9 Ned

Abbiamo già fatto ottocento o novecento o mille chilometri, quest’oggi, ma da stamattina non ci siamo scambiati che due o tre parole. Ondate di tensione scorrono tra noi e ci tengono distaccati. Eli ha il broncio con Timothy; io idem; Timothy è seccato con Eli e con me; Oliver è preoccupato per tutti noi.

Eli ha il broncio con Timothy perché questi non gli ha permesso di portare con noi la brunetta di ieri sera. Ha tutta la mia comprensione: so quanto è difficile per lui trovare una ragazza che gli sia congeniale, e quale angoscia deve aver provato quando è stato costretto a separarsi da lei. Ma Timothy ha ragione: portarla con noi era inconcepibile.

La causa del mio broncio è l’intromissione di Timothy nella mia vita sessuale al ritrovo. Avrebbe potuto benissimo lasciarmi andare con quel ragazzo e poi venirmi a prendere stamattina. Ma aveva paura che mi picchiassero a morte durante la notte (sai come, Ned, prima o poi un finocchio lo picchiano a morte); e così non ha voluto perdermi d’occhio.

Ma è affar suo, se mi ammazzano mentre inseguo i miei sporchi piaceri? Spezzerei il mandala, ecco cosa. Il mandala a quattro angoli, il diamante sacro. Loro tre non potrebbero presentarsi da soli ai Custodi dei Teschi: io sono l’indispensabile quarto. Perciò Timothy, il quale ha messo bene in chiaro che lui crede solo tanto così alla faccenda della Casa dei Teschi, è fermamente deciso a condurre al tempio il nostro gruppo tutto intero. A me piace, questa sua fermezza: possiede le giuste risonanze contraddittorie, l’esatto tocco di palese assurdità. Questa è una spedizione balorda, dice Timothy, ma io andrò fino in fondo e così farete anche voialtri!

Ci sono ulteriori tensioni, fra noi. Timothy è accigliato e chiuso in se stesso, immagino perché non gli garba il ruolo di genitore/precettore che ha dovuto assumere ieri sera e perché gli dà fastidio che l’abbiamo costretto ad assumerlo. (È senz’altro convinto che l’abbiamo fatto apposta). Inoltre sospetto che sia inconsciamente irritato con me in quanto ho concesso i miei favori a quell’abominevole bestia di Mary: un finocchio è un finocchio, secondo la mentalità di Tim, e lui ritiene — probabilmente a ragione — che quando mi sollazzo con orribili rappresentanti dell’altro sesso lo faccio solo per beffarmi delle persone normali.

E infine c’è Oliver, ancora più taciturno del solito. Suppongo che ai suoi occhi siamo un pochino superficiali, e che ci detesti per questo. Povero Oliver, pieno di fermezza! Lui si è fatto da sé, come ci rammenta di tanto in tanto con la sua disapprovazione (più implicita che esplicita) del nostro atteggiamento; si è tirato fuori dalle distese di grano del Kansas fino a raggiungere l’elevata condizione di studente di medicina alla più tradizionalista università della nazione (eccetto, forse altre due o tre); e per un colpo di fortuna si è trovato a dividere stanza e destino con: 1) un poeta finocchio; 2) un membro dell’alta società; 3) uno studioso ebreo e nevrotico.

Mentre Oliver si è dedicato a conservare la vita altrui mediante i rituali di Esculapio, io sono pago di scribacchiare incomprensibilità contemporanee, Eli è pago di tradurre e postillare incomprensibilità antiche e dimenticate, e Timothy è pago di staccare assegni e giocare a polo. Tu solo, Oliver, hai importanza da un punto di vista sociale: tu che hai giurato a te stesso di diventare medico. E se il tempio di Eli esiste davvero e ci viene concesso il dono al quale aspiriamo? Dove se ne andrebbe la tua arte di guaritore dell’umanità, Oliver? Perché fare il medico se un potere arcano ti concede la vita eterna? Ah, in tal caso addio professione, eh Oliver?


