CAPITOLO SECONDO

Sonny la stava aspettando all’esterno, ancora reggendo la sacca. Delanna guardò di nuovo il biglietto, memorizzando il numero, poi lo infilò in tasca.

«Io non mi immischierei con Jay Madog, se fossi in te,» le consigliò Sonny.

Devo solo resistere la prossima mezz’ora, pensò Delanna. Poi, non appena avrò incassato i soldi, lo ucciderò.

«Voglio incontrare l’avvocato il più presto possibile,» dichiarò in tono tagliente. «Hai preso un appuntamento?»

«Appuntamento?» ripeté Sonny, come se non avesse la più pallida idea del significato della parola, poi rimase lì impalato con un’espressione stolida.

«Sì: un’ora stabilita in cui andremo a incontrarlo.»

Invece di rispondere, Sonny scomparve improvvisamente oltre l’angolo dell’edificio e tornò tirandosi dietro un grande rimorchio, sul cui pianale, in un angolo, era stata poggiata la gabbia con le oche mentre la sacca di Delanna era stata sistemata sul lato opposto, sopra la giacca di Sonny. Le oche stavano starnazzando freneticamente.

«Devi venire anche tu per firmare i documenti,» gli spiegò Delanna. «Abbiamo bisogno di un appuntamento.»

«Potremo incontrare Miz Barlow in qualsiasi momento arriveremo in città,» rispose Sonny, sollevando l’asta del rimorchio e dandogli uno strattone che fece starnazzare le oche ancora pili forte. «Dunque muoviamoci.»

«Non vorrai certo portare quell’affare con te dall’avvocato, vero?»

Sonny sembrò sorpreso. «O ce lo portiamo dietro, oppure le facciamo camminare con noi. Grayson ha detto che il solaris non sarà pronto lino a stasera e immagino che le loro zampe non siano abituate a un terreno accidentato. Sono nate sulla nave, capisci.»

Sonny diede un nuovo strattone al rimorchio che provocò altri starnazzi e si avviò verso la fila di edifici che sorgevano verso sud. Delanna si chiese se sarebbe stato meglio dirgli che stava tornando al magazzino per chiedere a Jay Madog di darle un passaggio in città, ma probabilmente Sonny l’avrebbe fissata assumendo una di quelle stolide espressioni a bocca aperta e le avrebbe chiesto perché non poteva camminare; visto che lei voleva soltanto farla finita con tutta quella faccenda, incontrare l’avvocato e sistemare tutto in tempo per prendere la navetta l’indomani, preferì seguire Sonny.

«Terreno accidentato» era un vero eufemismo. La strada in terra battuta era a volte fangosa a volte dura come le pietre di cui era disseminata, ma evidentemente a Sonny non era neppure passato per la mente che i piedi di Delanna potessero essere delicati quanto le zampe delle oche.

«Quanto manca alla città?» gli chiese Delanna, sforzandosi di tenergli dietro.

«Circa un miglio,» rispose Sonny. «Se fossi una donna, non mi fiderei assolutamente di Jay Madog. Ha amichette da Grassedge fino alle montagne e in tutti i posti durante il viaggio.»

E io sono sicura che questo è più di quanto si possa dire su di te, pensò acidamente Delanna. Ricordava Tarleton Tanner come un ragazzo intelligente e di bell’aspetto, che qualche volta le leggeva le favole o giocava con lei, quando non era impegnato a lavorare nei frutteti con il padre. La sua trasformazione dimostrava quanto sua madre avesse avuto ragione su quel pianeta: spegneva ogni scintilla di spirito e di intelligenza nelle persone, riducendole ad animali da fatica. Sonny avrebbe potuto avere ancora un aspetto attraente, se non avesse indossato quei vestiti assolutamente ridicoli: la camicia dai colori troppo accesi, i pantaloni con gli orli arrotolati fin sopra le caviglie. Ma Delanna non pensava che cambiare semplicemente vestiti avrebbe fatto dimenticare il fatto che Sonny sembrava a stento capace di rispondere a una semplice domanda.

«Sei sicuro che l’avvocato ci riceverà senza un appuntamento?» gli chiese.

«Sì.»

«E ha preparato tutti i documenti che dobbiamo firmare?» Sonny non rispose a questa domanda, ma continuò a trainare il rimorchio pieno di oche. Dopo un po’ commentò, «Non ricordi molto di Milleflores, vero? Sei andata via quando non eri più grande di una pomarancia.»

Delanna non sapeva cosa fosse una pomarancia, ma pensò di avere capito dove volesse andare a parare Sonny: sua madre l’aveva avvertita che tutti avrebbero tentato di convincerla a non vendere la terra. «Non permetterò che tu finisca in qualche lanzye dimenticato da Dio come me,» le aveva scritto sua madre. «Sto lavorando con l’avvocato per risolvere alcune difficoltà tecniche, in modo che tu non debba tornare mai più su Keramos.» Ma evidentemente quelle difficoltà non erano mai state risolte. Poi sua madre era morta e l’avvocato aveva informato Delanna che avrebbe dovuto venire su Keramos, se voleva proteggere i suoi interessi.

