11

La mattina dopo, in ufficio, Quellen trovò i suoi due intendenti che l’aspettavano insieme a un individuo, alto, goffo, malvestito, con un gran naso rotto, sporgente come un becco. Brogg aveva aperto al massimo la bocchetta dell’ossigeno.

«Chi è quest’uomo?» domandò Quellen. «L’avete arrestato?»

Che fosse il misterioso Lanoy? No, non sembrava probabile. Com’era possibile che quel malandato prolet, apparentemente così povero da non potersi neppure permettere una plastica al naso, fosse l’organizzatore dei viaggi nel tempo?

«Di’ al Sovrintendente chi sei» disse Brogg, spingendo avanti l’uomo con una gomitata.

«Mi chiamo Brand» disse il prolet, con una strana vocetta tremula. «Quindicesima Classe. Non ho fatto niente di male, signore; solo che lui mi aveva promesso una casa, un lavoro, aria pura…»

«L’abbiamo pizzicato in un’osteria» interruppe Brogg. «Ne aveva bevuti un paio di troppo, e stava raccontando a tutti che presto avrà un lavoro.»

«Così diceva quel tale» borbottò Brand. «Se gli davo duecento unità di credito mi avrebbe mandato in un posto dove tutti potevano lavorare. E avrei anche potuto inviare del denaro alla mia famiglia.»

«Impossibile» fece Quellen. «Mandare del denaro a casa? Risalire dal passato?»

«Era una trappola» disse Brogg. «Se i viaggi fossero possibili in ambedue i sensi, tutti i nostri calcoli sarebbero sbagliati. Non è possibile.»

«Come si chiamava quell’uomo?» domandò Quellen.

«Lanoy» rispose l’uomo.

Lanoy! Lanoy dappertutto. Tentacoli che si allungavano ovunque.

«Qualcuno mi ha dato questa» continuò a borbottare il prolet «e mi ha detto di mettermi in contatto con lui.»

Porse una scheda tutta accartocciata. Quellen l’aprì e la lesse. Diceva:


DISOCCUPATO?
PARLANE A LANOY

«Se ne trovano dappertutto» osservò poi, e, frugatosi in tasca, ne estrasse la scheda che gli avevano dato sulla rampa. L’aveva sempre portata con sé da quando gliel’avevano passata, come un talismano. La pose accanto all’altra. Erano identiche.


DISOCCUPATO?
PARLANE A LANOY

«Lanoy ha aiutato molti miei amici» spiegò Brand. «Mi ha detto che lavorano tutti e sono felici.»

«Dove li manda?» chiese con gentilezza Quellen.

«Non lo so, signore. Lanoy diceva che me l’avrebbe rivelato solo dopo il pagamento di duecento unità di credito. Ho racimolato tutti i miei risparmi. Stavo giusto per andare da lui, e mi ero fermato a bere un goccetto, quando…»

«Quando l’abbiamo pescato» concluse per lui Brogg. «Stava annunciando anche a chi non lo voleva sentire che andava da Lanoy per avere un impiego.»

«Uhm. Sai chi sono i saltati, Brand?»

«Nossignore.»

«Be’, non importa. Cosa ne diresti di portarci da Lanoy?»

«Non posso. Sarebbe disonesto. Tutti i miei amici…»

«E se noi ti obbligassimo?» insisté Quellen.

«Ma ha detto che mi avrebbe dato un lavoro. Non posso fargli una parte simile! Vi prego.»

Brogg lanciò una rapida occhiata a Quellen. «Lasciate provare a me» disse. «Dunque, secondo te, Lanoy ti dovrebbe dare un lavoro? Per duecento unità di credito?»

«Sissignore.»

«E se noi te ne trovassimo uno per niente? Non ti faremo niente. Basta che tu ci conduca da Lanoy e ti manderemo gratis dove lui ti avrebbe inviato a pagamento. E la tua famiglia verrà con te.»

Quellen sorrise. Coi prolets delle classi infime, Brogg era un migliore psicologo di lui: doveva ammetterlo.

«Mi sembrerebbe un’ottima proposta» disse Brand. «Solo che ci farei una brutta figura. Lanoy è stato molto gentile con me. Ma se dite che mi mandate per niente…»

«Proprio così, Brand.»

«Allora, credo che lo farò.»

