Lan spaccò in due la testa del Myrddraal fino al collo. Fece danzare indietro Mandarb, lasciando che il Fade si dibattesse mentre moriva, le convulsioni che torcevano i pezzi del cranio via dal collo. Putrido sangue nero colò sulla roccia, che era già stata insanguinata una dozzina di volte.
«Lord Mandragoran!»
Lan ruotò verso la voce. Uno dei suoi uomini indicò indietro, in direzione dell’accampamento, dove un getto di splendente luce rossa stava schizzando in aria.
Già mezzogiorno? pensò Lan, sollevando la spada e segnalando ai suoi Malkieri la ritirata. Le truppe kandori e arafelliane si stavano avvicinando, cavalleria leggera con archi, scagliando una raffica dopo l’altra di frecce contro la massa di Trolloc.
Il fetore era tremendo. Lan e i suoi uomini si allontanarono dal fronte, superando due Asha’man e una Aes Sedai — Coladara, che aveva insistito per restare come consigliera di Re Paitar — che incanalavano per incendiare i cadaveri dei Trolloc. Questo avrebbe reso le cose più difficili all’ondata successiva di Progenie dell’Ombra.
Le armate di Lan avevano continuato il loro lavoro brutale, trattenendo i Trolloc al Passo come pece che impediva a un getto d’acqua di entrare dalla falla di una barca. L’esercito combatteva a rotazioni brevi, un’ora alla volta. Falò e Asha’man illuminavano la strada di notte, non dando mai alla Progenie dell’Ombra l’opportunità di avanzare.
Dopo due giorni di battaglia sanguinosa, Lan sapeva che questa tattica alla fine avrebbe favorito i Trolloc. Gli umani ne stavano uccidendo a iosa, ma erano anni che l’Ombra ammassava le sue forze. Ogni notte, i Trolloc si nutrivano dei morti: non dovevano preoccuparsi di provviste alimentari.
Lan impedì alle sue spalle di afflosciarsi mentre si allontanava a cavallo dal fronte, dirigendosi verso il gruppo successivo delle sue truppe, ma voleva crollare e dormire per giorni. Malgrado gli uomini che gli erano stati dati dal Drago Rinato, a ognuno era richiesto di coprire diversi turni al fronte ogni giorno. Lan ne faceva sempre qualcuno in più.
Addormentarsi non era facile per le sue truppe, dato che si occupavano anche del loro equipaggiamento, di raccogliere legna per i fuochi da campo e di portare provviste attraverso i passaggi. Mentre supervisionava quelli che lasciavano il fronte assieme a lui, Lan cercò qualcosa che potesse fare per dar loro forza. Lì vicino, il fedele Bulen era incurvato. Lan avrebbe dovuto assicurarsi che quell’uomo dormisse di più oppure...
Bulen scivolò di sella.
Lan imprecò, fermando Mandarb e balzando giù. Corse accanto a Bulen e lo trovò con lo sguardo vuoto fisso al cielo. Aveva un’enorme ferita al fianco, dove la cotta di maglia era stata squarciata come una vela che avesse visto troppo vento. Bulen aveva coperto la ferita mettendo la giacca sopra l’armatura. Lan non l’aveva visto mentre lo colpivano, e neppure quando aveva coperto la ferita.
Stupido! pensò Lan, tastando il collo di Bulen.
Niente pulsazioni. Era morto.
Stupido! pensò Lan di nuovo, chinando il capo. Non volevi proprio lasciare il mio fianco, vero? Ecco perché l’hai nascosta. Avevi paura che sarei morto là fuori mentre tu tornavi indietro a farti Guarire.
O quello, oppure non volevi sottrarre forza agli incanalatori. Sapevi che si stavano spingendo fino al limite.
Con i denti serrati, Lan raccolse il cadavere di Bulen e se lo mise in spalla. Issò il corpo sul cavallo dell’uomo e lo legò sulla sella. Andere e il principe Kaisel — il giovane Kandori e la sua squadra cavalcavano abitualmente con Lan – erano seduti lì vicino, osservando solennemente. Consapevole dei loro sguardi, Lan mise una mano sulla spalla del cadavere.
«Hai agito bene, amico mio» disse. «Le tue lodi saranno cantate per generazioni. Che tu possa trovare riparo nella mano del Creatore, e che l’ultimo abbraccio della Madre possa accoglierti a casa.» Si voltò verso gli altri. «Io non piangerò! Piangere è per coloro che si rammaricano, e io non mi rammarico di ciò che facciamo qui! Bulen non avrebbe potuto sperare in una morte migliore. Io non piango per lui: esulto!»
Volteggiò in sella a Mandarb, tenendo le redini del cavallo di Bulen, e sedette alto. Non avrebbe lasciato che vedessero il suo affaticamento. O la sua tristezza. «Qualcuno di voi ha visto cadere Bakh?» chiese a quelli che cavalcavano vicino a lui. «Aveva una balestra legata dietro il suo cavallo. La portava sempre con sé. Ho giurato che, se quell’aggeggio avesse mai sparato accidentalmente, l’avrei fatto appendere per i piedi dagli Asha’man dalla ama di un dirupo.
«È morto ieri quando la sua spada si è incastrata nell’armatura di un Trolloc. L’ha lasciata lì e ha fatto per prendere quella di riserva, ma altri due Trolloc gli hanno levato il cavallo da sotto. Pensavo che fosse morto allora e stavo tentando di raggiungerlo, solo per vederlo rialzarsi con quella sua folgorata balestra e sparare nell’occhio di un Trolloc a due piedi di distanza: il dardo gli ha attraversato la testa. Il secondo Trolloc l’ha sventrato, ma non prima che lui gli ficcasse il coltello dello stivale nel collo.» Lan annuì. «Mi ricordo di te, Bakh. Sei morto bene.»
Cavalcarono per qualche momento, poi il principe Kaisel aggiunse: «Ragon. Anche lui è morto bene. Ha spinto alla carica il suo cavallo contro un manipolo di trenta Trolloc che ci stava attaccando dal fianco. Probabilmente ha salvato una dozzina di uomini con quella mossa, procurandoti tempo. Ha dato un caldo in faccia a un Trolloc mentre lo tiravano giù.»