«Ricordo abbastanza di Keramos per sapere che non voglio vivere qui,» rispose Delanna. «Ho già dato istruzioni all’avvocato di vendere la terra e immagino che sia riuscito a trovare un acquirente.»

Sonny non rispose nulla neppure questa volta, ma continuò a camminare con un’andatura rapida e regolare che Delanna trovò difficile imitare. Per l’incontro con l’avvocato aveva indossato un vestito di taglio classico: una semplice gonna corta, una camicetta fatta su misura e un gilè, ma le scarpe con i tacchi alti di metallo e aperte sul davanti non erano certo adatte alla strada dissestata. Dopo pochi minuti iniziò ad avere il respiro affannoso e la città non sembrava più vicina di quanto fosse stata in precedenza.

Il sole stava tramontando sull’orizzonte piatto, arrossando i campi e l’aria. A molte miglia di distanza si era alzata una bassa nebbiolina. «Cos’è?» chiese Delanna, fermandosi per indicarla e sperando che anche Sonny si fermasse, in modo da permetterle di riprendere un po’ di fiato.

Sonny si schermò gli occhi con la mano. «Fumo.»

«Fumo? Vuoi dire che si tratta di un incendio della prateria?» Sua madre le aveva raccontato di quegli incendi, le cui fiamme ruggenti potevano devastare centinaia di miglia di pianura.

«Sì,» rispose Sonny in tono assolutamente placido. «Probabilmente lo hanno appiccato le scimmie incendiarie.» Sollevò di nuovo l’asta del rimorchio.

Nelle lettere che le aveva scritto, la madre di Delanna non le aveva mai parlato delle scimmie incendiarie, dunque probabilmente non costituivano un problema troppo grave. In tutti i casi, Sonny non sembrava particolarmente preoccupato, ma anche se lo fosse stato, non lo avrebbe certo detto a Delanna.

«Come stanno i tuoi fratelli?» gli chiese per godere di un altro minuto di pausa. «Sono venuti con te?»

Sonny scosse la testa. «Siamo in estate,» affermò e Delanna suppose che significava che l’estate era un pessimo periodo per lasciare il lanzye. Ah, non valeva davvero la pena di parlare con quel tizio, perfino se questo significava avere la possibilità di riprendere fiato. Lo superò di slancio, tentando di trovare un solco abbastanza largo per i suoi tacchi, ma Sonny la raggiunse immediatamente.

«Avremo un buon raccolto, se il tempo rimane asciutto,» la informò. «Ricaveremo almeno duecento botti.»

«Che bello,» rispose Delanna, anche se non sapeva se duecento botti costituissero un buon raccolto oppure no. Sua madre non le aveva scritto quasi nulla, se non brevi accenni, sui frutteti di alberi di palle di cannone.

«Wilkes e Harry hanno sistemato la casa di tua madre,» proseguì Sonny.

«Bene,» commentò Delanna. «Questo dovrebbe fare alzare il prezzo della mia terra.»

«Hanno installato anche una pompa. In questo periodo dell’anno il lanzye è molto bello: sbocciano moltissimi fiori.»

Delanna non rispose. Stava facendo tutto il possibile per stargli dietro e non aveva la più pallida idea di quale risposta Sonny si aspettasse di ricevere dopo un’affermazione del genere. Ovviamente non poteva nutrire l’illusione che Delanna fosse intenzionata a visitare il lanzye.

«È davvero importante che l’avvocato ci incontri questa sera,» gli ricordò Delanna, nel caso Sonny non avesse ancora capito che lei sarebbe partita l’indomani mattina. «Devo assolutamente prendere la navetta che parte domani.»

Sonny si fermò al centro della strada e si girò verso Delanna. Anche se lei aveva le scarpe con i tacchi e si trovava su uno dei mucchietti di terra più alti, Sonny torreggiava ancora su Delanna. «A tua madre Milleflores non è mai piaciuto,» commentò con quel tono di voce strascicato che lo faceva sembrare un imbecille, «ma a tuo padre piaceva molto. Lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per conservarlo.»

Ci siamo, pensò Delanna. Ecco che arriva il grande discorso. «E…?» lo esortò a proseguire, irrigidendo la mascella.

Sonny abbassò lo sguardo per un paio di lunghi secondi. «E nulla,» concluse in tono disgustato, poi tirò l’asta del rimorchio con tanta forza che le oche starnazzarono. Non disse un’altra parola per tutto il resto del tragitto verso la città.

Quando arrivarono a Grassedge, Delanna era stanca morta per l’andatura rapida mantenuta da Sonny, che, invece, non stava neppure ansimando.

Il sole sembrava librarsi immobile all’orizzonte e solo la sfumatura bronzea assunta dalle erbe di colore scuro indicava che stava tramontando. La città di Grassedge non aveva un inizio ben definito. Sonny e Delanna superarono un prefabbricato, poi un campo, poi i resti di una capanna Quonset, intorno alla quale erano sparsi frammenti di mattonelle di ceramica di vario colore. Dopo che ebbero superato un silo ricoperto di mattonelle di ceramica leggermente discosto dalla strada e un altro campo, gli edifici divennero gradualmente più grandi e più vicini l’uno all’altro, fino a quando non formarono una linea irregolare.