Quellen chiuse la bocchetta dell’ossigeno. Brogg fece un cenno a Leeward, che portò via Brand. «Andiamo, prima che cambi idea» disse poi Quellen. «Si capisce che è ancora incerto.»

«Venite anche voi?» chiese Brogg. Il suo tono deferente era incrinato da una nota di sarcasmo. «Immagino che sarà uno dei quartieri peggiori della città. Sporcizia dappertutto. La sezione criminale…»

«Avete ragione» disse Quellen, arricciando il naso. «Non occorre che venga anch’io, bastate voi due. Io ho molto da fare qui.»

Appena i tre se ne furono andati, Quellen telefonò a Koll.

«Siamo sulla buona strada» disse. «Brogg e Leeward stanno per rintracciare l’uomo che si occupa dei saltati. Lo arresteranno fra poco.»

«Ottimo lavoro» rispose con freddezza Koll. «Dev’essere stata un’indagine interessante.»

«Vi riferirò non appena…»

«Prendetevela pure comoda. Spanner ed io stiamo discutendo di uno spostamento di personale, nel reparto. Non vogliamo essere disturbati per un’ora almeno.» E riappese.

Cosa voleva dire?, pensò Quellen. La freddezza della voce di Koll non era insolita, però era significativa. Koll non aveva fatto che insistere, da una settimana a quella parte, perché risolvesse il problema dei saltati, e adesso che finalmente era stato fatto qualche progresso, adesso che avevano arrestato un individuo capace di portarli fino a Lanoy, il superiore era stato brusco e non aveva dimostrato alcun interesse. Koll mi sta certamente nascondendo qualcosa, pensò ancora Quellen.

Aveva la coscienza inquieta. Immediatamente pensò che Koll avesse scoperto il suo segreto. Il viaggio che ho fatto stanotte in Africa, pensò, è stato scoperto. Mi sorvegliano, e quella è stata la prova decisiva contro di me. Adesso stanno istruendo il processo.

Sicuramente Brogg aveva ottenuto, per parlare, una somma più alta di quella che lui gli versava per tacere, e l’aveva venduto ai superiori. Koll era ormai al corrente di tutto e il licenziamento in tronco sarebbe stato per Quellen il minore dei guai.

La sua colpa era più unica che rara. Nessun altro, che lui sapesse, era stato così abile da trovare il modo di evadere dalla sovrappopolata Appalachia, la città tentacolare che dilagava in tutta la zona orientale del Nord America. Di tutte le centinaia di milioni di abitanti della megalopoli solo Joseph Quellen, Sovrintendente Criminale, aveva avuto l’astuzia di scoprire un angolino sconosciuto e non registrato nel cuore dell’Africa e di costruirsi laggiù una seconda casa. Era una cosa di cui andare fiero. Solo lui, fra gli appartenenti alla sua classe, poteva disporre del regolamentare alloggio di Appalachia e di una villa da Seconda Classe, che la maggior parte dei mortali non si poteva nemmeno sognare, lungo un fiume nel Congo. Era molto, molto bello per un uomo la cui anima si ribellava alle infernali condizioni della vita di Appalachia.

Ma per tenere a bada i ricattatori occorre parecchio denaro. Quellen aveva messo a tacere tutti coloro che erano a parte del suo segreto, e qualcuno, sicuramente Brogg, lo aveva tradito. Adesso, Quellen stava pattinando su una lastra di ghiaccio pericolosamente sottile.

Licenziamento e retrocessione l’avrebbero privato anche della stanzetta e lo avrebbero costretto a coabitare con qualcuno, come un tempo aveva coabitato con Bruce Marok. Quando apparteneva alla Dodicesima Classe, aveva vissuto prima nei dormitori per scapoli, poi, man mano che veniva promosso, in abitazioni più confortevoli, e non aveva mai trovato da lamentarsi. Da giovane, la presenza di estranei non gli dava tanto fastidio come adesso. Ma quando era arrivato all’Ottava Classe e aveva condiviso la stanza con un altro, uno solo, aveva passato il periodo più brutto della sua vita, di cui non sarebbe mai riuscito a scordarsi.

A suo modo, Marok era una brava persona, ma dava sui nervi a Quellen per il disordine, la sciatteria, le interminabili conversazioni al visifono e soprattutto, con la sua costante presenza. A quei tempi, Quellen non vedeva l’ora di essere promosso alla Settima Classe per avere il permesso di vivere da solo, senza più l’eterna presenza di un coabitante che lo controllava notte e giorno; sarebbe stato libero, libero di nascondersi dalla folla che lo soffocava.