«Sì, Ragon era davvero un pazzo» disse Andere. «Io sono uno degli uomini che ha salvato.» Sorrise. «È morto davvero bene. Luce, è proprio così. Di sicuro la cosa più folle che ho visto in questi ultimi giorni è stata quello che ha fatto Kragil nel combattere quel Fade. Qualcuno di voi ha visto...»
Quando raggiunsero l’accampamento, gli uomini stavano ridendo e brindando ai caduti con le parole. Lan si separò da loro e portò Bulen dagli Asha’man. Narishma stava tenendo aperto un passaggio per dei carri di provviste. Annuì a Lan. «Lord Mandragoran?»
«Devo metterlo in qualche posto freddo» disse Lan, smontando di sella. «Quando tutto questo sarà finito e Malkier sarà stata riconquistata, vorremo un luogo di riposo adeguato per coloro che sono caduti nobilmente. Fino ad allora, non permetterò che vengano bruciati o lasciati a marcire. Lui è stato il primo Malkieri a tornare dal Re di Malkier.»
Narishma annuì, i campanelli arafelliani che tintinnavano in fondo alle sue trecce. Fece uscire un carretto dal passaggio, poi sollevò una mano per far cenno agli altri di fermarsi. Chiuse quel passaggio, poi ne aprì un altro in cima a una montagna.
Dell’aria gelida soffiò attraverso. Lan tirò giù Bulen dal suo cavallo. Narishma fece per aiutarlo, ma Lan lo scacciò con un gesto, grugnendo mentre si issava in spalla il cadavere. Attraversò il passaggio arrivando tra le nevi, il vento che gli mordeva con forza le guance, come se qualcuno vi stesse passando un coltello.
Posò a terra Bulen, poi si inginocchiò e prese con delicatezza l’hadori dalla sua testa. Sarebbe stato Lan a portarlo in battaglia, in modo che Bulen potesse continuare a combattere, per poi restituirlo al corpo quando tutto fosse finito. Una vecchia tradizione malkieri. «Hai agito bene, Bulen» disse Lan piano. «Grazie per non avermi abbandonato.»
Si alzò in piedi, gli stivali che scrocchiavano nella neve, e attraversò di nuovo il passaggio, hadori in mano. Narishma lo lasciò richiudersi e Lan chiese dove si trovasse quella montagna — nel caso in cui Narishma fosse morto durante la battaglia — così da poter ritrovare Bulen.
Non sarebbero stati in grado di conservare tutti i cadaveri malkieri a quel modo, ma uno era meglio di nessuno. Lan avvolse l’hadori di cuoio attorno all’elsa della sua spada, appena sotto la guardia, e lo legò stretto. Consegnò Mandarb a uno stalliere, sollevando un dito verso il cavallo e incontrando i suoi scuri occhi liquidi. «Basta mordere gli stallieri» borbottò allo stallone.
Dopodiché Lan andò a cercare Lord Agelmar. Trovò il comandante che parlava con Tenobia fuori dalla sezione saldaeana dell’accampamento. Lì vicino c’erano uomini con archi a file di duecento, che osservavano il cielo. C’erano già stati diversi attacchi di Draghkar. Mentre Lan si avvicinava, la terra iniziò a tremare e rimbombare.
I soldati non lanciarono urla. Si stavano abituando a questo. La terra gemeva.
Lo spoglio terreno roccioso vicino a Lan si spaccò. Lui balzò indietro allarmato mentre il tremore continuava, osservando le minuscole crepe, cercando di distinguerle in dettaglio in mezzo a quel terremoto roboante.
Parevano essere crepe nel nulla. Attiravano la luce dentro di sé, la risucchiavano. Era come se Lan stesse guardando delle fratture nella natura della realtà stessa.
I tremori si placarono. L’oscurità dentro le crepe vi indugiò per qualche istante, poi scomparve e quelle sottilissime fratture diventarono semplici squarci nella pietra. Cauto, Lan si inginocchiò, esaminandole da vicino. Aveva davvero visto quello che aveva pensato? Cosa voleva dire?
Raggelato, si alzò in piedi e continuò per la sua strada. Non sono soltanto gli uomini a essere più stanchi, pensò. La Madre si sta indebolendo.
Si affrettò per l’accampamento saldaeano. Di quelli che combattevano al Passo, i Saldaeani avevano il campo tenuto meglio, gestito dalle mani severe delle mogli degli ufficiali. Lan aveva lasciato molti dei Malkieri non in grado di combattere a Fai Dara, e le altre armate erano venute con pochi altri tranne i guerrieri.
L’usanza saldaeana non era quella. Anche se abitualmente non andavano nella Macchia, in altre circostanze le donne marnavano con i loro mariti. Ciascuna sapeva combattere con i coltelli, e avrebbero difeso l’accampamento fino alla morte, se fosse stato necessario. Qui erano state estremamente utili nel raccogliere e distribuire provviste e occuparsi dei feriti.
Tenobia stava discutendo nuovamente di tattica con Agelmar. Lan ascoltò mentre il gran capitano shienarese annuiva alle sue richieste. Tenobia aveva una discreta comprensione delle cose, ma era troppo audace. Voleva che lanciassero un’offensiva nella Macchia e portassero lo scontro nei terreni dove avevano origine i Trolloc.
Alla fine notò Lan. «Lord Mandragoran» disse, squadrandolo. Era una donna piuttosto graziosa, con il fuoco negli occhi e lunghi capelli neri. «La tua ultima sortita è stata un successo?»
«Altri Trolloc sono morti» disse Lan.
«Combattiamo una battaglia gloriosa» disse lei con orgoglio.
«Ho perso un buon amico.»
Tenobia esitò, poi lo guardò negli occhi, forse cercandovi qualche emozione. Lan non ne mostrò. Bulen era morto bene. «Gli uomini che combattono hanno gloria,» le disse Lan «ma la battaglia stessa non è gloria. È e basta. Lord Agelmar, una parola.»
Tenobia si fece da parte e Lan portò con sé Agelmar. L’attempato generale rivolse a Lan un’occhiata di gratitudine. Tenobia osservò per un momento, poi si allontanò con due guardie che la seguivano da presso in tutta fretta.
Andrà in battaglia di persona prima o poi, se non la sorvegliamo, pensò Lan. Ha la testa piena di canzoni e storie.