Siamo nella Pennsylvania occidentale, o nell’Ohio orientale, non ricordo bene. La meta per stasera è Chicago. I chilometri scivolano via, i caselli di pedaggio sembrano simili uno all’altro. Ci fiancheggiano colline spoglie, ancora con la veste invernale. Sole pallido, cielo biancastro. Di tanto in tanto una stazione di rifornimento, un ristorante, le rovine di una città abbandonata.

Oliver ha guidato in silènzio per due ore, poi ha passato il volante a Timothy; Timothy ha guidato per mezz’ora, si è stufato, e mi ha chiesto di dargli il cambio. Io sono il Richard Nixon dell’automobile: sotto tensione, troppo impaziente, continuo a fare errori di valutazione e a chiedere scusa. Insomma, sono incompetente senza possibilità di rimedio. Malgrado le sue manchevolezze spirituali, Nixon è diventato presidente; malgrado la mia mancanza di coordinazione e di attenzione, io ho ottenuto la patente di guida.

Eli ha elaborato una teoria secondo la quale tutti i maschi americani si possono dividere in due categorie, quelli che sanno guidare e quelli che ne sono incapaci; i primi vanno bene soltanto per la riproduzione e i lavori manuali, mentre nei secondi alberga il genio autentico. Mi considera un traditore dell’intellighenzia perché so quale piede mettere sul freno e quale sull’acceleratore, ma credo che dopo aver sperimentato un’ora del mio modo di guidare abbia cominciato a rivedere la mia collocazione. Io non so guidare, faccio solo finta di esserne capace. La Lincoln Continental di Timothy è un autobus, per me: la sterzo troppo, la faccio rollare. Datemi una Volkswagen, e si vedrà la mia stoffa.

Oliver, che non sa fare il bravo passeggero, finisce col perdere il sangue freddo e mi dice di ripassargli il volante. E adesso eccolo lì, il nostro biondo automedonte, che ci trasporta verso il tramonto.

Un libro che ho letto non molto tempo fa ricavava una struttura sociale simbolica da un film etnografico su certi indigeni africani che davano la caccia a una giraffa. Questi indigeni ne avevano colpita una con le loro frecce avvelenate, ma dovevano inseguirla attraverso il brullo Kalahari finché fosse morta, il che avrebbe richiesto una settimana o più.

Erano quattro, strettamente uniti in sodalizio: il Capo, la guida del gruppo di caccia; lo Sciamano, lo stregone tuttofare, che invocava l’aiuto soprannaturale quando ce n’era bisogno e altrimenti serviva da intermediario fra il potere divino e la realtà del deserto; il Cacciatore ovvero il Bello, famoso per leggiadria, velocità, energia fisica, il quale si sobbarcava ai più gravosi compiti della caccia; e infine il Pagliaccio, piccolo e deforme, che si beffava dei misteri dello Sciamano, della bellezza e della forza del Cacciatore, della boria del Capo. Questi quattro costituivano un unico organismo, e ciascuno di loro era essenziale per la buona riuscita della caccia. A questo punto l’autore introduceva il concetto di polarità del gruppo, prendendo a prestito da Yeats i movimenti rotatoli opposti: Sciamano e Pagliaccio rappresentano la rotazione sinistrorsa, la Creativa; Cacciatore e Capo quella destrorsa, l’Operativa. Ciascuno dei due movimenti rotatori detiene capacità inaccessibili all’altro; ciascuno è inutile senza l’altro, ma insieme formano un gruppo stabile le cui singole facoltà sono perfettamente equilibrate.

Da qui l’autore passa all’ultima struttura simbolica, salendo dal livello tribale a quello nazionale: il Capo diventa lo Stato, il Cacciatore diventa l’Esercito, lo Sciamano diventa la Chiesa, il Pagliaccio diventa l’Arte.

In quest’auto portiamo con noi il macrocosmo. Timothy è il nostro Capo; Eli, il nostro Sciamano; Oliver, il nostro Bello, il nostro Cacciatore; e io, il Pagliaccio.

E io, il Pagliaccio.

Загрузка...