La caverna si apriva sul fianco di una collina frastagliata, in una zona di terreno torturato dove crepacci, spuntoni di roccia e una profusione di sterpaglia pungente rendevano difficile camminare per l’uomo e gli animali.
Lain Maraquine fu contento di lasciare che il blucorno si scegliesse la strada tra i vari ostacoli, e si limitò a dargli qualche strappo occasionale per tenerlo in linea con la bandiera arancione che segnava la posizione della caverna. I quattro soldati a cavallo della sua guardia personale, obbligatoria per un ufficiale superiore della SAS, lo seguivano lentamente a una certa distanza, e il mormorio della loro conversazione si mescolava con il pesante ronzio degli insetti. La piccola notte non era passata da molto e il sole alto stava scaldando il terreno, stendendo sull’orizzonte un manto sfumato di rosso, tremolante di aria calda.
Lain si sentiva insolitamente rilassato, lieto di avere avuto la possibilità di uscire dalla base aerea e di occuparsi di faccende che non avevano niente a che vedere con le crisi del mondo e il viaggio interplanetario. Il ritorno prematuro di Toller dal volo sperimentale, dieci giorni prima, aveva coinvolto Lain in un giro vorticoso di riunioni, consultazioni e lunghi studi dei nuovi dati scientifici. Un gruppo, nell’amministrazione della SAS, avrebbe voluto un secondo volo sperimentale completo di atterraggio su Sopramondo, che effettuasse anche il rilevamento dettagliato del continente centrale. In circostanze normali Lain sarebbe stato d’accordo, ma l’urgenza della situazione sempre peggiore a Kolcorron faceva passare in seconda linea qualunque altra cosa.
“L’obiettivo di produzione di mille astronavi è stato raggiunto con qualche giorno di anticipo, grazie alla fermezza della direzione e ai principi Leddravohr e Chakkel.
“Cinquanta navi sono state riservate per i nobili e gli aristocratici del Paese, che viaggerebbero in piccoli gruppi familiari con maggiori comodità, sebbene non erano affatto tutti i nobili che avevano deciso di prendere parte alla migrazione. Altre duecento sono state destinate a vascelli da carico, per portare cibo, bestiame, semi, armi, materiali e macchinari essenziali; e altre cento ad uso del personale militare. Le restanti seicentocinquanta navi, con un equipaggio ridotto di due uomini, hanno la capacità di trasportare quasi 12.000 persone, solo una parte quindi della popolazione di Mondo.
All’inizio della grande impresa Re Prad aveva decretato che l’emigrazione sarebbe avvenuta su basi puramente volontarie, con uguale numero di maschi e femmine, e che i posti disponibili sarebbero stati assegnati privilegiando le persone in possesso di qualifiche professionali di primaria importanza.
“Per un lungo periodo di tempo la cittadinanza cocciuta aveva rifiutato di considerare seriamente la proposta, prendendola come un gioco, una follia del Re di cui chiacchierare nelle taverne. I pochi che avevano dato la loro adesione erano fatti oggetto di derisione, e tutto lasciava pensare che se le astronavi si fossero mai riempite, ciò sarebbe avvenuto solo con la punta della spada.
“Prad aveva deciso di attendere il momento opportuno, ben sapendo che forze più grandi di quelle che lui avrebbe mai potuto mettere in campo stavano per muoversi. II flagello dei ptertha, la carestia e l’improvviso disgregarsi dell’ordine sociale avevano infatti esercitato le loro potenti pressioni, e nonostante la condanna della Chiesa, il numero di emigranti volontari era cresciuto. Ma tale era il conservatorismo dei Kolcorriani, e così radicale la soluzione ai loro problemi, che restava ancora un certo grado di riserva, una ferma convinzione che ogni privazione o pericolo su Mondo fosse preferibile alla morte quasi inevitabile e del tutto innaturale nelle aliene distese del cielo.
“Poi era arrivata la notizia che una nave della SAS aveva percorso più di metà strada verso Sopramondo, ed era tornata indenne.
In poche ore ogni posto ancora disponibile per il volo di migrazione era stato assegnato, e improvvisamente quelli che avevano le qualifiche migliori furono oggetto di invidia e risentimento. L’opinione pubblica fece un voltafaccia fulmineo e irrazionale, e molti di coloro che avevano rifiutato anche la sola idea di volare verso il pianeta gemello cominciarono a sentirsi vittime di discriminazione.
Persino la maggioranza troppo apatica per interessarsi anche di questioni di portata storica era presa dai racconti di vagoni carichi di provviste che sparivano attraverso i cancelli della Caserma Astronavi…”
Lain aveva dichiarato che il volo sperimentale aveva raggiunto tutti i suoi maggiori obiettivi, superando il punto medio, ed effettuando con successo il capovolgimento. La discesa fino a terra sarebbe stata una faccenda tranquilla e prevedibile, e gli schizzi del continente centrale fatti da Zavotle, che l’aveva guardato con il binocolo, erano abbastanza buoni da mostrare che era abbastanza sgombro da montagne e da altri tipi d’ostacolo che avrebbero potuto rendere difficoltoso l’atterraggio Persino la perdita di un membro dell’equipaggio era servita a far capire chiaramente che non era il caso di cucinare in condizioni di assenza di peso. Il comandante della nave meritava le congratulazioni per come aveva condotto la missione raggiungendo lo scopo voluto, aveva concluso Lain, e la migrazione vera e propria poteva davvero cominciare nell’immediato futuro.
Le sue argomentazioni erano state accettate.
La partenza del primo squadrone di quaranta astronavi, che dovevano trasportare per la maggior parte soldati e addetti alle costruzioni, era stabilita per il Giorno 80 dell’anno 2630.
Mancavano solo sei giorni a quella data, e mentre il blucorno saliva su per la collina verso la caverna, Lain si rese conto che, stranamente, non era affatto eccitato dalla prospettiva di volare verso Sopramondo. Se tutto fosse andato secondo i piani lui e Gesalla sarebbero partiti su una nave del decimo squadrone, e anche considerando eventuali ritardi causati dal cattivo tempo o dall’attività ptertha, avrebbero lasciato il pianeta entro una ventina di giorni. Perché era così poco emozionato dall’imminenza di quella che era insieme la più grande avventura personale della sua vita, la più bella opportunità scientifica che avrebbe mai potuto sognare, la più audace impresa nell’intera storia del genere umano?
Forse aveva troppa paura persino per permettersi di pensarci? Era che il crescente disaccordo con Gesalla, mai ammesso ma di cui era pienamente cosciente, aveva incrinato una radice spirituale, rendendolo emozionalmente arido e sterile? O era pura e semplice mancanza d’immaginazione da parte di uno che si era sempre vantato delle qualità superiori della sua mente?
Il torrente di domande e dubbi s’interruppe quando il blucorno raggiunse una sporgenza della roccia e Lain vide l’entrata della caverna poco davanti a lui. Grato per quella pausa ai suoi problemi interiori, saltò a terra e aspettò che i soldati lo raggiungessero. Le facce dei quattro uomini grondavano di sudore sotto gli elmetti di pelle, ed erano evidentemente sconcertati da quel posto così desolato.
— Mi aspetterete qui — disse Lain al sergente corpulento.
Dove metterete le sentinelle? Il sergente si schermò gli occhi dai raggi quasi verticali del sole che stava oltrepassando il disco bordato di fuoco di Sopramondo. — In cima alla collina, signore. Si dovrebbero vedere cinque o sei posti di osservazione da lì.
— Bene! Io entro in questa caverna e non voglio essere disturbato. Chiamatemi soltanto se c’è un allarme ptertha.
— Sì, signore.
Mentre il sergente smontava e disponeva i suoi uomini, Lain aprì le ceste legate ai fianchi del suo blucorno e tirò fuori quattro lanterne a olio. Diede fuoco agli stoppini con una lente, prese le lampade dalla loro corda di vetro e le portò nella caverna. L’entrata era piuttosto bassa, e stretta quanto una porta. Per un momento l’aria fu persino più calda che fuori, poi Lain si trovò in una zona di buio freddo, dove le pareti si allargavano a formare un ambiente spazioso. Mise le lampade sul pavimento sporco e aspettò che i suoi occhi si abituassero alla luce fioca.
La caverna era stata scoperta all’inizio dell’anno da un sorvegliante che stava ispezionando la collina in vista di farne un possibile posto d’osservazione. Forse per entusiasmo genuino, forse per il desiderio di gustare la nota ospitalità di Lord Glo, il sorvegliante si era recato a Greenmount e aveva descritto le meraviglie della caverna. Il rapporto aveva raggiunto Lain poco più tardi e lui aveva deciso di controllare la scoperta con i suoi occhi non appena avesse avuto del tempo da sottrarre al suo lavoro. Adesso, circondato da un fioco schermo di ombre guizzanti, gli sembrò che il suo ingresso in quel luogo buio fosse simbolico. Stava guardando verso il passato di Mondo e voltando le spalle al futuro di Sopramondo, confessando che non voleva alcuna parte nel volo di migrazione e in quello che gli girava intorno.
Le figure sui muri della caverna stavano diventando visibili.
Non c’era nessun ordine nelle scene dipinte. Sembrava che le zone più grandi e piatte fossero state usate per prime, e che generazioni successive di artisti avessero riempito gli spazi rimanenti con scene frammentarie, usando grande ingegnosità per incorporare protuberanze, cavità e fessure nei loro disegni.
Il risultato era uno scenario labirintico nel quale l’occhio era costretto a vagare incessantemente da cacciatori seminudi a gruppi di famiglia, ad alberi di brakka stilizzati, ad animali strani e familiari, scene erotiche, demoni, pentole, fiori, scheletri umani, armi, bambini che succhiavano il latte, astrazioni geometriche, pesci, serpenti, manufatti irriconoscibili e simboli impenetrabili. Qualche volta c’erano delle linee cardinali scanalate nella roccia e riempite di pece, che rallentavano la sensazione vertiginosa di quella successione d’immagini; altre scene si presentavano con un’ambiguità spaziale, e una forma umana o animale poteva essere desunta da niente altro che la sfumatura cangiante di una striscia di colore.Per la maggior parte i colori erano ancora vividi dove dovevano essere vividi, e sfumati dove l’artista aveva voluto che fossero tali, ma in certi posti il tempo stesso aveva contribuito alla complessità figurativa, inserendo chiazze di umidità e macchie di funghi.
Lain era sopraffatto, come mai prima, da un senso di eternità.
Le tesi basilari della religione Kolcorriana erano che Mondo e Sopramondo erano sempre esistiti ed erano sempre stati come erano nei tempi moderni, poli gemelli per la continua alternanza di corpi e spiriti umani. Quattro secoli prima era stata addirittura combattuta una guerra per mettere al bando l’eresia Bithiana, che dichiarava che una persona sarebbe stata ripagata di una vita di virtù su uno dei pianeti con uno status più elevato nella successiva reincarnazione sul pianeta gemello. L’obiezione principale della Chiesa era stata contro l’idea di progresso, e di conseguenza di cambiamento, in conflitto con il dogma fondamentale di un ordine immutabile ed eterno. Lain trovava facile da credere che il macrocosmo fosse sempre stato com’era, ma nel piccolo particolare della storia umana i cambiamenti erano evidenti, e risalendo a ritroso si poteva arrivare a… questo!
Non aveva alcun modo per stimare l’età delle pitture della caverna, ma il suo istinto gli diceva che si doveva contare in millenni e non in secoli. Lì c’era la prova che una volta gli uomini erano vissuti in circostanze enormemente diverse, che avevano pensato in modi diversi, e avevano diviso il pianeta con animali che non esistevano più. Sentì un’acuta curiosità intellettuale mista a rammarico quando si rese conto che lì, nei confini di una cavità rocciosa, c’era materiale di lavoro per un’intera vita. Sarebbe stato possibile per lui conciliare le astrazioni della matematica con lo studio della sua stessa razza, un’impresa infinitamente più naturale e meritevole che fuggire su un altro mondo.
“Posso ancora farlo?”
Il pensiero, benché serio solo a metà, sembrò intensificare il freddo della caverna e Lain si strinse nelle spalle in un accenno di brivido… Si ritrovò, come era successo spesso di recente, ad analizzare la sua decisione di volare su Sopramondo.
Era la soluzione logica, la valutazione di un filosofo, o qualcosa che sentiva di dovere a Gesalla e al bambino che lei era determinata ad avere, per dargli un futuro diverso? Finché non aveva cominciato a esaminare i suoi propri motivi, c’erano solo due chiarissime alternative: volare su Sopramondo e abbracciare il futuro, o stare su Mondo e morire con il passato.
La maggioranza della gente non si sarebbe dibattuta in quell’indecisione. Avrebbe seguito l’istinto: rifiutando di stare giù ad aspettare la morte, oppure rifiutando la possibilità disfattistica che i ptertha ciechi e senza mente potessero trionfare sul genere umano.Certo, il volo di migrazione non avrebbe potuto aver luogo senza la cooperazione di quelli che erano rimasti dietro le quinte, gli addetti al gonfiaggio, gli avvistatori ptertha, i militari che difendevano la Caserma Astronavi, i luogotenenti che avrebbero continuato a mantenere l’ordine dopo che il Re e il suo seguito fossero partiti.
Ma la razza umana non sarebbe finita nella lunga notte che stava per calare su Mondo, Lain ora l’aveva capito. Potevano passare molti anni, decadi, con una popolazione nascosta e ridotta, ma forse il processo avrebbe infine prodotto un nuovo ceppo di gente forte, praticamente invulnerabile, pochi di numero, magari obbligati a vivere sotto terra in condizioni di inimmaginabili privazioni. Lain non voleva far parte di quel quadro terribile, ma il punto era che lui si sentiva capace di scavarcisi la sua nicchia. Che, volendolo veramente, sarebbe stato capace di vivere anche fuori di quel pezzo di terra che gli era stato dato in concessione, ma sempre sul pianeta dov’era nato, dove la sua esistenza aveva importanza e significato.
E Gesalla?
Lei era troppo leale per prendere in considerazione la possibilità di partire senza di lui. Il suo carattere era tale che il solo fatto di essersi allontanati mentalmente l’avrebbe fatta avvicinare fisicamente ancora di più, in obbedienza ai voti matrimoniali. Lui dubitava che lei avesse mai ammesso neppure con se stessa di essere…
Gli occhi di Lain, scorrendo in fretta l’antichissimo affresco che lo circondava, cercarono l’immagine di un bimbetto che giocava. Era un piccolo riquadro, alla giuntura triangolare di tre scene più grandi, e mostrava un maschietto tutto preso da qualcosa che sembrava una bambola e che stava tenendo in una mano. L’altra mano era aperta di lato, come se lui cercasse di raggiungere un animale domestico, e subito più in là c’era un cerchio vuoto. Il cerchio era privo di colorazione e avrebbe potuto rappresentare molte cose, una grande palla, un pallone aerostatico, un Sopramondo piazzato in modo bizzarro, ma Lain era stranamente tentato di vederlo come un ptertha.
Prese una lanterna e andò più vicino. La maggiore illuminazione gli confermò che il cerchio non era mai stato colorato, il che era strano, considerando che quegli antichi artisti avevano mostrato grande scrupolosità e precisione nel rendere altri soggetti magari più insignificanti. Questo implicava che la sua interpretazione era sbagliata, specialmente dal momento che il bambino, nel dipinto incompleto, era evidentemente tranquillo e per nulla turbato dalla vicinanza di quello che sarebbe dovuto essere un oggetto di terrore.
Le elucubrazioni di Lain furono interrotte dal rumore di qualcuno che entrava nella caverna. Accigliandosi, seccato, alzò la lanterna, poi fece un involontario passo indietro quando vide che il nuovo arrivato era Leddravohr. Il sorriso del principe balenò per un momento mentre lui superava lo stretto passaggio, con la spada che strisciava contro la parete, e faceva vagare intorno lo sguardo.
— Buon dopogiorno, principe — disse Lain, sconcertato di scoprire che stava cominciando a tremare. Molti incontri con Leddravohr nel corso del suo lavoro per la SAS gli avevano insegnato a mantenere la sua compostezza; ma allora c’erano altre persone, e nell’atmosfera asettica di qualche ufficio, mentre ora, nello spazio chiuso della caverna, Leddravohr era enorme, inumanamente potente e spaventoso. Era abbastanza lontano da Lain, e sembrava uscito da una delle immagini primitive che brillavano nella circostante mezza luce.
Leddravohr diede un’occhiata superficiale a tutta la caverna prima di parlare. — Mi è stato dettò che c’era qualcosa di rimarchevole qui, Maraquine. Sono stato male informato?
— Non credo, principe. — Lain sperava di essere riuscito a non far tremare la sua voce.
— Non credete? Bene, cos’è che il vostro fine intelletto apprezza e il mio no?
Lain cercò una risposta che gli permettesse d’ignorare il sarcasmo che Leddravohr gli aveva dedicato. — Non ho avuto tempo per studiare le pitture, principe, ma sono interessato al fatto che sono evidentemente molto vecchie.
— Quanto vecchie?
— Forse tre o quattromila anni.
Leddravohr fece una smorfia divertita. — Questo è impossibile. State dicendo che questi scarabocchi sono più vecchi della stessa Ro-Atabri?
— Era solo la mia opinione, principe.
— Vi sbagliate. I colori sono troppo freschi. Questo posto è stato un rifugio clandestino durante una delle guerre civili. Qualche insorto si è nascosto qui e… — Leddravohr si fermò per guardare da vicino una scena che mostrava due uomini in una contorta posizione sessuale. — E potete vedere cosa facevano per passare il tempo. È questo che vi interessa, Maraquine?
— No, principe.
— Non perdete mai la pazienza, Maraquine?
— Cerco di evitarlo, principe. Leddravohr sbuffò di nuovo, fece un giro a passi lenti per la caverna e tornò da Lain. — Va bene, potete smettere di tremare. Non vi toccherò. Può interessarvi sapere che sono qui perché mio padre ha sentito parlare di questa tana di ragno. Vuole i disegni accuratamente copiati. Quanto ci vorrà?
Lain diede uno sguardo intorno alle pareti. — Quattro buoni disegnatori potrebbero, farcela in un giorno, principe.
— Sistemate voi la cosa. — Leddravohr lo fissò con un’espressione illeggibile sul volto liscio.— Come ci si può interessare, tanto a posti come questo? Mio padre è vecchio e stanco e dovrà presto affrontare il volo per Sopramondo; la maggior parte della popolazione è stata spazzata dall’epidemia e quello che ne resta si sta preparando a insorgere; alcune unità dell’esercito stanno addirittura diventando indisciplinate, adesso che hanno fame e che gli è arrivato all’orecchio che presto io non sarò più qui a controllare il loro comportamento, e ciononostante mio padre si preoccupa di vedere questi miserabili scarabocchi! Perché, Maraquine, perché? Lain era impreparato alla domanda.— Re Prad sembra avere gli istinti di un filosofo, principe.
— Volete dire che è come voi?
— Non intendevo elevare me stesso a…
Lasciate perdere, era questo che volevate dire? Che vuole conoscere le cose perché vuole conoscere le cose?
— Questo è quello che significa filosofo, principe.
— Ma… — Leddravohr si interruppe quando si sentì un clangore d’armi all’entrata della caverna e apparve il sergente della guardia personale di Lain. Salutò Leddravohr e, sebbene agitato, aspettò per il permesso di parlare.
— Procedi, uomo — disse Leddravohr.
— A ovest si sta alzando il vento, principe. Siamo preoccupati dei ptertha.
Leddravohr Io congedò. — Va bene. Ce ne andremo subito.
— Il vento si sta alzando in fretta, principe — insistette il sergente, evidentemente non molto contento all’idea di rimanere quando era già stato congedato.
— E un navigato vecchio soldato come te non vede alcun motivo di correre rischi inutili. — Leddravohr gli mise una mano sulla spalla e lo scosse scherzosamente, un’intimità che non avrebbe concesso all’aristocratico di rango più elevato. — Prendi i tuoi uomini e vai via subito, sergente.
Gli occhi del militare emisero un bagliore di gratitudine e di adorazione insieme mentre si affrettava ad uscire. Leddravohr l’osservò andarsene, poi si rivolse a Lain.
— Stavate spiegando questa passione per la conoscenza inutile — disse. — Continuate!
— Io… — Lain cercò di organizzare i suoi pensieri. — Nella mia professione ogni conoscenza è vista come utile.
— Perché?
— È parte di un tutto..’, di una struttura unica… e quando questa struttura è completa anche l’Uomo sarà completo e avrà il totale controllo del suo destino.
— Belle parole! — Lo sguardo di disappunto di Leddravohr si fermò sulla figura più vicina a Lain. — Credete davvero che il futuro della nostra razza sia racchiuso nell’immagine di quel marmocchio che gioca a palla?
— Questo non è quello che ho detto, principe.
— Questo non è quello che ho detto, principe — lo canzonò Leddravohr. — Non mi hai detto niente, filosofo.
— Mi dispiace che non abbiate sentito niente — disse Lain con calma.
Il sorriso di Leddravohr lampeggiò immediatamente. — Questo voleva essere un insulto, no? L’amore per il sapere deve essere un’ardente passione davvero se comincia a rinforzare la vostra spina dorsale, Maraquine. Continueremo questa discussione durante il ritorno. Venite!
Leddravohr si diresse all’entrata, si mise di fianco e superò lo stretto passaggio. Lain spense le quattro lanterne lasciandole dov’erano e seguì Leddravohr all’esterno. Una brezza sostenuta soffiava giù dal profilo irregolare della collina. Leddravohr, già sul blucorno, osservò divertito Lain che raccoglieva le pieghe della sua tunica e si issava in sella con movimenti goffi. Dopo uno sguardo indagatore, al cielo, Leddravohr fece strada giù dalla collina, controllando la sua cavalcatura con la sicura disinvoltura dell’esperto.
Lain, cedendo a un impulso, spinse il suo animale in avanti, su una traccia quasi parallela, deciso a restare a fianco del principe. Erano quasi a metà strada quando si accorse che stava guidando il blucorno a tutta velocità dentro una pozza di argilla molle. Cercò di tirarlo verso destra, ma riuscì soltanto a fargli perdere l’equilibrio. L’animale emise un verso di paura mentre scivolava sul terreno infido, e cadde su un fianco. Lain sentì la sua zampa spezzarsi mentre si buttava di lato, puntando su una macchia di erba gialla misericordiosamente apparsa alla sua vista. Picchiò per terra, rotolò e balzò in piedi immediatamente, illeso ma colpito dal lamento agonizzante del blucorno che si trascinava su un mucchio di taglienti schegge di roccia.
Leddravohr smontò con un solo rapido movimento e si avvicinò all’animale caduto, con la spada in mano. Si mosse in fretta e piantò la lama nel ventre del blucorno, angolando il colpo in avanti per penetrare la cavità toracica. Il blucorno ebbe un movimento convulso ed emise uno sbavante, mugghiarne suono mentre moriva. Lain si portò una mano alla bocca, lottando per controllare lo sconvolgimento del suo stomaco.
— Ecco qui un altro boccone di conoscenza utile per voi — disse Leddravohr calmo. — Quando uccidete un blucorno, non andate mai direttamente al cuore o vi verrà tutto il sangue addosso. In questo modo invece il cuore si scarica dentro le cavità del corpo, e non ci si sporca molto. Vedete?
Leddravohr ritirò la spada, l’asciugò sulla criniera dell’animale morto e distese le braccia, invitandolo ad ispezionare i suoi vestiti senza macchie. — Non siete d’accordo che tutto questo è molto… filosofico?
— L’ho fatto cadere io — mormorò Lain.
— Era solo un blucorno. — Leddravohr rinfoderò la spada, tornò alla sua cavalcatura e si rimise in sella. — Avanti, Maraquine, cosa state aspettando?
Lain guardò il principe che gli stava tendendo una mano per aiutarlo a salire dietro di lui, e sentì una potente avversione all’idea di quel contatto fisico. — Grazie, principe, ma sarebbe improprio per uno della mia posizione cavalcare con voi.
Leddravohr scoppiò a ridere.
— Cosa state dicendo, razza di folle? Siamo fuori nel mondo reale adesso, il mondo del soldato, e i ptertha sono in arrivo.
Il riferimento ai ptertha trafisse Lain come un dardo di ghiaccio. Mosse un esitante passo in avanti.
— Non siate così timido — continuò Leddravohr, gli occhi divertiti e beffardi. — Dopo tutto, non sarebbe la prima volta che voi ed io dividiamo la stessa monta.
Lain si bloccò, con le sopracciglia grondanti di sudore freddo, e sentì se stesso dire: — Tutto considerato, preferisco tornare in caserma a piedi, da solo.
— Sto perdendo la pazienza con voi, Maraquine — Leddravohr si protesse gli occhi e scrutò il cielo a occidente. — Non starò a discutere con voi per preservare la vostra vita.
— La mia vita è una mia responsabilità, principe.
— Dev’essere qualcosa nel sangue dei Maraquine — disse Leddravohr stringendosi nelle spalle, come rivolgendosi a un’ipotetica terza persona.
Girò il suo blucorno verso est e l’incitò a un leggero galoppo. Nel giro di pochi secondi il principe era scomparso dietro una sporgenza di roccia, e Lain era solo in un territorio aspro e desolato che gli apparve improvvisamente alieno e ostile come un pianeta lontano. Uscì in una risata convulsa, quasi incredula, quando si rese conto del pasticcio in cui si era cacciato l’unica volta che aveva messo a tacere la ragione.
“Perché adesso?”, si domandò. “Perché ho aspettato fino adesso?”
Udì lì vicino un debole rumore raschiante. Lain si girò spaventato e vide dei pallidi multipiedi che stavano uscendo dai loro cunicoli, disturbando piccole pulci nella fretta di raggiungere il blucorno morto. Lui distolse gli occhi. Per un momento pensò di tornare alla caverna, poi si rese conto che gli avrebbe offerto solo una minima protezione durante le ore di luce, e che dopo il calare della notte l’intera collina sarebbe stata probabilmente infestata di ptertha, che annusavano e cercavano con pazienza.La cosa migliore era filare alla Caserma Astronavi con tutta la velocità possibile, cercando di arrivarci prima che i ptertha venissero giù a cavallo del vento.