Lui non aveva appena incoraggiato i suoi uomini a narrare quelle stesse storie? No. C’era una differenza, Lan poteva percepire una differenza. Insegnare agli uomini ad accettare che potevano morire e a riverire l’onore dei caduti... quello era diverso dal cantare inni su quanto era bello combattere in prima linea.
Purtroppo bisognava combattere in prima persona per imparare la differenza. Volesse la Luce che Tenobia non facesse nulla di troppo avventato. Lan aveva visto parecchi giovani con quello sguardo negli occhi. In tali casi, la soluzione era farli lavorare fino allo sfinimento per qualche settimana, facendoli esercitare a un punto tale che pensavano solo al loro letto, non alle ‘glorie’ che avrebbero trovato un giorno. Dubitava che quello sarebbe stato appropriato per la Regina in persona.
«Si è fatta sempre più avventata da quando Kalyan ha sposato Ethenielle» disse Lord Agelmar piano, unendosi a Lan mentre camminavano per le linee arretrate, annuendo a soldati di passaggio. «Penso che sia stato in grado di mitigarla un poco, ma ora, senza lui o Bashere a tenerla d’occhio...» Sospirò. «Be’, comunque sia. Cosa volevi da me, Dai Shan?»
«Combattiamo bene qui» disse Lan. «Ma la stanchezza degli uomini mi preoccupa. Saremo in grado di continuare a trattenere i Trolloc?»
«Hai ragione; il nemico riuscirà a sfondare, prima o poi» disse Agelmar.
«Cosa faremo, allora?» chiese Lan.
«Combatteremo qui» rispose Agelmar. «E poi, quando non potremo più resistere, ci ritireremo per guadagnare tempo.»
Lan si irrigidì. «Ritirarci?»
Agelmar annuì. «Siamo qui per rallentare i Trolloc. Lo otterremo trattenendoli qui per qualche tempo, poi arretrando lentamente attraverso lo Shienar.»
«Non sono venuto al Passo di Tarwin per ritirarmi, Agelmar.»
«Dai Shan, sono portato a credere che tu sia venuto qui a morire.»
Quella era la completa verità. «Non abbandonerò Malkier all’Ombra una seconda volta, Agelmar. Sono venuto al Passo
- e i Malkieri mi hanno seguito qui — per mostrare al Tenebroso che non eravamo stati sconfitti. Andarcene dopo essere stati realmente in grado di stabilire una posizione...»
«Dai Shan,» disse Lord Agelmar a voce più bassa mentre camminavano «rispetto la tua decisione di combattere. Tutti la rispettiamo: la tua marcia solitaria fino a qui ha ispirato migliaia di uomini. Quello può non essere stato il tuo scopo, ma è lo scopo che la Ruota ha intessuto per te. La determinazione di un uomo in cerca di giustizia è qualcosa che non può essere ignorato a cuor leggero. Comunque, esiste un momento per farti da parte e vedere cosa ha maggiore importanza.»
Lan si fermò, fissando l’attempato generale. «Stai attento, Lord Agelmar. Pare quasi che tu mi stia definendo egoista.»
«Proprio così, Lan» disse Agelmar. «E tu lo sei.»
Lan non trasalì.
«Sei venuto per gettar via la tua vita per Malkier. Ciò, di per sé, è nobile. Però, con l’Ultima Battaglia giunta su di noi, è anche stupido. Abbiamo bisogno di te. Degli uomini moriranno a causa della tua testardaggine.»
«Non ho chiesto loro di seguirmi. Luce! Ho fatto tutto ciò che potevo per fermarli.»
«Il dovere è più pesante di una montagna, Dai Shan.»
Allora Lan trasalì. Quanto tempo era passato da quando qualcuno era riuscito a farlo sobbalzare con semplici parole? Si ricordò di aver insegnato quello stesso concetto a un giovane dei Fiumi Gemelli. Un pastore che non conosceva il mondo, timoroso del destino messo davanti a lui dal Disegno.
«Alcuni uomini» disse Agelmar «sono destinati a morire e lo temono. Altri sono destinati a vivere e comandare, e lo trovano un fardello. Se desideri continuare a combattere qui finché l’ultimo uomo non sarà caduto, potresti farlo, e loro morirebbero cantando la gloria della battaglia. Oppure potresti fare ciò che è necessario per entrambi. Ritirarci quando vi siamo costretti, adattarti, continuare a ritardare e a tenere in stallo l’Ombra più a lungo che possiamo. Finché gli altri eserciti non potranno mandarti aiuto.
«Abbiamo un’armata eccezionalmente mobile. Ogni esercito ti ha mandato la sua miglior cavalleria. Ho visto novemila cavalli leggeri saldaeani eseguire manovre complesse con precisione. Possiamo far del male all’Ombra qui, ma i loro numeri si stanno rivelando troppo grandi. Più grandi di quanto avevo immaginato. Ne uccideremo altri mentre ti ritiriamo. Troveremo modi per punirli con ogni passo indietro che faremo. Sì, Lan. Tu mi hai nominato generale in capo di questa battaglia. Questo è il consiglio che ti do. Non sarà oggi né forse per un’altra settimana, ma noi avremo bisogno di indietreggiare.»
Lan continuò a camminare in silenzio. Prima che potesse formulare una risposta, vide una luce azzurra esplodere in aria. Il segnale d’emergenza dal Passo. Le unità che avevano appena ruotato sul campo avevano bisogno d’aiuto.
Ci penserò su, si disse Lan. Mettendo da parte la sua stanchezza, scattò verso le linee dei cavalli dove lo stalliere doveva aver lasciato Mandarb.
Non c’era bisogno che lui cavalcasse per questa sortita. Era appena tornato da un’altra. Decise di andare comunque; si ritrovò a urlare a Bulen di preparare un cavallo e si sentì uno sciocco. Luce, quanto si era abituato all’aiuto di quell’uomo.
Agelmar ha ragione, pensò Lan mentre gli stallieri si davano goffamente da fare per sellare Mandarb. Lo stallone era ombroso, percependo l’umore di Lan. Mi seguiranno, si disse. Come ha fatto Bulen. Guidarli alla morte nel nome di un regno caduto... guidare me stesso a quella medesima morte... in che modo è diverso dall’atteggiamento di Tenobia? Poco tempo dopo stava galoppando di nuovo verso le linee di difesa e trovò che i Trolloc le avevano quasi sfondate. Si unì alle truppe che si radunavano e per quella notte ressero. Prima o poi non ci sarebbero riusciti. Che avrebbe fatto allora?
