22 Fuoco e ghiaccio

Il vento scosse di nuovo me e la tenda.

La temperatura stava precipitando. Il gelo penetrava nel sacco a pelo, nella giacca. Ero imbacuccata dalla testa ai piedi, con gli scarponcini da trekking ancora allacciati. Com’era possibile che facesse così freddo? Prima o poi avrebbe dovuto toccare il minimo e risalire, no?

«Ch-ch-che o-o-o-re s-s-sono?». Mi sforzai di parlare malgrado i denti che battevano.

«Le due», rispose Edward.

Restava seduto il più lontano possibile in quello spazio limitato e, dato il freddo, cercava di non respirarmi addosso. C’era troppo buio per scorgerne il viso, ma la voce era scossa da timore, indecisione e frustrazione.

«Magari...».

«No, sto b-b-b-b-b-bene, d-d-dav-v-v-ero. Non v-v-v-oglio u-u-u-scire». Aveva già cercato di convincermi una dozzina di volte a fuggire, ma avevo il terrore di abbandonare il rifugio. Se faceva freddo dentro la tenda, dove il vento furioso non penetrava, non riuscivo a immaginare come mi sarei sentita correndo all’aria aperta.

E avrei mandato a monte tutti gli sforzi di quel pomeriggio. Avremmo avuto il tempo sufficiente per riaccamparci, finita la tempesta? E se non fosse finita? Non aveva senso muoverci subito. Ero disposta a sopportare una notte di brividi.

Temevo che le tracce che avevo lasciato si potessero perdere, ma lui era certo che sarebbero state inconfondibili per i mostri in arrivo.

«Cosa posso fare?», chiese quasi implorante.

Scossi il capo.

Nella neve, Jacob emise un ululato triste.

«V-v-vattene v-v-via», ordinai, per l’ennesima volta.

«È soltanto preoccupato per te», tradusse Edward. «Sta bene. Il suo corpo è adatto a questi climi».

«N-n-n-n-n-n». Avrei voluto dire che non m’importava, ma non riuscii a muovere la lingua. Nel tentativo rischiai di mozzarmela. Almeno Jacob sembrava davvero a suo agio sulla neve, ancor più degli altri membri del branco, con il suo pelo rossiccio più fitto, lungo e disordinato. Chissà perché. Jacob emise un lamento acuto e straziante.

«Cosa vuoi che faccia?», ruggì Edward, troppo ansioso per preoccuparsi ancora delle buone maniere. «Dovrei portarla via adesso? Non ti stai rendendo utile. Perché non vai a recuperare una stufa o qualcosa del genere?».

«Sto b-b-bene», protestai. A giudicare dalla rispostaccia di Edward e dal ringhio soffocato fuori dalla tenda, non avevo convinto nessuno. Il vento scuoteva la tenda e io tremavo insieme a lei.

Un ululato irruppe nel vento, tanto acuto da dovermi tappare le orecchie. Edward sbuffò.

«Non ce n’era bisogno», mormorò. «È l’idea peggiore che potessi avere», disse a voce più alta.

«Meglio di tutto quello che hai escogitato tu», rispose Jacob, la cui voce umana mi sorprese. «Vai a recuperare una stufa », borbottò. «Non sono un sanbernardo».

Sentii la cerniera aprirsi velocemente.

Jacob s’infilò nell’apertura più minuscola che riuscì a sfruttare, mentre il vento artico gli soffiava attorno e qualche fiocco di neve cadeva sul fondo della tenda. Ebbi un fremito così violento da somigliare a una convulsione.

«Non approvo», sibilò Edward mentre Jake chiudeva la cerniera. «Dalle il giaccone e vattene».

La mia vista si adattò quanto bastava a scorgere le sagome: Jacob portava con sé il giaccone che aveva lasciato appeso nei pressi della tenda. Cercai di chiedere di cosa stessero parlando, ma dalla mia bocca uscì un semplice «D-d-d-d-d-d», perché i brividi mi facevano balbettare senza controllo.

«Questo le servirà domani: è troppo freddo per scaldarlo tenendolo addosso. È ghiacciato». Lo posò accanto alla porta. «Hai detto che aveva bisogno di una stufa, be’, eccomi qui». Jacob allargò le braccia quanto poteva sotto la tenda. Come sempre, quando era reduce dalla trasformazione in lupo, indossava soltanto l’essenziale: un paio di bermuda, senza camicia né scarpe.

