"Te le ridò su a casa, fammi fare da chaperon."

Gin sorride divertita "Cavoli, non finirai mai di stupirmi."

"Per il mio francese?"

"No. Hai lasciato la moto aperta." Ed entra camminando sostenuta.

Metto il blocco in un attimo e dopo un secondo sono davanti

a lei. La supero ed entro nell'ascensore.

"Allora signorina vuole entrare in ascensore o ha paura e va a

piedi?"

Entra sicura e si mette di fronte a me. Vicina, molto vicina.

Troppo vicina. Però. È proprio forte. Poi si allontana.

"Bene, si fida del suo chaperon. Che piano, signorina?"

Ora è appoggiata alla parete e mi guarda. Ha degli occhi grandi,

fortemente innocenti.

"Quarto, grazie." Sorride divertita di quel gioco. Mi sporgo in

avanti verso di lei fingendo di non riuscire a trovare il

pulsante.

"Oh, finalmente. Quarto, fatto."

Ma rimane così, schiacciata contro la parete di quel legno antico,

consumato dal continuo su e giù nel cuore di quella tromba

delle scale. Saliamo in silenzio. Sono lì, appoggiato a lei, senza

spingere

troppo, respiro il suo profumo. Poi mi scosto e ci guardiamo.

I nostri volti sono così vicini, lei sbatte gli occhi per un

attimo, poi

continua a tenere lo sguardo fisso su di me. Sicura, spavalda, per

niente intimorita. Sorrido, lei mi guarda e muove le guance, un

accenno

di sorriso anche lei. Poi si avvicina e mi sussurra all'orecchio,

calda, sensuale.

"Ehi, chaperon..."

È un brivido forte.

"Sì?" La guardo negli occhi. Lei alza il sopracciglio.

"Siamo arrivati." E sguscia da in mezzo alle mie braccia agile e

veloce. In un attimo è fuori dall'ascensore. Si ferma davanti alla

porta. La raggiungo e tiro fuori le chiavi.

"Ehi, sono peggio di quelle di San Pietro."

"Dai qua."

Diciamo un po' tutti questa storia delle chiavi di San Pietro. Mi

sento sciocco per averla tirata fuori, lì, in quel momento. Boh...

Forse per ingannare quel tempo. Chissà perché lo diciamo. San

Pietro

deve avere una sola chiave e forse non ha bisogno nemmeno di

quella. Ma poi ti pare che lo lasciano fuori? Gin dà un'ultima

mandata.

Io sono pronto a mettere il piede in mezzo alla porta e bloccarla

quando cercherà di farmi restare fuori. Invece Gin mi spiazza.

Sorride allegra, apre gentilmente la porta. "Forza, entra e non

fare casino." Mi lascia passare e richiude la porta dietro di me,

poi

mi supera e comincia a chiamare: "Ehi, sono qui! C'è nessuno?".

La casa è carina, umile, non troppo carica, tranquilla. Alcune

foto

di parenti sopra una cassapanca, altre ancora su un piccolo mobile

semirotondo appoggiato al muro. Una casa serena, senza eccessi,

senza quadri strani, senza troppi centrini. Ma soprattutto, ore

diciannove, semitramonto, senza nessuno dentro.

"Ehi, hai proprio culo, mitico Step."

"Hai finito con questa storia del mitico? E poi perché ho culo?

A parte che qui se c'è qualcuno che ha culo e non in senso

figurato

quella sei tu. Rotondo, tosto, perfetto."

Allungo la mano sorridendo verso il suo fondoschiena.

"Oh, hai finito? Sembri un carcerato uscito di galera dopo sei

anni che non vede una donna. "

"Quattro."

Mi guarda aggrottando le sopracciglia.

"Cosa quattro?"

"Sono uscito ieri dopo quattro anni di galera."

"Ah sì?" Non sa se prendermi sul serio o no. Mi guarda incuriosita

e comunque decide di giocare.

"A parte che sicuramente sarai innocente... ma che cosa hai

fatto?"

"Ho ucciso una ragazza che mi aveva invitato a casa sua

precisamente

alle..." faccio per guardare l'ora,"be', suppergiù a quest'ora

e aveva deciso di non darmela."

"Presto, presto... Ho sentito un rumore, sono i miei. Cavoli!"

Mi spinge verso un armadio.

"Entra qua dentro."