Koll sapeva la verità? L’avrebbe scoperto fra poco.

In preda all’inquietudine, si avviò lungo il corridoio, verso la parte dell’edificio in cui erano installate le macchine di ascolto. Mentre aspettava, avrebbe potuto scoprire cosa avevano saputo sul conto di Norm. Il cancello scivolò entro il muro, dopo che Quellen ebbe appoggiato la mano sulla targa d’identificazione della porta. Dentro, si udivano ovunque gli strumenti ronzare. I tecnici salutarono rispettosamente Quellen. L’aria odorava di antisettico, come in ospedale.

«Dov’è l’apparecchio che sorveglia Pomrath?» domandò Quellen.

«Da questa parte, sovrintendente.»

«Chi se ne occupa?»

«È sull’automatico, adesso. Ecco qua.» L’uomo portò una poltrona pneumatica, e Quellen si sistemò davanti alle bobine che giravano. «Volete sentire cosa sta succedendo adesso, o ascoltare le registrazioni della notte scorsa?» gli domandò il tecnico.

«Un po’ di una cosa e un po’ dell’altra» rispose Quellen.

«Questo è il pulsante per l’ascolto dal vivo, e questo…»

«Lo so. Sono pratico.»

Il tecnico arrossì e si allontanò. Quellen premette il pulsante dell’ascolto immediato, ma lo staccò subito: suo cognato stava adempiendo alle funzioni naturali. Quellen si morse un labbro. Con gesto rapido e nervoso, manovrò i pulsanti in modo da poter ascoltare i nastri già registrati, in cui era fedelmente trascritto tutto ciò che Pomrath aveva detto e fatto da quando Brogg gli aveva infilato l’Orecchio ipodermico.

In così poco tempo Quellen non poteva ascoltare tutto, perciò fece scorrere il nastro in modo da ascoltare le conversazioni, che erano del resto molto rare. La sera prima, Pomrath era stato alla casa dei sogni, poi era tornato nella sua stanza. Aveva litigato con Helaine. Ascoltò questa parte.


POMRATH «Non me ne importa niente. Voglio rilassarmi.»

HELAINE «Ma noi abbiamo aspettato a cenare che tu tornassi.»

POMRATH «E non sono qui? Tu programma, io mangio.»


La lite continuava su quel tono, monotona e meschina. Quellen saltò un quarto d’ora più avanti, e scoprì che litigavano ancora, e la lite era punteggiata dai singhiozzi del nipote e dai commenti noiosi della piccola Marina. Quellen soffriva al pensiero che scene simili dovevano essere all’ordine del giorno in casa Pomrath. Saltò parecchi metri di nastro. Un monotono respiro. I Pomrath dormivano. Più oltre, i rumori del risveglio. I bambini che ciabattavano per casa. Pomrath sotto la doccia molecolare. Helaine che programmava, sbadigliando la lista della colazione.


POMRATH «Oggi esco presto.»

HELAINE «Credi davvero che otterrai un impiego in quel modo?»

POMRATH «Quale impiego? In che modo?»

HELAINE «Lo sai. Quella scheda che ti ho trovato in tasca. Non dovevi andare da un tizio, visto che sei disoccupato?»

POMRATH «Oh, quello!»


Quellen continuò ad ascoltare. La telemetria indicava ora che Pomrath era eccitato più del solito: il polso era più frequente, la temperatura più alta. Ciò nonostante, la conversazione finì senza che si fosse accennato a Lanoy. Quellen saltò qualche altro metro di nastro. L’indicatore gli disse che stava per entrare in ascolto diretto. Quellen saltò l’ultimo tratto ed entrò in ascolto.


POMRATH «Potete portarmi da Lanoy, vero?»


Il monitor era programmato in modo da far scattare un allarme non appena fosse stato menzionato il nome di Lanoy. Vi fu un impercettibile intervallo, mentre il calcolatore esaminava le onde sonore che formavano le parole pronunciate da Pomrath; poi l’allarme scattò. Una luce rossa si accese sul quadro dei comandi e un campanello echeggiò nel locale: Pong. Pong.

Tre tecnici accorsero verso lo strumento.

Pong.

«Andate pure» disse Quellen. «Sorveglio io. Spegnete quel maledetto allarme.»

Pong. Pong.