Le oche si erano più o meno abituate al movimento durante il viaggio verso la città, ma non appena videro il primo vero edificio iniziarono di nuovo a starnazzare. Sonny si fermò di fronte a un edificio rivestito di assicelle. Sul tetto c’era un’insegna di legno dipinto su cui c’era scritto «Billy’s.» Su entrambi i lati dell’insegna era stata disposta una fila di scimmie di ceramica. Ogni statua aveva il braccio destro sollevato e tra di esse era stata appesa una serie di luci di Natale, in modo che ogni scimmia sembrava tenere sollevata una torcia verde, blu o rossa.

La facciata anteriore dell’edificio era ricoperta da insegne che reclamizzavano marche di birra e di liquore; la maggior parte di esse erano state ricavate dalle scatole di cartone in cui arrivavano i liquori e poi inchiodate sulla parete. Su un’insegna intagliata a mano c’era scritto «Ambrosia» e c’era anche una grande e scintillante insegna in plasequin della Watney’s Ale, ovviamente portata sul pianeta via navetta. Doveva trattarsi di un bar o di un saloon o come lo chiamavano su quel pianeta.

«Torno subito,» annunciò Sonny e la lasciò lì impalata mentre entrava dentro. Meraviglioso. La madre di Delanna avrebbe considerato quel ritorno a casa decisamente appropriato all’atmosfera che regnava su Keramos. «Sull’intero pianeta non troveresti un solo grammo di intelligenza o di buone maniere,» si era lamentata in una delle sue lettere.

Be’, forse almeno su questo sua madre si era sbagliata. Jay Madog si era comportato in maniera decisamente educata e l’avvocato doveva essere intelligente. La lettera che le aveva inviato era stata scritta in un ottimo stile, anche se, con grande delusione di Delanna, si era mantenuta sul vago; ovviamente nessuno dei due avrebbe piantato in asso Delanna al centro della strada in compagnia di un branco di oche.

Delanna si sedette sul bordo del rimorchio e si preparò ad aspettare, lieta di potersi concedere un po’ di riposo. Il sole scese ancora più in basso e la fila di luci colorate spiccò maggiormente contro l’edificio. Si chiese se Sonny intendesse lasciarla lì mentre lui era impegnato a sbronzarsi.

Sonny riapparve sul portico, girandosi per parlare con qualcuno all’interno. «Grazie,» lo sentì dire Delanna. «Non mi piaceva per niente la prospettiva di lasciare qui le oche in più. Ti pagherò dopo il raccolto.» Infilò un rotolo di banconote in tasca e si avvicinò al rimorchio. «Ho preso in prestito un po’ di soldi per accelerare l’invio delle oche che ho lasciato nel magazzino,» spiegò a Delanna, poi iniziò a camminare di nuovo.

Quella spiegazione la fece pensare a Cleo. Sperò che lo scarabeo stesse bene.

Ma certo che sta bene, si disse Delanna. Ogni volta che, a bordo della nave, aveva messo Cleo nella sua gabbia, si era raggomitolata su se stessa e aveva dormito fino al suo ritorno. Ma sulla nave non c’erano state delle oche starnazzanti a svegliarla. E se si fosse spaventata?

Sarà meglio che andiamo dall’avvocato, pensò Delanna. E sarà meglio che abbiamo un appuntamento. E sarà meglio che abbia pronti quei documenti, in modo che possa firmarli per andare poi a salvare Cleo.

Sonny si era fermato ancora una volta. «Portami da…» fece Delanna, ma lui era già scomparso di nuovo, questa volta in un grande edificio simile a un fienile con un piccolo cartello in plastica luminosa su cui c’era scritto «Ferramenta Sakawa.» Anche qui c’era una fila di scimmie, apparentemente di metallo, che stringevano tra le zampe quelle che sembravano torce elettriche.

Ma cosa stava facendo Sonny? Stava chiedendo in prestito altri soldi? O faceva compere? Se continuavano così, non sarebbero riusciti a incontrare l’avvocato prima di mezzanotte. Ma molto probabilmente lo scopo di Sonny era proprio questo: non voleva che Delanna vendesse la sua terra; lo aveva lasciato intuire fin troppo chiaramente quando aveva affermato che il padre di Delanna aveva amato molto Milleflores.

Aguzzò lo sguardo lungo la strada, tentando di capire dove potesse trovarsi l’ufficio dell’avvocato. Non riuscì a vedere neppure un edificio che somigliasse sia pure remotamente a un complesso di uffici, ma di sicuro avrebbe potuto chiedere a qualcuno. «Usando parole di una sola sillaba,» borbottò Delanna, prendendo la sacca da dove era stata incastrata accanto alla gabbia delle oche, «visto che ogni abitante di questo pianeta è un imbecille.»

