarebbe durato dei secoli, si è completamente esaurito perché tanta gente aveva bisogno di scaldarsi. Così anche il petrolio. Ne è rimasto così poco che non possiamo permetterci di farne del combustibile. Si deve trasformare tutto in prodotti chimici, plastica e altri materiali. E i fiumi, chi li ha inquinati? L'acqua, chi l'ha bevuta? Il suolo coltivabile, chi l'ha impoverito con le coltivazioni intensive? Tutto è stato inghiottito, distrutto, consumato, esaurito. Che cos'è rimasto, qual è l'unica nostra risorsa naturale? I parcheggi in disuso, ecco che cosa è rimasto. Tutto il resto è stato consumato, e cosa abbiamo da mostrare in cambio? Un paio di miliardi di vecchie automobili arrugginite. Un tempo avevamo il mondo intero nelle nostre mani, ma ce lo siamo mangiato, bruciato. Ora è finito. Un tempo la prateria brulicava di bisonti, almeno così dicevano i miei libri di scuola quando ero bambino. Ma io non ne ho mai visti, perché ne avevano fatto bistecche e scendiletti, già ai miei tempi. E credi che questo abbia destato un'impressione qualsiasi sulla razza umana? O il fatto che le balene, i colombi viaggiatori, le gru migranti o qualsiasi altra specie di animale sia estinta? Un baffo, gli ha fatto. Negli anni cinquanta e sessanta si è parlato in lungo e in largo di costruire degli impianti tecnici per depurare l'acqua di mare e irrigare il deserto in modo da creare una regione fertile, eccetera, eccetera. Chiacchiere e nient'altro. Se alcune persone vedevano la minaccia, ben chiara, ciò non è bastato a farla vedere e capire ad altri. Per costruire un impianto atomico occorrono almeno cinque anni. Quelli che avrebbero dovuto fornire l'acqua e l'elettricità di cui abbiamo bisogno oggi avrebbero dovuto essere costruiti allora. Non l'hanno fatto. È semplicissimo, no?»

Si rimise a tossire, più a lungo, questa volta, e quando l'accesso di tosse cessò rimase immobile, esausto sul letto. Shirl gli si avvicinò per rimboccargli le coperte, e rassodare i guanciali. Quando la sua mano incontrò quella del vecchio, gli occhi le si spalancarono e mormorò:

«Siete caldo, scottate. Non avrete mica la febbre?»

«La febbre?» volle fare un risolino ma gli venne ancora la tosse, e questo colpo lo lasciò ancora più debole di prima. Quando tornò a parlare la sua voce era bassissima. «Senti, cara, io ho una malattia inguaribile: la vecchiaia. Sono ormai un sacco vuoto, immobilizzato su questo letto, chiuso nel gesso, non mi posso muovere e qui fa tanto freddo da congelare anche una scimmia di bronzo. Il minimo che mi possa capitare sono le piaghe da decubito, ma vi sono più probabilità che mi prenda la polmonite.»

«No!»

«Sì, è inutile nascondere la verità. Se me la prendo, me la prendo. Ora fai la brava e mangiati la tua minestra, io non ho fame e mi farò invece un sonnellino.» Chiuse gli occhi e adagiò la testa sui guanciali.

Andy quella sera venne a casa dopo le sette. Shirl riconobbe i suoi passi nel corridoio e gli andò incontro con un dito sulle labbra, poi lo condusse silenziosamente nell'altra stanza, indicando Sol che dormiva sempre e respirava affannosamente.

«Come si sente?» chiese Andy cominciando a sbottonare il suo cappotto inzuppato. «Che notte! Pioggia e nevischio.»

«Ha la febbre,» disse Shirl, incrociando nervosamente le mani. «Dice che ha la polmonite. Credi sia possibile? Che cosa possiamo fare?»

Andy si fermò prima di togliersi il cappotto. «È molto caldo? Ha tossito?» chiese a Shirl, e lei assentì. Andy aprì la porta, ascoltò il respiro di Sol, poi la chiuse nuovamente e si riabbottonò.

«Mi avevano avvertito di questa possibilità all'ospedale. Capita quasi sempre ai vecchi costretti a letto. Ho qui gli antibiotici che mi avevano dato. Ora glieli daremo, poi vado a Bellevue e vedo se posso averne ancora. Vedrò anche se possono riprenderlo. Dovrebbe stare sotto una tenda di ossigeno.»

Sol si svegliò appena per inghiottire le pastiglie, la sua pelle scottava quando Shirl gli tenne la testa alzata. Dormiva ancora quando Andy tornò, circa un'ora dopo. Il viso di Andy era vuoto d'ogni espressione, impassibile. Shirl la chiamava l'espressione professionale e ciò significava una cosa sola.

«Niente antibiotici,» disse, «perché c'è l'epidemia di influenza. Idem per le tende d'ossigeno e per i letti. Neanche uno disponibile. Non ho visto nemmeno un medico, soltanto la ragazza della segreteria.»

«Ma non possono fare così, con quell'uomo tanto malato. È un delitto!»

«Se tu entri in quell'ospedale avrai l'impressione che mezza città sia ammalata. C'è gente dappertutto, persino fuori, per la strada. Non ci sono più medicine sufficienti per tutti, Shirl. Credo che le diano solo ai bambini. Per gli altri… be', si affidano alla fortuna.»

«Si affidano alla fortuna!» Appoggiò il capo contro il cappotto bagnato di Andy e cominciò a singhiozzare. «Qui non abbiamo neanche una probabilità di farcela. Un vecchio come quello, ha bisogno di cure, non lo si può lasciar morire così…»

La tenne stretta contro di sé. «Ci siamo qui noi, e ci occuperemo di lui. Ci sono ancora quattro compresse. Faremo tutto ciò che possiamo. Ora vieni di là e riposati. Anche tu ti ammalerai se non prendi maggior cura di te stessa.»

CAPITOLO SETTIMO

«No, Rusch, è impossibile. Non si può. E lo dovresti sapere senza bisogno di chiederlo.» Il tenente Grassioli si teneva un dito sull'angolo dell'occhio, ma ciò non frenava il suo tic.

«Mi spiace, tenente,» disse Andy. «Non lo chiedo per me. È una questione di famiglia. Sono già in servizio da nove ore. Farò i doppi turni per il resto della settimana…»

«Un agente di polizia è in servizio ventiquattr'ore al giorno. Andy represse la sua collera.» Lo so, signore, non cerco di evitare in nessun modo di fare il mio dovere.

«No, e basta.»

«Allora lasciatemi mezz'ora di libertà. Debbo andare fino a casa e torno subito. Dopodiché posso rimanere qui finché arriva il turno di giorno. Dopo la mezzanotte qui avrete pochi agenti, e se io rimango potrò finire quei rapporti che Centre Street chiede da una settimana.»

Il che significava fare due turni di ventiquattr'ore senza alcun riposo. Ma era il solo modo di ottenere qualcosa da Grassy. Il tenente non poteva ordinargli di lavorare in quella maniera se non vi era un motivo d'urgenza. Ma aveva bisogno d'aiuto. Il lavoro d'ufficio era in arretrato, perché la maggior parte degli agenti investigatori erano stati inviati di rinforzo alle squadre dell'ordine pubblico. Il Quartier Generale di Centre Street non riteneva che fosse una scusa sufficiente.

«Io non chiedo mai ai miei uomini di fare lo straordinario,» disse Grassy, abboccando, «ma credo nel “fair-play”: io ti do, tu mi dai. Prenditi mezz'ora adesso; ma non di più, capito? E te la riguadagni quando torni. Se vuoi stare qui più a lungo è affar tuo.»

«Sissignore,» disse Andy. Bell'alternativa. Sarebbe rimasto in ufficio fino al levar del sole.

La pioggia che era caduta senza interruzione in questi ultimi tre giorni, si era trasformata in neve che scendeva silenziosamente a lente e larghe falde, illuminata dai pochi cerchi di luce della 23a Strada. Si contavano pochi passanti per le vie. Sebbene vi fosse ancora molta gente rannicchiata a grappoli intorno ai pilastri di sostegno dell'autostrada sopraelevata, la maggior parte dei senza-tetto avevano trovato qualche riparo dal freddo. Anche se non si vedevano, la loro presenza, con quella degli altri abitanti, era quasi tangibile. Dietro ogni muro si addensavano centinaia di persone di cui si indovinava la sagoma scura nei portoni, o l'improvviso apparire contro il vetro di una finestra. Andy chinò la testa perché la neve non gli venisse in faccia, e camminò in fretta. La preoccupazione lo spronava e ci fu un momento in cui si dovette fermare per riprendere fiato.

Shirl non voleva che lui uscisse quella mattina, ma non aveva potuto fare altrimenti. Sol non stava né meglio né peggio di quanto fosse stato negli ultimi tre giorni. Andy avrebbe preferito stare con lui, per aiutare Shirl, ma non aveva altra scelta. Doveva andare, era di servizio. Lei questo non lo capiva e avevano quasi litigato: a bassa voce, per non svegliare Sol. Sperava di tornare a casa presto, ma il turno in servizio d'ordine pubblico glielo aveva impedito. Perlomeno sarebbe salito a dare un'occhiata per qualche minuto. Sapeva che era penoso, per Shirl, rimanere sola accanto a quel vecchio malato; ma che ci poteva fare?