Quellen si protese per sentire meglio: aveva le mani umide di sudore, mentre ascoltava il cognato prendere accordi per tradire irreparabilmente la sua famiglia.


Pomrath si era allontanato di molto da casa, quella mattina, senza naturalmente accorgersi che tutti i suoi movimenti erano ritrasmessi al comando del Segretariato di Polizia e che non solo le sue parole, ma anche i battiti del suo cuore venivano registrati.

Nei giorni precedenti, e anche quando ancora non gli avevano inserito l’Orecchio, aveva fatto molte ricerche. Le minischede in cui Lanoy offriva i suoi servigi erano largamente diffuse, ma non era facile riuscire a scoprire dove fosse possibile trovare Lanoy. Ma Pomrath era un uomo tenace. E ormai, era deciso ad andarsene.

Non si aspettava più niente dalla vita. Certo, gli dispiaceva per Helaine e per i bambini. Avrebbe sentito la loro mancanza. Però non ne poteva più, e sapeva di essere sull’orlo di un collasso nervoso. Le parole gli parevano tutte prive di senso. Era capace di fissare per mezz’ora il giornale cercando di capire cosa volessero dire quei segni scritti sul foglio giallo, finché non gli sembravano dei microbi che si muovevano. KLOOFMAN. DISOCCUPAZIONE. RATA DELLE IMPOSTE. DANTON. MANKLOOF, ZIODINECUPPASO. TONDAN. ESTOMPI ELLED TARA. KL. OOF. DISOC. ASRA. Animaletti danzanti. ISOC. FMAN. Tempo sprecato. ANTO. DIS. RATAS, FLOOR, FLOOR! FLOOR!

KLOOF!

Quello che gli occorreva era una parola più semplice. Saltare in un posto non ancora appestato di umanità. Sì. Sì. Lanoy era la risposta. Gli pulsavano le tempie. Gli pareva che i lobi frontali si gonfiassero, spingendo avanti la fronte fino a un punto di rottura: «Potete dirmi come fare per trovare Lanoy?» Aveva l’impressione che la testa stesse per scoppiargli da un momento all’altro, scagliando in giro brandelli di cervello. «Sono disoccupato. Ho bisogno di vedere Lanoy.» FLOOK! ESSAT ERAT! «Lanoy?»

Un uomo basso, flaccido, con una fila di denti naturali nella mascella superiore e completamente sdentato nella inferiore, disse: «Vi porto io da Lanoy. Quattro crediti, va bene?»

Pomrath lo pagò. «Dove devo andare? Cosa devo fare?»

«Taxiespresso. Linea Sedici.»

«Dove devo scendere?»

«Prendetelo. Non pensate al resto.»

DISOC! FMAN! Pomrath si diresse alla rampa e salì a bordo. Gli pareva una fortunata coincidenza l’aver trovato con tanta facilità qualcuno pronto a dirgli in che modo rintracciare lo sfuggente Lanoy. Ma dopo averci pensato meglio, convenne che non si era affatto trattato di una coincidenza. L’uomo semi-sdentato era probabilmente un inviato di Lanoy, che lo seguiva, e si era tenuto pronto a indicargli il da farsi non appena lui si fosse deciso. Ma certo. Gli facevano male gli occhi. C’era nell’aria qualche sostanza irritante, forse un gas fatto apposta per danneggiare gli occhi, sparso per ordine dell’Alto Governo, allo scopo di levigare la cornea di tutti i prolets. MANK! NOTD! Pomrath si rincantucciò in un angolo della vettura. Una ragazza mastodontica col cranio rasato e gli zigomi sporgenti gli si avvicinò: «Da Lanoy?» chiese.

«Perché no?»

«Trasbordate alla Linea Nord.»

«Se lo dite voi.»

«È l’unico modo.» Gli sorrise. Pareva che la sua pelle cambiasse colore, passando attraverso tutto lo spettro, dall’infraverde all’ultragiallo. ISOCC! ESSAT! Pomrath tremava. Cosa avrebbe detto Helaine, quando l’avesse saputo? Si sarebbe risposata? I bambini avrebbero continuato a portare il suo nome? Il cognome Pomrath si sarebbe estinto? Sì. Sì. Perché laggiù ne avrebbe adottato uno diverso. FMANKI E se si fosse chiamato Kloofman? Sublime ironia: il mio pro-pro-pronipote diventerà membro dell’Alto Governo. Era una bella prospettiva.