Si voltò a guardare lungo entrambi ì lati della strada, chiedendosi dove andare per chiedere indicazioni. Tranne la ferramenta Sakawa, la città sembrava essere fatta interamente di bar, tutti dotati di scimmie e insegne di cartone. Esitò, e stava guardando dubbiosamente il bar accanto al negozio di ferramenta Sakawa, quando Sonny uscì dal fienile in compagnia di un uomo basso e tarchiato che indossava un berretto da baseball.

«È bellissimo,» stava dicendo Sonny. «Verrò a prenderlo non appena avrò concluso questa faccenda dell’avvocato.»

«Ah, sì, ne ho sentito parlare,» rispose l’uomo basso. «Arriverà con la navetta di domani?»

«No. È già qui.»

«Già qui?» ripeté l’altro uomo, spingendo indietro il berretto e scoprendo la fronte. «Be’, ma allora dove diavolo è? L’intera città era ansiosa di dare un’occhiata a tua…»

«Devo andare,» lo interruppe Sonny. «Abbiamo un appuntamento con l’avvocato.» Attraversò la strada, dicendo da sopra la spalla, «Tornerò non appena possibile.» Si avvicinò al rimorchio ed esclamò «Andiamo!» rivolto a Delanna, come se fosse stata lei a fare aspettare lui.

Si avviò a un’andatura tanto rapida che spaventò le oche, facendole ammutolire, dimentico del fatto che Delanna doveva portare la sua sacca.

«Aspetta!» gridò una voce di donna alle loro spalle. Sonny si girò per dare un’occhiata, poi accelerò ancora di più l’andatura. Le oche emisero un basso borbottio di protesta. «Sonny Tanner!» gridò la donna. «Aspettami! Voglio parlare con te!»

Anche Delanna si girò. Una donna con un largo cappello sformato si era piantata al centro della strada, a mezzo isolato di distanza, ma Delanna vide che non faceva alcun tentativo di raggiungere Sonny. Anzi, era perfettamente immobile, con le mani sui fianchi dei jeans molto attillati. Era più giovane di Sonny e i suoi capelli, quei pochi che Delanna riuscì a vedere sotto il cappello, erano biondi.

«Sonny Tanner, ci sono alcune cosette che hai trascurato di dirmi!»

«Oh, per amor del cielo!» esclamò Sonny. Lasciò andare l’asta del rimorchio e si voltò. «Tu rimani qui,» ordinò a Delanna. «Tornerò tra un minuto.» Raggiunse rapidamente l’altra ragazza. «Cosa ci fai qui, Cadiz?»

La ragazza gli andò incontro, con le mani ancora sui fianchi. «Cosa ci faccio qui? Cosa diavolo credi di fare sgattaiolando via senza neppure degnarti di dirmi cosa stai facendo?»

«Ho detto a B.T. di spiegarti cosa stava succedendo e…»

«B.T.!» lo interruppe Cadiz, quasi sputando le parole. «Non hai avuto il coraggio di dirmelo di persona e così hai pensato di mandare il tuo fratello idiota.»

«Adesso non arrabbiarti con B.T. per tutta questa faccenda. Non è stata colpa sua.»

«B.T.? Ma perché dovrei sprecare sia pure un briciolo di energia per arrabbiarmi con lui?» Cadiz avvicinò improvvisamente una mano al petto e iniziò a osservare le unghie dell’altra mano. «A un imbecille come B.T. non sarebbe mai venuto in mente che, in un momento del genere, potresti avere bisogno delle persone che ami.»

«E così sei venuta tu,» commentò Sonny, sollevando il berretto da baseball per passarsi una mano tra i capelli. «Come sei arrivata qui?»

«Mi ha portato Jay Madog,» rispose Cadiz, gettando indietro la testa in un gesto di sfida. «E date le circostanze, non hai alcun diritto di essere geloso.» Indicò Delanna con un gesto. «È lei?»

«Sì,» rispose Sonny, tentando di dirigerla verso uno dei bar. «Ma adesso calmati, Cadiz.»

Delanna non riuscì a udire il resto della loro conversazione. Ebbe l’impressione che fosse Sonny a parlare per la maggior parte del tempo, il che era una vera sorpresa, ma qualsiasi cosa disse, non sembrò calmare Cadiz che, a un certo punto, si tolse il cappello e lo gettò a terra.

«Io voglio conoscerla!» esclamò Cadiz in un tono di voce abbastanza alto da farsi udire da Delanna, poi raccolse il cappello e si avvicinò lentamente. «E così tu sei la figlia di Serena,» commentò, girando intorno a Delanna mentre batteva ritmicamente il cappello contro la gamba. «Be’, non so proprio di cosa mi preoccupavo.»

Sonny disse rapidamente, «Cadiz, questa è Delanna Milleflores. Delanna, questa è Cadiz Flaherty. È una nostra vicina. La sua famiglia vive nel lanzye confinante con Milleflores.»

«Come va?» chiese Delanna, offrendo la mano a Cadiz e osservandola con una certa sorpresa: nonostante il cappello, Cadiz era decisamente carina. Aveva corti capelli biondi e grandi occhi azzurri. Delanna aveva sempre sentito dire che, su pianeti come Keramos, le donne scarseggiavano. Se questo era vero, non riusciva a immaginare perché una ragazza carina come Cadiz corresse dietro a qualcuno come Sonny Tanner.