Musica e risate trillavano in tutte le televisioni e si udivano passando davanti a ogni porta del lungo corridoio; solo il suo appartamento era silenzioso. Ebbe un gelido presentimento. Aprì la porta piano, la stanza era immersa nel buio.

«Shirl?» chiamò in un sussurro, «Sol?»

Non ebbe alcuna risposta e qualcosa di particolare in questo silenzio lo colpì subito. Dov'era più il respiro rapido, stentato, che riempiva la stanza? Azionò la torcia che si mise a ronzare, e il raggio luminoso attraversò la stanza e si pose sul letto, sul viso immobile, sbiancato di Sol. Pareva dormire tranquillamente, e forse dormiva. Ma Andy intuì, ancor prima di toccarlo, che la sua pelle sarebbe stata fredda, e che Sol era morto.

O Dio! pensò, e lei che era rimasta sola con lui qui, nel buio, mentre moriva.

Di colpo avvertì il rumore soffocato dei singhiozzi disperati, dall'altra parte della parete divisoria.

CAPITOLO OTTAVO

«Non ti voglio più sentire!» gridò Billy, ma Peter continuava a parlare, come se Billy non ci fosse, non fosse sdraiato contro di lui, non avesse detto una parola.

«… e io vidi un nuovo cielo ed una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi e il mare non c'era più”. Ecco quanto è scritto nella Rivelazione, la verità, se la cerchiamo, la troviamo li. Una rivelazione per noi. Una visione del domani…»

«Piantala!»

Non c'era verso. La voce monotona continuava a macinare parole sul sottofondo del vento che soffiava intorno alla vecchia macchina e s'infilava nelle crepe e nei buchi. Billy tirò un angolo della coperta polverosa fin sopra la testa per attutire il suono di quella voce, ma continuava a sentirla e sotto la coperta non riusciva a respirare. Se la calò sotto il mento e si mise a contemplare su in alto il grigiore oscuro dell'interno della macchina, cercando d'ignorare l'uomo che gli stava accanto. Con i sedili asportati, la limousine formava una stanza unica, non molto spaziosa. Dormivano a fianco a fianco sul pavimento, cercando di avere più caldo possibile nel mucchio di tessuto isolante, di imbottitura sfatta di copertura plastica dei sedili, che costituiva il loro giaciglio. Vi fu un improvviso puzzo di iodio e di fumo quando il vento ricacciò nel tubo di scappamento, usato come camino, le ceneri rimaste nel baule che serviva da fornello. L'ultimo pezzo di carbone marino era stato bruciato sin da una settimana.

Billy aveva dormito, non sapeva quante ore, sino al momento in cui la voce di Peter lo aveva svegliato. Era sicuro, ora, che quell'uomo era pazzo, parlava continuamente da solo. Billy si senti soffocare dalle pareti, dalla polvere, dalla mancanza di spazio e dalle parole senza senso che gli martellavano negli orecchi e riempivano lo spazio angusto della macchina. Si mise in ginocchio, girò la maniglia e abbassò di un dito il finestrino posteriore. Mise la bocca sulla fessura per respirare la gelida freschezza dell'aria. Qualcosa di freddo gli sfiorò le labbra, bagnandole. Si chinò a guardare fuori e vide larghi fiocchi di neve che gli danzavano davanti.

«Io esco,» disse mentre chiudeva il finestrino. Ma Peter non diede segno di averlo inteso. «Io esco, c'è puzzo qui dentro.» Prese il poncho fatto con la fodera di plastica strappata dal sedile anteriore della Buick, infilò la testa nell'apertura e se ne avviluppò tutto. Quando aprì la porta posteriore, un turbine di neve entrò nella macchina. «Puzza, qui dentro, e puzzi pure tu, e per di più sei pazzo.» Billy uscì sbattendo la portiera.

La neve si scioglieva toccando il suolo, ma si appilava sulla gobba tonda delle macchine. Billy ne grattò un poco sul cofano della Buick e se la mise in bocca. Nulla si muoveva in quella oscurità, e tranne il fruscio lievissimo della neve che cadeva, la notte era silenziosa. Facendosi strada fra le macchine ammantate di neve, si avviò verso Canal Street e si diresse all'ovest, verso il fiume Hudson. La strada era stranamente deserta, doveva essere molto tardi, e i pochi taxi in giro si sentivano arrivare da lontano per lo stridio delle loro ruote sulla neve. Si fermò nella Bowery e guardò da un portone un convoglio di cinque rimorchi che passava, affiancato dalle guardie, con gli uomini che trainavano i rimorchi, piegati in due per lo sforzo. Doveva trattarsi di qualcosa di molto prezioso, pensò Billy. Probabilmente viveri. Il suo stomaco brontolò dolorosamente a quell'idea, e si torse le mani. Erano passati quasi due giorni dal suo ultimo pasto. Qui la neve era più alta, si era appilata su un cancello e mentre passava ne fece una palla che si mise in bocca. Quando arrivò in Elizabeth Street, l'attraversò per guardare l'orologio meccanico inserito sulla facciata del palazzo della Comunità Cinese. Poté scorgere a malapena le lancette. Erano appena passate le tre, il che voleva dire che gli rimanevano tre o quattr'ore prima che facesse giorno, tutto il tempo di salire in città e tornare.

Finché camminava aveva abbastanza caldo, sebbene la neve sciolta gli entrasse negli abiti. Ma era un lungo tratto sino alla 23a Strada, e si sentiva molto stanco. Non aveva mangiato molto nelle ultime settimane. Si fermò due volte per riposare, ma appena si fermava il freddo lo assaliva e doveva rimettersi subito in moto. Più andava a nord e più la sua paura cresceva. Perché non dovrei andarci? si chiese scontento, guardandosi intorno nell'oscurità. La polizia mi avrà dimenticato a quest'ora. È stato tanto tempo fa… contò sulle dita. Quattro mesi fa, quasi cinque, in dicembre. La polizia non segue mai un delitto più di quindici giorni, salvo se ammazzi il sindaco o se rubi un milione di dollari, o roba del genere. Fintanto che nessuno lo vedeva, era in una botte di ferro. Già due volte era venuto nel nord della città, nei pressi del suo antico vicinato, e si era fermato li. Non pioveva abbastanza forte, o c'era troppa gente in giro o altro. Ma questa notte la cosa era diversa, la neve lo proteggeva come un muro, sembrava che venisse giù più forte, nessuno lo avrebbe visto. Sarebbe andato sul Columbia Victory, sarebbe sceso nel suo alloggio, li avrebbe svegliati. Erano i suoi parenti, sarebbero stati felici di vederlo, qualunque cosa avesse commesso, ed egli avrebbe potuto spiegare che era tutta una montatura, che lui non era colpevole. E avrebbe mangiato! Sputò nell'oscurità. Loro avevano razioni per quattro e sua madre riusciva sempre a metterne via un po'. Si sarebbe saziato. Polenta d'avena, pezzi grandi come un tavolo, forse cucinati, caldi. E gli abiti, sua madre doveva possedere la maggior parte dei suoi abiti. Si sarebbe messo addosso qualcosa di caldo e preso quel paio di scarpe che era stato di suo padre. Non v'era alcun rischio, nessuno avrebbe saputo che era stato lì. Sarebbe rimasto solo pochi minuti in casa, al massimo mezz'ora, e via! Ne valeva la pena.

Attraversò la 20a Strada sotto l'autostrada sopraelevata e si portò fino alla banchina n. 61. Il capannone sulla banchina era pieno di gente, non osò attraversarlo. Ma vi era una leggera sporgenza all'esterno del capannone, sopra le palafitte e lui la conosceva bene, sebbene fosse la prima volta che si inoltrava di notte su quel passaggio reso scivoloso dalla neve bagnata. Costeggiò il fabbricato a tastoni, col dorso appoggiato al muro. Udiva, di sotto, lo sciabordio dell'acqua sulle palafitte. Se fosse caduto in mare non vi era alcun modo di tornare sul molo. Era una morte gelida, bagnata. Tremante dal freddo, spinse un piede in avanti e quasi inciampò in un grosso cavo d'ormeggio. Sopra di lui, quasi invisibile, si ergeva la murata della nave più avanzata fra quelle che formavano la Shiptown. Era la strada più lunga per recarsi sulla Columbia Victory e quindi la più sicura. Non c'era nessuno in vista, mentre s'infilava sulla passerella e giungeva in coperta.

Nell'attraversare la città galleggiante, Billy improvvisamente ebbe la sensazione che tutto sarebbe andato bene. Il tempo era dalla sua, la neve cadeva più forte che mai, lo avviluppava e lo proteggeva. Le navi erano deserte, nessuno fuori dal proprio alloggio, nessuno a vederlo passare. Se l'era immaginata così, si era preparato da tanto tempo a questa incursione notturna. Se avesse usato il solito passaggio, la gente lo avrebbe udito mentre cercava di svegliare qualcuno dei suoi; ma non era così stupido. Quando fu in coperta si fermò e prese dalla tasca una treccia di filo metallico che si era fabbricato alcune settimane prima, annodando i fili di contatto di mezza dozzina di vecchie auto. All'estremità del filo vi era un grosso bullone. Lo fece scendere con cautela fino all'altezza della finestra dello scomparto dove dormiva sua madre. Poi lo fece oscillare avanti e indietro, facendolo battere piano sull'asse di legno che teneva chiuso l'oblò. Il leggero rumore era attutito dalla neve nell'aria, si perdeva quasi fra gli scricchiolii e il tintinnio della flotta all'ancora. Ma nella stanza avrebbe echeggiato tanto forte da svegliare qualcuno.