Presa la decisione Lain cominciò a correre nel caldo soffocante. Quasi ai piedi della collina uscì su un pendio aperto che gli offriva una buona visuale verso est. Una lontana scia di polvere gli indicò la posizione di Leddravohr, un bel pezzo davanti a lui, non troppo lontano dalla Caserma, e una nuvola più grande mostrava dov’erano arrivati i soldati. Lui non aveva calcolato la differenza di velocità tra un uomo a piedi e uno su un blucorno al galoppo. Sarebbe stato in grado di procedere più facilmente quando avesse raggiunto il terreno pianeggiante, ma anche così ci sarebbe probabilmente voluta un’ora prima di raggiungere la salvezza.
“Un’ora!”.
“Ho qualche speranza di sopravvivere per tutto questo tempo?”
Per non pensare alla sua crescente stanchezza, cercò di indurre le sue conoscenze professionali a collaborare nella questione.Le statistiche, se viste spassionatamente, erano più incoraggianti di quanto si sarebbe potuto aspettare.
La luce del giorno e il terreno piatto erano condizioni poco favorevoli ai ptertha. Essi non avevano in effetti capacità propulsone in orizzontale, e dipendevano dalle correnti d’aria per essere trasportati a terra, il che significava che un uomo in movimento che attraversava un terreno aperto aveva poco da temere. Presumendo che non avessero coperto la zona, cosa che succedeva raramente di giorno, tutto quello che doveva fare era tenere d’occhio i globi da vicino e individuare la direzione del vento. Quando si veniva minacciati da un ptertha, la difesa più semplice era di aspettare fino ad averlo a un filo dalla distanza mortale, poi correre via controvento e lasciare che il globo si spostasse per i fatti suoi.
Lain si fermò in un scarpata, con la bocca che si riempiva della schiuma salata della spossatezza, e si sdraiò su una roccia per riprendere fiato. Era fondamentale che avesse ancora riserve di energie, e che le gambe non gli cedessero, quando avesse raggiunto la pianura. Mentre il tumulto nel suo petto si stava gradualmente calmando, si permise d’immaginare il suo successivo incontro con Leddravohr, e, incredibilmente, sentì la sua bocca ansante che tentava di formare un sorriso. Ironia delle ironie! Mentre il famoso principe soldato era scappato per cercare rifugio dai ptertha, il filosofo dalle dolci maniere camminava verso la città, senza bisogno di nessuna arma se non il suo intelletto. Questa era la prova che lui non era un codardo, la prova che tutti dovevano vedere, la prova che persino sua moglie avrebbe dovuto…
“Sono impazzito!”. Il pensiero lo fece gemere a voce alta, in un’espressione di totale disgusto di sé. “Ho davvero perso quella che una volta era la mia mente!”
“Ho permesso a un selvaggio di abbattere le mie difese con la sua volgarità e la sua malizia, la celebrazione della stupidità e la glorificazione dell’ignoranza. Ho lasciato che mi degradasse fino a convincermi di essere pronto addirittura a gettare via la vita per un moto di stizza e d’orgoglio. Che lodevoli sentimenti! E ora sto indulgendo in fantasie di vendetta infantile, talmente gratificato dalla mia superiorità che non ho nemmeno preso l’elementare precauzione di assicurarmi che non ci fossero ptertha nei dintorni!”.
Lain si tirò su e, pieno di cupe premonizioni, si voltò a guardare oltre la gola.
Il ptertha era lontano appena dieci passi, a una distanza sicuramente mortale, e la brezza che soffiava nella scarpata lo stava portando sempre più vicino con una rapidità da gelare il sangue.
Il globo si gonfiò per aumentare la sua visuale, trasparente nelle brillanti sfumature di porpora e nero. In una parte della sua mente Lain sentiva un morboso guizzo di gratitudine per quella decisione che qualcun altro aveva preso al suo posto, così in fretta e così definitivamente. Non aveva senso scappare, non aveva senso provare a lottare. Vide il ptertha come non ne aveva mai visto prima, vide spirali livide della polvere tossica dentro di lui. C’era un accenno di struttura lì? Un globo dentro un globo? Era una protointelligenza maligna che sacrificava se stessa al solo scopo di distruggere lui?
Il ptertha riempì l’universo di Lain.
Era dappertutto, e poi non era da nessuna parte. Lui tirò un profondo respiro, e si guardò intorno con lo sguardo placidamente dolente di chi ha solo un’ultima decisione da prendere.
“Non qui”. “Non in questo posto cieco e stretto, non è assolutamente adatto”.
Ricordando il pendio più in alto, quello con il panorama a est, tornò sui suoi passi lungo il letto dell’antico corso d’acqua, andando lentamente adesso, e sospirando ogni tanto. Quando raggiunse la china si sedette per terra con la schiena contro un masso piacevolmente modellato, e si aggiustò la tunica in pieghe precise intorno alle gambe divaricate.
Il mondo del suo ultimo giorno si estendeva davanti a lui. Il profilo triangolare del Monte Opelmer galleggiava basso nel cielo, apparentemente staccato dai nastri orizzontali e dalle bande chiazzate che erano Ro-Atabri e la periferia derelitta sulle spiagge della Baia di Arle. Più vicino, e più in basso, si vedeva la comunità artificiale della Caserma Astronavi, dozzine e dozzine di capannoni per i palloni, un’illusoria città di torri rettangolari. L’Albero scintillava nel cielo meridionale, con le sue nove stelle che sfidavano la brillantezza del sole, e allo zenit un largo crescendo di luce calda si stava diffondendo insensibilmente dal disco di Sopramondo.
“Tutta la mia vita e il mio lavoro sono in quell’affresco”, rifletté Lain. “Ho portato il mio materiale da scrittura e potrei provare a buttar giù qualcosa… non che gli ultimi pensieri di un uomo che ha causato la sua stessa fine in maniera così stupida possano essere di qualche interesse o valore per altri… al massimo potrei registrare quello che già si sa, che la pterthacosi non è una brutta morte… per come può essere la morte, cioè… la natura può essere misericordiosa… come i più orribili morsi di squalo spesso non sono dolorosi… l’inalazione della polvere può qualche volta generare uno strano stato d’animo, la rassegnazione, un fatalismo chimico… da questo punto di vista almeno mi sembra di essere fortunato… tranne che sono privato di sensazioni che sono mie per antico diritto…”
Un forte bruciore si localizzò subito sotto il suo petto e gli insinuò tentacoli a raggiera in tutto il torace. Contemporaneamente l’aria intorno gli sembrò diventata più fredda, come se il sole avesse perso il suo calore. Mise una mano in una tasca della tunica, tirò fuori una piccola sacca di lino giallo e se l’aprì in grembo. Aveva un dovere finale da compiere, ma non ancora.
“Vorrei che Gesalla fosse qui… Gesalla e Toller… così da poterli dare l’uno all’altra, o chiedergli di accettarsi l’un l’altra… ironia su ironia… Toller avrebbe sempre voluto essere diverso, più simile a me… e quando lui è diventato il nuovo Toller, io sono stato obbligato a diventare il vecchio Toller… con lo scopo finale di gettare via la mia vita in nome dell’onore, un gesto che avrei dovuto fare prima che la mia bella solisposa fosse violentata, dissacrata da Leddravohr… Toller aveva ragione, e io, nella mia cosiddetta saggezza, gli ho detto che sbagliava… e Gesalla sapeva nella sua mente che ave va torto, e nel suo cuore che aveva ragione…”
Una fitta di dolore gli dilagò nel petto, accompagnata da un attacco di brividi. Il panorama davanti a lui si era fatto curiosamente piatto. C’erano più ptertha, adesso. Stavano scendendo verso la pianura in gruppi di due o tre, ma non dimostravano nessun interesse per quello che era rimasto della sua vita. E per lui, quel flusso simile a un sogno di pensieri frammentari, era la nuova realtà.
“Povero Toller… è diventato quello che aspirava di essere, e come l’ho ricompensato?… con risentimento e invidia… l’ho ferito il giorno del funerale di Glo, forte del fatto che lui mi vuole bene, ma lui ha risposto al mio infantile dispetto con dignità e pazienza… i brakka e i ptertha vanno insieme… voglio bene al mio fratellino e mi chiedo se Gesalla si sia già accorta che anche lei… certamente brakka e ptertha vanno insieme, è un legame simbiotico… adesso capisco perché non avevo cuore di volare su Sopramondo… il futuro è là, e il futuro appartiene a Gesalla e Toller… potrebbe essere questa la vera ragione del mio rifiuto a cavalcare con Leddravohr… il mio diritto a scegliere da solo la mia Strada Luminosa?… stavo aprendo la strada a Toller?… asportando un fattore che non quadrava dall’equazione?… le equazioni significavano tanto per me…”
Il fuoco nel suo petto stava diventando più caldo, si espandeva, lo faceva respirare con fatica. Lain sudava abbondantemente eppure si sentiva la pelle mortalmente fredda, e il mondo era soltanto una scena dipinta su una stoffa ondeggiante. Era tempo per il cappuccio giallo.
Lain lo alzò con dita impacciate e se lo mise sulla testa, un avvertimento per chiunque passasse di lì che lui era morto di pterthacosi e che il suo corpo non doveva essere avvicinato per almeno cinque giorni. Le fessure per gli occhi non erano al posto giusto, ma lui lasciò ricadere le mani lungo i fianchi senza aggiustarle, contento di rimanere in un universo personale di giallo senza aperture e senza forma.
Tempo e spazio correvano insieme in quel microcosmo che non aveva bisogno di niente.
“Sì, avevo ragione sulle pitture della caverna… il cerchio rappresenta un ptertha… un ptertha incolore… uno che non ha ancora sviluppato le sue tossine specializzate… chi è che una volta mi ha chiesto se i ptertha erano rosa?… e cos’ho risposto?… ho detto che il bambino nudo non ha paura del globo perché sa che non gli farà del male?… so di aver sempre dato fastidio a Toller almeno per una cosa, per la mia mancanza di coraggio fisico… la mia indifferenza per l’onore… ma adesso lui può essere fiero di me… Vorrei poter essere lì a vedere la sua faccia quando sentirà che ho preferito morire piuttosto che cavalcare con… non è strano che la risposta all’enigma dei ptertha sia sempre stata lì, ben chiara e visibile nel cielo?… l’Albero e il cerchio di Sopramondo, il simbolo del ptertha, coesistenti in armonia… le scariche dell’impollinazione dei brakka alimentano i ptertha con… con che cosa?… polline, verdi e rossi, migligno?… e a loro volta i ptertha allontanano e distruggono i nemici dei brakka… Toller dovrebbe essere protetto dal principe Leddravohr… crede di essere come lui, ma io temo… temo di non aver detto a nessuno dei brakka e dei ptertha!… da quanto lo so?… questo è un sogno?… dov’è la mia bella Gesalla? posso ancora muovere le mani?… posso ancora…
Il principe Leddravohr prese uno specchio e corrugò la fronte davanti alla sua immagine. Anche quando risiedeva al Gran Palazzo preferiva evitare l’aiuto di camerieri personali, per la sua toilette, e passava un bel po’ di tempo, la mattina, ad affilare il rasoio di brakka e ad ammorbidirsi la barba ispida con l’acqua calda. Anche stavolta, infastidito, vide che si era procurato le solite abrasioni sulla gola. Non c’erano tagli veri e propri, ma minuscole goccioline di sangue stavano trasudando dalla pelle, e più le asciugava più in fretta ricomparivano.
“Ecco il risultato di vivere come una signorina viziata”, si disse premendosi un pezzo di stoffa umida sulla gola e decidendo di vestirsi dopo aver fermato quell’odioso sanguinamento. Lo specchio, due lastre di vetro a rifrazione differenziata attaccate insieme, era quasi del tutto riflettente, ma quando si mise davanti alla finestra poté discernere il suo brillante rettangolo nel sandwich di vetro, che apparentemente occupava lo stesso spazio del suo corpo.
“E simbolico”, pensò. “Sto diventando inconsistente, un fantasma, in vista dell’ascesa a Sopramondo. La mia vita reale, la sola vita che abbia qualche significato, sarà chiusa e finita quando…” I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti da uno scalpiccio di passi affrettati nella stanza contigua. Si voltò e vide sulla porta del bagno la figura squadrata del maggiore Yachimalt, il responsabile delle comunicazioni tra il Palazzo e la Caserma Astronavi. Yachimalt sembrava sottosopra, ma, quando si accorse che Leddravohr era nudo, fece il gesto di uscire.
— Perdonatemi, principe — disse. — Non mi ero accorto…
— Cosa succede, uomo? — Disse Leddravohr duro. — Se hai un messaggio per me, sputalo fuori.
— È una comunicazione del colonnello Hippern, principe. Dice che una folla in tumulto si sta radunando all’entrata principale della Caserma.
.— Ha un intero reggimento a sua disposizione, no? Perché dovrei occuparmi di persona di un mucchio di plebaglia?
— Il messaggio dice che li sta incitando il Lord Prelato, principe — rispose il maggiore. — Il colonnello Hippern chiede la vostra autorizzazione a metterlo agli arresti.
— Balountar! Quel miserabile sacco di ossa! — Leddravohr gettò lo specchio da una parte e andò all’armadio che conteneva i suoi vestiti. — Dite al colonnello Hippern di tener duro, ma di non fare niente contro Balountar finché non arrivo io. Me la vedrò direttamente con il Lord Spaventapasseri in persona.
Yachimalt salutò e scomparve. Leddravohr si trovò a ridere davvero mentre si vestiva in fretta e si infilava nella sua corazza bianca. A soli cinque giorni dalla partenza del primo squadrone per Sopramondo, i preparativi erano virtualmente finiti, e l’ultima cosa che lui desiderava era un periodo sia pur breve di inattività forzata. Quando non aveva niente da fare i suoi pensieri andavano troppo facilmente all’impresa che lo aspettava, ed era allora che le pallide larve della paura e dell’insicurezza sferravano il loro insidioso attacco. Era quasi grato allo sbraitante Lord Prelato, perché gli offriva un diversivo, l’opportunità di sentirsi pienamente efficiente e vivo ancora una volta.
Leddravohr cinse la spada e si affibbiò il coltello al braccio sinistro. Uscì in fretta dal suo appartamento e si diresse verso il cortile principale, scegliendo una strada in discesa dove c’era poca probabilità di incontrare suo padre. Il Re conservava un’eccellente lucidità mentale e quasi certamente doveva aver sentito del comportamento suicida di Lain Maraquine, il dopogiorno precedente. Leddravohr, al momento, non aveva alcuna voglia di subire un interrogatorio sull’assurdo incidente. Aveva dato ordine che un gruppo di disegnatori andasse alla cava e copiasse i dipinti, per essere in gradi di presentarli a suo padre al loro primo incontro. L’istinto gli diceva che il Re sarebbe stato adirato e soprattutto sospettoso, e non proprio a torto, che lui avesse avuto parte nella morte di Maraquine, ma forse i disegni l’avrebbero ammorbidito un po’.
Nel raggiungere il cortile Leddravohr fece segno a un ostiario di portargli il blucorno pezzato che cavalcava di solito, e pochi secondi dopo stava galoppando verso la Caserma Astronavi. Uscì dal doppio bozzolo di reti che avvolgevano il palazzo e imboccò uno dei passaggi coperti che attraversavano i quattro fossati. La volta di lino verniciato era una buona protezione contro la polvere dei ptertha e permetteva spostamenti sicuri in tutta Ro-Atabri, ma Leddravohr ci si sentiva rinchiuso e costretto. Fu felice quando raggiunse la città, dove almeno si poteva vedere il cielo attraverso gli schermi di rete, e si diresse verso ovest lungo le rive del Borann.
C’era poca gente in giro, e quasi tutti sulla strada della Caserma, come se un sesto senso li avesse avvertiti che stava succedendo qualcosa di grosso. Era una mattina calda e senza vento, senza nessuna minaccia da parte dei ptertha. Quando raggiunse la periferia occidentale della città ignorò la strada protetta che correva intorno al recinto della base astronavi, prendendo invece a sud, all’aria aperta, da dove poté vedere una certa calca davanti al cancello dell’entrata principale. I pannelli laterali del passaggio coperto erano stati arrotolati, impedendo così che la folla bloccasse del tutto l’uscita di sicurezza. Dall’altra parte del cancello scorse la cima di una fila di picche che indicavano la presenza dei soldati, e fece un segno d’approvazione con la testa; la picca era un’arma buona per dimostrare a quei civili senza disciplina l’errore del loro modo d’agire.
Avvicinandosi alla massa di persone Leddravohr mise al passo il blucorno, e quando il suo arrivo fu notato, la folla si divise rispettosamente per fargli strada. Lui fu sorpreso di notare la quantità di abiti logori; i comuni cittadini di Ro-Atabri stavano evidentemente peggio di quanto lui avesse immaginato. Tra spinte e mormorii, le ali della folla invece di richiudersi si fecero ancora più indietro, creando al centro uno spazio semicircolare nel quale spiccava, isolata, la nera figura di Balountar.
Il Lord Prelato, che stava arringando un ufficiale al di là del cancello chiuso, si voltò a fronteggiare Leddravohr. Sussultò troppo visibilmente nel vederlo, ma l’espressione di rabbia scolpita nei suoi lineamenti non cambiò. Leddravohr cavalcò lentamente verso di lui, smontò con una deliberata ostentazione di pigra indifferenza e fece segno di voler entrare. Due soldati trascinarono il pesante cancello e Leddravohr e Balountar si trovarono al centro di una pubblica arena.
— Bene, prete, disse Leddravohr calmo. — Cosa vi porta qui?
Penso che sappiate benissimo perché sono qui. — Balountar aspettò almeno tre secondi prima di aggiungere l’appellativo con cui ci si rivolgeva a un membro della famiglia reale, staccandolo bene dalla frase precedente e dandogli così un’intonazione insolente. — Principe.
Leddravohr sorrise. — Se siete venuto per chiedere un posto a bordo, siete arrivato troppo tardi, sono già stati assegnati tutti.
— Non chiedo niente — disse Balountar alzando la voce, più che altro a beneficio della folla.
— Vengo a fare rivendicazioni. Rivendicazioni che devono essere accolte.
— Rivendicazioni! — Nessuno aveva mai osato usare quella parola con Leddravohr, e mentre lui la ripeteva gli accadde una strana cosa. Gli sembrò di sdoppiarsi in due corpi: uno fisico, solido, ancorato a terra; l’altro immateriale, etereo così leggero da galleggiare nella brezza più lieve. Quest’ultimo Leddravohr non si sentì non più in contatto con la superficie del pianeta, ma sospeso all’altezza dell’erba, come un ptertha, capace di una visione onnicomprensiva ma distaccata di tutto quello che gli succedeva intorno. Da quel punto privilegiato osservò stupefatto il suo doppio corporeo impegnato nel suo gioco infantile.
— Non osate parlare a me di rivendicazioni! — stava gridando.
— Avete dimenticato l’autorità di cui mi ha investito il Re?
— Io parlo con un’autorità ben più alta — insistette Balountar per niente impressionato. — Io parlo in nome della Chiesa, della Grande Permanenza, e vi ordino di distruggere i veicoli con i quali intendete violare l’Alto Sentiero. Inoltre, tutto il cibo, e i cristalli, e le altre risorse vitali che avete rubato al popolo devono essergli restituite immediatamente. Queste sono le mie ultime parole.
— Parlate più giustamente di quanto sappiate — sospirò Leddravohr sguainando la spada. Ma qualche traccia residua di rispetto per la legge lo dissuase dall’affondare la lama nel corpo del Lord Prelato. Invece si allontanò, si voltò agli ufficiali dell’esercito schierati lì vicino e si rivolse a un colonnello Hippern dal viso di pietra.
— Arrestate il traditore! — disse tagliente.
Hippern diede un comando a voce bassa e due soldati corsero avanti, le spade pronte. Un attonito, incuriosito mormorio si levò dalla folla mentre i soldati prendevano Balountar per le braccia e lo trascinavano, nonostante la sua resistenza nel cortile della Caserma. Hippern guardò dubbioso Leddravohr.
— Cosa state aspettando? — Leddravohr puntò l’indice a terra, significando così che voleva il Lord Prelato in ginocchio. — Conoscete la punizione per l’alto tradimento. Avanti!
Hippern, la faccia impassibile sotto il bordo dell’elmetto decorato, parlò di nuovo ai militari vicino a lui e un attimo dopo un corpulento sergente maggiore corse verso i due soldati che trattenevano Balountar. Il Lord Prelato raddoppiò i suoi sforzi per liberarsi, e il suo corpo vestito di nero si dibatteva in contorsioni inumane mentre i suoi catturatori lo gettavano a terra. Alzò la faccia verso di loro e le sue labbra si allargarono in un tentativo di maledizione o di preghiera, creando un bersaglio, che il sergente scelse senza pensarci troppo. La lama entrò nella bocca di Balountar e uscì sotto la base del suo cranio, spezzando la spina dorsale, mettendo fine alla sua vita in un batter di ciglia. I due soldati lasciarono il corpo e si allontanarono, mentre dalla folla si alzava un gemito di costernazione. Un grosso sasso volò nell’aria e cadde nella polvere vicino ai piedi di Leddravohr.
Per un momento il principe sembrò volersi lanciare di persona contro la folla, deciso ad attaccarla anche a mani nude. Poi si rivolse al sergente maggiore. — Tagliategli la testa. E mettetela su una picca, in modo che i suoi seguaci possano continuare a guardare in alto verso di lui.
Il sergente annuì e fece il suo sudicio lavoro con la destrezza calma di un macellaio, e in un minuto la testa di Balountar era stata innalzata su una picca legata al cancello. Rivoletti di sangue colavano lungo il bastone.
Ci fu un momento interminabile di assoluto silenzio, un silenzio che rimbombava nelle orecchie, e sembrò che si fosse arrivati a un’impasse. Poi divenne pian piano evidente che la situazione non era affatto statica, e chi stava dentro la base vide che il semicerchio di terreno libero al di là del cancello si stava lentamente restringendo. Nessuno, nella folla, sembrava muovere i piedi, ma tutti stavano avanzando, come statue spinte in avanti da un’inesorabile pressione. La forza di quella pressione si dimostrò più chiaramente quando un pezzo della staccionata a destra del cancello si spezzò e cominciò a inclinarsi all’intèrno.
— Chiudete il cancello! — gridò il colonnello Hippern.
— Lasciate il cancello! — disse Leddravohr contraddicendo il colonnello. — L’esercito non scappa davanti a un manipolo di civili! Ordinate ai vostri uomini di ripulire l’intera zona.
Hippern deglutì, mostrando il suo disagio, ma affrontò direttamente lo sguardo di Leddravohr. — La situazione è difficile, principe. Questo è un reggimento locale, quasi tutti provengono da RoAtabri stessa, e gli uomini non accetteranno l’idea di andare contro i loro.
— Vi ho sentito bene, colonnello? — Leddravohr cambiò la sua presa sulla spada e un lampo di luce bianca gli brillò negli occhi. — Da quando in qua i comuni soldati sono diventati arbitri degli affari di Kolcorron?
La gola di Hippern si gonfiò di nuovo, ma il coraggio non lo abbandonò. — Da quando hanno fame, principe. È sempre stato così.
Inaspettatamente, Leddravohr sorrise. — Questo è il vostro giudizio professionale, vero, colonnello? Ora guardate bene, sto per insegnarvi qualcosa sulla natura del comando. — Si voltò, fece qualche passo verso la tripla fila di soldati in attesa e levò alta la sua spada.
— Disperdete la plebaglia! — gridò, puntando la lama in direzione della folla che avanzava. — I soldati ruppero i ranghi immediatamente e si gettarono contro i dimostranti, e il relativo silenzio che aveva pervaso la scena si spezzò in un improvviso boato. La folla si fece indietro, ma invece di fuggire in completo disordine si riunì subito dopo a breve distanza e fu allora che emerse un fatto significativo, che solo un terzo dei soldati aveva obbedito all’ordine di Leddravohr. Gli altri si erano mossi appena e stavano fissando con aria infelice i loro ufficiali. Anche quelli che avevano attaccato la folla sembravano farlo in una maniera rassegnata, e malvolentieri. Si lasciavano sopraffare senza sforzo, e perdevano le loro armi con tale facilità che erano diventati una specie di self-service per il gruppo in rivolta. Scoppiò un’ovazione quando una larga sezione della strada coperta venne abbattuta e la sua intelaiatura strappata in alto per far passare anche altre armi…
L’altro Leddravohr, freddo, » etereo e distaccato, osservò con scarso interesse il corporeo, carnale Leddravohr che correva verso un tenente dalla faccia infantile e gli ordinava di guidare i suoi uomini contro la folla. Il tenente scosse il capo rifiutando di obbedire e un secondo dopo era a terra, quasi decapitato da un fendente del principe. Leddravohr aveva perso la sua umanità, aveva cessato di sentire e di agire come un essere umano.Con la testa in avanti, la spada nera che sgocciolava schizzi rosseggianti, si lanciò tra i suoi ufficiali e i suoi uomini come un demone, facendone strage.
“Quanto può durare tutto questo?”, meditò l’altro Leddravohr. “Non c’è limite a quello che gli uomini possono sopportare?”
La sua attenzione fu. presto attirata da un altro avvenimento. Il cielo a est si stava velocemente oscurando, mentre colonne di fumo salivano da varie zone della città. Poteva significare solo che gli schermi anti-ptertha stavano bruciando, che qualche membro della comunità guidato dall’ira e dalla frustrazione aveva elevato l’estrema protesta contro l’ordine vigente.
Il messaggio era chiaro: sarebbe crollato tutto insieme. I ricchi come i derelitti. Il Re come il povero.