"Ehi, ancora non sono il tuo amante, non sei neanche sposata.

Dov'è il problema?"

"Shhh."

Gin mi ci chiude dentro e poi corre di là. Rimango così, in

silenzio,

non so bene cosa fare. Sento un rumore lontano di porta

che si apre e si chiude. Poi più nulla, silenzio. Ancora silenzio.

Cinque

minuti, nulla. Ancora nulla. Otto minuti. Niente. Ancora niente.

Guardo l'orologio. Cazzo, sono passati quasi dieci minuti. Che

faccio? Be', io mi sono scocciato. D'altronde non è successo

niente

di male. Io esco. Apro piano piano l'anta dell'armadio. Guardo

attraverso la fessura. Niente. Alcuni mobili e uno strano

silenzio,

almeno per me. Poi d'improvviso un pezzo di un divano. Apro un

po' di più l'anta. Un tappeto, un vaso e poi la sua gamba, così,

accavallata.

Gin è distesa sul divano, ha la testa indietro appoggiata

allo schienale e si fuma una sigaretta. Ride divertita.

"Ehi, mitico Step, ce ne hai messo. Che hai fatto tutto questo

tempo chiuso nell'armadio? Hai fatto roba da solo, eh? Egoïste! "

Cazzo, mi ha fottuto! Esco fuori con un balzo e cerco di

prenderla.

Ma Gin è più veloce di me. Ha appena spento la sigaretta e

si dà alla fuga. Sbatte contro l'angolo di una porta, quasi

scivola su

un tappeto che si arriccia sotto il suo passo ma recupera in

curva.

Due balzi ed è in camera sua, si gira di colpo e prova a chiudere

la

porta. Ma non ce la fa. Ci sono sopra con tutte e due le spalle.

Gin

prova a resistere per un attimo, poi abbandona il tentativo.

Lascia

la porta e si butta sul letto con i piedi alzati verso di me.

Scalcia ridendo

come impazzita. "Ok scusa, mitico Step, anzi no, epico Step,

anzi Step solo, Step e basta, Step perfetto. O meglio, Step come

vuoi tu! Dai, stavo scherzando. Ma almeno i miei scherzi sono più

divertenti, non come i tuoi."

"Perché?"

"I tuoi sono lugubri! Te che ammazzi una ragazza mentre stai

a casa sua da solo. E dai! "

Giro intorno al letto cercando di entrare nella sua difesa, ma

lei mi segue scalciando verso l'alto. Veloce e attenta segue le

mie

mosse distesa sul letto e ruotando senza perdermi di vista. Poi

scarto

a destra, faccio una finta, e mi lancio addosso a lei. Entro nella

sua guardia e lei subito ritira le braccia e le porta davanti al

viso.

"Ok, ok... mi arrendo, facciamo pace."

"E certo che facciamo pace."

Ride e poggia la guancia sulla spalla sinistra. "Ok..." Mi fa un

piccolo sorriso e viene verso di me. E si lascia baciare morbida,

tenera

e calda, ancora affaticata ma tranquilla. Si lascia baciare, sì, e

bacia anche lei, scivola e ritorna su fra le mie labbra con

attenzione,

con impegno, con passione, con il suo essere piccola. Apro gli

occhi per un attimo e la vedo navigare così, così vicino al mio

viso,

così presa, così partecipe, così impegnata. No, stavolta non ha

scherzi

nascosti nelle sue piccole tasche. Richiudo gli occhi e mi lascio

andare con lei. Viaggiamo insieme, piccoli surf della nostra

stessa

onda, morbide lingue, mano nella mano che ridendo si prendono

a spinta per poi abbracciarsi di nuovo. Labbra che giocano

all'autoscontro

cercando di farsi un po' di posto, di incastrarsi alla meglio,

in quella stretta e morbida macchina targata bacio. Poi Gin

comincia a scuotersi un po'. Continuo a baciarla. Si scuote di

nuovo.

Cos'è, passione? Si stacca da me. "Oddio scusami." Scoppia a

ridere. "Non ce la faccio più... Tu undici minuti e trentadue

secondi

chiuso nell'armadio del salotto, non ci posso pensare. Cavoli,

è da leggenda! Scusami ti prego, scusami." E salta giù dal letto

prima che possa agguantarla. "Però baci bene se può consolarti."

Rimango disteso sul letto, mi appoggio sul gomito e rimango a

fissarla.