Un minuto dopo che aveva cominciato a bussare, udì un rumore sotto di sé e l'asse si mosse, poi scomparve all'interno. Tirò su il filo mentre qualcuno si affacciava al finestrino.

«Che cos'è? Chi è?» sussurrò la voce di sua sorella.

«Il fratello maggiore,» rispose sibilando, in Cantonese. «Apri la porta e fammi entrare.»

CAPITOLO NONO

«Sono così addolorata per Sol,» disse Shirl. «Mi sembra tutto così crudele.»

«Non ti crucciare,» rispose Andy, tenendola stretta contro di sé nel tepore del letto e baciandola. «Non credo che quell'idea lo rendesse infelice come lo sei tu ora. Era vecchio, durante la sua vita aveva visto e fatto un sacco di cose. Per lui la vita esisteva solo nel passato e non credo fosse molto soddisfatto del mondo d'oggi, così com'è. Oh, guarda: c'è il sole. Credo che abbia smesso di nevicare, e il tempo si è rischiarato.»

«Ma morire così è una cosa tanto inutile. Se non fosse andato a quella dimostrazione…»

«Su, Shirl, non ricominciamo. Ciò che è fatto è fatto. Perché non pensi ad oggi? Te lo immagini Grassy, che mi ha dato una giornata di licenza per pura compassione?»

«No. È un uomo terribile. Sono sicura che aveva altre ragioni e te ne accorgerai domani quando tornerai in ufficio.»

«Se ti metti a parlare come me, ora…» disse ridendo. «Facciamo colazione e pensa a tutte le belle cose che faremo oggi.»

Andy passò nell'altra stanza e accese il fuoco mentre lei si vestiva. Poi ispezionò la stanza assicurandosi che nulla, delle cose di Sol, fosse rimasto in vista. Gli abiti erano nel guardaroba, ed egli aveva ripulito gli scaffali e messo tutti i libri sopra gli abiti. Non si poteva far sparire il letto, ma cacciò il guanciale nell'armadio e tirò la coperta su tutto il letto, per farlo apparire come un divano. Bene. Nelle prossime settimane si sarebbe disfatto delle cose, a una a una, al mercato delle pulci. I libri gli avrebbero fruttato parecchi soldi. Per un po' avrebbero mangiato bene e Shirl non avrebbe mai saputo da dove venivano quei denari.

Sol gli sarebbe mancato, egli lo sapeva. Sette anni fa, quando aveva affittato quella camera, era stata solamente una combinazione conveniente per tutti e due. Sol aveva spiegato più tardi che l'aumento del prezzo dei generi alimentari lo aveva costretto a dividere la camera e affittarne la metà. Ma non la voleva condividere con il primo venuto. Era andato al distretto di polizia a spiegare il suo caso. Andy che aveva sempre vissuto in caserma era venuto ad abitare con lui. E così Sol si faceva due soldi con l'affitto e aveva allo stesso tempo una protezione armata. In principio non vi erano stati rapporti di amicizia, ma poi sì. Nonostante la differenza d'età si erano affiatati moltissimo. “Pensa da giovane e sarai giovane”, Sol diceva sempre, ed era vissuto secondo questa regola. Che strano, quante cose dette da Sol Andy ricordava. Andy non le avrebbe mai dimenticate. Ma ora non voleva commuoversi. Sol lo avrebbe preso in giro per primo e gli avrebbe dato ciò che egli chiamava il suo doppio cicchetto. Tuttavia lui non lo avrebbe mai dimenticato.

Il sole batteva ora sulla finestra e fra i raggi del sole e il calore della stufa il freddo era scomparso e la stanza era confortevole. Andy accese la TV. C'era musica, non quella musica che piaceva a lui, ma Shirl la gradiva e così la tenne aperta. Era un pezzo dal titolo “Le fontane di Roma” o qualcosa di simile.

Il nome sullo schermo era sovraimpresso su una fotografia di schiumose fontane. Shirl entrò spazzolandosi i capelli e indicò lo schermo col dito.

«Non ti fa venir sete, tutta quell'acqua che ribolle?» disse Andy.

«Mi fa venir voglia di una doccia. Scommetto che puzzo in modo orrendo.»

«Sei dolce e profumata,» disse guardandola compiaciuto, mentre si sedeva sul davanzale della finestra spazzolandosi sempre i capelli; il sole vi metteva sopra riflessi dorati.

«Che ne diresti di un bel viaggetto in treno, e di un picnic?» chiese lui improvvisamente.

«Taci. Le barzellette prima di colazione io non le digerisco.»

«No, dico sul serio. Spostati un attimo.» Si chinò dalla finestra e guardò il vecchio termometro che Sol aveva inchiodato sull'esterno. La vernice e i numeri col tempo si erano staccati ma Sol aveva scritto dei numeri nuovi. «Ci sono già dieci gradi all'ombra, e penso che di qui a mezzogiorno il termometro salirà sino a dodici. Quando il tempo è così, in dicembre a New York, bisogna approfittarne. Domani ci potrebbero essere due metri di neve. Facciamo dei sandwich con il resto della pasta di soia. Il treno dell'acqua parte alle undici e viaggeremo nello scompartimento delle guardie.»

«Ma allora, dici sul serio?»

«Certo, io non scherzo mai su questo tipo di cose. Una vera scampagnata. Ti ho detto del viaggio che ho fatto con la guardia la settimana scorsa. Il treno risale l'Hudson sino a Croton-on-Hudson dove fa il pieno delle cisterne, il che richiede due o tre ore. E si può fare la passeggiata lungo il fiume sino a Croton Park. Io non ci sono mai stato, ma pare vi si trovino ancora degli alberi veri. Se non fa troppo freddo facciamo il nostro pic-nic fuori e poi torniamo al treno. Che ne dici?»

«Mi sembra una cosa meravigliosamente impossibile e incredibile. Non sono mai stata così lontano fuori città, da quando ero bambina. Sono molti e molti chilometri, non è vero? Quando andiamo?»

«Appena abbiamo finito di far colazione. Ho già messo sul fuoco i fiocchi d'avena. Rimescolali un po' prima che brucino.»

«Nulla brucia su un fuoco di carbone marino.» Ma si avviò lo stesso verso il fornello per badare alla pentola, Andy non ricordava di averla mai vista sorridente e felice come in quel momento. Pareva di essere tornati all'estate precedente.

«Non fare il maialino mangiandoti tutto il porridge,» gli disse lei. «Ora con quell'olio di mais (sapevo di doverlo risparmiare per un'occasione importante) farò delle frittelle d'avena per il pic-nic.»

«Mettici sale fin che vuoi perché lassù potremo bere a sazietà.»

Andy fece sedere Shirl in modo che voltasse le spalle alla bicicletta con la quale Sol caricava gli accumulatori. Era inutile rimetterle in mente ciò che era accaduto, ora che rideva e parlava dei loro piani per la giornata. Lui non voleva interromperla. Oggi sarebbe stata una giornata speciale, ne erano entrambi certi.

Si udì in quel momento un rapido bussare alla porta, mentre stavano già impacchettando la colazione. Shirl disse in un soffio:

«Il fattorino… lo sapevo che avrebbero finito per farti lavorare anche oggi.»

«Niente paura,» sorrise Andy. «Grassy non si rimangia mai la parola. Inoltre non è il modo di bussare del fattorino. Se c'è un rumore che riconosco subito è proprio il suo modo di bussare alla porta: bum-bum-bum.»

Shirl si sforzò di sorridere e aprì la porta mentre lui finiva d'impacchettare la roba.

«Tab!» gridò lei tutta felice. «Sei proprio l'ultima persona che io… Vieni, entra. È meraviglioso rivederti. È Tab Fielding,» disse a Andy.

«Buongiorno, signorina Shirl,» disse Tab duro, rimanendo nel corridoio, «mi spiace, ma questa non è una visita di cortesia. In questo momento io sono in servizio.»

«Di che si tratta?» chiese Andy che si era portato vicino a Shirl.

«Dovete capire che io prendo qualsiasi lavoro che mi venga offerto,» disse Tab. Non sorrideva e aveva un'espressione malinconica. «Sin da settembre mi sono messo in nota all'ufficio delle guardie del corpo. Ho lavorato qua e là senza impegno regolare. Ho preso qualsiasi lavoro mi capitasse. Se uno rifiuta un lavoro lo rimettono in fondo all'elenco di aspettativa. Io ho una famiglia da mantenere…»

«Ma che cosa stai cercando di spiegare?» disse Andy. Intuiva che c'era qualcuno nel buio, dietro Tab, e dallo stropiccio dei piedi si capiva che erano in diversi, non ancora visibili, nel corridoio.

«Non farla tanto lunga,» disse l'uomo dietro Tab, con una voce nasale sgradevole. Stava dietro la guardia del corpo e non si faceva vedere. «Io ho la legge dalla mia, ti ho pagato, mostragli il mandato.»