«E così sei tu la ragazzina per cui Serena ha speso tutti i suoi soldi per mandarla a scuola su un altro pianeta?» chiese Cadiz, rivolgendo un’occhiata di disgusto alla mano tesa di Delanna. «Non sembra che il suo investimento abbia dato grandi frutti.»

«Almeno ho imparato le buone maniere,» ribatté Delanna, poi ritrasse la mano.

Cadiz non rispose, infilò i pollici nei passanti del pantaloni e sputò nella polvere ai piedi di Delanna. «Quelle cose che porti ai piedi sono scarpe? Non è che saresti disposta a vendermele, vero? Mi serve qualcosa per spaventare le scimmie.»

«Dobbiamo andare dall’avvocato, Cadiz,» intervenne Sonny.

Cadiz sputò di nuovo e si rimise il cappello. «Immagino che resisterà al massimo due giorni, se le scimmie incendiarie non se la prendono prima,» commentò rivolta a Sonny. Attraversò la strada, dirigendosi verso Billy’s, poi salì sul portico del locale. «Le ho viste strappare un arto dopo l’altro a degli esseri umani per impadronirsi di una semplice scatola di fiammiferi, dunque figuriamoci cosa le farebbero per avere quelle scarpe!» gridò verso di loro, poi scomparve oltre la porta.

«Le scimmie incendiarie non uccidono gli esseri umani,» spiegò Sonny a Delanna.

«Insisto nel vedere l’avvocato adesso,» replicò Delanna a denti stretti.

«Penso che sia una buona idea,» ammise Sonny. «Solo un attimo.» Corse dall’altro lato della strada ed entrò in un bar che sfoggiava un’insegna della Coors Newbeer su cui era disegnata una gorgogliante cascata. Non appena Sonny fu sparito nel locale, le oche diedero il via ai loro assordanti starnazzi.

«Oh, ma chiudete il becco!» sbottò Delanna. Sorprendentemente, le obbedirono. «Ma vi rendete conto che siete le uniche creature che mi stanno a sentire su questo pianeta dimenticato da Dio?» Rimise la sacca sul rimorchio. «Spero che l’avvocato non sia come tutti gli altri abitanti di Keramos; in caso contrario, non riuscirò mai ad avere il mio denaro.»

Un ragazzo apparve sulla soglia del saloon. Sembrava avere circa quattordici anni. «Stai parlando con le oche?» le chiese, poi si girò verso Sonny, che era proprio dietro di lui. «Non mi avevi detto che bisognava anche parlare con loro.»

«Tu devi soltanto tenerle d’occhio, Buck,» rispose Sonny. Saltò giù dal portico e rivolse un cenno a Delanna. «Vieni dentro.»

«Senti,» replicò Delanna, «tu puoi avere tutto il tempo del mondo, ma io no.» Praticamente gridò la parola no, facendo starnazzare di nuovo le oche.

«Be’, ma allora cosa stai aspettando? Vieni dentro.» Si girò verso il ragazzo. «Tu rimani accanto al rimorchio e non lasciare che nessuno disturbi le mie oche.» Rientrò di nuovo nel saloon.

Ma è un vero uomo di Neanderthal! pensò Delanna. Attraversò la strada con andatura furiosa e iniziò a salire gli scalini. Adesso era abbastanza arrabbiata da trascinarlo di peso via dalla sua Watnet o dalla Coors ed esigere che la conducesse direttamente dall’avvocato.

Poggiò il piede sul secondo scalino, ma il tacco della scarpa vi passò attraverso. Afferrandosi a un palo per mantenere l’equilibrio, Delanna abbassò lo sguardo: evidentemente anche gli scalini erano stati costruiti con scatole di liquore perché nel secondo scalino era apparso un foro, provocato dal tacco della scarpa.

Alle sue spalle udì un selvaggio scoppio di risa. Si girò come una furia. Buck era piegato in due e rideva fragorosamente; ovviamente le oche stavano seguendo il suo esempio. «State zitte!» gridò lei. «E tu, Buck o come diavolo ti chiami, se vuoi essere pagato, pensa a tenere d’occhio queste oche come ti è stato ordinato di fare.»

Tirò il piede con forza verso l’alto, ma era rimasto incastrato. Allora si chinò e sciolse i lacci della scarpa, tentando di mantenere l’equilibrio. Questo strappò un’altra risata a Buck, che rise di nuovo quando finalmente Delanna riuscì a sfilare il piede dalla scarpa. Reggendosi in equilibrio su un piede solo, afferrò la scarpa con entrambe le mani e la liberò con uno strattone.

«Dove sei stata?» le chiese Sonny, apparendo sulla soglia. Evidentemente non aveva notato che Delanna indossava solo una scarpa. «Vieni. L’avvocato ci sta aspettando,» la esortò, poi tornò dentro.

