PARTE TERZA AL PUNTO

CAPITOLO VENTESIMO

Il nuovo dormitorio era immerso nell'oscurità, fatta eccezione per le fievoli luci spaziate regolarmente nei corridoi. Mark sfrecciò nel buio ed entrò in una delle stanze. La luce era troppo fioca per distinguere i particolari; a tutta prima riuscì soltanto a riconoscere le forme dei ragazzi addormentati sui candidi letti. Le finestre erano ombre ancora più cupe.

Mark si fermò sulla soglia, in silenzio, e attese che i suoi occhi si abituassero al buio; le forme si precisarono nell'oscurità e divennero chiazze di chiaroscuro — braccia, volti, capelli. I suoi piedi nudi non produssero nessun rumore quando si avvicinò al primo giaciglio; qui tornò a fermarsi, ma soltanto per un attimo. Il ragazzo sul giaciglio non si mosse. Lentamente Mark tolse il tappo a una bottiglia d'inchiostro fatto con succo di more e di noci, e v'immerse un pennello sottile. Aveva tenuto l'inchiostro appoggiato al proprio petto; era tiepido. Muovendosi con estrema cautela, egli si chinò sul ragazzo addormentato e rapidamente tracciò il numero 1 sulla sua guancia. Il ragazzo non si mosse.

Mark si scostò dal primo giaciglio, si avvicinò al secondo, e ancora una volta indugiò per accertarsi che il ragazzo fosse profondamente addormentato. A lui dipinse sulla guancia il numero 2.

Qualche istante dopo, lasciò la stanza e si affrettò ad entrare in quella vicina. Qui ripeté il procedimento. Se il ragazzo dormiva sullo stomaco, il volto affondato sul cuscino, Mark gli dipingeva il numero sulla mano o sul braccio. Poco prima dell'alba, Mark rimise il tappo alla bottiglia d'inchiostro e raggiunse furtivamente la propria stanza, un cubicolo grande appena quanto bastava a contenere la sua branda e alcuni scaffali sopra di essa. Mark depositò la bottiglia d'inchiostro su uno degli scaffali, senza alcun tentativo di nasconderla. Poi si sedette a gambe incrociate sul letto e attese.

Era un ragazzo di corporatura snella, con un'abbondante capigliatura scura che faceva sembrare la sua testa fin troppo larga, anche se non sgradevole all'aspetto. L'unica caratteristica sorprendente in lui erano i suoi occhi, un azzurro di una intensità e profondità indimenticabili, per chi l'avesse scrutato da vicino. Mark restò dunque seduto pazientemente, un lieve sorriso sulle labbra che si faceva più intenso, per poi svanire lentamente, e formarsi di nuovo. La luce, fuori dalla finestra, comparve sotto forma di un debole bagliore grigio, che andò rischiarandosi: era primavera e l'aria aveva una luminosità più vivida che nelle altre stagioni.

Delle voci giunsero fino a lui, e il suo sorriso decisamente si allargò. Le voci erano alte e rabbiose. Mark cominciò a ridere, e continuò fin quasi ad essere afferrato dalle convulsioni, e così lo trovarono i cinque ragazzi che, spalancata la porta, entrarono nella sua stanza. C'era così poco spazio che dovettero allinearsi a stretto contatto di gomito sul fianco della sua branda.

— Buon giorno, Uno, Due, Tre, Quattro, Cinque — disse Mark, mentre un nuovo accesso d'ilarità soffocava le sue parole. I cinque ragazzi diventarono rossi di collera, e Mark si piegò in due dal gran ridere, incapace di trattenersi.

— Dov'è? — chiese Miriam. Era entrata nella sala delle riunioni, fermandosi accanto alla porta.

Barry era a capotavola. — Siediti, Miriam — disse. — Sai che cosa ha fatto?

Miriam si sedette all'altra estremità del lungo tavolo e annuì: — Chi non lo sa? È sulla bocca di tutti, si parla soltanto di quello. — Diede un'occhiata agli altri. Erano presenti i dottori, e poi Thomas, Lawrence, Sarah… una seduta del gran consiglio al completo.

— Lui ha detto niente? — chiese.

Thomas scrollò le spalle: — Non lo ha negato.

— Ha detto perché l'ha fatto?

— Per poterli distinguere — dichiarò Barry.

Per un breve istante a Miriam parve di avvertire una sfumatura divertita nella sua voce, ma niente di simile traspariva dall'espressione del suo viso. Miriam aveva i nervi tesi per la collera, come se in qualche modo ella potesse essere considerata responsabile del ragazzo, del suo comportamento aberrante. Non era disposta ad accettare una cosa del genere, pensò rabbiosamente. Si sporse in avanti, le mani premute sulla superficie del tavolo, e chiese: — Che cosa avete intenzione di fare? Perché non lo sottoponete a un rigido controllo?

— Questa riunione è stata indetta appunto per discuterne — disse Barry. — Hai qualche suggerimento?

Miriam scosse la testa, ancora incollerita, e tutt'altro che soddisfatta. Non avrebbe neppure dovuto trovarsi lì, pensò. Il ragazzo non era nulla per lei; aveva evitato ogni contatto con lui fin dall'inizio. Invitandola a quella riunione, essi avevano creato un legame che nella realtà non esisteva. Scosse ancora una volta la testa e si lasciò andare contro lo schienale della sedia, come per separare se stessa da quel dibattito.

— Dobbiamo punirlo — disse Lawrence, dopo un attimo di silenzio. — Il solo problema è come farlo.

Come? Si chiese Barry. Non con l'isolamento: Mark ci prosperava, lo cercava ad ogni occasione. Non con lavoro extra: non aveva ancora espiato del tutto la precedente «impresa». Tre mesi prima, infatti, era entrato nelle stanze delle ragazze e aveva rimescolato con tanta diabolica abilità nastri e cinture che nessun gruppo si era più ritrovato con due oggetti dell'identica foggia e colore. C'erano volute ore per rimettere ogni cosa al suo posto; questa volta ci sarebbero volute settimane prima che quel diabolico inchiostro sparisse.

Lawrence tornò a parlare, in tono preoccupato e con un lieve cipiglio: — Dobbiamo ammettere di aver commesso un errore. Non c'è posto per lui fra noi. I ragazzi della sua età lo respingono. Non ha amici. È capriccioso e caparbio, brillante e sciocco a seconda dei momenti. Abbiamo commesso un errore, con lui. Adesso i suoi scherzi sono ancora l'espressione di una mentalità infantile, ma fra cinque anni? Fra dieci anni? Che cosa dovremo aspettarci da lui in futuro? — Aveva rivolto tutte queste domande a Barry.

— Fra cinque anni sarà sul fiume, come sai. Il nostro impegno di tenerlo a freno, anche se difficile, non durerà troppo a lungo.

Sarah si agitò leggermente sulla sedia, e Barry si voltò verso di lei. — Abbiamo scoperto che, isolandolo, non si pente di ciò che ha fatto — disse Sarah. — È intrinseco della sua natura essere un isolato, perciò la miglior punizione, per lui, sarebbe quella di non concedergli quella solitudine alla quale tiene tanto.

Barry scosse la testa: — Ne abbiamo già discusso — replicò. — Non sarebbe giusto nei confronti degli altri costringerli ad accettare la sua presenza… la presenza di un estraneo. Egli esercita un effetto disgregante fra ì suoi simili; essi non devono esser puniti insieme a lui.

— Non sono suoi simili — protestò Sarah. — Tu e i tuoi fratelli avete votato di tenerlo qui a scopo di studio, nella speranza di ricavare da lui indicazioni sul modo di addestrare gli altri a sopportare un'esistenza separata. È vostra la responsabilità di averlo accettato fra voi, di lasciare che la sua punizione sia quella di continuare a vivere tra voi, solo per consentire ai vostri occhi di studiarlo, accettando le sue nefandezze. O ammettete, altrimenti, che Lawrence ha ragione, che è stato commesso un errore, e che è meglio correggere l'errore adesso, piuttosto che consentirgli di aggravarsi ancora di più.

— Vorresti punirci per i misfatti del ragazzo? — chiese Bruce.

— Quel ragazzo non sarebbe qui se non fosse stato per te e per i tuoi fratelli — gli rinfacciò Sarah, scandendo le parole. — Se ricordi la nostra prima riunione a causa di Mark, il resto di noi votò che ci sbarazzassimo subito di lui. Noi fin dall'inizio avevamo previsto guai, e furono soltanto le vostre argomentazioni sulla sua possibile utilità che finirono per influenzarci. Se volete tenerlo, allora tenetelo con voi, sotto la vostra diretta responsabilità, lontano dagli altri ragazzi, che sono continuamente offesi da lui e dai suoi scherzi. Mark è un isolato, un'aberrazione, un perenne motivo di disordine. Queste nostre riunioni sono diventate sempre più frequenti per causa dei suoi scherzi sempre più distruttivi. Quante altre ore dovremo passare a discutere del suo comportamento?

— Sai benissimo che tu proponi una cosa impossibile — ribatté Barry, con un moto d'impazienza. — Noi per quasi tutto il tempo siamo nel laboratorio, negli alloggi dei riproduttori, nell'ospedale. Non sono posti, quelli, per un ragazzino di dieci anni.

— Allora sbarazzatevi di lui — esclamò Sarah. A sua volta si lasciò andare contro lo schienale e incrociò le braccia sul petto.

Barry fissò Miriam, che tacque, le labbra strette, come risposta. Si voltò allora verso Lawrence.

— Riesci a pensare a qualche altro modo? — gli chiese Lawrence. — Abbiamo tentato di tutto. Stamattina, quei ragazzi erano infuriati al punto da ammazzarlo. La prossima volta vi sarà senz'altro un'esplosione di violenza le cui conseguenze non oso immaginare. Hai pensato che cosa essa potrebbe causare alla nostra comunità?

Essi erano un popolo che non aveva violenza nella sua storia. Le punizioni fisiche non erano mai state prese in considerazione, poiché era impossibile far dal male a qualcuno senza, contemporaneamente, far lo stesso male agli altri. Questo non valeva per Mark, pensò all'improvviso Barry, ma non lo disse. Il pensiero di causargli del male, di provocargli un dolore fisico, gli riusciva ripugnante. Lanciò un'occhiata ai volti dei fratelli, e vi lesse la stessa confusione che provava lui. Non potevano abbandonare quel ragazzo. Essi avevano bisogno di lui. per imparare, studiandolo, in qual modo un essere umano potesse vivere da solo. La sua mente si rifiutò di pensare ancora a punizioni, a eliminazioni: dovevano studiarlo. C'erano tante cose che riguardavano gli esseri umani, e ad essi risultavano incomprensibili; Mark poteva essere la chiave che avrebbe consentito loro di capire.

Il fatto che il ragazzo fosse il figlio di Ben, che Ben e i suoi fratelli fossero stati una cosa sola, non aveva niente a che fare con ciò. Egli non sentiva alcun legame affettivo o d'altro genere verso il ragazzo, proprio nessuno. Se c'era qualcuno che avrebbe dovuto sentire un simile legame, quella era Miriam, pensò, e si voltò a fissarla, alla ricerca di un segno, di un'indicazione qualsiasi che ella provasse qualcosa. Ma il suo volto era di pietra, gli occhi di lei evitarono il suo sguardo. Troppo rigida, pensò Barry. Troppo fredda.

Ma se era così, pensò con lucida obiettività, come se stesse riflettendo su un esperimento con del materiale privo di sensibilità, allora sarebbe stato davvero un errore continuare a tenere con loro il ragazzo. Se Mark aveva il potere di ferire i sentimenti sia delle sorelle Miriam che dei fratelli Barry, allora sarebbe stato un errore. Era impensabile che un estraneo potesse in qualche modo infiltrarsi in loro, e tormentare le antiche ferite fino a farle tornar nuove, con conseguenze ancora più distruttive.

— Forse potremmo farcela a tenerlo con noi — esclamò Bob all'improvviso. — Ci sono dei rischi, naturalmente, ma riusciremo a tenerlo a freno. Fra quattro anni — continuò, guardando Sarah, — verrà mandato fuori, con gli addetti alle strade, e da quel momento non costituirà più una minaccia per nessuno di noi. E, d'altra parte, avremo ancora bisogno di lui quando cominceremo a uscire dalla valle, per trovare le città. Lui può esplorare e scoprire i sentieri, sopravvivere da solo nel bosco, senza il pericolo di un tracollo mentale a causa della separazione. Avremo bisogno di lui.

Sarah annuì: — Ma se dovesse rendersi necessaria un'altra riunione come questa, a causa di Mark, possiamo accordarci fin d'ora che sarà l'ultima?

I fratelli Barry si scambiarono un'occhiata, poi annuirono, sia pure con riluttanza, e Barry parlò per tutti: — D'accordo. O lo domeremo, o ci sbarazzeremo di lui.

Il gruppo dei dottori ritornò nello studio di Barry, dove Mark li stava aspettando. Era in piedi accanto alla finestra, una piccola figura scura sullo sfondo del vivido bagliore del sole. Si girò di scatto a fissarli, e il suo viso sembrò scomparire, circondato dall'intensa aureola dei capelli rosso dorati.

— Che cosa farete di me? — chiese. La sua voce risuonò tranquilla.

— Vieni a sederti qui — gli disse Barry, prendendo posto dietro alla scrivania.

Il ragazzo attraversò la stanza e prese posto su una sedia, appollaiandosi sull'orlo, come se fosse pronto a saltar giù e a fuggir via.

— Rilassati — gli disse Bob, e si sedette a sua volta sull'orlo della scrivania. Con i cinque fratelli tutti presenti, la stanza sembrò all'improvviso molto affollata. Il ragazzo passò il suo sguardo dall'uno all'altro, e alla fine rivolse la sua attenzione a Barry, limitandosi però a fissarlo interrogativamente in silenzio.

Barry gli parlò della riunione appena conclusa, e parlandogli l'osservò, dicendo a se stesso che in Mark c'era un po' di Ben e un po' di Molly, mentre per il resto era andato nel lontano passato, ripescando qua e là nella grande riserva dei geni familiari, ed era perciò diverso da chiunque altro nella valle.

Mark lo ascoltò intento, così come faceva alle lezioni, quand'era interessato. Comprese tutto, e subito.

— Perché pensano che ciò che ho fatto sia così terribile? — chiese, quando infine Barry tacque.

Barry guardò i suoi fratelli, con espressione d'impotenza. Così sarebbe stato, inevitabilmente, sempre, voleva dir loro. Nessun terreno comune per una reciproca comprensione. Mark era alieno sotto ogni aspetto.

Improvvisamente, Mark chiese: — Come posso distinguervi?

— Non c'è alcun bisogno che tu cerchi di distinguerci — replicò Barry, con fermezza.

Allora Mark si alzò in piedi: — Devo andare a prendere la mia roba e portarla qui da voi?

— Sì. Fallo adesso, mentre gli altri sono a scuola. E torna subito qui.

Mark annuì. Giunto alla porta, indugiò, nuovamente fissò ciascuno di loro, uno alla volta, e disse: — Magari soltanto un piccolo, minuscolo segno colorato, sulla punta delle orecchie, o qualcosa di simile…?

Aprì la porta e si precipitò fuori, ed essi l'udirono che rideva mentre si allontanava correndo lungo il corridoio.

CAPITOLO VENTUNESIMO

Barry alzò gli occhi e fece girare lo sguardo per l'intera aula: vide Mark in fondo. Aveva un'aria sonnolenta e annoiata. Barry scrollò le spalle; che si annoiasse pure. Tre dei fratelli stavano lavorando nei laboratori, e il quarto era occupato negli alloggi delle riproduttrici. Quindi, per Mark, restava disponibile soltanto lui, Barry, e la lezione. Se la sarebbe dovuta sorbire tutta, anche se la noia l'avesse ucciso.

— Il problema che abbiamo sollevato ieri, se ricordate — riprese Barry, dopo una rapida occhiata ai suoi appunti, — è che non siamo ancora riusciti a scoprire le cause del declino dei ceppi di cloni dopo la quarta generazione. Finora, l'unico modo che abbiamo avuto di aggirare questo problema è consistito nel continuo rifornimento dei nostri stock tramite i bambini riprodotti sessualmente, che vengono clonati prima del terzo mese in utero. In questo modo siamo stati in grado di mantenere a un livello soddisfacente il numero delle nostre famiglie di fratelli e sorelle, ma bisogna ammettere che questa non è la soluzione ideale. Qualcuno sa dirmi quali sono gli svantaggi più ovvi di questo sistema? — Tacque, guardandosi intorno. — Karen?

— C'è una leggera differenza tra i bambini clonati in laboratorio e quelli nati da madri umane. C'è l'influenza prenatale e inoltre il trauma del parto, che in qualche modo alterano il bambino riprodotto sessualmente.

— Molto bene — annuì Barry. — Qualcuno ha commenti od osservazioni da fare?

— All'inizio si aspettava che un bambino avesse due anni, prima di clonarlo — disse Stuart. — Ora questo non viene fatto più, e ciò rende la famiglia unita come se fossero tutti cloni.

Barry tornò ad annuire, e poi invitò Carl a parlare, con un cenno.

— Se il bambino umano ha un difetto di nascita, causatogli da un trauma al momento del parto, è possibile distruggerlo, ma gli altri bambini clonati da esso saranno perfettamente a posto.

— Questo non si può certo definire uno svantaggio — commentò Barry, sorridendo. In risposta, un fremito di divertimento sembrò attraversare l'intera classe.

Barry attese che fosse ritornata la calma, poi riprese: — Il bagaglio genetico è imprevedibile, il suo passato è sconosciuto, i suoi costituenti così vari che, se il processo non viene attentamente controllato, c'è sempre il pericolo di produrre caratteristiche non volute. E il pericolo ancora più grave di perdere talenti troppo importanti per la nostra comunità. — Lasciò loro qualche istante perché afferrassero questo concetto, poi continuò: — L'unico metodo per assicurarci il nostro futuro, di assicurarci la continuità, è attraverso il perfezionamento del processo di clonazione, e per questa ragione abbiamo bisogno di ampliare i nostri esperimenti, le nostre ricerche, localizzando nuove fonti di materiale per sostituire ciò che si sta consumando, equipaggiando nuovi laboratori. E non basta localizzare nuove fonti di materiale, ma è indispensabile garantirci un collegamento sicuro con esse.

Qualcuno alzò la mano. Barry l'invitò a parlare con un cenno del capo. — E se non riusciremo a trovare una quantità sufficiente di apparecchiature funzionanti in tempo utile?

— In tal caso dovremo far ricorso al trapianto in un utero umano dei feti clonati. L'abbiamo già sperimentato in un certo numero di casi, abbiamo messo a punto la tecnica, ma sarebbe uno spreco delle nostre poche risorse umane, e se dovessimo utilizzare le nostre riproduttrici in questo modo, sarebbe necessario revisionare drasticamente, e a tutto nostro svantaggio, i tempi di lavoro. — Scrutò in silenzio la classe, poi riprese: — La nostra meta è eliminare del tutto la necessità di riproduzione sessuale. Poi saremo in grado di pianificare il nostro futuro. Se ci serviranno costruttori di strade, potremo clonarne cinquanta o cento a questo scopo, addestrandoli fin dall'infanzia e mandandoli poi fuori, al loro destino. Potremo clonare costruttori di barche e marinai, e inviarli lungo il fiume, fino al mare, a individuare i punti dove proliferano i pesci, e le vie da essi percorse… i pesci scoperti dai nostri primi esploratori nel Potomac. Cento agricoltori, per dare il cambio a quelli che preferiscono lavorare con le provette invece che zappare lungo i filari di carote.

Un nuovo fremito d'ilarità attraversò gli studenti. Anche Barry sorrise: senza eccezione alcuna, ognuno di loro faceva il suo turno di lavoro nei campi.

— Per la prima volta da quando l'uomo ha compiuto i primi passi sulla terra — egli concluse, — non ci saranno più disadattati.

— E neppure genii — commentò pigramente una voce. Barry guardò istintivamente in fondo alla classe e vide Mark ancora stravaccato sulla sua sedia, i suoi occhi azzurri, luminosi, che lo fissavano lievemente beffardi. Deliberatamente, Mark strizzò l'occhio a Barry, poi li chiuse ambedue e in apparenza riprese a dormire.


— Vi racconterò una storia, se volete — disse Mark. Era in piedi nella corsia tra due file di tre letti ciascuna. I fratelli Carver erano stati colpiti simultaneamente dall'appendicite. Sei volti identici lo fissarono, da entrambi i lati, poi uno di essi annuì. Avevano tredici anni.

— Una volta c'era un woji — cominciò Mark, avvicinandosi alla finestra. Qui si sedette incrociando le gambe, voltando le spalle alla luce del sole.

— Che cos'è un woji?

— Se m'interromperete con le vostre domande, non vi racconterò più niente — disse Mark. — Capirete che cos'è un woji a mano a mano che la storia andrà avanti. Questo woji viveva nelle profondità del bosco, e ogni anno, quando arrivava l'inverno, egli gelava fin quasi a morire. Ciò era dovuto al fatto che le piogge gelide lo inzuppavano e la neve lo copriva tutto, e per di più non aveva niente da mangiare perché tutte le foglie erano cadute, e lui si cibava di foglie. Un anno ebbe un'idea, andò da un grande abete rosso e gli disse la sua idea. Sulle prime l'abete rosso non volle neppure prendere in considerazione il suo suggerimento. Tuttavia il woji non se ne andò: restò lì a ripetere all'abete rosso la sua idea, e alla fine l'abete rosso pensò: che cosa aveva, lui, da perdere? Perché non provare? Perciò l'abete rosso disse al woji che facesse pure. Per giorni e giorni il woji si affaccendò con le foglie, arrotolandole strettamente e dandogli la forma di aghi. Usò alcuni di questi aghi per cucirle saldamente ai rami dell'albero. Poi salì in cima all'abete rosso e gridò al vento gelido, gli rise in faccia e gli disse che adesso non avrebbe più potuto fargli del male, perché lui aveva una casa e del cibo per tutto l'inverno.

«Gli altri alberi lo udirono e risero, e cominciarono a raccontarsi l'un l'altro la storia del piccolo, pazzo woji, che gridava al vento gelido, e finalmente anche l'ultimo albero lo seppe, là dove avevano appunto inizio il bosco e il suo mantello di neve. Quell'ultimo, o primo, albero era un acero, e rise facendo fremere violentemente tutte le sue foglie. Il vento gelido lo udì ridere e accorse soffiando, scatenandosi come una furia e scagliando ghiaccioli da ogni parte, e volle sapere che cosa mai ci fosse di così divertente. L'acero raccontò al vento gelido di quel piccolo, pazzo woji che aveva sfidato il suo potere di strappare le foglie agli alberi, e il vento gelido divenne sempre più furioso. Soffiò sempre più forte. Le foglie dell'acero divennero rosse e poi dorate per la paura, e infine caddero al suolo, e l'albero restò nudo, esposto al vento. Il vento gelido soffiò verso sud e anche gli altri alberi rabbrividirono e lasciarono cadere le loro foglie.

«Infine il vento gelido raggiunse l'abete rosso e urlò al woji di uscir fuori. Il woji si rifiutò. Era nascosto nel folto degli aghi dell'abete, dove il vento gelido non poteva né vederlo né toccarlo. Il vento soffiò con maggior forza e l'abete rabbrividì, ma i suoi aghi resistettero e non cambiarono affatto colore. Ora il vento gelido chiamò in aiuto la pioggia gelida, e l'abete rosso fu coperto di ghiaccioli; ma gli aghi non mollarono e il woji restò caldo e asciutto. Allora il vento gelido s'infuriò ancora di più e chiamò in aiuto la neve, e nevicò sempre più fitto, fino a quando l'abete sembrò una montagna di neve, ma all'interno di essa il woji era sempre al caldo e contento, accanto al tronco dell'albero, e quando l'albero si scrollò di dosso, con un rapido movimento, tutta la neve, il woji seppe che il vento gelido non avrebbe più potuto fargli del male.

«Il vento gelido ululò intorno all'albero per tutto l'inverno, ma gli aghi tennero duro, e il woji se ne stette comodo al caldo, e se di tanto in tanto sgranocchiava un ago, l'albero glielo perdonava, poiché gli aveva insegnato a non aver paura e a non cambiar colore, e a non soffrire senza ribellarsi per tutto l'inverno al vento gelido soltanto perché era questo che tutti gli altri alberi facevano. Quando venne la primavera gli altri alberi pregarono il woji di cambiare in aghi anche le loro foglie, e il woji finì per acconsentire. Ed è per questo che gli alberi sempreverdi sono sempreverdi.

— È tutto qui? — chiese uno dei fratelli Carver.

Mark annuì.

— Che cos'è un woji? Tu ci avevi detto che l'avremmo saputo, una volta finita la storia.

— È la creatura che vive tra i rami degli abeti rossi — sogghignò Mark. — È invisibile, ma a volte lo potete sentire. Di solito, ride. — Si alzò dalla sedia. — Devo andare — e si affrettò verso la porta.

— Non esiste una creatura del genere! — gridò uno dei fratelli.

Mark aprì la porta e guardò fuori con cautela. Lui non avrebbe dovuto essere lì. Poi si guardò alle spalle e chiese ai fratelli: — Come fate a sapere che non esiste? Siete forse stati là fuori, nel bosco, a sentirlo quando ride? — E, detto questo, si allontanò in fretta prima che comparissero un dottore o un'infermiera.


Un mattino, prima dell'alba, verso la fine di maggio, le famiglie si radunarono ancora una volta nei pressi della banchina per assistere alla partenza di sei barche e di altrettanti equipaggi di fratelli e sorelle. Questa volta non c'era allegria, non c'era stata alcuna festa, la sera prima. Barry era lì, accanto a Lewis, ed assisteva agli ultimi preparativi. Entrambi erano silenziosi.

Ora non era più possibile tergiversare, Barry lo sapeva bene. Dovevano assolutamente procurarsi le scorte che si trovavano nelle grandi città, oppure morire. Quella era l'alternativa alla quale si trovavano di fronte, le perdite erano state troppo alte, e lui non conosceva alcun modo per ridurle. Lo speciale addestramento messo a punto per gli esploratori era servito, sì, a qualcosa, ma non abbastanza. Inviare gruppi sempre più numerosi di fratelli e sorelle era anch'esso servito, ma non abbastanza. Durante i quattro viaggi finora compiuti giù per il fiume avevano perduto complessivamente ventidue persone, e altre ventiquattro erano state colpite duramente dalla prova, forse in modo permanente, e attraverso loro anche le rispettive famiglie. Questa volta, sarebbero partiti in trentasei. Sarebbero stati via fino alle prime gelate, oppure fino a quando le acque del fiume non avessero iniziato la loro abituale crescita autunnale: il primo di questi due eventi a verificarsi, qualunque fosse stato, sarebbe stato il segnale del ritorno.

Certuni di loro avrebbero dovuto scavare una strada di facile passaggio che consentisse di superare agevolmente le cascate, altri un canale che stabilisse una scorciatoia tra il Potomac e lo Shenandoah, evitando il tratto di acque tumultuose che fino ad oggi avevano dovuto affrontare con grave rischio, specialmente con gli elementi naturali scatenati. Due gruppi avrebbero compiuto numerosi viaggi avanti e indietro dalla zona delle cascate fino a Washington, e viceversa, trasportando fuori dai depositi le abbondanti scorte che avevano trovato l'anno prima. Un gruppo avrebbe pattugliato il fiume, cartografando le rapide, i nuovi canali e le nuove secche che le acque turbinanti ogni anno capricciosamente alteravano, qui scavando, là ammucchiando argini temporanei. Quanti di loro sarebbero ritornati questa volta? si chiese Barry. Questa spedizione così numerosa sarebbe rimasta fuori assai più a lungo delle precedenti, e con dei compiti assai più faticosi e rischiosi. Quanti?

— Sarà di grande aiuto poter disporre di un vero e proprio edificio in vicinanza delle cascate — osservò all'improvviso Lewis. — La cosa peggiore, laggiù, è sempre stata sentirsi così scoperti… indifesi.

Barry annuì: era quello che tutti avevano riferito: essi si sentivano esposti, osservati. Sentivano che il mondo premeva su di loro, che gli alberi si facevano più vicini non appena il sole calava. Egli rivolse un'occhiata a Lewis, dimenticò quello che aveva cominciato a dire, fissando invece un tic che gli era comparso all'angolo della bocca. Lewis stava stringendo i pugni; fissò le barche che svanivano in distanza, il tic diminuì d'intensità e svanì, ricomparve per un attimo, poi svanì definitivamente.

— Ti senti bene? — gli chiese Barry. Lewis si riscosse e distolse lo sguardo dal fiume. — Lewis? C'è qualcosa che non va?