Al pensiero del Re, solo e indifeso al Gran Palazzo, l’indifferenza dell’altro Leddravohr si disintegrò. Aveva un dovere urgente e vitale, una responsabilità la cui importanza superava di gran lunga quella di uno scontro che coinvolgeva qualche centinaio di cittadini e di soldati.
Fece un passo verso la sua essenza complementare, ed ebbe la netta sensazione di precipitare, uno sfocamento di tempo e spazio…
Il principe Leddravohr Neldeveer aprì gli occhi su un fiotto violento di luce solare. L’elsa della spada era bagnata nelle sue mani, e intorno a lui c’erano i rumori del tumulto e i colori della carneficina. Osservò la scena per un momento, sbattendo le palpebre Mentre cercava di orientarsi in una realtà diversa, poi rinfoderò la spada e corse verso il blucorno in attesa.
Toller rimase immobile a fissare il corpo incappucciato di giallo per circa dieci minuti, poi si domandò come avrebbe fatto ad assorbire quel colpo.
“È stato Leddravohr”, pensò. “Questo è il raccolto che mieto per aver permesso a quel mostro di restare vivo. Ha abbandonato mio fratello ai ptertha!”.
Il sole dell’antigiorno era ancora basso, ma nell’aria senza vento il fianco roccioso della collina stava già cominciando a emanare calore. Toller era diviso fra passione e prudenza, il desiderio di correre verso il corpo di suo fratello e la consapevolezza di dover rimanere a distanza di sicurezza. Nonostante le lacrime che gli velavano gli occhi vide qualcosa di bianco spiccare sul petto infossato di Lain trattenuto dalla corda alla cintura della tunica grigia e da una mano sottile.
“Carta? Potrebbe essere”, il cuore di Toller affrettò il battito a quel pensiero. “Un’accusa contro Leddravohr?”
Prese il binocolo che portava con sé da quando era ragazzo e lo puntò sul rettangolo bianco. Le lacrime e il forte riflesso della luce rendevano difficili da leggere le parole scarabocchiate, ma alla fine riuscì a decifrare le ultime parole di suo fratello:
PTERTHA AMICI DEI BRAK. UCCID NOI PERCHÉ NOI UCCID I BRAK. BRAK ALIMENTANO PTERTH. A LORO VOLTA P. PROTEGGE B. CHIARO— ROSA — VIOLACEO P.
EVOLVE TOSSINE. DOBB VIVERE IN ARMONIA CON I BRAK. GUARDARE CIELO.
Toller abbassò il binocolo. Da qualche parte sotto il tumulto rimbombante della sua angoscia covava l’intuizione che il messaggio di Lain aveva un significato che andava molto più in là dei problemi contingenti, ma al momento lui era incapace di trovare la relazione. Era invece più che altro in preda a un disappunto confuso. Perché Lain non aveva usato le sue ultime energie mentali e fisiche per accusare il suo assassino e assicurarsene la punizione? Dopo un attimo di riflessione la risposta venne da sola, e lui riuscì quasi a sorridere con affetto e ammirazione. Lain, persino in punto di morte, era stato un vero pacifista, ben lontano da pensieri di vendetta. Aveva ritirato la sua luce personale dal mondo in una maniera che si confaceva al suo modo di vivere, e Leddravohr ancora teneva duro…
Toller si girò e attraversò il pendio dove il sergente stava aspettando con i due blucorni. Aveva riacquistato il controllo di sé e non c’erano più lacrime a offuscargli la vista, ma adesso i suoi pensieri erano dominati da una nuova domanda che gli rodeva il cervello con la forza e l’insistenza di un’onda che ghermisce la spiaggia.
“Come posso vivere senza mio fratello?” Il calore riflesso delle lastre di pietra premeva contro i suoi occhi, entrava nella sua bocca. “Sarà un giorno lungo e caldo, e come potrò viverlo senza mio fratello?”
— Mi addoloro con voi, capitano — disse Engluh. — Vostro fratello era un buon uomo.
— Sì. — Toller fissò il sergente, cercando di sopprimere un vago disgusto. Quello era l’uomo che era stato formalmente incaricato della sicurezza di Lain, e che era rimasto vivo mentre Lain era morto. Il sergente avrebbe potuto fare ben poco contro i ptertha, su quel tipo di terreno, e stando al suo racconto era stato congedato da Leddravohr molto prima; ma per il carattere di Toller la sua presenza tra i vivi era un affronto a Lain.
— Volete rientrare ora, capitano? — Engluh non dava alcun segno di disagio sotto lo sguardo scrutatore di Toller. Era un veterano dall’aspetto duro, indubbiamente esperto nell’arte di salvarsi la pelle, ma Toller non poteva giudicarlo indegno di fiducia.
— Non ancora — disse. — Voglio trovare il blucorno.
— Molto bene, capitano. — Un bagliore in fondo agli occhi marrone del sergente mostrò che aveva capito che Toller non accettava del tutto il resoconto succinto del principe Leddravohr circa gli avvenimenti del giorno prima. — Vi mostrerò la strada che abbiamo preso.
Toller montò in sella e seguì Engluh sulla collina. Circa a metà strada dalla cima arrivarono in una zona di rocce taglienti, bordate sul margine più basso da un accumulo di schegge. I resti del blucorno giacevano nel mucchio di detriti, già spolpati dai multipiedi e da altri animali. Persino la sella e i finimenti erano stati strappati e masticati minutamente. Toller sentì un brivido freddo lungo la spina dorsale quando si rese conto che il corpo di Lain avrebbe dovuto subire lo stesso destino se non avesse avuto il veleno ptertha nei tessuti. Il suo blucorno aveva cominciato a scuotere la testa e a dar segni di nervosismo, ma lui lo guidò più vicino allo scheletro e aggrottò la fronte quando vide la tibia fratturata. “Mio fratello era vivo quando questo è successo, e ora è morto”. Mentre il dolore si riaccendeva dentro di lui con forza rinnovata chiuse gli occhi e provò a pensare all’impensabile.
Secondo quello che gli era stato detto, il sergente Engluh e gli altri tre soldati si erano diretti verso l’entrata occidentale della Caserma Astronavi dopo essere stati congedati da Leddravohr. Lì avevano aspettato Lain, ed erano rimasti stupiti di vedere Leddravohr tornare da solo.
Il principe era di umore strano, adirato e gioviale allo stesso tempo, e vedendo Engluh pareva che avesse detto: “Preparati ad aspettare a lungo, sergente; il tuo padrone ha disabilitato la sua cavalcatura e ora sta giocando a nascondino con i ptertha”. Pensando che fosse ciò che ci si aspettava da lui, Engluh si era offerto di tornare indietro con un blucorno di scorta, ma Leddravohr aveva detto: “Rimani dove sei! Se lui ha scelto di giocare con la sua vita, questo non è un passatempo per un buon soldato”.
Toller aveva fatto ripetere molte volte al sergente il suo resoconto e la sola interpretazione che riusciva a dargli era che a Lain era stato offerto un ritorno al sicuro, ma che aveva volontariamente deciso di flirtare con la morte. Leddravohr non aveva bisogno di mentire su nessuna delle sue azioni, eppure Toller era incapace di accettare quella versione. Lain Maraquine, noto per i suoi svenimenti alla sola vista del sangue, sarebbe stato l’ultimo uomo al mondo a buttarsi contro i ptertha. Se avesse voluto togliersi la vita avrebbe trovato un modo diverso, ma in ogni caso non aveva nessuna ragione per suicidarsi. Aveva troppo per cui vivere. No, c’era un mistero in quello che era suc cesso sull’arido fianco della collina, il giorno precedente, e Toller conosceva un solo uomo in grado di chiarirlo. Leddravohr poteva non aver mentito, ma sapeva più di quello che…
— Capitano! — Engluh parlò in un sussurro spaventato. — Guardate laggiù.
Toller seguì la linea del dito puntato e vide l’inconfondibile forma scura di un pallone che si alzava nel cielo sopra Ro-Atabri. Pochi secondi più tardi altri tre lo seguirono, in stretta formazione di salita, come se la partenza della flotta per Sopramondo stesse cominciando giorni prima del previsto.
“Qualcosa è andato storto”, pensò Toller prima di essere invaso da un violento senso di rabbia. Già la morte di Lain da sola sarebbe stata più che difficile da superare, poi le si erano aggiunti dubbi e sospetti, e ora le astronavi si stavano alzando dalla Caserma contravvenendo a tutto il rigido piano stabilito per il volo di migrazione. C’era un limite a quanto la sua mente poteva comprendere nello stesso tempo, ma l’universo sembrava non farci assolutamente caso.
— Torniamo indietro — disse, incitando il suo blucorno. Cavalcarono giù dalla collina, aggirarono una sporgenza irta di rovi e raggiunsero il pendio dove giaceva il corpo di Lain. Da lì videro che altri palloni prendevano il volo dalla fila di capannoni, ma lo sguardo di Toller si posò più in là, sulla distesa a macchie della città. Colonne di fumo scuro si stavano alzando dalle zone del centro.
— Sembra una guerra, capitano — disse Engluh meravigliato, alzandosi sulle staffe.
— Forse è proprio così. — Toller diede un’altra occhiata verso la forma inerte e anonima che era stata suo fratello, “Vivrai in me, Lain”, promise. Poi spronò il blucorno in direzione della capitale.
Si era reso conto dell’agitazione crescente tra la popolazione assillata di Ro-Atabri, ma non sapeva immaginare come eventuali disordini civili avessero potuto interferire praticamente nel corso ordinato degli avvenimenti all’interno della Caserma. Leddravohr aveva installato unità dell’esercito in una mezzaluna tra la base astronavale e la periferia della città, e ne aveva dato il controllo ad ufficiali di cui poteva fidarsi anche in circostanze così particolari come la migrazione. I comandanti erano uomini che non avevano nessun desiderio personale di volare su Sopramondo ed erano fermamente decisi a preservare RoAtabri come entità, a qualunque costo. Toller aveva creduto che la base fosse sicura, anche in caso di rivolte su larga scala, ma le astronavi stavano partendo prima del tempo stabilito.
Una volta raggiunta la pianura erbosa lanciò il blucorno a pieno galoppo e scrutò attentamente il muro di cinta della base quando cominciò a profilarsi all’orizzonte. L’entrata occidentale era poco usata perché dava sull’aperta campagna ma, avvicinandosi, vide nutriti gruppi di soldati dietro il cancello. Dove i doppi schermi curvavano verso nord e verso sud, si vedevano vagoni di provviste in movimento. Altre navi stavano alzandosi nel cielo diurno, e i boati sordi dei bruciatori si mescolavano allo scricchiolio delle ventole di gonfiaggio nel sottofondo delle grida dei capisquadra.
I cancelli esterni furono aperti per Toller e per il sergente, poi vennero velocemente richiusi appena loro furono entrati nella zona di sicurezza. Toller fermò il suo blucorno, e fu avvicinato da un capitano dell’esercito che portava sotto il braccio l’elmetto dal pennacchio arancione.
— Siete l’astrocapitano Toller Maraquine? — chiese, asciugandosi la fronte imperlata di sudore.
— Sì? Cos’è successo?
— Il principe Leddravohr vi ordina di presentarvi immediatamente a rapporto al Capannone 12.
Toller fece segno di aver capito. — Cos’è successo?
— Cosa vi fa pensare che sia successo qualcosa? — disse aspro il capitano. Si voltò e corse via, lanciando ordini irosi ai soldati più vicini, che avevano un cipiglio apertamente arcigno.
Toller pensò di inseguirlo e di costringerlo a dargli le informazioni che voleva, ma in quel momento notò una figura in uniforme blu che gli veniva incontro dal cancello interno. Era Ilven Zavotle, da poco promosso al grado di tenente. Toller trotterellò verso di lui e smontò, notando nel frattempo che il giovane sembrava pallido e preoccupato.
— Sono felice che tu sia tornato, Toller — disse Zavotle ansiosamente. — Ho sentito che eri uscito per cercare tuo fratello, e sono venuto a dirti di stare attento al principe Leddravohr.
— Leddravohr?— Toller guardò in alto mentre un’astronave nascondeva il sole per un attimo.
— Cosa mi dici di Leddravohr?
— È impazzito — rispose Zavotle, guardandosi intorno per assicurarsi che quel discorso passibile di alto tradimento non arrivasse a orecchie indiscrete. — È al capannone adesso… dirige gli equipaggi di carico e gonfiaggio… spada alla mano… l’ho visto tagliare in due un uomo per essersi fermato a bere…
— Lui…! — La costernazione e lo sconcerto di Toller crebbero.
— Ma come si è arrivati a tutto questo?
Zavotle lo guardò con sorpresa.
— Non lo sai? Tu hai lasciato la Caserma prima che… Tutto è successo in due ore, Toller.
— Che cosa è successo? Parla, Ilven, o ci sarà un altro movimento di spada.
— Il Lord Prelato Balountar ha guidato i cittadini in una marcia contro la base. Pretendeva che tutte le navi fossero distrutte e le scorte distribuite tra la gente. Leddravohr lo ha fatto arrestare e decapitare sul posto.
Toller strinse gli occhi mentre cercava di immaginare la scena. — È stato un errore.
— Un grave errore — convenì Zavotle — ma questo è stato solo l’inizio. Balountar aveva dalla sua la folla infiammata dai discorsi religiosi e dalla promessa di cibo e cristalli. Quando hanno visto la sua testa su una picca hanno cominciato a strappare i nostri schermi. Leddravohr gli ha mandato addosso l’esercito, ma… è stata una cosa incredibile, Toller… la maggior parte dei soldati si sono rifiutati di combattere.
— Hanno sfidato Leddravohr?
— Sono uomini del posto, la maggior parte proprio di Ro-Atabri, e gli era stato ordinato di massacrare la loro stessa gente. — Zavotle fece una pausa mentre un’astronave passava con un rombo tonante. — Anche i soldati hanno fame, hanno l’impressione che Leddravohr stia voltando loro le spalle.
— Anche così… — Toller trovava quasi impossibile immaginare dei comuni soldati ribellarsi contro il principe guerriero.
— E allora Leddravohr è diventato come un invasato. Dicono che abbia ucciso più di una dozzina tra ufficiali e soldati. Non volevano obbedire ai suoi ordini… ma non volevano nemmeno difendersi contro di lui… e lui li ha macellati… — la voce di Zavotle si indebolì. — Come maiali, Toller. Proprio come maiali.
Nonostante l’enormità di quello che stava sentendo, Toller avvertiva confusamente la sensazione di avere un altro e più pressante motivo di preoccupazione. — Com’è andata a finire?
— I fuochi in città. Quando Leddravohr ha visto il fumo… si è accorto che gli schermi anti-ptertha stavano bruciando, ed è tornato in sé. Ha riunito in Caserma tutti gli uomini che gli erano rimasti fedeli, e ora sta cercando di far partire l’intera flotta prima che i ribelli si organizzino e invadano la base. — Zavotle studiò i soldati lì vicino da sotto le ciglia abbassate. — Questo gruppo dovrebbe difendere il cancello occidentale, ma, se lo chiedi a me, non sono troppo sicuro di sapere da che parte stanno. Le uniformi blu non sono più popolari qui attorno. Dovremmo tornare nei capannoni prima…
Toller smise di ascoltare quando la sua mente fece una rapida serie di collegamenti, ognuno dei quali lo portava più vicino alla fonte del suo allarme inconscio. “I fuochi in città… gli schermi anti-ptertha che bruciano… non c’è stata pioggia per molti giorni… quando gli schermi saranno saltati Ro-Atabri sarà indifendibile… la migrazione deve aver luogo subito… e questo significa…”
— Gesalla! — Toller si lasciò sfuggire il nome di bocca in un improvviso accesso di panico e di vergogna. Come poteva averla dimenticata? Lei aspettava nella Casa Quadrata… ancora senza conferma della morte di Lain… e il volo per Sopramondo era già iniziato…
— Mi hai sentito? — disse Zavotle.— Noi dovremmo essere…
— Lascia perdere — tagliò corto Toller. — Cosa è stato fatto per avvisare gli emigranti e portarli dentro? .
— Il Re e il principe, Leddravohr sono già nei capannoni. Tutti gli altri reali e nobili devono arrivare qui sotto la protezione delle loro guardie personali. È un macello, Toller. I comuni emigranti dovranno cavarsela da soli, e per come stanno le cose fuori, dubito che…
— Ti sono molto grato per essermi venuto incontro, Ilven — disse Toller, risalendo sul blucorno. — Mi sembra di ricordare che mi hai detto, quando eravamo lassù, a congelarci a morte e con niente da fare se non contare le stelle cadenti, che tu non hai famiglia. È giusto?
— Sì.
— In questo caso dovresti tornare ai capannoni e prendere la prima nave che si rende disponibile. Io non sono ancora pronto a partire.
Zavotle si fece avanti mentre Toller si issava in sella. — Leddravohr ci vuole entrambi come piloti reali, Toller. Tu soprattutto, perché nessun altro ha fatto capovolgere una nave.
— Dimentica di avermi visto — disse Toller. — Tornerò più presto che posso.
Attraversò la base prendendo una strada che passava ben lontano dai capannoni dei palloni. Le reti che la proteggevano gettavano quadrati d’ombra su una scena di attività frenetica e confusa. Era stato previsto che la flotta di migrazione partisse in modo ordinato, in un arco di tempo compreso tra dieci e venti giorni, in relazione alle condizioni del tempo. Ora si faceva a gara per far partire più navi possibile prima che la Caserma fosse occupata dai rivoltosi, e la situazione era resa ancora più drammatica dal fatto che gli schermi anti-ptertha erano stati compromessi. Era una fortuna che non ci fosse neanche un po’ di vento; questo aiutava gli equipaggi e manteneva al minimo l’attività dei ptertha, ma con l’arrivo della notte i lividi globi sarebbero arrivati in forze.
Nella loro fretta di caricare le scorte gli addetti ai carri stavano scaricando le casse a mano. Soldati del nuovo Reggimento di Sopramondo, di lealtà garantita perché destinati a volare con Leddravohr, giravano fra gli operai esortandoli rumorosamente a moltiplicare gli sforzi e in qualche caso aiutandoli personalmente. Qua e là, nel caos, vagabondavano piccoli gruppi di uomini, donne e bambini, emigranti delle province arrivati alla Caserma piuttosto in anticipo. Sopra e attraverso ogni cosa incombeva il rumore delle pompe di gonfiaggio, il boato snervante e spasmodico dei bruciatori e l’odore di marcio del gas migligno.
Toller passò inosservato vicino a magazzini, zone di carico, aree di lavoro, ma quando raggiunse il passaggio coperto che andava verso la città scoprì che l’entrata era presidiata da un nutrito distaccamento di soldati. Gli ufficiali interrogavano tutti quelli che l’attraversavano. Toller si mise in disparte e puntò il suo binocolo verso l’uscita, molto più in là. Da quel punto era difficile distinguere i particolari, ma poté vedere anche lì un buon numero di soldati a piedi e alcuni con i blucorni, e oltre a loro, orde di folla che si accalcavano nelle strade dove cominciava la città vera e propria. Sembrava non ci fossero tumulti, in quel momento, ma era evidente che i disordini non erano finiti e che la normale via d’accesso alla capitale era bloccata.
Stava pensando cosa fare quando la sua attenzione fu attirata da alcune macchie di colore sul terreno accidentato che si distendeva a sud est, in direzione di Greenmount. Il binocolo gli rivelò un gruppo di civili che si affrettavano verso la base. Dall’alto numero di donne e bambini Toller dedusse . che erano emigranti che si erano aperti una breccia nella palizzata della cinta lontano dall’entrata principale. Si allontanò dalla galleria, localizzò un’uscita secondaria nella doppia rete anti-ptertha e andò incontro al gruppo che avanzava. Quando lo videro, gli emigranti brandirono la loro autorizzazione bianca e blu.
— Continuate a dirigervi verso i capannoni dei palloni — gridò loro Toller. — Vi faranno partire.
Uomini e donne dal viso ansioso gridarono i loro ringraziamenti e si affrettarono a continuare, trascinando i bambini e i neonati. Voltandosi a guardare Toller vide che il loro arrivo era stato notato e che alcuni uomini della base stavano uscendo ad incontrarli. Il cielo dietro i loro blucorni era uno spettacolo unico. Circa cinquanta navi erano sospese sopra la Caserma, pericolosamente ravvicinate a bassa quota e appena più distanziate man mano che salivano.
Senza fermarsi a guardare che tipo di accoglienza avrebbero ricevuto gli emigranti, Toller diede di sprone verso Greenmount. Lontano, alla sua destra, nel cuore di Ro-Atabri, sembrava che gli incendi si stessero propagando. La città era costruita in pietra, ma il legname e le funi con i quali era stata imbozzolata per tenere lontani i ptertha erano logicamente infiammabili, e il fuoco cominciava a essere abbastanza esteso da creare le sue correnti di convezione, guadagnando terreno senza bisogno di essere alimentato. Bastava solo, Toller lo sapeva, che si alzasse una leggera brezza e l’intera città ne sarebbe stata invasa, in pochi minuti.
Mise il blucorno al galoppo, orientandosi con i gruppi di profughi che incontrava, e finalmente raggiunse il punto abbattuto della staccionata. Passò di là, ignorando gli sguardi apprensivi di quelli che stavano facendo la stessa cosa per entrare, e prese una via in collina che portava alla Casa Quadrata. Le strade per cui aveva vagato da ragazzo, ormai parte di un mondo alieno e perduto, erano sporche e deserte.
Un minuto dopo essere entrato nel distretto di Greenmount incontrò dietro un angolo cinque civili che si erano armati di bastoni. Sebbene fosse evidente che non erano emigranti, si stavano dirigendo in fretta verso la Caserma. Toller capì immediatamente che la loro intenzione era di infastidire e forse derubare qualcuna delle famiglie che aveva visto prima.
Si aprirono a ventaglio per bloccare la strada stretta e il loro capo, un omaccione dalla mascella molle con un mantello guarnito di serpenti seccati, disse: — Cosa pensi di fare, giacca blu?
Toller, che avrebbe potuto facilmente sopraffarlo, tirò le redini e si fermò. — Dato che lo chiedi così gentilmente, non esito a dirti che sto decidendo se devo ucciderti o no.
— Uccidere me? — L’uomo batté imperiosamente il terreno con il suo bastone, credendo evidentemente che tutti gli astronauti andassero in giro disarmati. — E come esattamente?
Toller sguainò la sua spada e con un movimento orizzontale tagliò in due il bastone proprio sopra la mano dell’uomo. — Questo sarebbe potuto essere altrettanto facilmente la tua cintura o il tuo collo — disse dolcemente. — Qualcuno di voi, o anche tutti, desidera continuare la conversazione?
Gli altri quattro occhieggiarono l’un l’altro e si voltarono per andarsene.
— Non abbiamo motivo di bisticciare con voi, signore — disse l’uomo con il mantello, stringendosi la mano che ancora risentiva del violento colpo sul bastone. — Ce ne andremo in pace per la nostra strada.
— Niente affatto. — Toller puntò la sua lama di brakka in direzione di un vicolo che portava lontano dalla base astronavi. — Voi andrete da quella parte, e ritornerete alle vostre topaie. Rientrerò alla Caserma tra qualche minuto, e giuro che se poso ancora gli occhi su qualcuno di voi sarà la mia spada che farà tutto il discorso. Ora andate!
Appena gli uomini furono spariti rinfoderò la spada e riprese a salire la collina. Dubitava che il suo avvertimento avrebbe fermato i furfanti, ma non poteva spendere altro tempo a favore degli emigranti, che avrebbero dovuto imparare a fronteggiare parecchie difficoltà nei giorni a venire. Uno sguardo alla mezzaluna di luce che rimpiccioliva sul disco di Sopramondo gli disse che non mancava molto più di un’ora alla piccola notte, ed era essenziale che lui portasse Gesalla alla base prima di quel momento.
Raggiunse la cresta di Greenmount, galoppò attraverso i viali silenziosi fino alla Casa Quadrata e smontò nel cortile murato. Andò verso l’ingresso e incrociò Sany, la grassa cuoca, insieme a un baldo maggiordomo che non conosceva.
— Padron Toller! — gridò Sany. — Avete notizie di vostro fratello?
Toller sentì una terribile sensazione di vuoto, perché l’incalzare degli avvenimenti aveva sospeso i suoi normali processi emotivi. — Mio fratello è morto — disse. — Dov’è la tua padrona?
— Nelle sue stanze. — Sany si premette entrambe le mani sulla gola. — Questo è un giorno terribile per tutti noi.
Toller corse alla scala principale, ma si fermò sul primo gradino. — Sany, devo tornare alla Caserma Astronavi fra pochi minuti. Io suggerisco a te e… — guardò il maggiordomo con aria interrogativa.
— Harriband, signore.
— … te e Harriband, e a qualunque altro domestico sia ancora qui, di venire con me. La migrazione è cominciata prima del tempo con una grande confusione, e anche se non avete l’autorizzazione penso di potervi trovare posto su una nave.
Entrambi i servi si allontanarono da lui. — Non potrei andare in cielo prima del mio tempo — disse Sany. — Non è naturale. Non è giusto.
— Ci sono rivolte in città e gli schermi anti-ptertha stanno bruciando.
— Sia come deve essere, Padron Toller; affronteremo il nostro destino qui, nel luogo a cui apparteniamo.
— Abbi cura di te — disse Toller. Arrivò sul pianerottolo e percorse i corridoi familiari che portavano all’ala sud della casa, incapace di convincersi del tutto che era l’ultima volta che vedeva le figurine di ceramica brillare nelle loro nicchie, e le loro ombre sfocate proiettarsi come fantasmi sui pannelli di vetrolegno levigato. La porta della stanza da letto padronale era aperta.
Gesalla stava in piedi vicino alla finestra che incorniciava il panorama della città, le cui caratteristiche dominanti erano le colonne immobili di fumo grigio e bianco che intersecavano le linee orizzontali grigio e blu della Baia di Arle e del golfo di Tronom. Lei era vestita come lui non l’aveva mai vista prima, con una giacca corta alla vita e calzoni pesanti di saia grigio scuro, completati da una gonna più leggera. Quasi una riproduzione della sua uniforme da astronauta. Un’improvvisa timidezza lo trattenne dal parlare o dal bussare alla porta. Come si dava una notizia come quella che lui portava?