Visto che il ragazzino pensava che quello spettacolo fosse incredibilmente divertente, Delanna non voleva certo fornirgli un’altra occasione di divertimento indossando di nuovo la scarpa. Salì saltellando gli ultimi due gradini ed entrò nel saloon. All’interno era così buio che non riuscì a vedere nulla, tranne un insegna al neon della Seagram.

«Benvenuta da Maggie’s, tesoro,» la salutò una donna apparsa dall’oscurità. Era una donna enorme, con una massa disordinata di capelli tenuta al suo posto da un fiore. Indossava pantaloni con gli orli rovesciati, una camicia a fiori come quella di Sonny e una collana luccicante. «Vieni a bere qualcosa. Cosa desideri?»

«Nulla, grazie,» rispose Delanna, tentando di sottrarsi alla mano che la donna le aveva poggiato sulla spalla. «Sto cercando Sonny Tanner. Doveva…»

«È qui, ti sta aspettando,» la interruppe la donna, precedendo Delanna verso un bancone fatto di scatole di liquore impilate una sull’altra; evidentemente erano l’unico materiale di costruzione disponibile su Keramos. Allungando una mano dietro le scatole, la donna prese tre grandi tazze di ceramica e una bottiglia marrone. «Che te ne sembra di Grassedge finora?»

Delanna provò l’improvviso impulso di colpire la donna con la scarpa che stringeva ancora in mano. «Non mi piace,» rispose, fissando infuriata Sonny, che stava iniziando a distinguere nella penombra. «Voglio vedere l’avvocato in questo istante,» gli sibilò, «e poi voglio lasciare questa palla di fango di pianeta.»

«Stai già vedendo l’avvocato,» replicò Sonny. «Maggie Barlow, questa è la figlia di Serena. Delanna, questa è Maggie Barlow, l’avvocato.»

«L’avrei riconosciuta ovunque,» affermò Maggie, senza neppure stringere gli occhi nella penombra. «Anche se non l’ho vista da quando era alta come uno stelo d’erba. Allora era una cosina molto graziosa.»

«Lei è Margaret Barlow,» mormorò Delanna in tono incredulo. Aveva l’impressione di stare vivendo in un incubo. Aveva immaginato l’avvocato come un avamposto di sanità mentale su quel pianeta selvaggio, e invece eccola lì, appoggiata al bancone mentre beveva ambrosia.

«Certo che sono io,» replicò Maggie. «Vuoi qualcosa da bere? Hai provato la nostra ambrosia?»

«No, grazie.»

«Immagino che tu sia ansiosa di concludere l’affare,» proseguì Maggie, assumendo un tono quasi da avvocato, «dunque perché non venite sul retro, nel mio ufficio, dove potremo dare un’occhiata al testamento?»

«Mi piacerebbe risolvere tutte le formalità il più in fretta possibile,» affermò Delanna. «Devo assolutamente prendere la navetta che parte domani mattina.»

Maggie fissò Sonny. «Quanto le hai detto sulla faccenda?» gli chiese.

«Sei tu l’avvocato. Pensavo che saresti riuscita a spiegarle meglio come stanno le cose.»

«E così non le hai detto nulla?»

Sonny si agitò a disagio sotto quello sguardo di rimprovero fino a quando Maggie prese la bottiglia marrone. «Penso che faresti meglio a bere un po’ di ambrosia, Delanna,» le consigliò, versando un liquido dorato dalle sfumature rossastre in una delle tazze di ceramica. «Ti renderà le cose un tantino più facili.»

«No, grazie,» rispose in tono fermo Delanna. «Andiamo nel suo ufficio?»

«Ma certo, tesoro,» rispose Maggie e fece loro strada verso il retro del bar, portando con sé la bottiglia e le tazze.

Ormai Delanna aveva rinunciato alla speranza che l’ufficio avesse l’aria di un ufficio e che il testamento e tutti gli altri documenti fossero conservati ordinatamente in una cartellina. Sarebbe stata felice se la stanza avesse almeno avuto una lampadina. Ce l’aveva, oltre a due tavoli ricoperti di panno verde e a un terminale vega.

Maggie poggiò le tazze e la bottiglia su uno dei tavoli coperti di feltro e frugò in una cassetta di birra. Delanna si sedette su una sedia dallo schienale dritto e si infilò la scarpa. Sonny si sedette a due sedie di distanza da lei e fissò il tavolo: apparentemente era impegnato a studiare i cerchi lasciati sul feltro da numerose bottiglie di birra.

Meraviglia delle meraviglie, Maggie estrasse dalla cassetta un fascicolo ordinato. Poi, sedendosi, inforcò un paio di occhiali dalla montatura rosa e scrutò Delanna. L’effetto fu quasi rassicurante. «Cosa sai di Milleflores Lanzye, Delanna?»

«So che metà di esso apparteneva a mia madre,» rispose Delanna, decisa a iniziare con il piede giusto, «e che lei l’ha lasciata a me. Le ho scritto che intendevo venderla.»

Dietro gli occhiali rosa, Maggie sembrava preoccupata. «Ha avuto la mia lettera, vero?» le chiese Delanna in tono ansioso.