— No. Ci vediamo dopo. — Lewis si allontanò a grandi passi.


— Qualcosa, nel fatto di trovarsi in mezzo al bosco, specialmente al buio, ha un effetto traumatico — disse più tardi Barry ai suoi fratelli. Erano nel loro dormitorio; all'estremità opposta, lontano da loro, sedeva Mark, che li osservava seduto a gambe incrociate su una branda. Barry lo ignorò. Si erano talmente abituati alla sua presenza che raramente lo notavano, a meno che non s'intrufolasse fra loro. Si accorgevano più facilmente se spariva, come accadeva di frequente.

I fratelli attesero. Era una cosa ben nota la paura dei boschi silenziosi.

— Nell'addestrare i bambini a quelli che saranno i loro ruoli futuri, dovremo prevedere anche una permanenza nel bosco, da soli, per lunghi periodi di tempo. Potrebbero cominciare con un pomeriggio, alla luce de! giorno, per poi passare a una spedizione notturna, un campeggio, e così via, fino a restar fuori per parecchie settimane di seguito.

Bruce scosse la testa: — E se l'influenza fosse talmente sfavorevole al punto da non poter più partecipare a nessuna spedizione? In tal modo andrebbero perduti dieci anni di duro lavoro.

— Potremmo intanto iniziare con un campione ristretto — disse Barry. — Due soli gruppi, uno maschile e uno femminile. Se si mostreranno troppo angosciati dopo la prima prova, potremo rallentare il programma, o addirittura rinviarlo fino a quando non avranno uno o due anni di più. Dovranno comunque uscire là fuori, prima o poi. Tocca a noi, se possibile, rendergli l'esperienza meno traumatica.

Essi non limitavano più a sei cloni per gruppo, ma avevano portato il numero a dieci. — Abbiamo ottanta bambini di quasi undici anni — disse Bruce. — Fra quattro anni saranno pronti. Se le statistiche saranno confermate, perderemo i due quinti di essi nei primi quattro mesi di lontananza, a causa d'incidenti o dello stress psicologico. Credo che valga la pena di tentare di condizionarli a vivere nei boschi, e separatamente, prima di allora.

— Devono avere qualcuno che li controlli da vicino — esclamò Bob. — Uno di noi.

— Siamo troppo vecchi — ribatté Bruce con una smorfia. — E inoltre sappiamo di essere suscettibili agli stessi stress psicologici. Ricordatevi di Ben.

— Esattamente — disse Bob. — Siamo troppo vecchi perché la nostra presenza, qui, faccia molta differenza. I nostri fratelli più giovani ci stanno sostituendo nelle nostre funzioni ogni giorno di più, e i loro fratelli più piccoli sono pronti a prendere il loro posto, quand'è necessario. Noi siamo sacrificabili — concluse.

— Ha ragione — ammise Barry, sia pure riluttante. — È il nostro esperimento, ed è nostro dovere condurlo fino in fondo. Tiriamo a sorte?

— Faremo a turno — disse Bruce. — Ognuno di noi avrà modo di provarcisi, prima che sia finito.

— Posso venire anch'io? — chiese Mark all'improvviso, e tutti si voltarono a guardarlo.

— No — rispose brusco Barry. — Sappiamo già che a te il bosco non fa alcun male. E non vogliamo che qualcosa vada storto con questo esperimento a causa dei tuoi scherzi e delle tue bravate.

— Allora vi perderete! — urlò Mark. Balzò giù dalla sua branda e corse fino alla porta, dove si fermò un attimo per gridare ancora: — Vi troverete in mezzo al bosco con un branco di bambini in lacrime, impazzirete tutti e il woji morirà dal gran ridere per la vostra stupidaggine!

Una settimana dopo Bob condusse il primo gruppo di ragazzetti su per il bosco dalla parte alta della valle. Ognuno reggeva un piccolo zaino con dentro il pranzo. Indossavano calzoni pesanti con camicie e stivali. Nel vederli partire, Barry non riuscì a liberarsi dal pensiero che avrebbe dovuto essere lui il primo a compiere il tentativo. Sua l'idea, suo il rischio. Scosse la testa, rabbioso: quale rischio? Andavano a fare una camminata nel bosco. Avrebbero consumato il loro pasto, quindi avrebbero fatto marcia indietro e sarebbero ridiscesi. Colse lo sguardo di Mark: per un istante si fissarono in silenzio, l'uomo e il ragazzo, curiosamente simili, eppure così distanti l'uno dall'altro da rendere impossibile qualunque affinità.

Mark distolse infine lo sguardo e lo riportò sui ragazzi che stavano salendo con passo regolare il pendio, avvicinandosi là dove la vegetazione si stava facendo più densa. Ben presto furono invisibili tra gli alberi.

— Si smarriranno — disse Mark.

Bruce scrollò le spalle. — Non in un'ora o due soltanto. A mezzogiorno mangeranno, faranno dietro-front e torneranno indietro.

Il cielo era azzurro cupo con sbuffi di nuvole bianche e un velo altissimo di cirri che sembrava avvolgerlo da un orizzonte all'altro. Entro due ore sarebbe stato mezzogiorno.

Mark scosse cocciutamente la testa, ma non disse altro. Tornò in classe, poi si recò alla mensa per il pranzo. Dopo, nel primo pomeriggio, avrebbe dovuto lavorare nell'orto per due ore. Era lì quando Barry lo mandò a chiamare.

— Non sono ancora tornati — disse Barry, non appena Mark entrò nel suo studio. — Perché eri così sicuro che si sarebbero persi?

— Perché non capiscono il bosco — replicò Mark. — Non vedono le cose.

— Quali cose?

Mark scrollò le spalle con un gesto d'impotenza. — Le cose — ripeté. Il suo sguardo passò dall'uno all'altro fratello, poi scrollò nuovamente le spalle.

— Riusciresti a trovarli? — gli chiese Bruce. La sua voce suonò aspra; profonde rughe gli solcavano il viso.

— Sì.

— Andiamo — disse Barry.

— Noi due? — chiese Mark.

— Sì.

Mark sembrò dubbioso. — Potrei farcela prima da solo — disse.

Barry avvertì l'inizio di un brivido, e si allontanò dalla scrivania con un movimento brusco. Ora si controllava rigidamente. — Non da solo — ribatté. — Voglio che tu mi mostri queste cose che vedi, come riesci a trovare la strada dove non c'è alcun sentiero. Andiamo, prima che si faccia ancora più tardi. — Fissò il ragazzo, la sua corta tunica e i piedi scalzi.

— Vai a cambiarti — gli disse.

— Questo va benissimo, per lassù — ribatté Mark. — Non c'è niente sotto gli alberi, lassù.

Barry continuò a pensare alle sue parole, mentre si dirigevano verso il bosco. Guardò il ragazzo, ora davanti a lui, ora al suo fianco, che inspirava l'aria, felice, come se il bosco silenzioso e oscuro fosse la sua casa.

Salirono in fretta lungo il pendio e ben presto furono nel folto della foresta, dove gli alberi avevano raggiunto la piena maturità e creato un tetto che, compatto sopra le loro teste, sbarrava completamente il passaggio al sole. Niente ombre, nessun modo di riconoscere la giusta direzione, pensò Barry, respirando a fatica mentre si sforzava di tenere il passo di quell'agile ragazzo. Mark non esitava mai, non si fermava mai, ma si muoveva sicuro, senza esitazioni, senza che Barry potesse mai dire quali tracce avesse trovato, e come facesse a capire che doveva dirìgersi verso una data direzione e non verso quella opposta. Avrebbe voluto chiederglielo, ma il fiato gli bastava a stento per arrampicarsi. Sudava, e gli sembrava che i suoi piedi fossero di piombo mentre seguiva il ragazzo.

— Riposiamoci un minuto — disse infine, ansante. — Mostrami almeno un segno che sono veramente passati di qua.

Mark sembrò sorpreso da questa domanda: — Tutto dimostra che sono passati di qua — disse. Indicò l'albero sul quale Barry si era appoggiato: — Quello è un albero di noci amare… vedi? Ecco le noci. — Rimosse uno strato di terriccio e mise allo scoperto parecchie noci, mezze marcite. — I ragazzi ne hanno trovata qualcuna, ma quando hanno visto che non erano commestibili, le hanno buttate via, qua, vedi? E questo germoglio — lo indicò a Barry con la mano, — qualcuno l'ha piegato col suo peso fino a terra, e non si è ancora raddrizzato. E le impronte dei loro piedi hanno lasciato i segni sul terreno e sulle foglie che ricoprono il suolo. È come se fosse tutto scritto: per di qua… e per di qua.

Barry riusciva a distinguere i segni, quando Mark glieli indicava, ma bastava che girasse la testa e guardasse altrove, e gli sembrava di vedere altre impronte di piedi, dappertutto.

— No — gli spiegò Mark. — Quella è stata l'acqua. Sono i solchi di scorrimento quando la neve si è sciolta. È diverso.

— Come hai imparato tutte queste cose sul bosco? Molly?

Mark annuì. — Ella non avrebbe mai potuto smarrirsi. Non poteva dimenticare l'aspetto che avevano le cose, e se le vedeva un'altra volta, allora sapeva il punto esatto dove si trovava. E l'ha insegnato anche a me. Oppure anch'io sono nato con questo dono, e lei mi ha insegnato a usarlo. Neppure io posso smarrirmi.

— Puoi insegnarlo ad altri?

— Credo di sì. Ora che l'ho fatto vedere a te, tu potresti farmi da guida, non è vero? — Si era girato e si era messo a scrutare il folto. Poi tornò a voltarsi verso Barry. — Sai da che parte andare, non è vero?

Barry si guardò attentamente intorno. Riconobbe le impronte dei piedi sul sentiero che avevano appena percorso, là dove Mark gliele aveva appena fatte notare. Vide il solco scavato dall'acqua. E poi si affannò a cercare qualche segno della strada che ora avrebbero dovuto seguire. Ma non vide nulla, per quanto aguzzasse gli occhi. Tornò a guardare Mark, il quale stava sogghignando. — No — disse — non so da che parte andare, neppure adesso.

Mark scoppiò a ridere: — Perché il terreno è roccioso — esclamò. — Vieni. — Si rimise in moto, questa volta tenendosi sull'orlo di una pista rocciosa.

— Ma come fai a sapere che sono passati di qui? — chiese Barry. — Non c'è traccia di loro fra le rocce.

— Perché non c'è alcun segno di loro da nessun'altra parte. Quindi, devono per forza esser passati sopra le rocce… Ecco! — Indicò qualcosa, e c'era un altro alberello piegato, questo però era più robusto, le radici più profonde. — Qualcuno l'ha piegato in basso, e poi l'ha lasciato rimbalzare all'insù. Probabilmente è stato più d'uno a farlo, poiché non si è ancora del tutto raddrizzato. E qui, vedi?, vi sono numerosi frammenti di roccia smossi a calci.

La pista rocciosa continuò a scendere e diventò il letto di un fiumiciattolo. Mark ne osservò attentamente i bordi, e ben presto tornò a voltarsi verso Barry, mostrandogli altre tracce di piedi lungo il cammino. Il bosco si era fatto più folto, l'oscurità ancora più fitta. Una compatta distesa di alberi sempreverdi copriva il pendio che avevano cominciato a scendere: a volte furono costretti ad avanzare serpeggiando fra i rami di abete che s'intrecciavano gli uni agli altri per lunghi tratti. Il suolo era bruno, reso elastico dalla lenta, continua caduta di aghi, una generazione dopo l'altra.

Barry si sorprese a trattenere il fiato per non turbare il silenzio dell'immensa foresta, e comprese infine perché gli altri avevano parlato di una presenza, di qualcosa che sembrava osservarli mentre si muovevano nel folto della vegetazione. Il silenzio era così profondo che sembrava d'essere immersi in un mondo di sogno, in cui le bocche continuavano ad aprirsi e a chiudersi senza emettere alcun suono, dove gli strumenti dei musicisti non avrebbero potuto emettere alcuna nota. Qui, chiunque si fosse messo a urlare, sarebbe giunto a lacerarsi i polmoni senza far udire intorno a sé il più sottile lamento. E alle sue spalle Barry percepiva gli alberi che si chiudevano sempre più su di lui.

Poi, all'improvviso, come se la cosa fosse andata maturando da lungo tempo ed egli ne fosse diventato consapevole solo adesso, scoprì che stava ascoltando qualcosa sopra e oltre il silenzio, qualcosa… come una voce o più voci che si fondevano in bisbigli troppo lontani perché fosse possibile intendere le parole. Come Molly, pensò lui, e un brivido di paura l'attraversò. Le voci cessarono. Mark si era fermato e si stava nuovamente guardando intorno.

— Qui sono tornati indietro — disse. — Devono aver consumato il loro pasto lassù ed essersi rimessi in viaggio verso casa, ma qui si sono smarriti. Vedi, sono passati troppo oltre, deviando senza accorgersene, e si sono allontanati sempre più dalla strada percorsa all'andata.

Barry non riuscì a veder nulla che indicasse che veramente avevano fatto tutto questo, e si rese conto ancora di più di essere impotente in quell'oscura foresta: lui avrebbe potuto soltanto seguire il ragazzo, dovunque questi lo avesse condotto.

Ripresero dunque a seguire il pendio, gli abeti si diradarono e si trovarono davanti a un ruscello bordato da due file di pioppi tremuli.

— Ci sarebbe quasi da pensare che non l'avessero mai visto prima — disse, in tono disgustato. Ora aveva preso ad avanzare più in fretta. Poi si arrestò, un fugace sorriso aleggiò sul suo viso, per poi lasciare il posto a un'espressione preoccupata. — Qui qualcuno di loro si è messo a correre — indicò. — Aspettami qui, ora andrò a vedere se si sono nuovamente riuniti più avanti, o se invece qualcuno di loro preso dal panico, si è precipitato di corsa fra gli alberi, rimanendo isolato.

Letteralmente svanì nel folto, prima ancora di aver finito di parlare, e Berry si lasciò cadere al suolo, in attesa di vederlo ricomparire. Le voci ripresero quasi all'istante. Barry fissò gli alberi che apparivano immobili, e si rese conto che era il vento, in alto, ad agitare le loro cime, producendo quei suoni simili a bisbigli. Nonostante ciò, si sforzò ancora, più volte, di percepire le parole… L'istinto era più forte di lui, e allora schiacciò la testa fra le ginocchia, tentando d'imporre alle voci il silenzio.

Le gambe gli tremavano, e sentì il caldo farsi sempre più soffocante. Poteva sentire i rivoli di sudore che gli colavano lungo la schiena. Si piegò ancora di più in avanti, cosicché la camicia gli aderì alle spalle, assorbendo il sudore. Si era reso conto, ormai, che non avrebbero mai potuto mandar fuori la loro gente a vivere nella foresta. Quello era un ambiente ostile, permeato da uno spirito malefico che li avrebbe soffocati, sconvolgendo le loro menti… un ambiente che li avrebbe uccisi.

Sentì la presenza che premeva su di lui farsi sempre più ossessiva, insopportabilmente vicina. Sentì che la presenza lo toccava… Si alzò di scatto e si precipitò nella direzione presa da Mark.

CAPITOLO VENTIDUESIMO

Barry sentì di nuovo delle voci, ma questa volta erano vere voci, voci di ragazzi: e aspettò.

— Bob, stai bene? — gridò, quando suo fratello comparve. Bob era sporco di fango dalla testa ai piedi, perfino il suo viso era macchiato di terriccio; annuì e salutò Barry con un cenno della mano, respirando a fatica.

— Stavano risalendo verso la cima del colle — disse Mark, comparso all'improvviso accanto a Barry. Era arrivato da una direzione diversa, invisibile fino all'istante in cui aveva parlato.

Ora i ragazzi si stavano spargendo lì intorno; avevano un aspetto peggiore perfino di quello di Bob. Qualcuno chiaramente aveva pianto. Proprio come Mark aveva previsto, pensò Barry.

— Pensavamo che, arrampicandoci più in alto, avremmo potuto vedere dove ci trovavamo — spiegò Bob, fissando istintivamente Mark, quasi a cercare la sua approvazione. Mark scosse lentamente la testa: — Bisogna andare verso il basso, seguire un ruscello, se non si sa dove ci si trova — replicò. — Questo sboccherà in un ruscello più grande, e prima o poi si arriverà al fiume. Seguendo il fiume, è facile vedere dove stai andando, e ritornare a casa.

I ragazzi guardavano Mark con aperta ammirazione: — E tu sai come ritornare a casa? — chiese uno di loro.

Mark annuì.

— Per prima cosa, adesso riposate per qualche minuto — intervenne Barry. Ora le voci erano scomparse, e il bosco era soltanto un bosco, buio e disabitato.

Mark li condusse giù in fretta, non lungo la via per la quale erano saliti, e neppure lungo la via che aveva seguito per raggiungerli, ma per una terza via, più diretta, che in meno di mezz'ora li portò a vedere la valle dall'alto, e la strada per ritornare, appunto, a casa.

— È stato un errore rischiare così la loro vita! — esclamò Lawrence, rabbioso. Era la prima riunione del consiglio, dopo l'avventura nella foresta.

— Ma è necessario insegnargli a vivere nel bosco! — ribatté Barry.

— Non dovranno mai vivere nel bosco. La cosa migliore che possiamo fare, col bosco, è sradicarlo, il più presto possibile. Laggiù, alle cascate, libereremo un ampio tratto dagli alberi, così potranno vivere, negli edifici che costuiremo per loro, allo stesso modo in cui vivono qui, in una distesa aperta, sotto il cielo libero.

— Non appena ti allontani di qui, da questi campi, da questi orti — disse Barry, — il bosco si fa sentire. Tutti hanno riferito di aver provato lo stesso terrore, la sensazione di essere accerchiati dagli alberi, di essere minacciati da loro.

— Non vivranno mai nei boschi — dichiarò Lawrence in tono definitivo. — Creeremo tutta una serie di ampie radure lungo il fiume. Essi dormiranno negli edifici costruiti in queste radure, e quando viaggeranno, andranno in barca, da una radura all'altra, e il bosco sarà sempre tenuto a distanza… dovrà essere tenuto a distanza. — Batté i pugni sul tavolo per sottolineare le sue ultime parole.

Barry fissò Lawrence con amarezza: — I nostri laboratori, nelle attuali condizioni, potranno funzionare per altri cinque anni al massimo… Cinque anni, Lawrence! Abbiamo quasi novecento persone nella valle, in questo momento. La maggior parte di loro sono ragazzi, che vengono addestrati a trovare viveri per noi, e tutti quei materiali, quelle attrezzature, che ci sono indispensabili per sopravvivere. E non li troveranno sulle rive dei tuoi fiumi addomesticati! Dovranno fare spedizioni fino al New Jersey, a New York, a Filadelfia. E chi andrà, prima di loro, a disboscare le rive per creare quelle radure di cui tu parli? Lawrence, o riusciremo ad addestrare quei ragazzi ad affrontare il bosco, oppure sarà la morte per tutti noi!

— È stato un errore compiere questo tentativo! — ribatté Lawrence. — Un tentativo prematuro! Perché impegnarci in questa storia, far affrontare un così grave pericolo, prima di sapere se esiste veramente nelle città qualcosa di utile per noi, qualcosa che è possibile trasportare quassù nella valle?

Barry replicò: — Non puoi pretendere di aver tutte e due le cose, subito. Abbiamo deciso di rischiare perché, ogni anno che aspettiamo, meno troveremo da raccogliere, utile per noi, nelle città. Dobbiamo salvare quanto più possiamo. Senza ciò che possono darci le città moriremo lo stesso, forse quelli che sono destinati a perire nel corso dei viaggi e delle esplorazioni vivranno più a lungo, qui nella valle, ma alla fine saranno anch'essi destinati a morire, in una lunga agonia. Noi non possiamo sperare di sopravvivere, qui, senza gli strumenti, le attrezzature che si trovano nelle città. Ci siamo impegnati a seguire questa via, e ora dobbiamo fare del nostro meglio per garantirci che questi ragazzi siano preparati nel modo più efficace a sopravvivere, quando li manderemo fuori!

Cinque anni, pensò lui, era tutto ciò di cui disponevano. Cinque anni per trovare ciò di cui avrebbero avuto un disperato bisogno: le più efficienti attrezzature da laboratorio — tubature, serbatoi anticorrosione, centrifughe, componenti di computer, cavi, valvole… Essi sapevano che tutto ciò esisteva, era stato accuratamente immagazzinato, avevano abbondanza di documentazioni che lo provavano, elenchi, mappe, sufficienti a ritrovare gli immensi depositi sigillati, perfettamente asciutti, a prova d'aria e d'acqua, con chilometri e chilometri di scaffalature ben fornite. Era stato un gioco d'azzardo produrre tanti bambini in così breve tempo, ma un azzardo che essi avevano accettato coscientemente, ben sapendo le conseguenze, se qualcosa non avesse funzionato strada facendo. Avrebbero potuto trovarsi tutti alla fame, ancora prima che i cinque anni finissero. Se la valle fosse stata in grado o no di nutrire mille persone era stato un argomento interminabilmente dibattuto. Comunque, il loro piano aveva bisogno di molta gente… Fra cinque anni avrebbero saputo se il loro gioco d'azzardo era stato o no una follia.

Quattrocentocinquanta bambini fra i cinque e gli undici anni, ecco in che cosa era consistito il gioco, pensò ancora Barry, la portata dell'azzardo. Fra i quattro anni i primi ottanta di loro avrebbero lasciato la valle, forse per sempre, ma se fossero tornati, e se anche pochi di loro fossero tornati con quei preziosi materiali, o con nuove informazioni su New York e Filadelfia… con qualunque cosa rivestisse un valore, insomma l'azzardo sarebbe valso la pena.

Fu concordato che il programma di addestramento, così come lo aveva delineato Barry, sarebbe continuato, ma rischiando, in questa prima fase, soltanto tre gruppi — non più di trenta ragazzi. Se questi ragazzi fossero rimasti psicologicamente danneggiati dall'esperimento, non sarebbe stato compiuto alcuno sforzo per recuperarli, ma l'esperimento sarebbe cessato immediatamente. Barry lasciò la riunione passabilmente soddisfatto.

— Che cosa otterrò in cambio? — chiese Mark.

— Che cosa vuoi dire?

— Voglio dire, voi vi procurate un insegnante, e i fratelli e le sorelle il loro addestramento. Ma io, che cosa ottengo?

— Avrai compagnia. Molta di più di quella che hai adesso.

— Non vorranno giocare con me — disse Mark. — Mi ascolteranno e faranno quello che dirò perché avranno paura, e sanno che io non ne ho. Ma non giocheranno con me… Rivoglio la mia stanza.

Barry lanciò un'occhiata ai suoi fratelli, e seppe che erano pronti ad acconsentire. Era stato un fastidio avere il ragazzo nella loro stanza da letto comune. Per mutuo consenso essi non avevano mai tirato fuori il tappeto in sua presenza, e avevano censurato i loro discorsi quando si erano ricordati che lui era lì. Barry acconsentì: — Ma non nel dormitorio… Qui, in questo edificio.

— Per me va bene.

— Allora, ecco che cosa faremo. Una volta alla settimana, ciascun gruppo uscirà fuori, all'inizio soltanto per un'ora, e sempre a non più di pochi minuti da un punto da cui possano vedere la valle. Dopo parecchie di queste brevi escursioni, andrai più lontano e ve li terrai più a lungo. Ci sono giochi che tu possa organizzare nel bosco, per aiutarli ad abituarsi ad esser lì? — Non ci furono più obiezioni ad includere Mark in quella fase del programma.


Mark sedeva su un ramo, nascosto dal denso fogliame, e osservava i ragazzi che correvano incespicando intorno ai bordi della radura, cercando di scoprire le tracce che lui aveva lasciato dietro di sé proprio perché lo seguissero. Era come se fossero ciechi, pensò meravigliato. L'unica cosa che veramente importava a quei ragazzi era tenersi il più possibile vicini l'uno all'altro, di non separarsi neppure per un attimo. Era la terza volta in una settimana che Mark provava quel gioco coi cloni; anche altri due gruppi avevano fallito.

Sulle prime, gli era piaciuto condurli nel bosco; la sincera ammirazione che gli dimostravano era stata piacevole quanto inaspettata, e per la prima volta aveva quasi avuto l'impressione che le differenze che li separavano avrebbero potuto sensibilmente ridursi quand'essi avessero imparato alcune delle cose che lui sapeva… quando sarebbe stato possibile giocare davvero tutti insieme fra gli alberi bisbiglianti. Ma egli ben presto aveva avuto modo di accorgersi quanto simili speranze fossero mal riposte. Le differenze erano più evidenti che mai, e l'iniziale ammirazione si stava trasformando in qualcos'altro… qualcosa che lui non riusciva a capire. Ora sembrava che lo detestassero più di prima, che avessero quasi paura di lui, che provassero un crescente risentimento.

Egli fischiò, e osservò come tutti reagissero nel medesimo istante e nell'identico modo, come ciuffi d'erba di un prato sotto una raffica di vento. Pur conoscendo la direzione, essi si erano mostrati incapaci di riconoscere la sua pista. Egli scese disgustato dall'albero, in parte scivolando, e alternando dei balzi da ramo a ramo dove la corteccia era troppo ruvida. Raggiunse i ragazzi e rivolse un'occhiata a Barry, che aveva un'identica espressione disgustata.

— Torniamo a casa, adesso? — chiese uno dei ragazzi.

— No — rispose Barry. — Mark, ora tu condurrai due dei ragazzi a una breve distanza da qui, e ti nasconderai nel miglior modo possibile con loro. Vedremo se gli altri ragazzi riusciranno a trovarvi.

Mark annuì. Diede un'occhiata ai dieci ragazzi e subito si rese conto che non faceva alcuna differenza quali avrebbe scelto. Indicò i due più vicini a lui, si voltò e s'inoltrò nel bosco, con i due ragazzi alle calcagna.

Ancora una volta lasciò una traccia evidente che chiunque avesse avuto un paio d'occhi sarebbe stato in grado di seguire senza difficoltà: non appena si trovarono fuori dalla vista del gruppo più numeroso, egli cominciò ad avanzare in cerchio per portarsi alle spalle dei ragazzi che si trovavano nella radura, evitando così di allontanarsi troppo, visto che costoro non erano in grado di seguire una pista neppure se era lunga soltanto due metri. Alla fine si fermò. Si portò un dito alle labbra, invitando al silenzio: gli altri due annuirono e si sedettero a terra ad aspettare. Sembravano terrorizzati, sedevano con le gambe incrociate e a stretto contatto di gomito. All'improvviso Mark sentì gli altri fratelli: non seguivano la pista circolare, ma si precipitavano direttamente verso di loro. Troppo in fretta, pensò allarmato. Il modo in cui correvano era pericoloso.

I due fratelli che erano con lui balzarono in piedi eccitati, un attimo prima che gli altri sbucassero dal folto. Il ricongiungimento dei due agli altri otto fu giubilante e trionfale, e perfino Barry aveva un'aria soddisfatta. Mark si tirò in disparte e li osservò, la sua raccomandazione di non mettersi a correre nel folto del bosco era stata bellamente ignorata.

— Basta così, per oggi — disse Barry. — Molto bene, ragazzi. Molto bene davvero. Chi di voi conosce la via del ritorno?

Erano tutti eccitati per il loro successo, e cominciarono a indicare, una dopo l'altra, le più diverse direzioni, ridendo e dandosi di gomito. Barry rideva insieme a loro. — Sarà meglio che sia io a condurvi fuori di qui — dichiarò.

Si guardò intorno cercando Mark, ma non lo trovò. Barry sentì un brivido di paura. Fu un attimo e poi passò, senza quasi lasciargli il tempo d'identificarlo per ciò che era; poi Barry si girò e s'incamminò in direzione della massiccia quercia che era l'ultimo albero prima del lungo pendio che conduceva giù nella valle. Per lo meno, lui aveva imparato questo, pensò. Anche i ragazzi intorno a lui, a quell'ora, avrebbero dovuto impararlo, e invece… Il sorriso di trionfo per il loro primo successo svanì, e Barry senti nuovamente tutto il peso del dubbio e del disappunto gravare su di lui.