«Ora credo di capire,» disse Andy. «Shirl, levati dalla porta. Vieni dentro Tab, che ti possa parlare.»

Tab fece un passo avanti e l'uomo nel corridoio cercò di seguirlo. «Tu non entri senza di me!» urlò. La sua voce fu troncata di colpo quando Andy gli sbatté la porta in faccia.

«Era meglio non farlo,» disse Tab. Aveva sulle mani il pugno americano, irto di punte e stringeva i pugni.

«Calmati,» disse Andy. «Volevo solamente parlare con te, prima, e cercare di capire che cosa sta succedendo. Quello lì ha un mandato di alloggio, non è vero?»

Tab assentì tristemente, e guardò il pavimento.

«Ma di che cosa state parlando,» disse Shirl preoccupata guardando alternativamante l'uno e l'altro.

Andy non rispose e Tab si voltò verso di lei: «Un ordine di alloggio viene rilasciato dal tribunale a chi può realmente dimostrare di aver bisogno di un posto dove abitare. Li danno generalmente alle famiglie numerose che devono sloggiare da qualche altro posto. Con un mandato d'alloggio in mano, cercano in giro, trovano un appartamento vacante, o una stanza, o qualsiasi altro buco e l'ordine vale come un mandato di perquisizione. Talvolta possono nascere guai, la gente naturalmente si ribella nel vedersi la casa invasa da sconosciuti. Perciò, chi ha un mandato d'alloggio, si munisce di una guardia del corpo. È per questo che sono qui; quel tale, nel corridoio, che si chiama Belicher, mi ha noleggiato.»

«Ma cosa fai qui?» chiese Shirl che ancora non capiva.

«Perché Belicher è uno sciacallo, ecco quello che è,» disse Andy tristemente. «Gira per gli obitori a vedere chi muore.»

«Questo è un modo di vedere la cosa,» disse Tab che frenava la sua rabbia, «ma è anche un uomo con moglie e figli, e non ha un posto dove abitare. E questo è un altro modo di vedere le cose.»

Vi fu un improvviso martellare sulla porta e la voce piagnucolosa di Belicher si fece udire. Shirl finalmente capì il significato della presenza di Tab e disse ansante: «Tu sei qui per aiutarli, non è vero? Hanno scoperto che Sol è morto e vogliono questa stanza.»

Tab poté solamente annuire, senza aggiungere nulla.

«C'è ancora una maniera di cavarsela,» disse Andy. «Se noi avessimo qui uno del mio distretto, ad abitare con noi in questa stanza, quella gente non potrebbe occuparla.»

L'uomo di là si mise a bussare più forte e Tab fece un mezzo passo indietro verso la porta. «Se ci fosse qui qualcuno, adesso, non si potrebbe dir niente, ma Belicher andrebbe al tribunale degli alloggi e otterrebbe lo stesso la casa perché ha una famiglia numerosa. Io farò tutto ciò che posso per aiutarvi, ma Belicher, vedete… è tuttora il mio datore di lavoro.»

«Non aprire quella porta,» disse Andy severamente, «prima che abbiamo sistemato la questione.»

«Non posso fare diversamente, vi pare?» Si alzò e strinse i pugni armati di punte. «Non cercate di fermarmi, Andy. Siete un poliziotto e conoscete questa legge.»

«Tab, come puoi… ?» disse Shirl a bassa voce.

Tab la guardò, con gli occhi pieni di tristezza. «Un tempo eravamo buoni amici, Shirl, ed è così che io vi ricorderò sempre. Ma non sarà lo stesso per voi, dopo questa faccenda, perché io devo fare il mio lavoro. Li devo far entrare.»

«Fai pure, apri quella maledetta porta!» disse Andy amaramente, voltando le spalle e avviandosi alla finestra.

I Belicher si precipitarono all'interno. Il signor Belicher era piccolino, magro, con una testa dalla forma strana, senza mento o quasi, e quel tanto d'intelligenza che gli bastava a firmare col suo nome i moduli della Previdenza. Era la signora Belicher a mantenere la famiglia. Da quel corpo di un grasso flaccido erano usciti tutti quei bambini; ce n'erano sette, a ingrossare il sussidio sul quale sopravvivevano. Il numero otto, ancora visibile, formava quell'ulteriore gonfiore sul corpo già gonfio della donna. In realtà non era il numero otto, bensì il numero undici, perché tre dei bambini Belicher erano morti, sia per incidenti, sia per incuria. La più grande delle ragazze (doveva avere almeno tredici anni) portava in braccio l'ultimo bambino, coperto di lividi, che puzzava orrendamente e piangeva senza interruzione.

Gli altri bambini ora urlavano e litigavano fra di loro, dopo la tensione e il silenzio del corridoio buio.

«Oh, guarda che bel frigorifero!» disse la signora Belicher correndovi accanto e aprendo la porta.

«Questo non lo toccate!» disse Andy mentre Belicher gli batteva sul braccio.

«Mi piace questa stanza,» gli disse, «non è vasta, sapete, ma è carina. Cosa c'è dietro questa porta?» Si diresse verso la parete divisoria. «Questa è la mia stanza,» disse Andy e gliela sbatté in faccia. «State alla larga.»

«Non c'è bisogno di comportarsi in questo modo,» disse Belicher, mettendo la coda tra le gambe come un cane che ha ricevuto troppi e frequenti calci. «Io ho i miei diritti. La legge dice che posso guardare dappertutto quando ho un mandato di alloggio.» Era indietreggiato un po' perché Andy aveva fatto un passo verso di lui. «Non che dubiti della vostra parola, signore, io vi credo, questa stanza qui è bella, ha un buon tavolo, delle sedie, un letto…»

«Quelle cose mi appartengono. Questa è una stanza vuota ed è anche piccola. Non va per voi e per la vostra famiglia.»

«Oh, sì, che va bene. Noi abbiamo vissuto in posti più piccoli di questo.»

«Andy, fermali! Guarda!» Il grido di Shirl fece voltare di colpo Andy, e vide che due dei ragazzini avevano trovato il sacchetto delle erbe che Sol aveva fatto crescere in cassetta sul davanzale della finestra e lo strappavano per aprirlo, pensando che contenesse qualcosa da mangiare.

«Mettete giù quelle cose,» gridò, ma prima che potesse acciuffarli avevano già assaggiato le erbe e le sputavano, delusi.

«Brucia la lingua!» urlò il maggiore dei maschietti e buttò il contenuto del pacchetto sul pavimento. L'altro ragazzo si mise a saltellare dalla contentezza e fece la stessa cosa con il resto delle erbe. Scansarono l'arrivo di Andy e prima che li potesse fermare, il pacchetto era svuotato.

Appena Andy ebbe voltato le spalle, il ragazzetto, ancora tutto eccitato, si arrampicò sul tavolo dove le sue scarpe imbrattate lasciarono impronte di sporcizia, e aprì la televisione. Una musica a tutto volume sovrastò gli urli dei bambini e i richiami inefficaci della madre. Tab trattenne per il braccio Belicher che apriva il guardaroba per vedere che cosa c'era dentro.

«Fate uscire i bambini fuori di qui,» disse Andy, pallido di rabbia contenuta.

«Io ho un mandato d'alloggio, ho la legge per me,» gridò Belicher indietreggiando di qualche passo e sventolando il quadrettino di plastica stampato.

«Me ne infischio dei diritti che avete o no,» disse Andy, aprendo la porta del corridoio. «Ne parleremo appena avrete fatto uscire questi ragazzi.»

Tab sistemò la cosa afferrando per la collottola il ragazzo più vicino e spingendolo fuori della porta. «Il signor Rusch ha ragione,» disse, «i ragazzi possono aspettare fuori mentre regoliamo la questione.»

La signora Belicher si lasciò cadere di peso sul letto e chiuse gli occhi, come se la faccenda non la riguardasse minimamente. Il signor Belicher indietreggiò verso il muro, dicendo qualcosa che nessuno senti o si preoccupò di sentire. Sì udivano degli strilli e dei singhiozzi rabbiosi nel corridoio quando l'ultimo dei ragazzini venne buttato fuori.

Andy si guardò intorno e vide che Shirl si era rifugiata nella loro camera. Udì la chiave girare nella serratura. «Presumo non ci sia nulla da fare,» disse guardando fermamente Tab.

Il gorilla alzò le spalle, desolato. «Mi dispiace, Andy, vi giuro che mi dispiace. Ma che posso fare d'altro? È la legge, e se loro vogliono stare qui, non potete far niente.»

«È la legge, è la legge,» ripeteva Belicher, facendo eco.

Non vi era nulla da fare. Andy aveva stretto i pugni e si dovette far forza per riaprirli. «Tab, aiutami a portare queste cose nell'altra stanza, vuoi?»

«Certamente,» disse Tab. E prese l'altra estremità del tavolo. «Cercate di spiegare a Shirl la mia parte in questa faccenda, vi spiace? Non credo possa comprendere che questo è il mio lavoro e che sono costretto a farlo.»

I loro passi scricchiolavano sulle erbe aromatiche sparse sul pavimento e Andy non gli rispose nemmeno.

CAPITOLO DECIMO

«Andy, devi far qualcosa, quella gente mi fa impazzire!»