Gesalla si voltò e lo fissò con occhi attenti, tristi. — Grazie per essere venuto, Toller.
— Si tratta di Lain — disse lui, entrando nella stanza. — Temo di avere cattive notizie.
— Sapevo che doveva essere morto quando non l’ho visto né sentito, al calare della notte. — La sua voce era indifferente, quasi brusca. — Mancava solo la conferma.
Toller era impreparato alla sua mancanza di reazione. — Gesalla, non so come dirtelo… in un momento come questo… ma hai visto gli incendi in città. Non abbiamo altra scelta che…
— Sono pronta a partire — disse lei tirando su un fagotto strettamente arrotolato posato su una sedia. — Qui ci sono tutte le cose di cui avrò bisogno. Non è troppo, vero?
Lui fissò per un momento il suo bel viso imperturbabile, lottando per reprimere un irrazionale risentimento. — Hai una vaga idea di dove stiamo andando?
— Dove altro se non su Sopramondo? Le astronavi stanno partendo. Secondo quello che riesco a decifrare dai messaggi dell’eliografo del Gran Palazzo, a Ro-Atabri sta scoppiando la guerra civile, e il Re è già scappato. Credi che io sia stupida, Toller?
— Stupida? No, tu sei molto intelligente, molto logica.
— Ti aspettavi una crisi isterica? Di dovermi trascinare via mentre urlavo che avevo paura di andare in cielo, dove solo l’eroico Toller Maraquine è stato? Dovevo piangere e supplicare che mi si lasciasse il tempo per spargere fiori sul corpo di mio marito?
— No, non mi aspettavo che piangessi — Toller era sbigottito da quello che lei stava dicendo, ma non riuscì a trattenersi. — Non mi aspettavo che tu fingessi dolore.
Gesalla lo colpì al viso, e la sua mano si mosse così in fretta che lui non ebbe alcuna possibilità di evitare lo schiaffo. — Non dirmi mai più niente del genere. Non fare mai questo tipo di congetture su di me! Ora, partiamo o dobbiamo restare qui in piedi a parlare tutto il giorno?
— Prima ce ne andiamo meglio è — disse lui gelido, resistendo all’impulso di stamparle cinque dita sulla guancia. — Prenderò il tuo fagotto.
Gesalla lo afferrò prima di lui e se lo mise sulle spalle. — L’ho preparato per portarlo io, tu hai abbastanza da fare. — Lo precedette in corridoio, muovendosi con leggerezza e apparente fretta, ed era già sulle scale prima che lui l’avesse raggiunta.
— Sany e gli altri servi? — chiese lui. — Non mi va di lasciarli.
Lei scosse la testa.— Sia Lain che io abbiamo provato a convincerli a fare domanda per l’autorizzazione, ma non ci siamo riusciti. Non puoi costringere la gente a partire, Toller.
— Suppongo che tu abbia ragione. — Camminò con lei verso l’ingresso dando un ultimo sguardo nostalgico alla casa, e uscì nel cortile dove il suo blucorno stava aspettando. — Dov’è il tuo carro?
— Non lo so. Lo ha preso Lain ieri.
— Questo significa che dobbiamo cavalcare insieme?
Gesalla sospirò. — Non ho nessuna intenzione di trottarti vicino.
— Molto bene. — Sentendosi stranamente imbarazzato, Toller saltò in sella e le tese una mano. Fu sorpreso di quanto poco sforzo richiedesse aiutarla a sistemarsi dietro di lui, ancora di più quando lei gli fece scivolare le braccia intorno alla vita e si premette contro la sua schiena. Un certo contatto corporeo era necessario, ma sembrava quasi che lei, come se lei… Scacciò il pensiero ancora a metà, spaventato dalla sua oscena prontezza nel pensare a Gesalla in chiave sessuale, e impose al blucorno un trotto veloce.
Uscendo dal cortile e voltando a nord-ovest vide molte altre navi nel cielo sopra la Caserma, che rimpicciolivano sino a diventare puntini mentre venivano assorbite dal blu profondo dell’atmosfera. Nel loro spostamento era evidente una leggera deriva verso est, il che significava che il caos della partenza rischiava di aggravarsi presto, con l’arrivo dei ptertha. Sulla sinistra le torri di fumo che salivano dalla città venivano schiacciate e piegate in due quando incontravano le correnti d’aria delle quote più alte. Gli alberi che bruciavano provocavano ogni tanto scoppiettìi polverosi.
Toller galoppò giù dalla collina tanto velocemente quanto era compatibile con la sicurezza. Le strade erano vuote come prima, ma dal davanti venivano sempre più chiari gli echi dei tumulti. Emerse dall’ultimo gruppo di costruzioni abbandonate e trovò che la scena attorno alla Caserma era completamente cambiata.
Il buco nella staccionata era stato allargato e vari gruppi di persone, forse un centinaio, si erano riuniti lì, dato che la fanteria aveva loro impedito di entrare alla base. Sassi e pezzi di travi di legno volavano addosso ai soldati che, sebbene armati di spade e giavellotti, si lasciavano bersagliare senza reagire. Diversi ufficiali stavano vicino ai soldati sui loro blucorni, e Toller seppe dal fodero delle loro spade e dai lampi verdi sulle spalline che facevano parte di un reggimento Sorka, uomini fedeli a Leddravohr che non avevano alcun particolare legame con Ro-Atabri. Era una situazione che poteva sfociare in una carneficina da un momento all’altro, e se questo fosse avvenuto i soldati ribelli probabilmente, avrebbero reagito scatenando una guerra in miniatura.
— Reggiti e tieni giù la testa — disse a Gesalla mentre sguainava la spada. — Dobbiamo entrare combattendo.
Rimise il blucorno al galoppo, coprendo la distanza dalla base in pochi secondi, veloce come il vento. Toller aveva sperato di cogliere i rivoltosi completamente impreparati e di sfrecciare tra loro prima che avessero il tempo di reagire, ma il picchiare degli zoccoli sulla dura argilla attirò l’attenzione degli uomini chini a raccogliere sassi.
— C’è una giacca blu — gridò qualcuno. — Prendete la sporca giacca blu!
La vista del massiccio animale che caricava e della spada da duello di Toller fu sufficiente a far togliere tutti dalla sua strada, ma non c’era modo di sfuggire all’anomala scarica di proiettili. Toller fu colpito violentemente all’avambraccio e alla coscia, e un pezzo di ardesia a volo radente lo costrinse ad aprire la mano che reggeva la briglia. Riuscì comunque a tenere il blucorno anche sulle tavole di legno travolte della staccionata, e aveva quasi raggiunto le linee dei soldati quando udì il suono di un forte colpo sordo e ne avvertì il contraccolpo trasmesso dal corpo di Gesalla. Lei sussultò e allentò la sua stretta per un istante, poi recuperò le forze. Le file di soldati si aprirono per fargli strada e lui fermò il blucorno tirando le briglie.
— Ti fa male? — chiese a Gesalla, impossibilitato dalla sua stretta a voltarsi sulla sella o a smontare.
— Non è niente — rispose lei con una voce che lui riuscì appena a sentire. — Devi andare avanti.
Un tenente con la barba si avvicinò a loro, fece il saluto e prese le briglie del blucorno. — Siete l’astrocapitano Toller Maraquine?
— Sì.
— Dovete presentarvi immediatamente a rapporto al principe Leddravohr al Capannone 12.
— È quello che sto tentando di fare, tenente — disse Toller. — Sarebbe più facile se vi faceste da parte.
— Signore, il principe Leddravohr non ha fatto alcuna menzione di una donna.
Toller inarcò le sopracciglia e guardò il tenente direttamente negli occhi. — Qualcosa che non va?
— Io… Niente, signore. — Il tenente lasciò andare le briglie e indietreggiò.
Toller spinse avanti il blucorno, dirigendosi verso i capannoni finestrati. Era stato scoperto, sebbene nessuno avesse spiegato il fenomeno, che le pareti perforate proteggevano i palloni dalle perturbazioni meglio degli schermi solidi, così ora il cielo a ovest brillava attraverso le aperture, e le costruzioni sembravano più che mai simili a una fila di alte torri. Ai loro piedi ferveva l’attività di migliaia di operai, membri dell’equipaggio ed emigranti, in mezzo ai mucchi dei rifornimenti e degli oggetti personali.
Questo diceva molto della capacità organizzativa di Leddravohr, di Chakkel e dei loro incaricati, perché il sistema era in grado di funzionare benissimo anche in quelle estreme circostanze. Le navi stavano ancora decollando in gruppi di due o tre, e Toller pensò che era quasi un miracolo che non ci fosse stato alcun serio incidente.
In quel momento, come se il pensiero avesse prodotto l’avvenimento, la navicella di un pallone che saliva troppo in fretta colpì il lato del suo capannone. Stava ancora oscillando mentre s’innalzava veloce nell’aria pulita quando all’altezza di duecento piedi raggiunse un’altra nave partita qualche secondo prima, e con le sue oscillazioni incontrollate urtò il pallone dell’altro velivolo. L’involucro si spaccò e perse il suo assetto, agitandosi e contorcendosi come una creatura degli abissi ferita a morte e la nave precipitò a terra, trascinandosi dietro i suoi montanti di accelerazione che ruggivano inutilmente. Cadde esattamente su un gruppo di vagoni di rifornimenti. L’impatto doveva aver danneggiato i condotti di alimentazione del bruciatore perché ci fu un immediato fiorire di fiamma e di fumo nero, e la tosse secca dei blucorni feriti e terrorizzati si aggiunse alla baraonda generale.
Toller cercò di non pensare alla sorte di quelli che erano a bordo. Il pessimo decollo dell’altra nave aveva tutta l’aria di essere opera di un novellino, facendogli sospettare che molti dei mille piloti qualificati della flotta non fossero disponibili, probabilmente trattenuti dai disordini in città. Nuovi pericoli si aggiungevano ai già tanti rischi con i quali i viaggiatori interplanetari avrebbero dovuto fare i conti.
Poteva sentire la testa di Gesalla ciondolare sulla sua schiena mentre cavalcavano in direzione dei capannoni, e la sua preoccupazione per lei crebbe. La sua ossatura fragile era poco adatta a sopportare un colpo come quello che aveva ricevuto. Mentre si avvicinava al Capannone 12 vide che questo, con i tre più vicini, era fittamente circondato da uomini di fanteria e del reparto blucorni. Nella zona protetta regnava un clima di relativa calma. Quattro palloni stavano aspettando nei capannoni, con i gruppi di gonfiatori in attesa, e capannelli di uomini e donne riccamente vestiti stavano in piedi vicino a cataste di valigie decorate e altri bagagli personali. Alcuni degli uomini stavano sorseggiando varie bevande mentre allungavano il collo per vedere la nave fracassata, e i bambini piccoli saltellavano qua e là come se stessero giocando durante una gita di famiglia.
Toller aguzzò la vista e riuscì a scorgere un gruppo al centro del quale individuò Leddravohr, Chakkel e Pouche, tutti vicini alla figura di Re Prad. Il sovrano, seduto su una sedia comune, stava fissando il suolo, apparentemente dimentico di tutto quello che gli accadeva intorno. Sembrava più vecchio e aveva un’espressione spiritata, in marcato contrasto con l’aspetto energico di un tempo.
Un giovane capitano dell’esercito si fece avanti per incontrare Toller quando lui fermò il blucorno. Sembrò sorpreso nel vedere Gesalla, ma l’aiutò a scendere abbastanza prontamente senza commenti. Toller smontò e vide che il viso di lei era completamente esangue. Barcollava un po’ e i suoi occhi avevano uno sguardo distaccato, lontano, e lui pensò che stesse molto male.
— Forse dovrei portarti in braccio — le disse mentre i soldati si spostavano a un cenno del capitano.
— Posso camminare, posso camminare — sussurrò lei. — Tieni le mani lontane da me, Toller. Queste bestie non mi vedranno bisognosa di assistenza.
Toller annuì, impressionato dal suo coraggio, e la precedette verso il gruppo dei reali. Leddravohr si voltò a guardarlo e per una volta non tentò neanche di scoccare il solito sorriso da serpente. Nel suo viso di marmo liscio i suoi occhi bruciavano. Aveva una slabbratura diagonale di cremisi sulla corazza bianca, e del sangue si stava coagulando sulla punta del fodero della spada, ma i suoi modi suggerivano una rabbia controllata piuttosto che la furia insana di cui Zavotle aveva parlato.
— Ti ho mandato a cercare ore fa, Maraquine — disse freddo. — Dove sei stato?
— A vedere i resti di mio fratello — disse Toller, omettendo deliberatamente la forma d’obbligo con cui ci si rivolgeva a un reale. — C’è qualcosa di altamente sospetto sulla sua morte.
— Ti rendi conto di quello che stai dicendo?
— Sì.
— Vedo che sei tornato ai tuoi vecchi modi — Leddravohr si avvicinò e abbassò la voce. — Mio padre una volta mi ha estorto la promessa che non ti avrei fatto del male, ma mi riterrò sciolto da quell’impegno quando raggiungeremo Sopramondo. Allora, te lo prometto, ti darò quello che ti meriti da tanto tempo, ma per ora ho faccende più importanti di cui occuparmi.
Leddravohr si voltò e si allontanò, facendo un segno al supervisore del lancio. Immediatamente i gonfiatori si misero al lavoro, girando rumorosamente la manovella dei grandi ventilatori. Re Prad alzò la testa, stupito, e si guardò intorno con l’unico occhio preoccupato. Il clima falso di allegria si dissipò in un attimo quando il rumore delle ventole ricordò ai vari nobili che il volo nell’ignoto stava per cominciare. I gruppi di famiglie si riunirono, i bambini smisero di giocare, e i servi si prepararono a trasferire i bagagli dei loro padroni sulla nave che sarebbe partita in coda al volo reale.
Al di là delle linee difensive delle guardie ferveva un’attività solo apparentemente scoordinata, mentre le operazioni di lancio continuavano. Dappertutto c’erano uomini che correvano e i vagoni dei rifornimenti filavano veloci tra i carretti piatti che si muovevano rumorosamente trasportando le astronavi ai capannoni di lancio. Molto più in là, oltre il terreno aperto della Caserma, i piloti dei vascelli da carico stavano gonfiando i loro palloni e, favoriti dalle condizioni del tempo quasi perfette, decollavano senza l’aiuto del vento. Il cielo era ora solcato letteralmente dalle navi, che salivano come una nuvola di strane spore aeree verso la mezzaluna illuminata di Sopramondo.
Toller era stupefatto dalla drammaticità vera e propria di quello spettacolo, la prova che, messa alle strette, la sua razza aveva il coraggio e la capacità di percorrere a gran passi, come divinità, la distanza che passava da un mondo all’altro. Ma era anche preoccupato da quello che gli aveva appena detto Leddravohr.
La promessa della quale il principe aveva parlato spiegava molte cose, ma perché gli era stata richiesta in primo luogo? Che cosa aveva spinto il Re a scegliere uno solo dei suoi sudditi, tra così tanti, e a prenderlo sotto la sua personale protezione? Incuriosito dal nuovo mistero, Toller diede un’occhiata pensierosa alla figura seduta del Re e provò un brivido quando vide che Prad lo stava fissando direttamente. Un momento dopo il Re puntò un dito su di lui, quasi proiettando una linea di forza attraverso il gruppo di quelli che lo circondavano, poi gli fece un cenno. Ignorando gli sguardi curiosi dei presenti, Toller si avvicinò e fece un inchino.
— Mi hai servito bene, Toller Maraquine — disse Prad con voce debole ma ferma. — E ora ho in mente di caricarti di un’altra responsabilità.
— Dovete solo parlare, Maestà — rispose Toller, e il suo senso d’irrealtà crebbe quando Prad gli fece segno di avvicinarsi di più e di chinarsi per ricevere il suo messaggio in privato.
— Fai in modo — sussurrò il Re — che il mio nome sia ricordato su Sopramondo.
— Maestà… — Toller si raddrizzò, in piena confusione. — Maestà, io non capisco.
— Capirai. — Ora vai al tuo posto.
Toller si inchinò e indietreggiò, ma prima di avere il tempo di riflettere sul breve dialogo fu chiamato dal colonnello Kartkang, l’antico capo amministratore della SAS. Dopo lo scioglimento dello Squadrone sperimentale, al colonnello era stato affidato il coordinamento del volo reale, un compito che senz’altro non aveva previsto di dovere portare a termine in condizioni così avverse. Le sue labbra si stavano muovendo silenziosamente mentre indicava a Toller il punto dove Leddravohr stava radunando altri tre piloti. Uno era Ilver Zavotle, e un altro Gallov Amber, un uomo di provata esperienza che era già stato selezionato per il volo di prova. Il terzo era un uomo sui quarant’anni, dal corpo massiccio e dalla barba rossa che indossava l’uniforme di astrocomandante. Dopo averci pensato un momento, Toller lo identificò come Halsen Kedalse, precedentemente aerocapitano e messaggero reale.
— … deciso che viaggeremo su navi separate — stava dicendo Leddravohr mentre il suo sguardo lampeggiava verso Toller. — Maraquine, il solo ufficiale che abbia fatto l’esperienza di portare una nave oltre il punto medio, piloterà la nave di mio padre. Io volerò con Zavotle. Il principe Chakkel partirà con Kedalse, e il principe Pouche con Amber. Ognuno di voi andrà ora alla nave designata e si preparerà a partire prima che la piccola notte sia sopra di noi.
1 quattro piloti fecero il saluto e stavano per dirigersi verso le rispettive destinazioni quando Leddravohr li fermò alzando la mano. Li studiò per quello che sembrò un lungo tempo, e sembrò stranamente indeciso, prima di parlare di nuovo: — Riflettendoci, Kedalse ha portato in volo mio padre molte volte durante il suo lungo servizio come aerocapitano. Guiderà lui la nave del Re anche in quest’occasione, e con Maraquine andrà il principe Chakkel. Questo è tutto.
Toller salutò di nuovo e si allontanò, chiedendosi cosa significasse il cambiamento di idea di Leddravohr. Aveva subito colto l’allusione quando Toller aveva detto che aveva dei sospetti sulla morte di Lain. “Mio fratello è morto!”. Era un indizio della sua colpevolezza? Forse qualche strano ripensamento aveva reso Leddravohr non esattamente desideroso di affidare la vita di suo padre a un uomo cui aveva assassinato il fratello, o quanto meno ne aveva causato la morte?
Il rombo inconfondibile di un colpo di cannone, da qualche parte in distanza, ricordò a Toller che non aveva tempo da perdere con le speculazioni. Si guardò intorno cercando Gesalla. Era in piedi, da sola, un po’ in disparte dalla circostante confusione e qualcosa della sua posizione gli disse che aveva ancora un dolore fortissimo. Corse verso la navicella dove il principe Chakkel stava aspettando con sua moglie, sua figlia e due bambini piccoli. La principessa Daseene, che portava un diadema di perle, e i bambini, fissarono Toller con cauta perplessità, e anche Chakkel sembrava incerto nelle sue maniere. Erano tutti profondamente spaventati, si rese conto Toller, e uno dei primi problemi che si trovavano ad,affrontare era il tipo di rapporto che avrebbero dovuto avere con l’uomo, nelle cui mani la sorte aveva messo le loro vite.
— Bene, Maraquine— disse Chakkel. — Siamo pronti a partire?
Toller annuì. — Potremmo essere tutti al sicuro lontano da qui in qualche minuto, principe, ma c’è una difficoltà.
— Una difficoltà? Quale difficoltà?
— Mio fratello è morto ieri. — Toller fece una pausa, forte della nuova ansietà che aveva colto negli occhi di Chakkel. — Il minimo che posso fare per la sua vedova è portarla con me in questo volo.
— Mi dispiace, Maraquine, ma questo è fuori discussione — disse Chakkel. — Questa nave è solo per uso mio personale.
— Lo so, principe, ma voi siete un uomo che capisce i legami familiari, e potete rendervi conto che è impossibile per me abbandonare la vedova di mio fratello. Se lei non può viaggiare su questa nave, allora io devo declinare l’onore di essere il vostro pilota.
— Questo è tradimento — disse Chakkel tra i denti, con il cranio calvo e scuro che brillava di sudore. — Io… Leddravohr vi farà giustiziare sul posto se osate disobbedire ai suoi ordini.
— So anche questo, principe, ma sarebbe un gran peccato per tutti gli interessati. — Toller rivolse un piccolo sorriso ai bambini attenti. — Se non ci fossi io, sarebbe un pilota inesperto a portare voi e la vostra famiglia attraverso la strana regione tra i due mondi. Io conosco tutti i problemi e i pericoli del passaggio medio, vedete, e potrei preparvici.
I due maschietti continuavano a fissarlo dal basso, ma la bambina nascose la faccia tra le gonne della madre. Chakkel la guardò con occhi pieni di dolore e cominciò a strisciare in piedi in un’evidente frustrazione. Per la prima volta nella sua vita doveva accettare di sottomettersi al volere di un uomo comune. Toller gli sorrise, falsamente comprensivo, e pensò “Se questo è il potere, che io non debba mai averne bisogno di nuovo”.
— La vedova di vostro fratello può viaggiare sulla mia nave — disse infine Chakkel. — E non mi dimenticherò di questo, Maraquine.
Anch’io vi ricorderò sempre con gratitudine — disse Toller. Mentre si metteva al posto di pilotaggio si rese conto di avere inasprito l’inimicizia che Chakkel già provava per lui, ma non ne sentiva alcuna colpa o vergogna, questa volta. Aveva agito deliberatamente e secondo logica per ottenere quello che voleva, molto diversamente dal Toller Maraquine del passato, e aveva inoltre la certezza di essersi adeguato alla realtà della situazione. Lain, (“Mio fratello è morto!”) aveva una volta detto che Leddravohr e il suo genere appartenevano al passatoie Chakkel aveva soltanto confermato quelle parole. Nonostante tutti i cambiamenti catastrofici che avevano sopraffatto il loro mondo, uomini come Leddravohr e Chakkel continuavano a comportarsi come se Kolcorron potesse rinascere su Sopramondo. Solo il Re sembrava aver intuito che tutto sarebbe stato diverso.
Con la schiena appoggiata al tramezzo, Toller fece segno alla squadra di gonfiaggio che era pronto ad azionare il bruciatore. Il ventilatore venne fermato e messo da parte permettendogli di vedere bene l’interno del pallone. L’involucro, parzialmente riempito di aria fredda, stava flettendosi ruotando tra i montanti d’accelerazione ancora sollevati. Vi accese dentro una serie di vampate coprendo il boato degli altri bruciatori che venivano ugualmente azionati nei capannoni vicini, e lo guardò gonfiarsi e innalzarsi al di sopra del terreno. Quando si arrestò in posizione verticale, l’uomo che teneva le funi della corona si avvicinò e le legò all’intelaiatura della navicella, e altri fecero ruotare la leggera struttura finché non fu perfettamente dritta. L’insieme imponente di pallone e navicella, ora più leggero dell’aria, cominciò a tendere il cavo dell’ancora centrale, come se Sopramondo lo stesse già chiamando.
Toller saltò giù dalla navetta e fece segno con la testa a Chakkel e agli attendenti che i passeggeri e gli effetti personali potevano essere imbarcati, poi andò verso Gesalla, che stavolta non fece alcuna obiezione quando lui le tolse il fagotto dalle spalle.
— Siamo pronti a partire — disse. — Potrai sdraiarti e riposarti appena saremo a bordo.
— Ma questa è una nave reale — protestò lei, facendosi inaspettatamente indietro. — Posso trovare un posto su una delle altre.
Gesalla, per favore, dimentica tutto quello che poteva accadere. Molte navi non riusciranno affatto a lasciare la base, e probabilmente ci saranno lotte e sangue per raggiungere quelle che ce la faranno. Devi venire adesso.
— Il principe ha dato il suo consenso?
— Ne abbiamo discusso, e lui non prenderebbe nemmeno in considerazione la possibilità di partire senza di te. — Toller la prese per un braccio e si avviò con lei verso la navicella. Salì a bordo per primo e trovò che Chakkel, Daseene e i bambini avevano preso posto in uno scompartimento passeggeri, tacitamente assegnando l’altro a lui e a Gesalla. Lei trasalì di dolore arrampicandosi a bordo con il suo aiuto, e appena Toller le ebbe mostrato lo scompartimento libero, Gesalla si lasciò cadere sulle trapunte imbottite di lana.
Toller sguainò la spada, gliela mise vicino e tornò ai comandi. Il cannone tuonò di nuovo in lontananza mentre lui riattivava il bruciatore. La nave aveva poco carico in confronto a quella che aveva pilotato nel volo di prova, e dovette aspettare meno di un minuto prima di ritirare la catene dell’ancora. Ci fu un leggero sobbalzo e le pareti del capannone cominciarono a scivolare in basso.La salita continuò bene anche quando il pallone fu del tutto all’aria aperta, e in pochi secondi Toller ebbe una visione panoramica della Caserma. Le altre tre navi reali riconoscibili dalle strisce bianche sui lati delle navicelle, avevano già lasciato i capannoni ed erano leggermente sopra di lui.Tutti gli altri lanci erano stati temporaneamente fermati, ma per lui il cielo era ancora scomodamente affollato, e non perse di vista gli altri palloni finché i primi aliti di una brezza occidentale non li ebbero distanziati un po’.
In un volo di massa c’era sempre il rischio di una collisione tra due navi che salivano o scendevano a diversa velocità. Dal momento che il pilota, direttamente sotto il pallone, non poteva vedere niente sopra di lui, si era stabilito che la nave più in alto doveva manovrare in modo di evitare quella più in basso. In teoria doveva funzionare, ma Toller aveva le sue riserve perché la sola scelta possibile, nella fase di ascesa, era salire più in fretta, aumentando così il rischio di scontrarsi con una terza nave. Rischio che sarebbe stato minimo se la flotta fosse partita secondo il piano, ma in quel caso lui si rendeva contò con un certo disagio di far parte di un vero e proprio sciame verticale.