Altre due volte si girò, scrutando nel bosco, cercando Mark, ma non riuscì a scorgerlo. Mark si avvide, dal punto dov'era, che Barry scrutava in giro, ma non fece alcun segno in risposta. Seguì con lo sguardo i ragazzi che incespicavano, ridevano, si toccavano, sentì gli occhi che gli bruciavano e uno strano senso di vuoto, simile alla nausea, l'afferrò. Quando tutti furono scomparsi giù per il pendio, diretti al fondo valle, egli si distese sul terreno e guardò in alto, attraverso il fitto intrico dei rami che nascondeva il cielo, lasciando intravedere soltanto qualche frammento di luce qua e là, rare tessere di un mosaico bianco sullo sfondo nero. Socchiudendo gli occhi, le chiazze luminose si fondevano in strani disegni, spiccando ancora di più sul nero, ma questo gioco gli stancò ben presto la vista.

— Mi odiano — mormorò, e gli alberi gli risposero bisbigliando, ma lui, ancora una volta, non riuscì a distinguere la parole. Soltanto foglie agitate dal vento, pensò all'improvviso; non erano voci. Si rizzò a sedere e lanciò una manciata di foglie marcite contro il tronco più vicino, e gli parve che da qualche parte qualcuno ridesse. Il woji.

— Neppure tu sei reale — disse a bassa voce. — Sono stato io a inventarti. Tu non puoi ridere di me.

Ma il suono persistette, crebbe d'intensità, e all'improvviso egli balzò in piedi e guardò dietro di sé il nero banco di nuvole che si era andato formando durante tutto il pomeriggio. Ora gli alberi non bisbigliavano più: gli gridavano il loro avvertimento, ed egli cominciò a scendere in fretta il pendio: non seguì il sentiero percorso da Barry e dagli altri ragazzi, ma puntò direttamente verso la vecchia fattoria.

La casa era completamente nascosta da una fitta barriera d'alberi e di cespugli. Come il castello della bella addormentata, egli pensò, correndo verso di essa. Il vento ululava, trascinando in un vortice polvere, ramoscelli, foglie strappate agli alberi. Mark s'infilò tra i cespugli, e quando si trovò al riparo di essi, il vento sembrò molto distante. Le nuvole si stavano accavallando, e invadevano rapidamente tutto il cielo; la tempesta che si stava preparando poteva rivelarsi assai pericolosa, e lui lo sapeva. Tempo da tornado, era così che lo chiamavano. Un tornado si era scatenato nella valle due anni prima; ora tutti ne avevano una folle paura.

Giunto alla casa, non indugiò. Aprì lo scivolo del carbone, nascosto da un intrico d'edera, e s'infilò agilmente nel seminterrato immerso nel buio. Cercò a tastoni la candela e i fiammiferi, poi salì di sopra e qui osservò la tempesta attraverso una fessura della finestra della camera da letto, sbarrata da tavole. Ora l'intera casa era stata sbarrata, porte, finestre, il camino, tutto era stato sigillato, poiché avevano deciso che non era bene per lui passare il suo tempo nel vecchio edificio. Essi non sapevano però dell'esistenza dello scivolo del carbone, e in pratica ciò che avevano ottenuto era stato di fornirgli un rifugio dove nessuno poteva seguirlo.

La tempesta ruggiva nella vallata e finì per allontanarsi con la stessa repentinità con cui era venuta. La pioggia a dirotto divenne una serie di acquazzoni, poi un'acquerugiola; infine cessò e poco dopo risplendette nuovamente il sole. Mark si allontanò dalla finestra. C'era una lanterna ad olio nella camera da letto. Egli l'accese e guardò i dipinti di sua madre, come aveva fatto molte volte durante gli anni passati, dal giorno in cui lei l'aveva aspettato in quella casa, per accompagnarlo in quell'ultima escursione. Lei sapeva, pensò Mark. Essere sempre un'unica persona, nei campi, sulla soglia di una stanza affollata, sulla riva di un fiume o sull'oceano. Essere soli, sempre. Lei sapeva ciò che significava. Improvvisamente Mark scoppiò in singhiozzi e si buttò sul pavimento, sul quale pianse finché non si trovò stremato, senza forze. Poi si addormentò.

Sognò che gli alberi lo prendevano per mano e lo conducevano da sua madre. Lei lo strinse a sé e cantò e gli raccontò delle storie, ed essi risero insieme.


— Funziona? — chiese Bob. — Possono essere addestrati a vivere nella solitudine?

Mark era seduto a gambe incrociate sul pavimento, in un angolo della stanza, dimenticato dai dottori. Sollevò lo sguardo dal libro che stava leggendo e attese la risposta.

— Non lo so — disse Barry. — Non per un'intera vita, questo non lo credo. Per brevi periodi, sì. Ma non saranno mai dei boscaioli, se è questo che intendi.

— Dobbiamo procedere con gli altri, la prossima estate? Hanno imparato abbastanza per un tentativo su larga scala?

Bruce scrollò le spalle: — È stato un programma di addestramento anche per noi — disse. — Ma questo lo so: non voglio esser costretto a ritornare fra quei lugubri boschi. Le mie giornate mi fanno sempre più paura.

— Anche a me — gli fece eco Bob. — È per questo che ho sollevato la questione. Vale davvero la pena farlo?

— Stai pensando alla notte che dovremo passare fuori la prossima settimana, non è vero? — chiese Barry.

— Sì. Non voglio andare. So che i ragazzi tremano di paura al pensiero. E anche tu…

Barry annuì: — Tu ed io siamo fin troppo consapevoli di ciò che è accaduto a Ben e a Molly. Ma che cosa accadrà a quei ragazzi quando lasceranno questo posto e dovranno passare una notte dopo l'altra là fuori, nei boschi? Se questo addestramento preventivo servirà ad alleviargli le sofferenze, dobbiamo farlo.

Mark tornò al suo libro, ma in realtà senza vederlo. Che cosa stava succedendo a quella gente?, si chiese. Perché mai avevano tutti tanta paura? Non c'era niente nel bosco. Niente animali, nulla che potesse far del male a qualcuno. Forse sentivano le voci e questo li spaventava, pensò. Ma allora, se anch'essi sentivano delle voci, queste esistevano veramente. Sentì all'improvviso accelerarsi i battiti del suo polso. Per molti anni aveva creduto che le voci fossero soltanto le foglie agitate dal vento, aveva creduto di aver soltanto fatto finta che fossero voci. Ma se anche i fratelli le sentivano, allora ciò le rendeva reali. I fratelli e le sorelle non inventavano mai niente. Non avrebbero saputo come fare. Si sentiva pieno di gioia, avrebbe voluto scoppiare in fragorose risate, ma si guardò bene dal produrre il più piccolo rumore, per non attirare l'attenzione. I dottori avrebbero voluto subito sapere che cosa ci fosse di così divertente, e lui sapeva che non avrebbe mai potuto dirglielo.


Il campo era una grande radura a parecchie miglia dalla valle. Venti ragazzi, dieci ragazze, due dottori e Mark sedevano intorno al falò, intenti a mangiare, e Mark ricordò l'altra volta, quando si era seduto accanto a un fuoco a mangiare pop-corn. Sbatté rapidamente le palpebre, e la sensazione che accompagnava il ricordo svanì lentamente. I cloni erano inquieti, ma non realmente spaventati. Erano tanti, già il loro numero bastava a rassicurarli, e l'intenso brusio delle loro voci soverchiava i rumori del bosco.

Cantarono, e uno di essi chiese a Mark di raccontare la storia del woji, ma Mark scosse la testa. Barry chiese con voce distratta che cosa fosse un woji, ma i cloni diedero di gomito e cambiarono argomento. Barry lasciò perdere. Il woji… una di quelle cose che tutti i bambini sanno e gli adulti mai, pensò. Mark raccontò un'altra storia, poi essi cantarono ancora un po', e infine venne il momento di srotolare le coperte e dormire.

Molto più tardi Mark si rizzò a sedere e ascoltò. Decise che uno dei ragazzi stava andando alla latrina, per cui tornò a distendersi e subito si riaddormentò. Il ragazzo incespicò e si afferrò a un albero per riprendere l'equilibrio. Ora il falò stava illanguidendo, soltanto pochi tizzoni si vedevano ardere, dal punto in cui egli si trovava in mezzo agli alberi. Il ragazzo avanzò di qualche altro passo, e all'improvviso anche gli ultimi tizzoni scomparvero alla sua vista. Ebbe allora un attimo di esitazione, ma la sua vescica lo sollecitava a proseguire. Non cedette alla tentazione di trovar sollievo contro l'albero più vicino: Barry aveva ingiunto a tutti, assai chiaramente, che essi dovevano servirsi esclusivamente della latrina, nell'interesse della salute. Egli sapeva che la fossa igienica era soltanto a venti metri dal campo, qualche passo ancora, non più… ma la distanza sembrò crescere invece di diminuire, ed egli all'improvviso si sentì afferrare dalla paura di essersi smarrito.

— Se vi smarrite — aveva detto Mark, — la prima cosa da fare è sedersi e pensare. Non perdete la testa, non mettetevi a correre, calmatevi e pensate.

Ma non sarebbe mai riuscito a sedersi lì, calmo: tutt'intorno a lui sentiva voci, e il woji che rideva di lui, e qualcosa… qualcosa che si avvicinava sempre più. Cominciò a correre alla cieca, tappandosi le orecchie con le mani e cercando di tener fuori dalla sua testa le voci più forti.

Qualcosa lo afferrò, egli sentì che gli stava lacerando il fianco, sentì il sangue che scorreva fuori e lanciò un grido, un urlo acuto e incontrollato che non poté trattenere.

I suoi fratelli, al campo, si rizzarono a sedere e si guardarono intorno in preda al terrore. Danny!

— Che cosa è stato? — chiese Barry.

Mark si era alzato in piedi ad ascoltare, ma adesso tutti i fratelli avevano preso a gridare a squarciagola: — Danny! Danny!

— Digli che chiudano il becco! — intimò Mark, e si sforzò di ascoltare. — Falli restare qui — ordinò, e s'inoltrò in fretta nel bosco in direzione della latrina. Ora riuscì a udire il ragazzo, in lontananza, che correva come impazzito in mezzo agli alberi, ai cespugli, incespicando, continuando a gridare. Poi, all'improvviso, ogni rumore cessò.

Mark si fermò nuovamente ad ascoltare, ma il bosco era silenzioso. Dietro di lui, al campo, era scoppiato un pandemonio; davanti a lui, nel bosco, nulla.

Non si mosse per parecchi minuti, tendendo l'orecchio. Danny poteva essere caduto, essersi fermato a riprendere il fiato. Poteva giacere privo di sensi. Al buio, e senza suoni che lo guidassero. Mark non aveva alcun modo di avvicinarsi a lui. Lentamente, ritornò al campo. Ora erano tutti in piedi, raccolti in tre gruppi; anche i due dottori si tenevano l'uno accanto all'altro.

— Non posso trovarlo al buio — dichiarò Mark. — Dovremo aspettare il mattino. — Nessuno si mosse. — Alimentate il fuoco — disse. — Forse vedrà il bagliore e lo seguirà per tornare.

Un gruppo di fratelli cominciò a buttar legna sui tizzoni, e riuscì quasi a soffocarli. Bob prese il controllo e poco dopo ebbero di nuovo un ruggente falò. I fratelli di Danny sedevano stretti insieme, tutti avevano un'espressione tirata per il freddo e la gran paura. Avrebbero potuto trovarlo, pensò Mark, ma soltanto l'idea di immergersi nel buio tenebroso li paralizzava. Uno di essi cominciò a piangere e, quasi fosse stato un segnale, tutti si misero a frignare. Mark si allontanò da loro e andò di nuovo al margine del bosco ad ascoltare.

Alla prima debole luce dell'alba Mark cominciò a seguire la pista del ragazzo mancante. Il giovane era andato avanti, indietro, a zigzag, rimbalzando contro alberi, cespugli, poi di nuovo contro gli alberi. Qui aveva corso per cento metri in linea retta soltanto per finire contro un macigno. C'erano tracce di sangue. Il ramo di un abete l'aveva scorticato. Là aveva ripreso a correre, questa volta più velocemente. Su per una salita… Mark si fermò a studiare la salita e seppe quello che avrebbe trovato. Era venuto avanti senza affrettarsi troppo, nella sua ricerca; ora rallentò ulteriormente seguendo la pista, bene attento a non calpestare nessuna delle impronte di Danny, tenendosi di lato, «leggendo» ciò che era successo.

In cima alla salita c'era uno stretto crinale calcareo. Vi erano parecchi di quegli affioramenti nei boschi e quasi sempre, dopo una salita così erta, il lato opposto era ugualmente ripido, a volte ancora più ripido, e irto di rocce. Egli si fermò sul crinale e guardò i dieci metri sottostanti di rada vegetazione e roccia, e distinse là in mezzo il corpo contorto del ragazzo, gli occhi spalancati, come se stesse studiando il cielo pallido e senza colore. Mark non si calò laggiù. Restò accovacciato per parecchi minuti a guardare la figura, lì sotto, poi si girò e tornò al campo, sempre senza affrettarsi.

— È morto dissanguato — disse Barry, quand'ebbero riportato il corpo al campo.

— Avrebbero potuto salvarlo — disse Mark. Non guardò i fratelli di Danny, i quali erano tutti cerei, sconvolti. — Avrebbero potuto andare direttamente da lui. — Si alzò in piedi. — Scendiamo, adesso?

Barry annuì. Mark e Barry trasportarono il corpo su una lettiga formata da sottili rami d'albero legati insieme. Mark li guidò fino ai margini del bosco, poi si voltò: — Vado ad accertarmi che il fuoco sia completamente spento — disse. Non attese il permesso, e in un attimo si dileguò.

Barry ricoverò i nove fratelli sopravvissuti all'ospedale, per curarli dallo shock. Non ne uscirono mai più, e nessuno chiese mai informazioni su di essi.

Il mattino seguente Barry arrivò all'aula delle lezioni prima che vi si fossero radunati gli allievi. Mark era già al suo posto in fondo alla sala. Barry lo salutò con un cenno del capo, aprì il suo quaderno di appunti, riordinò gli oggetti sulla cattedra e quando alzò gli occhi vide che Mark lo stava ancora fissando. Occhi luminosi come due laghi azzurri, gemelli, coperti da uno strato di ghiaccio, pensò Barry.

— Be'? — chiese infine Barry, quando gli parve che, se non avesse parlato, sarebbero rimasti lì a guardarsi in silenzio per l'eternità.

Mark continuò a tenere gli occhi fissati su di lui: — Non esiste l'individuo, esiste soltanto la comunità — disse, con voce squillante. — Ciò che è giusto per la comunità, è giusto anche fino alla morte dell'individuo. Non esiste l'uno, c'è soltanto il gruppo.

— Dove hai sentito questo? — chiese Barry.

— L'ho letto.

— Dove hai preso quel libro?

— Dal tuo studio. Era su uno degli scaffali.

— Ti proibisco di entrare nel mio studio.

— Non ha importanza. Ho già letto tutto quello che c'è. — Mark si alzò in piedi. Lo scintillio dei suoi occhi mutò. — Questo libro è tutta una menzogna! Io sono uno. Io sono un individuo! Io sono uno! - Si avvicinò rapidamente alla porta.

— Mark, aspetta un momento — esclamò Barry. — Hai mai visto che cosa succede a una formica straniera quando cade in mezzo a un'altra colonia di formiche?

Giunto sulla soglia, Mark annuì: — Ma io non sono una formica — disse.

CAPITOLO VENTITREESIMO

Alla fine di settembre le barche ricomparvero sul fiume, e la gente era accorsa alle banchine a guardare. Era una giornata fredda e piovosa; già il gelo aveva reso desolato il paesaggio, e la bruma che gravava sopra l'acqua rese tutto confuso fino a quando le barche non furono molto vicine. Un gruppo andò incontro ai naviganti esausti per aiutarli ad attraccare; quando tutte le barche furono ormeggiate, si fece il consuntivo, e la constatazione che vi erano state nove perdite rattristò il ritorno a casa.

La sera successiva si tenne la Cerimonia per i Perduti, e i sopravvissuti raccontarono con voce incerta la loro storia. Avevano riportato indietro cinque barche, una a rimorchio per la maggior parte del percorso. La sesta era stata trascinata via all'imboccatura dello Shenandoah; l'avevano trovata fracassata, senza alcun sopravvissuto, il suo carico di attrezzature chirurgiche perduto nel fiume. Una seconda barca era rimasta danneggiata quando un'improvvisa tempesta l'aveva scagliata contro la riva, capovolgendola, e rovinando così un carico di mappe, elenchi telefonici, liste di depositi di merci: pacchi su pacchi di carta che si sarebbero dimostrati di un'utilità inestimabile.

La costruzione del riparo vicino alla cascata era stata iniziata; invece lo scavo del canale si era rivelato un disastro, era impossibile scavarlo così come era stato proposto di fare. Le acque del fiume l'avevano inondato dal basso, più volte spazzandolo con violenza da un'estremità all'altra: alla fine l'unico risultato del loro scavo era stata un'area paludosa che si allagava quando il fiume era in piena, e si trasformava in un pantano quando le acque si abbassavano. Ma la cosa peggiore, tutti si mostrarono d'accordo, era stato il freddo. Non appena avevano raggiunto il Potomac, il freddo li aveva stretti nella sua morsa. Vi erano state intense gelate; le foglie erano cadute prematuramente e il fiume li aveva intirizziti. La maggior parte della vegetazione era morta; soltanto le piante più robuste erano sopravvissute. Il freddo era continuato a Washington, aveva reso lo scavo del canale un lavoro d'inferno.

Quell'anno la neve giunse nella valle molto presto, il primo ottobre. Coprì il suolo per più di una settimana prima che il vento cambiasse e le brezze tiepide del sud lo sciogliessero. Durante i giorni di sereno, quando il sole splendeva luminoso e la bruma non nascondeva le cime dei monti e delle colline circostanti, si potevano ancora distinguere tratti innevati sui crinali più alti.

Più tardi, Barry avrebbe ricordato quell'inverno come un periodo cruciale, ma allora gli sembrò soltanto una fra le tante stagioni, dell'innumerevole successione che avevano conosciuto.

Un giorno Bob lo chiamò perché uscisse e desse un'occhiata a qualcosa. Da parecchi giorni la neve aveva smesso di cadere, il sole era luminoso e dava l'illusione di un inesistente tepore. Barry s'infilò una pesante mantellina e seguì Bob all'esterno. C'era una scultura di neve eretta al centro del cortile fra i nuovi dormitori. Una figura maschile, alta due metri e mezzo, nuda, le gambe muscolose, i piedi solidamente appoggiati a una base squadrata con cui facevano corpo. In una mano la figura impugnava un bastone, o forse una torcia, l'altra mano era distesa lungo il fianco. Era una statua di neve, ma chi l'aveva modellata era riuscito ad animarla, a catturare, pur con quella gelida materia, la sensazione del movimento, della vita. Quello era un uomo che procedeva, inarrestabile, verso una meta.

— Mark? — chiese Barry.

— E chi altri?

Barry si avvicinò lentamente; anche altri la stavano guardando, per la maggior parte bambini. Fra essi, qualche adulto, e altri uscirono fuori, finché intorno alla statua non si fu radunata una vera folla. Una ragazzina fissò a lungo la scultura, poi si girò e cominciò a fabbricarsi una palla di neve. Quindi la scagliò repentinamente contro la statua. Barry le afferrò il braccio prima che potesse rifarlo.

— No — le disse.

Lei lo fissò senza espressione, poi guardò la statua con un'espressione ancora più apatica, ed accennò ad allontanarsi. Lui la lasciò andare, e lei corse via tra la gente. Le sue sorelle si affollarono intorno a lei, toccandosi a vicenda come per rassicurarsi che tutto andasse bene.

— Che cosa c'è? — chiese una di loro, non riuscendo a vedere la statua attraverso la folla.

— Soltanto neve — rispose la ragazzina. — È soltanto neve.

Barry la fissò. Aveva circa sette anni, pensò. Tornò ad afferrarla, e la sollevò, perché potesse veder bene: — Dimmi che cos'è — le chiese.

Lei si agitò per liberarsi: — Ma è neve — ripeté. — È soltanto neve.

— È un uomo — disse lui, severamente.

Lei lo fissò, disorientata, e tornò a guardare la figura. Poi scosse la testa.

Ad uno ad uno egli sollevò altri bambini perché vedessero. Tutti videro soltanto neve.

Barry e i suoi fratelli ne parlarono più tardi, quello stesso giorno, ai loro fratelli più giovani, ma i giovani dottori si mostrarono impazienti di fronte a quella che, per loro, era un'inezia.

— Così i bambini più piccoli non riescono a capire che quella dovrebbe essere la figura di un uomo. Che importanza ha? — chiese Andrew.

— Non lo so — disse lentamente Barry. Non sapeva perché fosse importante; sapeva soltanto che lo era.

Nel pomeriggio il sole sciolse un po' la neve, ma durante la notte essa ghiacciò di nuovo. La mattina dopo, quando i raggi del sole colpirono la statua, essa mandò bagliori accecanti. Quel giorno Barry uscì a guardarla parecchie volte. La notte successiva qualcuno, più probabilmente un gruppo, uscì fuori e l'abbatte calpestandola.

Due giorni più tardi quattro gruppi di bambini riferirono che i loro tappeti erano scomparsi. Fu perquisita la stanza di Mark, e anche altri posti dove egli avrebbe potuto nasconderli, ma nessun tappeto fu ritrovato. Mark iniziò una nuova scultura, questa volta una donna, presumibilmente la compagna dell'uomo. Questa volta la statua rimase lì fino all'estate, anche quando non era più identificabile, ma soltanto un grumo di neve che si era sciolto, congelato e ridisciolto un gran numero di volte.

Il successivo incidente avvenne dopo la celebrazione del nuovo anno. Barry fu risvegliato da un sonno profondo da una mano che gli batteva insistentemente sulla spalla.

Balzò a sedere, perplesso e disorientato, come se fosse stato trascinato a lungo per ritrovarsi nel suo letto, infreddolito, istupidito, sbattendo le palpebre senza riconoscere l'uomo più giovane in piedi accanto a lui.

— Barry, presto, svegliati! — Barry riconobbe per prima la voce di Anthony, poi il suo viso. Ora anche gli altri fratelli si stavano svegliando.

— Che cosa c'è? Che cosa succede? — Improvvisamente Barry fu sveglio del tutto.

— Un guasto alla sezione computer. Abbiamo bisogno di te.

Stephen e Stuart stavano già smontando il computer quando Barry e i suoi fratelli arrivarono nel laboratorio. Molti dei fratelli più giovani stavano sbloccando le valvole dei terminali per poter regolare manualmente i flussi. Altri giovani dottori controllavano i quadranti di ogni singolo contenitore. La scena dava l'idea di un caos ordinato, pensò Barry, sempre che fosse possibile una cosa del genere. Una dozzina di persone si stavano muovendo là dentro, ognuna assorta nel suo lavoro, ma tutte in realtà fuori posto. Spesso, quando due o più persone cercavano di percorrere nel medesimo istante la stessa corsia fra i contenitori, si creavano intralci, ingorghi. E sempre nuova gente arrivava da fuori.

Andrew aveva preso la direzione delle operazioni, osservò Barry con soddisfazione. A ogni nuovo venuto, erano subito affidate precise mansioni, ed egli si trovò a controllare una fila di embrioni vecchi di sette settimane. C'erano novanta embrioni nei contenitori, a vari stadi di sviluppo. Sarebbe stato possibile rimuovere due file di contenitori per volta e portarli a completare lo sviluppo nel reparto prematuri, ma le loro possibilità di sopravvivenza sarebbero state drasticamente ridotte. La sua fila sembrava a posto, ma udì Bruce borbottar qualcosa dall'altra estremità della corsia, e seppe che era successo un guaio. La concentrazione dei sali di potassio mostrava valori esorbitanti, inaccettabili. Gli embrioni erano stati avvelenati.

Gli scienziati erano stati viziati, pensò Barry. Talmente abituati ad affidarsi al computer per ogni analisi del liquido amniotico, avevano lasciato che le proprie capacità lavorative si deteriorassero. Ora, procedere per tentativi sarebbe stato troppo lento per salvare quegli embrioni… e infatti, uno solo, per tutta la fila, si salvò. Ma ugualmente il suo contenitore fu staccato e l'embrione fu lasciato morire. Niente più singoli individui! Anche i membri di un altro gruppo avevano sofferto, ma soltanto quattro avevano ricevuto una dose eccessiva di potassio. Ai sei sopravvissuti fu concesso di continuare a vivere.

Per tutta la notte proseguirono i controlli dei liquidi, aggiungendo sali quando ce n'era bisogno, diluendo le soluzioni se il sale cominciava ad accumularsi; anche la temperatura fu sottoposta a un rigido controllo, come pure il flusso dell'ossigeno… all'alba Barry ebbe l'impressione di nuotare anche lui in un oceano di liquido amniotico congelato. Il computer non aveva ancora ripreso a funzionare. I controlli avrebbero dovuto proseguire senza interruzione.

La crisi durò quattro giorni, durante i quali furono perduti trentaquattro bambini e quarantanove animali. Quando finalmente Barry cadde esausto sul letto, sapeva che la perdita degli animali era quella di gran lunga più grave. Essi dipendevano da quegli animali per le secrezioni ghiandolari, per le sostanze chimiche che estraevano dal midollo delle ossa e dal sangue. Più tardi, pensò, sprofondando nella nebbia del sonno, più tardi si sarebbe preoccupato di ciò che significava quella perdita.


— Niente ma e forse! Dobbiamo avere quelle parti del computer prima che la neve si sciolga! Se il computer dovesse guastarsi di nuovo, non so se potremo ripararlo. — Everett era un esperto di computer, alto e magro, probabilmente non aveva neppure vent'anni. I suoi fratelli più anziani si rimettevano a lui, e questo era un buon segno, voleva dire che Everett sapeva ciò che diceva.

— Le nuove barche a ruote saranno pronte in estate — replicò preoccupato Lawrence. — Se l'equipaggio di una barca potrà uscir fuori abbastanza presto per accertarsi se la strada che era stata scavata intorno alla cascata è praticabile…

Barry smise di ascoltare. Stava nevicando di nuovo. Grandi e pigri fiocchi di neve si lasciavano trasportare dalla brezza senza alcuna fretta di toccare il suolo. Non riusciva a distinguere nulla oltre il primo dormitorio, che pure distava soltanto una ventina di metri dalla finestra attraverso la quale stava guardando. I bambini erano a scuola, intenti ad assimilare tutto ciò che gli veniva presentato. La situazione nel laboratorio si era finalmente normalizzata. Avrebbe funzionato, si disse, caparbiamente. Non era chieder troppo, resistere quattro anni… se avessero potuto disporre di quei quattro anni, avrebbero superato l'invisibile, una decisiva linea fra lo sperimentale e il provato.

La neve si accumulava, e Barry rifletté sull'individualità di ogni fiocco di neve. Come milioni di altri prima di lui, pensò, intimorito dalla complessità della natura. Si chiese all'improvviso se Andrew, l'io che lui era stato quando aveva avuto trent'anni si fosse mai sentito confuso di fronte alla complessità della natura. Si chiese se qualcuno dei bambini più piccoli sapesse che ogni fiocco di neve era diverso. E se gli fosse stato detto che era cosi, se gli fosse stato detto di esaminare i fiocchi di neve, come esercizio di ricerca, avrebbero notato le differenze? Avrebbero pensato che era meraviglioso? Oppure l'avrebbero accettato come un'altra delle interminabili lezioni che ci si aspettava che imparassero, assimilandola perciò, obbedienti, senza ricavarne alcun piacere, alcuna soddisfazione?

Fu attraversato da un brivido freddo, e riportò la sua attenzione alla discussione in corso. Ma i suoi pensieri continuavano a divagare. Si rese conto che essi apprendevano tutto ciò che gli veniva insegnato, tutto. Essi potevano riprodurre tutto ciò che era stato prima… ma si rivelavano del tutto incapaci di creare qualcosa di nuovo. E non riuscivano neppure a vedere la magnifica scultura di neve che Mark aveva creato.

Finita la riunione, accompagnò Lawrence a ispezionare le nuove barche con ruote a pale. — Tutto ha la priorità assoluta — commentò. — Senza eccezioni.

— Il guaio è — replicò Lawrence, — che hanno ragione. Ogni cosa ha veramente la priorità assoluta. La nostra, qui, è una struttura molto fragile, Barry. Troppo fragile.

Barry annuì. Senza il computer avrebbero dovuto chiudere tutto, salvo una mezza dozzina di contenitori. Senza le parti di ricambio del generatore avrebbero dovuto ridurre l'elettricità, cominciando a bruciar legna per produrre calore, per cucinare; avrebbero dovuto leggere alla luce di candele di sego. Senza le barche non avrebbero potuto raggiungere le città, dove le scorte marcivano sempre più ad ogni stagione. Senza le nuove infornate di operai e di esploratori non avrebbero potuto mantenere praticabile la strada che aggirava la cascata, né i passaggi attraverso le rapide e i bassifondi dei fiumi, cosicché i battelli con le ruote a pale potessero navigarli…

— Hai mai letto quella poesia sul chiodo che mancava? — chiese.