Allora... allora avrebbe abbandonato di nuovo Malkier, e avrebbe fatto ciò che andava fatto.
L’esercito di Egwene si era radunato nella parte meridionale del Campo di Merrilor. Il loro Viaggio a Kandor era stato programmato una volta che Tarmata di Elayne fosse stata inviata a Caemlyn. Gli eserciti di Rand non erano ancora entrati a Thakan’dar, ma si erano mossi invece nelle zone di allestimento nella parte settentrionale del Campo, dove i rifornimenti potevano essere radunati più facilmente. Lui affermava che non era ancora il momento giusto per il suo assalto; volesse la Luce che stesse facendo progressi con i Seanchan.
Spostare così tante persone era un tremendo mal di testa. Le Aes Sedai creavano i passaggi in una fila enorme, come porte lungo un lato di una sontuosa sala dei banchetti. I soldati si ammucchiavano, attendendo il loro turno di varcarli. Molte delle incanalatrici più forti non erano coinvolte in quel compito: molto presto avrebbero incanalato in combattimento e creare passaggi non avrebbe fatto altro che consumare forze necessarie prima che cominciasse il lavoro importante.
I soldati lasciarono passare l’Amyrlin, naturalmente. Con l’avanguardia al suo posto e un accampamento stabilito sull’altro lato, era il momento che lei attraversasse. Aveva trascorso la mattinata incontrandosi con il Consiglio mentre esaminavano i rapporti sulle provviste e le valutazioni del terreno. Era lieta di aver permesso al Consiglio di assumere un ruolo più vasto nella guerra; le Adunanti, molte delle quali avevano vissuto ben oltre un secolo, potevano vantare una gran dose di saggezza.
«Non mi piace essere costretto ad aspettare così tanto» disse Gawyn, cavalcando accanto a lei.
Egwene lo fissò.
«Mi fido della valutazione del campo di battaglia del generale Bryne, e lo stesso vale per il Consiglio» disse Egwene mentre passavano accanto ai Compagni illianesi, le cui corazze erano decorate con le Nove Api di Illian sul davanti. Le rivolsero il saluto, i volti nascosti dietro i loro elmi conici con sbarre sul davanti.
Non era certa che le piacesse averli nel suo esercito — sarebbero stati più leali a Rand che a lei — ma Bryne aveva insistito. Diceva che all’armata di Egwene, per quanto enorme, mancava un gruppo scelto come i Compagni.
«Dico comunque che saremmo dovuti partire prima» insistette Gawyn mentre attraversavano il passaggio e arrivavano al confine di Kandor.
«Sono solo pochi giorni.»
«Pochi giorni mentre Kandor brucia.» Egwene poteva percepire la sua frustrazione. Poteva anche sentire che l’amava, con ardore. Era suo marito ora. Il matrimonio era stato officiato da Silviana in una semplice cerimonia la notte prima. Ad Egwene sembrava ancora strano aver autorizzato il proprio matrimonio. Quando eri l’autorità suprema, cos’altro potevi fare?
Mentre entravano nell’accampamento al confine di Kandor, Bryne si accostò, dando ordini concisi a pattuglie di esploratori. Quando raggiunse Egwene, smontò di sella e si profuse in un basso inchino, baciandole l’anello. Poi rimontò in sella e continuò. Era molto rispettoso, considerando che era stato praticamente convinto a forza a comandare questo esercito. Naturalmente aveva fatto le sue richieste e queste erano state accettate, perciò forse anche lui le aveva convinte a forza. Comandare le armate della Torre Bianca per lui era stata un’opportunità; a nessun uomo piaceva che gli venisse dato il benservito. Il gran capitano non si sarebbe mai dovuto trovare lì.
Egwene notò Siuan cavalcare al fianco di Bryne e sorrise dalla soddisfazione. Ora è legato strettamente a noi.
Egwene esaminò le colline al confine sudorientale di Kandor. Anche se mancavano di verde — come molti posti al mondo ora — la loro pacifica serenità non forniva alcun sentore che il Paese al di là fosse in fiamme. La capitale, Chachin, adesso era poco più che macerie. Prima di ritirarsi per unirsi alla battaglia con gli altri uomini delle Marche di Confine, la Regina Ethenielle aveva affidato le operazioni di salvataggio a Egwene e al Consiglio. Loro avevano fatto ciò che avevano potuto, mandando esploratori attraverso passaggi lungo le strade principali in cerca di profughi, poi portandoli via al sicuro... sempre che ci fosse qualche posto che si potesse considerare sicuro, ora.
L’esercito principale di Trolloc aveva lasciato le città in fiamme e adesso si stava spostando a sudest verso le colline e il fiume che formavano il confine di Kandor con Arafel.
Silviana si accostò a Egwene, dall’altra parte rispetto a Gawyn. Gli riservò solo un’occhiataccia — quei due avrebbero dovuto davvero smetterla di beccarsi; stava diventando stancante — prima di baciare l’anello di Egwene. «Madre.»
«Silviana.»
«Abbiamo ricevuto un aggiornamento da Elayne Sedai.»
Egwene si concesse un sorriso. Entrambe, indipendentemente, avevano preso a chiamare Elayne con il suo titolo della Torre Bianca piuttosto che con il suo titolo civile. «E?»
«Propone di organizzare una postazione dove i feriti possano essere mandati a essere Guariti.»
«Abbiamo parlato di far spostare le Gialle da un campo di battaglia all’altro» disse Egwene.
«Elayne Sedai si preoccupa di esporre le Gialle a un attacco» disse Silviana. «Vuole un ospedale stazionario.»
«Quello sarebbe più efficiente, Madre» disse Gawyn, sfregandosi il mento. «Trovare i feriti dopo una battaglia è una faccenda brutale. Non so cosa penserei del mandare delle sorelle a setacciare i morti. Questa guerra potrebbe prolungarsi per settimane, perfino mesi, se i gran capitani hanno ragione. Alla fine, l’Ombra inizierà a eliminare le Aes Sedai sul campo.»
«Elayne Sedai è stata assai... insistente» disse Silviana. Il suo volto era una maschera, il suo tono costante, eppure riusciva anche a trasmettere severa disapprovazione. Silviana era esperta in quello.