Appena la nave ebbe guadagnato quota, la scena a terra si rivelò in tutta la sua stupefacente complessività.
I palloni, gonfi o sgonfi sull’erba, erano le note dominanti in un mosaico di viottoli e di isole di vagoni, casse di rifornimenti, carrelli, animali e migliaia di persone che vorticavano intorno a tutto questo come pale di mulino, in attività che sembravano senza scopo. Toller poteva quasi vederli come insetti operai che si davano da fare per salvare regine gonfie di uova da qualche imminente catastrofe. Più lontano, a sud, la folla era una massa variegata all’ingresso principale della base, ma data la distanza era impossibile capire se fosse già in corso qualche combattimento tra le unità militari da poco nemiche.
File indistinte di persone, presumibilmente emigranti decisi a tutto, stavano convergendo nella zona di lancio da vari punti del campo. E dietro di loro, aiutato dalla brezza, il fuoco si stava espandendo più in fretta a RoAtabri, strappando alla città le sue difese anti-ptertha. In contrasto con la turbolenta confusione di uomini e cose, la Baia di Arle e il Golfo di Tronom formavano un placido sfondo di turchese e di blu. Un Monte Opelmer a due dimensioni galleggiava sfocato in distanza, sereno e indisturbato.
Toller, che teneva in funzione il bruciatore con la leva di estensione, guardava da un lato della navicella e si sforzò di assimilare il fatto che stava allontanandosi per sempre da quel panorama ma dentro di lui c’era solo un vuoto tremolante, un’agitazione quasi subliminale di emozioni soffocate. Troppe cose erano successe nello spazio di un solo antigiorno, (“Mio fratello è morto!”) e dolore e rimpianto erano bloccati dentro di lui, pronti ad essere liberati quando fossero arrivate le prime ore tranquille.
Anche Chakkel stava guardando fuori, le braccia attorno a Daseene e a sua figlia, che dimostrava circa dodici anni. Toller, che lo aveva sempre considerato un uomo spinto solo dall’ambizione, si chiese se non dovesse correggere il suo giudizio. La facilità con la quale aveva ceduto sulla questione di Gesalla testimoniava un vero, grande amore per la sua famiglia.
C’erano spettatori anche alle ringhiere di altre due navi reali, Re Prad e i suoi attendenti personali in una, e il principe Pouche e il suo seguito in un’altra. Solo Leddravohr, che sembrava aver deciso di viaggiare non accompagnato, non si vedeva. Zavotle, una figura solitaria ai comandi della nave di Leddravohr, fece un cenno di saluto a Toller, poi portò dentro i suoi montanti di accelerazione e cominciò a fissarli. Dal momento che la sua nave era la meno carica delle quattro, poteva allontanarsi dal bruciatore per periodi piuttosto lunghi, pur mantenendo la stessa velocità di salita degli altri.
Toller, che aveva optato per un regime di due venti, non aveva la stessa fortuna. In seguito a quanto appreso dal volo sperimentale, era stato deciso di far condurre le navi da un unico pilota, senza comprometterne la sicurezza, lasciando così più spazio per i passeggèri e per il carico. Durante i suoi periodi di riposo, il pilota avrebbe affidato il bruciatore o il reattore a un passeggero, pur continuando a tenere sotto controllo il ritmo di funzionamento.
— La piccola notte è quasi arrivata, principe — disse Toller cortesemente per fare ammenda alla sua precedente insubordinazione. — Voglio assicurare i nostri montanti prima di allora, così devo chiedervi di sostituirmi al bruciatore.
— Molto bene. — Chakkel sembrava quasi contento di poter fare qualcosa di utile, quando si mise alla leva di estensione. I bambini dai capelli neri, ancora lanciando timidi sguardi a Toller, gli andarono dietro e ascoltarono intenti mentre il padre spiegava loro il funzionamento del macchinario. Nel tempo che Toller impiegò a recuperare i cavi e a legare i montanti agli angoli della navicella, Chakkel aveva insegnato ai ragazzi a contare al ritmo del bruciatore, inventando una filastrocca musicale.
Vedendoli tutti e tre così presi, Toller entrò nello scompartimento di Gesalla. I suoi occhi erano vigili ma il suo viso era quasi disteso. Allungò una mano e gli porse una benda arrotolata che doveva provenire dal suo bagaglio personale.
Lui le si inginocchiò vicino sulle soffici trapunte del letto, meravigliandosi per il guizzo di eccitazione sessuale che lo percorreva, e prese la benda. — Come stai — disse a bassa voce.
— Non credo di avere nessuna costola davvero rotta, ma è meglio che le tenga ferme se devo fare la mia parte di lavoro. Aiutami. — Con l’assistenza di Toller si alzò faticosamente in ginocchio, gli girò le spalle a metà e sollevò la camicia mettendo in mostra un grosso livido sulla parte bassa del torace. — Cosa ne pensi?
— Dovresti fasciarti — rispose, incerto su cosa volesse da lui.
— Bene, cosa stai aspettando?
Niente. — Le passò intorno la benda e cominciò a stringerla, ma i suoi movimenti erano ostacolati dalla giacca e dalla gonna raccolta che lei portava. Ogni volta, nonostante cercasse di evitarlo, le sue nocche le strisciavano sul seno e quella sensazione penetrava dentro di lui come schegge di ambra, peggiorando la sua goffaggine.
Gesalla sospirò rumorosamente. — Sei un incapace, Toller. Aspetta! — Aprì la camicia e se la tolse, insieme alla giacca, lasciando la sua figura sottile nuda dalla vita in su. — Prova adesso.
L’immagine del corpo di Lain incappucciato di giallo trasformò Toller in una macchina senza reazioni. Completò la fasciatura con l’efficienza e la sveltezza di un chirurgo, e infine lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Gesalla rimase com’era per qualche secondo, con uno sguardo caldo e solenne, prima di prendere la camicia e di rimettersela.
— Grazie — disse, poi allungò la mano e gli sfiorò leggermente le labbra.
Fuori, esplose una vampata di colori e improvvisamente la nave precipitò nell’oscurità. Nell’altro reparto passeggeri Daseene, o sua figlia, piagnucolò per la paura. Toller si alzò e guardò oltre la fiancata. La frastagliata ombra ricurva di Sopramondo stava correndo in fretta verso l’orizzonte orientale, e quasi direttamente sotto la nave, Ro-Atabri era una macchia di reticoli ardenti arancione immersa in una pozza di fumo sempre più larga.
Quando tornò la luce del giorno, le quattro navi del volo reale erano arrivate a un’altezza di circa venti miglia, e un gruppo di ptertha le seguiva in ordine sparti).
Toller scrutò il cielo tutto intorno e vide un globo distante solo trenta iarde a nord. Andò immediatamente a uno dei due cannoni a rotaia montati da quella parte, prese la mira e tirò l’ago che rompeva il diaframma di vetro che separava i due lobi del contenitore nella canna dell’arma. Ci fu un breve intervallo mentre le cariche di pikonio e alvelio si mescolavano, reagivano ed esplodevano, poi, seguito da un luccichio di frammenti di vetro, il proiettile partì, si aprì a raggiera, descrisse una curva verso il ptertha e lo distrusse, liberando una chiazza di polvere violacea che sparì in fretta.
— Bel tiro — disse Chakkel dietro le sue spalle. — Voi dite che siamo al sicuro dal veleno a questa distanza?
Toller annuì. — La nave viaggia indipendentemente dal vento che c’è qui, quindi la polvere non può raggiungerci. — I ptertha non sono una grande minaccia, in realtà, ma ho distrutto quello perché sul finire della piccola notte può esserci una certa turbolenza. Non voglio rischiare che un globo entri casualmente in un vortice d’aria e si sposti verso di noi.
La faccia bruna di Chakkel assunse un’espressione preoccupata mentre fissava i globi rimasti. — Come mai sonò arrivati così vicini?
— Pura coincidenza, sembra. Se sono sparsi in un’area di cielo in cui si alza una nave, possono raggiungere la sua velocità di salita grazie al risucchio d’aria. La stessa cosa accade… Toller si interruppe sentendo altri due colpi di cannone, un po’ più in là, seguiti da leggere grida che sembravano venire da sotto.
Si sporse dal bordo della navicella e guardò direttamente giù. La convessa immensità di Mondo offriva un intricato sfondo di blu e di verde a una distesa di palloni che sembrava infinita, il più vicino dei quali era solo a poche centinaia di iarde. Altri erano in fila sotto di loro a quote diverse, in raggruppamenti casuali, e rimpicciolivano progressivamente fino a diventare quasi invisibili.
Diversi ptertha si mescolavano con le navi più in alto, e mentre Toller guardava, un altro cannone sparò e ne colpì uno. Il proiettile perse presto lo slancio e sparì tuffandosi vertiginosamente tra i disegni delle nuvole, molto più in basso. Le grida continuarono, regolari come il respiro, prima di svanire a poco a poco.
Toller si allontanò dalla ringhiera, chiedendosi se le grida erano dovute al panico di non avere la terra sotto i piedi, o se qualcuno aveva davvero visto un globo gironzolare vicino alla navicella, cieco, maligno e assolutamente invincibile, pronto a scagliarsi per uccidere. Stava già abbandonandosi a un senso di sollievo sfumato di colpa per essersi salvato da un simile destino, quando lo colpì un nuovo pensiero. I ptertha non avevano nessun bisogno di aspettare la luce del giorno per avvicinarsi.Non c’era nessuna garanzia che uno o più dei globi non fosse andato ad esplodere vicino alla sua nave durante l’intervallo di oscurità, e se era così né lui, né Gesalla, né nessuno dei suoi passeggeri sarebbe vissuto abbastanza per mettere piede su Sopramondo.
Mentre cercava di venire a patti con quell’idea, fece scivolare una mano in tasca, localizzò il curioso portafortuna datogli da suo padre, e lasciò che il suo pollice cominciasse a girare sulla superficie liscia come il ghiaccio.
Nel decimo giorno di viaggio la nave era solo a mille miglia dalla superficie di Sopramondo, ma i vecchi ritmi di notte e giorno si stavano già capovolgendo.
Il periodo a cui Toller tendeva ancora a pensare come alla piccola notte, quando Sopramondo nascondeva il sole, si era allungato fino a sette ore, mentre sul loro pianeta durava meno della metà. Toller sedeva da solo al posto di pilotaggio, aspettando lo spuntare del giorno e cercando di immaginare il futuro del suo popolo sul nuovo mondo. Pensò anche che i nativi di Kolcorron, da sempre abituati a vivere all’ombra della piccola sfera di Sopramondo, avrebbero potuto sentirsi oppressi dall’incombere di un pianeta più grande sospeso direttamente sopra di loro e che li privava di una parte proporzionalmente più grande del loro giorno abituale. Presumendo che Sopramondo fosse disabitato, gli emigranti avrebbero allora potuto costruire la loro nuova nazione dalla parte opposta, a latitudini Corrispondenti a quelle di Chamteth su Mondo. Forse sarebbe venuto un tempo in cui tutti i ricordi delle loro origini sarebbero stati dimenticati, e…
I pensieri di Toller vennero interrotti dall’apparizione di Setwan, il figlio di sette anni di Chakkel, sulla porta del loro scompartimento. Il bambino si avvicinò e appoggiò la testa sulla spalla di Toller.
— Non riesco dormire, zio Toller — sussurrò. — Posso stare qui con te?
Toller se lo tirò sulle sue ginocchia, sorridendo tra sé mentre immaginava la reazione di Daseene se avesse sentito uno dei suoi figli rivolgersi a lui chiamandolo zio.
Delle sette persone confinate nel microcosmo coatto della navicella, Daseene era l’unica che non avesse fatto alcuna concessione alla loro situazione. Non aveva parlato né con Toller né con Gesalla, portava ancora il diadema di perle e si avventurava fuori dalla zona passeggeri solo quando era strettamente necessario. Era andata avanti senza mangiare né bere per tre giorni interi piuttosto che sottomettersi all’indecenza di usare la primitiva toeletta, quando erano vicini al punto medio. Il suo volto si era fatto pallido e tirato, e sebbene la nave fosse già scesa ai livelli relativamente caldi dell’atmosfera di Sopramondo, lei rimaneva raggomitolata negli abiti imbottiti fatti a mano preparati frettolosamente per il volo di migrazione. Se qualcuno dei suoi familiari le parlava rispondeva a monosillabi.
Toller si sentiva abbastanza comprensivo nei suoi confronti, sapendo che i traumi degli ultimi giorni erano stati maggiori per lei che per chiunque altro a bordo. I bambini, Corba, Oldo e Setwan non avevano passato nella privilegiata terra di sogno dei Cinque Palazzi anni sufficienti a condizionarli irrevocabilmente, e avevano dalla loro il naturale istinto di curiosità e di avventura. Le responsabilità e l’ambizione avevano sempre tenuto Chakkel in stretto contatto con la realtà di tutti i giorni, e lui aveva forza e risorse sufficienti a far prevedere che avrebbe avuto un ruolo chiave nella fondazione di una nuova nazione su Sopramondo. E Toller era rimasto piuttosto impressionato dal modo in cui il principe, dopo un periodo iniziale di adattamento, aveva deciso di impegnarsi nella conduzione della nave senza sottrarsi a nessun compito.
Chakkel era stato particolarmente scrupoloso nell’assumersi lunghi turni di lavoro ai microreattori che davano alla nave un minimo di controllo direzionale. Ci si aspettava, e tutti l’avevano capito, che dopo un viaggio di cinquemila miglia le navi sarebbero state disperse dalle correnti d’aria su un’area piuttosto vasta di Sopramondo, ma Leddravohr voleva che il volo reale atterrasse in un gruppo unito.
Dopo avere accantonato come irrealizzabili vari metodi per tenerli radunati, i quattro palloni erano stati infine dotati di reattori orizzontali molto piccoli, che fornivano solo una minima frazione della spinta prodotta dai reattori di controllo di posizione. Tenuti accesi continuamente o comunque abbastanza a lungo, i microreattori aggiungevano una leggera componente laterale al movimento verticale della nave senza con questo farla ruotare intorno al suo asse, e in effetti il volo reale rimane in formazione chiusa per tutta la durata del viaggio.
Il panorama delle altre navi aveva offerto a Toller uno degli spettacoli più memorabili della sua vita, quando il gruppo aveva oltrepassato il punto medio ed era venuto il momento di capovolgerle. Sebbene avesse già vissuto quell’esperienza, trovò qualcosa di maestoso e di indicibilmente bello nella vista dei pianeti gemelli che si spostavano in opposte direzioni, Sopramondo che. spuntava brillando dopo essere sparito sotto il pallone e sotto il cielo, e Mondo all’altro capo di un’asta invisibile, che emergeva dal bordo della navicella.
E all’emozione della metà del viaggio, si aggiunse una nuova dimensione di meraviglia. I palloni che indietreggiavano e ondeggiavano sembravano gettare un ponte tra i due pianeti, un ponte di dischi sempre più piccoli, fino a diventare punti luminosi. Molte navi dalla parte di Sopramondo avevano ritardato il capovolgimento, e si vedevano dal di sotto, con le loro navicelle, i punti d’attacco, e gli scarichi del reattore, chiarissimi in ogni più piccolo dettaglio.
Come se non fosse stato abbastanza per riempire gli occhi e la mente, nell’infinito blu scuro disseminato di mulinelli e nastri e punti di luce congelata, altre tre navi del volo reale stavano effettuando contemporaneamente la manovra di capovolgimento. Le aeree strutture, così fragili da sgretolarsi a una brezza appena forte, rimanevano magicamente immuni alla distorsione che le torceva mentre si mettevano l’universo sulla testa, proclamando che quella era davvero la zona dello straordinario. I loro piloti, informi figure infagottate, sarebbero potuti essere benissimo alieni dalle facoltà inaccessibili ai comuni mortali.
Non tutte le cose che Toller vide durante la traversata avevano quella grandiosità, ma s’impressero nella sua memoria con la stessa forza. C’era il viso di Gesalla, con i vari stati d’animo e nei suoi diversi aspetti, incerta ma trionfante mentre vinceva la caparbietà del fuoco della cambusa, pallida e riflessiva dopo ore di caduta nella zona a gravità zero; i ptertha nella scia della nave che scoppiavano uno ad uno, dopo un giorno di ascensione; lo sguardo dei bambini, colmo di stupore e delizia quando i loro respiri erano diventati visibili nel gelo circostante, e i loro giochi durante il breve periodo in cui potevano sospendere nell’aria perline e ninnoli per schizzare visi semplificati e costruire strutture tridimensionali.
E c’erano state altre cose, fuori della nave, che raccontavano di tragedie e di tipi di morte che fino allora erano appartenute ai reami dell’incubo.
Il volo reale aveva preso il via quando l’evacuazione della Caserma era già cominciata da un pezzo, e Toller sapeva che nel frattempo una nuvola rettilinea di navi era arrivata ormai a un giorno dal punto medio, forse anche più in là, ad un’altezza di un centinaio di miglia circa sopra di loro. Anche se non fossero state nascoste dalla vastità del pallone, molte di loro sarebbero state comunque invisibili per la distanza, ma lui aveva avuto prove conturbanti della loro esistenza. La prova era una pioggia spasmodica e terribile, una pioggia di gocce solide che variavano di misura, da intere astronavi a corpi umani.
Nella lunga giornata della caduta, ne aveva viste tre precipitare giù, accartocciate con le navicelle che si dibattevano lentamente nelle rovine dei loro palloni. Toller immaginava che nelle ultime ore della fuga da Ro-Atabri ogni traccia di ordine fosse scomparsa, e che nel caos qualche nave fosse stata presa da piloti inesperti o magari anche da ribelli senza nessuna cognizione di volo. Sembrava addirittura che alcune di esse avessero oltrepassato il punto medio senza capovolgersi, perché la loro velocità aumentava con il crescere dell’attrazione di Sopramondo finché le tremende tensioni sui leggeri involucri non staccavano un pezzo dall’altro.
Una volta aveva visto una navicella precipitare senza pallone, mantenendo il suo assetto grazie alle funi intrecciate e ai montanti di accelerazione; dentro, in fila davanti alle ringhiere, c’era una dozzina di. soldati che osservavano in silenzio il volo tranquillo della nave reale, il loro ultimo precario legame con l’umanità e con la vita.
Ma per la maggior parte gli oggetti che cadevano erano più piccoli: utensili da cucina, scatole decorate, sacchi di provviste, forme limane e animali, prove di incidenti più o meno catastrofici decine di miglia più in alto nell’ammasso ondeggiante di navi.
Non molto dopo il punto medio, quando l’attrazione di Sopramondo era ancora debole e le velocità basse, un giovane era caduto passando rasente alla loro nave, così vicino che Toller aveva potuto distinguere i suoi lineamenti.
Forse per una bravata, o per un disperato desiderio di un’ultima comunione con un altro essere umano, il giovane l’aveva chiamato, con fare divertito, e aveva agitato una mano. Toller non aveva risposto in alcun modo, sentendo che farlo sarebbe stato come prendere parte a una qualche macabra parodia di scherzo, ed era rimasto pietrificato alla ringhiera, inorridito eppure incapace di distogliere gli occhi da lui, per i lunghi minuti che gli ci vollero per rimpicciolire fino a scomparire alla vista.
Qualche ora più tardi, quando intorno tutto era buio e lui non riusciva a dormire, Toller aveva continuato a pensare all’uomo che precipitava, che in quel momento doveva essere mille miglia più avanti della flotta di migrazione, e si chiedeva come e se si stesse preparando per l’impatto finale…
Confortato dalla presenza di Setwan che sonnecchiava sulle sue ginocchia, Toller governava il bruciatore come un automa, regolando inconsciamente il ritmo delle fiammate con i battiti del suo cuore. Quando la luce del giorno improvvisamente tornò, strizzò gli occhi varie volte e vide immediatamente che qualcosa non andava. Solo due navi del volo reale erano al suo stello livello, invece di tre.
L’astronave mancante era quella del Re.
Non c’era niente di realmente strano in questo; Kedalse era un pilota fin troppo cauto, che preferiva rallentare la discesa durante la notte per tenere le altre navi un po’ sotto di lui e poterne più facilmente controllare la posizione, ma questa volta non si vedeva, neppure negli strati superiori del cielo.
Toller sollevò in fretta Setwan e lo aveva appena portato nello scompartimento passeggeri con la sua famiglia, quando sentì le grida frenetiche di Zavotle e di Amber. Guardò verso di loro e vide che stavano indicando qualcosa sopra la sua nave, e proprio in quel momento una zaffata di gas caldo uscì eruttando dalla bocca del pallone, provocando il piagnucolio spaventato di uno dei bambini. Toller guardò la sfera brillante che lo sovrastava e il suo cuore si fermò quando vide in trasparenza, praticamente incastrata nel pallone, l’impronta quadrata di una navicella, che distorceva le geometrie a ragnatela dei nastri di carico.
La nave del Re era direttamente sopra di lui e si era appoggiata violentemente sul pallone.
Toller poté distinguere bene la sagoma circolare del diffusore del reattore dell’altra nave che si conficcava nella corona dell’involucro, danneggiando il pannello di sgonfiamento. Un coro di scricchiolii salì dal sartiame e dai montanti di accelerazione, e la deformazione della stoffa del pallone espulse altro gas soffocante nella navetta.
— Kedalse! — gridò, sperando di farsi sentire. — Alza la tua nave! Alza la tua nave!
Le deboli voci di Zavotle e di Amber si unirono alla sua, e un eliografo cominciò a lampeggiare da una delle due navicelle, ma da sopra non venne alcuna risposta. La nave del Re continuava a schiacciare il pallone sovraccarico, minacciando di farlo scoppiare o di sgonfiarlo.
Toller diede uno sguardo impotente a Gesalla e Chakkel, che si erano precipitati fuori e lo stavano fissando terrorizzati a bocca aperta. La migliore spiegazione che gli veniva in mente era che il pilota del Re fosse stato colto da un malore e si trovasse ai controlli svenuto o morto. Se era così, qualcun altro poteva accendere il bruciatore e separare i due aerostati, ma bisognava farlo molto in fretta. E c’era anche la possibilità, e la bocca di Toller s’inaridì al solo pensiero, che il bruciatore in qualche modo si fosse rotto e non potesse essere acceso.
Provò a costringere il suo cervello a rimettersi in moto, mentre il pavimento ondeggiava sotto i suoi piedi e la stoffa del pallone crepitava di suoni simili allo schioccare di una frusta. Le due navi incastrate avevano cominciato a perdere quota molto in fretta, come si poteva vedere dalle altri due navi reali che sembravano fuggire all’insù.
Leddravohr si affacciò al parapetto della sua navicella, per la prima volta dopo il decollo, e dietro di lui Zavotle continuava a mandare inutili lampi di luce con il suo eliografo.
Era impossibile per Toller staccarsi dalla nave del Re aumentando la propria velocità in discesa. Il suo pallone aveva già perso gas e stava pericolosamente avvicinandosi al punto critico in cui la resistenza dell’aria di un’eccessiva velocità avrebbe potuto sgonfiarlo, dando inizio a una caduta di mille miglia verso la superficie di Sopramondo.
Al contrario, era urgente far arrivare grandi quantità di gas caldo nel pallone, ma in quel modo, con il carico extra in alto, c’era il rischio che la pressione interna aumentasse così tanto da farlo scoppiare.
Toller incontrò gli occhi di Gesalla e nella sua mente nacque la decisione, forte come un imperativo: voglio vivere.
Andò di corsa al posto di comando e accese il bruciatore con un lungo boato tonante, irrorando di gas caldo il pallone affamato, poi manovrò la leva del reattore di controllo. Il nuovo rumore si perse in quello più frastornante del bruciatore ma l’effetto ci fu.
Le altre due navi del volo reale scivolarono in basso, fuori vista, mentre quella di Toller ruotava su se stessa. Ci furono scosse, vibrazioni e sordi rumori scricchiolanti mentre la nave del Re slittava giù lungo il fianco del pallone di Toller e diventava visibile poco più in alto. Uno dei suoi montanti di accelerazione saltò via dal punto di attacco inferiore e cominciò a vagare roteando nell’aria come la spada di un duellante.
Cosa che del resto faceva anche la nave di Toller, congelata nella sua rotazione, con quel movimento pigro ma inarrestabile conseguente alla brusca accelerazione. L’altra navicella arrivò allo stesso livello e l’estremità libera del montante si infilò ciecamente nella cambusa di Toller, inclinando pericolosamente tutta la struttura. Il contraccolpo si ritrasmise lungo il montante e la sua parte superiore bucò il proprio pallone.
Una cucitura si strappò, e il pallone morì.
Si flette all’interno, sgonfiandosi e contorcendosi in una perfetta immagine di agonia, e ora la nave del Re stava precipitando in una caduta incontrollata. Il montante ancora incastrato nel fianco della cambusa fece leva ribaltando sul fianco la navicella di Toller e Sopramondo balenò davanti a loro avido e impaziente. Gesalla gridò quando cadde contro la parete e lo specchio che teneva in mano schizzò via nel vuoto blu. Toller si gettò nella cambusa, rischiando di volar fuori dal parapetto, afferrò l’estremità del montante e chiamando a raccolta tutta le forze del suo fisico da guerriero, riuscì a liberarlo e a buttarlo fuori.
Mentre la navicella si raddrizzava, Toller si aggrappò alla ringhiera e guardò l’altra nave che iniziava la sua mortale discesa. All’altezza di mille miglia la gravità era più che dimezzata, e i movimenti diventavano lenti, come in un sogno. Vide Re Prad muoversi silenziosamente sul fianco della navicella che cadeva. Il Re, con il suo occhio cieco che brillava come una stella, alzò una mano e gli fece segno, poi fu nascosto dai rottami del suo pallone. Guadagnando velocità man mano che. scendeva, ancora cercando un equilibrio tra l’attrazione del pianeta e la resistenza dell’aria, la nave divenne sempre più piccola fino a diventare un puntino tremolante ai limiti delle possibilità visive, e infine si perse sullo sfondo confuso di Sopramondo.