«J-j-j-ake, c-così con-g-g-g-elerai», cercai di protestare.

«Io no di certo», rispose allegro. «La mia temperatura media è di quarantadue caldissimi gradi, ultimamente. Vi farò sudare in men che non si dica».

Edward ringhiò qualcosa, ma Jacob non lo degnò di uno sguardo. Anzi, strisciò al mio fianco e fece per aprire la cerniera del mio sacco a pelo. La mano di Edward scattò immediatamente sulla sua spalla per trattenerlo, bianca come la neve sulla pelle scura. Jacob digrignò i denti, le narici dilatate, il corpo irrigidito dal contatto con il freddo. I muscoli affusolati delle braccia si contrassero all’istante: «Giù le mani», ruggì a denti stretti.

«Giù le mani da lei», rispose Edward con cattiveria.

«Non-n-n l-l-lit-t-tigate», implorai. Un altro fremito mi scosse. Temevo che mi si potessero sbriciolare i denti, tanto forte battevano.

«Scommetto che ti ringrazierà, quando le salterà via il primo dito congelato», sbottò Jacob. Edward restò immobile, poi la sua mano si allontanò e sgattaiolò al proprio posto nell’angolo. La sua voce era neutra e inquietante. «Bada a ciò che fai». Jacob ridacchiò.

«Fammi spazio, Bella», disse aprendo ancora di più il sacco a pelo. Lo guardai scandalizzata. C’era poco da meravigliarsi della reazione di Edward.

«N-n-n-n-n», cercai di protestare.

«Non essere stupida», disse esasperato. «Non preferisci conservare tutte e dieci le dita dei piedi?».

Stipò il proprio corpo nello spazio minuscolo e fece forza sulla cerniera per chiudersela alle spalle.

A quel punto non potevo più oppormi, anche perché non volevo. Era troppo caldo. Le sue braccia si strinsero attorno a me e mi premevano con decisione contro il suo petto nudo. Il calore era irresistibile, come l’aria dopo un’immersione subacquea prolungata. Ebbe un fremito quando, impaziente, affondai le dita nella sua pelle.

«Caspita, sei ghiacciata, Bella», si lamentò.

«Sc-c-c-c-c-cusa», balbettai.

«Cerca di rilassarti», suggerì, mentre l’ennesimo fremito mi scuoteva con violenza. «Tra un minuto sarai al caldo. Certo, se ti togliessi i vestiti ti scalderesti più in fretta».

Da Edward venne un ruggito secco.

«È un dato di fatto», si giustificò Jacob. «Corso accelerato di sopravvivenza».

«L-l-lascia p-p-perdere, Jake», dissi con rabbia, malgrado il mio corpo stesso si rifiutasse di tenerlo lontano. «C-c-c-osa vuoi c-c-che me ne f-ffaccia di d-d-dieci dita d-d-dei p-p-piedi».

«Lascia perdere il succhiasangue», suggerì Jacob, compiaciuto. «È soltanto geloso».

«Certo che sì». La voce di Edward era di nuovo vellutata, sotto controllo, una musica sussurrata nell’oscurità. «Non hai la minima idea di quanto mi piacerebbe poter fare ciò che stai facendo per lei, randagio».

«Così va la vita», ribatté Jacob allegro, ma il suo tono si fece subito più amaro. «Se non altro, sai che anche lei vorrebbe che ci fossi tu al mio posto».

«Vero», rispose Edward.

Mentre i due battibeccavano, i sussulti rallentarono e divennero sopportabili.

«Ecco», disse Jacob soddisfatto. «Va meglio?».

Finalmente ero di nuovo in grado di parlare. «Sì».

«Hai ancora le labbra viola», commentò. «Vuoi che ti scaldi anche quelle? Basta chiedere». Edward sbuffò.

«Fai il bravo», borbottai e affondai il viso nella sua spalla. Ebbe un altro fremito quando la mia pelle fredda toccò la sua, e sorrisi in un misto di vendetta e soddisfazione.