Ho aiutato a mettere Elayne al comando, ricordò Egwene a sé stessa. Rifiutarle qualcosa fisserebbe un cattivo precedente. Come obbedirle. Forse potevano rimanere amiche dopo tutto questo.
«Elayne Sedai mostra saggezza» disse Egwene. «Di’ a Romanda che dev’essere fatto a questo modo. Fa’ radunare l’intera Ajah Gialla per Guarire, ma non alla Torre Bianca.»
«Madre?» chiese Silviana.
«I Seanchan» disse Egwene. Dovette soffocare il serpente che si contorceva in profondità dentro di lei ogni volta che pensava a loro. «Non rischierò che le Gialle vengano attaccate mentre sono sole ed esauste per la Guarigione. La Torre Bianca è vulnerabile ed è un punto focale per il nemico, che siano i Seanchan o l’Ombra.»
«Un’argomentazione valida.» Silviana suonava riluttante. «Ma dove altrimenti? Caemlyn è caduta e le Marche di Confine sono troppo esposte. Tear?»
«No di certo» disse Egwene. Quello era un territorio di Rand e pareva troppo ovvio. «Andate a chiedere una proposta a Elayne. Forse la Prima di Mayene sarà disposta a fornire un edificio adatto, uno molto grande.» Egwene picchiettò il lato della sella. «Mandate le Ammesse e le novizie con le Gialle. Non voglio quelle donne sul campo di battaglia, ma la loro forza può essere messa a frutto nella Guarigione.»
Collegata a una Gialla, la più debole tra le novizie poteva fornire un filo di forza e salvare vite. Molte sarebbero state deluse: immaginavano di uccidere Trolloc. Be’, questo per loro sarebbe stato un modo di combattere senza mettersi in mezzo, non addestrate com’erano.
Egwene lanciò un’occhiata sopra la spalla. Il movimento attraverso i passaggi non sarebbe terminato a breve. «Silviana, riferisci le mie parole a Elayne Sedai» disse Egwene. «Gawyn, c’è qualcosa che voglio fare.»
Trovarono Chubain che supervisionava l’installazione di un centro di comando in una vallata a ovest del fiume che formava il confine tra Kandor e Arafel. Si erano spinti più avanti in questo territorio collinoso per incontrare i Trolloc in avvicinamento, dislocando truppe nelle valli adiacenti, con arcieri in cima alle alture assieme a unità difensive. Il piano sarebbe stato colpire con forza i Trolloc mentre cercavano di occupare le colline, infliggendo più danni possibile. Le unità di disturbo potevano aggredire il nemico ai fianchi mentre i difensori tenevano le colline per quanto più tempo potevano.
C’erano buone probabilità che prima o poi ne sarebbero stati spinti via, oltre il confine con l’Arafel, ma sulle ampie pianure arafelliane la loro cavalleria poteva essere usata in maniera più proficua. L’esercito di Egwene, come quello di Lan, aveva lo scopo di ritardare e rallentare i Trolloc finché Elayne non fosse riuscita a sconfiggere quelli a sud. Idealmente avrebbero dovuto reggere fino all’arrivo dei rinforzi.
Chubain le rivolse il saluto e li guidò a una tenda che era già stata montata lì vicino. Egwene smontò e fece per entrare, ma Gawyn le posò una mano sul braccio. Lei sospirò, annuì e lo lasciò entrare per primo.
All’interno, sul pavimento con le gambe incrociate, sedeva la donna seanchan che Nynaeve aveva chiamato Egeanin, anche se lei insisteva per essere chiamata Leilwin. Tre membri della Guardia della Torre sorvegliavano lei e l’Illianese suo marito.
Leilwin sollevò lo sguardo all’ingresso di Egwene, poi si mise immediatamente in ginocchio, profondendosi in un inchino aggraziato, la fronte che toccava il pavimento della tenda. Suo marito fece come lei, anche se i suoi movimenti parevano più riluttanti. Forse era semplicemente un attore peggiore di lei.
«Fuori» disse Egwene alle tre guardie.
Quelli non obiettarono, anche se uscirono lentamente. Come se lei e il suo Custode non potessero occuparsi di due persone che non erano in grado di incanalare. Uomini.
Gawyn prese posizione sul lato della tenda, lasciando lei a rivolgersi ai due prigionieri.
«Nynaeve mi ha detto che ci si può fidare un minimo di te» disse Egwene a Leilwin. «Oh, mettiti seduta. Nessuno si inchina così tanto nella Torre Bianca, nemmeno il più umile dei servitori.»
Leilwin si mise a sedere, ma tenne gli occhi abbassati. «Ho fallito enormemente nel compito che mi è stato assegnato, e nel farlo ho messo in pericolo il Disegno stesso.»
«Sì» disse Egwene. «I braccialetti. Ne sono al corrente. Gradiresti un’opportunità per ripagare quel debito?»
La donna si inchinò di nuovo con la fronte a terra. Egwene sospirò, ma prima che potesse ordinare alla donna di alzarsi, Leilwin parlò. «Per la Luce e la mia speranza di salvezza e di rinascita,» disse Leilwin «giuro di servirti e proteggerti, Amyrlin, sovrana della Torre Bianca. Per il Trono di Cristallo e il sangue dell’Imperatrice, io mi vincolo a te, per fare ciò che mi verrà comandato in ogni cosa, e di anteporre la tua vita alla mia. Sotto la Luce, che possa essere così.» Baciò il pavimento.
Egwene la guardò esterrefatta. Solo un Amico delle Tenebre avrebbe tradito un giuramento come quello. Naturalmente, ogni Seanchan era molto vicino all’essere un Amico delle Tenebre.
«Pensi che non sia ben protetta?» chiese Egwene. «Pensi che abbia bisogno di un’altra servitrice?»
«Penso solo a ripagare il mio debito» disse Leilwin.
Nel suo tono, Egwene percepì una rigidità, un’amarezza. Quello risuonava autentico. Alla donna non piaceva umiliarsi a questa maniera.
Egwene incrociò le braccia, turbata. «Cosa sai dirmi dell’esercito seanchan, delle sue armi e della sua forza, e dei piani dell’Imperatrice?»
«Conosco alcune cose, Amyrlin» disse Leilwin. «Ma ero un capitano di nave. Ciò che so riguarda la marina seanchan, e quello ti sarebbe di poca utilità.»