— No — disse Lawrence, e lo guardò interrogativamente. Barry scosse la testa.

Osservarono per alcuni minuti il gruppo che lavorava alla barca più vicina, poi Barry chiese ancora: — Lawrence, come se la cavano i fratelli più giovani nella costruzione delle barche?

— Nel migliore dei modi — fu pronto a replicare Lawrence.

— Non intendo parlare soltanto del modo in cui eseguono gli ordini. Intendo dire, nessuno dei fratelli più giovani è saltato fuori con un'idea nuova di cui tu avresti potuto servirti?

Lawrence si girò nuovamente a fissarlo: — Che cosa ti tormenta, Barry?

— Qualcuno l'ha fatto?

Lawrence corrugò la fronte e restò silenzioso per quello che sembrò un attimo interminabile. Infine, scrollò le spalle: — Non credo. Non ricordo. Ma d'altra parte Lewis ha le idee talmente chiare su come tutto va fatto che dubito ci sia qualcuno che abbia il coraggio di contraddirlo, o aggiungere qualcosa a quello che lui ha progettato.

Barry annuì: — Lo pensavo — disse, e si allontanò lungo il sentiero sgomberato dalla neve, che formava su entrambi i lati un muro bianco alto quanto la sua testa.

— Così come un tempo non nevicava tanto — disse fra sé. Ecco: l'aveva detto a voce alta. Probabilmente era il primo degli abitanti della valle a dirlo: Un tempo non nevicava tanto.

Più tardi, quel giorno, mandò a chiamare Mark, e quando il ragazzo comparve davanti a lui, gli disse: — Come sono i boschi d'inverno, quando c'è tanta neve come adesso?

Mark per un attimo sembrò avere un'aria colpevole. Poi scrollò le spalle.

— So che hai imparato a marciare con le racchette — gli disse Barry, — e che sai sciare. Ho visto le tue tracce che salivano su, fin dentro il bosco. Che cosa si prova?

Ora gli occhi di Mark sembravano ardere di un fuoco azzurro, e un sorriso comparve per un istante sulle sue labbra, dileguandosi subito. Chinò la testa: — Non è come d'estate — cercò di spiegare. — C'è più… immobilità. Ed è bello. — Improvvisamente arrossì e si azzitti.

— Più pericoloso? — insistette Barry.

— Credo di sì. Non si possono vedere gli avvallamenti, che si riempiono di neve, e a volte la neve resta appiccicata ai crinali, così che non si può capire dove finisce esattamente il terreno solido. Si corre il rischio di precipitare dall'altra parte, se non si sa che in quel punto il pendio s'interrompe.

— Voglio addestrare i nostri bambini a servirsi delle racchette e degli sci. Forse vi sarà necessità di andare nei boschi d'inverno. Devono avere un po' di addestramento. E c'è abbastanza legna a portata di mano per accendere i fuochi?

Mark annuì.

— Domani cominceremo a insegnargli a confezionarsi un paio di scarpe da neve — fece Barry in tono deciso. Si alzò in piedi. — Mi servirà il tuo aiuto. Non ho mai visto un paio di scarpe da neve. Non so neppure da che parte si cominci. — Aprì la porta e prima che Mark uscisse, gli domandò: — Dove hai imparato a farle?

— Ho visto in un libro.

— Che libro?

— Un libro… — disse Mark. — Ma adesso non c'è più.

Nella vecchia casa. Barry annuì. Quali altri libri c'erano nella vecchia casa? Seppe che era essenziale scoprirlo. Quella sera, quando s'incontrò con i fratelli, discussero a lungo e seriamente delle conclusioni che lui aveva tratto.

— Dovremo insegnar loro tutto ciò di cui potrebbero aver bisogno — disse Barry, e sentì una nuova stanchezza impadronirsi di lui.

— La cosa più difficile, per noi — interloquì Bruce, pensieroso, dopo un attimo di silenzio, — sarà convincere gli altri che è indispensabile. Dovremo ideare delle pratiche dimostrazioni, dimostrare al di là di ogni dubbio che è giusto così. Costerà una tremenda fatica per gli insegnanti, per i fratelli e le sorelle più vecchi.

Nessuno mise in dubbio ciò che Bruce aveva detto. In base alla propria esperienza personale, ognuno sarebbe giunto alle stesse conclusioni.

— Credo che si possano mettere a punto alcuni semplici test — proseguì Barry. — Ho fatto degli schizzi questo pomeriggio. — Li mostrò ai fratelli: la figura stilizzata di un uomo che correva, che saliva le scale, che si sedeva; un simbolo del sole; un cerchio con i raggi che si diramavano da esso; un albero, cioè un cono con una sorta di bastone alla base; una casa fatta con quattro linee, sormontate da altre due ad angolo per il tetto; la luna: un disco ma senza raggi; una scodella col vapore che saliva in linee ondulate…

— Potremo invitarli a finire una storia — disse Bruce. — Una storia semplice, due o tre righe, con parole semplici, come questi disegni, senza una fine, e dir loro di completarla.

Barry annuì. Era chiaro a che cosa mirava tutto questo. Se ai bambini mancava la capacità di astrarre, di generalizzare, se non avevano fantasia, essi dovevano saperlo ora e cercare di compensare questa mancanza…

Entro una settimana, i loro timori si concretizzarono. I bambini sotto i nove o dieci anni non riuscivano a identificare i disegni più chiari e semplici, erano incapaci di completare una storia, per loro era impossibile generalizzare, passando da una situazione particolare a un'altra, per quanto affine.

— Perciò dobbiamo sforzarci d'insegnargli tutto quello di cui avranno bisogno per sopravvivere — concluse Barry, in tono aspro. — E ringraziate il cielo che siano capaci d'imparare qualunque cosa, se c'è qualcuno che gliel'insegna passo a passo.

Sapeva che avrebbero avuto bisogno di tener lezioni sugli argomenti più disparati, prelevandoli dai vecchi libri della fattoria, lezioni di sopravvivenza, su come costruire semplici capanne, su come accendere un fuoco, come sostituire ciò che mancava con altre cose a portata di mano…

Barry e i suoi fratelli si recarono alla vecchia fattoria muniti di martelli e di piedi di porco, strapparono via le tavole dalla porta principale ed entrarono. Mentre gli altri esaminavano i libri fragili e ingialliti della biblioteca, Barry salì le scale fino alle vecchie stanze di Molly. Giunto lassù, si fermò e respirò profondamente.

C'erano i dipinti, come lui li ricordava, e c'era dell'altro, piccoli oggetti modellati nella creta. C'erano sculture di legno, una testa che doveva essere quella di Molly, intagliata con precisione, da una mano esperta, in legno di noce; sembrava viva, ma dissimile da sua sorella Miriam. Barry non riuscì a spiegarsi in qual modo differisse, ma sapeva che non era come loro: era Molly, e basta.

C'erano altri oggetti fatti d'arenaria, di calcare, alcuni completati, la maggior parte ancora grezzi, come se qualcuno li avesse cominciati, ma avesse perduto l'interesse strada facendo. Barry si avvicinò alle sembianze di Molly incise nel legno, e senza sapersene spiegare la ragione sentì che gli occhi gli si stavano gonfiando di lagrime. Si girò di scatto e uscì a rapidi passi dalla stanza, chiudendo però con cautela la porta alle sue spalle.

Egli non ne parlò ai suoi fratelli. Non trovò nessuna buona ragione per dirglielo, allo stesso modo in cui non seppe capire il perché i suoi occhi avevano sparso tante lagrime su un pezzo di legno intagliato dalle mani di un bambino. Quella notte, sul tardi, mentre nella sua mente continuavano a intromettersi immagini che gli impedivano di addormentarsi, pensò di aver scoperto la ragione per cui non aveva parlato con i fratelli. Essi sarebbero stati costretti a ispezionare da cima a fondo la vecchia casa, alla ricerca dell'ingresso segreto usato da Mark per entrare, e una volta che l'avessero trovato, l'avrebbero ermeticamente chiuso. Barry sentì che non avrebbe potuto far questo a Mark.

CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO

La barca con le ruote a pale era adorna di nastri e fiori dai colori vivaci; sotto il primo sole del mattino abbagliava la vista. Perfino la catasta di legno, il combustibile, era decorata. La macchina a vapore sfolgorava. I vari gruppi di giovani salirono a bordo fra scoppi d'allegria e chiassose risate. L'equipaggio della barca si teneva alquanto discosto dai giovani esploratori/rifornitori, fissandoli con preoccupazione, come temendo che gli eccessi festosi di quel mattino potessero in qualche modo danneggiare lo scafo.

In effetti, la contagiosa esuberanza dei giovani era pericolosa per la sua spontaneità, che si propagava agli spettatori sulla riva. La malinconia delle precedenti spedizioni fu dimenticata, mentre il battello si preparava a discendere il fiume in un turbinare di schiuma. Questa volta era diverso, e l'esaltazione della gente lo dimostrava; questi giovani erano stati specialmente allevati ed istruiti per questa missione. Essa era l'appagamento della loro vita. Chi più di loro aveva il diritto di gioire nel vedere la meta della loro vita a portata di mano?

Legata saldamente al fianco del battello con le ruote a pale, una canoa lunga quattro metri, fatta di corteccia di betulla, e in piedi accanto ad essa, in atteggiamento fieramente protettivo, vi era Mark. Egli era salito a bordo prima degli altri, oppure aveva dormito lì; nessuno l'aveva visto arrivare, ma era lì con la sua canoa che era in grado di battere in velocità qualunque altra cosa sul fiume, perfino le grosse ruote a pale.

Mark stava osservando la scena, impassibile. Era magro, non alto, ma il suo corpo sottile era discretamente muscoloso e il suo petto era ampio. Se era impaziente di partire, non ne mostrava alcun segno. Avrebbe potuto star fermo lì un'ora, un giorno, una settimana…

Ora salirono a bordo i membri più anziani della spedizione, e i canti e gli evviva crebbero ancor più di volume. I capi nominali della spedizione, i fratelli Gary, salutarono Mark con un cenno del capo e presero posto a poppa.

In piedi sulla banchina, Barry osservò il fumo che usciva a sbuffi dal fumaiolo; la barca cominciò a far schiumeggiare l'acqua, ed egli pensò a Ben e a Molly e a quelli che non erano tornati, oppure che erano tornati soltanto per finire all'ospedale, e non uscirne mai più. Quei ragazzi erano quasi istericamente felici, pensò. Avrebbero potuto ugualmente esser sul punto di recarsi al circo, o ad assistere a un torneo, oppure ad arruolarsi al servizio del re, o ad uccidere draghi.

Il suo sguardo cercò quello di Mark. Gli occhi azzurri, luminosi, non ebbero un fremito, e Barry seppe che almeno lui sapeva quello che stavano facendo, quali erano i pericoli, quali sarebbero stati i premi. Egli capiva che quella missione significava la fine dell'esperimento… e forse un nuovo inizio per tutti loro. Egli lo sapeva e, come Barry, non sorrideva.

— Le tremende gesta eroiche dei bambini — borbottò Barry.

Accanto a lui, Lawrence disse: — Che cosa? — Barry scrollò le spalle e replicò che non era niente. Niente.

Ora l'imbarcazione si stava allontanando con velocità costante, lasciando un'ampia scia che si allargava fino a schiaffeggiare ambedue le sponde del fiume. Restarono a guardare fino a quando il battello non scomparve alla loro vista.


L'acqua del fiume scorreva veloce e fangosa, gonfia per il defluire dei torrenti dalle montagne. Le squadre erano rimaste fuori per più di un mese a liberare le rapide, contrassegnando i passaggi sicuri tra i macigni, riparando i danni causati dall'inverno alla banchina d'attracco a monte della cascata e sistemando la strada che l'aggirava per via di terra. La ruota a pale fece guadagnar tempo in quantità considerevole ed essi arrivarono alla cascata poco dopo l'ora di pranzo. Lavorarono tutto il pomeriggio a scaricare la barca e a trasportare le scorte lungo la strada, riponendole al sicuro nell'edificio ai piedi della cascata.

Questo edificio era un duplicato dei dormitori della valle, e al suo interno il folto gruppo dei viaggiatori trovò facile dimenticare che si trovavano in un rifugio isolato, lontani dalla comunità dei loro simili. Ogni sera la squadra addetta alla strada si radunava nell'edificio, e anche gli addetti al fiume si raccoglievano lì, e nessuno veniva lasciato fuori nel bosco tenebroso. Qui, intorno all'edificio, il terreno era stato disboscato fino ai piedi delle colline i cui fianchi s'innalzavano quasi in verticale. I semi di soia e di frumento sarebbero stati piantati più tardi, quando la stagione si fosse fatta sufficientemente calda. La terra fertile non andava a nessun costo sprecata, e le squadre che si trovavano stabilmente a operare nella zona intorno all'edificio non dovevano oziare durante le settimane che sarebbero trascorse tra ogni arrivo e partenza delle barche con le ruote a pale.

Il giorno successivo fu interamente impiegato dai membri della spedizione a trasportare l'intero carico a bordo di una seconda, grande barca, che li aspettava ai piedi della cascata, e trascorsero quindi una seconda notte al rifugio. All'alba essi si sarebbero imbarcati per il secondo tratto del viaggio, fino a Washington. Mark non permise a nessuno di toccare il suo zaino o la sua canoa, che egli aveva portato giù da solo fino alla base della cascata, assicurandola saldamente al secondo battello a pale. Quella era la quarta canoa che si era fatto, la più grande, e sapeva che nessuno aveva capito la combinazione di leggerezza e robustezza che ne facevano l'unico mezzo sicuro per viaggiare sui fiumi. Egli aveva cercato d'interessare qualcun altro alle canoe, ma non c'era riuscito; non volevano neppure pensare a viaggiare da soli lungo i corsi d'acqua impetuosi.

Il Potomac era più agitato dello Shenandoah, e c'erano ancora lastre di ghiaccio alla deriva. Nessuno aveva parlato di lastre di ghiaccio, pensò Mark, e si chiese da dove mai provenissero, in un periodo così avanzato dell'anno. Era metà aprile. Qui le colline erano rivestite da fitte foreste, ed egli poté soltanto immaginare che le terre alte, allo scoperto, fossero ancora incrostate da neve e ghiaccio. Il battello a ruote avanzava lentamente lungo il fiume, il suo equipaggio indaffarato e attento ai pericoli di quel corso d'acqua ampio e veloce. Quando giunse la sera era ormai ben dentro i confini urbani di Washington e per quella notte ormeggiarono al pilone di un ponte che sporgeva dall'acqua, una sentinella solitaria lasciata lì quando il resto del ponte aveva ceduto alle intollerabili pressioni dell'acqua, del vento e dell'età.

La mattina dopo, sul presto, cominciarono a scaricare, e qui era previsto che Mark lasciasse gli altri. Si sperava che potesse ritornare nel giro di due settimane con buone notizie sull'esistenza di vie praticabili fino a Filadelfia e/o New York.

Mark slegò la canoa, si portò a una distanza di sicurezza dalla barca a ruote, si mise in spalla lo zaino. Era pronto. Un lungo coltello era infilato nella guaina che gli pendeva al fianco, un rotolo di corda era anch'esso appeso alla sua cintura di pelle di bue: indossava calzoni di pelle, una camicia di cuoio morbido, ed ai piedi aveva un paio di mocassini. La città in rovina gli riusciva oppressiva; era ansioso di ritornare sul fiume. Intorno al battello ferveva il lavoro: le prime pile di materiali che le spedizioni precedenti avevano trovato e immagazzinato al sicuro nelle vicinanze del fiume venivano già caricate a bordo. Per alcuni minuti Mark rimase a guardare, poi sollevò in silenzio la canoa, appoggiandola sopra la testa, e si avviò.

Per tutta la giornata camminò fra le rovine, sempre procedendo verso nord-est: in tal modo avrebbe finito per uscire dalla città, nuovamente immergendosi nella foresta. Trovò un piccolo corso d'acqua e vi calò la canoa; proseguì pagaiando lungo le numerose curve del ruscello, poi girò verso sud, sbarcò, si mise in spalla la canoa ed entrò nella foresta. Ora, nel folto della vegetazione, ritrovò il silenzio che gli era familiare, nonostante la lontananza da casa. Prima che calasse la notte trovò un posto dove accamparsi, accese un fuoco e si preparò la cena. Le sue scorte di cibo secco erano sufficienti per due o tre settimane, se non avesse trovato qualcosa per integrarle, ma sapeva che avrebbe trovato del cibo selvatico. Non c'era foresta che non potesse fornire punte di felci o germogli d'asparago, tutta una varietà di verdure commestibili. Qui, vicino alla costa, i danni del gelo erano meno accentuati che nell'entroterra.

Quando la luce fu quasi del tutto scomparsa, Mark scavò una bassa fossa e la riempì di morbidi aghi di pino, distese il poncho sopra di essi, spostò la canoa in modo che costituisse un riparo, e si distese sul letto che si era così preparato. Sapeva che il suo peggior nemico sarebbero state le piogge primaverili. Potevano giungere all'improvviso, ed essere abbondanti. Mark eseguì alcuni schizzi e prese qualche appunto, poi si girò sul fianco e stette ad osservare il fuoco morente fino a quando non fu niente più che un fioco bagliore nelle tenebre, e ben presto si addormentò.

Il giorno dopo entrò a Baltimora. Era stata anch'essa, chiaramente, devastata da incendi, e c'erano tracce evidenti d'una grande inondazione. Mark non esplorò queste rovine. Calò la canoa nelle acque della baia di Chesapeake e puntò verso nord. Qui la foresta arrivava ai margini dell'acqua, e dalla baia non si scorgeva alcuna traccia delle opere dell'uomo. C'era una forte corrente, gli effetti del riflusso della marea sommati a quelli delle acque del Susquehanna. Mark lottò contro la corrente per parecchi minuti, poi puntò verso la riva per aspettare che la marea giungesse al minimo per poi ricrescere. Avrebbe dovuto attraversare la baia e seguire la riva orientale, pensò, altrimenti, quando si fosse troppo avvicinato al delta del Susquehanna, l'acqua avrebbe potuto farsi impetuosa al punto da impedirgli di passare con la sua piccola imbarcazione. Qui c'erano banchi di ghiaccio, non grandi e per la maggior parte piatti, come se si fossero staccati da un fiume completamente ghiacciato che soltanto adesso cominciava a sciogliersi.

Mark si distese al suolo e aspettò che la marea s'invertisse. Ogni tanto controllò l'altezza dell'acqua, e quand'essa cessò di scendere, si sedette sulla riva e gettò pezzi di legno in acqua. Quand'essi, in modo evidente, cominciarono a galleggiare verso nord, riprese il viaggio in canoa. Si diresse subito verso nord-est, pagaiando verso il largo e l'altra sponda.

La turbolenza era insignificante vicino alla riva, ma avvicinandosi progressivamente al centro della baia avvertì sempre più la forza della marea che si scontrava con le acque impetuose del fiume; nonostante ben poco di quella feroce battaglia trasparisse alla superficie, i suoi effetti investivano in pieno l'imbarcazione; Mark poté sentirli nella pagaia, nel modo in cui la canoa tendeva a deviare continuamente su un lato o sull'altro. Con le braccia tese nello sforzo di maneggiare la pagaia, Mark sentì i muscoli della schiena e delle gambe tendersi mentre lottava contro la corrente e la marea, ma provò soltanto allegria nel sentirsi coinvolto in quella battaglia.

Improvvisamente, si trovò oltre il punto critico, e la marea, adesso, lo trasportò con forza verso nord, ed egli dovette soltanto dirigere il corso della canoa e scrutare la riva per trovare il punto migliore dove toccar terra. La riva era sabbiosa, coperta da una rada vegetazione. Qui il pericolo poteva essere costituito da rocce nascoste a pelo d'acqua che avrebbero potuto forare il fondo della canoa. Il sole era molto basso sull'orizzonte, quando sentì il primo lieve grattare della canoa sulla spiaggia sabbiosa; subito balzò nell'acqua fredda e tirò l'imbarcazione sulla terraferma.

Con la canoa al sicuro in alto sul terreno, Mark sostò immobile sulla spiaggia e guardò nella direzione dalla quale era venuto. Foreste nere, fitte, l'acqua verde-azzurra dell'oceano striata dalla corrente fangosa del fiume, un cielo azzurro cupo, il sole basso a occidente, e in nessun punto il più piccolo segno della presenza umana, niente edifici, niente strade, nulla. Mark gettò indietro la testa e scoppiò in un'improvvisa risata di gioioso, quasi infantile trionfo. Era suo. Tutto quello era suo. Nessun altro lo voleva. Nessun altro era lì a contestare la sua priorità, e lui la rivendicava tutta.

Si mise a fischiettare mentre preparava un fuoco con la legna depositata sulla riva dalle correnti. Le fiamme s'innalzarono con colori incredibili: verdi, azzurre, purpuree, scarlatte. Mark abbrustoli il suo pop-corn e ammorbidi il manzo secco nell'acqua salata, e si meravigliò del sapore che ne uscì fuori; quando si addormentò, prima che l'ultima luce svanisse, sorrideva.

Il mattino dopo, all'alba, cominciò a seguire la riva verso nord, cercando l'antica via d'acqua intercosta che univa la baia di Chesapeake alla baia del Delaware. Quando la trovò, restava ben poco del canale; ora c'era soltanto un'ampia distesa acquitrinosa costellata di code-di-gatto e di canne che nascondevano in ugual modo la terra e l'acqua. Non appena fu entrato nell'acquitrino, le alte erbe si chiusero intorno a lui, ed egli si trovò tagliato fuori dal resto del mondo.

Proseguì, incontrando qua e là tratti in cui l'acqua era più profonda, del tutto libera dalle canne, ed egli riusciva allora a procedere più in fretta, ma per la maggior parte fu costretto a spingere faticosamente la canoa attraverso quei duri steli, aggrappandosi a tutti gli appigli possibili in questa sua marcia spossante verso est. Quando il sole fu alto, egli si tolse la camicia. Fra le erbe non spirava un solo alito di vento. Poi il sole ridiscese, l'aria si fece fresca, e Mark tornò a infilarsi la camicia. Usò la pagaia tutte le volte che poté, abbrancandosi invece alle canne, per proseguire, quando l'uso della pagaia diventava impossibile. Lentamente, egli riuscì ad attraversare l'acquitrino. Non si fermò mai a mangiare o a riposare, per l'intera giornata; sapeva che non avrebbe dovuto trovarsi fra le alte canne quando il sole fosse tramontato, al sopraggiungere dell'oscurità.

Le ombre erano molto lunghe quando alla fine avvertì la differenza dell'acqua sotto la barca. Ora cominciò a procedere più in fretta, ogni volta che affondava la pagaia nell'acqua la canoa scivolava in avanti reagendo in modo più naturale, non impedita da steli ruvidi ai quali lo scafo s'impigliava, come aveva fatto per tutta la giornata, rallentando la sua marcia. Le canne si divisero, si fecero più rade, poi scomparvero, e davanti a lui vi fu una distesa d'acqua turbolenta che si muoveva liberamente. Sapeva di essere troppo stanco per cominciare a lottare con un'altra corrente, e lasciò che questa lo trasportasse più a valle, finché toccò a terra, nella baia del Delaware.

La mattina dopo vide i pesci. Muovendosi cautamente, aprì lo zaino e trovò la rete che si era confezionato l'inverno precedente, suscitando l'ilarità degli altri ragazzi. La rete era ampia un buon metro quadrato e mezzo, e nonostante egli si fosse esercitato a lanciarla nel fiume, lassù nella valle, sapeva di essere inesperto nell'usarla… e il suo primo lancio sarebbe stato probabilmente l'unica possibilità che aveva. S'inginocchiò nella canoa, che aveva cominciato ad andare alla deriva non appena lui aveva smesso di usare la pagaia, e attese finché i pesci non nuotarono più vicini. Più vicini, bisbigliò, rivolto ad essi. Più vicini… Poi gettò la rete, e per un attimo la canoa oscillò pericolosamente. Sentì il peso della rete appesantita che cresceva, diede uno strattone e tirò con forza, e cominciò a trascinare a bordo la rete. Restò a bocca aperta quando vide il risultato: tre grossi pesci argentei.

Si accoccolò sui calcagni e studiò i pesci che si dibattevano; per un po' non riuscì a ricollegare le idee, non seppe che cosa avrebbe dovuto fare con essi. Lentamente cominciò a ricordare ciò che aveva letto sul come pulirli, come seccarli al sole, o arrostirli su un fuoco all'aperto…

Sulla riva pulì i tre pesci e li distese al sole su alcune rocce piatte per farli seccare. Restò seduto a guardare l'acqua e si chiese se non vi fossero anche dei crostacei. Uscì di nuovo con la canoa, questa volta tenendosi molto vicino alla riva. Giunse a una roccia semisommersa dove trovò un letto di ostriche, e sul fondo sabbioso della baia intravide altre forme viventi, che scomparvero quando agitò l'acqua. Sul tardo pomeriggio aveva raccolto parecchie ostriche e scovato fuori chili e chili di molluschi. I suoi pesci non erano ancora bene asciutti e lui sapeva che sarebbero andati a male se non avesse escogitato qualcosa. Rifletté, fissando la baia, e si rese conto, con uno sprazzo improvviso, che i banchi di ghiaccio erano la soluzione.

Ancora una volta spinse la canoa in acqua, la manovrò per avvicinarsi a una delle lastre più grandi, per cingerla con la sua corda e rimorchiarla a terra. Intrecciò con rami di pino una cesta bassa e larga, mise i molluschi sul fondo, poi le ostriche, e in cima a tutto il pesce. Poi depositò la cesta sulla lastra di ghiaccio, dai bordi della quale tagliò a colpi di coltello pezzi di ghiaccio con i quali coprì i pesci. Poi si rilassò. Aveva impiegato quasi tutta la giornata a raccogliere il cibo e ad assicurarsi che non si guastasse prima di poterlo mangiare. Ma non gliene importava. Più tardi, quando mangiò pesce arrosto e asparagi selvatici, seppe che mai prima di allora aveva assaggiato qualcosa che fosse buono anche soltanto la metà di quello.

Dal punto in cui si era accampato, il Delaware era una distesa buia circondata da una foresta ancora più buia. Di tanto in tanto l'oscurità era interrotta da una pallida ombra che si spostava senza il più piccolo rumore, come se galleggiasse nell'aria. Lastre di ghiaccio. Il fiume era gonfio d'acque; vicino agli argini, alcuni alberi spuntavano direttamente dall'acqua; potevano essercene altri, completamente sommersi a pochi centimetri di profondità, nuove insidie per la sua canoa, insieme alle rocce e ad altri pericoli finora non identificati.

Mark considerò tutti i rischi di quel fiume nero, ma il suo spirito restò appagato e soddisfatto; la mattina dopo immerse nuovamente la canoa nelle acque del Delaware e puntò verso Filadelfia.


Erano le città a deprimerlo, pensò nuovamente, fissando le grige rovine su entrambi i lati del fiume Schuylkill. In ogni direzione, fin dove riusciva a spingere lo sguardo, c'era lo stesso spettacolo di grige rovine. La città era bruciata, ma non era stata rasa al suolo come Baltimora. Qui, alcuni degli edifici sembravano quasi intatti, ma dovunque persisteva lo stesso grigiore, la stessa laidezza della distruzione. Qui gli alberi avevano ricominciato a crescere, ma erano anch'essi brutti, striminziti, malati.

Qui Mark provò la stessa paura che gli altri avevano detto di provare nella foresta. Qui c'era una presenza, ed era maligna. Si scoprì più volte a guardarsi alle spalle, e continuò ad avanzare remando soltanto a prezzo di uno sforzo di volontà. Ben presto si sarebbe fermato a tracciare alcuni schizzi degli edifici che scorgeva dal fiume. Probabilmente avrebbe dovuto compiere qualche esplorazione a piedi, più che altro simbolica. Vi pensò con riluttanza. Prese a remare più lentamente e scrutò un boschetto: erano piante così deformi e scolorite che era difficile stabilire che tipo di alberi fossero. Decise che doveva trattarsi di pioppi tremoli. Cercò d'immaginare le loro radici che s'infiltravano cercando nutrimento fra il calcestruzzo e il metallo sotto il fondo stradale, soltanto per trovare altro calcestruzzo e altro metallo.

