Fellini

Sono le quattro di un pomeriggio.

E' un novembre grigio e con poco sole del 1938. Il mare invernale è leggermente mosso e color fango perché in quel punto il torrente Bisagno esce in mare aperto.

La località si chiama la Foce e la città è la mia città: Genova.

Io, mio fratello gemello e mia nonna Delia stiamo tornando verso casa.

Fa quasi freddo e stiamo mangiando avidamente, da un cartoccio che mia nonna tiene in mano, del e castagne arrostite e fumanti.

Passiamo vicino alla spiaggia.

Dei pescatori escono con due gozzi.

Buttano le reti a duecento metri di distanza, e da terra con quattro massicci cavalli color marrone le tirano su.

Due cavalli arrivano fino al punto dove le reti vengono arrotolate sulle pietre tonde e grigie della spiaggia, mentre gli altri due tornano con gli zoccoli fino in acqua: i pescatori li attaccano alla corda che delimita la rete e che cominciano a tirare loro stessi.

La frusta schiocca in aria senza toccare i cavalli, che però, a ogni colpo, avanzano con un breve scatto, impauriti.

Alla fine della rete c'è una grande sacca a maglia stretta come una grande calza.

E per la pesca dei bianchetti che sono i piccoli delle acciughe.

Si possono mangiare crudi con un po' di limone o sbollentati con olio di oliva e pepe nero: sono squisiti.

Questa pesca è ormai vietata da molti anni.

C'è molta gente attorno alla rete: vogliono vedere.

I pesci vengono raccolti in secchi di zinco e venduti dalle donne che hanno scialli neri e urlano come muezzin, meccanicamente: Sun bel i freschi, vegnì a vedde xente!.

Vogliono attirare i compratori.

Poi li pesano su bilance a bilico.

Sui piatti di rame hanno messo fogli di carta gialla e spessa che arrotolano velocemente in pacchi a forma di cono.

I soldi li mettono dentro i grembiuloni azzurri.

L'aria è impregnata dell'odore forte del pesce.

A un tratto sentiamo gridare intorno: il Rex… ecco il Rex.

II Rex è l'orgoglio della nostra marina mercantile.

Cinquantaduemila tonnellate.

Aveva vinto proprio in quei mesi il Nastro Azzurro, il primato di velocità nella traversata atlantica in otto giorni. Eccolo… eccolo…! urlano delle voci, e tutti a correre verso la riva del mare, coi piedi quasi nell'acqua fredda.

Preceduto da un fortissimo suono delle sue trombe, di fronte ai nostri occhi il Rex appare come una montagna nera di almeno seicento metri, coi fumaioli tricolori, illuminati da un ultimo raggio di sole.

In un attimo gira attorno alla diga foranea del porto e scompare al 'orizzonte! Tutti applaudono.

Quel ricordo e quelle misure stravolte dalla mia coscienza infantile erano sepolti e ormai del tutto dimenticati.

Passano molti anni.

Ed ecco che Fellini in Amarcord me l'ha restituita intera, la mia visione.

Questa è a mio parere la straordinaria capacità di Federico Fellini: deformare la realtà con la coscienza ipertrofica dell'infanzia.

La sua grandezza creativa è quella di restituirti un'immagine del mondo come visto dall'occhio di un bambino.

E così mi è capitato per il passaggio della Mille miglia e la Venezia cimiteriale di Casanova che ha evocato i miei primi viaggi in laguna a trovare i nonni, e la decadenza dell'impero di Roma che si sgretola nella cena di Trimalchione in Satyricon.

È il triste funerale dei clown.

Credo che nessun autore abbia mai saputo raccontare, e restituire in questo modo, sensazioni dimenticate.

Né Bergman, né Kurosawa, né Eisenstein.

In quest'ultimo poi le immagini sono molto letterarie e premeditate.

Meno singolari.

Meno speciali, e non coinvolgono mai la coscienza dimenticata.

E l'arrivo a Roma dell'attore inglese in Tre passi nel delirio? Vi ricordate che differenza abissale c'era tra Fellini e gli autori degli altri due episodi, Roger Vadim e Louis Malle? E Anitona e la magica fontana con quel silenzio irreale? E Otto e 1/2? Ma in fondo Fellini è tutto straordinario, e per me valgono di più per la storia del cinema dieci minuti suoi che tutto Spielberg e Coppola messi insieme.

Le sue immagini incidono profondamente, come succede con Kafka e Dostoevskij.

Nella notte degli Oscar, vedendo il nostro Grandissimo Vecchio prendere il premio dalle mani della Loren e di Mastroianni, vedendo quei tre italiani così famosi, così importanti anche in America, ma soprattutto così italiani, proprio oggi che il nostro paese è tanto screditato dovunque, con tutti quei di vi di Hollywood in piedi ad applaudirli e con la Masina in lacrime, mi sono commosso anch'io. Anch'io ho pensato con una punta di bieco orgoglio: parlo la loro lingua.

E vi par poco, in un momento in cui dovunque io vada fingo di essere svizzero-italiano del Canton Ticino per non essere guardato con sospetto? Grazie, Federico.

4 aprile '93

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