«Sì, l’ho avuta.» L’avvocato osservò Sonny, impegnato a seguire con un dito il contorno di uno dei cerchi lasciati dalle bottiglie di birra.

«Be’, allora è riuscita a vendere la mia metà, vero? Mi ci sono voluti quasi tre mesi per arrivare qui. Senza dubbio in tutto questo tempo sarà riuscita a trovare un acquirente.»

Maggie riempì la sua tazza d’ambrosia fino all’orlo e la vuotò d’un fiato. «Permettimi di darti qualche spiegazione su Keramos e Milleflores,» esordì. «I coloni di prima generazione di Keramos erano nella maggior parte dei casi coloni insoddisfatti provenienti da New Heaven e da Starbuck. Avevano visto le terre di quei pianeti venire comprate da grandi megacorporazioni e da speculatori, ed erano decisi a non permettere che una cosa del genere accadesse anche su Keramos. Io stessa vengo da Starbuck e lascia che ti dica che il primo raccolto era appena stato messo nei granai che gli speculatori erano già sul posto, per comprare terre che non valevano ancora nulla da persone che si erano stufate o scoraggiate, oppure che non riuscivano a ricavarci da vivere.»

Si aggiustò gli occhiali. «I coloni di prima generazione sapevano che se avessero reso difficile vendere la terra, gli speculatori avrebbero semplicemente aumentato il prezzo che erano disposti a pagare, e così fecero in modo che la terra non potesse essere venduta. Poteva essere trasmessa in eredità, oppure essere acquisita in seguito a un matrimonio, ma era impossibile venderla. Se qualcuno voleva andarsene, doveva farlo senza portare con sé alcun frutto del suo duro lavoro e per evitare che la gente si facesse venire delle idee brillanti, tipo costringere i propri vicini ad andarsene per poi comprare la loro terra, la terra abbandonata non poteva essere lavorata per dieci anni dopo che il proprietario vi aveva rinunciato.»

Questo spiegava perché la madre di Delanna fosse rimasta su Keramos tutti quegli anni, anche se aveva odiato il pianeta con tutto il cuore, ma non spiegava perché Maggie avesse sentito il bisogno di farle quel lungo preambolo, oppure perché Sonny avesse un’aria tanto infelice. «Mia madre rimase sulla sua terra, vero?» chiese Delanna, quasi in preda al panico per quello che Maggie le avrebbe potuto rispondere.

«Sì, Serena rimase sulla sua terra,» confermò Maggie. «Morì nel suo letto, a Milleflores.» Prese il testamento, ne sfiorò l’orlo, poi lo depose di nuovo sul tavolo. «Le leggi stabilite dai coloni di prima generazione funzionarono molto bene per le fattorie interne, ma non altrettanto bene per la regione dei lanzye, che avevano bisogno di una superficie di terra dieci volte superiore per produrre profitti. Non funzionò per nulla per i frutteti.

«Vedi, c’è bisogno di un numero sufficiente di boschi di alberi di palle di cannone che forniscano alberelli da trapiantare nei frutteti; è impossibile entrare in un bosco di palle di cannone con l’equipaggiamento per raccoglierne i frutti a causa del modo in cui i rami degli alberi si intrecciano quando sono troppo vicini uno all’altro e c’è bisogno di una foresta adulta che fornisca una quantità sufficiente di assi per costruire le botti in cui fare invecchiare l’ambrosia. E ovviamente c’è bisogno di una riserva d’acqua che non si prosciughi negli anni di siccità e di qualche tratto di terreno pianeggiante per le coltivazioni destinate alla vendita fino a quando i frutteti non iniziano a produrre a sufficienza. Tuo padre e Douglas Tanner avevano stretto un accordo che assicurava la presenza di tutti questi fattori. Ma, ovviamente, non si trattava di un accordo riconosciuto in modo legale e, se uno dei due fosse morto, potevano solo sperare che l’erede, chiunque fosse, avrebbe deciso di mantenere in vigore l’accordo. Quanti anni aveva quando morì suo padre, Miz Milleflores?»

«Cinque,» rispose Delanna.

«Dunque non è abbastanza vecchia da ricordare molto sulla febbre delle scimmie, vero?»

«No.» In effetti, dopo che Maggie ebbe menzionato quel nome, Delanna ricordò qualcosa sulla malattia: sua madre a letto in una stanza in cui non permettevano a Delanna di entrare, qualcuno che faceva un commento sulle scimmie. L’avevano portata a stare a casa dei Tanner e lei ne era stata felice: le piaceva molto giocare con Tarleton. «So che entrambi i miei genitori la contrassero e che uccise mio padre.»

«Tua madre la prese per prima,» spiegò Sonny, sollevando lo sguardo per la prima volta. «Erano tutti sicuri che sarebbe morta. Tuo padre la ebbe in forma molto più leggera.»