Anche a Washington c'erano alberi, pensò, remando con maggior energia per evitare un grosso blocco di ghiaccio dai contorni frastagliati. Quegli alberi avevano avuto un aspetto quasi normale, ma questi… Non raggiungevano la metà della loro dimensione adulta, erano chiaramente deformi, con pochi rami grottescamente contorti. Mark si arrestò di colpo; radiazioni, pensò con un brivido. Quello era l'effetto dell'avvelenamento da radiazioni. Nel cervello gli guizzarono descrizioni e fotografie di altri esemplari di vita animale e vegetale deformati dalla radioattività.

Girò la canoa e tornò indietro in tutta fretta fino al punto in cui lo Schuylkill versava le sue acque nel Delaware. Aveva ancora parecchie ore a disposizione prima che l'oscurità lo costringesse a fermarsi. Per un attimo, esitò, poi mise di nuovo la prua a nord, questa volta facendo molta attenzione, oltre ai banchi vaganti di ghiaccio, alle macchie di vegetazione che manifestavano evidenti deformità.

Passò accanto a un altro ciuffo di piante malaticce e contorte. Attraversò il fiume in diagonale, così da tenersi il più lontano possibile da esse, e continuò a remare.

Filadelfia continuava a scorrergli accanto, interminabilmente, le rovine costituivano uno scenario uniforme. Di tanto in tanto comparivano blocchi di edifici che ancora svettavano verso l'alto, ma ora cominciò a sospettare che ciò fosse dovuto al fatto che quelle aree erano state isolate quand'erano diventate radioattive. Non compì nessuna esplorazione in esse. La maggior parte di quegli immensi edifici erano ridotti agli scheletri delle strutture portanti, ma ce n'erano ancora molti con le mura ancora in piedi, in numero tale da far sì che valesse la pena di organizzare una spedizione, almeno in quelli non contaminati. Questo, però, era un problema che dovevano risolvere Barry o i suoi fratelli più giovani. Continuò ad avanzare. La foresta stava nuovamente prendendo il sopravvento sull'opera dell'uomo: qui gli alberi erano bene sviluppati, folti, lussureggianti; in alcuni punti, dove il fiume si restringeva, i rami verdeggianti si univano sopra di lui, ed era come passare attraverso un tunnel color smeraldo in cui soltanto la sua pagaia immersa nell'acqua produceva rumore, e il resto del mondo tratteneva il fiato in un'immobilità crepuscolare.

Qui c'era un altro enigma, pensò, studiando le sponde del fiume. La corrente era assai rapida, ma l'acqua era bassa e in certi punti le rive s'innalzavano parecchio sopra la sua testa. Era possibile che il fiume fosse stato chiuso parzialmente da una diga; crollata questa, le acque si erano abbassate ed ora lui procedeva sul fondo di un bacino artificiale quasi del tutto svuotato. Sapeva che avrebbe dovuto scoprire la verità prima di ritornare a Washington.

Ogni giorno che passava la temperatura si faceva più fredda; la notte tutto gelava. Dopo Filadelfia, Mark attraversò Trenton e anche qui la vegetazione era contorta e striminzita fra le onnipresenti rovine. Anche se ciò allungò di parecchio il suo percorso, egli attraversò la città senza mai scendere dalla canoa, e non tornò a terra finché i boschi non gli sembrarono nuovamente normali. Poi trascinò la canoa al sicuro in cima a un alto pendio, la assicurò saldamente e s'incamminò verso nord a piedi. Qui il Delaware curvava ad ovest e lui era diretto a New York. Quel pomeriggio cominciò a piovere. Ora Mark contrassegnò il percorso lasciando qua e là incisioni sulla corteccia degli alberi; non voleva perder tempo e faticar troppo a ritrovare la sua canoa al ritorno. Avanzò con passo costante sotto la pioggia sempre più fitta, protetto dal suo grande poncho, che lo copriva dalla testa ai piedi.

Quella notte non riuscì a trovare legna secca per il fuoco, masticò la carne fredda e ripensò con nostalgia ai succulenti pesci…

Il giorno dopo la pioggia non diminuì d'intensità; egli si rese conto che proseguire sarebbe stata una follia, poiché avrebbe potuto perdere del tutto l'orientamento in un mondo i cui confini erano stati cancellati, senza un cielo o un sole sui quali orientarsi. Cercò un boschetto di abeti rossi, strisciò sotto il più grande e si rannicchiò nel suo poncho, appisolandosi, risvegliandosi, appisolandosi di nuovo per tutto il giorno e la notte successivi. Il tranquillo fruscio degli alberi lo svegliò, e seppe che la pioggia era finita; gli alberi si stavano scuotendo di dosso l'acqua, commentando tutti insieme quel tempo orribile e chiedendosi chi fosse quel ragazzo che dormiva tra loro. Per qualche minuto Mark si lasciò andare alle sue fantasticherie, poi si rizzò a sedere. Doveva trovare un posto soleggiato, asciugare lo zaino, il poncho, gli indumenti, asciugare e ungere i mocassini… Strisciò fuori da sotto l'abete, bisbigliò un grazie e cominciò a cercare il posto migliore per asciugare ogni cosa, accendere un fuoco e farsi, finalmente, un buon pasto.

Quando, più tardi, nel pomeriggio, s'imbatté in una barriera di cespugli malaticci e deformi, arretrò di una quarantina di metri, e si accovacciò al suolo e studiò il bosco davanti a lui. Sospettava che New York distasse almeno un'altra giornata di cammino, venti miglia, forse anche di più. Qui la selva era troppo fitta per poter stabilire se le piante deformi occupavano un'area limitata, o si estendevano per chilometri e chilometri. Mark arretrò di mezzo miglio, si accampò e rifletté su ciò che l'aspettava, nelle ore successive. Decise che, comunque, non sarebbe mai penetrato in un'area radioattiva. Quanto era disposto a deviare dal suo cammino, e per quanti giorni? Non lo sapeva. Per lui il tempo si era fermato, aveva perso il conto dei giorni che aveva trascorso sui fiumi e nei boschi, non avrebbe saputo in alcun modo precisare quanto tempo prima la barca con le ruote a pale fosse entrata a Washington. Si chiese se gli altri stessero bene, se avessero trovato ciò che cercavano, e in quali condizioni… Ripensò al suo viaggio, al modo in cui a Filadelfia avrebbe potuto finir dentro alle aree avvelenate, e ora anche qui, nel bosco… Rabbrividì.

Per tre giorni costeggiò i margini dell'area avvelenata, a volte risalendo a nord, per poi deviare a ovest, e quindi di nuovo a nord. Ma non riuscì ad avvicinarsi ulteriormente alla città. New York era letteralmente circondata da un anello di morte.

Raggiunse un'ampia palude dove alberi morti giacevano a marcire e niente cresceva; impossibile proseguire. Il terreno paludoso si estendeva a occidente fin dove il suo sguardo poteva arrivare; l'aria era impregnata dell'odore del sale e della decomposizione, come il fango su una costa piatta, lasciato allo scoperto dalla bassa marea. Si spruzzò la lingua con qualche goccia di quell'acqua, poi tornò indietro. Acqua di mare. Quella notte la temperatura si abbassò bruscamente; il giorno successivo gli alberi e i cespugli si ergevano neri e silenziosi intorno a lui. Ora mangiò voracemente il grano e la carne secca, e si chiese se sarebbe mai più riuscito a trovare del cibo fresco. Le sue scorte erano quasi finite, non aveva più né uva né mele secche. Sapeva che non sarebbe morto di fame, ma quanto più piacevole sarebbe stato nutrirsi di ortaggi e di frutta fresca, di grassi e caldi pesci arrosto, o di ostriche, o sorbire fragranti zuppe di molluschi… Con uno sforzo di volontà distolse i propri pensieri dal cibo e accelerò sensibilmente la marcia.

Procedette in fretta, seguendo la propria pista senza difficoltà, le incisioni lasciate sugli alberi erano come cartelli indicatori, qui devi girare, qui vai diritto. Quando ritrovò la sua canoa, la mise di nuovo in acqua e seguì il Delaware verso ovest per rispondere a un paio di domande che l'assillavano: perché il flusso d'acqua si era così vistosamente ridotto? E perché il ghiaccio era così abbondante? La pioggia doveva averne staccato molti altri pezzi, pensò. Era difficile contrastare una corrente così rapida, costellata da un così gran numero di blocchi di ghiaccio. Per un certo tratto, il fiume corse su un terreno pianeggiante, poi, con brusco passaggio, il suolo cominciò rapidamente ad innalzarsi su ambedue i lati, la corrente si fece più veloce e le acque presero a schiumeggiare a causa delle rapide. Il fiume si era scavato una gola che, col procedere via via più a monte, si fece sempre più profonda. Quando le rapide si fecero troppo pericolose perché la piccola imbarcazione continuasse ad affrontarle, Mark tirò fuori la canoa dall'acqua, la sistemò in un luogo sicuro, poi proseguì a piedi.

Davanti a lui s'innalzava una collina coperta da arbusti e rocce sparse. Mark salì il pendio scegliendo con cautela il percorso. Faceva molto freddo. Qui gli alberi avevano un aspetto che sarebbe stato normale ai primi di marzo o addirittura agli ultimi di febbraio. C'erano germogli, ma ancora chiusi, niente foglie, niente verde, soltanto il verde-cupo degli aghi invernali degli abeti.

Quando giunse in cima alla collina, gli si mozzò il respiro. Davanti a lui si stendeva, accecante alla luce del sole, un banco sterminato di neve e ghiaccio. In alcuni punti il candido manto giungeva fino alle sponde del fiume, il quale, un miglio più a monte, era quasi completamente strozzato dal ghiaccio: il suo corso si riduceva a uno stretto nastro nero che serpeggiava in mezzo al biancore.

Verso sud gli alberi gli impedivano la visuale, ma Mark poteva spingere il suo sguardo per miglia e miglia verso nord e verso ovest, e c'era soltanto neve e ghiaccio. Bianche montagne si innalzavano nel limpido cielo azzurro, e la neve si era accumulata in ogni valle, arrotondandone il profilo. Il vento cambiò e prese a sferzare il viso di Mark, il freddo paralizzante gli fece lacrimare gli occhi. Qui il sole non sembrava irradiare alcun calore. Egli sudava sotto la sua camicia di cuoio, ma lo spettacolo di tutta quella neve, e la morsa gelida del vento che spazzava l'immensa distesa creavano l'illusione che il sole fosse venuto a mancare. L'illusione lo fece rabbrividire violentemente. Mark si girò e discese di corsa il fianco ripido della collina, lasciandosi scivolare per l'ultima decina di metri, conscio, nel medesimo istante in cui iniziava la scivolata, che era pericoloso, che avrebbe potuto provocare una caduta di rocce e restarne colpito, ferito troppo gravemente per riuscire a trovare scampo. Ruzzolò fino in fondo al pendio, balzò in piedi e si allontanò di corsa, senza voltarsi, e sentì le rocce che precipitavano dietro di lui.

Nella sua mente quel frastuono fu quello del ghiacciaio che avanzava, inesorabile, verso di lui. Stritolando ogni cosa fino a ridurla in polvere.

CAPITOLO VENTICINQUESIMO

Mark stava volando. Era meraviglioso scendere in picchiata fra gli alberi e i fiumi e all'improvviso balzare nuovamente verso il cielo azzurro, in alto, sempre più in alto… Il suo corpo fremette per l'eccitazione. Cambiò bruscamente direzione, per evitare una bianca nuvola simile a bambagia. Poi ne evitò una seconda, e deviò ancora, e ancora. Dovunque vi erano nuvole, ora si erano unite a formare un muro compatto, bianco, immenso, che avanzava verso di lui da ogni direzione. Non c'era alcuna deviazione possibile per evitarlo. Mark scese in picchiata, e la picchiata divenne una caduta, sempre più veloce. Non poteva far nulla per fermarla. Cadde attraverso il biancore…

Mark si svegliò di colpo, tremando tutto, il corpo intriso di sudore. Il fuoco che aveva acceso era un debole bagliore nella tenebra. Lo alimentò con cautela, soffiò sulle proprie mani gelate mentre aspettava che i pezzi di legno marcio bruciassero, vi aggiunse ramoscelli, poi rami più grossi. Anche se ben presto sarebbe giunta l'alba e lui avrebbe dovuto estinguere il fuoco, lo alimentò ugualmente finché non fu ben caldo e luminoso. Poi si rannicchiò accanto ad esso. Ora non tremava più, ma quella visione d'incubo persisteva, e lui voleva luce e calore. E non voleva esser solo.

Nei quattro giorni successivi viaggiò molto in fretta e nel pomeriggio del quinto giunse nell'area di Washington. Infine, avvistò il punto dove la barca a ruote era stata ormeggiata e i fratelli e le sorelle erano sbarcati per raggiungere da lì i depositi del prezioso materiale.

I fratelli Peter gli corsero incontro, lo aiutarono a ormeggiare la canoa, lo alleggerirono dello zaino, parlando per tutto il tempo.

— Gary ha detto che avresti dovuto recarti subito al deposito, non appena arrivavi — disse uno dei Peter.

— Finora abbiamo avuto soltanto sei infortuni — esclamò un altro, tutto eccitato. — Braccia e gambe rotte, roba del genere. Niente di quello che hanno avuto gli altri gruppi in passato. Ce la stiamo facendo!

— Gary ha detto che ci metteremo in viaggio per Baltimora o Filadelfia entro la fine della settimana.

— Abbiamo qui una mappa per mostrarti in quale deposito stiamo lavorando in questo momento.

— Abbiamo tirato fuori roba da riempire quattro barche…

— Abbiamo fatto a turno. Quattro giorni qui a ricevere la roba e a prepararla per essere caricata, a cucinare per tutti, poi quattro giorni nei depositi a cercare altra roba e a trasportarla fin qui…

— Non è male, qui, non come pensavamo che sarebbe stato. Non so perché gli altri abbiano avuto tanti problemi.

Mark li seguì barcollando per la stanchezza. — Ho fame — disse.

— Stiamo preparando della minestra per la cena — disse uno dei Peter. — Ma Gary ha detto…

Mark li sorpassò, entrò nell'edificio che usavano come quartier generale. L'odore della minestra lo avvolse. Si servì, e prima ancora di aver finito di mangiare si sentì avvolgere irresistibilmente dal sonno, al punto che non riuscì più a tenere gli occhi aperti. I ragazzi continuavano a parlare dei loro successi. — Dove sono i letti? — chiese Mark, interrompendoli.

— Non vai al deposito come ha detto Gary?

— No. Dove sono i letti?


— Ci metteremo in viaggio per Filadelfia domattina — disse Gary, in tono soddisfatto. — Hai fatto un ottimo lavoro, Mark. Quanto tempo impiegheremo ad arrivare a Filadelfia?

Mark scrollò le spalle. — Non sono andato a piedi, perciò non lo so. Vi ho mostrato i tratti paludosi, probabilmente invalicabili a piedi. Comunque, se riuscirete a trovare un passaggio, probabilmente otto o dieci giorni. Ma è essenziale che abbiate con voi dei misuratori di radioattività.

— Ti sbagli, Mark. Non può esserci nessuna radioattività. Non eravamo in guerra, sai. Qui non fu sganciata nessuna bomba. I nostri anziani ci avrebbero avvertiti.

Mark tornò a scrollare le spalle.

— Ci affidiamo a te per arrivare fin lì — proseguì Gary. Ora sorrideva. Aveva ventun anni.

— Non verrò — disse Mark.

Gary e i suoi fratelli si scambiarono un'occhiata. Gary replicò: — Che cosa intendi dire? È il tuo lavoro.

Mark scosse la testa: — Il mio lavoro era di scoprire dov'erano le città, se contenevano ancora qualcosa. So che è possibile raggiungerle per via d'acqua. Non so se è possibile raggiungerle a piedi. So che c'è stata della radioattività, e tornerò nella valle a riferirlo.

Gary si alzò in piedi e cominciò ad arrotolare la mappa sulla quale avevano segnato la posizione delle paludi, i cambiamenti nel profilo della costa, la via d'acqua intercosta ormai ridotta a un acquitrino. Disse, senza guardare Mark: — In questa spedizione tutti sono ai miei ordini. Tutti.

Mark non si mosse.

— Ti ordino di venire con noi — proseguì Gary, e adesso guardò Mark.

Mark scosse la testa: — Non riuscirete ad arrivare fin lì e a ritornare prima che cambi il tempo — dichiarò. — Tu e i tuoi fratelli non sapete niente delle foreste. Avrete le stesse difficoltà che hanno avuto le prime spedizioni che sono venute a Washington. E i ragazzi non sanno far niente se nessuno gli dice di farlo. E se tutto quello che c'è a Filadelfia fosse radioattivo? Se lo porterete indietro con voi, ucciderete tutti gli altri. Io ritorno alla valle.

— Tu prenderai gli ordini, come chiunque altro! — urlò Gary. — Tenetelo qui! — Fece un cenno a due fratelli e insieme ad essi uscì in fretta dalla stanza. Gli altri tre rimasero insieme a Mark, il quale era ancora seduto a gambe incrociate sul pavimento, dov'era rimasto fin dall'inizio dell'incontro.

Gary tornò dopo pochi minuti. Stringeva nelle mani parecchie lunghe striscie di corteccia di betulla. Mark balzò in piedi e protese istintivamente le mani verso la corteccia. Era della sua canoa.

Gary gli gettò addosso le strisce di corteccia. — Ora capirai, spero. Partiamo domattina presto. Farai meglio a riposarti un altro po'.

Mark li lasciò senza dire una parola. Si recò al fiume ed esaminò l'imbarcazione distrutta. Poco dopo accese un fuoco, e quando le fiamme si alzarono vivide vi spinse in mezzo un'estremità dell'imbarcazione, e continuò a tenervela, spostando man mano il relitto, finché le fiamme non lo ebbero consumato tutto.

La mattina dopo, quando i ragazzi si riunirono per iniziare il lungo e faticoso viaggio per Filadelfia, Mark non era con loro. Il suo zaino era scomparso, e lui risultò introvabile. Gary e i suoi fratelli si consultarono rabbiosamente e decisero di mettersi in cammino senza di lui. Disponevano di mappe attendibili, che lo stesso Mark aveva corretto. I ragazzi erano quasi tutti bene addestrati. Non c'era nessuna ragione di sentirsi così legati alla presenza di un quattordicenne. Partirono, ma ugualmente si sentirono avvolti da una vaga coltre d'inquietudine.

Mark li osservò da lontano, seguendoli per tutta la giornata. Quando quella notte si accamparono, la loro prima notte nel cuore della foresta, lui si trovava su un albero lì vicino.

I ragazzi si comportavano bene, pensò con soddisfazione. Fino a quando i diversi gruppi non si fossero separati, tutto sarebbe andato bene. Ma i fratelli Gary erano chiaramente nervosi. Trasalivano ad ogni rumore.

Egli attese finché il campo non fu immerso nel silenzio, e poi, sempre appollaiato sull'albero, in un punto da cui poteva vederli senza essere visto, cominciò a gemere. Sulle prime nessuno prestò attenzione ai suoni che stava producendo, ma poco dopo Gary e i suoi fratelli cominciarono a scrutare ansiosamente il bosco e a guardarsi l'un l'altro. Mark gemette più forte. Ora i ragazzi si stavano visibilmente agitando. La maggior parte di loro era addormentata quando lui aveva cominciato. Ora tutto il campo era in preda a un fremito crescente.

— Woji! — gemette Mark, con voce sempre più alta. — Woji! Woji! — Era certo, ormai, che nessuno, laggiù, stesse più dormendo. — Woji dice tornare indietro! Woji dice tornare indietro! — Mantenne la sua voce su toni cavernosi, passando più volte la mano davanti alla bocca. Ripeté le parole molte volte, e terminò ogni messaggio con un debole gemito che terminava con uno stridìo acuto. Dopo un po' una nuova parola: — Pericolo, pericolo, pericolo.

S'interruppe nel bel mezzo del quarto «pericolo» perfino lui, adesso, era ben conscio della foresta che ascoltava. I fratelli Gary cominciarono a girare tra gli alberi, intorno al campo, impugnando delle torce, cercando qualcosa, qualsiasi cosa… Si tennero l'uno vicino all'altro mentre conducevano la ricerca. Molti dei ragazzi si erano rizzati a sedere, stringendosi il più possibile vicini al fuoco. Passò parecchio tempo prima che tutti tornassero a distendersi, cercando di riaddormentarsi. Mark si appisolò sull'albero, e quando si risvegliò all'improvviso, ripeté l'ammonimento, ancora una volta arrestandosi nel mezzo di una parola: questa parola troncata a metà faceva un effetto, per qualche ragione, assai peggiore sulla gente del campo, là sotto. Si ricominciò, perciò, l'inutile ricerca intorno al campo, i fuochi furono alimentati, i ragazzi tornarono a rizzarsi a sedere per la paura. Verso l'alba, quando ancora le tenebre erano profonde nella foresta, Mark cominciò a ridere: una risata stridula, inumana, che sembrò echeggiare da ogni punto del bosco.

Il giorno successivo era freddo e piovigginoso; la nebbia aleggiava su tutto, e si sollevò solo impercettibilmente col passare delle ore. Mark aggirò quel gruppo di sbandati, ora bisbigliando alle loro spalle, ora sulla sinistra, ora sulla destra, ora celandosi davanti a loro, a volte da sopra le loro teste. Verso metà pomeriggio l'avanzata si era fatta lentissima, e i ragazzi parlavano apertamente di disobbedire a Gary e di ritornare a Washington. Mark constatò con soddisfazione che anche due dei fratelli Gary si erano schierati dalla parte dei ragazzi.

— Ahuuuu! Woji! — ululò Mark, e all'improvviso due gruppi di ragazzi fecero dietro-front precipitandosi via di corsa. — Woji! Pericolo!

Adesso anche altri si voltarono, e si unirono alla fuga; Gary urlò dietro ai fuggitivi, ma invano; infine anche lui e i suoi fratelli si affrettarono a ripercorrere la strada già fatta.

Mark, ridendo tra sé, si allontanò con passo svelto. Si diresse a ovest, dritto verso la valle.


Bruce era in piedi accanto al letto dove il ragazzo stava dormendo. — Si riprenderà?

Bob annuì: — Molte volte è stato sul punto di riprender conoscenza. Per la maggior parte del tempo ha farfugliato di neve e ghiaccio. Mi ha riconosciuto quando l'ho visitato, stamattina.

Bruce annuì. Mark aveva dormito per quasi trenta ore. Fisicamente era fuori pericolo (e, forse, non era mai stato veramente in pericolo). Niente che il riposo e il cibo non potessero curare, comunque; ma i suoi farfugliamenti sul «muro bianco» erano parsi folli. Barry aveva ordinato che tutti lasciassero solo il ragazzo, finché non si fosse svegliato spontaneamente. Barry era rimasto con lui la maggior parte del tempo, e sarebbe tornato entro un'ora. Nessuno avrebbe potuto far niente finché Mark non si fosse svegliato.

Quel pomeriggio, più tardi, Barry mandò a chiamare Andrew, il quale aveva chiesto di essere presente quando Mark avesse cominciato a parlare. Si sedettero su entrambi i lati del letto e osservarono il ragazzo che si agitava, destandosi dal profondo sonno durante il quale era rimasto immobile come un morto.

Mark aprì gli occhi e vide Barry: — Non mettermi all'ospedale — disse con un filo di voce, e tornò a chiudere gli occhi. Poco dopo li riaprì e si guardò intorno, quindi tornò a fissare Barry: — Sono già all'ospedale, non è vero? C'è qualcosa che non va… in me?

— No, no — si affrettò a rispondere Barry. — Sei svenuto per l'esaurimento e la fame. Tutto qui.

— Allora vorrei ritornare nella mia stanza — fece Mark, e cercò di alzarsi.

Barry lo spinse giù con dolcezza: — Mark, per favore, non aver paura di me. Ti prometto che non ti farò del male, né adesso né mai. Te lo giuro. — Per un attimo il ragazzo resistette alla pressione delle sue mani, poi si lasciò andare. — Grazie, Mark — disse Barry. — Te la senti di parlare adesso?

Mark annuì: — Ho sete — balbettò. Inghiottì moltissima acqua. Poi cominciò a descrivere il suo viaggio verso nord. Lo raccontò in ogni particolare, descrisse perfino il modo in cui aveva spaventato Gary e i suoi fratelli, mettendo in fuga la spedizione per Filadelfia. Si accorse che Andrew aveva stretto le labbra a quella parte della storia, ma continuò a fissare Barry e raccontò tutto fino in fondo.

— E poi sei ritornato indietro — concluse Barry. — Come?

— Ho attraversato i boschi. Ho costruito una zattera per attraversare il fiume.

Barry annuì. Sentiva il desiderio di piangere, e non sapeva perché. Batté la mano sul braccio di Mark. — Ora riposati — gli disse. — Gli faremo sapere che devono fermarsi a Washington finché non avranno trovato qualche rivelatore di radiazione.

— Impossibile — esclamò Andrew rabbiosamente non appena usciti dalla stanza. — Gary aveva perfettamente ragione a voler proseguire per Filadelfia. Quel ragazzo ha distrutto in una notte un intero anno di addestramento!


— Verrò anch'io — aveva detto Barry, e adesso era insieme a Mark a Washington. Due dei dottori più giovani l'avevano accompagnato. I giovani membri della spedizione erano spaventati e disorganizzati; il lavoro si era bloccato, ed essi erano rimasti ad attendere nel deposito principale che arrivasse qualcuno a dar loro istruzioni.

— Quando si sono messi di nuovo in viaggio? — chiese Barry.

— Subito il giorno dopo che erano ritornati qui — disse uno dei giovani rimasti.

— Quaranta ragazzi! — borbottò Barry. — E sei imbecilli. — Si rivolse a Mark: — Riusciremo a rimediare a qualcosa, se cominceremo a seguirli questo pomeriggio?

Mark scrollò le spalle: — Potrei farlo io da solo?

— No, non da solo. Anthony ed io verremo con te, e Alister rimarrà qui per assicurarsi che le cose si mettano nuovamente in moto.

Mark fissò dubbioso i due dottori. Anthony era pallido e Barry sembrava a disagio.

— Hanno avuto a disposizione undici giorni — disse Mark. — A quest'ora dovrebbero esser giunti alla città, sempre che non si siano smarriti. Non credo che farà molta differenza se partiremo adesso o aspetteremo fino a domattina.

— Domattina, allora — replicò brevemente Barry. — Non ti farà male un'altra notte di sonno.

Viaggiarono in fretta, e ogni tanto Mark fece notare dove gli altri si erano accampati, dove erano usciti di strada, dove si erano resi conto del loro errore, ritornando nella giusta direzione. Il secondo giorno egli strinse le labbra e si mostrò arrabbiato, ma non disse nulla fino al tardo pomeriggio.

— Troppo a ovest, e hanno continuato a deviare sempre di più — disse. — Se non si sono diretti nuovamente a est, possono aver completamente mancato Filadelfia. Devono aver tentato di aggirare le paludi.

Barry era troppo stanco per preoccuparsi, e Anthony si limitò a grugnire. Per lo meno, pensò Barry, stendendosi accanto al fuoco, la notte erano troppo stanchi per prestare orecchio ai rumori strani, e quella era una buona cosa. Cadde addormentato mentre ancora stava pensando a questo.

Il quarto giorno Mark si fermò e indicò qualcosa davanti a loro. Sulle prime Barry non riuscì a distinguere alcuna differenza, ma poi si rese conto che davanti a loro vi era un esempio di quella crescita deforme di cui Mark aveva parlato. Anthony tirò fuori il contatore Geiger, e questo cominciò subito a registrare. Il segnale si fece sempre più insistente a mano a mano che avanzavano, e Mark deviò allora sulla sinistra, tenendosi ben distante dall'area radioattiva.

— Sono entrati in città, non è vero? — chiese Barry.

Mark annuì. Continuarono a tenersi distanti dal terreno contaminato, e quando il contatore ticchettava il suo ammonimento, essi tornavano a spostarsi verso sud, finché non si acquietava di nuovo. Quella sera decisero di continuare a muoversi verso ovest, fino a quando non fossero riusciti ad aggirare l'area radioattiva, entrando a Filadelfia da quella direzione, se fosse stato possibile.

— Continuando così, finiremo dentro i campi di neve — disse però Mark.

— Non avrai paura della neve, vero? — replicò Barry.

— Non ho paura.

— Bene. Domani, allora, andremo a ovest, e se prima di sera non potremo girare a nord, torneremo indietro e tenteremo verso est. Cercheremo una pista, un qualunque passaggio in quella direzione.

Viaggiarono per tutta la giornata bagnati dagli sprazzi di una pioggia intermittente, e di ora in ora la temperatura continuò a scendere, fino a toccare quasi lo zero quella sera, quando si accamparono.