È difficile trovare una ragazza così carina e per di più

divertente

e spiritosa. Anzi no, ho sbagliato. Così divertente, spiritosa e

così bella. Anzi no, ho sbagliato di nuovo. E così... bellissima.

Ma

non glielo dico.

"Lo sai qual è la cosa più incredibile? Che faremo un lavoro

insieme

tutti i giorni per chissà quanto e siccome tutto torna, tu sarai

lì e io ti punirò."

"Ah, bravo, passi alle armi più basse, mi minacci... molto bene!

Che volevi invece? Che ti si faceva vedere la casa, ti si offriva

qualcosa da bere... Puro formalismo? Facile!" Fa una voce in

falsetto.

"Cosa vuoi Stefano? Un aperitivo? Con anche delle patatine

magari..." E finge perfettamente una risata "Ah... Ah!"

"Guarda che come patata tu vai benissimo."

Continua con la voce in falsetto.

"Oh, non ci posso credere. Che battuta favolosa! Neanche

Woody Allen nei suoi giorni migliori..."

"Sì, magari dopo una scopata con la finta figlia coreana! "

"Ma perché sei sempre così greve? Non pensi che possano essersi

semplicemente innamorati? Accade sai."

"Certo, nelle favole, in quasi tutte mi sembra, o no?"

"In tutte!"

"Le conosci bene."

"Certo, e ho deciso di vivere la mia vita come una favola. Solo

che questa non è stata ancora scritta. Sono io che decido, passo

per

passo, momento per momento, sono io che scrivo la mia favola."

Decido di non rispondere. Mi guardo in giro per la stanza. Qualche

peluche, le foto di Ele, almeno mi sembra, qualche altra ragazza

e poi due o tre tipi fighissimi. Se ne accorge.

"Quelli sono modelli di pubblicità. Abbiamo lavorato insieme

e nient'altro." Segue tutto Gin.

"Ma chi ti ha chiesto niente."

"Ti vedevo preoccupato."

"Assolutamente no, non conosco questa parola."

"Oh, certo, mi ero dimenticata, tu sei un duro. Brr, che paura! "

Mi alzo e faccio un giro per la camera.

"Sai che si può capire tutto di una donna guardando nel suo

armadio? Fammi vedere!"

"No!"

"Di che hai paura, dello scheletro? Ammazza oh, ma quanta

roba hai? E tutta nuova di zecca! Ci sono ancora i cartellini

attaccati.

E poi tutto di marca, la signorina! Dotata e non solo di curve,

eh?!"

"Lo vedi che sei scemo? E per nulla aggiornato. È tutta roba

che non pago. "

"Sì, eccola, la ragazza immagine di qualche griffe."

"No. Uso Yoox. Ordino tutto in internet su questo sito che è

un outlet. Ci sono tutte le marche più importanti. Scelgo quello

che

voglio, me lo faccio arrivare a casa. Lo indosso qualche giorno

stando

attenta a non sciupare nulla e a non togliere il cartellino. Poi

glielo rimando entro il decimo giorno, dicendo che non sono

soddisfatta,

che magari la taglia era troppo grande."

Continuo a scorrere i vestiti. C'è di tutto: top di Cavalli e

Costume

National, una longuette Jil Sander, gonne Haute, due borse

D&G, una maglia chiara in cachemire di Alexander McQueen, un

soprabito Moschino in jeans, una divertente giacca a quadri di

Vivienne Westwood, una blusa Miu Miu, jeans Miss Sixty Luxury...

"Una griffata diabolica."

';Già."

È forte. Bella, divertente, spregiudicata. Sa come fare a vivere

alla grande. Ma guarda cosa si è inventata. Ecco una che naviga

con

intelligenza. Yoox per vestirsi sempre diversa, sempre alla moda,

senza spendere un euro. Mi piace.

"Fermo così! Hai un'espressione assurda! A che pensi?!"

Prende qualcosa dal tavolo e me la punta contro. "E sorridi,

duro!" Una polaroid. Alzo il sopracciglio proprio mentre scatta.

"Dai, in fondo starai benissimo tra quei due modelli. Certo, non

hanno le tue storie alle spalle ma saranno felici di vivere

accanto alla

leggenda' ! "

"Be', sì, come i due ladroni sulla croce accanto a Gesù."

"Be', il paragone mi sembra un po' azzardato."