«Non esisteva un vaccino contro la febbre delle scimmie e le persone morivano come mosche,» aggiunse Maggie. «Colpiva solo gli adulti; i bambini erano immuni. Tuo padre temeva che, se lui e sua moglie fossero morti, i tuoi parenti che non vivevano sul pianeta avrebbero potuto portarti via dalla tua terra e allora non saresti stata in grado di riceverla in eredità. Su Keramos non avevi parenti. Se fossi andata a vivere con i tuoi parenti su un altro pianeta, il lanzye sarebbe stato confiscato, i Tanner non avrebbero potuto lavorarlo per dieci anni e Milleflores avrebbe cessato di esistere. La stessa cosa sarebbe successa se i Tanner fossero morti di febbre e avessero lasciato Sonny e i suoi fratelli.»

Delanna aveva tentato di seguire attentamente la spiegazione, ma non riusciva a capire dove volesse arrivare Maggie. Sua madre non era morta di febbre e i Tanner non l’avevano certo contratta. Si aggrappò a qualcosa che Maggie aveva detto sui suoi parenti. «Ha detto che se i miei parenti mi avessero portato a vivere lontano da questa pianeta, avrei perso Milleflores. Non mi sta dicendo che, visto che sono andata a scuola su un altro pianeta, non ho diritto all’eredità, giusto?» Nonostante i suoi sforzi, la sua voce si incrinò in una nota di spavento alla fine della domanda. Sua madre le aveva detto che aveva diritto all’eredità. Non l’avrebbe mai mandata via dal pianeta, se questo avesse significato farle perdere l’eredità a cui aveva diritto.

«No, ovviamente no,» la rassicurò Maggie. «Tua madre era la proprietaria del lanzye. Era lei quella che doveva occupare la terra, cosa che ha fatto. Non c’è alcun dubbio che tu abbia diritto all’eredità.»

«Allora a cosa servono tutte queste spiegazioni?» le chiese Delanna, incapace di sopportare la tensione più a lungo. Il suo sguardo corse da Sonny a Maggie: il primo stava fissando il tavolo con aria cupa, la seconda fissava il testamento con aria altrettanto tetra. «Ovviamente c’è qualcosa che non va. Di cosa si tratta? La mia metà non può essere venduta?»

«Può essere venduta,» replicò Maggie. «Le leggi sono state profondamente emendate, soprattutto grazie alle pressioni degli Stranieri. Un proprietario di lanzye può vendere la propria terra, se vi risiede fino a quando la vendita non venga conclusa.»

Ecco qual era il problema: Delanna avrebbe dovuto rimanere su Keramos per una settimana, o per due settimane, oppure perfino per un mese, fino a quando la vendita non sarebbe stata perfezionata. Provò una profonda sensazione di sollievo, nonostante avesse sperato di partire l’indomani e nonostante fosse stata convinta che non sarebbe riuscita a sopportare di rimanere su Keramos un altro secondo in più. Dall’aria assunta da Sonny e da Maggie e dagli accenni malaugurati che avevano lasciato cadere, aveva pensato che si trattasse di qualcosa di davvero catastrofico, invece che di un semplice ritardo. Non aveva denaro sufficiente per rimanere due settimane sul pianeta, ma senza dubbio sarebbe riuscita a farsi versare un anticipo dall’avvocato.

«Se un lanzye è in comproprietà, come nel caso di un matrimonio,» proseguì Maggie, «e uno dei soci vuole vendere, il socio rimanente ha la prima opzione sulla terra; ha a disposizione fino a un anno per rilevare la terra del socio, dopodiché essa può essere venduta liberamente. Il socio che vuole vendere deve occupare la terra fino a quando la vendita non sia stata completata.»

Un anno! «Ma la mia terra non è in comproprietà,» obiettò Delanna. «Lei ha detto che mia madre ha lasciato Milleflores solo a me.»

«All’epoca dell’epidemia di febbre delle scimmie, tuo padre e il padre di Sonny decisero di assicurare la sopravvivenza del lanzye di Milleflores unendo i due lanzye. Alla morte di tutti i genitori, i due lanzye sarebbero diventati uno solo dal punto di vista legale.»

«Pensavo che avesse detto che non potevano farlo, che potevano solo trasmettere la terra ai loro figli.»

Maggie si versò un’altra tazza di ambrosia e la vuotò d’un fiato. Prese la tazza che Delanna aveva rifiutato in precedenza e gliela offrì di nuovo. «Sei sicura di non volere bere un po’ d’ambrosia?»

«Sì,» rispose Delanna in tono impaziente.

Maggie poggiò la tazza sul tavolo. «Durante l’epidemia tuo padre e il padre di Sonny fecero pronunciare a voi due una promessa di matrimonio, con valore legale, che sarebbe stata suggellata quando tutti e quattro i vostri genitori fossero morti. In questo modo i due lanzye divennero uno solo, posseduto in comproprietà.»

«Una promessa di matrimonio?» ripeté Delanna, fissando Sonny. «Una promessa di matrimonio?» Prese la tazza di ambrosia e la vuotò in un solo sorso bruciante che le lasciò in bocca un sapore orribile. Non l’aiutò certo a riprendersi. «Questo vuol dire che io sono fidanzata con te?»

«No,» rispose Sonny allungando una mano verso la bottiglia. «Questo vuol dire che siamo sposati.»

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