Sentendosi addosso quasi una pressione fisica, Toller alzò la testa verso le due navi che lo accompagnavano. Leddravohr lo stava fissando dalla più vicina, e quando i loro occhi si incontrarono tese verso di lui entrambe le braccia, come a chiamarlo in un abbraccio da amante. Rimase così, implorando in silenzio, e anche quando Toller fu tornato al bruciatore continuò a sentire lo sguardo del principe che gli accoltellava l’anima come una lama invisibile. Chakkel, grigio in volto, lo stava guardando dalla soglia dello scompartimento passeggeri, in cui Daseene e Corba stavano singhiozzando piano.
— Questo è un brutto giorno — disse Chakkel con voce incrinata. — Il Re è morto.
“Non ancora”, pensò Toller. “Ha ancora molte ore da passare”. A voce alta disse: — Voi avete visto cos’è successo. Siamo fortunati a essere qui almeno noi. Non avevo scelta.
— Leddravohr non la vedrà così.
— No — convenne Toller pensoso.— Leddravohr non la vedrà così.
Quella notte, mentre Toller cercava inutilmente di dormire, Gesalla gli si mise a fianco, e nella solitudine di quel momento gli sembrò perfettamente naturale metterle un braccio attorno. Lei gli posò la testa sulla spalla e avvicinò la bocca al suo orecchio.
— Toller — sussurrò — a cosa stai pensando?
Pensò di mentirle, poi decise che si era già imposto troppe barriere. — Sto pensando a Leddravohr. Mi chiederà soddisfazione di quello che è successo.
— Forse avrà meditato sull’accaduto ora che avremo raggiunto Sopramondo e se ne sarà fatto una ragione. Voglio dire, anche se noi ci fossimo sacrificati, non avremmo salvato il Re. Leddravohr sarà costretto ad ammettere che non avevi scelta.
— Io posso sapere che non avevo scelta, ma Leddravohr dirà che ho avuto troppa fretta di rotolare via da sotto la nave di suo padre. Forse io direi la stessa cosa, se fossi al suo posto. Se avessi aspettato un po’ di più, magari Kedalse, o qualcun altro, avrebbe potuto far funzionare il loro bruciatore.
— Non devi pensare in questo modo — disse Gesalla dolcemente. — Hai fatto quello che dovevi fare.
— E anche Leddravohr farà quello che deve fare.
— Puoi sempre batterlo, no?
— Forse, ma temo che avrà già dato ordine di giustiziarmi — rispose Toller. — Non posso combattere contro un reggimento.
— Capisco. — Gesalla si sollevò su un gomito e lo guardò, e nel buio il suo viso era bello in modo impossibile. — Mi ami, Toller?
Lui sentì di essere arrivato alla fine di un viaggio lungo quanto una vita. — Sì.
— Ne sono felice. — Si mise più dritta e cominciò a togliersi i vestiti. — Perché voglio un bambino da te.
Lui la strinse, sorridendo intontito nella sua incredulità. — Cosa pensi che possiamo fare? Chakkel è al bruciatore proprio dall’altra parte di questa tramezza.
— Non può vederci.
— Ma non è questo il modo di…
Non me ne importa niente — disse Gesalla, premendo il suo seno contro il braccio che le cingeva la vita. — Voglio che tu sia il padre di mio figlio, e potremmo avere molto poco tempo per noi.
— Non funzionerà, lo sai. — Toller si abbandonò indietro sulle trapunte. — È fisicamente impossibile per me fare l’amore in queste condizioni.
— Questo è quello che pensi tu — disse Gesalla mettendosi a cavalcioni sopra di lui, le labbra sulle labbra, accarezzandogli il viso con entrambe le mani in attesa della sua risposta.
Il continente equatoriale di Sopramondo, visto da un’altezza di due miglia, aveva un’aspetto assolutamente preistorico.
Toller aveva scrutato il panorama per un po’ prima di capire perché continuava a venirgli in mente quel particolare aggettivo. Non era per la totale assenza di città e di strade, prima indicazione che il continente era disabitato, ma per il colore uniforme della vegetazione.
In tutta la sua vita ogni veduta aerea che gli era capitata sotto gli occhi era caratterizzata in qualche modo dal sistema dei sei raccolti, universale su Mondo. Gli ortaggi commestibili e tutti gli altri vegetali erano coltivati in strisce parallele nelle quali i colori, attraverso mille sfumature, andavano dal marrone, al giallo maturo, ma qui le pianure erano semplicemente… verdi. Le distese assolate di quell’unico verde luccicavano davanti a lui.
“I nostri agricoltori dovranno ricominciare da capo tutta la scelta dei semi”, pensò. “E bisognerà dare un nome alle montagne e ai mari e ai fiumi. Questo è davvero un nuovo inizio su un nuovo mondo. E io non credo che ne farò parte…”
Ricordando i suoi problemi personali, rivolse la sua attenzione agli elementi artificiali della scena. Le altre due navi reali erano leggermente sotto di lui. Quella di Pouche era la più distante, e la maggior parte dei suoi passeggeri era affacciata alla ringhiera viaggiando verso il nuovo mondo con la fantasia.
Ilven Zavotle seduto stancamente ai comandi, era l’unica persona visibile sull’altra nave. Leddravohr doveva essere sdraiato nella zona passeggeri, come aveva fatto per tutto il viaggio tranne che durante il drammatico episodio di due giorni prima. Toller aveva già notato il comportamento del principe, e si era domandato se per caso non avesse paura del vuoto senza suono che circondava la flotta di migrazione. In quel caso, sarebbe stato un bel vantaggio per Toller se il loro inevitabile duello si fosse combattuto a bordo di una delle navicelle.
Nelle due miglia più sotto poteva vedere altri dodici palloni che formavano una linea irregolare protesa a ovest, segno evidente di una brezza moderata negli strati più bassi d’atmosfera. L’area sulla quale si stavano dirigendo era punteggiata dalle sagome oblunghe dei palloni ormai flosci già atterrati, che sarebbero stati usati per costruire una tendopoli provvisoria. Come Toller si aspettava, il binocolo gli mostrò che per la maggior parte avevano insegne militari. Anche nella confusione della fuga da Ro-Atabri Leddravohr aveva avuto la preveggenza di prepararsi una base di potere, efficiente già dall’istante in cui avesse messo piede su Sopramondo.
Analizzando la situazione, Toller non vedeva alcuna possibilità di vivere più di qualche secondo se fosse atterrato vicino a Leddravohr. Anche se fosse sfuggito al principe in un combattimento singolo, sarebbe stato catturato dall’esercito, come responsabile della morte del Re.La sua sola e disperatamente esile speranza di sopravvivenza, misurabile comunque in termini di giorni, stava nel rimanere in posizione arretrata durante la lenta discesa per risalire immediatamente appena la nave di Leddravohr avesse preso terra. C’erano delle colline coperte di foreste circa venti miglia a ovest del punto di atterraggio, e se fosse riuscito a raggiungerle con il suo pallone forse sarebbe sfuggito alla cattura, almeno finché le forze della neonata nazione non si fossero organizzate adeguatamente per distruggerlo.
Il punto debole del piano era legato a fattori al di fuori del suo controllo, vale a dire alla mentalità e al carattere del pilota di Leddravohr.
Non aveva nessun dubbio che Zavotle avrebbe tratto le giuste deduzioni, vedendo Toller frenare la nave durante l’atterraggio, ma avrebbe appoggiato le sue intenzioni? Sarebbe dovuto essere velocissimo a tirare il pannello e a sgonfiare il pallone, proprio mentre Leddravohr si rendeva conto che il suo nemico gli stava sfuggendo, e non c’era modo di predire come il principe avrebbe reagito. Aveva ucciso per molto meno. Toller guardò nell’aria luminosa verso la figura solitaria di Zavotle, sperando che avrebbe risposto al suo muto messaggio, poi appoggiò la schiena alla parete della navicella e si rivolse a Chakkel, che stava mantenendo il bruciatore al regime di discesa di uno-venti.
— Principe, c’è una certa brezza a livello del suolo e ho paura che la nave possa essere trascinata via — disse, facendo la sua mossa d’apertura. — Voi, la principessa e i vostri bambini dovreste prepararvi a scavalcare la fiancata anche prima che tocchiamo terra. Può sembrare pericoloso, ma c’è una buona sporgenza tutt’intorno alla navicella su cui stare in piedi, e la nostra velocità, rasoterra, sarà poco più che un’andatura da passeggio. Meglio saltare giù prima dell’atterraggio che trovarsi a bordo se ci dovessimo rovesciare.
— Sono commosso per la vostra sollecitudine — disse Chakkel, dandogli un’occhiata pensierosa inclinando la testa.
Chiedendosi se aveva già commesso il primo errore, Toller si avvicinò al posto di pilotaggio. — Atterreremo molto presto, principe. Fareste bene a prepararvi.
Chakkel annuì, lasciò libero il sedile, e inaspettatamente, disse: — Ricordo ancora la prima volta che vi ho visto, nella compagnia di Glo. Non avrei mai creduto che saremmo arrivati a questo.
— Lord Glo vedeva lontano — rispose Toller. — Dovrebbe essere qui.
— Credo anch’io — Chakkel gli lanciò un altro sguardo indagatore e si avviò allo scompartimento dove Daseene e i bambini si stavano preparando per l’atterraggio.
Toller si mise a sedere e prese il controllo del bruciatore, notando nel contempo che l’ago dell’altimetro era di nuovo sulla tacca più bassa. Dato che Sopramondo era più piccolo di Mondo, lui si era aspettato che avesse una gravità inferiore, ma Lain aveva detto altrimenti. “Sopramondo ha una densità più alta, e quindi tutto lì peserà più o meno quanto su Mondo”. Toller scosse la testa, quasi sorridendo in un tributo tardivo. Come aveva fatto Lain a sapere cosa dovevano aspettarsi? La matematica era uno degli aspetti della vita di suo fratello che sarebbe rimasto un libro chiuso per lui, come sembrava essere anche…
Lanciò uno sguardo a Gesalla, che da un’ora era immobile vicino alla parete esterna del suo scompartimento, completamente assorbita dagli scenari del nuovo mondo che si stendevano sotto di loro. Si era già sistemata il suo fagotto sulle spalle, dando l’impressione di essere impaziente di mettere piede su Sopramondo e di cominciare a organizzare qualunque tipo di futuro avesse immaginato per se stessa e il bambino che, probabilmente, lui l’aveva aiutata a concepire. Una marea di emozioni crebbe in lui all’idea che quella donna dalla figura sottile, c ritta e inflessibile, fosse la persona più complessa che avesse mai conosciuto.
La notte in cui avevano fatto all’amore, Toller era sicurissimo che non sarebbe riuscito ad adempiere al suo ruolo, sia per la stanchezza, che per l’incombente presenza di Chakkel, ai comandi del bruciatore solo a qualche passo di distanza. Ma Gesalla la sapeva lunga.
Lo aveva stuzzicato con passione, abilità e fantasia, eccitandolo con la sua bocca e con il suo corpo flessuoso, finché per lui non era esistito più niente se non il bisogno di emettere il suo seme dentro di lei. Gli era rimasta addosso fino al momento dell’orgasmo, poi aveva lentamente cambiato posizione, con il bacino spinto verso l’alto e le gambe chiuse intorno a lui. Solo dopo, quando si erano messi a parlare, lui aveva capito che lo aveva fatto per aumentare al massimo le possibilità di concepimento.
E ora, pur amandola, la odiava per alcune delle cose che aveva detto durante il resto di quella notte, mentre le meteore guizzavano nell’oscurità circostante. Non c’erano stati discorsi diretti, ma gli si era rivelata una Gesalla che, pur mostrando la più fredda ira alla minima violazione di etichetta, era disposta nello stesso tempo a sfidare qualunque convenzione per il bene di un futuro bambino. Nell’ambiente sociale della vecchia Kolcorron le era sembrato che le qualità di Lain Maraquine fossero le migliori per la sua prole, e quindi lo aveva sposato. Aveva amato Lain, ma quello che urtava la sensibilità di Toller era che l’aveva amato per una precisa ragione.
E ora che veniva proiettata in un ambiente così enormemente diverso come Sopramondo aveva attentamente valutato e considerato vantaggiose le caratteristiche che avrebbe trasmesso il seme di Toller Maraquine e quindi si era accoppiata con lui.
Nella sua confusione e nel suo dolore, Toller non riusciva a identificare la fonte di quel risentimento. Era disgusto di se stesso per essersi lasciato sedurre così facilmente dalla vedova di suo fratello? O era orgoglio ferito perché le sue più belle sensazioni erano state utilizzate per un esercizio di eugenetica? Oppure era furioso con Gesalla perché non rispecchiava l’idea che se ne era fatto, perché non era come lui avrebbe voluto? Com’era possibile per una donna essere pudica e lasciva allo stesso tempo, essere generosa ed egoista, dura e affettuosa, accessibile e lontana, sua e non sua?
Le domande erano infinite, si accorse Toller, e indugiarci sopra, a quel punto, sarebbe stato inutile e pericoloso. La sola cosa di cui doveva occuparsi era di restare vivo.
Infilò il raccordo di estensione nella leva del bruciatore e si spostò sul fianco della navicella per avere la massima visibilità durante la discesa. Mentre l’orizzonte cominciava a salire verso di lui, aumentò il rapporto di combustione, lasciandosi superare dalla nave di Zavotle. Doveva portarsi alla maggior distanza verticale possibile senza suscitare i sospetti di Leddravohr e di Chakkel. Guardò la dozzina di navi ancora in aria davanti al volo reale che si posavano una ad una; il momento preciso dell’atterraggio era segnalato da un sobbalzo del pallone, poi dall’apparizione di un’aperture triangolare sulla corona e infine dall’afflosciarsi di tutto l’involucro.
L’intera zona era ormai disseminata di navi, e già si stava creando una sorta di ordine. Le provviste venivano riunite insieme e accatastate, e gruppi di uomini correvano verso i palloni in arrivo non appena toccavano terra.
Il senso di reverenza che Toller si era aspettato di provare a quella vista non ci fu, rimosso dall’urgenza della sua situazione. Puntò il binocolo sulla nave di Zavotle che si avvicinava al terreno e arrischiò una lunga vampata di gas migligno. Nello stesso istante, come le sue orecchie fossero state sintonizzate sul rumore rivelatore, Leddravohr si materializzò alla ringhiera della sua navicella. I suoi occhi, che proteggeva dalla luce con la mano, erano fissi sulla nave di Toller, e anche a quella distanza si vedevano sfolgorare di un alone di luce bianca mentre si rendeva conto di quello che stava succedendo.
Si voltò per dire qualcosa al pilota, ma Zavotle, senza aspettare di toccar terra, tirò la fune di sgonfiamento. Il pallone sopra di lui entrò nelle convulsioni palpitanti della sua agonia di morte. La navicella slittò sull’erba e scomparve alla vista, mentre il sudario marrone dell’involucro le svolazzava intorno. Gruppi di soldati tra cui un ufficiale su un blucorno, corsero verso di loro, altri verso la nave di Pouche, che stava atterrando più comodamente un po’ più in là.
Toller abbassò il binocolo e guardò in faccia Chakkel. — Principe, per motivi che devono esservi evidenti, non farò atterrare la mia nave adesso. Non ho intenzione di portare né voi né altre persone che non hanno niente a che fare con i miei problemi — si fermò per fissare Gesalla — in un territorio sconosciuto e selvaggio, per cui scenderò fino a livello dell’erba. A quell’altezza sarà molto facile per voi e per la vostra famiglia lasciare la nave, ma dovete farlo in fretta e senza tentennamenti. Siamo intesi?
— No. — Chakkel lasciò lo scompartimento passeggeri e fece un passo verso Toller. — Farete atterrare la nave esattamente come previsto dalle normali procedure. Questo è un ordine, Maraquine. Non ho nessuna intenzione di sottoporre me e la mia famiglia a inutili rischi.
— Rischi! — Toller stirò le labbra in una specie di sorriso. — Principe, stiamo parlando di un salto di pochi pollici. Confrontatelo al capitombolo di migliaia di miglia in cui ci siamo imbarcati, pochi giorni fa.
— Capisco perfettamente la situazione — Chakkel esitò e si voltò a guardare sua moglie. — Ma devo insistere per l’atterraggio.
— E io insisto altrimenti — ribatté Toller, in tono più duro. La nave era ancora a circa trenta piedi dal suolo e ad ogni momento che passava la brezza la portava più lontano dal punto in cui era atterrato Leddravohr, ma il periodo di grazia sarebbe presto finito.Toller stava giusto cercando di quantificare il tempo che gli rimaneva quando Leddravohr uscì da sotto il pallone sgonfio. Subito Gesalla si arrampicò sul parapetto e si appollaiò sulla predella esterna, pronta a saltare. I suoi occhi incontrarono quelli di Toller solo per un attimo, e rimasero assolutamente muti. Lui continuò ad abbassarsi finché non riuscì a distinguere con chiarezza ogni singolo filo d’erba.
— Principe, dovete decidervi. — disse. — Se non lasciate la nave adesso, saliremo insieme.
— Non necessariamente. — Chakkel si sporse sui comandi e afferrò la fune rossa del pannello di sgonfiamento. — Penso che questo reinstauri la mia autorità — disse, levando l’indice quando vide che Toller rafforzava istintivamente la presa sulla leva di estensione. — Se vi azzardate a salire darò sfogo al pallone.
— Potrebbe essere pericoloso a quest’altezza.
— Non se lo faccio solo parzialmente — rispose Chakkel, facendo sfoggio della conoscenza acquisita seguendo i lavori di costruzione della flotta. — Posso far scendere la nave abbastanza delicatamente.
Toller guardò alle sue spalle e vide in lontananza Leddravohr nell’atto di requisire il blucorno dell’ufficiale che era andato incontro alla sua nave. — Qualunque atterraggio sarebbe delicato — disse — in confronto a quello che i vostri bambini avrebbero potuto fare dopo una caduta di centinaia di miglia.
Chakkel scosse la testa. — Le ripetizioni non rafforzano la vostra posizione, Maraquine; fanno semplicemente venire in mente che stavate salvando anche la vostra pelle. Il Re è Leddravohr, adesso, e il mio primo dovere è verso di lui.
Una sorta di fruscio venne da sotto i loro piedi quando il condotto di scarico del reattore sfiorò l’erba. Mezzo miglio a est, Leddravohr in sella al blucorno stava galoppando verso la nave, seguito da un gruppo di soldati.
— E il mio primo dovere è verso i miei figli — annunciò inaspettatamente la principessa Daseene, sporgendo la testa da sopra il tramezzo dello scompartimento passeggeri. — Ne ho abbastanza di questa faccenda. E anche di te, Chakkel.
Con sorprendente agilità si arrampicò sulla parete della navicella e aiutò Corba a fare altrettanto.
Istintivamente, Gesalla fece il giro della navicella dall’esterno e aiutò i bambini a scendere sulla sporgenza.
Daseene, che portava ancora l’assurdo diadema di perle come le insegne di un generale, fissò suo marito con uno sguardo imperioso. — Sei in debito con quest’uomo per la mia vita — disse con voce sibilante. — Se rifiuti di onorare questo debito la conseguenza sarà una sola.
— Ma… — Chakkel inarcò le sopracciglia, incerto e perplesso, poi indicò Leddravohr, che si stava rapidamente avvicinando alla loro nave. — Cosa dirò a lui?
Toller entrò nello scompartimento che aveva diviso con Gesalla e prese la sua spada. — Potete sempre dire che vi ho minacciato con questa.
— Mi state minacciando con quella?
Il crepitio d’erba frusciante divenne più forte, e la navicella oppose una leggera resistenza quando il tubo di scarico raschiò il terreno. Toller fissò Leddravohr, che a solo duecento iarde di distanza frustava il blucorno in un galoppo più selvaggio. Poi gridò a Chakkel: — Per il vostro stesso bene, lasciate la nave adesso!
— Qualcos’altro per cui ricordarvi — borbottò Chakkel mollando la fune. Si avvicinò alla fiancata, scavalcò il parapetto e saltò a terra. Daseene lo seguì immediatamente con i bambini, con uno di loro che gridava di divertita eccitazione, lasciando Gesalla attaccata alla ringhiera.
— Addio — disse Toller.
— Addio, Toller. — Lei continuava a rimanere lì, fissandolo con uno sguardo che sembrava di sorpresa. Leddravohr era ormai a poco più di cento iarde e gli zoccoli del suo blucorno rimbombavano sempre più forte.
— Che cosa aspetti? — Toller sentì la sua voce incrinata dal panico. — Scendi!
— No. Vengo con te. — Nel tempo occorrente a pronunciare quelle parole Gesalla si era arrampicata sul parapetto, dentro la navicella.
— Che cosa stai facendo? — Ogni nervo nel corpo di Toller stava gridando di accendere il bruciatore e mettersi fuori dalla portata di Leddravohr, ma i muscoli delle sue braccia e delle sue mani erano paralizzati. — Sei impazzita?
— Credo di sì — rispose Gesalla con un tono che non ammetteva discussioni. — È stupido, ma verrò con te.
— Sei mio, Maraquine! urlò Leddravohr con voce stranamente cantilenante, sguainando la spada. — Vieni, Maraquine!
Quasi ipnotizzato anche Toller strinse la mano sulla sua spada, quando Gesalla si buttò con tutto il suo peso sulla leva di estensione. Il bruciatore lanciò un improvviso ruggito, soffiando, gas nel pallone in attesa. Toller lo zittì tirando su la leva, poi spinse Gesalla contro il tramezzo.
— Grazie, ma è inutile — disse. — Leddravohr va affrontato prima o poi, e a questo punto, tanto vale che sia prima.
La baciò dolcemente sulla guancia, volse la schiena alla ringhiera e cercò gli occhi di Leddravohr, ora solo a una dozzine di iarde, al suo stesso livello. Come se avesse percepito il suo nuovo stato d’animo, il principe fece balenare il suo sorriso. Toller avvertì gli stimoli di una vergognosa eccitazione, insieme a un imperioso desiderio di sistemare la questione con Leddravohr una volta per tutte, senza curarsi del risultato, per essere sicuro che…
Il filo dei suoi pensieri si interruppe quando vide un brusco cambiamento sul viso del principe. I suoi lineamenti erano improvvisamente stravolti da un’espressione d’allarme, e i suoi occhi guardavano dietro di lui. Toller si voltò e vide Gesalla che impugnava il calcio di uno dei cannoni anti-ptertha della nave. Aveva già innescato l’accensione, e mirava a Leddravohr. Prima che Toller potesse fermarla, il cannone fece fuoco. Il proiettile era una chiazza indistinta circondata da un alone di frammenti di vetro, che allargava le sue braccia cercando il suo bersaglio.
Leddravohr riuscì a schivarlo, togliendosi dalla sua traiettoria, le schegge di vetro macchiarono di rosso il suo viso. Ansimò per lo scampato pericolo e rimise al galoppo il blucorno, riguadagnando rapidamente il terreno perduto.
Sapendo che le regole della loro guerra privata erano cambiate, Toller fissò Leddravohr con uno sguardo vacuo e accese il bruciatore. La nave, alleggerita dall’assenza di Chakkel e della sua famiglia, si sarebbe dovuta alzare immediatamente, ma l’inerzia di tonnellate di gas ne resero la partenza lenta e terrorizzante come in un incubo. Toller lasciò ruggire il bruciatore e la navicella cominciò pigramente a sollevarsi. Leddravohr li aveva quasi raggiunti, adesso, e si stava rizzando sulle staffe. I suoi occhi fissarono TolIer con uno sguardo folle, da una maschera di sangue.
“È abbastanza pazzo da tentare di saltare sulla navicella?”, si chiese Toller. “Vuole proprio scontrarsi con la punta della mia spada?”
Nei successivi, travolgenti, eterni secondi Toller si accorse che Gesalla si era spostata dietro di lui all’altro cannone, sul fianco sottovento. Leddravohr la vide, abbassò il braccio e lanciò la spada.
Toller emise un grido di avvertimento, ma la spada non mirava a un bersaglio umano. Curvò in alto sopra di loro e si conficcò fino all’elsa in uno dei pannelli inferiori del pallone. La stoffa si squarciò e la spada ricadde roteando sull’erba. Leddravohr tirò le redini, saltò giù e recuperò la sua arma nera. Rimontò immediatamente e spronò avanti il blucorno ma non stava più inseguendo la nave, limitandosi a osservarla a distanza. Gesalla fece fuoco con il cannone, ma il proiettile cadde nell’erba senza far danni, abbastanza lontano da Leddravohr che reagì agitando brevemente il braccio.
Tenendo ancora acceso il bruciatore, Toller guardò in alto e vide che lo strappo nella tela di lino verniciato si era propagato per tutta la lunghezza del pannello. Aveva i bordi slabbrati e perdeva invisibilmente il gas, ma il pallone aveva infine raggiunto una certa velocità di salita e continuava ad alzarsi con i movimenti lenti e pigri di una lumaca.
Toller fu scosso dal suono di un urlo terribile a poca distanza. E scoprì che mentre la sua attenzione si era concentrata su Leddravohr, la nave si era spostata proprio su un gruppo di soldati, che correvano e saltavano a pochi passi dalla navicella sforzandosi di aggrapparsi al predellino sporgente.
Le loro facce erano ansiose piuttosto che ostili, e Toller capì che avevano solo una vaghissima idea di quello che stava succedendo. Pregando di non doversela prendere con loro, continuò a soffiare gas nel pallone, ricompensato da un aumento di quota terribilmente lento ma continuo.
— La nave riesce a volare? — Gesalla andò al suo fianco, cercando di farsi sentire nel ruggito del bruciatore. — Siamo salvi?