Pomrath scese. La ragazza rimase a bordo. Come facevano a sapere chi era e dov’era diretto? Aveva paura. Il mondo era pieno di spettri. Pregate per il riposo della mia anima. Sono così stanco, OOF! TON!

Attese alla rampa. Intorno a lui, le guglie dei brutti caseggiati costruiti un secolo prima foravano il cielo. Ormai era lontano dalla zona centrale. In che puzzolente sobborgo era diretto? Arrivò un altro taxiespresso. Pomrath salì a bordo senza chiedere niente a nessuno. Sono nelle vostre mani, pensò. LANOY! YONAL! Chiunque, chiunque, ma fatemi andare via di qui.

Via.

Viaggiava verso nord: era ancora in Appalachia? Il cielo era cupo, forse programmato per la pioggia: un acquazzone per ripulire le strade. E se Danton avesse ordinato di far piovere acido solforico? Il fondo stradale che sibilava e mandava fumo, passanti che scappavano disperati, mentre le loro carni si scioglievano; l’ultimo, definitivo controllo della popolazione; morte dal cielo. La vettura si fermò. Pomrath scese, e aspettò sulla rampa. Pioveva, e le gocce picchiettavano il marciapiede.

«Sono Pomrath» disse a una vecchia dall’aria gentile.

«Lanoy vi aspetta. Venite.»

Dieci minuti dopo arrivò in un distretto rurale. C’era una baracca in riva a un lago. Si vedevano delle figure andare e venire con aria furtiva. Una voce gli sussurrò: «Lanoy vi aspetta là.»

Lanoy era un ometto con un gran naso e indossava un vestito che pareva di duecent’anni prima.

«Pomrath?»

«Direi.»

«Dodicesima Classe?»

«Quattordicesima» confessò Pomrath. «Siete disposto a mandarmi via di qui? Vi prego.»

«Il piacere è tutto mio.»

Pomrath guardò il lago. Era disgustoso, pullulava di vegetazione. Sull’acqua oleosa galleggiavano banchi di alghe untuose.

Lanoy disse: «Non è bello? Sei secoli di inquinamento ininterrotto, con in più tante inondazioni di discorsi ufficiali. La zona di rinnovamento è indietro di vent’anni rispetto al calcolo pubblico. Volete fare una nuotata? Qui non pratichiamo il battesimo, ma possiamo organizzare una cerimonia che si accordi alle tendenze religiose di chiunque.»

Pomrath ebbe un brivido. «Non so nuotare. Mi basta andar via di qui.»

«L’alga è la claphadora. Qualche volta arrivano qui dei biologi per ammirarla. Arriva fino a trenta metri di lunghezza. Ci sono anche dei vermi anerobici e dei molluschi primitivi. Non so come riescano a sopravvivere. Restereste sbalordito se sapeste qual è il contenuto di ossigeno dell’acqua.»

«Non c’è più niente capace di sbalordirmi» rispose Pomrath. «Vi prego.»

«È anche piena di colibacilli intestinali» gli fece notare Lanoy. «Credo che la media normale sia di dieci milioni ogni cento millimetri. Cioè diecimila volte più del massimo sopportabile per un organismo umano. Bello, eh? Entrate, Pomrath. Sapete, non è facile diventare un saltato.»

«Niente è facile, di questi tempi.»

«E allora, provate a pensare alle difficoltà» riprese Lanoy, facendolo entrare nella baracca. Pomrath notò con stupore che l’interno era in netto contrasto con l’esterno diroccato e sporco. Dentro, tutto era pulitissimo e in perfetto ordine. Una parete divideva la baracca in due ampi locali. Lanoy si lasciò cadere in un rete e rimase lì sospeso come un grosso ragno Pomrath rimase in piedi. «Posso farvi risalire fine al millenovecentonovanta» disse Lanoy. «O al duemilasettantasei o in qualche altro anno, a vostro piacimento. Non lasciatevi ingannare da quello che dicono i giornali. Siamo molto più bravi di quanto si crede. Apportiamo continui miglioramenti al procedimento.»

«Mandatemi dove volete» disse Pomrath.

«Dovreste dire quando, non dove. State un po’ a sentire, se io vi mando nel millenovecentonovanta, riuscireste a cavarvela? Non sareste neppure capace di parlare correttamente. La vostra lingua sembrerebbe un gergo incomprensibile, con la grammatica tutta scombinata. Conoscete la distinzione fra chi e che? Fra gli e lo? Come ve la cavereste coi tempi dei verbi?»