«Pazienza, Shirl, non è poi così terribile,» disse Andy. Era in piedi su una sedia e svuotava un bidone d'acqua entro il serbatoio a muro. Voltandosi per rispondere a Shirl aveva lasciato cadere un po' d'acqua sul pavimento. «Lasciami finire questo lavoro, poi discuteremo.»

«Io non voglio discutere, io ti dico ciò che sento. Ma ascoltali un po'…»

I rumori pervenivano chiarissimi attraverso la leggera paratia. Il bimbo più piccolo piangeva, non cessava mai di piangere, notte e giorno. Per poter dormire Andy e Shirl dovevano mettere dei tappi di cera negli orecchi. Gli altri litigavano ignorando completamente il gemito acuto del padre che si lamentava. Per peggiorare le cose, uno dei ragazzi picchiava ritmicamente sul pavimento con qualcosa di pesante. La gente dell'appartamento sottostante sarebbe tornata a lamentarsi. Senza nessun risultato, comunque. Shirl sedeva sull'orlo del letto, torcendosi le mani.

«Ma lo senti, quel baccano?» disse. «Non cessa mai. Io non so come facciano a vivere così. Tu non sei mai in casa e quindi il peggio non lo senti. Non possiamo farli andar via in qualche modo? Ci deve pur essere qualcosa da fare.»

Andy finì di svuotare il bidone e scese dalla sedia, facendosi strada nella stanza ora stipata di mobili. Avevano abbandonato il letto di Sol e il suo guardaroba, ma il resto era stato portato nella loro stanza e non c'era un palmo di spazio libero sul pavimento. Si lasciò cadere di peso sulla poltrona.

«Ho tentato, tu sai bene che ho tentato. Due degli agenti di pattuglia che ora vivono in caserma, sono disposti a installarsi qui appena riusciamo a cacciare i Belicher. Questa però è la parte più ardua. Hanno la legge per loro.»

«C'è forse una legge che ci obbliga a sopportare gente come quella?»

Si stringeva le mani, disperata, contemplando la parete divisoria.

«Senti Shirl, non possiamo parlarne in un altro momento? Io tra poco devo uscire…»

«No, ne parliamo subito. Tu hai sempre rimandato, da quando quelli sono arrivati, cioè da due settimane, e io non posso più aspettare.»

«Andiamo, andiamo! Non è poi così terribile. È soltanto rumore.»

La stanza era molto fredda. Shirl tirò su le gambe e si avviluppò nella vecchia coperta. Le molle del letto stridettero sotto il suo peso. Vi fu un momentaneo silenzio nell'altra stanza, che terminò con una risatina super-acuta.

«Ma li senti?» chiese Shirl. «Ma che razza di mentalità ha quella gente? Ogni volta che sentono scricchiolare il letto nella nostra stanza scoppiano a ridere. Non siamo mai soli, neanche un po'. Quella parete divisoria è leggera come la carta, e loro ascoltano tutto ciò che facciamo, sentono ogni nostra parola. Se loro non possono andarsene, non possiamo traslocare noi?»

«Dove? Su, su, un po' di buon senso, Shirl. Riteniamoci fortunati di avere almeno questa stanza per noi. Sai quanta gente c'è ancora che dorme per le strade, e quanti morti di freddo si raccolgono ogni mattina?»

«Non m'importa un bel niente. È di me stessa, della nostra vita che mi preoccupo.»

«Ti prego, non ora.» Alzò lo sguardo verso la lampada che sfarfallava e diminuiva d'intensità, e che poi si riaccese. Si udì un'improvvisa gragnuola di grandine sulla finestra. «Ne riparleremo quando torno. Non starò via molto.»

«No, voglio sistemare le cose subito, non hai fatto altro finora che rimandare la questione. Non hai alcun bisogno d'uscire adesso.»

Staccò il suo cappotto trattenendo la collera.

«Puoi attendere almeno fino al momento in cui tornerò. Ti ho detto che avevamo finalmente sentito parlare di Billy Chung… un informatore ha detto di averlo visto uscire da Shiptown. C'è da pensare che egli sia stato a casa sua. È una notizia già vecchia di quindici giorni, ma sul momento l'informatore non l'aveva giudicata abbastanza importante per riferircela. Sperava probabilmente di veder tornare il ragazzo, ma quello non si è più fatto vivo. Devo parlare con i suoi e vedere un po' che cosa ne sanno.»

«Tu non hai nessun bisogno di andarci ora. Tu stesso hai detto che la cosa è successa molto tempo fa…»

«E che importa? Il tenente vuole un rapporto domattina, e che cosa gli dico? Che tu non volevi lasciarmi uscire stasera?»

«Quello che gli dirai non m'interessa.»

«Lo so benissimo. Ma interessa me, è il mio lavoro e lo devo svolgere.»

Si lanciarono un'occhiata di sfida, senza parlare, col respiro rapido. Di là dalla parete si udì uno strillo acuto e un bambino si mise a singhiozzare.

«Sturi, io non voglio litigare con te,» disse Andy. «Io ora devo uscire, non ti posso dire altro. Ne riparliamo più tardi, quando torno.»

«Ammesso che tu mi trovi ancora qui quando torni.» Stringeva i pugni ed era impallidita.

«Cosa vuoi dire?»

«Non lo so. Io so soltanto che qualcosa deve cambiare. Ti prego, sistemiamo la cosa subito…»

«Ma non capisci che è impossibile? Ne riparliamo quando torno.»

Fece girare la chiave nella serratura e rimase un attimo con la mano sulla maniglia per frenare la sua irritazione. «Non litighiamo per queste cose. Fra poco sarò di ritorno e ci preoccuperemo di tutto a quel momento, va bene?»

Non gli rispose. Andy attese un attimo, poi uscì sbattendo la porta dietro di sé. Il puzzo denso dell'altra stanza lo colpì in pieno.

«Belicher,» gridò, «dovete pulire questa stanza. Puzza!»

«Non posso far nulla per il fumo, se non riesco ad avere un pezzo di camino.» Belicher aspirò rumorosamente dal naso e si acquattò con le mani tese su un pezzo di carbone marino acceso, posto in uno di quei coprimozzi pieno di sabbia, dal quale usciva un fumo oleoso che riempiva la stanza e bruciava gli occhi. Il foro del muro esterno, che Sol aveva aperto per farvi passare il camino del fornello, era stato stupidamente ricoperto con un foglio di plastica sottile, che ondeggiava e scricchiolava a ogni soffio di vento.

«Il fumo è l'odore migliore che vi sia qui dentro,» disse Andy. «I vostri bambini hanno ancora usato questa stanza come gabinetto?»

«Non vorrete mica che i bambini scendano tutte quelle scale di notte, vi pare?» si lamentò Belicher.

Ammutolito, Andy si guardò intorno, vide il mucchietto di coperte in un angolo dove la signora Belicher e i bambini più piccoli si erano rincantucciati per avere più caldo. I due ragazzi facevano qualcosa nell'angolo, con le spalle voltate. La debole lampadina proiettava lunghe ombre sulle immondizie che cominciavano ad accumularsi contro lo zoccolo, e sottolineava i nuovi segni scavati sul muro.

«Farete bene a ripulire questa stanza,» disse Andy e sbatté la porta sulla risposta piagnucolosa di Belicher.

Shirl aveva ragione, quella gente era impossibile. Egli doveva fare qualcosa. Ma quando? Al più presto, certamente, perché lei non ne poteva più. Era in collera con quegli invasori, e in collera con lei. D'accordo, era una brutta faccenda, ma bisognava rassegnarsi. Lui faceva ancora delle giornate di dodici e quattordici ore, il che era ben peggio che star seduti a sentire urlare dei bambini.

La strada era buia, piena di vento e di pioggia gelata mista a neve e cominciava ad attecchire sul selciato e ad accumularsi negli angoli e contro i muri. Andy superò con fatica e a testa bassa quella poltiglia, odiando i Belicher e tentando di non odiare Shirl. Le passerelle e i ponti di collegamento di Shiptown erano coperti da uno strato di ghiaccio che li rendeva scivolosi. Andy dovette aggrapparsi alla ringhiera per ogni attraversamento, con l'acqua scura sotto di lui, che ondeggiava. Nell'oscurità tutte le navi parevano uguali e su ognuna di esse dovette puntare la sua torcia per leggere il nome sulla poppa. Era inzuppato e mezzo assiderato quando arrivò alla Columbia Victory e spinse la pesante porta metallica che portava sotto coperta. Mentre scendeva la scaletta la luce della sua torcia, che illuminava il corridoio, gli mostrò un ragazzino dalle gambe sottili che stava aprendo una porta. Sembrava fosse proprio l'appartamento dei Chung.

«Un momento,» disse Andy tenendo ferma la porta prima che il bambino la richiudesse. Il ragazzino lo guardò senza dir nulla, a bocca aperta, con gli occhi meravigliati.

«È questo, non è vero, l'appartamento dei Chung?» chiese entrandovi. Poi riconobbe la donna in piedi. Era la sorella di Billy, l'aveva già vista una volta. La madre sedeva in una poltrona contro il muro, con la stessa espressione stravolta della figliola, paralizzata dalla paura, tenendosi stretta al suo bambino, il gemello di quello che aveva aperto la porta. Nessuno gli rispose.