— La nave può volare, in qualche modo — rispose Toller, igno rando la seconda domanda.
Perché l’hai fatto, Gesalla?
— Lo sai.
— No.
— Ho capito che posso amare di nuovo. — Gli dedicò un sorriso tranquillo. — E dopo, non ho più avuto scelta.
La soddisfazione che Toller avrebbe dovuto provare si perse nei neri territori della paura. — Ma hai attaccato Leddravohr! E lui non ha pietà, nemmeno per le donne!
— Non c’è bisogno che me lo ricordi. — Gesalla guardò giù verso la figura paziente di Leddravohr che si muoveva lentamente, e per un attimo disprezzo e odio deturparono la sua bellezza. — Avevi ragione Toller, non possiamo semplicemente arrenderci ai macellai. Una volta Leddravohr ha distrutto la vita che avevo in me e Lain ed io abbiamo reagito al suo crimine smettendo di amarci l’un l’altro. Abbiamo dato troppo.
— Sì, ma… Toller trasse un profondo respiro sforzandosi di riconoscere a Gesalla gli stessi diritti che aveva sempre reclamato per sé.
— Ma cosa?
Dobbiamo alleggerire la nave — rispose lui, mettendole in mano la leva del bruciatore. Entrò nello scompartimento che era stato di Chakkel e cominciò a buttare casse e scatole oltre la fiancata.
I soldati che li inseguivano schiamazzarono e si rallegrarono finché non arrivò Leddravohr ordinando che i contenitori fossero portati al punto di raccolta. Un minuto dopo i soldati avevano preso la via del ritorno, lasciando Leddravohr da solo a seguire la nave. La velocità del vento era di circa sei miglia all’ora e di conseguenza il blucorno riusciva a seguirla a trotto leggero. Leddravohr si teneva al di là della portata del cannone, sprofondato nella sella, senza sprecare energia e aspettando che la situazione volgesse a suo vantaggio.
Toller controllò le riserve di pikonio e alvelio e vide che aveva cristalli sufficienti per almeno un giorno di funzionamento continuo del bruciatore, dal momento che le navi del volo reale erano state rifornite più abbondantemente delle altre, ma era preoccupato per lo scarso rendimento della nave. Lo strappo nel pallone sembrava non aver compromesso le cuciture degli altri pannelli, ma la perdita di gas era sufficiente a ridurre di molto la capacità ascensionale.
Nonostante le fiammate continue, la nave non aveva guadagnato più di venti passi, e Toller sapeva che la minima variazione delle condizioni atmosferiche l’avrebbe costretta a scendere. Un’improvvisa raffica di vento, per esempio, poteva appiattire un lato del pallone ed espellere gas prezioso, consegnandolo insieme a Gesalla nelle mani del nemico che gli teneva dietro pazientemente. Da solo sarebbe stato più che pronto a combattere con Leddravohr, ma ora da quello scontro dipendeva anche la vita di Gesalla.
Andò alla ringhiera e l’afferrò con entrambe le mani, fissando Leddravohr e desiderando ardentemente un’arma capace di colpire a distanza. L’arrivo su Sopramondo era stato così diverso da come aveva immaginato! Eccoli sul pianeta gemello, su Sopramondo! Ma la maligna presenza del principe, incarnazione di tutto quello che era sordido e cattivo a Kolcorron, aveva rovinato la conquista facendo del nuovo mondo niente più che una riproduzione dell’altro. Come i ptertha che aumentavano i loro poteri letali, Leddravohr aveva allungato il suo raggio mortale anche su Sopramondo. Toller sapeva che avrebbe dovuto sentirsi affascinato da quel cielo puro arabescato dalla linea zigzagante di fragili navi che scendevano allo zenit emergendo dall’invisibile e che affondavano come semi portati dal vento in cerca di un suolo fertile; ma c’era Leddravohr.
C’era sempre Leddravohr.
— Sei preoccupato per le colline? — chiese Gesalla. Si era messa in ginocchio, fuori dalla Visuale di Leddravohr, e teneva una mano pronta sulla leva del bruciatore.
— Possiamo legarla — disse Toller. — Così non avrai bisogno di continuare a tenerla.
— Toller, sei preoccupato per le colline?
— Sì. — Prese un pezzo di corda da un armadietto e fissò in basso la leva. — Se riuscissimo a superare le colline potremmo stancare il suo blucorno. Però non so se riusciremo a raggiungere un altezza sufficiente.
— Non ho paura, sai. — Gesalla gli sfiorò la mano. — Se preferisci scendere e affrontarlo adesso, va bene.
— No, staremo su il più a lungo possibile. Abbiamo da bere e da mangiare, e possiamo risparmiare le nostre forze mentre Leddravohr perde lentamente le sue. — Le rivolse quello che sperava fosse un sorriso rassicurante. — E poi, la piccola notte arriverà presto, e questo è un vantaggio per noi, perché il pallone andrà meglio nell’aria più fresca. Possiamo ancora riuscire a fondare la nostra piccola colonia personale su Sopramondo.
La piccola notte era più lunga che su Mondo, e quando fu passata, la navicella era a circa duecento piedi di quota, il che era più di quanto Toller si fosse aspettato. Le pendici delle colline senza nome scorrevano via sotto la nave, e nessuna delle cime che riusciva a scorgere sembrava abbastanza alta da grattar via la nave dal cielo.
Consultò la mappa che aveva disegnato durante la navigazione.
— C’è un grande lago a circa dieci miglia dopo le colline — disse. — Se riuscissimo a volarci sopra dovremmo poter…
— Toller! Credo di vedere un ptertha! — Gesalla gli afferrò il braccio, puntando un dito verso sud. — Guarda!
Toller mise giù la mappa, alzò il binocolo e scrutò la fetta di cielo che lei gli indicava. Stava per contestare la sua affermazione quando colse un accenno di rotondità, una mezzaluna appena accennata di luce solare che scintillava su qualcosa di trasparente.
— Penso che tu abbia ragione — disse. — E non ha colore. Ecco che cosa voleva dire Lain. Non ha colore perché… — passò il binocolo a Gesalla — puoi vedere qualche albero di brakka?
— Non sapevo che si potesse vedere così bene con il binocolo!
— Gesalla parlava con entusiasmo infantile e sembrava quasi in viaggio di piacere mentre studiava il fianco della collina. — La maggior parte di quegli alberi non somiglia a niente che io abbia già visto, ma mi sembra che ci siano anche dei brakka. Sì, sono sicura. Brakka! Come può essere, Toller?
Pensando che lei cercasse di non pensare a quello che sarebbe inevitabilmente successo, lui rispose: — Lain ha lasciato scritto che brakka e ptertha vanno insieme. Forse le scariche dei brakka sono così potenti da sparare i loro semi in alto… no, è solo il polline, vero? Forse i brakka crescono dappertutto, su Oltremondo come su qualunque altro pianeta.
Lasciando Gesalla alle sue osservazioni con il binocolo, si appoggiò alla ringhiera e riprese a osservare Leddravohr, l’implacabile inseguitore. Per ore il principe era rimasto sprofondato sulla sella, dando l’impressione di essere addormentato, ma ora, come preoccupato che la sua selvaggina potesse sfuggirgli, si era seduto dritto. Non aveva l’elmetto, ma si riparava gli occhi con le mani, guidando il blucorno attraverso gli alberi e le macchie di boscaglia che striavano la china che stava salendo. Lontano, a est, la zona di atterraggio e la fila dei palloni in arrivo si confondevano in un blu sfuocato, ed era come se Gesalla, Toller e Leddravohr avessero l’intero pianeta a loro disposizione.
Sopramondo era una vasta arena assolata, pronta per loro dall’inizio del tempo.
I suoi pensieri furono interrotti da un rumore improvviso, qualcosa che sbatteva su in alto. Il rumore fu seguito da un’ondata di calo re soffiato dalla bocca del pallone, e lui capì che la nave era andata a finire nella corrente d’aria turbolenta di una cresta secondaria. La navicella cominciò bruscamente a ballonzolare e a ondeggiare. Toller guardò la cresta principale, distante duecento iarde circa in linea d’aria. Sapeva che se fossero riusciti a superarla avrebbero avuto tutto il tempo di recuperare, ma proprio guardando la barriera di roccia si rese conto che la loro situazione era senza speranza.
La nave, già così restia a prendere il volo, non si reggeva più nell’aria, e puntava con decisione verso il fianco della collina.
— Aggrappati a qualcosa! — gridò Toller. — Stiamo andando giù!
Liberò la leva di estensione strappando i legacci e spense il bruciatore. Pochi secondi dopo la navicella comincio a strisciare sulla cima degli alberi. I rumori si fecero più forti e la navicella avanzò a strappi, affondando sempre più in mezzo ai rami e ai tronchi. Il pallone che si sgonfiava si lacerò con una serie di scricchiolii e di schiocchi, impigliandosi negli alberi e frenando il movimento laterale della nave. I cavi di carico si allentarono e si staccarono in due punti e la navicella cadde verticalmente poi si ribaltò su un fianco scagliando praticamente fuori i suoi due occupanti in mezzo a una cascata di trapunte e di piccoli oggetti. Incredibilmente, dopo la rovinosa caduta dalla cima degli alberi, Toller si trovò comodamente disteso su un tappeto di muschio. Si voltò e tirò giù Gesalla, che era rimasta aggrappata a un montante, e l’aiutò a sedersi vicino a lui.
— Devi andartene da qui — disse in fretta. — Vai dall’altra parte della collina e trova un posto dove nasconderti.
Gesalla gli buttò le braccia al collo. — Voglio rimanere con te, potrei aiutarti.
— Credimi, non mi saresti di nessun aiuto. Se il nostro bambino sta crescendo dentro di te, devi dargli l’opportunità di vivere. Se Leddravohr mi uccide forse non ti inseguirà, soprattutto se è ferito.
— Ma… — Gesalla spalancò gli occhi quando vide sbucare il blucorno del principe ad una certa distanza — ma non saprò cos’è successo.
— Se vinco sparerò un colpo di cannone — la fece girare e la allontanò con tale forza che lei fu costretta a mettersi a correre per non perdere l’equilibrio. — Torna solo se senti il cannone.
Toller la seguì con gli occhi finché non fu scomparsa nel manto di alberi. Aveva sguainato la spada e si stava guardando intorno in cerca di uno spazio aperto per combattere, quando si rese conto che i suoi schemi di comportamento erano talmente radicati da fargli vedere lo scontro con Leddravohr come un duello formale.
“Come puoi pensare una cosa simile quando sono in gioco altre vite?”, si rimproverò, colpito dalla propria vanità. “Cosa c’entra l’onore con il semplice compito di estirpare un cancro?” Guardò la navicella che dondolava lentamente, cercò di capire in che modo Leddravohr si sarebbe avvicinato, e si diresse a un riparo formato da tre alberi che crescevano tanto vicini da sembrare usciti dalla stessa radice. La stessa eccitazione che aveva provato altre volte, vergognosamente e inspiegabilmente sessuale, cominciò a impadronirsi di lui.
Calmò il suo respiro, mise da parte tutte le emozioni e cercò di ragionare: “Leddravohr era qui vicino un minuto fa, quindi perché finora non l’ho visto?”
Conoscendo già la risposta,, voltò la testa e lo vide a circa dieci passi di distanza.
Il principe aveva appena lanciato il suo coltello. La velocità e la distanza impedirono a Toller di schivarlo o di farsi da parte. Poté solo sollevare la mano sinistra e parare il coltello con il palmo. La lama nera si conficcò tra le ossa in tutta la sua lunghezza con tanta forza che la mano fu spinta all’indietro e la punta del coltello gli lacerò la pelle proprio sotto l’occhio sinistro.
L’istinto naturale sarebbe stato di guardarsi la mano ferita, ma Toller l’ignorò e si mise in posizione di guardia con la spada giusto in tempo per affrontare Leddravohr, che dopo il lancio era partito di corsa all’attacco.
— Hai imparato molto, Maraquine — disse il principe mettendosi in guardia anche lui. — Molti altri sarebbero già morti due volte a quest’ora.
— La lezione è stata facile — rispose Toller. — Aspettati che i rettili si comportino sempre come tali.
— Non riuscirai a provocarmi, quindi puoi risparmiarti gli insulti:
— Non ho offeso nessuno, tranne i rettili.
Leddravohr fece un sorriso contorto, bianchissimo nel viso irriconoscibile per i grumi di sangue coagulato. Aveva i capelli arruffati, e la corazza, macchiata di sangue già prima del volo, era rigata di sporco e di tracce di vomito. Toller abbandonò la protezione dei tre alberi scegliendo con la mente le tattiche di combattimento.
Era possibile che Leddravohr, che non conosceva la paura, venisse messo a terra dall’acrofobia? Era per questo che era stato visto così poco durante il volo? In questo caso difficilmente sarebbe stato in grado di sostenere uno scontro prolungato.
La spada Kolcorriana da duello era un’arma a doppio filo il cui peso ne limitava l’uso al duello formale. Questo consisteva in semplici affondi di taglio e di punta che potevano essere generalmente fermati e deviati da un avversario con reazioni veloci e occhio pronto. A parità di abilità, il vincitore di uno scontro a due era di solito quello che aveva più resistenza e forza fisica. Toller era avvantaggiato dall’essere più giovane di Leddravohr di almeno dieci anni, ma questo stavolta compensava solo la mano sinistra fuori uso. Ora aveva ragione di supporre che l’equilibrio si fosse ristabilito in suo favore, eppure Leddravohr, con tutta la sua esperienza in quel genere di cose, non aveva perso niente della sua arroganza.
— Perché così pensieroso, Maraquine?— Il principe replicava i movimenti di Toller per mantenersi di fronte a lui. — Sei tormentato dal fantasma di mio padre?
Toller scosse la testa. — Dal fantasma di mio fratello. Non abbiamo mai sistemato la faccenda.
Con sua sorpresa, vide che quelle parole avevano turbato la calma di Leddravohr.
— Perché mi affliggi con questa storia?
— Credo che siate il responsabile della sua morte.
— Ti ho detto che quel pazzo è stato lui stesso il responsabile della sua morte. — Leddravohr partì in un affondo arrabbiato, e le due lame si toccarono per la prima volta. — Perché dovrei mentirti, adesso e prima? Ha fatto rompere la zampa al suo blucorno e ha rifiutato di salire sul mio.
— Lain non l’avrebbe fatto.
— L’ha fatto! Altrimenti potrebbe essere con te in questo momento, e io vorrei proprio che ci fosse, così avrei il piacere di decapitarvi entrambi.
Mentre Leddravohr stava parlando, Toller riuscì a dare uno sguardo alla sua ferita. Non gli faceva ancora molto male, ma il sangue colava lungo l’impugnatura del pugnale e gocciolava sul terreno. Quando scosse la mano, la lama rimase ferma al suo posto, incuneata fino all’elsa tra le due ossa. La ferita, sebbene non tale da metterlo fuori combattimento, l’avrebbe progressivamente indebolito compromettendo la sua capacità di combattimento. Doveva arrivare al duello il più presto possibile. Si sforzava di non dare ascolto alle storie di Leddravohr su suo fratello, cercando invece una ragione valida per cui un uomo fiaccato da dodici giorni di disturbi e di malessere fosse così sicuro della vittoria.
C’era qualche indizio significativo che gli era sfuggito?
Studiò di nuovo il suo avversario, frazioni di secondo lunghe come minuti nel suo stato di agitazione, e vide solo che Leddravohr aveva coperto la sua spada con un fodero.
I soldati di alcune parti di Kolcorron, principalmente Sorka e. Middac, avevano l’abitudine di coprire la base della lama con fasce di pelle, in modo da poter far scivolare la mano oltre l’elsa ed eventualmente impugnare l’arma con entrambe le mani. Toller non aveva mai dato molto peso alla cosa, ma decise di stare in guardia nel caso di un improvviso cambiamento alla tecnica di Leddravohr.
I preliminari si conclusero senza preavviso.
Ognuno dei due uomini si era portato in una posizione che in realtà non era migliore di qualunque altra, ma che comunque riteneva, per gualche ragione indefinibile, la più propizia, la più adatta alle sue intenzioni. Toller si fece avanti per primo, sorpreso che il principe gli avesse concesso quel vantaggio psicologico. Cominciò con una serie di fendenti da sinistra a destra, e fu immediatamente ringalluzzito dal risultato. Com’era prevedibile, Leddravohr parò ogni colpo con facilità, ma la resistenza della sua lama non era esattamente quella che Toller si era aspettato. Era come se il braccio con cui Leddravohr maneggiava la spada cedesse un po’ sotto ogni colpo, indicando una progressiva perdita di forze.
“Qualche minuto potrebbe decidere tutto”, esultò Toller mentre portava a termine la sequenza d’attacco, poi il suo istinto di sopravvivenza si svegliò. “Pensiero pericoloso! È possibile che Leddravohr mi abbia seguito fin qui, da solo, sapendo di non essere in grado di combattere?”
Toller liberò la spada e si spostò, tenendo la mano gocciolante lontano dal corpo. Leddravohr si avventò su di lui con sorprendente velocità, chiudendolo in un triangolo che quasi costrinse Toller a difendere il braccio inutilizzabile anziché la testa e il corpo. Il mulinello si concluse con un potente rovescio di Leddravohr, che provocò però solo uno spostamento d’aria fredda sotto il mento di Toller. Lui saltò indietro, rendendosi conto che il principe, pure in cattive condizioni, valeva comunque come un soldato in condizioni perfette.
Era quell’inatteso recupero di energie la trappola che Leddravohr gli stava tendendo? Se era così, non doveva permettergli di riprendere fiato e di guadagnare tempo. Toller tornò all’attacco immediatamente, portando avanti i suoi colpi senza nessun interludio, usando tutta la sua forza ma facendosi guidare dall’intelligenza, senza lasciare al principe nessun respiro fisico o mentale.
Leddravohr, che ormai ansava pesantemente, fu costretto a cedere terreno. Toller vide che stava arretrando verso un gruppo di bassi cespugli spinosi e si fece più sotto, aspettando il momento in cui l’altro si sarebbe distratto, o sarebbe rimasto immobilizzato, o avrebbe perso l’equilibrio. Ma il principe, con il suo istinto di combattente, parve sentire la presenza dei cespugli senza voltare la testa.
Si salvò dalla lama di Toller con una parata circolare degna di un maestro di spada, mettendosi sulla difensiva e spostando l’asse del duello su una nuova linea. Per un secondo i due uomini si trovarono incollati l’un l’altro, petto contro petto, le spade incrociate all’elsa, in alto, al vertice di un triangolo formato dalle loro braccia tese.
Toller sentì il calore del fiato di Leddravohr maleodorante di vomito, poi ruppe il contatto forzando in basso il braccio che reggeva la spada, facendone una leva irresistibile che li separò.
Leddravohr facilitò l’operazione con un salto all’indietro, e si spostò velocemente di lato per mettere tra loro i cespugli spinosi. Il suo petto si alzava rapidamente, chiaro segno della sua crescente stanchezza, ma, stranamente, sembrava quasi euforico, invece che scosso dall’essere sfuggito alla morte per un pelo. Si sporgeva leggermente in avanti in un modo che suggeriva una nuova vivacità, e i suoi occhi erano brillanti e beffardi nella filigrana di sangue coagulato che copriva il suo viso.
“È successo qualcosa”, pensò Toller, con un fremito di tensione sotto la pelle. “Leddravohr sa qualcosa!”.
— A proposito, Maraquine — disse Leddravohr, in tono quasi casuale. — Ho sentito quello che hai detto alla tua donna.
— Sì? — Nonostante la situazione, una parte della mente di Toller rimuginava sullo strano fatto che l’odore disgustoso che aveva sentito durante il contatto con Leddravohr era ancora forte nelle sue narici.
Era davvero l’odore acre del cibo rigurgitato, o era qualcos’altro? Qualcosa di vagamente familiare, che gli dava una sensazione di morte?
“Non perder tempo a pensarci”, si disse. “Leddravohr sta facendo troppa scena. Significa che non ti sta trascinando in una trappola, vuol dire che l’ha già fatta scattare!”.
— Bene, credo che non avrò più bisogno di questo — annunciò il principe. Afferrò la guaina di pelle alla base della sua spada, la sfilò e la lasciò cadere per terra. I suoi occhi erano fissi su Toller, divertiti ed enigmatici.
Toller guardò attentamente la guaina, due strati di pelle con una lacerazione su quello esterno, più leggero. Intorno ai labbri dello strappo c’erano tracce luccicanti di fanghiglia gialla.
Toller guardò la sua spada, riconoscendo finalmente quell’odore putrido: felce bianca. Vide macchie giallastre sulla parte più larga, vicino all’impugnatura, e il legno nero della lama che stava già coprendosi di bolle mentre si dissolveva sotto l’attacco della fanghiglia anti-brakka, lasciata dalla guaina di Leddravohr quando le due spade si erano incrociate all’elsa.
“Accetto la morte”, decise Toller, lasciandosi riprendere dal ritmo ormai frenetico dello scontro, mentre Leddravohr sfrecciava verso di lui, “a patto di non fare il viaggio da solo”.
Alzò la testa e tenne la spada puntata. Il principe scansò la lama e con un colpo la fece saltar via all’altezza del guardamano mandandola a rotolare di lato, e nello stesso movimento roteò la sua spada dirigendola con forza contro il fianco di Toller.
Lui non solo non schivò il colpo, ma vi si gettò contro come fosse stato la massima ambizione della sua vita. Rantolò quando la spada gli si conficcò nel corpo, ma la lasciò penetrare finché Leddravohr non fu a portata di mano. Allora afferrò il coltello da lancio, ancora infilzato nella sua mano e lo guidò in avanti, nello stomaco di Leddravohr, girando la punta. Sul dorso della sua mano sgorgò un fiotto caldo di sangue.
Leddravohr ringhiò e spinse Toller lontano da lui, ritirando la lama dal suo corpo. Lo fissò per diversi secondi, con la bocca aperta, poi lasciò cadere la spada e crollò in ginocchio. Si buttò in avanti appoggiandosi sulle mani e rimase così, a testa bassa, con gli occhi fermi sulla pozza di sangue che si stava raccogliendo sotto il suo corpo.
Toller liberò la mano dal coltello cercando di non pensare al dolore che si stava infliggendo, poi la tenne stretta nello sforzo di ignorare le pulsazioni brucianti della ferita della spada. Il panorama intorno era in totale subbuglio, con le colline assolate che non facevano che spostarsi, avanti e indietro verso di lui. Gettò via il coltello, si avvicinò a Leddravohr con le gambe tremanti e raccolse la spada. Concentrando tutto quello che rimaneva della sua forza nel suo braccio destro, la sollevò in alto.
Leddravohr non alzò lo sguardo ma mosse un poco la testa, mostrando che era consapevole delle sue intenzioni. — Ti ho ucciso, non è vero, Maraquine? — disse con voce strozzata, soffocata dal sangue. — Dammi almeno questa consolazione.
— Mi dispiace. Mi avete appena graffiato — rispose Toller calando come una mannaia la lama nera.
— E questo è per mio fratello… principe!
Si allontanò dal cadavere e con difficoltà spostò lo sguardo sulla sagoma quadrata della navicella. Sarebbe sparita via nella brezza, o sarebbe rimasta lì, unico punto fisso in quell’universo di immagini spezzettate ed evanescenti?
Si mosse per raggiungerla, scoprendo preoccupato che si trovava molto lontano… a una distanza molto più grande di quella tra Mondo e Sopramondo.
La parete posteriore della grotta era quasi del tutto nascosta da uri mucchio di grossi sassi e frammenti di roccia scivolati giù da un camino naturale nel corso dei secoli. Toller continuava a guardarlo, perché sapeva che gli abitanti di Sopramondo vivevano lì dentro. Non li aveva mai visti, in realtà, e perciò non sapeva se somigliassero a uomini o ad animali, ma era assolutamente convinto della loro presenza perché usavano lanterne.
La luce delle lanterne filtrava dalle fessure del mucchio di pietre, ad intervalli di tempo che non erano in sincronia con l’avvicendarsi del giorno e della notte. Toller amava pensare che gli abitanti di Sopramondo si occupassero delle loro faccende lì dentro, al sicuro nella loro fortezza sassosa, senza nessun interesse per quello che poteva accadere nell’universo circostante.
Nel suo delirio, anche nei momenti in cui si sentiva perfettamente lucido, una piccola lanterna continuava talvolta a brillare nel cuore della catasta. In quei momenti non ne ricavava nessun piacere, anzi, preoccupato per la sua sanità mentale, fissava il punto di luce e gli ordinava di sparire, perché non c’era posto per lui nel mondo razionale. Qualche volta obbediva in fretta, in altre occasioni ci impiegava delle ore, ma comunque lui se ne rallegrava con Gesalla., divenuta per lui un filo vitale che lo teneva unito alla normalità.
— Bene, io penso che tu non sia abbastanza in forze per viaggiare — disse Gesalla con fermezza — quindi non c’è motivo di continuare questa discussione.
— Ma mi sono ripreso quasi completamente — protestò Toller, agitando le braccia per dimostrare la sua affermazione.
— La lingua è la sola parte di te che si sia ripresa, e anche quella sta facendo troppo esercizio. Stai zitto un momento e lasciami continuare il mio lavoro. — Gli voltò la schiena e prese un ramoscello per mescolare la pentola dove stava bollendo le sue fasciature.
Dopo una settimana, le ferite al viso e alla mano non avevano praticamente più bisogno di cure, ma lo squarcio sul fianco continuava a sanguinare. Gesalla lo puliva e gli cambiava le bende ogni poche ore, ad un ritmo che rendeva necessario riutilizzare le magre scorte di tamponi e fasce che lei era riuscita a mettere insieme.
Toller non aveva nessun dubbio che sarebbe morto se non fosse stato per le attenzioni di lei, ma quella gratitudine era velata dalla preoccupazione per la sua sicurezza. Pensava che la confusione, nella zona di atterraggio della flotta doveva essere pari a quella della partenza, ma gli sembrava quasi un miracolo che lui e Gesalla non fossero stati molestati, da allora, e per così tanto tempo. Ogni giorno che passava, con la febbre che diminuiva, il suo senso di pericolo aumentava.