Il sacco a pelo era già caldo e accogliente. Il calore del corpo di Jacob sembrava giungere da ogni parte, forse perché era così immenso. Mi sfilai gli scarponcini e sfregai i piedi contro le sue gambe. Ebbe un sussulto e chinò la testa per premere la guancia calda contro il mio orecchio intorpidito. Notai che la pelle di Jacob sapeva di legno e muschio: si addiceva al luogo in cui ci trovavamo, nel cuore della foresta. Era buono. Chissà, forse le lamentele dei Cullen e dei Quileute a proposito del reciproco odore erano soltanto una farsa. Per me avevano tutti un buon profumo. La tormenta ululava come un animale all’assalto della tenda, ma non m’inquietava più. Jacob non era più al freddo, e nemmeno io. E poi ero davvero troppo stanca per pensare... stanca dopo essere rimasta sveglia così a lungo, e afflitta dagli spasmi muscolari. Il mio corpo si rilassò lentamente mentre mi scioglievo, un pezzo di ghiaccio alla volta, e si fece inerte.

«Jake?», mormorai assonnata. «Posso farti una domanda? Non è per prenderti in giro o chissà cosa... "sono solo curiosa"», dissi parafrasando quel che mi aveva detto nella mia cucina... quanto tempo era passato?

«Certo», ridacchiò, al ricordo.

«Perché il tuo mantello è così folto, rispetto a quello dei tuoi amici? Sei libero di non rispondere se pensi che sia scortese». Non conoscevo il bon ton dei licantropi.

«Perché ho i capelli più lunghi», rispose divertito. Se non altro, non si sentiva offeso. Scosse la testa e con i capelli spettinati, che ormai gli arrivavano al mento, mi solleticò la guancia.

«Ah». Ero sorpresa, ma la risposta aveva senso. Ecco perché tutti si rasavano i capelli, all’inizio, quando entravano a far parte del branco. «E allora perché non li tagli? Ti piace che restino in disordine?». Questa volta non rispose ed Edward rise sotto i baffi.

«Scusa», dissi e sbadigliai. «Non volevo farmi gli affari tuoi. Non sei obbligato a dirmelo».

Jacob mugugnò qualcosa, esasperato. «Oh, tanto prima o poi te lo dirà lui, perciò... Mi stavo facendo crescere i capelli perché... mi sembrava che ti piacessero di più lunghi».

«Ah». Mi sentii in imbarazzo. «Be’, mi... piacciono sia lunghi che corti, Jake. Non devi... disturbarti».

Scrollò le spalle. «Stanotte è tutt’altro che un disturbo, perciò non preoccuparti». Non mi restava niente da dire. Piano piano calò il silenzio, le mie palpebre cedettero e si chiusero, e il mio respiro si fece più lento e regolare.

«Giusto, piccola, adesso dormi», sussurrò Jacob.

Sospirai, soddisfatta, già in dormiveglia.

«Seth è qui», sussurrò Edward a Jacob, e all’istante compresi il senso degli ululati di poco prima.

«Perfetto. Adesso puoi occuparti di tutto il resto, mentre io ti tengo d’occhio la ragazza». Edward non rispose, ma io bofonchiai rauca: «Smettila». In quel momento c’era silenzio, perlomeno dentro la tenda. Fuori, il vento urlava instancabile tra gli alberi. I sussulti della tenda rendevano il sonno difficile. I picchetti tremavano, si piegavano all’improvviso e mi ricacciavano dal confine del dormiveglia ogni volta che pensavo di essere sul punto di scivolare nel sonno. Mi sentivo così in pena per il lupo, il ragazzino costretto a restare fuori sotto la neve. Vagai con i pensieri, in attesa che il sonno mi trovasse. Quello spazio angusto e caldo mi fece tornare ai primi giorni con Jacob e ricordai di quando lui era il mio sole di riserva, il calore che rendeva vivibile la mia vita vuota. Da un po’ non pensavo a Jake in quei termini, eppure eccolo lì, a riscaldarmi ancora.

«Per favore!», sibilò Edward. «Ti sembra il caso?».

«Di che?», sussurrò Jacob, sorpreso.

«Mi fai il piacere di provare a controllare i tuoi pensieri?», il sussurro cupo di Edward era furioso.

«Nessuno ti obbliga ad ascoltare», mormorò Jacob, in tono di sfida ma con un velo di imbarazzo. «Esci dalla mia testa».