Questa gente adora davvero la polizia, pensò Andy. Nello stesso momento si rese conto che guardavano tutti verso la porta posta nella parete di fronte, poi distoglievano rapidamente lo sguardo… che cos'era che li preoccupava?

Con la mano cercò la maniglia dietro di sé e chiuse la porta sul corridoio. Non era possibile ma, dopo tutto, anche la notte in cui Chung era stato visto qui, era una notte di tempesta, come questa, una copertura perfetta per qualcuno che fugge. Che fosse finalmente arrivata la sua occasione?, si chiese. Aveva forse scelto la notte giusta per il suo sopralluogo.

Questi pensieri si formavano appena nella sua mente quando la porta della camera da letto si apri e Billy Chung entrò, dicendo qualcosa. Le sue parole furono coperte dagli urli di sua madre e dagli avvertimenti gridati dalla sorella. Alzò lo sguardo e si fermò di botto, paralizzato, fulminato, alla vista di Andy.

«Siete in arresto,» disse Andy cercando le manette attaccate alla cintura.

«No!» gridò Billy con voce rauca, e tirò fuori il coltello dalla cintura.

Nacque un parapiglia. La vecchia continuava a gridare ininterrottamente senza neppure fermarsi per prendere respiro, la figlia si scagliava su Andy, tentando di graffiargli gli occhi. Gli solcò le guance con le unghie prima che egli la potesse afferrare e tenere col braccio a debita distanza. In tutto questo tempo non aveva perso di vista Billy che impugnava il suo lungo coltello e avanzava mezzo rannicchiato, da vero duellante all'arma bianca, brandendo l'arma davanti a sé.

«Metti giù quella roba,» gridò Andy, e appoggiò la schiena contro la porta. «Da qui non puoi uscire. Non combinare altri guai.»

La donna capì che non poteva arrivare al viso di Andy e si mise a graffiargli il dorso della mano. Andy le diede uno spintone e non si accorse neanche che cadeva, mentre egli afferrava la sua pistola.

«Basta! Fermatevi tutti!» gridò e puntò la rivoltella in alto. Voleva sparare un colpo di intimidazione, poi capì che tutto il locale era di metallo e che la pallottola sarebbe rimbalzata tutto intorno e c'erano due donne e due bambini.

«Fermati, Billy. Di qui non puoi uscire!» gridò, puntando la rivoltella sul ragazzo che era già arrivato a metà stanza e lo minacciava col coltello.

«Lasciami andare!» singhiozzò Billy. «Io ti ammazzo. Ma perché non mi lasciate stare?»

Andy capì che non si sarebbe fermato. Il coltello era affilato e lui lo sapeva usare. Ebbene, se cercava guai, tanto peggio per lui.

Andy puntò la rivoltella sulle gambe del ragazzo e sparò al momento stesso in cui il ragazzo inciampava. Il rombo della rivoltella calibro 38 riempì tutto il locale e Billy cadde in avanti. La pallottola lo colpì alla testa ed egli continuò a cadere finendo bocconi sul pavimento d'acciaio. Il coltello volò dalle sue mani e cadde quasi ai piedi di Andy. Un silenzio stupefatto seguì il rumore del colpo e vi fu nell'aria un denso odore di polvere da sparo. Nessuno si mosse eccetto Andy che si chinò per toccare il polso del ragazzo.

Andy si accorse che bussavano alla porta dietro di lui, allungò il braccio e aprì senza voltarsi, dicendo:

«Sono un agente di polizia, che qualcuno vada al Distretto 12-A della 23a Strada e li avvisi subito che Billy Chung è qui ed è morto.»

Una pallottola nella tempia, Andy pensò improvvisamente. Nello stesso punto dove Mike O'Brien era stato colpito.

Vi fu una confusione terribile e fu il momento peggiore. Non per Billy, quello era bell'e morto; ma la madre e la sorella. Gli avevano urlato i peggiori insulti mentre i due gemelli si tenevano abbracciati singhiozzando. Finalmente Andy aveva chiamato i vicini di corridoio perché si prendessero un momento in casa tutta la famiglia, ed era rimasto solo col morto, finché Steve Kulozik e un agente di pattuglia erano arrivati dal commissariato. Dopodiché non aveva più visto le due donne e non le voleva vedere. Era stato un incidente, ecco tutto. Lo dovevano capire. Se il ragazzo non fosse inciampato, si sarebbe preso la pallottola nella gamba e tutto finiva lì. Non che alla polizia importasse molto. Il caso si poteva ormai archiviare senza ulteriori formalità. Che quelle due continuassero pure a odiarlo, a lui non importava. Non le avrebbe mai riviste. Il loro ragazzo sarebbe stato un martire anziché un assassino. Se preferivano ricordarlo così, tanto meglio. Ad ogni modo il caso era chiuso.

Era tardi, oltre mezzanotte, quando Andy rincasò. Portare via la salma, stendere un rapporto, gli aveva richiesto molto tempo. Come al solito i Belicher non avevano chiuso la porta sul corridoio. A loro non importava niente. Non avevano nulla da perdere e nulla che valesse la pena di essere rubato. La loro stanza era buia quando l'attraversò con la torcia accesa. Ebbe una rapida visione dei loro corpi ammucchiati, un riflesso dei loro occhi aperti. Erano svegli, ma almeno tutti tranquilli; per cambiare, perfino il bambino. Mentre infilava la chiave nella serratura udì un risolino alle sue spalle, nell'oscurità. Che cosa avevano da ridere?

Spinse la porta, l'apri. Nel silenzio della stanza ricordò la sua discussione con Shirl, al pomeriggio, e provò un'improvvisa stretta al cuore. Alzò la sua torcia ma non la premette per continuare a far luce. Udì altre risate, dietro di sé, questa volta un po' più forti.

Il raggio di luce attraversò la stanza, si posò sulle sedie vuote, sul letto vuoto. Shirl non c'era. Ma questo non significava nulla, era probabilmente giù in gabinetto.

Prima ancora di aprire il guardaroba sapeva che i suoi vestiti erano scomparsi e anche la sua valigia.

Shirl se n'era andata.

CAPITOLO UNDICESIMO

«Che cosa volete?» chiese l'uomo dallo sguardo duro, in piedi nel bel mezzo della camera da letto. «Voi sapete che il signor Briggs ha molto da fare, che io ho molto da fare. Dà fastidio a tutti e due sentirsi continuamente telefonare dicendo che uno di noi debba venire qui subito. Se avete qualcosa da dire al signor Briggs, lo venite a trovare e glielo dite.»

«Mi spiace molto non potervi favorire,» disse il giudice Santini, con un respiro asmatico. Era seduto appoggiato ai guanciali, in un immenso letto a due piazze, con le coperte soffici rimboccate tutto intorno. «Mi piacerebbe, eccome, fare come dite voi. Ma credo che ormai non mi sarà più consentito. Peraltro è ciò che dice il mio dottore, e con quel che pago i suoi pareri dovrebbero essere perlomeno esatti. Quando un uomo della mia età ha le coronarie in disordine, deve riguardarsi. Riposo, molto riposo. Niente scale dell'Empire State Building da salire. Glielo posso dire in confidenza, Schalchter, francamente, non ne sento la mancanza…»

«Insomma, Santini, che cosa volete?»

«Voglio darvi una certa informazione per il signor Briggs. Il ragazzo cinese, quel Chung, è stato trovato. Billy Chung, quello che ha ammazzato Big Mike.»

«E allora?»

«Come, e allora? Non vi ricordate che il signor Briggs aveva tenuto quella riunione nella quale abbiamo discusso il caso? Si sospettava che l'uccisore fosse in combutta con Nick Cuore, che fosse stato assoldato da lui. Ne dubito fortemente, per me ha agito di sua sola iniziativa. Non lo sapremo mai in modo certo, perché il cinese è morto.»

«Tutto qui?»

«Non vi basta? Non vi ricordate che il signor Briggs aveva temuto un'avanzata di Nick Cuore verso la nostra città?»

«Non c'è nessuna possibilità del genere. Cuore è stato impegnato tutta una settimana per impadronirsi della città di Paterson. Ci sono stati almeno dieci morti. Non ha mai dimostrato alcun interesse per la nostra città.»

«Questo mi fa piacere, ma penso sia meglio ripetere al signor Briggs ciò che vi ho detto. Era interessato alla questione al punto di esercitare la sua pressione sulla polizia che, sin dal mese di agosto, aveva assegnato un investigatore a questo caso.»

«Ebbene, glielo dirò, se ne avrò l'occasione; ma questo non lo interessa più.»

Il giudice Santini si infilò sotto le coperte appena il suo ospite fu uscito. Era stanco, quella sera, più stanco del solito. Dentro il suo petto c'era sempre quel dolore sordo. In fondo. Molto in fondo. Due settimane ancora, e poi la fine dell'anno, e l'inizio del nuovo secolo. Sarebbe stato buffo scrivere le date cominciando con il duemila anziché diciannove e qualcosa, come aveva fatto tutta la vita.

Primo gennaio 2000. Chissà perché gli pareva una data strana. Suonò il campanello affinché Rosa venisse a dargli la sua medicina. Quanti giorni avrebbe visto, di quel nuovo secolo? Era un pensiero molto malinconico.