— Quant'è lontano, ancora? — chiese Barry.

— Domani — disse Mark. — Già da qui si sente l'odore.

Barry riusciva a sentire soltanto l'odore del fuoco, del bosco umido, del cibo che stava cuocendo. Scrutò Mark, poi scosse la testa.

— Io… io non voglio andare più oltre — dichiarò all'improvviso Anthony. Era in piedi accanto al fuoco, troppo rigido, gli si leggeva sul volto che era assorto ad ascoltare.

— È il fiume — gli disse Mark. — Dev'essere molto vicino. C'è ghiaccio su tutti i fiumi, e di tanto in tanto i blocchi urtano contro le sponde. È questo che senti.

Anthony si sedette, ma gli rimase sul viso l'espressione intenta. La mattina dopo continuarono a dirigersi verso ovest. A mezzogiorno erano fra le colline, e sapevano che, non appena fossero arrivati abbastanza in alto da riuscire a vedere oltre le cime degli alberi, sarebbe comparsa davanti a loro la distesa di neve… sempre che ci fosse stata neve da vedere.

Si fermarono in cima alla collina, e fissarono l'incredibile scena. E Barry comprese gli incubi di Mark. Gli alberi ai margini del campo erano rigidi, quasi fosse il colmo dell'inverno. Poco più lontano, lo spessore della neve saliva fino a metà dei loro tronchi, e i rami spogli erano immobili, alcuni formavano strani angoli, là dove il peso li aveva stroncati, e soltanto l'alto strato di neve aveva impedito che cadessero. E più oltre, non era più visibile un solo albero, ma soltanto un'unica, compatta distesa di neve.

— Continua ancora ad estendersi? — chiese Barry sottovoce.

Nessuno rispose. Dopo qualche minuto, essi si voltarono e si affrettarono a ripercorrere la strada già fatta. Mentre aggiravano Filadelfia dirigendosi a est, il contatore Geiger continuò ad avvertirli di stare indietro, ed essi non riuscirono ad avvicinarsi alla città, da quel lato, più di quanto non fossero riusciti da ovest. Poi trovarono i primi cadaveri.

Un gruppo di sei ragazzi aveva deviato dal grosso della spedizione. Due erano caduti quasi subito, uno accanto all'altro; gli altri li avevano abbandonati, avevano continuato per mezzo miglio e poi erano crollati. I corpi erano tutti radioattivi.

— Non avvicinarti — intimò Barry, quando Anthony fece per inginocchiarsi accanto ai primi cadaveri. — Non possiamo arrischiarci a toccarli.

— Avrei dovuto restare — mormorò Mark. Stava fissando i corpi distesi al suolo, i volti sporchi di fango. — Non avrei dovuto andarmene. Avrei dovuto seguirli, per garantirmi che non ci andassero. Avrei dovuto restare.

Barry lo scrollò per un braccio, ma Mark continuò a fissare quei corpi, ripetendo: — Avrei dovuto restare con loro. Avrei… — Barry lo colpì con un violento schiaffo, poi con un secondo; Mark chinò la testa e si allontanò incespicando, barcollando fra gli alberi e i cespugli, fuggendo dalla vista dei cadaveri, da Barry e Anthony. Barry gli corse dietro e l'afferrò per un braccio.

— Mark! Piantala! Piantala, ha capito? — Lo scosse di nuovo con forza. — Torniamo a Washington.

Le guance di Mark luccicavano di lagrime. Si liberò da Barry con uno strattone e riprese a camminare. E non si voltò più a guardare i cadaveri.


Barry e Bruce stavano aspettando l'arrivo di Anthony e Andrew, che avevano chiesto insistentemente un colloquio. — Si tratta ancora di lui, non è vero? — chiese Bruce.

— Suppongo di sì.

— Bisogna far qualcosa — disse Bruce. — Tu ed io sappiamo bene che non possiamo permettergli di andare avanti così. La prossima volta, esigeranno una riunione del consiglio, e sarà la fine.

Barry lo sapeva. Andrew e suo fratello entrarono e si sedettero. Entrambi avevano un'espressione truce, rabbiosa.

— Non nego che abbia avuto un brutto periodo durante l'estate — cominciò Andrew, bruscamente — non è questo il punto, adesso. Ma qualunque cosa gli sia successa, ha colpito a fondo la sua mente, e questo, sì, è il punto. Si sta comportando in un modo infantile e irresponsabile che, semplicemente, non può essere tollerato.

Più volte, nell'ultima estate, si erano tenute simili sedute. Mark aveva tracciato col miele una pista da un formicaio su per il muro, fin dentro l'alloggio dei fratelli Andrew, e le formiche avevano fatto irruzione in massa. Mark aveva inzuppato in una soluzione salina tutti i fiammiferi sui quali era riuscito a metter le mani, poi li aveva asciugati con cura rimettendoli nelle scatole: nessuno di quei fiammiferi si era acceso, e lui aveva assistito, impassibile, agli inutili sforzi dei fratelli più vecchi che uno dopo l'altro tentavano di accenderli. Mark aveva asportato tutte le targhe con i nomi da tutte le porte dei dormitori. Aveva legato insieme i piedi dei fratelli Patrick mentre dormivano, e poi si era messo a gridare — Al fuoco!

— Questa volta è andato troppo in là — dichiarò Andrew. — Ha rubato un pacco di moduli gialli d'Invito Urgente a una Visita Medica, e ha fatto accorrere dozzine di donne all'ospedale per farsi sottoporre all'esame di gravidanza. È scoppiato il caos: il nostro personale era già oberato di lavoro, e nessuno ha il tempo di porre rimedio a questa specie di follia.

— Gli parleremo noi — disse Barry.

— Questo non basta più! Gli avete parlato ormai… quante volte? Ogni volta ha promesso che non avrebbe fatto più una certa cosa, ma poi ne ha escogitate altre di peggiori. Non possiamo vivere in questo costante scompiglio!

— Andrew, Mark ha subìto una serie di shock terribili la scorsa estate. E ha dovuto sopportare troppe responsabilità per un ragazzo della sua età. Si sente terribilmente colpevole per la morte di tutti quei ragazzi. Non è innaturale per lui tornare adesso a comportarsi in maniera infantile. Dagli tempo, si riavrà.

— No! — esclamò Andrew, balzando in piedi, in preda alla furia. — No! Non gli daremo più tempo! Che cosa potrà escogitare la prossima volta? — Lanciò un'occhiata a suo fratello, che annuì. — Noi sentiamo di essere il suo bersaglio. Non voi, non gli altri; noi lo siamo. Non so perché provi questa ostilità verso di me e i miei fratelli, ma essa esiste, e noi non vogliamo esser costretti a preoccuparci continuamente per causa sua, chiedendoci che cosa combinerà la prossima volta.

Barry si alzò a sua volta in piedi: — E io ripeto che me ne occuperò personalmente.

Per un attimo Andrew lo fissò con aria di sfida, poi disse: — Molto bene. Ma, Barry, così non può durare. Questa storia deve cessare subito!

— Cesserà.

I due fratelli più giovani uscirono. Bruce si sedette. — In che modo?

— Non so. È l'isolamento. Non può sfogarsi a parlare con nessuno, non può giocare con nessuno… Dobbiamo costringerlo a partecipare… là dove gli altri sono disposti ad accettarlo.

Bruce si trovò d'accordo: — La Festa della Maturità delle sorelle Winona la prossima settimana, ad esempio?

Più tardi nello stesso giorno Barry disse a Mark che avrebbe partecipato alla festa. Mark non era mai stato accettato ufficialmente nella comunità degli adulti, nessuno avrebbe organizzato una festa soltanto per lui.

Mark scosse la testa: — No, grazie, preferisco di no.

— Non ti ho invitato — replicò Barry, severamente. — Ti ordino di essere presente e di partecipare. Hai capito?

Mark gli lanciò una rapida occhiata. — Capisco, ma ti ripeto, non voglio venirci.

— Se non ci verrai, ti trascinerò fuori da questa piccola e comoda stanza, lontano dai tuoi libri e dalla tua solitudine, e ti rimetterò nella nostra stanza, o all'ospedale, con noi, per tutto il tempo che non sarai a scuola o al lavoro. Mi hai capito?

Mark annuì, ma distolse lo sguardo da Barry. — D'accordo — disse, accigliato.

CAPITOLO VENTISEIESIMO

La festa era già cominciata quando Mark entrò nell'auditorium. Si stava danzando all'estremità opposta della sala, e fra lui e i danzatori c'era un gruppo di ragazze intente a bisbigliare fra loro. Si voltarono a guardarlo, e una di esse lasciò il gruppo. Si udirono alcune risatine, lei fece un gesto alle sorelle, invitandole a smetterla, ma le risatine continuarono.

— Ciao, Mark — disse la ragazza. — Io sono Susan.

Prima che egli si rendesse conto di ciò che lei stava facendo, Susan si era sfilata il braccialetto e stava cercando d'infilarglielo al polso. C'erano sei piccoli cerchietti appesi al braccialetto.

— No — esclamò Mark, con voce soffocata, e si scostò di scatto. — Io… No, mi spiace. — Arretrò d'un passo, e si girò e si allontanò di corsa, e le risatine cominciarono, più forti di prima.

Mark corse fino alla banchina e restò lì a fissare l'acqua nera. Non avrebbe dovuto correr via, si disse. Susan e le sue sorelle avevano diciassette anni, forse anche un po' di più. In una notte gli avrebbero insegnato tutto, pensò amaramente… e lui invece si era voltato ed era fuggito via. La musica crebbe d'intensità: ben presto avrebbero mangiato tutte quelle cose buone, poi si sarebbero allontanati a coppie, a gruppi, tutti, escluso lui, Mark, e i bambini troppo giovani per il gioco del tappeto. Pensò a Susan e alle sue sorelle e prima si sentì avvampare, poi gelare, poi avvampare di nuovo.

— Mark?

S'irrigidì. Non era proprio possibile che l'avessero seguito!, pensò, in preda al panico. Si girò allora di scatto.

— Sono Rose — lei disse, — e non ti darò il mio braccialetto, se non lo vuoi.

Si fece più vicina; Mark le voltò la schiena e finse di essere intento a scrutare qualcosa nel fiume, temendo che lei riuscisse a vederlo nel buio… a vedere il rossore che gli palpitava sul collo, sulle guance. I palmi delle sue mani erano madidi di sudore. Rose, pensò Mark, la sua età, una delle ragazze che aveva addestrato nel bosco. Per lui, arrossire di timidezza davanti a Rose era ben più intollerabile che scappar via da Susan.

— Ho da fare — disse.

— Lo so. Ti ho visto poco fa. D'accordo, non avrebbero dovuto farlo così, non tutte loro assieme. Gli avevamo raccomandato di non farlo.

Mark non rispose, e lei gli si fece accanto. — Non c'è proprio niente da vedere, non è vero?

— No. Potresti prender freddo, qua fuori.

— Anche tu.

— Che cosa vuoi?

— Niente. L'estate prossima sarò abbastanza vecchia per andare a Washington o a Filadelfia.

Mark si girò, rabbiosamente: — Vado nella mia stanza.

— Perché ti ho fatto arrabbiare? Non vuoi che vada a Washington? Non ti piaccio?

— Sì… no. Ora vado.

Lei gli appoggiò una mano sul braccio, e Mark si fermò. Si scoprì incapace di muoversi. — Posso venire con te nella tua stanza? — lei gli chiese, e ora sembrava proprio la ragazza che gli aveva chiesto nel bosco se tutti i funghi erano velenosi, se le creature che vivevano negli alberi gl'insegnavano la strada, per impedirgli di perdersi… se lui davvero poteva diventare invisibile tutte le volte che voleva.

— Torna dalle tue sorelle e ridi di me come ha fatto Susan — lui le disse.

— No — lei bisbigliò. — Mai! E poi, Susan non rideva di te. Avevano paura, per questo erano tutte così nervose. Susan era la più spaventata di tutte, perché era stata prescelta per infilarti il braccialetto. Non ridevano di te.

Mentre parlava, gli lasciò il braccio, poi si allontanò a un passo da lui, poi a un altro. Ora Mark riuscì a vedere la pallida macchia confusa del volto di lei. Rose stava scuotendo la testa mentre parlava.

— Spaventata? Che cosa intendi dire?

— Tu puoi far cose che nessun altro può fare — spiegò lei, parlando sempre con voce sommessa, quasi un sussurro. — Tu puoi fabbricare cose che nessuno ha mai visto, racconti storie che nessuno ha mai sentito, e puoi sparire e viaggiare nel bosco veloce come il vento. Tu non sei come gli altri ragazzi. E neppure come i nostri anziani. Non sei come… nessuno. E sappiamo che non ti piace nessuna di noi, perché non hai mai scelto nessuna con cui dormire.

— Perché mi hai seguito se hai tanta paura di me?

— Non lo so. Ti ho visto correre e… non lo so.

Mark si sentì nuovamente avvampare e riprese a camminare. — Non m'importa se vuoi venire con me — rispose rudemente, senza voltarsi. — Ora andrò nella mia stanza. — Il sangue gli pulsava nelle orecchie al punto che non riuscì a sentire i passi di lei. Camminò in fretta, compiendo un ampio giro intorno all'auditorium, ma sapeva che lei stava correndo per tenergli dietro. Oltrepassò poi l'ospedale, evitando di entrarvi, perché non voleva percorrere i corridoi intensamente illuminati con lei alle calcagna. Giunto all'estremità opposta dell'edificio, egli aprì l'ingresso secondario e guardò dentro prima di entrare. Lasciò andare la porta e raggiunse quasi di corsa la sua stanza, e udì il rapido scalpiccio di lei alle sue spalle.

— Che cosa stai facendo? — gli chiese Rose dalla soglia.

— Metto una coperta davanti alla finestra — lui disse, e la sua voce suonò rabbiosa perfino a lui. — Cosicché nessuno ci possa guardare. Spesso metto una coperta alla finestra.

— Ma perché?

Egli cercò di non guardarla quando discese dalla sedia, ma si scoprì più volte a lanciarle rapide occhiate. Rose stava svolgendo una lunga fascia che le girava intorno al collo, le s'incrociava sui seni e le cingeva parecchie volte la vita. La fascia era violetta, quasi l'identico colore dei suoi occhi. I suoi capelli erano bruno-chiari. Egli ricordò che durante l'estate erano stati biondi. Aveva il naso e le braccia picchiettati di lentiggini.

Finì di togliersi la fascia e ora, con un solo movimento, si sfilò la tunica. Improvvisamente le dita di Mark parvero animarsi da sole, e senza che lui lo volesse, rapidamente gli sfilarono un indumento dopo l'altro.

Più tardi lei disse che doveva andare, e lui disse non ancora, e ambedue si appisolarono abbracciati. Poi lei disse, una volta ancora: — Devo andare. — Lui si svegliò completamente: — Non ancora — esclamò. Quando Mark si svegliò la seconda volta, era mattino e Rose si stava infilando la tunica.

— Devi tornare, Rose — disse Mark. — Stanotte, dopo cena. Tornerai?

— Sì.

— Prometti. Non te ne dimenticherai?

— Non me ne dimenticherò. Lo prometto.

Egli continuò a guardarla mentre si avvolgeva intorno al corpo la fascia, e quando se ne fu andata allungò la mano verso la finestra e strappò via la coperta, cercando Rose là fuori con lo sguardo. Non la vide. Rose doveva aver attraversato l'edificio ed essere uscita dall'altra estremità. Mark si raggomitolò sul letto e tornò ad addormentarsi.

Ora, pensò Mark, lui era felice. Gli incubi erano scomparsi, gli improvvisi accessi di terrore che lui non sapeva spiegarsi avevano cessato di afferrarlo. I misteri avevano ricevuto risposta, e lui ora sapeva che cosa intendevano dire i libri quando parlavano di felicità ritrovata, un premio che si conquistava con la perseveranza. Egli esaminò il mondo con nuovi occhi, e tutto ciò che vide era bello e buono.

All'improvviso, nel mezzo della giornata, Mark si arrestava colto dai più angosciosi terrori, che lei se ne fosse andata, che si fosse smarrita, che fosse caduta nel fiume, non c'era sciagura possibile che non gli balenasse nel cervello. Egli lasciava perdere ciò che stava facendo, e correva da un edificio all'altro, cercandola, non per parlarle, soltanto per vederla, per assicurarsi che stesse bene. Qualche volta la trovava alla mensa insieme alle sue sorelle, e da lontano egli le contava, per poi cercare fra esse quella con quel qualcosa di speciale che la distingueva da tutte le altre.

Ogni notte ella veniva da lui e gli insegnava ciò che le avevano insegnato le sue sorelle e gli altri uomini; la sua gioia giunse a tali intensità che Mark si chiese come gli altri avessero potuto sopportarla prima di lui, come lui stesso potesse sopportarla.

Ogni pomeriggio egli correva alla vecchia casa, dove stava eseguendo un ciondolo. Rappresentava il sole, cinque centimetri di diametro, modellato nella creta: vi aveva applicato tre strati di pittura gialla; ve ne aggiunse un quarto. Nella vecchia casa rilesse i capitolo sulla fisiologia, le reazioni sessuali, la femminilità, tutto ciò che riuscì a trovare che in qualche modo trattasse della sua felicità.

Una notte, ben presto, lei avrebbe detto di no, ed egli le avrebbe offerto il ciondolo per mostrarle che capiva, e le avrebbe letto qualcosa. Poesie. Sonetti di Shakespeare o di Wordsworth, qualcosa di tenero e romantico. E dopo le avrebbe insegnato a giocare a scacchi, ed essi avrebbero trascorso delle serate platoniche, imparando tutto ciò che c'era da imparare l'uno dall'altro.

Diciassette notti, pensò, ad aspettare che giungesse quel momento. La coperta era tesa a coprire la finestra, la sua stanza era pulita, preparata. Quando la porta della sua stanza si aprì e Andrew comparve sulla soglia, Mark balzò in piedi in preda al panico.

— Che cosa c'è che non va? È successo qualcosa a Rose? Che cosa è successo?

— Vieni con me — disse imperiosamente Andrew. Dietro di lui Mark intravide uno dei suoi fratelli.

— Dimmi che cosa c'è che non va! — urlò Mark, e cercò di scivolar oltre i due fratelli, fuggendo via di corsa, ma i due dottori lo agguantarono per le braccia e lo trattennero. — Ti porteremo da lei — fece Andrew.

Mark smise di divincolarsi e una nuova freddezza sembrò impadronirsi di lui. Senza profferir parola attraversarono l'edificio, uscirono all'estremità opposta, e seguendo i sentieri scavati in mezzo alla neve raggiunsero uno dei dormitori. Ora Mark riprese a lottare, ma subito desistette e permise che lo conducessero fino a una delle stanze. Si arrestarono davanti alla porta, poi Andrew diede a Mark una leggera spinta ed egli irruppe dentro da solo.

— No! — gridò. — No!

C'era un groviglio di corpi nudi che si facevano l'un l'altro tutte le cose di cui ella gli aveva parlato. Al suo grido d'angoscia ella sollevò la testa, così come fecero tutti gli altri, ma lui seppe che era Rose colei che i suoi occhi avevano scelto istintivamente. Era inginocchiata, un fratello era dentro di lei; ella aveva appena strofinato il naso contro una delle sorelle.

Poté vedere le loro bocche che si muovevano, seppe che stavano parlando, urlando. Mark si girò di scatto e si mise a correre. Andrew gli si parò dinanzi, la sua bocca si aprì, si chiuse, si riaprì. Mark serrò la mano a pugno e colpì alla cieca, prima Andrew, poi l'altro dottore.


— Dov'è? — chiese Barry. — Dov'è andato a quest'ora di notte?

— Non lo so — disse Andrew imbronciato. Aveva la bocca gonfia, e gli faceva male.

— Non avresti dovuto fargli questo! È naturale che la sua prima esperienza del sesso l'abbia eccitato tanto! Che cosa credevi che gli sarebbe successo? Non ha mai avuto rapporti con nessuno! Perché questa sciocca ragazza è venuta da te?

— Lei non sapeva che cosa fare. Aveva paura di dirgli di no. Aveva cercato di spiegargli tutto, ma lui non aveva voluto ascoltare. Le ordinava di ritornare notte dopo notte.

— Perché non siete venuti da noi ad informarci? — chiese Barry con amarezza. — Che cosa ti ha fatto pensare che un simile trattamento traumatizzante avrebbe risolto il problema?

— Sapevo che avresti detto di lasciarlo in pace. Lo dici qualunque cosa lui faccia. Lasciatelo in pace, le cose si aggiusteranno da sole. Ero più che convinto che non si sarebbero aggiustate.

Barry andò alla finestra e guardò la notte fredda e nera. Lo spessore della neve superava il metro, e quasi ogni notte la temperatura scendeva intorno allo zero.

— Tornerà quando farà troppo freddo — disse Andrew. — Tornerà infuriato con tutti noi, e con me in particolare. Ma tornerà. Noi siamo tutto quello che ha. — Si voltò e se ne andò.

— Ha ragione — disse Bruce. La stanchezza era disegnata sul suo volto. Barry gli lanciò un'occhiata, poi guardò gli altri che erano rimasti silenziosi mentre Andrew riferiva. Erano preoccupati per il ragazzo quanto lui, e stanchi quanto lui della catena infinita di guai causati da Mark.

— Non può andare alla vecchia casa — fece Bruce, un attimo dopo. — Sa che là dentro finirà per gelare. Il camino è ostruito, non potrà accendere il fuoco. E allora… il bosco. Ma neppure lui può sopravvivere nel bosco, in una notte come questa.

Andrew aveva mandato una dozzina di fratelli più giovani a perquisire tutti gli edifici, perfino gli alloggi delle riproduttrici; un altro gruppo era stato mandato alla vecchia casa, per darle ad ogni buon conto un'occhiata. Non avevano trovato alcun segno di Mark.

E verso l'alba ricominciò a nevicare.


Mark aveva trovato la caverna per puro caso. Un giorno, raccogliendo bacche sul dirupo sovrastante la fattoria, aveva sentito una corrente d'aria fredda soffiargli sulle gambe nude, e ne aveva scoperto l'origine. Un buco nella collina, il punto dove due rocce calcaree si univano, ma sfalsate di qualche metro, lasciando quindi un'intercapedine di forma irregolare. Ce n'erano altre di simili cavità: Mark ne aveva trovate parecchie; e poi c'era la grande caverna che ospitava i laboratori.

Mark aveva scavato dietro una lastra calcarea, allargando la fessura quel tanto che gli aveva consentito di passare. La caverna iniziava con uno stretto cunicolo, poi si allargava in una cavità più ampia, nuovamente si restringeva, per aprirsi infine in una seconda cavità di rispettabili dimensioni. Col passare degli anni, da quando l'aveva scoperta, Mark vi aveva portato dentro legna da ardere, indumenti, coperte, cibo.

Quella notte egli si rannicchiò nella seconda cavità e fissò, impassibile, il fuoco che aveva acceso, certo che nessuno l'avrebbe mai scoperto. Li odiava tutti, soprattutto Andrew e i suoi fratelli. Non appena la neve si fosse sciolta, sarebbe scappato via, per sempre. Sarebbe andato a sud. Si sarebbe costruito una canoa più lunga, questa volta di cinque metri e mezzo, e avrebbe rubato provviste sufficienti a proseguire il viaggio fino al Golfo del Messico. Che addestrassero da soli i ragazzi e le ragazze, che scovassero loro i depositi con quel materiale tanto prezioso, che schivassero le distese radioattive pericolose, se ci riuscivano. Egli avrebbe bruciato tutto, nella valle. Poi sarebbe partito.

Fissò le fiamme fino a quando non sentì gli occhi ardergli per la luce vivida e il calore. Non c'erano voci, nella caverna, soltanto il fuoco che scoppiettava e crepitava. Le fiamme traevano sprazzi di luce dalle stalattiti e dalle stalagmiti, barbagli rossi e dorati. Invisibili correnti tenevano discosto il fumo dal suo viso, l'aria era buona, là dentro, e dopo il gelo della notte, là fuori, il calore gli accarezzava il corpo, piacevolmente. Pensò a quando lui e Molly si erano nascosti sul fianco della collina accanto all'ingresso della caverna, mentre Barry e i suoi fratelli li cercavano. Il pensiero di Barry lo spinse a torcere la bocca. Barry, Andrew, Warren, Michael, Ethan… tutti dottori, tutti uguali. Come li odiava!

Si arrotolò nella sua coperta e quando chiuse gli occhi vide di nuovo Molly, che gli sorrideva dolcemente mentre giocava a scacchi con lui, o quand'era intenta a scavare il fango perché lui lo modellasse. E, all'improvviso, le lagrime gli sgorgarono dagli occhi.

Lui non aveva mai esplorato la caverna oltre la seconda cavità, ma nei giorni successivi iniziò un'esplorazione sistematica. C'erano molte piccole aperture sulle pareti della cavità, ed egli penetrò in tutte, ispezionandole una ad una con cura, finché non era costretto a fermarsi a causa di un cunicolo bloccato, di un precipizio, o di un soffitto così alto che gli era impossibile arrivare fin lassù a cercare gli imbocchi di altre gallerie. S'illuminava la strada con torce, non poche volte si comportò imprudentemente, scalando le rocce, ma non gl'importava di cadere. Ben presto perse il conto dei giorni che aveva trascorso nella caverna; quando aveva fame, mangiava, quando aveva sete, andava all'ingresso, raccoglieva un po' di neve e la portava dentro dove la faceva fondere. Dormiva quando aveva sonno.

Durante una delle sue ultime escursioni esplorative udì dell'acqua scorrere, e si arrestò di colpo. Sapeva di aver percorso un lungo tratto, più di un miglio, forse due. Cercò di ricordare quanto fosse lunga la sua torcia quando si era incamminato. Era stata quasi intera, ricordò, e ora era ridotta a meno di un terzo. Portava appesa una seconda torcia alla cintura in caso di bisogno, ma non era mai andato, prima, così avanti da aver bisogno della seconda torcia per ritornare indietro.

Prima di giungere alla caverna in cui scorreva il fiume dovette accendere la seconda torcia. Ora provò una rinnovata eccitazione, quando si rese conto che quella doveva essere la stessa acqua che scorreva attraverso la caverna del laboratorio. Si trattava di un unico sistema idraulico, dunque, e i due sistemi di caverne erano collegati proprio dal passaggio che si era scavato il fiume, perché non erano state trovate aperture.

Mark seguì il fiume fino a quando esso non sparì in un buco della parete della caverna; avrebbe dovuto gettarsi sott'acqua e nuotare, se avesse voluto proseguire. Si accovacciò e fissò il buco. Il fiume compariva nella caverna del laboratorio proprio attraverso un buco simile a quello.

Decise che sarebbe ritornato lì in seguito, meglio fornito di corde e di torce, e si voltò per far ritorno alla grande cavità dove lo aspettavano il fuoco e il cibo. Ora prestò attenzione alla torcia, così da poter calcolare quanta distanza stava percorrendo, quanto fosse lontana dalla sua caverna quella parete rocciosa che lo separava dall'altro tratto del mondo sotterraneo che gli era così familiare, coi suoi laboratori che sull'altro lato erano in comunicazione con l'ospedale oltre il quale vi era la zona dei dormitori.

Dormì ancora una volta nella sua caverna; il giorno seguente la lasciò e fece ritorno alla comunità. Egli aveva mangiato molto poco negli ultimi giorni; aveva fame ed era molto stanco.

La neve aveva considerevolmente aumentato il suo spessore dalla notte in cui era fuggito, e quando sbucò fuori nella valle stava ancora nevicando. Era quasi buio quando arrivò all'edificio dell'ospedale ed entrò. Vide parecchie persone, ma non parlò con nessuna e si recò direttamente nella sua stanza; qui si sfilò parte dei vestiti e cadde sul letto.

Era quasi addormentato quando Barry comparve improvvisamente sulla soglia.

— Ti senti bene? — gli chiese Barry.

Mark annuì in silenzio. Barry esitò un attimo, poi entrò. Si fermò accanto al letto. Mark sollevò lo sguardo su di lui senza parlare. Barry allungò la mano, gli toccò le guance, poi i capelli.

— Hai freddo? — disse. — Hai fame?

Mark annuì.

— Ti porterò qualcosa — annuì Barry. Ma prima di aprire la porta si girò di nuovo. — Mi spiace — disse. — Mark, mi spiace veramente. — E se ne andò in fretta.

Quando Barry se ne fu andato, Mark si rese conto che l'avevano creduto morto e l'espressione che aveva visto sul volto di Barry era la stessa che ricordava di aver visto sulla faccia di Molly molto tempo prima.