"Sì, ma sono diventati famosi anche loro."

"Ma non erano certo felici! Loro non erano lì per amore."

Le rubo la polaroid e gliene scatto una.

"Anch'io!"

"Dai, fermo! Vengo male nelle foto! "

Scatto e tiro via la polaroid appena fatta.

"Vieni male nelle foto? E perché dal vivo invece?"

"Scemo, cretino, ridammela." Cerca di strapparmela in tutti i

modi. Troppo tardi. Me la infilo nella tasca del giubbotto.

"Vedrai,

se non ti comporti bene, se provi a raccontare la storia

dell'armadio.

Ti trovi i manifesti con la tua faccia su tutta Roma."

"Va be', era per dire! "

"E questo cartellone che significa?" Indico un foglio

perfettamente

diviso per giorni e settimane e mesi attaccato sopra il tavolo,

con scritti diversi nomi di palestre.

"Questo? Sono le palestre di Roma, vedi, una per ogni giorno.

Sono divise per maestri, lezioni e zone. Hai capito?"

«sì e no.»

"Cavoli, Step, ma che leggenda sei?! Dai, è facile. Una prova

di lezione per ogni palestra, ogni giorno un posto diverso ce ne

sono

più di cinquecento a Roma, anche non troppo lontane. Hai voglia

ad allenarti gratis ! "

"Cioè, domani per esempio..."

Guardo il cartellone, incrocio con il dito il giorno come se

stessi

giocando a battaglia navale.

"Fai lezione da Urbani e non paghi una lira."

"Bravo, affondato. E così via! È un sistema che ho inventato

io. Forte, eh?"

"Già, tipo quello di fare benza con il lucchetto."

"Sì, fanno parte del mio grande manuale della risparmiatrice.

Niente male, vero? Ehi, guarda come sei venuto bene."

La polaroid è più nitida ora. "Dai, la metto in mezzo a questi

due. Non sfiguri poi tanto. Invece ho visto che guardi tanto il

mio

cartellone. Che c'è, 'leggenda', vuoi allenarti a vela anche tu?

T'ho

capito, eh... dai, preparo un cartellone anche per te, scalo di un

giorno e veleggi tranquillo senza che ci incontriamo mai."

"Non ne ho bisogno."

"Ricco?"

"Macché! È che le palestre ormai mi usano come immagine! "

"Sì certo, come no! E io ancora che ci casco. Be', è finita la

visita

guidata. Ti accompagno perché fra poco ritornano i miei, o

vuoi nasconderti di nuovo nell'armadio? Ormai sei allenato."

Mi sorpassa e mi guarda alzando il sopracciglio. "Sereno. Te

l'ho detto, non lo dico a nessuno."

Mi accompagna alla porta e rimaniamo così in silenzio per un

attimo. Poi parte lei. "Be', non facciamolo pesante questo saluto.

Ciao tassinaro, tanto ci vediamo, no?"

Come no.

Vorrei dire qualcosa. Ma non so neanche io bene cosa. Qualcosa

di bello. A volte, se non si trovano le parole, è meglio fare

così.

La tiro e me la bacio, Gin resiste per un attimo, poi si lascia

andare.

Morbida come prima. Anzi, di più. Qualcuno alle nostre spalle...

"Scusate, eh? Ma vi salutate proprio sulla porta..."

È il fratello, Gianluca, appena uscito dall'ascensore. Gin è più

che imbarazzata. È scocciata.

"Certo che tu hai dei tempi perfetti."

"Oh, adesso è colpa mia! Forte mia sorella. Senti, Step, fammi un

favore. Tra un bacio e l'altro dalle una raddrizzatina a questa! "

E si fa strada fra di noi entrando in casa. Gin ne approfitta e

mi dà un pugno sul petto.

"Lo sapevo che con te ci sono sempre e solo casini."

"Ahia! Adesso è colpa mia."

"E di chi sennò? Ancora un bacio e un bacio e un bacio. Ma

che, non resisti? Già sei così drogato di me? Mah..." E mi chiude

la porta in faccia. Divertito prendo l'ascensore. In un attimo

sono

giù nell'androne.

Gianluca entra in camera di Gin.

"Forte Step, ma ormai fate coppia fissa, eh?"

"Ma di che? E poi forte che?"

"Be', state sempre a baciarvi."

"Capirai, per un bacio..."