Nella stanza silenziosa si sentiva forte il ticchettio del vecchio orologio a pendolo.

CAPITOLO DODICESIMO

«Ti chiama il tenente,» gridò Steve Kulozik da una parte all'altra dell'ufficio.

Andy alzò la mano per dire che aveva sentito, si alzò e si stiracchiò, ben contento di abbandonare un momento la pila dei rapporti sui quali stava lavorando. Non aveva dormito bene la sera prima ed era stanco. Prima di tutto la faccenda di Chung. Poi Shirl che se n'era andata. Era troppo, per una sola notte. Dove cercarla per chiederle di tornare con lui? E come fare a chiederle di tornare, se i Belicher non si muovevano? Cosa si poteva fare, per sbarazzarsi dei Belicher? Non era la prima volta che i suoi pensieri giravano a spirale in quella maniera, senza approdare a nulla. Bussò alla porta del tenente, ed entrò.

«Volevate vedermi, signore?»

Il tenente Grassioli stava inghiottendo una pillola e fece di sì col capo, poi si strozzò con l'acqua che aveva bevuto per farla andar giù. Ebbe un accesso di tosse e si lasciò cadere sulla vecchia poltrona girevole. Aveva l'aria più grigia e più stanca che mai. «Quest'ulcera, uno di questi giorni, mi ammazza. Hai mai sentito parlare di gente che muore di ulcera?»

Non si poteva rispondere a una domanda come quella. Andy si chiese perché il tenente perdesse il tempo in convenevoli. Non era la sua abitudine, generalmente diceva subito ciò che aveva da dire, senza alcuna difficoltà.

«Non sono contenti, su alla centrale, per l'uccisione di quel ragazzo Chung…» disse Grassioli, giocherellando con i rapporti che coprivano il suo tavolo.

«Che intendete dire?»

«Solo questo, Santo Iddio! Come se non avessi abbastanza seccature con questa squadra, devo anche essere mischiato alla politica. A Centre Street pensano che hai perso troppo tempo con questo caso, mentre al distretto vi sono dozzine di omicidi non risolti che si accumulano da quando hai cominciato a seguire quel caso.»

«Ma…» Andy era strabiliato. «Mi avevate detto che il commissario capo in persona mi aveva assegnato a questo caso, a tempo pieno. Mi avevate detto che dovevo…»

«Non importa ciò che ti ho detto,» ringhiò Grassioli. «Non riesco più a parlare al telefono con il commissario capo. Non c'è mai, almeno per me. Non gliene importa un fico secco di chi ha ucciso O'Brien, e nessuno è interessato a ciò che si presumeva di quel tale del New Jersey. E il peggio di tutto è che il commissario in seconda ce l'ha con me per l'uccisione di Billy Chung. Mi hanno lasciato con la patata bollente in mano.»

«Mi sembra che sia piuttosto io a reggere la patata bollente.»

«Non far l'impertinente con me, Rusch.» Il tenente si alzò, allontanò da sé la poltrona con un calcio, voltò le spalle a Andy e guardò fuori della finestra, tamburellando con le dita sul davanzale. «Il commissario in seconda è Giorgio Chu. È persuaso che tu abbia agito per odio verso i cinesi, o qualcosa del genere, pedinando il ragazzo accanitamente e poi ammazzandolo, invece di portarlo qui.»

«Gli avete detto che agivo per ordini ricevuti, non è vero, tenente?» chiese Andy con molta calma. «Gli avete detto che il colpo è stato involontario? È tutto scritto nel mio rapporto.»

«Io non gli ho detto un bel niente.» Grassioli si voltò per far fronte a Andy. «La gente che mi tormentava sempre per sapere i risultati dell'inchiesta, non parla. Io a Chu non posso dir niente. E comunque è imbevuto di quella faccenda razziale. Se io cerco di dirgli che cosa è realmente accaduto, mi troverò nei guai, io, il mio distretto, tutti.» Si lasciò cadere nella poltrona fregandosi l'occhio che gli prudeva. «Te lo dico francamente, Andy. La patata bollente io la passo a te. Lascio che tu ti prenda il biasimo, ti rimetto in uniforme per sei mesi finché la cosa si raffredda un po'. Il grado te lo mantengo, e anche la paga.»

«Non mi aspettavo alcun premio, per la soluzione del caso,» disse Andy irritato, «o per la consegna dell'uccisore. Ma questo, poi, non me l'aspettavo davvero. Chiederò l'arbitraggio del Ministero.»

«Fallo, fallo pure.» Il tenente esitò a lungo, e si vedeva che era a disagio. «Ma io ti chiedo di non farlo. Se non per me, per il bene del nostro Distretto. Lo so che è un boccone amaro, lasciarti così nelle peste; ma non ti sarà difficile cavartela, vedrai. Ti rimetto nella squadra investigativa appena posso. Non è un lavoro molto diverso, in fin dei conti. Tanto varrebbe che andassimo tutti in pattuglia per il lavoro investigativo che svolgiamo qui!» Diede un calcio al tavolo. «Che ne dici?»

«La faccenda mi puzza.»

«Lo so che puzza!» gridò il tenente. «Ma se chiedi un arbitraggio al Ministero, credi che puzzerà meno? Non hai neanche mezza possibilità di cavartela. Ti cacceranno dalla polizia e rimarrai disoccupato. E io con te, probabilmente. Sei un buon poliziotto, Andy, e non ce ne sono tanti in giro come te. Tieni duro. Che ne dici?»

Vi fu un lungo silenzio, e il tenente tornò a guardare fuori dalla finestra.

«E va bene,» fini per dire. «Farò come volete voi.»

Uscì dall'ufficio senza attendere che il tenente lo congedasse. Non voleva essere ringraziato.

CAPITOLO TREDICESIMO

«Fra mezz'ora entreremo in un nuovo secolo,» disse Steve Kulozik, battendo i piedi sul suolo ghiacciato. «Ho sentito ieri un individuo alla TV che cercava di spiegarci perché il secolo nuovo non comincerà prima dell'anno prossimo, ma doveva essere un po' tocco. Mezzanotte, anno duemila, nuovo secolo, questo si che si capisce. Guarda un po'…» Indicava lo schermo gigante di televisione posto sul vecchio edificio del “Times”. I titoli, in lettere di tre metri, si inseguivano sullo schermo.


ONDATA DI FREDDO NEL MID-WEST, DECINE DI PERSONE MUOIONO ASSIDERATE


«Decine, ventine…» brontolò Steve, «scommetto che neanche le contano. Non vogliono sapere quanta gente muore.»


LA NOTIZIA DI UNA CARESTIA IN RUSSIA È FALSA, DICE GALGYN

MESSAGGIO PRESIDENZIALE ALL'ALBA DEL NUOVO SECOLO

UN JET SUPERSONICO DELLA MARINA SI SCHIANTA NELLA BAIA DI SAN FRANCISCO


Andy guardò lo schermo, poi la folla che si addensava in Times Square. Provava disagio quando incontrava i suoi colleghi dell'investigativa. «Cosa fai qui?» chiese a Steve.

«La stessa cosa che fai tu. Mi hanno dato in prestito a questo distretto. Piangono sempre per avere dei rinforzi, pensano che ci sarà qualche tafferuglio.»

«Si sbagliano, fa troppo freddo e non c'è abbastanza gente.»

«Non è questa la ragione. È a causa di quei pazzi mistici. Dicono che è il millennio, la fine del mondo, il giorno del Giudizio Universale, insomma chiamalo come vuoi. Ci sono dei gruppi di questi individui in tutta la città. Saranno terribilmente delusi se il mondo non finisce a mezzanotte come pensano loro.»

«E se invece finisce, saremo ancora più delusi noi.»

Le lettere giganti si inseguivano sul loro capo.


COLIN PROMETTE LA ELIMINAZIONE SOLLECITA DEI FRANCHI TIRATORI NELLA DISCUSSIONE DELLA LEGGE PER IL CONTROLLO DELLE NASCITE


La folla ondeggiò avanti e indietro, lentamente. Alcuni avevano delle trombe, a volte il brusio delle voci era interrotto dal suono di un campanaccio da mandria o da un intermittente roteare di raganella. Tutti applaudirono quando l'orologio apparve sullo schermo.


23. 38 «11. 38 PM. TRA 22 MINUTI L'ANNO NUOVO»


«Fine dell'anno, fine del mio servizio,» disse Steve.

«Ma che cosa stai dicendo?» chiese Andy.

«Me ne vado. Avevo promesso a Grassy di rimanere sino al primo gennaio e di non dirlo a nessuno finché non fossi sul punto di partire. Ho firmato un impegno con l'esercito territoriale. Farò la guardia nelle colonie agricole. Kulozik, mio caro, ha voglia di rimettersi a mangiare. Anzi, non ne vede l'ora.»