Pomrath sentiva il sangue pulsargli nelle arterie. Non riusciva a capire perché Lanoy lo avvolgesse in quel bozzolo di parole. Ne aveva abbastanza, delle parole.

«Non spaventatevi» rise Lanoy. «Non occorre che sappiate tutte queste cose. Anche allora erano già dimenticate. La lingua era già molto sciatta, anche se non quanto oggi, perché noi abbiamo avuto qualche secolo in più per ridurla ulteriormente. Comunque, avevano già eliminato coniugazioni e declinazioni. Con tutto ciò, vi ci vorrà una quindicina di giorni per imparare a comunicare in modo da farvi ricoverare in manicomio. Elettroshock, camicia di forza, insomma tutte le barbarie dei nostri antenati.»

«Basta che mi facciate andare via di qui.»

«La polizia vi interrogherà. Non date il vostro vero nome, Pomrath. Non comparite sull’elenco dei saltati, il che significa che avete dato un nome falso, e quindi non dovete assolutamente farlo. Trovatevene un altro. Se arriverete nel millenovecentosettantanove, od oltre, potete dire di essere un saltato. Ma se arrivate qualche anno o secolo prima, sarete alla mercé delle vostre risorse. Francamente, al vostro posto non mi piacerebbe. Siete intelligente, Pomrath, ma le preoccupazioni vi hanno logorato. Non correte rischi. Comportatevi da saltato ortodosso, e affidatevi alla mercé del passato. Ve la caverete.»

«Quanto costa?»

«Duecento unità di credito. Il puro costo del biglietto. Copre appena le spese dell’energia.»

«È sicuro?»

«Sicuro come una corsa in taxiespresso» rispose Lanoy sorridendo.

«Sarà un’esperienza sconcertante. Niente Alto Governo che vi sorvegli. Decine di stati indipendenti. Rivalità locali. Dovrete orizzontarvi, ma andrà tutto bene. Credo che ci riuscirete.»

«Non potrebbe essere peggio di qui.»

«Siete sposato, Pomrath?»

«Sì. Due bambini. Gli voglio molto bene.»

«Volete portare con voi la famiglia?»

«È possibile?»

«Si può tentare. Bisogna mandarvi separatamente, perché vi sono dei limiti di massa. Potreste arrivare scaglionati nel corso di una decina di anni. Prima magari arriverebbero i bambini, e qualche anno dopo voi e vostra moglie.»

Pomrath continuava a tremare. «Supponiamo che parta io per primo. Voi terreste nota di dove sono arrivato, cioè… di quando, in modo che la mia famiglia possa seguirmi, se mia moglie lo desidera?»

«Certamente. Vedremo di fare tutto il possibile. Ci metteremo in contatto con la signora Pomrath, che, volendolo, potrà seguirvi. Dunque, Pomrath, siete d’accordo?»

«Certo, e lo sapete.»

Quellen seguiva la conversazione in uno stato di trance. Non vedeva Lanoy, non aveva idea del posto in cui aveva luogo il dialogo, ma tuttavia si rendeva conto che suo cognato stava per ingrossare la lista dei saltati, senza che lui potesse farci niente. A meno che Brogg e Leeward non riuscissero ad arrivare in tempo ad arrestare Lanoy…

Una voce disse: «Signore, c’è una chiamata da parte dell’intendente Brogg.»

Quellen si allontanò dal monitor. Gli porsero un telefono privo di video. Quellen portò all’orecchio il ricevitore.

«Dove siete?» chiese. «Avete già rintracciato Lanoy?»

«Stiamo dandoci da fare. Abbiamo scoperto che Brand ignora la località esatta. Conosceva semplicemente qualcuno che conosceva qualcun altro che l’avrebbe portato da Lanoy.»

«Capisco.»

«Però sappiamo di che zona si tratta. La stiamo sorvegliando per televettore. È solo questione di tempo, ormai. Poi riusciremo a prendere Lanoy.»

«Quanto tempo?» chiese freddamente Quellen.

«Circa sei ore, mezz’ora più mezz’ora meno. Comunque gli metteremo le mani addosso entro oggi.»

Sei ore, pensò Quellen. Più o meno. E poi avrebbero arrestato Lanoy.

Ma ormai Norman Pomrath sarebbe già diventato un saltato.

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