Ma certo, pensò Egwene. Lanciò un’occhiata a Gawyn, il quale scrollò le spalle.
«Per favore» disse Leilwin piano. «Permettimi di dar prova di me stessa a te in qualche modo. Mi rimane pochissimo di me. Il mio stesso nome non è più mio.»
«Per prima cosa,» disse Egwene «mi parlerai dei Seanchan. Non m’importa se pensi che sia irrilevante. Qualunque cosa mi dici potrebbe essere utile.» Oppure poteva rivelare che Leilwin era una bugiarda, cosa che sarebbe stata altrettanto utile. «Gawyn, vammi a prendere una sedia. Ho intenzione di ascoltare quello che dice. Dopodiché vedremo...»
Rand scartabellò la pila di mappe, appunti e rapporti. Stava con il braccio piegato dietro la schiena, un’unica lampada che ardeva sulla scrivania. Avvolta nel vetro, la fiamma danzava mentre dei refoli mulinavano per la tenda dove si trovava da solo.
La fiamma era viva? Mangiava, si muoveva da sé. Potevi soffocarla, perdo in un certo senso respirava. Cosa voleva dire essere vivi?
Un’idea poteva vivere?
Un mondo senza il Tenebroso. Un mondo senza il male.
Rand si voltò di nuovo verso le mappe. Quello che vide lo colpì. I preparativi di Elayne erano ottimi. Lui non aveva partecipato agli incontri per pianificare ogni battaglia. La sua attenzione era diretta verso il Nord. Verso Shayol Ghul. Il suo destino. La sua tomba.
Odiava il modo in cui queste mappe di battaglia, con annotazioni per gruppi e formazioni, riducevano vite di uomini a scarabocchi su una pagina. Numeri e statistiche. Oh, Rand ammetteva che la chiarezza — la distanza — era essenziale per un comandante in capo. Ma lo odiava comunque.
Qui davanti a lui c’era una fiamma che viveva, eppure qui c’erano anche uomini che erano morti. Ora che non poteva essere lui in persona a condurre la guerra, sperava di stare lontano da mappe come questa. Sapeva che vedere questi preparativi lo avrebbe fatto soffrire per i soldati che non poteva salvare.
Fu attraversato da un brivido improvviso che gli fece rizzare i peli delle braccia: un tremito distinto tra eccitazione e terrore. Una donna stava incanalando.
Rand sollevò la testa e trovò Elayne immobile sull’ingresso della tenda. «Luce!» disse lei. «Rand! Cosa ci fai qui? Stai cercando di uccidermi dallo spavento?»
Lui si voltò, posando le dita sulle mappe di battaglia, squadrandola. Questa era vita. Gote arrossite, capelli biondi con un accenno di miele e rosa, occhi che ardevano come un falò. Il suo abito cremisi mostrava il rigonfiamento dei figli che portava in grembo. Luce, quanto era bella.
«Rand al’Thor?» chiese Elayne. «Hai intenzione di parlarmi o desideri continuare con quello sguardo lascivo?»
«Se non posso guardare a quel modo te, con chi posso farlo?» chiese Rand.
«Non usare quel sorrisetto con me, contadino» disse lei. «Intrufolarti nella mia tenda? Andiamo. Cosa direbbe la gente?»
«Direbbero che volevo vederti. Inoltre non mi sono intrufolato. Le guardie mi hanno lasciato entrare.»
Elayne incrociò le braccia. «Non me l’hanno detto.»
«Sono stato io a chiedere loro di non farlo.»
«Allora, a conti fatti, ti sei intrufolato.» Elayne gli passò accanto. Aveva un odore stupendo. «Sul serio, come se Aviendha non fosse stata abbastanza...»
«Non volevo che i soldati normali mi vedessero» disse Rand. «Ero preoccupato che avrei disturbato il tuo accampamento. Ho chiesto alle guardie di non menzionare che ero qui.» Le si avvicinò, posandole la mano sulla spalla. «Dovevo rivederti, prima...»
«Mi hai visto a Merrilor.»
«Elayne...»
«Mi dispiace» disse lei, voltandosi di nuovo verso di lui. «Io sono felice di vederti, e sono lieta che tu sia venuto. Sto solo cercando di farmi entrare in testa in che modo tu rientri in tutto questo. In che modo noi rientriamo in tutto questo.»
«Non lo so» disse Rand. «Non l’ho mai capito. Mi dispiace.»
Elayne sospirò, sedendosi sulla sedia accanto alla scrivania. «Suppongo che sia un bene scoprire che esistono alcune cose che non puoi aggiustare con un gesto della mano.»
«C’è tanto che non posso aggiustare, Elayne.» Lanciò un’occhiata alla scrivania e alle mappe. «Così tanto.»
Non ci pensare, si disse.
Si inginocchiò davanti a lei, al che Elayne sollevò un sopracciglio finché Rand non le mise una mano sulla pancia, all’inizio con qualche esitazione. «Non lo sapevo» disse. «Non fino a poco tempo fa, la notte prima dell’incontro. Gemelli, si dice?» «Sì.»
«Perciò Tam sarà nonno» disse Rand. «E io sarò...»
Come avrebbe dovuto reagire un uomo a questa notizia? Avrebbe dovuto scuoterlo, mandarlo gambe all’aria? Rand aveva ricevuto la sua dose di sorprese nella vita. Pareva che non potesse più fare due passi senza che il mondo gli cambiasse attorno.
Ma questa... questa non era una sorpresa. Scoprì che, dentro di sé, aveva sperato che un giorno sarebbe stato padre. Era accaduto. Questo gli diede calore. Una cosa nel mondo stava andando per il verso giusto, anche se così tante erano andate storte.
Bambini. I suoi bambini. Chiuse gli occhi, inspirando e godendosi quel pensiero.
Non li avrebbe mai conosciuti. Li avrebbe lasciati orfani ancora prima che nascessero. D’altro canto, Janduin aveva lasciato Rand senza un padre e lui era cresciuto bene. Solo qualche spigolosità qua e là.
«Come li chiamerai?» chiese Rand.
«Se uno sarà un maschio, pensavo di chiamarlo Rand.»
Rand rimase immobile mentre le tastava il ventre. Quello era un movimento? Un calcio?
«No» disse piano. «Per favore, non dare il mio nome a nessuno dei due, Elayne. Lascia che vivano le loro vite. La mia ombra sarà già abbastanza lunga così com’è.»