“Ce ne andremo da qui in mattinata, amore mio”, pensò. “Che tu sia d’accordo o no”.
Si sdraiò sul giaciglio di trapunte piegate, cercando di frenare la sua impazienza, e lasciò vagare lo sguardo sul panorama che gli offriva la bocca della caverna. Pendii erbosi, macchiati qua e là di gruppi di alberi sconosciuti, scendevano dolcemente per circa un miglio verso ovest, sino alle sponde di un grande lago dalle acque color indaco luccicanti di gioielli di sole. Le rive a nord e a sud erano coperte di foreste, bande alternate e zigzaganti di un colore che, come su Mondo, era un mosaico di milioni di macchioline di tinte diverse che andavano dal verde tenue al rosso scuro, a indicare alberi in differenti periodi del ciclo di foliazione. A occidente il lago si estendeva fino all’orizzonte, dove si alzavano eterei triangoli blu di montagne lontane, su cui un cielo limpido incorniciava il disco del Vecchio Mondo.
Era una scena che Toller trovava indicibilmente bella, e nei primi giorni, guardandola dall’interno della caverna, era stato incapace di distinguerla con certezza dalle visioni del suo delirio. Di quei giorni aveva ricordi lacunosi e confusi. Gli ci era voluto del tempo per capire che non era riuscito a far fuoco con il cannone, e che Gesalla aveva autonomamente deciso di andare a cercarlo. Lei ne parlava come di un cosa di scarsa importanza, affermando che se avesse vinto Leddravohr sarebbe andato a cercarla. Toller sapeva che non era così.
Sdraiato sulle trapunte nella pace sommessa del primo mattino, guardava Gesalla impegnata nelle faccende di cui aveva deciso di occuparsi, e sentiva una grande ammirazione per il suo coraggio e per la sua intelligenza. Non avrebbe mai capito com’era riuscita a issarlo in sella al blucorno di Leddravohr, a caricarlo di provviste prese dalla navicella e a condurlo a piedi per molte miglia prima di trovare la caverna. Sarebbe stata un’impresa notevole anche per un uomo, ma per una donna così minuta, affrontare un pianeta sconosciuto e tutti i suoi possibili pericoli da sola, era stato veramente eccezionale.
“Gesalla è una donna veramente eccezionale”, pensò Toller. “Quindi quanto ci metterà a rendersi conto che non ho alcuna intenzione di portarla fuori nella foresta?”
Toller si era reso conto dell’assoluta inattuabilità del suo piano, dopo che aveva riacquistato il raziocinio. Senza un bambino a cui badare sarebbe stato ancora pensabile, per due adulti, condurre un qualche tipo di esistenza da fuggitivi nelle foreste di Sopramondo, ma se Gesalla non era già incinta, certamente avrebbe fatto il possibile per esserlo al più presto.
Dopo un po’, Toller aveva capito che il problema conteneva anche la sua soluzione. Con Leddravohr morto, sarebbe diventato Re il principe Pouche, un uomo freddo e immune da qualsiasi passione, che si sarebbe uniformato alla tradizionale clemenza di Kolcorron verso le donne incinte, specialmente perché solo Leddravohr avrebbe potuto testimoniare sul fatto che Gesalla aveva usato il cannone contro di lui.
Il compito che aveva di fronte, decise Toller mentre faceva del suo meglio per ignorare il bagliore dell’unica testarda lanterna degli abitanti di Sopramondo nel mucchio di detriti, era di mantenere in vita Gesalla fino a quando non fosse stata inequivocabilmente in attesa di un bimbo. Un centinaio di giorni gli erano sembrati un periodo ragionevole, ma il fatto stesso di porsi un termine aveva in qualche modo aumentato ed aggravato il suo disagio per il veloce scorrere del tempo. Come avrebbe trovato il giusto equilibrio tra il partire presto potendo però viaggiare solo lentamente, e l’aspettare di essere in forza, quando anche la velocità di un cervo poteva rivelarsi troppo lenta?
— Che cosa stai rimuginando? — chiese Gesalla togliendo dal fuoco la pentola che bolliva.
— Pensavo a te, e ai preparativi per muoverci in mattinata.
— Te l’ho detto, non sei pronto. — Si inginocchiò vicino a lui per controllare le fasciature e il tocco delle sue mani gli mandò una fitta di piacere giù fino all’inguine.
— Penso che un’altra parte di me stia iniziando a rimettersi — disse.
— Quella è un’altra cosa per la quale non sei pronto. — Lei sorrise tamponandogli la fronte con un panno umido. — Puoi avere un po’ di stufato, invece.
— Bel sostituto — brontolò lui, facendo un infruttuoso tentativo di carezzarle i seni mentre lei sgusciava via. Il movimento del braccio, per quanto leggero, gli provocò un acuto dolore al fianco e gli fece pensare a come se la sarebbe cavata se avesse tentato di salire in groppa a un blucorno.
Seppellì quella preoccupazione in fondo ai suoi pensieri e guardò Gesalla mentre preparava una semplice colazione. Lei aveva trovato una pietra piatta e leggermente concava da usare come braciere.Mescolando in quella cavità piccole schegge di pikonio e alvelio prese dalla nave, era riuscita a creare una fonte di calore senza fumo, che non avrebbe tradito la loro presenza. Quando ebbe finito di scaldare lo stufato, una densa mistura di grano, legumi e pezzi di carne salata, gliene portò un piatto e gli permise di mangiare da solo.
Toller aveva notato con un certo divertimento che, in omaggio alla vecchia Gesalla che pensava di aver conosciuto, fra le cose essenziali che lei aveva recuperato dalla navicella c’erano piatti e stoviglieria. Trovava un che di stridente a mangiare in quelle condizioni, con comuni oggetti domestici, nell’estraneità di un mondo vergine, mentre il romanticismo che avrebbe potuto permeare quel rito veniva cancellato dalle incertezze e dal pericolo.
Toller non aveva veramente fame, ma mangiò diligentemente deciso a recuperare le forze più in fretta possibile. A parte gli occasionali sbuffi del blucorno legato fuori, gli unici rumori che raggiungevano la caverna erano i continui echi delle scariche di polline dei brakka. La frequenza delle esplosioni indicava che c’erano moltissimi brakka in quella regione e riportava a una precedente domanda di Gesalla: se le altre forme di piante di Sopramondo erano sconosciute su Mondo, come mai i due pianeti avevano in comune il brakka?
Gesalla aveva raccolto manciate d’erba, foglie, fiori e bacche per un esame generale, e con la sola eccezione dell’erba, sulla quale soltanto un botanico avrebbe potuto dare un giudizio, tutto il resto aveva in comune una totale estraneità. Toller aveva ribadito la sua convinzione che il brakka fosse una forma di vita universale, capace di allignare su qualsiasi pianeta, e sebbene non fosse abituato a un certo tipo di riflessioni, trovava nella sua stessa idea qualcosa d’importante che però gli sfuggiva e avrebbe desiderato che ci fosse ancora Lain cui chiedere lumi.
— C’è un altro ptertha — disse Gesalla. — Anzi! Ne vedo sette o otto, che vanno verso l’acqua.
Toller guardò nella direzione che lei stava indicando e faticò non poco a cogliere i riflessi dei globi, incolori e quasi invisibili. Si stavano spostando lentamente giù per la collina, nel flusso d’aria fredda che la notte calava sul pianeta.
— Sei più brava di me a scoprirli — ammise onestamente. — Quello di ieri mi era quasi addosso prima che lo vedessi.
Il ptertha si era insinuato nella caverna poco dopo la piccola notte del giorno precedente, ed era arrivato a meno di dieci passi dal letto di Toller. Nonostante quello che aveva imparato da Lain, la sua vicinanza gli aveva ispirato quasi lo stesso terrore che avrebbe provato su Mondo, e se fosse stato in grado di muoversi probabilmente gli avrebbe scagliato contro la spada. Il globo era rimasto sospeso lì vicino per un paio di secondi prima di andarsene tranquillamente giù per la collina in una serie di lenti rimbalzi.
— La tua faccia era un capolavoro! — disse Gesalla smettendo di mangiare per fare la parodia di un’espressione di paura.
— Mi è appena venuta in mente una cosa — l’interruppe Toller — abbiamo qualcosa per scrivere?
— No, perché?
— Tu ed io siamo le uniche persone su Sopramondo che sanno che cos’ha scritto Lain sui ptertha; magari avessi pensato a parlarne a Chakkel! Tutte quelle ore insieme sulla nave e non gliene ho neanche accennato!
— Tu non sapevi che ci sarebbero stati brakka e ptertha qui. Pensavi di esserti lasciato tutto alle spalle.
Toller fu preso da una nuova e più grande urgenza, che non aveva niente a che fare con le sue aspirazioni personali.
— Ascolta Gesalla, questa è la cosa più importante che tu ed io avremo mai l’opportunità di fare. Devi assicurarti che Pouche e Chakkel sappiano e capiscano le teorie di Lain. Se lasciamo in pace gli alberi di brakka, a vivere e a morire naturalmente, i ptertha non diventeranno mai nostri nemici. Anche abbatterne pochi come a Chamteth dev’essere troppo, perché i ptertha, lì, erano diventati rosa e quello è segno che… — Smise di parlare vedendo che Gesalla lo stava fissando con un’espressione mista di preoccupazione ed accusa.
— C’è qualcosa che non va?
— Tu hai detto che io devo assicurarmi che Pouche e… — Gesalla depose il suo piatto e andò a inginocchiarsi al suo fianco. — Cosa ci succederà, Toller?
Lui simulò una risata e gli inevitabili effetti di dolore, cercando di guadagnar tempo per rimediare al suo passo falso.
— Stiamo per fondare una nostra dinastia, questo è quello che ci accadrà. Pensi che lascerei che ti facessero del male?
— So che non lo faresti, ed è questo che mi spaventa.
— Gesalla, tutto quello che intendevo dire è che dobbiamo lasciare un messaggio qui… o da qualche altra parte, dove potrà essere trovato e portato al Re. Non sono ancora in grado di andarmene in giro, quindi devo passare a te questa responsabilità. Ti farò vedere come si fa un carboncino e poi troveremo qualcosa per…
Gesalla stava lentamente scuotendo la testa, e i suoi occhi erano resi ancora più belli dalle prime lacrime che lui vi avesse mai visto. — È tutto irreale, vero? È solo un sogno.
— Volare su Sopramondo era solo un sogno, una volta, ma adesso siamo qui, e nonostante tutto siamo ancora vivi. — La fece sdraiare vicino a lui, tirandole la testa sulla sua spalla. — Non so cosa ci accadrà, Gesalla. Posso solo prometterti che… come l’avevi messa tu… che non cederemo le nostre vite ai macellai. Ora, perché non ti stendi a riposare e lasci che io mi prenda cura di te, tanto per cambiare un po’?
— Va bene, Toller.
Gesalla si mise comoda stringendosi a lui, pur stando attenta alle sue ferite, ed in un tempo incredibilmente breve si addormentò. Quel passaggio da una veglia ansiosa alla tranquillità del sonno fu annunciato dal suo respiro più smorzato, e Toller sorrise incasellando quel fatto nella sua memo ria per usarlo in futuro come uno scherzo. Probabilmente, la sola dimora che avrebbero conosciuto su Sopramondo sarebbe stata altrettanto rudimentale. Cercò di non addormentarsi per vegliare su dì lei, ma i vapori di una insidiosa stanchezza si stavano addensando nella sua testa, e l’ultima lanterna di un abitante di Sopramondo stava di nuovo splendendo nel mucchio di sassi.
L’unico modo per sfuggirle era chiudere gli occhi…
Il soldato che torreggiava sopra di lui brandiva una spada.
Toller cercò di muoversi, di difendersi in qualche modo nonostante la debolezza e l’ingombro del corpo di Gesalla, poi vide che la spada nella mano del soldato era quella di Leddravohr, ed anche nel suo stato confusionale riuscì a rendersi conto della situazione.
Era troppo tardi per fare qualunque cosa, proprio qualunque cosa, perché il suo piccolo dominio era già stato circondato, conquistato e invaso.
Ne era prova il cambiamento della luce, schermata da altri soldati all’ingresso della caverna. Udiva le voci degli uomini che iniziavano a parlare non appena si accorgevano che non c’era più bisogno di non farlo, e da qualche parte lì vicino, arrivavano i soffi e gli sbuffi di un blucorno che scendeva giù dalla collina. Toller strinse una spalla di Gesalla per svegliarla, e sebbene lei rimanesse immobile sentì il suo sussulto d’allarme.
Il soldato con la spada si tirò da parte e il suo posto fu preso da un maggiore dagli occhi socchiusi, con la testa in controluce contro il cielo mentre scrutava Toller. — Può alzarsi?
— No, è troppo malato — disse Gesalla, sollevandosi fino a mettersi in ginocchio.
— Posso stare in piedi. — Toller le afferrò un braccio. — Aiutami, Gesalla, preferisco essere sulle mie gambe questa volta. — Grazie a lei riuscì a mettersi dritto ed affrontò il maggiore. Era sorpreso e anche divertito nello scoprire che, quando avrebbe dovuto sentirsi scoraggiato dal fallimento e dalla prospettiva di morire, era soltanto imbarazzato per il fatto di essere nudo.
— Bene, maggiore. — disse. — Cosa volete da me?
La faccia del maggiore era professionalmente impassibile. — Il Re vuole parlarvi, adesso.
Si spostò di lato e Toller vide avvicinarsi la figura panciuta di Chakkel. Il suo abbigliamento era pacato e poco appariscente, adatto per cavalcare in aperta campagna, ma portava al collo un enorme gioiello blu che Toller aveva visto soltanto una volta in precedenza, addosso a Re Prad. Chakkel aveva ripreso la spada di Leddravohr dalle mani del primo soldato e la teneva inclinata sulla spalla destra, in una posizione neutrale ma nello stesso tempo comoda per un eventuale attacco. La sua faccia bruna e pienotta ed il suo cranio calvo brillavano nella calda luce equatoriale.
Si avvicinò fino a due passi da Toller e lo squadrò dalla testa ai piedi. — Bene, Maraquine, avevo promesso che mi sarei ricordato di voi.
— Maestà, sono lieto di aver dato a Voi ed ai vostri cari una buon ragione per ricordarsi di me. Toller sentiva Gesalla accostarglisi sempre di più, e per il suo bene continuò a parlare, cercando di dare alle parole il maggiore accento di sincerità possibile. — Una caduta di un migliaio di miglia avrebbe…
— Non tornate a ripetermi le stesse cose — lo interruppe Chakkel. — E mettetevi giù prima di finire per terra!
Fece segno a Gesalla invitandola a riadagiarlo sulle trapunte, e al maggiore ed al resto della scorta di ritirarsi. Quando gli altri furono fuori portata d’udito Chakkel si accovacciò a terra e imprevedibilmente gettò la spada nera oltre Toller, nell’oscurità della caverna.
— Avremo una breve conversazione — disse, — e non una parola di quello che diremo deve essere ripetuta. È chiaro?
Toller annuì esitante, chiedendosi se fosse il caso di introdurre una speranza qualsiasi nella confusione dei suoi pensieri e delle sue emozioni.
— C’è un certo risentimento contro di voi, da parte della nobiltà e dei militari che hanno portato a termine la traversata — disse Chakkel tranquillamente. — Dopotutto, non sono in molti ad aver commesso un regicidio per ben due volte nello spaziò di tre giorni. Se ne potrebbe discutere, comunque. Ma tira aria di senso pratico, nel nostro nuovo insediamento, ed i coloni ritengono che la lealtà verso un Re vivo sia più confacente alla salute della stessa lealtà verso due Re morti. Vi state chiedendo di Pouche?
— È vivo?
— Sì, è vivo. Ma ha fatto in fretta a capire che le finezze del governo che avrebbe voluto lui sarebbero state inappropriate alla situazione che si è creata qui. E più che felice di abdicare al trono, ammesso che un sedile fatto con i rottami di una navicella possa essere degno di questo nome.
Toller si rese conto che stava vedendo Chakkel come non l’aveva mai visto prima: cordiale, loquace, in armonia con l’ambiente. Forse perché preferiva la supremazia per sé e per la sua discendenza in una società nascente piuttosto che un ruolo secondario nella Kolcorron immobilistica di tanto tempo prima? Oppure perché sotto sotto aveva uno spirito avventuroso, liberato dalla eccezionale circostanza della grande migrazione? Guardando per la prima volta Chakkel da vicino incoraggiato dai suoi istinti, Toller provò un inaspettato senso di sollievo e di gioia pura.
“Gesalla ed io avremo dei figli”, si disse. “E non importa se un giorno lei ed io dovremo morire, perché i nostri bambini avranno dei bambini, ed il futuro si stende davanti a noi… ed oltre… ed oltre… a meno che…”
La realtà gli si dissolse intorno, e lui si ritrovò in piedi su un ammasso roccioso nella parte occidentale di Ro-Atabri.Stava guardando con il binocolo il corpo accasciato di suo fratello, leggendo quell’ultimo messaggio che non aveva niente a che fare con la vendetta o con i suoi rimpianti personali, ma che, come si confaceva alla profonda umanità di Lain, mirava al bene di milioni di esseri non ancora nati.
— Principe… Maestà… — Toller si sollevò su un gomito meglio che poteva, per offrire a Chakkel la verità lasciata nelle sue mani, ma la presuntuosa torsione del corpo si vendicò con una fitta lancinante che ammutolì la sua voce e lo fece crollare di nuovo sul suo giaciglio.
— Leddravohr c’è andato molto vicino, ad uccidervi, vero? — Il tono di Chakkel aveva perso tutta la sua superficialità.
— Non ha importanza — disse Toller accarezzando i capelli di Gesalla che si stava chinando a lenire il fuoco che gli bruciava il fianco.
— Conoscevate mio fratello, e quello che era? — Sì.
— Molto bene. Dimenticatevi di me. È mio fratello che vive nel mio corpo, ed è lui che parla con la mia voce… — Toller gli disse tutto, lottando tra conati di vomito e accessi di debolezza, dipingendo con fervore il quadro incredibile del tormentato triangolo tra specie umana, brakka e ptertha. Descrisse il rapporto simbiotico tra gli alberi e i globi, ricorrendo all’ispirazione e all’immaginazione quando gli veniva meno una conoscenza reale.
Come in tutti i casi di vera simbiosi, entrambi i partiti traevano vantaggio da quell’associazione. I ptertha si riproducevano negli alti strati dell’atmosfera, nutrendosi con ogni probabilità di minute tracce di pikonio e alvelio, o di gas migligno, o di polline di brakka, o magari di una qualche combinazione di tutto quanto. In cambio i ptertha scovavano tutti gli organismi che minacciavano il benessere dei brakka. Con le forze cieche della mutazione casuale, modificavano la loro struttura interna fino a che si imbattevano in una tossina efficace. A quel punto, e su quella base, si dedicavano a perfezionare un’arma capace di distruggere quella che per loro era una minaccia, per cancellare tutto quanto, dal loro punto di vista, non meritava di esistere.
La strada che si apriva al genere umano su Sopramondo imponeva di trattare i brakka con il dovuto rispetto. Gli immigrati, pena una nuova tragedia, dovevano utilizzare solo gli alberi morti per trarre materiali e cristalli, e se ne volevano di più dovevano arrangiarsi a sviluppare dei sostituti o a modificare di conseguenza il loro modo di vivere.
In caso contrario, la storia dell’umanità su Mondo si sarebbe inevitabilmente ripetuta su Sopramondo…
— Ammetto di essere impressionato — disse Chakkel quando Toller ebbe finalmente finito di parlare. — Non c’è alcuna prova che quanto dite sia vero, ma è degno di seria considerazione. Fortunatamente per la nostra generazione che ha già vissuto la sua parte di sofferenze, non c’è alcun bisogno di prendere una decisione affrettata. Abbiamo abbastanza di che preoccuparci, nel frattempo.
Non ditelo nemmeno — l’aggredì Toller. — Siete voi quello che comanda… siete voi che avete l’opportunità… la responsabilità unica… — Sospirò e smise di parlare, cedendo ad una stanchezza che gli sembrava offuscare anche il cielo.
— Conservate le vostre forze per un’altra volta — disse gentilmente Chakkel. — Dovrei lasciarvi riposare adesso, ma prima di andarmene mi piacerebbe sapere un’altra cosa. Tra voi e Leddravohr c’è stato un bel duello?
— Era quasi bello… fino a che non ha distrutto la mia spada con fanghiglia per brakka.
— Ma avete avuto ugualmente la meglio.
— Era già scritto — disse Toller con il misticismo che può derivare da una malattia o da una stanchezza totale. — Era destino che prevalessi su di lui.
— Forse lui lo sapeva. Toller obbligò i suoi occhi a rimanere fissi sulla faccia di Chakkel. — Non so cosa voi…
— Mi chiedo se Leddravohr avesse veramente interesse per tutto questo, per il nostro nuovo inizio da pionieri coraggiosi — disse Chakkel. — Mi domando se non vi abbia inseguito, da solo, perché aveva scoperto che voi eravate la sua Strada Luminosa.
— Forse — sussurrò Toller, — ma non è molto importante per me.
— Avete bisogno di riposare. Chakkel si alzò e si rivolse a Gesalla. — Badate a quest’uomo, per il mio bene quanto per il vostro; ho del lavoro per lui. Penso che sarà meglio non muoverlo per qualche giorno ancora, ma sembrate abbastanza ben messi qui. Avete bisogno di provviste?
— Ci farebbe comodo avere più acqua fresca, Maestà — disse Gesalla. — A parte questo, abbiamo tutto quello che ci serve.
— Sì. — Chakkel la fissò per un attimo. — Prenderò il vostro blucorno, perché ne abbiamo sette in tutto e bisogna iniziare la riproduzione quanto prima possibile, ma metterò delle guardie nelle vicinanze. Chiamatele quando siete pronti ad andar via. Va bene?
— Sì, Maestà, siamo in debito.
— Ho fiducia che il vostro paziente si ricorderà di tutto questo quando si sarà ristabilito. — Chakkel si voltò e raggiunse i soldati che lo aspettavano, muovendosi con l’inconfondibile sicurezza di chi risponde alla chiamata del proprio destino.
Più tardi, quando tornò il silenzio sulle pendici della collina, Toller si svegliò e guardò Gesalla che riordinava e metteva a posto la sua raccolta di foglie e di fiori. Li aveva sparpagliati per terra davanti a lei, e ora, pensosa, muoveva silenziosamente le labbra disponendo ciascuna specie in un suo ordine arbitrario. Alla sue spalle sfolgorava, quasi insostenibile, la luce, vivida e pura di Sopramondo.
Toller si tirò su cautamente. Gettò uno sguardo al mucchio di frammenti sul retro della caverna, poi voltò in fretta la testa per non rischiare di vedere luccicare la solita lanterna. Solo quando avesse smesso di splendere del tutto avrebbe saputo per certo che la febbre l’aveva completamente abbandonatole fino a quel momento non desiderava affatto che gli si ricordasse quanto era stato vicino a perdere la vita e tutto ciò che Gesalla rappresentava per lui.
Lei alzò lo sguardo dai suoi strani giochi. — Hai visto qualcosa lì dietro?
— Non c’è niente — rispose lui, accennando un sorriso. — Proprio niente.
— Ma ti ho visto fissare quelle rocce, prima. Qual è il tuo segreto?
Tutta presa, inventando un nuovo gioco solo per lui, Gesalla gli si inginocchiò a fianco per condividere la sua visuale. Quel gesto portò i loro volti molto vicini, e lui vide i suoi occhi spalancarsi per la sorpresa.
— Toller! — La voce di lei era quella di un bambino, tranquilla di meraviglia. — C’è qualcosa che luccica là dentro!
Si alzò in piedi con tutta la velocità di cui il suo corpo leggero era capace e corse in fondo alla caverna.
Paralizzato da uno strano timore, Toller tentò di gridare un avvertimento, ma la sua gola era secca e non riusciva a emettere alcun suono. E Gesalla stava già togliendo le pietre più esterne. Poteva solo guardare muto mentre lei scavava nel cumulo, sollevava qualcosa di pesante e lo portava fuori, alla luce, all’ingresso della caverna.
Si inginocchiò accanto a lui, posandogli in grembo la sua scoperta. Era una semplice, grossa scaglia di roccia grigio scuro, ma diversa da qualunque altra roccia lui avesse mai visto prima. Tutt’intorno, e all’interno, identica alla pietra e tuttavia completamente diversa, c’era una larga banda di materiale bianco, ma più che bianco, che rifletteva la luce del sole come le acque di un lago lontano nell’alba.
— È bella — sospirò Gesalla. — Ma che cos’è?
— Non… — torcendosi per il dolore Toller raggiunse i suoi abiti, mise una mano in una tasca e ne tirò fuori lo strano oggetto datogli da suo padre. Lo mise vicino alla pietra scintillante di Gesalla, solo per confermare ciò che già sapeva. Identici.
Lei gli tolse la pepita dalle mani e fece scorrere la punta di un dito sulla sua superficie lucida. — Dove lo hai preso?
— Mio padre… il mio vero padre… me lo ha dato a Chamteth proprio prima di morire. Mi ha detto di averlo trovato molto tempo fa. Prima che io nascessi. Nella provincia di Redant.
— Mi sento strana. — Gesalla rabbrividì, e guardò il nebbioso, enigmatico e vigile disco del Vecchio Mondo. — Non è stata la nostra prima migrazione, vero Toller? È già accaduto prima?
— Penso di sì. Forse molte volte. Ma la cosa importante per noi è assicurarsi che mai… — La stanchezza l’obbligò a lasciare la frase in sospeso.
Appoggiò il dorso della mano sulla roccia lucente così fredda, e così strana. Da qualche parte, in qualche modo, messaggi silenziosi gli stavano dicendo che il futuro poteva essere molto diverso dal passato.