"Due, per quello che io ho potuto contare."

"Oh, ma che, fai lo scrutatore anche qui? Va be' che per

arrotondare

vai a fare i conteggi delle schede. "

"Ma quella è politica."

"Step deve essere ancora più una sòla."

"Che vuoi dire?"

"Che non mi fido di uno come lui, simpatico anche divertente

ma chissà cosa nasconde."

"Se lo dici tu."

"Certo Luke. Da un bacio si vede tutto. E lui è... è strano."

"Cioè?"

"Non si concede, non si fida e quando uno non si fida, vuol dire

che è il primo che non merita fiducia."

òara.

"È!"

Gianluca esce e finalmente mi lascia sola. Ok. Basta. Ora voglio

riordinarmi le idee. Scuoto la testa e agito i capelli. Gin ti

prego,

torna in te. Non ci credo che hai scuffiato per il mito, per la

leggenda.

Step non fa per te. Problemi, casini, chissà qual è il suo vero

passato. E poi ci hai fatto caso? Ogni volta che lo baci, sul più

bello, cioè sii più precisa, sul più meraviglioso, sul più

fantastico,

sul più superfavola andante, arriva sempre Luke, tuo fratello. Che

vorrà dire? Un segno del destino, un santo mandato dal paradiso

per evitarti l'inferno, un'ancora di salvezza? O semplice sfiga?

Porca

trota, potevamo continuare a baciarci per ore. Come bacia. Come

bacia lui. Come dire... non so che dire! Un bacio è tutto. Un

bacio è la verità. Senza troppi esercizi di stile, senza

intorcinamenti

estremi, senza funambolici avvitamenti. Naturale, la cosa più

bella.

Bacia come piace a me. Senza doversi rappresentare, senza doversi

affermare, semplice. Sicuro, morbido, tranquillo, senza fretta,

con divertimento, senza tecnica, con sapore. Posso? Con amore!

Oddio! No, questo no. Vaffanculo Step!

Capitolo 28.

"Ciao Pa'."

"Stefano, ma dove sei stato? Sei sparito."

"Ehi," lo supero andando in camera, "lo sai in America qual è

la prima legge che ti insegnano?"

"Sì, se vuoi campare fatti gli affari tuoi."

"Bravo. E la seconda?"

"Questa non la so."

"Fuck you! "

Entro in camera e mi chiudo dietro la porta.

"Lo vedi allora che un po' di inglese lo hai imparato sul serio,

bravo. Sai anche qualche altra parola, spero."

Non gli rispondo e mi butto sul letto. Proprio in quel momento

sento suonare il citofono. Riesco dalla camera veloce. Paolo è

già nel salotto e va verso il citofono.

"Rispondo io."

Quasi glielo strappo di mano. Rimane interdetto.

"Ma non ho capito, è casa mia, ti ospito, e tu ti impadronisci

di tutto."

Lo guardo male, poi sorrido.

"Dai, ti faccio da maggiordomo." Un altro squillo. Alzo il

citofono.

Mi batte forte il cuore.

"Salve, c'è Step?" Voce femminile. I battiti aumentano. "Sono

Pallina!"

"Ohi, sono io, che fai?"

"Vengo a vedere la tua nuova casa e poi ti trascino in un local-

tour.

"Di quest'ultima se ne discute. Ok, sali. Quinto piano."

Spingo il tasto per l'apertura del portone. Paolo mi guarda e

sorride.

"Donna?"

Annuisco.

"Vuoi che ti lascio la casa? Mi chiudo in camera e faccio finta

di non esserci?"

Mio fratello. Ma cosa può capire lui, cosa sa veramente di me?

"È Pallina, la donna di Pollo."

Rimane in silenzio. Poi sembra rattristarsi.

scusami.

Se ne va in camera sua, in silenzio. Mio fratello. Che soggetto,

l'uomo del fuoritempo. In quello ha un tempismo perfetto.

Campanello.

Vado ad aprire la porta.

"Ehi!"

"Cazzo, Step."

Mi si butta con le braccia al collo e mi stringe forte.

"Ancora non posso crederci che sei tornato."

"Se fai così riparto, eh?"

"Dai, scusa."

Pallina si ricompone.

"Fammi vedere la casa."

"Vieni con me."

Chiudo la porta e la precedo, le faccio da guida.