«Molto bene.»
Lui alzò lo sguardo per incontrare i suoi occhi e la trovò che sorrideva con affetto. Elayne gli posò una mano liscia sulla guancia. «Sarai un buon padre.»
«Elayne...»
«Non una parola» disse lei, sollevando un dito. «Niente discorsi su morte o dovere.»
«Non possiamo ignorare quello che accadrà.»
«Non c’è nemmeno bisogno di rimuginarci sopra» disse lei. «Ti ho insegnato così tanto sull’essere un monarca, Rand. Pare che abbia dimenticato una lezione. Va bene prepararsi alle ipotesi peggiori, ma non ti ci devi crogiolare. Non ti ci devi fissare. Una Regina deve avere speranza prima di ogni altra cosa.»
«Ma io spero» disse Rand. «Spero per il mondo, per te, per tutti quelli che devono combattere. Ciò non cambia il fatto che ho accettato la mia stessa morte.»
«Basta» disse lei. «Non parliamo più di questo. Stanotte avrò una cena tranquilla con l’uomo che amo.»
Rand sospirò, ma si alzò e andò a mettersi sulla sedia accanto alla sua mentre lei chiamava le guardie presso l’ingresso della tenda affinché portassero loro da mangiare.
«Possiamo almeno discutere di tattica?» chiese Rand. «Sono davvero colpito da ciò che hai fatto qui. Non credo che sarei stato in grado di fare un lavoro migliore.»
«La maggior parte è opera dei gran capitani.»
«Ho visto le tue annotazioni» disse Rand. «Bashere e gli altri sono generali eccellenti, geni perfino, ma pensano solo alle loro battaglie specifiche. Serve qualcuno che li coordini, e tu lo stai facendo meravigliosamente. Hai un talento per questo.»
«No, non ce l’ho» disse Elayne. «Quello che ho è una vita trascorsa come Erede al Trono dell’Andor, addestrata per affrontare possibili guerre. Ringrazia il generale Bryne e mia madre per quello che vedi in me. Non hai trovato nulla che cambieresti nelle mie annotazioni?»
«Ci sono più di centocinquanta miglia tra Caemlyn e il Bosco di Braem, dove progetti di tendere l’imboscata all’Ombra» osservò Rand. «È rischioso. E se il tuo esercito venisse raggiunto prima di arrivare alla foresta?»
«Tutto dipende dal fatto che arrivi al Bosco di Braem prima dei Trolloc. Le nostre forze di disturbo useranno le cavalcature più forti e più veloci disponibili. Sarà un inseguimento estenuante, questo è fuor di dubbio, e i cavalli saranno quasi morti per quando arriveranno alla foresta. Ma speriamo che anche i Trolloc siano spossati per allora, cosa che dovrebbe renderci più facile il lavoro.»
Parlarono di tattica e la sera divenne notte. Giunsero dei servitori con la cena, brodo e cinghiale selvatico. Rand aveva voluto mantenere sotto silenzio la sua presenza nel l’accampamento, ma era impossibile ora che i servitori lo sapevano.
Si mise a cenare e si lasciò trasportare nella conversazione con Elayne. Quale campo di battaglia era in maggiore pericolo? Quale dei gran capitani lei avrebbe dovuto sostenere quando non fossero stati d’accordo, cosa che accadeva spesso? Come avrebbe funzionato questo con l’esercito di Rand, che attendeva ancora il momento giusto per attaccare Shayol Ghul?
La conversazione gli ricordò il tempo che avevano trascorso a Tear, rubando baci segreti nella Pietra tra una sessione di studio di politica e l’altra. Rand si era innamorato di lei in quei giorni. Vero amore. Non l’infatuazione di un ragazzo caduto da un muro che guardava una principessa: allora non aveva capito l’amore più di quanto un contadino che agitava una spada capisse la guerra.
Il loro amore era nato da cose che condividevano. Con Elayne lui poteva parlare di politica e del fardello del comando. Lei capiva. Capiva davvero, meglio di chiunque Rand conoscesse. Sapeva cosa voleva dire prendere decisioni che cambiavano le vite di migliaia di persone. Comprendeva cosa voleva dire essere al servizio della gente di una nazione. Rand trovava notevole che, anche se erano stati spesso lontani, la loro connessione ci fosse ancora. In effetti, sembrava perfino più forte. Ora che Elayne era Regina, ora che condividevano i bambini che stavano crescendo dentro di lei.
«Sei trasalito» disse Elayne.
Rand alzò lo sguardo dal suo brodo. La cena di Elayne era ancora a metà: lui l’aveva fatta parlare parecchio. Pareva che avesse finito, però, e teneva in mano una tazza di tè caldo.
«Sono cosa?» domandò Rand.
«Sei trasalito. Quando ho menzionato i contingenti che combattono per l’Andor sei trasalito, appena un poco.»
Non c’era da sorprendersi che l’avesse notato: era stata Elayne a insegnargli a osservare piccoli segnali nelle espressioni di quelli con cui parlava.
«Tutte queste persone combattono sotto il mio nome» disse Rand. «Così tanti che nemmeno conosco moriranno per me.»
«È sempre stato il fardello di un governante in guerra.»
«Dovrei essere in grado di proteggerli» disse Rand.
«Se pensi di poter proteggere tutti, Rand al’Thor, sei molto meno saggio di quanto fingi.»
Lui la guardò, incontrando i suoi occhi. «Non credo di poterlo fare, ma le loro morti pesano su di me. Mi sento come se dovessi essere in grado di fare di più, ora che ricordo. Lui ha cercato di spezzarmi e ha fallito.»
«È questo che è successo quel giorno in cima a Montedrago?»
Rand non ne aveva parlato con nessuno. Tirò la sua sedia più vicino quella di Elayne. «Lassù mi sono reso conto che avevo pensato troppo alla forza. Volevo essere duro, così duro. Nel far questo, ho rischiato di perdere la capacità di preoccuparmi degli altri. Era sbagliato. Perché possa vincere, deve importarmi. Questo, purtroppo, significa che devo consentire a me stesso di provare dolore per le loro morti.»
«E ricordi Lews Therin ora?» sussurrò lei. «Tutto quello che sapeva? Non è solo una facciata quella che hai assunto?»