Ma non gì'importava… non gl'importava affatto, pensò. Ora non potevano fare assolutamente nulla per rimediare a ciò che avevano perpetrato contro di lui. Essi lo odiavano e credevano che lui fosse debole, pensavano di poterlo controllare così come facevano con i cloni. Ma si sbagliavano. Non era sufficiente che Barry dicesse che era pentito; tutti si sarebbero pentiti, prima che lui l'avesse finita con loro.

Quando sentì che Barry tornava col cibo, chiuse gli occhi e finse di essere addormentato: non voleva vedere un'altra volta quell'espressione tenera e vulnerabile.

Barry lasciò giù il vassoio, e quando se ne fu andato, Mark mangiò voracemente. Poi s'infilò nuovamente sotto la coperta e prima di addormentarsi pensò di nuovo a Molly. Lei aveva saputo che lui avrebbe finito per sentirsi così e gli aveva detto di aspettare… di aspettare finché non fosse diventato uomo e, prima, d'imparare tutto ciò che poteva. Il volto di Barry e quello di Molly sembrarono fondersi, ed egli si addormentò.

CAPITOLO VENTISETTESIMO

Andrew aveva indetto una riunione, dirigendola con polso fermo dall'inizio alla fine. Nessuno, adesso, metteva in discussione la sua autorità e il suo diritto a presiedere le riunioni del consiglio. Barry l'osservava da una sedia posta in disparte, e si sforzò di provare almeno un po' dell'eccitazione che sembrava invadere il più giovane fratello.

— Quelli di voi che vogliono dare un'occhiata alla documentazione e ai grafici, lo facciano subito, per favore. È un riassunto assai breve, che non si addentra troppo nelle nuove tecniche. Ma posso dirvi fin d'ora, con certezza, che potremo riprodurci indefinitamente attraverso la clonazione. Abbiamo finalmente risolto il problema che ci ha afflitto fin dall'inizio, l'apparentemente inarrestabile declino della quinta generazione. D'ora in poi, la quinta, la sesta, la decima… la centesima, se vorremo, saranno tutte perfette.

— Ma soltanto i cloni ottenuti dai più giovani sopravvivono — osservò Miriam, asciutta.

— Troveremo una soluzione anche a questo — ribatté Andrew, in tono impaziente. — Certi organismi reagiscono all'azione di alcuni particolari enzimi con quello che sembra quasi un collasso allergico. Noi scopriremo il perché ed elimineremo il difetto.

Miriam sembrava molto invecchiata, Barry se ne rese conto all'improvviso. Non l'aveva mai notato prima di allora, ma i suoi capelli erano bianchi e il suo volto scarno, una rete di linee sottili intorno agli occhi. Sembrava irrimediabilmente stanca. Fissò Andrew con un sorriso disarmante: — Andrew, immagino che voi finirete senz'altro per risolvere questo problema — disse, — ma intanto, avete pensato a come evitare il declino delle facoltà inventive?

— Ci serviremo delle riproduttrici — replicò Andrew con una punta d'impazienza. — Le useremo per ottenere attraverso la clonazione bambini particolarmente dotati. In altre parole, praticheremo regolarmente l'implantazione dei nostri cloni usando le riproduttrici come ospiti, per assicurarci la continua presenza di adulti, tra la popolazione, capaci d'intraprendere nuove ricerche, di elaborare nuovi progetti, di amministrare gli affari della comunità…

L'attenzione di Barry cominciò a divagare. I dottori avevano riesaminato tutto prima della riunione del consiglio: qui non si sarebbe udito niente di diverso. Due caste, pensò. I capi e gli operai, questi ultimi sempre sacrificabili. Era questo che avevano previsto all'inizio? Sapeva che quella domanda sarebbe rimasta senza risposta. Erano i cloni a scrivere i libri, e ad ogni generazione essi si erano sentiti liberi di cambiarli da cima a fondo per adattarli alle loro convinzioni. Lui stesso, del resto, era stato l'autore di alcuni di quei cambiamenti. E adesso Andrew li avrebbe cambiati di nuovo. Sarebbe stato l'ultimo cambiamento; nessuno dei nuovi avrebbe mai pensato di cambiare qualcosa.

— … perfino più oneroso, in termini di mano d'opera, di quanto ci aspettassimo — stava dicendo Andrew. — I ghiacciai stanno avanzando su Filadelfia con velocità sempre maggiore. Forse fra due o tre anni non sarà più possibile salvare alcunché, e questo ci costerà caro. Avremo un assoluto bisogno di centinaia di esploratori che si spingano molto più a sud e a est fino alle città costiere. Ora disponiamo di alcuni eccellenti campioni: i fratelli Edward si sono dimostrati particolarmente adatti a procurarci i rifornimenti che più ci servono, come anche le vostre sorelle più piccole, le sorelle Ella. Ci serviremo di loro.

— Le mie piccole sorelle Ella non riuscirebbero a riportare un paesaggio su una mappa neanche appendendole per le caviglie e minacciandole di tagliarle a fette centimetro per centimetro finché non l'avranno fatto — replicò Miriam, in tono acido. — È proprio questo che intendo dire. Possono fare soltanto le cose che gli sono state insegnate, e nell'esatto modo in cui gli sono state insegnate.

— Non sapranno disegnare mappe, ma potranno sempre ritornare dove sono già state una volta — replicò Andrew, non cercando più di nascondere il suo scontento per la piega che stava prendendo la riunione. — È tutto quello che vogliamo che facciano. I cloni impiantati penseranno per loro.

— Dunque, se ho ben capito — esclamò Miriam, — cambiando la formula si otterrà soltanto quel nuovo tipo di cloni di cui ci hai parlato.

— Esatto. Ma non possiamo far funzionare contemporaneamente due diverse produzioni, due differenti reti distributive di soluzioni chimiche, trattare due tipi diversi di cloni. Per ora continueremo col metodo finora usato, e nel frattempo lavoreremo a perfezionare sempre più il nuovo, te lo garantisco. Aspetteremo fino a quando i serbatoi saranno vuoti, fra sette mesi, poi effettueremo i cambiamenti. E stiamo elaborando un orario di lavoro per clonare nel modo migliore i membri del consiglio, e chiunque altro sia in grado di svolgere mansioni direttive. Non ci stiamo tuffando precipitosamente in un nuovo procedimento senza considerare ogni aspetto, te lo garantisco, Miriam. Vi terremo tempestivamente informati dei nostri progressi…


In una capanna dal tetto di paglia fittamente intrecciata vicino al mulino Mark era appoggiato su un gomito a guardare la ragazza al suo fianco. Ella aveva la sua età, diciannove anni. — Hai freddo? — le chiese.

La ragazza annuì: — Non potremo continuare a farlo ancora per molto.

— Potresti incontrarmi alla vecchia fattoria — lui le propose.

— Lo sai che non posso.

— Che cosa ti succederà, se oserai superare il confine proibito? Salterà fuori un drago e ti sputerà addosso fuoco e fiamme?

La ragazza scoppiò a ridere.

— Seriamente, che cosa succede? Ci hai mai provato?

Lei non rispose; si rizzò a sedere stringendosi le braccia intorno al corpo nudo. — Ho freddo, sai? Sul serio. Devo vestirmi.

Mark afferrò la tunica della ragazza e la tenne fuori dalla sua portata. — Prima devi dirmi che cosa succede.

Lei cercò di ghermire la tunica, la mancò e gli cadde addosso di traverso, e per un attimo giacquero così, l'una sull'altro. Lui le fece scivolare sul corpo una coperta, e le accarezzò la schiena. — Che cosa succede?

Lei sospirò e si scostò da lui: — L'ho provato una volta — disse. — Volevo tornare a casa dalle mie sorelle. Gridai e gridai, e questo non servì. Potevo vedere le luci e sapevo che esse erano soltanto a poche decine di metri da me. Mi misi a correre, ma cominciai a sentirmi strana, debole. Fui costretta a fermarmi. Ma ero decisa ad arrivare al dormitorio. Allora mi misi a camminare non troppo in fretta, pronta ad afferrarmi a qualunque appiglio se mi fossi sentita svenire. Quando fui più vicina alla linea vietata — è una siepe, sai?, soltanto una siepe di rose, aperta a entrambe le estremità, per cui non è affatto difficile aggirarla — quando fui più vicina, dunque, la sensazione mi afferrò di nuovo e sembrò che tutto si mettesse a girare. Attesi a lungo, ma non cessò. Pensai che se avessi tenuto gli occhi fissi sulla punta dei miei piedi, senza prestare la minima attenzione a nient'altro, sarei riuscita lo stesso a camminare. Ripresi ad avanzare. — Ora giaceva rigida accanto a lui, la sua voce un bisbiglio quasi inudibile quando proseguì: — E cominciai a vomitare. E continuai a vomitare fino a quando non rimase più niente dentro di me, e allora rigurgitai sangue. Credo di aver perduto completamente i sensi. Mi risvegliai nella stanza delle riproduttrici.

Mark le sfiorò una guancia con dolcezza e l'attirò accanto a sé. La ragazza era scossa da un violento tremito. — Shhh, shhh — la calmò Mark. — Va tutto bene. Ora stai bene.

Non c'era nessun muro che le trattenesse, pensò Mark, accarezzandole i capelli. Nessun reticolato le imprigionava, eppure non potevano accostarsi al fiume; non potevano avvicinarsi al mulino più di quanto ella vi fosse vicina adesso; non potevano attraversare la siepe di rose, o entrare nel bosco. Ma Molly l'aveva fatto, pensò lui, risolutamente. E anch'esse ci sarebbero riuscite.

— Devo tornare — ripeté lei, poco dopo. Quell'espressione ossessionata le si era nuovamente dipinta sul volto. Il vuoto, lei l'aveva chiamata. — Tu non sai che cosa vuol dire — riprese, cercando di spiegarsi. — Noi non siamo individui separati, capisci? Le mie sorelle ed io eravamo una cosa sola, un'unica creatura, ed ora io sono un frammento staccato di quella creatura. A volte riesco a dimenticarlo per un po', ma torna sempre, e torna il vuoto. Se tu potessi rivoltarmi come un guanto, vedresti che dentro di me non c'è niente.

— Brenda, prima devo parlarti — disse Mark. — Tu sei qui da quattro anni, non è vero? E hai avuto due gravidanze. Ed è quasi giunto il momento della terza, non è vero?

Lei annuì e s'infilò la tunica.

— Brenda, ascolta, questa volta non sarà come prima. Hanno in progetto di usare le riproduttrici per clonare loro stessi… impiantando dentro di voi cellule clonate. Capisci ciò che intendo dire? — Lei scosse la testa, ma stava ascoltando, attenta.

— Dunque. Hanno cambiato qualcosa nelle sostanze chimiche che usano per i cloni nei contenitori. Ora possono clonare la stessa persona quante volte vogliono, ma ottenendo… un neutro, per così dire. I nuovi cloni non possono pensare da soli; non possono concepire, non possono fecondare, non avranno mai figli propri. E i membri del consiglio hanno paura che in tal modo vadano perdute le loro capacità scientifiche, le specializzazioni, l'abilità di Miriam nel disegnare, ad esempio, la sua memoria eidetica: tutto ciò andrebbe rapidamente perduto, se non si garantiranno la sua conservazione attraverso la clonazione… ma con una tecnica diversa. Per conservare queste qualità, non metteranno questi cloni «superiori», per così dire, nei contenitori, come gli altri, ma useranno le donne fertili come ospiti. Impianteranno nei vostri uteri cloni a gruppi di tre… trigemini. E nel giro di nove mesi avrete tre nuovi Andrew o tre nuove Miriam, o Lawrence, o chiunque altro di loro. Useranno a tale scopo le donne più sane e robuste. E continueranno a usare la fecondazione artificiale per le altre. E quando uno dei figli di queste manifesterà un nuovo talento, di cui essi possano servirsi, si affretteranno a clonarlo parecchie volte, impianteranno i cloni nei vostri corpi, e ne otterranno tanti come lui.

Ora lei lo stava fissando, stupita per tanta veemenza. — Che differenza fa? — chiese. — Se questo è il modo migliore di servire la nostra comunità, allora perché non farlo?

— I nuovi bambini che nasceranno dai contenitori non avranno, invece, neppure un proprio nome — replicò Mark. — Saranno tutti Bennie, o Bonnie, o Annie e così pure i loro cloni e i cloni dei cloni, per tutte le future generazioni.

Brenda si allacciò i sandali senza parlare.

— E tu, quante serie di trigemini pensi che il tuo corpo riuscirà a produrre? Tre? Quattro?

Ma lei non l'ascoltava più.


Mark salì la collina sovrastante la vallata e si sedette su una roccia calcarea a guardare la gente, là sotto, alla fattoria che anno dopo anno si era estesa fino a riempire, con le sue coltivazioni, l'intera valle fin laggiù, alla curva del fiume. Soltanto la vecchia casa era un'oasi di alberi nei campi autunnali, ora deserti e scabri. Il bestiame si stava spostando lentamente verso le stalle e i grandi silos. Un gruppo di ragazzini comparve alla sua vista giocando a qualcosa che richiedeva un gran correre, rotolarsi per terra e correre di nuovo. Venti o anche più bambini giocavano insieme. Egli era troppo lontano per udire le loro voci, ma sapeva che stavano ridendo.

— Che cosa c'è di male? — esclamò, e fu sorpreso dal suono della sua voce. Il vento agitava gli alberi, ma non vi furono bisbigli, nessuna parola in risposta.

Essi erano contenti, perfino felici, e lui, l'estraneo, nel suo scontento avrebbe distrutto ciò per soddisfare i suoi desideri egoistici. Chiuso nella sua solitudine, avrebbe sconvolto un'intera comunità prospera e soddisfatta.

Sotto di lui, comparvero alla sua vista le sorelle Ella, dieci sorelle, ognuna la copia carbone di sua madre. Per un attimo la visione di Molly, che faceva capolino da dietro un cespuglio ridendo di lui, gli balenò nella mente. Ma subito quell'immagine svanì, e Mark seguì con lo sguardo le ragazze che si dirigevano verso il dormitorio. Tre sorelle Miriam uscirono fuori, e i due gruppi si fermarono, parlando tra loro.

Mark ricordò come Molly avesse fatto vivere la gente sulla carta, un tocco qui, una sfumatura lì, un sopracciglio leggermente sollevato, una ruga ad arte troppo calcata, sempre con qualcosa di non proprio esatto, ma che faceva sì che lo schizzo prendesse vita… Esse non potevano farlo, lo sapeva. Né Miriam, né le piccole sorelle Ella, nessuna di loro. Quella capacità era scomparsa, forse perduta per sempre. Ogni generazione perdeva qualcosa, che non veniva mai recuperato. Spesso neppure si accorgeva di averlo perduto, eppure…

I fratelli più giovani di Everett non erano in grado di far fronte a un guasto imprevedibile dei computer, non sarebbero stati in grado d'improvvisare alcunché per salvare i feti nei contenitori, se l'elettricità fosse mancata per parecchi giorni.

Fino a quando gli anziani avessero continuato a prevedere ogni possibile problema che avrebbe potuto presentarsi, addestrando i giovani cloni a risolverlo, essi erano al sicuro; ma una delle caratteristiche degli incidenti era appunto di essere, spesso, imprevedibili. Il primo incidente grave, non previsto, avrebbe potuto distruggere tutto, nella valle, semplicemente perché nessuno dei giovani cloni era stato addestrato ad affrontarlo.

Egli ricordò una conversazione che aveva avuto con Barry: — Noi siamo in cima a una piramide — aveva detto, — sostenuta da una massiccia base. Ci ergiamo sopra tutto e tutti. Non ci chiediamo come questo sia stato, e sia ancora, possibile. L'accettiamo, ma non ci sentiamo responsabili della sua struttura, poiché non dobbiamo risponderne a nessuno sopra di noi. Riteniamo di non dover nulla alla piramide, anche se dipendiamo completamente da essa. Ma se la piramide un giorno si sgretolerà, come è ineluttabile, e tornerà nella polvere, noi non potremo far niente per impedirlo, anche soltanto per salvare noi stessi. Quando la base si sfascerà, la cima si sfascerà con essa, non importa quanto sia complessa ed evoluta la vita che vi si è sviluppata. La cima tornerà alla polvere insieme alla base, quando avverrà il crollo. Una nuova struttura potrà sorgere soltanto partendo dal basso, dal suolo, non dalla cima di ciò che è stato edificato durante i secoli trascorsi.

— Ma tu in tal modo vorresti trascinarci di nuovo alla barbarie!

— Ci aiuterebbe a scendere in tempo dalla cima della piramide che sta marcendo, a non farci travolgere dal crollo. La neve e il ghiaccio da un lato, il clima e l'età dall'altro… Crollerà, e quando accadrà questo, gli unici in grado di sopravvivere saranno quelli che l'hanno abbandonata in tempo, che non dipenderanno in alcun modo da questa piramide.

Le città sono morte, gli aveva detto Molly, ed era vero. Ironia della sorte, la tecnologia che rendeva possibile la vita che essi conducevano nella valle sarebbe stata in grado di sostenere quel tipo d'esistenza solo quel tanto che bastava a condannare ogni possibilità di ripresa, quando la piramide avesse cominciato a sfasciarsi. La cima sarebbe scivolata su uno dei fianchi, sprofondando per prima, o quasi, tra le macerie sul fondo, trascinando con sé tutto quel bagaglio di meravigliose tecnologie, perfette quanto inutili.

Nessuno capiva in realtà il computer, pensò Mark; sapevano manovrarlo, niente più. Proprio come nessuno, eccettuati i fratelli Lawrence, capiva l'imbarcazione a ruote e la macchina a vapore che la faceva muovere. I fratelli più giovani potevano riparare il computer e le barche, rimettendoli nelle condizioni iniziali, fino a quando fosse stato disponibile il materiale per farlo, ma essi non sapevano niente del perché e del come funzionavano, il computer e l'imbarcazione a pale. Se fosse venuto a mancare un dato tipo di vite, nessuno di loro sarebbe stato in grado di escogitare qualcosa di diverso per sostituirla. In questo si nascondeva l'ineluttabilità della distruzione della valle e di tutti quelli che l'abitavano.

Ma, ricordò, essi erano felici… quando vide le prime luci accendersi laggiù. Perfino le riproduttrici erano contente: erano ben curate, viziate, se poste a confronto con quelle che partivano ogni estate nelle missioni esplorative alla ricerca del materiale indispensabile, sempre più scarso e difficile, e con quelle che lavoravano per lunghe ore nei campi e negli orti. E se si sentivano troppo sole, c'era il conforto delle droghe.

Erano felici perché non avevano abbastanza immaginazione per guardare avanti, pensò, e chiunque tentasse di aprir loro gli occhi sui gravi pericoli incombenti, era un nemico della comunità. Luì stesso, sconvolgendo la loro perfetta esistenza, era diventato un nemico.

Il suo sguardo inquieto continuò a vagare per la valle, e alla fine si fermò sul mulino, e come il suo antenato prima di lui, egli comprese che quello era il tallone d'Achille, il punto in cui la valle era più vulnerabile.

Aspetta fino a quando sarai uomo, gli aveva detto Molly. Ma lei non si era resa conto che ogni giorno che passava il pericolo per lui aumentava. Che ogni volta che i fratelli Andrew discutevano del suo futuro, erano sempre meno inclini a concedergli un futuro. Egli studiò il mulino, riflettendo tristemente. Era scolorito, d'un biancore quasi argenteo, chiazzato di rosso ruggine, bruno e oro e circondato dal verde perenne dei pini e degli abeti. Gli sarebbe piaciuto ridipingerlo, il pensiero gli era venuto all'improvviso e lo fece scoppiare a ridere. Mark si alzò in piedi. Non aveva tempo per una cosa del genere. Il tempo era diventato il suo problema; doveva procurarsi altro tempo, e questo proprio mentre essi potevano decidere in qualunque momento che, concedendogli tempo, mettevano in pericolo tutti loro. Balzò nuovamente a sedere; studiò nuovamente il mulino e i suoi dintorni, socchiudendo le palpebre, ma questa volta non c'era alcuna sfumatura di allegria nel suo sguardo.


La riunione del consiglio proseguì per la maggior parte della giornata, e quand'ebbe fine Miriam chiese a Barry di fare quattro passi con lei. Barry la fissò, perplesso. Lei scosse la testa e lo sollecitò a uscire. Si diressero al fiume e quando furono nascosti alla vista degli altri, lei finalmente disse: — Vorrei che tu mi facessi un favore, se non ti spiace. Vorrei visitare la vecchia fattoria. Puoi farmi entrare?

Barry si fermò, stupito: — Perché?

— Non so perché. C'è qualcosa che mi spinge a vedere i dipinti di Molly. Io non li ho mai visti. Mai.

— Ma perché?

— Puoi farmi entrare?

Barry annuì. Ripresero a camminare. — Quando vuoi andarci?

— Subito… o è troppo tardi?

L'ingresso posteriore della casa era sbarrato da assi malamente fissate. Non ebbero neppure bisogno di un piede di porco per svellerne un paio. Barry la condusse su per le scale, tenendo alta la lampada a olio, proiettando strane ombre sulla parete accanto a lui. La casa dava l'impressione di essere molto vuota e squallida, come se Mark l'avesse disertata da lungo tempo.

Miriam fissò i dipinti in silenzio, senza toccarli, le mani strette sul petto mentre passava dall'uno all'altro. — Dovremmo portarli via di qua — disse. — Qua dentro finiranno per marcire e distruggersi.

Quando giunse alla testa di Molly, scolpita nel legno da Mark, la sfiorò quasi con reverenza. — È lei — disse con voce sommessa. — Mark ha ereditato il suo dono, non è vero?

— Ha il dono — annuì Barry.

Miriam appoggiò una mano sulla testa scolpita: — Andrew progetta di ucciderlo.

— Lo so.

— Ha servito al suo scopo. Ora rappresenta una minaccia e deve scomparire.

Fece scorrere il dito lungo una guancia di noce. — Guarda, è troppo alta e marcata, ma questo la rende ancora più simile a lei, e non meno. Non capisco perché sia così. E tu?

Barry scosse la testa.

— Cercherà di salvarsi? — chiese Miriam senza guardarlo, con voce rigidamente impassibile.

— Non lo so. Come può farlo? Non può sopravvivere da solo nei boschi. Andrew non gli permetterà di rimanere nella comunità per molti mesi ancora.

Miriam sospirò e ritrasse la mano dalla testa scolpita. — Mi spiace — bisbigliò, e non fu chiaro se si fosse rivolta a lui, Barry, o a Molly.

Barry si avvicinò alla finestra che sovrastava la valle e guardò attraverso la fessura che Mark aveva allargato fra le assi. Com'era bello, pensò, le ombre della sera che si addensavano, con le luci che ardevano pallide in distanza e le colline, nere, che circondavano il tutto. — Miriam — le chiese, — se tu conoscessi un modo per aiutarlo, lo faresti?

Per un lungo attimo lei restò silenziosa, e Barry pensò che non avrebbe risposto. Poi Miriam disse: — No. Andrew ha ragione. Anche se ora egli non rappresenta una minaccia fisica, la sua presenza è dolorosa. È come se egli fosse il ricordo di qualcosa che è troppo elusivo per essere afferrato, qualcosa di pericoloso, mortale, perfino. In sua presenza noi ci sforziamo sempre, istintivamente, di riafferrarlo, e non ci riusciamo mai. Questa tensione, questa continua sofferenza, cesseranno quando lui non ci sarà più, non prima. — Si avvicinò anche lei alla finestra. — Fra un anno o due egli ci minaccerà in altri modi… Quella è importante. — Indicò con un cenno del capo la valle. — Non un singolo individuo, anche se la sua morte sarà uno strazio, per noi due.

Allora Barry le passò un braccio intorno alle spalle, e restarono li a guardar fuori. All'improvviso, Miriam s'irrigidì ed ebbe un'esclamazione soffocata: — Guarda, un incendio!

Una fioca linea di luce prese forza e consistenza in pochi attimi, mentre guardavano, allargandosi in entrambe le direzioni, scindendosi in due linee che si spostavano verso il basso e verso l'alto.

— Appiccherà il fuoco al mulino! — gridò Miriam, e si precipitò dalla finestra verso le scale. — Vieni, Barry! È subito sopra il mulino!

Barry restò come pietrificato accanto alla finestra, provando un dolore come se quelle linee di fuoco lo trafiggessero. Era stato lui a farlo, pensò. Mark stava cercando di bruciare il mulino.

CAPITOLO VENTOTTESIMO

Centinaia di persone si sparpagliarono lungo il fianco della collina per spegnere l'incendio degli arbusti. Altri battevano il terreno intorno al generatore, per accertarsi che nessuna scintilla venisse soffiata dal vento in quella direzione. Le pompe, subito messe in funzione, inzupparono alberi e cespugli, ma soprattutto il tetto della grande costruzione di legno. Ma quasi subito la pressione dell'acqua venne a mancare, e un secondo, più grave problema si aggiunse al primo.

Il flusso torrenziale che alimentava gli impianti si era ridotto a un rivolo. In tutta la valle le luci si spensero quando tutta l'elettricità residua fu deviata al laboratorio. Il sistema ausiliario entrò in funzione e fece sì che il laboratorio continuasse a funzionare, ma a corrente ridotta. Tutto fu spento, fuorché i circuiti direttamente collegati col sistema di sopravvivenza dei cloni.

Per tutta la notte gli scienziati, i dottori, i tecnici, si affannarono per superare la crisi. Si erano addestrati con sufficiente frequenza, per sapere che cosa doveva esser fatto esattamente in una simile emergenza, e nessun clone andò perduto, ma ugualmente delicate attrezzature avevano subito danni permanenti per quell'arresto incontrollato.

Altri gruppi di uomini cominciarono a risalire il fiume per scoprire la causa del diminuito flusso dell'acqua. Alle prime luci dell'alba essi incapparono in una slavina che aveva quasi completamente ostruito l'alveo, e subito si misero al lavoro per sgomberarlo.


— Hai tentato tu di bruciare il mulino? — chiese Barry.

— No. Se avessi voluto bruciarlo, avrei appiccato il fuoco direttamente al mulino, non certo al bosco. Se avessi voluto bruciarlo, ti garantisco, l'avrei bruciato. — Mark era in piedi davanti alla scrivania di Barry, né insolente, né spaventato. Attese.

— Dove sei stato tutta la notte?

— Nella vecchia casa. Stavo leggendo di Norfolk, studiando mappe…

— Oh, lascia perdere. — Barry tamburellò con le dita sulla scrivania, spinse da parte i grafici che stava studiando e si alzò in piedi. — Sentimi bene, Mark. Alcuni di loro sono convinti che tu sia il responsabile dell'incendio, della slavina, di tutto. Ho fatto notare quello che tu stesso mi hai appena detto, che cioè se tu avessi voluto bruciare il mulino, avresti potuto farlo molto più facilmente, senza dover ricorrere a tutti quegli espedienti. La questione è ancora aperta. Comunque, d'ora in poi ti è vietato avvicinarti al mulino. E anche al laboratorio e ai cantieri. Hai capito?

Mark annuì. Gli esplosivi usati per liberare il fiume dagli ostacoli venivano tenuti nell'edificio adibito alla costruzione delle barche.

— Mi trovavo nella vecchia casa quand'è scoppiato l'incendio — disse all'improvviso Barry, e la sua voce era fredda e dura. — Ho visto una cosa curiosa. È sembrata una sorta d'eruzione. Ci ho riflettuto molto. Avrebbe potuto essere un'esplosione, sufficiente a mettere in moto la slavina. Naturalmente, nessuno potrebbe averla vista dalla valle, e qualunque rumore avesse prodotto, sarebbe stato soffocato se si fosse verificata, anche a piccola profondità, nel sottosuolo. E poi, con tutto il frastuono che faceva la gente lottando contro il fuoco…

— Barry — l'interruppe Mark, — qualche anno fa mi dicesti una cosa molto importante. Allora ti credetti, e ancora adesso ti credo. Dicesti che non mi avresti mai fatto del male, ricordi? — Barry annuì, sempre freddo e guardingo. — Io, adesso, dico la stessa cosa a te, Barry. Questa gente è anche la mia gente, sai. Ti prometto che non cercherò mai di far loro del male. Non ho mai fatto niente, di proposito, per fare del male a uno qualsiasi di loro, né lo farò mai. Te lo prometto.

Barry lo gratificò di un'occhiata diffidente, alla quale Mark rispose con un sorriso affabile: — Non ti ho mai mentito, sai. Qualunque cosa avessi fatto, te l'avrei confessata, se tu me l'avessi chiesto. Non ti dico bugie.