«Mi piacerebbe poterlo fare. Non hai idea di quanto siano chiassose le tue fantasie. È come se me le stessi urlando in faccia».

«Cercherò di pensare a bassa voce», sussurrò Jacob sarcastico. Per un istante fu il silenzio.

«Sì», rispose Edward a un pensiero inespresso, con un mormorio tanto basso da poterlo cogliere a malapena. «Anche di questo sono geloso».

«Immaginavo fosse così», sussurrò Jacob soddisfatto. «Questo pareggia i conti, più o meno, eh?».

Edward ridacchiò. «Ti piacerebbe».

«Be’, sai anche tu che potrebbe sempre cambiare idea», lo sfidò Jacob.

«Visto e considerato tutto ciò che io potrei fare con lei, e tu no. Non senza ucciderla, cioè».

«Adesso dormi, Jacob», mormorò Edward. «Stai iniziando a darmi sui nervi».

«Penso che lo farò. Sto davvero comodo».

Edward non rispose.

Ero troppo assonnata per chiedere ai due di smettere di parlare di me come se non ci fossi. La conversazione era diventata quasi un sogno, non ero più tanto certa di essere sveglia.

«Penso di sì», disse Edward dopo un istante, in risposta a una domanda che non avevo sentito.

«Ma saresti sincero?».

«Puoi sempre chiedere e controllare». A giudicare dal tono di Edward, forse mi ero persa una battuta.

«Be’, visto che sei capace di guardarmi nella testa, lascia che sia io a sbirciare nella tua, stanotte, penso di meritarmelo», disse Jacob.

«Hai la testa piena di domande. A quale vuoi che risponda?».

«La gelosia... devi sentirti divorato. Non puoi essere sicuro di te stesso come sembra. A meno che tu non sia privo di emozioni».

«Certo che la gelosia mi divora», rispose Edward, non più divertito. «In questo momento è così crudele che riesco a malapena a controllare la voce. Certo, è ancora peggio quando lei è lontana, con te, e non riesco a vederla».

«La pensi in continuazione?», sussurrò Jacob. «Ti è difficile concentrarti quando lei non c’è?».

«Sì e no», disse Edward; sembrava deciso a rispondere con sincerità.

«La mia mente non funziona proprio come la tua. Io riesco a pensare più cose contemporaneamente. Certo, ciò significa che posso pensare anche a te, chiedermi se è a te che sta pensando, quando è muta e pensierosa». Per un minuto restarono entrambi immobili.

«Sì, direi che ti pensa spesso», mormorò Edward in risposta alla riflessione di Jacob. «Più spesso di quanto gradirei. Teme che tu non sia felice. Questo lo sai. E sai come approfittarne».

«Devo approfittare del poco che ho», borbottò Jacob. «Non ho certo i tuoi vantaggi. Per esempio, la certezza di sapere che è innamorata di te».

«In effetti aiuta», commentò Edward con voce neutra.

Jacob rispose in tono di sfida. «Sai bene che è innamorata anche di me». Edward non rispose.

Jacob fece un sospiro. «Purtroppo non lo sa».

«Non so dirti se hai ragione».

«La cosa ti disturba? Ti piacerebbe poter leggere anche nei suoi pensieri?».

«Sì... e no, di nuovo. Lei preferisce che sia così, e sebbene talvolta io rischi la pazzia, preferisco che sia felice». Il vento si accanì sulla tenda e la scosse come un terremoto. Le braccia di Jacob mi strinsero protettive.

«Grazie», sussurrò Edward. «Ti suonerà strano, forse, ma sono lieto che tu sia qui, Jacob».

«Intendi "non sai quanto mi piacerebbe ucciderti, ma sono felice che lei stia al caldo", vero?».

«La tregua è difficile da sopportare, eh?».

Il sussurro di Jacob all’improvviso si fece più sfacciato. «Lo sapevo, sei pazzo di gelosia, come me».

«Io non sono così stupido da mostrarlo ai quattro venti. Non aiuta la tua causa, sai?».

«Tu sei più paziente di me».

«Logico. In cento anni ho imparato a esserlo. Cento anni passati nell’attesa di lei».