«Steve, vuoi scherzare, sei nella polizia da dodici anni, hai già dell'anzianità, sei un investigatore di seconda classe…»

«Ma ho la faccia di un investigatore di qualsiasi classe, secondo te?» Batté con la mazza sull'elmetto blu e bianco. «Ma guardiamo un po' le cose in faccia. Questa città è finita. Qui hanno bisogno di domatori, non di poliziotti. Lassù mi aspetta un bel mestiere; mia moglie e i miei figli mangeranno a sazietà; e io mi allontano da questa città una volta per sempre. Sono nato qui, cresciuto qui, ma lascia che te lo dica, quest'occasione non me la lascio sfuggire. Lassù hanno bisogno di gente con una buona esperienza di polizia. Ti assumerebbero all'istante, se tu volessi. Perché non vieni con me?»

«No,» disse Andy.

«Perché rispondi così in fretta? Pensaci su. Cosa ti ha mai dato questa città, a parte i guai? Ti occupi di un omicidio, trovi l'uccisore… e guarda che bel premio: retrocesso in pattuglia.»

«Taci, Steve,» disse Andy senza animosità. «Non so perché rimango, ma rimango. Non credo che lassù, nel Nord dello Stato, le cose siano belle come dici tu. Io te lo auguro. Ma il mio lavoro è qui. Quando ho scelto questo mestiere sapevo che cosa mi avrebbe riservato. E ora non mi sento di rinnegarlo.»

«Affar tuo.» Steve alzò le spalle, movimento che si perdette in gran parte nella profondità del suo ampio cappotto e dei molti abiti che indossava sotto. «Ci vediamo poi.»

Andy alzò la sua mazza in un rapido arrivederci, mentre il suo collega si apriva una strada nella ressa e spariva.


23. 58 «11. 58 PM. UN MINUTO ANCORA PRIMA DELLA MEZZANOTTE»


Le scritte sparirono dallo schermo e furono sostituite da un gigantesco orologio. La folla applaudì e gridò. Si udirono altre trombe. Steve si aprì una via fra la moltitudine che riempiva Times Square e si addossava alle saracinesche abbassate dei negozi che fiancheggiavano la piazza. Il chiarore dello schermo televisivo si rifletteva sul viso vacuo delle persone accalcate, che parevano immerse in un acquario.

In alto, sopra di loro, la terza lancetta batteva gli ultimi secondi dell'ultimo minuto dell'anno, ossia la fine del secolo.

«Fine del mondo!» urlò un uomo con tanta forza da farsi udire sopra il brusio della folla. E la sua saliva schizzò fin sulla guancia di Andy. Questi allungò il braccio e con la punta della sua mazza lo toccò sul torace. L'uomo cominciò a boccheggiare, tenendosi lo stomaco. Era stato colpito solo con quanta forza occorreva per togliergli dalla mente la fine del mondo per pochi minuti e costringerlo a pensare ai propri visceri. Alcune persone che avevano visto l'accaduto lo indicarono col dito, ridendo. Il loro riso si perdette nel rimbombo generale, poi anche quei passanti scomparvero, e pure l'uomo, mentre la folla si spingeva ancor più avanti.

Il suono registrato delle campane, molto stridente e molto amplificato, echeggiò dagli altoparlanti sistemati sugli edifici di Times Square, diffondendo lunghe onde sonore attraverso la piazza e sulla folla.

«FELICE ANNO NUOVO!» urlarono migliaia di voci ammassate. «FELICE SECOLO NUOVO!»

Trombe, campane e voci urlanti si congiunsero nel frastuono, soffocando le parole, fondendole in un vocio indistinguibile.

Sul loro capo, la seconda lancetta aveva terminato il giro completo del quadrante. Il nuovo secolo aveva già un minuto. Svanì l'immagine dell'orologio e comparve il ritratto ingigantito del Presidente. Stava pronunciando un discorso, ma non si udì una sola parola. Impossibile superare il clamore incessante della folla.

Indifferente, l'immenso volto rosa seguitava a formulare frasi non udite, alzando un dito ammonitore per sottolineare un punto che nessuno sentiva.

Sebbene debole e distante, Andy udì il fischietto della polizia proveniente dalla 42a Strada. Vi si spinse, aprendosi un varco nella ressa con le spalle e con la mazza.

Il clamore cominciava a diminuire. Udì delle risa e dei lazzi e vide che, all'interno di un gruppo serrato, qualcuno veniva spinto in avanti. Un altro poliziotto, col fischietto calcato fra i denti, cercava di penetrare letteralmente in quella confusione e si apriva una via a suon di sfollagente.

Anche Andy cominciò a brandire il suo, e la folla parve dileguarsi davanti a lui. Un uomo di alta statura era disteso sul selciato e si proteggeva la testa con le braccia per non essere calpestato da tutti quei piedi che gli giravano intorno.

Sullo schermo, il volto del Presidente sparì, in uno scoppio di musica che si fece quasi udire per un attimo; subito lo sostituirono le lettere scritte, che ricominciarono a rincorrersi.

L'uomo disteso al suolo era tutto pelle e ossa. Era vestito di pezzi di straccio legati con lo spago intorno al corpo, e di abiti smessi. Andy lo aiutò a rimettersi in piedi e i suoi occhi di un azzurro trasparente lo fissarono come se lo trafiggessero.

«“… E Dio asciugherà le lacrime dei loro occhi… “» disse Peter, con la pelle lucida tutta tesa sul viso scarno, mentre proferiva quelle parole. «… E non vi sarà più morte, né dolore, né pianti, e non vi sarà più sofferenza, perché queste cose sono tutte passate. E Colui che sedeva sul trono disse:» Guardate, io faccio nuova ogni cosa… ”

«Non per questa volta,» disse Andy, sorreggendolo affinché non cadesse un'altra volta. «Ora potete andarvene a casa.»

«A casa?» Peter sgranò gli occhi a questa parola. «Non c'è casa. Non c'è mondo, è il millennio, e tutti saremo giudicati. I mille anni sono compiuti e Cristo ritorna glorioso a regnare sulla terra.»

«Forse avete sbagliato secolo,» disse Andy tenendo l'uomo per il gomito e guidandolo fuori della folla. «È passata la mezzanotte, il nuovo secolo è già cominciato, nulla è cambiato.»

«Nulla è cambiato?» gridò Peter. «Ma questa deve essere la Fine del Mondo, il Giudizio Universale! Deve esserlo!» Terrificato si divincolò, liberando il braccio dalla stretta di Andy e stava per allontanarsi, ma fece un passo soltanto e si voltò. «Per forza, deve finire!» gli gridò con voce straziante. «Come può, un mondo come questo, andare avanti per un altro migliaio di anni, così? Così?» La gente si frappose fra loro due e l'uomo scomparve.

Così? pensò Andy mentre si spingeva stanco fra la folla che ora si diradava. Scosse il capo per schiarirsi le idee e si raddrizzò. Lui aveva sempre il suo lavoro da svolgere.

Svanito l'entusiasmo, la gente ora sentiva il freddo e si disperdeva rapidamente. Larghi vuoti apparivano nelle sue file, mentre molti se ne andavano a testa bassa per difendersi dal vento ghiacciato che soffiava dal mare. All'angolo della 44a Strada, i guardiani dell'Hotel Astor avevano spalato una parte della strada affinché i peditaxi potessero affluire dalla Ottava Avenue e allinearsi nel posteggio loro riservato, di fianco all'albergo. Le luci potenti della pensilina illuminavano la scena e Andy passò sull'angolo proprio quando i primi ospiti dell'albergo uscivano. Pellicce e abiti da sera, calzoni neri da smoking visibili sotto i cappotti scuri guarniti di persiano… Ci doveva essere una grande festa, lì dentro. Altre guardie del corpo e altri ospiti emersero ed attesero sul marciapiede. Si udiva il riso breve delle donne e un gran scambio di saluti e di auguri per il nuovo anno.

Andy si mosse per disperdere un gruppo di persone provenienti dalla piazza, che si dirigevano verso la 44a Strada. Quando si voltò vide Shirl che era uscita ed aspettava immobile un peditaxi, parlando con qualcuno.

Non fece caso alla persona che l'accompagnava, né agli abiti che indossava, né a qualsiasi altra cosa. Guardò solo il suo viso e i capelli che ondeggiavano quando voltava la testa. Poi lei salì sul peditaxi, si tirò il mantice sul capo e spari.

Una neve fredda e sottile cadeva ora, spinta qua e là dal vento, formando vortici sui lastroni screpolati di Times Square. Erano rimaste in giro poche persone che se ne andavano in fretta. Per Andy non c'era nulla, ormai, che richiedesse la sua presenza in quel luogo. Il suo compito era terminato, poteva riprendere la sua lunga via e ridiscendere in città. Agganciò lo sfollagente alla cintura e si avviò verso la Settima Avenue. Lo schermo luminoso della gigantesca TV lo inondò della sua luce indifferente, mettendo in ogni goccia di neve sciolta sul suo pastrano una piccola scintilla che continuò a brillare fintanto che non ebbe sorpassato l'edificio. Poi scomparve nell'oscurità.

Lo schermo continuò a scagliare le sue lettere galoppanti sulla piazza deserta.


RISULTATO DEL CENSIMENTO: IN QUESTA FINE DI SECOLO GLI STATI UNITI HANNO RAGGIUNTO IL PIÙ GRAN NUMERO DI ABITANTI DI TUTTA LA LORO STORIA

344 MILIONI DI CITTADINI IN QUESTI GRANDI STATI UNITI

FELICE SECOLO NUOVO!

FELICE ANNO NUOVO!


FINE
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