Barry tornò a sedersi. Bruscamente gli chiese: — Hai detto che stavi leggendo su Norfolk? Che cos'è Norfolk?

— Una base navale, una delle più grandi della costa orientale. Quando la fine fu vicina, devono aver richiamato alla base tutte le loro navi, sistemandole nei bacini di carenaggio. Centinaia di navi. I livelli degli oceani sono discesi. La baia di Chesapeake, la baia del Delaware, …lì l'acqua è assai più bassa di una volta, e quelle navi sono ancora dove le hanno lasciate, in alto e asciutte: «metterle in naftalina», così dicevano. Ho cominciato a pensare al metallo di quelle navi, acciaio inossidabile, rame, ottone… Alcune di quelle navi avevano un equipaggio di mille uomini, con tutte le scorte relative, medicinali, ogni tipo d'attrezzature d'infermeria.

Barry sentì i suoi dubbi dissiparsi e la tormentosa sensazione di qualcosa non del tutto chiarito svanì mentre parlavano della possibilità di equipaggiare una spedizione da inviare a Norfolk nella prossima primavera. Solo più tardi si rese conto che, in realtà, Mark aveva abilmente schivato di dare un'esplicita risposta alle domande cruciali: aveva oppure no appiccato il fuoco? Aveva oppure no fatto saltare le rocce che erano precipitate nel fiume? E se l'aveva fatto, perché? Per quale ragione?

Certo, quant'era accaduto sarebbe costato parecchio a tutti loro, in tempo perduto e lavoro: ci sarebbero voluti parecchi mesi per rimediare completamente al disastro… Ma in ogni caso, avevano già progettato di sospendere la clonazione finché non fossero stati pronti a iniziare la produzione in massa, a primavera avanzata.

Niente era cambiato nei loro piani, salvo il fatto che adesso avrebbero dovuto procedere a un'accurata sistemazione del fiume, per evitare altri guai sul tipo della slavina, e avrebbero montato un secondo sistema ausiliario per generare energia. Inoltre avrebbero ritoccato ogni cosa, per renderla più funzionale e sempre meno soggetta a guastarsi.

Soltanto le implantazioni in uteri umani sarebbero state ritardate oltre la data prefissata. Il lavoro preliminare di clonazione delle cellule, da farsi tutto in laboratorio, avrebbe dovuto aspettare la primavera, quando tutto fosse stato ripulito e rimesso in opera, e il computer riprogrammato… Perché mai, allora, Mark era così compiaciuto? Barry non riuscì a trovare risposta a questa domanda, né riuscirono a trovarla i suoi fratelli, quando ne discussero.

Durante tutto l'inverno Mark fece i suoi piani per la spedizione fino alla costa. Non gli sarebbe stato consentito di prendere con sé nessuno degli esploratori più esperti, che erano indispensabili per completare la «ripulitura» dei depositi di Filadelfia. Egli cominciò ad addestrare il suo gruppo di trenta quattordicenni quando la neve copriva ancora il suolo; a marzo annunciò che sarebbero stati pronti a mettersi in viaggio non appena la neve si fosse sciolta. Presentò la lista delle provviste a Barry perché fosse approvata; Barry non la guardò neppure. I ragazzi avrebbero portato degli zaini più grandi del normale, cosicché, se effettivamente avessero trovato qualcosa di salvabile, avrebbero potuto portarne indietro la maggior quantità possibile. Nel frattempo, anche i membri della spedizione ben più massiccia che sarebbe andata a Filadelfia venivano addestrati, e alle loro necessità veniva prestata un'attenzione ben maggiore che a quelle del gruppo di Mark.

Il laboratorio era pronto a rientrare in funzione, il computer era stato riprogrammato, quando si scoprì che l'acqua che scorreva attraverso la caverna era contaminata. In qualche modo il bacterium coli si era infiltrato nell'acqua pura del fiume sotterraneo, e bisognava assolutamente scoprirne l'origine, prima di cominciare a lavorare.

Barry e Bruce si trovarono d'accordo nel collegare tutti gli eventi che avevano colpito in questi ultimi mesi la collettività: l'incendio e la slavina, e poi un vuoto inspiegabile nelle provviste, file e file di medicinali nel deposito messi nel posto sbagliato, e ora l'acqua contaminata.

— Non sono incidenti — disse Andrew furioso. — Sapete che cosa dice la gente? Che è opera degli spiriti della foresta!… Spiriti! È opera di Mark! Non so come abbia fatto, e perché, ma è tutta opera sua. Vedrete, quando sarà partito col suo gruppo anche gli incidenti cesseranno. E questa volta quando tornerà, se tornerà, la faremo finita con lui!

Barry non fece obiezioni: sapeva che sarebbe stato inutile. Era già stato deciso che a Mark, adesso un uomo di vent'anni, non si poteva più consentire di esercitare la sua influenza malefica. Se non fosse saltato fuori con il suo piano di esplorare la base navale di Norfolk, sarebbe stato liquidato molto prima. Era un elemento di disturbo. I giovani cloni lo seguivano ciecamente, prendevano i suoi ordini senza discutere, e manifestavano nei suoi confronti un timore reverenziale. Peggio ancora, nessuno poteva prevedere quello che avrebbe fatto, nessuno sapeva che cosa mai avrebbe potuto spingerlo a compiere questa o quell'azione. Per loro era un alieno, un essere di un'altra specie; la sua intelligenza era di un tipo diverso, e così pure le sue emozioni. Era l'unico che avesse pianto per la morte di quelli che erano rimasti vittime delle radiazioni, ricordò Barry.

Andrew aveva ragione, e non c'era nulla che lui potesse fare per cambiare la situazione. Ma almeno, se Mark era davvero il responsabile di tutti questi incidenti, essi sarebbero cessati e nella valle vi sarebbe stata pace per un po'. Ma il giorno in cui Mark guidò il suo gruppo, a piedi, fuori dalla valle, si scoprì che il recinto per il bestiame era stato abbattuto all'estremità più lontana, e gli animali erano usciti fuori, sparpagliandosi su un lungo tratto. Si riuscì comunque a riprenderli tutti, salvo due mucche e i loro vitelli, e alcune pecore. E poi gli incidenti cessarono, esattamente come Andrew aveva previsto.


La foresta divenne ogni giorno più fitta, gli alberi più enormi. Quello era stato un parco, dove tagliare la legna era proibito, Mark lo sapeva, ma perfino lui era impressionato dalle dimensioni di quegli alberi, alcuni così grandi che una dozzina di ragazzi, tenendosi per mano, riuscivano a stento a cingerli. Nominò le specie che conosceva: quercia bianca, halesia carolina, acero, una macchia di betulle… Le giornate si facevano più calde man mano procedevano verso sud. Il quinto giorno Mark ordinò di deviare a sud-ovest, poi ancora di più a ovest, e nessuno mise in discussione le sue direttive. Essi eseguivano subito e in fretta tutto quello che gli veniva detto di fare, allegri e di buon animo, e non chiedevano il perché. Erano tutti giovani e robusti, ma i loro zaini erano pesanti, e a Mark pareva che stessero avanzando come lumache mentre lui avrebbe voluto correre, volare… ma non li spinse a procedere troppo in fretta. Dovevano essere in buona forma, una volta giunti alla loro destinazione.

A metà pomeriggio, il decimo giorno, egli disse loro di fermarsi, ed essi lo guardarono, aspettando. Mark esplorò con lo sguardo l'ampia valle: studiando le carte geografiche, aveva saputo che l'avrebbe trovata lì, ma non aveva potuto rendersi conto di quanto sarebbe stata bella. Sul suo fondo scorreva un ruscello, incassato nel terreno quel poco che bastava a garantire che non vi sarebbero state inondazioni; i pendii, comunque, non erano ripidi al punto da render difficile attingervi l'acqua. Si trovavano ai bordi del grande parco nazionale; gli alberi giganteschi che da alcuni giorni si drizzavano maestosi sul loro cammino qui erano circondati da altri alberi più giovani, che avrebbero fornito i tronchi di cui avrebbero avuto bisogno per i loro edifici. E c'era terreno pianeggiante a sufficienza per le loro messi, e prateria per il bestiame. Mark sospirò, e quando si voltò a fissare i suoi seguaci, sul suo volto si disegnava un ampio sorriso.

Quel pomeriggio e il giorno seguente Mark li mise a erigere capanne, adibite a rifugi temporanei; segnò poi gli angoli degli edifici permanenti che avrebbero dovuto erigere, contrassegnò gli alberi che avrebbero dovuto tagliare per erigere gli edifici e accendere i fuochi del campo, indicò — percorrendoli a larghi passi — i tratti di terreno che avrebbero dovuto liberare per le coltivazioni; queste le istruzioni li avrebbero tenuti occupati fino al suo ritorno.

— Ma dove vai? — gli chiese uno di loro, guardandosi intorno e mettendo così per la prima volta in discussione quello che stavano facendo.

— È un test, non è vero? — chiese un altro, sorridendo.

— Sì — disse Mark, serio. — Potreste considerarlo un test. Di sopravvivenza. Qualche domanda sulle mie istruzioni? — Non ce n'erano. — Tornerò con una sorpresa per voi — concluse Mark, ed essi si ritennero soddisfatti.

Mark attraversò con passo svelto, senza sforzo, la foresta verso il fiume, e poi seguì la sponda verso nord, fino a quando raggiunse la canoa che aveva nascosto nel sottobosco molte settimane prima. In tutto impiegò quattro giorni a ritornare nella valle. Era rimasto via quattro settimane, e temeva che fossero state troppe.

Si avvicinò alla vallata lungo il fianco della collina sovrastante e si tenne nascosto fra i cespugli, osservando, in attesa dell'oscurità. Quel pomeriggio sul tardi l'imbarcazione a ruote comparve alla sua vista; attraccò alla banchina, la gente uscì fuori come uno sciame, disponendosi spalla a spalla per scaricare nel modo più rapido quanto avevano portato in salvo, formando una catena continua fino all'interno del deposito delle barche. Quando le luci si accesero, Mark si mosse. Scese verso la vecchia casa, dove aveva nascosto la sua provvista di medicinali. A due terzi della discesa si arrestò e cadde sulle ginocchia. Alla sua destra, a un centinaio di metri di distanza, c'era l'ingresso della sua caverna: vide che il terreno era stato calpestato tutto intorno, le lastre calcaree scomparivano adesso sotto un alto strato di terriccio. Essi avevano scoperto l'ingresso e l'avevano sigillato.

Attese finché non fu certo che nessuno fosse sotto di lui a sorvegliare la casa, poi fece il resto del tragitto con rinnovata cautela, strisciando sul ventre per superare i cespugli che crescevano fitti intorno alla casa; infine, s'infilò lungo lo scivolo del carbone, dentro al seminterrato. Non aveva bisogno di luce per trovare il pacco, nascosto dietro ad alcuni mattoni che aveva smosso alcuni mesi prima. Trovò anche la bottiglia di vino che vi aveva nascosto insieme ai medicinali. Aggiunse in fretta al vino le pillole di sonnifero che aveva trafugato, e agitò la bottiglia.

Era buio quando risalì il fianco della collina, quindi si diresse verso gli alloggi delle riproduttrici. Doveva arrivar lì dopo che si erano ritirate nelle loro stanze, ma prima che si addormentassero. Strisciò fino all'edificio e sbirciò dentro le finestre, seguendo con lo sguardo l'infermiera di notte intenta al suo giro col vassoio. Quand'ella ebbe lasciato la stanza dove Brenda dormiva con altre cinque donne, Mark batté leggermente sulla finestra.

Brenda sorrise quando lo vide. Si affrettò ad aprire la finestra, Mark balzò dentro e bisbigliò: — Spegni la luce. Ho del vino. Faremo festa.

— Ti strapperanno la pelle, se ti scopriranno qui — disse una delle altre donne. Erano contente alla prospettiva di una festa, e già tiravano fuori il tappeto mentre una di esse s'intrecciava i lunghi capelli sulla testa perché non le fossero d'impaccio.

— Dove sono Wanda e Dorothy? — chiese Mark. — Dovrebbero esser qui con noi, e magari anche altre due. Questa è una grossa bottiglia!

— Vado io a chiamarle — bisbigliò Loretta, soffocando una risata. — Ora guardo se l'infermiera se n'è andata. — Sbirciò fuori, ma subito chiuse la porta e si premette il dito sulle labbra. Aspettò qualche istante, poi socchiuse nuovamente la porta e guardò. Questa volta sgusciò subito fuori.

— Dopo la festa, io e te potremmo uscir fuori per un po'… vuoi? — disse Brenda, e gli accarezzò la guancia con un sospiro.

Mark annuì. — Ci sono bicchieri, qua dentro?

Qualcuno tirò fuori i bicchieri, e Mark cominciò a versare il vino. Vi furono nuovi arrivi, e ora c'erano undici donne sul tappeto che bevevano il vino dorato, soffocando risate e risatine. Quando cominciarono a sbadigliare, raggiunsero i loro letti; quelle che erano venute dall'altra stanza si distesero sul tappeto. Mark aspettò che fossero tutte profondamente addormentate, poi scivolò fuori dalla finestra, in perfetto silenzio. Andò fino alla banchina, si accertò che nessuno fosse rimasto a bordo della barca a ruote, poi tornò nella stanza e cominciò a trasportar fuori le donne, una ad una, avvolte nelle coperte come farfalle nel bozzolo. Fece poi un'ultima volta il tragitto, carico di quanti più indumenti riuscì a trasportare, chiuse la finestra del dormitorio, e ansimando per la fatica, tornò alla barca.

Sciolse gli ormeggi e lasciò che la barca scivolasse via con la corrente, servendosi di una pagaia per tenerla vicina alla riva. Quando la barca giunse quasi di fronte alla vecchia casa, Mark lanciò una gomena intorno a una roccia, tirò la barca a riva e la legò saldamente. Ancora una cosa, pensò. Era molto stanco, ma… ancora una cosa.

Corse fino alla vecchia casa, s'infilò dentro lo scivolo, poi corse di sopra. Non accese alcuna lampada, ma si diresse senza sbagliare verso i dipinti e fece per prendere il primo. Dietro di lui si accese un fiammifero. Mark s'immobilizzò.

— Perché sei tornato indietro? — gli chiese in tono aspro Barry. — Perché non sei rimasto là fuori nei boschi ai quali appartieni?

— Sono tornato a prendere le mie cose — disse Mark, e si voltò. Barry era solo. Stava accendendo la lampada a olio. Mark accennò ad avvicinarsi alla finestra, ma Barry scosse la testa.

— Non servirà a nulla. Hanno collegato le scale a un segnale. Se qualcuno sale quei gradini, suona un allarme nella stanza di Andrew. A quest'ora staranno già mettendosi in moto per accorrere qui.

Mark prese su un dipinto, poi un altro, e un altro ancora. — E tu, perché sei qui?

— Per avvertirti.

— Perché? Come hai intuito che sarei tornato?

— Oh, non so, e non voglio saperlo. Tutte queste notti ho dormito qua sotto, nella biblioteca. Non farai in tempo a portarli via tutti — disse, con voce agitata, mentre Mark continuava a caricarsi di sempre nuovi dipinti. — Saranno qui entro pochi minuti. Sono più che mai convinti che tu abbia tentato di bruciare il mulino, di sbarrare il fiume… di contaminare i cloni nei contenitori. Questa volta non si fermeranno a farti domande.

— Non ho tentato di uccidere i cloni — replicò Mark, senza guardare Barry. — Sapevo che il computer avrebbe fatto suonare l'allarme prima che una sola goccia di acqua contaminata entrasse in ciclo. Come l'hanno scoperto?

— Hanno mandato alcuni ragazzi giù in acqua, e un paio di loro sono riusciti a nuotare fino a uscire dall'altra parte… e il resto non è stato difficile. Ma ne sono rimasti uccisi quattro nel tentativo — concluse, senza alcuna particolare inflessione nella voce.

— Mi spiace — disse Mark. — Non volevo questo.

Barry scrollò le spalle: — Ma ora devi andare… fuggire.

— Sono pronto.

— Morrai, là nella foresta — disse ancora Barry. — Tu e quei ragazzi che hai portato con te. Non sono in grado di generare, sai? Forse una ragazza, due al massimo. Ma poi?

— Ho preso alcune donne al campo delle riproduttrici — l'informò Mark.

Barry lo fissò, sbigottito e incredulo: — Tu? E come…

— Non importa come. Le ho. Ce la faremo. Ho progettato tutto con molta cura. Ce la faremo.

— Era tutto per questo, allora — fece Barry. — L'incendio, la slavina, l'acqua contaminata, le sementi di cui ti sei impadronito… tutto per questo? — ripeté, senza guardare Mark ma scrutando con gli occhi i dipinti rimasti, come se in questi si trovasse la risposta. — Hai perfino il bestiame — concluse.

Mark annuì: — È al sicuro. Tornerò a prenderlo fra una settimana o due.

— Ti scoveranno — disse Barry, scandendo le parole. — Sono convinti che tu sia una minaccia. Non ti daranno tregua finché non ti avranno trovato.

— Non possono trovarci — ribatté Mark. — Quelli che potrebbero riuscirci sono a Filadelfia. Quando saranno tornati, non ci sarà più alcuna traccia di noi, da nessuna parte.

— Hai pensato a come sarà la tua vita? — gridò Barry, perdendo all'improvviso il rigido controllo che era riuscito a conservare fino a quel momento. — Ti temeranno o ti odieranno! Non è giusto farli soffrire così. Finiranno per odiarti, per ciò che hai fatto. Moriranno, là fuori! Uno ad uno, e ad ogni morte, i sopravvissuti ti odieranno ancora di più. Tutti finirete per morire, di una morte avvilente, spregevole.

Mark scosse la testa: — Se non ce la faremo, non rimarrà più nessuno sulla Terra. La piramide si sta inclinando. La pressione della grande parete bianca si sta già abbattendo su di essa, e la piramide non potrà resistere.

— E se riuscirete a sopravvivere, sprofonderete nella barbarie. Ci vorranno mille anni, cinquemila anni, prima che un uomo possa scalare il pozzo che gli stai scavando. Diventerà una bestia!

— Ma voi sarete morti. — Mark si guardò rapidamente intorno, poi si affrettò verso la porta. Indugiò sulla soglia per un attimo, e fissò Barry, impassibile: — Tu non capirai mai questo. Nessun uomo vivo, oggi, può capirlo, oltre a me. Io ti voglio bene, Barry, anche se per me sei strano, alieno, non umano. Tutti voi siete alieni, non umani. Ma non vi ho distrutti quando avrei voluto, e potuto, perché voglio bene a te. Addio, Barry.

Continuarono a guardarsi per qualche istante, poi Mark si girò e corse giù per le scale con passo leggero. Sentì, alle sue spalle, il rumore di qualcosa che veniva spezzato, ma non si fermò. Uscì dalla casa servendosi dell'ingresso posteriore, e quando sopraggiunsero Andrew e i suoi compagni, aveva già attraversato la fitta barriera alberata ed era sbucato all'aperto. Si fermò ad ascoltare.

— È ancora lassù — sentì che qualcuno diceva. — Lo vedo da qui.

Barry aveva infranto le assi di una finestra, così da essere visto. Mark si rese conto che stava cercando di guadagnare tempo per lui, e tenendosi curvo cominciò a correre verso il fiume.

— Era tutto per questo — bisbigliò nuovamente Barry, rivolgendosi alla testa di Molly scolpita nel noce. Si sedette accanto alla finestra, le mani strette intorno alla testa di Molly. La sua figura chiaramente delineata dalla lampada dietro le spalle. — Era tutto per questo — disse ancora una volta, e si chiese se Molly, la Molly scolpita, avesse sempre sorriso così… Non sollevò lo sguardo quando le fiamme cominciarono a crepitare attraverso la casa, ma tenne la testa di Molly premuta con sempre più forza contro il petto, come per proteggerla.

Lontano, sul fiume, Mark era in piedi nell'imbarcazione a ruote, guardava le fiamme che s'innalzavano sempre più alte e piangeva. Quando la chiglia urtò contro la roccia, egli avviò il motore e poi, con le ruote a pale in funzione, proseguì lungo il fiume, sempre più a valle. Quando raggiunse la confluenza con lo Shenandoah, girò verso sud e risalì il corso finché l'imbarcazione non poté andare oltre. Era quasi l'alba. Si dedicò allora al mucchio d'indumenti che aveva raccolti negli alloggi delle riproduttrici, e lo suddivise in tante parti più piccole, confezionando con essi degli zaini per le provviste dell'imbarcazione; avrebbero avuto bisogno di tutto ciò che potevano trasportare.

Quando le donne avessero cominciato a muoversi, uscendo dal sonno profondo, avrebbe distribuito del tè e del pane di mais. Poi le avrebbe fatte sbarcare. Quindi avrebbe portato la barca a pale in mezzo al fiume, e l'avrebbe lasciata libera nella corrente perché fosse trasportata giù a valle. Ne avrebbero avuto bisogno, lassù, alla comunità.

Infine, lui e le donne avrebbero cominciato ad attraversare la foresta, diretti verso casa.

EPILOGO

Mark si tenne dietro gli alberi, quando si avvicinò ancora una volta al crinale sovrastante la valle. Venti anni, pensò. Venti anni da quando l'aveva vista l'ultima volta. Era possibile che avessero montato un elaborato sistema di allarme, ma lui pensava di no. Non quassù, ad ogni modo. Secondo tutte le apparenze, il bosco lassù era rimasto inviolato per molti anni. Fece di corsa gli ultimi metri fino al crinale, si nascose dietro un intrico di viti selvatiche, e guardò in basso. Per parecchi minuti non si mosse, respirando appena. Poi lentamente cominciò a scendere il pendio.

Non c'era alcun segno di vita. I pioppi crescevano in mezzo ai campi, i salici affollavano le rive del fiume; intorno agli edifici i ginepri e i pini che un tempo erano stati tenuti a debita distanza, ora crescevano alti quasi fino ai tetti. La siepe di rose era diventata una macchia folta e selvatica. Trasalì e si girò di scatto a uno strillo improvviso che sembrò quasi umano. Una dozzina di grandi uccelli si lanciarono in aria e volarono goffamente verso il vicino sottobosco. I polli si erano inselvatichiti, pensò con stupore. E gli altri animali? Non riuscì a vedere alcun segno del bestiame, ma doveva essere nei boschi, lungo le sponde del fiume, proliferando in tutta la regione.

Continuò ad avanzare. E nuovamente si fermò. Uno dei dormitori era scomparso, non se ne vedeva traccia da nessuna parte. Un tornado, pensò, e adesso vide la linea di distruzione che il tempo non aveva ancora del tutto cancellato, un sentiero tra la vegetazione dove non sorgevano edifici, nessun grande albero, soltanto le sagome più basse dei nuovi ontani, dei pioppi, e l'intrico delle graminacee, che avrebbero dominato, lì sul fondo della valle, finché gli abeti non fossero scesi dal fianco delle colline, finché i semi delle querce e degli aceri non fossero stati soffiati fin lì, trovandovi un sito adatto a impiantarvi le radici. Mark seguì la striscia tracciata dal tornado, sempre più certo, a mano a mano che avanzava, che proprio questo fosse accaduto. Ma non bastava a giustificare la morte dell'intera comunità. Non da solo, almeno. Poi, Mark vide le rovine del mulino, e si arrestò.

Il mulino era stato completamente distrutto: soltanto le fondamenta e i macchinari arrugginiti indicavano che un tempo si era trovato lì, l'ape regina meccanica dell'intera comunità, che erogava tutta la volontà, l'energia, i mezzi per il sostentamento della vita.

La fine doveva essere sopraggiunta in fretta, senza il mulino, senza l'energia. Mark rinunciò ad avvicinarsi oltre. Chinò la testa e si avviò incespicando verso il fiume, non volendo veder altro.

Viaggiò verso casa più lentamente di quanto aveva fatto all'andata, fermandosi spesso a contemplare gli alberi, la verde, incorrotta distesa dei muschi; di tanto in tanto osservò una scintillante locusta che volava pesantemente attraverso la luce del sole, le ali iridescenti che lanciavano sprazzi di colore, per poi sparire repentinamente quando l'insetto cambiava direzione e i raggi del sole non lo colpivano più con l'angolatura giusta. Le locuste erano tornate, e con esse le vespe, e c'erano nuovamente vermi nel suolo. Mark si fermò accanto ad una quercia bianca di dimensioni mastodontiche che sovrastava la valle e rifletté sui cambiamenti di cui quell'albero era stato silenzioso testimone. Le foglie frusciavano sopra di lui, egli appoggiò un attimo la guancia alla corteccia dell'albero, poi proseguì.

A volte la solitudine era stata persino troppa, pensò, ma sempre, in quei momenti, aveva trovato conforto nel bosco, dove l'istinto non lo spingeva a cercare altri contatti umani. Si chiese se gli altri si sentissero ancora soli; nessuno ne parlava più. Sorrise, quando pensò alle donne, a quanto avevano pianto e gridato, a come ostentatamente si erano rifiutate di seguirlo, restando indietro nel bosco, soltanto per mettersi poi a correre, raggiungendolo ansanti e spaventate, ripetendo la pantomina più e più volte.

In cima alla collina sovrastante la sua valle si fermò, appoggiandosi a un acero, e contemplò le attività sottostanti. Uomini e donne lavoravano nei campi: sarchiavano le canne da zucchero, zappavano intorno al granoturco, raccoglievano i fagioli. Altri avevano abbattuto una parete dell'edificio dei bagni ed erano intenti ad ampliarlo: nuove mattonelle di argilla cotta al fuoco venivano aggiunte alla gola del grande camino, ampliando la superficie riscaldante e garantendo così una fornitura costante di acqua calda. Un gruppo di ragazzetti stava lavorando alla ruota idraulica, intenti a qualcosa che Mark non riuscì a distinguere.

Una dozzina o più di bambini stavano raccogliendo more lungo i bordi dei campi. Indossavano camicie dalle maniche lunghe e calzoni fino ai piedi, così da non graffiarsi troppo. Finirono la raccolta, misero giù i cesti e cominciarono a sfilarsi di dosso quegli indumenti pesanti. Poi, nudi, bruni come il legno di noce, ridendo, si avviarono verso il gruppo di edifici. Non ce n'erano due di uguali.

Cinquemila anni di barbarie, era convinto Barry, ma quello era tempo misurato coi gradini della piramide, e non valeva per chi ne viveva una qualsiasi frazione. Mark aveva condotto il suo popolo in un periodo senza tempo, dove il succedersi delle stagioni e i cicli del cielo e della vita, della nascita e della morte, e soltanto esso, scandiva i loro giorni. Ora le gioie degli uomini e delle donne, e le loro angosce, erano faccende private, che sarebbero andate e venute senza lasciare traccia. Nel periodo senza tempo, la vita era l'unico scopo, la vita in sé, non la ricostruzione del passato o l'elaborata progettazione del futuro. Il ventaglio delle possibilità si era quasi completamente chiuso, ma ancora una volta, sia pure lentamente, si stava riaprendo, e ogni nuovo bambino l'apriva ancora di più. Non si poteva chiedere di più.

Quattro canoe comparvero sul fiume: ragazzi e ragazze che erano usciti a pescare con la rete. Ora facevano a gara per giungere primi a casa. Mark sapeva che ben presto avrebbero chiesto alla comunità il permesso di guidare le canoe in un viaggio di esplorazione, non per cercare qualcosa di specifico, ma per semplice curiosità verso il mondo.

Gli adulti più anziani si sarebbero mostrati timorosi, poco disposti a lasciarli partire, ma Mark avrebbe senz'altro concesso il permesso, e anche se non l'avesse concesso, essi sarebbero ugualmente andati. Dovevano farlo.

Mark si staccò dall'albero e cominciò a scendere la collina, in preda a un'improvvisa impazienza di essere di nuovo a casa. Fu accolto da Linda, che gli porse la mano. Aveva diciannove anni, gravida di un bambino, il suo bambino.

— Sono contenta che tu sia tornato — mormorò Linda. — Mi sono sentita sola.

— E non ti senti sola, adesso? — le chiese lui, circondandole le spalle con un braccio.

— No.

I bambini nudi lo videro e corsero verso di lui, ridendo, parlando tutti insieme, eccitati. Avevano le mani e le labbra macchiate di more. Mark strinse più forte il braccio intorno a Linda. Lei lo fissò, incuriosita, e lui allentò la stretta, timoroso di averle fatto male.

— Perché sorridi così? — lei gli chiese.

— Perché sono felice di essere a casa. Anch'io mi sono sentito solo — disse Mark, ed era una parte della verità. Sapeva che non poteva spiegarle l'altra. Che lui era felice perché i bambini erano tutti diversi.


FINE
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