«E dimmi... quand’è che hai deciso di recitare la parte del bravo ragazzo tanto paziente?».

«Quando ho capito che soffriva di fronte all’obbligo di scegliere. Di solito non ho difficoltà a controllarmi. Il più delle volte sono capace di ammorbidire le sensazioni meno... educate che provo nei tuoi confronti. Ogni tanto ho il sospetto che Bella sappia ciò che penso, ma non ne sono sicuro».

«Secondo me, temevi soltanto che, costringendola a scegliere, non avrebbe scelto te». Edward non rispose subito. «In parte è così», confessò infine. «Ma è una parte minima. Ognuno ha i suoi momenti di dubbio. La mia preoccupazione più grande era che potesse farsi del male pur di venirti a trovare di nascosto. Dopo aver accettato l’idea che con te fosse più o meno al sicuro — per quanto può esserlo Bella, di norma — la scelta migliore mi è sembrata quella di smettere di esasperarla».

Jacob sospirò. «Se glielo dicessi io, non mi crederebbe mai».

«Lo so». A giudicare dalla voce, Edward stava sorridendo.

«Pensi di sapere tutto», borbottò Jacob.

«Del futuro non so niente», disse Edward, in tono improvvisamente insicuro. Ci fu una lunga pausa.

«Cosa faresti se cambiasse idea?», domandò Jacob.

«Non so nemmeno questo».

Jacob rise a mezza voce. «Cercheresti di uccidermi?». Era di nuovo sarcastico, come se dubitasse che Edward ci sarebbe riuscito.

«No».

«Perché no?». Il tono di Jacob restava divertito.

«Credi davvero che oserei ferirla così?».

Jacob restò in silenzio per un istante e sospirò. «Sì, hai ragione. So che è giusto così. Ma a volte...».

«A volte sembra un’idea affascinante».

Jacob affondò la testa nel sacco a pelo per soffocare la propria risata.

«Esatto», commentò infine.

Che strano sogno. Chissà se era il vento incessante a farmi immaginare quei sussurri. Ma il vento urlava, anziché sussurrare.

«Come ti sei sentito, quando l’hai persa?», chiese Jacob dopo un breve silenzio, e nella sua voce improvvisamente rauca non c’era traccia di ironia. «Quando eri convinto di averla perduta per sempre. Come hai... reagito?».

«Mi è molto difficile parlarne».

Jacob restò in attesa.

«Ci ho pensato in due circostanze distinte». Edward scandiva le parole un po’ più lento del solito. «La prima, quando ho pensato di essere in grado di lasciarla, è stato... quasi sopportabile. Perché credevo che potesse dimenticarmi, che potesse vivere come se non fossi mai esistito. Per più di sei mesi riuscii a starle lontano, per mantenere la promessa di non interferire mai più con la sua vita. Sembrava che ce la stessi facendo: combattevo, ma sapevo che non avrei vinto, che prima o poi sarei tornato, anche soltanto per vedere come stava. Cercavo di convincermi che ce l’avrei fatta. E se l’avessi trovata ragionevolmente felice... mi illudevo di riuscire ad allontanarmi di nuovo. Invece non era felice. Perciò, in cuor mio sapevo che sarei rimasto. Per lo stesso motivo che mi ha persuaso a rimanere con lei domani, ovviamente. Ciò di cui ti sei meravigliato prima, ciò che più di ogni altra cosa mi ha convinto... ciò per cui lei si sente, a torto, in colpa. Mi ha ricordato cosa le è accaduto quando l’ho lasciata... e cosa le capita ancora oggi, quando non ci sono. Si sente malissimo a parlarne, ma ha ragione. Non sarò mai in grado di farmi perdonare, ma non smetterò mai di provarci».

Jacob non rispose subito, distratto dal rumore della tempesta o forse impegnato ad assorbire ciò che aveva sentito, chissà.

«E la seconda volta... è stato quando pensavi che fosse morta?», sussurrò con voce roca.

«Sì». Ma Edward rispose a un’altra domanda. «Probabilmente proverai la stessa sensazione, no? Per l’idea che hai di noi, forse non ti sembrerà più la Bella che conosci. Ma è così che diventerà».

«Non è quello che ti ho chiesto».

La risposta di Edward giunse secca e rapida. «Non posso dirti come mi sono sentito. Non ci sono parole».