«Io sono lui. Lo sono sempre stato. Ora lo ricordo.»
Elayne espirò, sgranando gli occhi. «Che vantaggio.»
Di tutte le persone a cui Rand l’aveva detto, solo lei aveva reagito a quel modo. Che donna stupenda.
«Ho tutta questa conoscenza, eppure non mi dice cosa fare.» Si alzò in piedi e si mise a passeggiare. «Dovrei essere in grado di risolvere questo, Elayne. Nessun altro dovrebbe morire per me. Questa è la mia lotta. Perché chiunque altro deve subire tali sofferenze?»
«Ci neghi il diritto a combattere?» disse lei, sedendosi più dritta.
«No, certo che no» disse Rand. «Non potrei negarti nulla. Vorrei solo avere un modo... un modo per far finire tutto questo. Il mio sacrificio non dovrebbe essere sufficiente?»
Elayne si alzò, prendendogli il braccio. Rand si voltò verso di lei.
Allora Elayne lo baciò.
«Ti amo» disse. «Tu sei un Re. Ma se tu provassi a negare alla brava gente dell’Andor il diritto di difendersi, il diritto di combattere nell’Ultima Battaglia...» I suoi occhi avvamparono, le guance arrossirono. Luce! I commenti di Rand l’avevano fatta davvero arrabbiare.
Non sapeva mai cosa lei avrebbe detto o fatto, e questo lo eccitava. Come l’eccitazione di guardare dei fiori notturni, sapendo che quello che ne sarebbe scaturito sarebbe stato bellissimo, ma non sapendo mai la forma esatta che quella bellezza avrebbe assunto.
«Ho detto che non ti negherei il diritto di combattere» disse Rand.
«Non si tratta solo di me, Rand. Si tratta di tutti quanti. Non riesci a capirlo?»
«Suppongo di riuscirci.»
«Bene.» Elayne si rimise a sedere e prese un sorso del suo tè, poi fece una smorfia.
«È andato a male?» chiese Rand.
«Sì, ma ci sono abituata. Tuttavia, è quasi peggio che non bere nulla, considerato quanto è guasto tutto quanto.»
Rand le si avvicinò e le prese la tazza dalle dita. La tenne in mano per un momento, ma non incanalò. «Ti ho portato qualcosa. Mi ero scordato di dirlo.»
«Del tè?»
«No, questo è solo un di più.» Le porse di nuovo la tazza e lei prese un sorso.
Sgranò gli occhi. «È stupendo. Come hai fatto?»
«Non l’ho fatto io» disse Rand sedendosi. «È stato il Disegno.»
«Ma...»
«Io sono ta’veren» disse Rand. «Attorno a me accadono cose, cose imprevedibili. Per lunghissimo tempo c’è stato un equilibrio. In una cittadina, qualcuno scopriva inaspettatamente un tesoro favoloso sotto le scale. Nella successiva che visitavo, la gente scopriva che le loro monete erano contraffatte, smerciate da uno scaltro falsario.
«Delle persone morivano in modi terribili; altre venivano salvate per un caso miracoloso. Morti e nascite. Matrimoni e divisioni. Una volta ho visto una piuma cadere dal cielo e finire di punta nel fango restando conficcata lì. Le dieci successive caddero allo stesso modo. Era tutto casuale. Due facce di una moneta lanciata.»
«Questo tè non è casuale.»
«Sì, lo è» disse Rand. «Ma vedi, in questi giorni io ottengo solo una faccia della moneta. Qualcun altro sta facendo le cose negative. Il Tenebroso introduce orrori nel mondo, causando morte, malvagità, pazzia. Ma il Disegno... il Disegno è equilibrio. Perciò agisce attraverso di me per fornire l’altra faccia. Quanto più terribile diventa l’opera del Tenebroso, tanto più potente diventa l’effetto attorno a me.»
«L’erba che cresce» disse Elayne. «Le nuvole che si diradano. Il cibo non più guasto...»
«Sì.» Be’, in certe occasioni qualche altro trucco aiutava, ma lui non li menzionò. Frugò in tasca in cerca di un borsello.
«Se ciò che dici è vero» replicò Elayne «allora non può mai esserci bene al mondo.»
«Certo che può.»
«E il Disegno non lo riequilibrerà?»
Rand esitò. Quella linea di ragionamento si avvicinava fin troppo al modo in cui aveva cominciato a pensare prima di Montedrago: che non aveva alternative, che la sua vita era stata pianificata per lui. «Finché ci importa,» disse Rand «può esserci del bene. Il Disegno non riguarda le emozioni... non riguarda nemmeno bene e male. Il Tenebroso è un potere esterno rispetto a esso, che lo influenza con la forza.»
E Rand vi avrebbe messo fine. Se ci fosse riuscito.
«Ecco» disse Rand. «Il dono che ti avevo detto.» Spinse il borsello verso di lei.
Elayne lo guardò, incuriosita. Slegò i lacci e tirò fuori la statuetta di una donna. Era eretta, con uno scialle a coprirle le spalle, anche se non assomigliava a una Aes Sedai. Aveva un viso maturo, attempato e saggio, con un’aria intelligente e un sorriso in volto.
«Un angreal?» chiese Elayne.
«No, un Seme.»
«Un... seme?»
«Tu hai il Talento di creare ter’angreal» disse Rand. «Creare angreal richiede un procedimento differente. Inizia con uno di questi, un oggetto creato per attingere il tuo Potere e instillarlo in qualcos’altro. Richiede tempo e ti indebolirà per diversi mesi, perdo non dovresti tentarlo mentre siamo in guerra. Ma quando l’ho trovato, dimenticato, ho pensato a te. Mi ero domandato cosa potessi darti.»
«Oh, Rand, anch’io ho qualcosa per te.» Si affrettò verso un portagioie in avorio posato su un tavolino da campo e tirò fuori un piccolo oggetto. Era un pugnale con una lama corta e smussata e un manico fatto di corno di cervo avvolto in filo d’oro.
Rand guardò il pugnale con aria interrogativa. «Senza offesa, ma sembra un’arma misera, Elayne.»
«È un ter’angreal, qualcosa che potrebbe esserti utile quando andrai a Shayol Ghul. Con questo, l’Ombra non potrà vederti.» Allungò una mano per toccargli il viso.
Lui mise la mano sulla sua.
Rimasero assieme a lungo quella notte.