Le braccia di Jacob si contrassero attorno a me.

«Però te ne sei andato perché non volevi trasformarla in una succhiasangue. Tu vuoi che resti umana». Edward rispose lentamente. «Jacob, dall’istante in cui mi sono reso conto di amarla, ho capito che le possibilità erano quattro. La prima alternativa, la migliore per Bella, sarebbe stata quella di ignorare i miei sentimenti: lasciarmi perdere e andare oltre. Per me non sarebbe cambiato granché, me ne sarei fatta una ragione. Tu credi che io sia una... pietra viva, dura e fredda. È vero. Questa è la nostra natura, ed è molto raro che subisca cambiamenti profondi. Se ciò avviene, com’è stato quando Bella è entrata nella mia vita, il cambiamento è irreversibile. Non si torna indietro... La seconda alternativa, quella per cui avevo optato all’inizio, era restarle accanto per tutto il corso della sua esistenza umana. Forse non sarebbe stata felice di sprecare la vita accanto a un essere che non era umano, ma mi sembrava la scelta più semplice. Ero certo che, quando fosse morta, anch’io avrei cercato una maniera per morire. Sessanta, settant’anni... mi sembravano un arco di tempo tanto breve, ma mi resi conto che vivere a stretto contatto con il mio mondo sarebbe stato troppo pericoloso per lei. Sembrava che ogni cosa andasse per il verso sbagliato. O minacciasse di farlo... Avevo il terrore che non durasse nemmeno quei sessant’anni, se avessi accompagnato la sua vita umana. Perciò ho scelto la terza opzione. Che si è dimostrata il peggior errore della mia lunga vita, come sai. Ho deciso di uscire dal suo mondo, nella speranza di costringerla a scegliere la prima alternativa. Non ha funzionato, anzi, abbiamo entrambi rischiato di morire.

Cosa mi resta, se non la quarta alternativa? È ciò che lei desidera; perlomeno, ciò che pensa di desiderare. Ho cercato di posticipare, di concederle del tempo perché trovasse un motivo per cambiare idea, ma è troppo... testarda. Lo sai anche tu. Con un po’ di fortuna riuscirò a tirare avanti per qualche altro mese. Ha il terrore di invecchiare e il suo compleanno cade in settembre...».

«L’opzione uno mi piace», mormorò Jacob.

Edward non reagì.

«Sai perfettamente quanto mi costi ammetterlo», sussurrò lento Jacob, «ma mi è chiaro che a modo tuo... la ami. Non posso più contestarlo. Detto questo, secondo me non dovresti rinunciare alla prima alternativa, non ancora. Penso che ci siano buone probabilità che si riprenda. Con un po’ di tempo. Vedi, se a marzo non si fosse gettata da uno scoglio... e se avessi aspettato altri sei mesi prima di venire a controllare... be’, forse l’avresti ritrovata ragionevolmente felice. Avevo una tattica precisa». Edward ridacchiò. «Forse avrebbe funzionato. Era un piano ben congegnato».

«Già», sospirò Jake. «Ma...», all’improvviso i suoi sussurri furono così veloci da confondere le parole. «Concedimi un anno, succhias... Edward. Sono davvero convinto di poterla fare felice. È testarda, nessuno lo sa meglio di me, ma è in grado di guarire. Sarebbe già guarita. E poi, vivrebbe da essere umano, assieme a Charlie e Renée, potrebbe crescere, avere dei figli e... restare Bella. Se la ami così tanto non puoi non vedere i vantaggi di questo piano. Lei ti crede così altruista... lo sei davvero? Riesci a riflettere sul fatto che io potrei essere meglio di te, per lei?».

«Ci ho riflettuto», rispose Edward calmo. «In un certo senso, per lei tu saresti meglio di qualsiasi altro umano. Bella ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lei, e tu sei forte abbastanza da riuscire a proteggerla da se stessa e da tutto ciò che cospira contro di lei. Lo hai già fatto, e per questo ti sarò debitore finché vivo — per sempre — comunque vada... Ho persino chiesto ad Alice se riusciva a vedervi: a vedere se Bella avrebbe vissuto meglio assieme a te. Ovviamente non ci è riuscita. Tu sei immune alle sue previsioni e al momento Bella è troppo sicura delle proprie decisioni. Ma non sono così stupido da commettere l’errore in cui sono già incappato una volta, Jacob. Non cercherò di costringerla a scegliere la prima alternativa. Finché mi vorrà al suo fianco, ci sarò».

«E se dovesse preferire me?», lo sfidò Jacob. «Certo, ce ne vorrà, questo te lo concedo».

«La lascerei andare».

«Punto e basta?».

«Sì, nel senso che non le mostrerei mai quanto mi farebbe soffrire. Ma resterei all’erta. Vedi, Jacob, anche tu potresti lasciarla, un giorno. Come Sam ed Emily, non avresti scelta. E io rimarrei dietro le quinte, in attesa di quel giorno».

Jacob sbadigliò in silenzio. «Be’, sei stato molto più sincero di quanto mi potessi aspettare, Edward. Grazie per avermi fatto entrare nella tua testa».

«Come ti ho già detto, ti sono stranamente grato di far parte della sua vita, stanotte. Era il minimo che potessi fare... Sai, Jacob, se non fosse che siamo nemici giurati e che ti piacerebbe rubarmi la mia unica ragione di vita, penso che mi andresti a genio».

«Forse, se non fossi un vampiro disgustoso che ha in programma di succhiare la vita alla ragazza che amo... be’, no, nemmeno in quel caso». Edward ridacchiò.

«Posso farti una domanda?», disse Edward dopo un istante.

«Perché domandare?».

«Posso sentirla soltanto se la pensi. È una storia che Bella non ha voluto raccontarmi, l’altro giorno. Qualcosa che ha a che fare con una terza moglie...».

«Cosa vuoi sapere?».

Edward non rispose e restò ad ascoltare la storia nella mente di Jacob. Sentii il suo sibilo cupo nell’oscurità.

«Cosa?», domandò ancora Jacob.

«Ma certo», disse Edward nervoso. «Certo! Avrei preferito che i vostri anziani si fossero tenuti questa storia per sé, Jacob».

«Non ti va che le sanguisughe facciano la figura dei cattivi?», scherzò Jacob. «Sai bene che lo sono. Ieri come oggi».

«Di quella parte non potrebbe interessarmi di meno. Non comprendi in quale personaggio si riconosce Bella?».

Jacob impiegò un minuto a capire. «Ah, già, la terza moglie. Okay, ci sono».

«Vuole venire anche lei nella radura. Dice di voler fare la sua parte, per quanto può». Fece un sospiro. «È uno dei motivi per cui domani voglio restare con lei. Quando vuole qualcosa a tutti i costi, diventa piuttosto inventiva».

«Be’, l’ispirazione le è venuta dal tuo fratello soldato, oltre che dalla storia».

«Nessuno era in malafede», sussurrò Edward, più conciliante.

«E la nostra piccola tregua quando finisce?», domandò Jacob. «Alle prime luci? O aspettiamo fino a dopo la battaglia?».

Ci fu una pausa, mentre i due consideravano le possibilità.

«Alle prime luci», sussurrarono assieme e poi risero sommessamente.

«Buonanotte, Jacob», mormorò Edward. «Goditi il momento». Tornò il silenzio e la tenda restò ferma per qualche minuto. Il vento sembrava aver deciso di non volerci schiacciare, in fin dei conti, e stava rinunciando a combattere. Edward sbadigliò a mezza voce. «Non intendevo in senso letterale».

«Scusa», sussurrò Jacob. «Potresti anche andartene per concederci un po’ di privacy».

«Vuoi una mano per addormentarti, Jacob?», propose Edward.

«Prova pure», disse Jacob impassibile. «Sarebbe divertente vedere chi è che scappa per primo, non trovi?».

«Non tirare troppo la corda, lupo. La mia pazienza non è infinita». Jacob sussurrò una risata. «Preferirei non spostarmi da qui per il momento, se non ti dispiace». Edward iniziò a canticchiare qualcosa a labbra chiuse, a volume più alto del solito, probabilmente nello sforzo di soffocare i pensieri di Jacob. Ma intonava la mia ninna nanna e, nonostante il disagio di fronte a quel sogno sussurrato, lasciai che i sensi mi abbandonassero per sprofondare in sogni più sensati...

Загрузка...