"Questo è il salotto, tessuti chiari, tende, eccetera eccetera."

Parlo descrivendole il tutto. La guardo muoversi dietro di me,

guardare le cose con attenzione, ogni tanto toccare per valutare

meglio,

per pesare qualche oggetto. Pallina, come sei cresciuta,

dimagrita,

un taglio diverso di capelli. Anche il trucco sembra un po'

più forte o sono i miei ricordi a essere sbiaditi?

"E questa è la cucina... Vuoi qualcosa?"

"No, no, per adesso no."

"Oh, te che fai i complimenti fa veramente schifo, eh?"

Scoppia a ridere.

"No, no sul serio."

La sua risata non è cambiata. Sembra sana, riposata, tranquilla.

Se solo Pollo ti vedesse ora. Sarebbe fiero di se stesso. Dai suoi

racconti è stato il tuo primo uomo, Pallina. E a me Pollo non

diceva

bugie, non ne aveva bisogno, non doveva esagerare per farsi

bello, per farsi figo, per me il suo amico, il suo più grande

amico.

Pollo ha modellato quel bruco di cera, lui, più che un alito, un

sospiro

d'amore per quella giovane farfalla al suo primo volo... Eccola

qui, davanti a me. Cammina sicura Pallina. Poi, d'improvviso,

Pallina cambia espressione.

"E non mi fai vedere la camera da letto?"

Improvvisamente diversa. Sensuale e maliziosa. Una stretta al

cuore. Ha un altro uomo? Dopo di lui ha avuto altri uomini? Cosa

è successo dopo Pollo? Step, sono passati quasi due anni. Sì, ma

non voglio ascoltare. Step, è una ragazza, è giovane, carina...

Sì, lo

so. Ma non mi interessa. Non la vuoi giustificare? No, non ci

voglio

pensare.

"Ecco una è questa."

Apro una porta bussando leggermente.

Si può?

Paolo che si stava sfilando la camicia si ricompone subito e viene

alla porta.

"Come no, ciao Pallina!"

"Ecco, lui è l'arredatore di tutto quello che hai visto."

Ciao.

Si danno la mano. Pallina sorride un po' imbarazzata.

"Complimenti, è bellissima, ottimo gusto. Pensavo che avesse

scelto tutto una donna. "

Paolo fa per rispondere ma non gliene do il tempo.

"Ma lui è un po' donna."

E chiudo piano la porta tagliandolo fuori dal nostro percorso.

"Ehi, ma io intendevo la 'tua' camera da letto."

Mi dà una botta sulla spalla spingendomi in avanti.

"Non si era capito. Ecco è questa."

Apro la porta della mia camera.

"Ehi, non male."

Pallina entra e si guarda intorno.

"Un po' spoglia però, manca colore."

Mi accorgo che la polaroid di Gin è appoggiata sul mio comodino.

Senza farmi vedere la copro.

"Be', ma ha un suo fascino così. E poi c'è tempo per dare colore.

"

Mi guarda incuriosita cercando una spiegazione a quella frase,

ma proprio in quel momento squilla il telefono. Pallina lo tira

fuori

dalla tasca del giubbotto, lo guarda, poi se lo porta

all'orecchio.

"Ehi, ma non è il mio."

Prendo il telefonino dal tavolo lì vicino.

"Infatti è il mio!"

Non conosco il numero.


"Sì?"

"Bentornato."

Arrossisco. Ascolto la sua voce.

"Spero che ci vedremo adesso che sei di nuovo a Roma."

"Sì."

"Ti piace la tua nuova casa?"

"Sì."

"Sei stato bene fuori?"

"Sì."

Annuisco, poi ascolto altre sue parole, sempre dolci, cortesi,

piene di un amore delicato, preoccupato di rompere quel sottile

cristallo, il nostro passato, il nostro segreto. Continuo a

rispondere.

Riesco a dire anche qualcos'altro oltre ai miei semplici sì.

"Tu come stai?"

E continua a parlare. Pallina mi guarda ma non mi dice nulla.

Accenna un chi è muovendo la testa. Ma non le do il tempo. Mi giro

verso la finestra. Guardo lontano rincorrendo la sua voce.

"Sì, promesso, ti richiamo io e ti vengo a trovare, sì..."

Poi un difficile silenzio cercando qualcosa da dire per salutarsi.

"Ciao." E chiudo.

"Ohi, ma chi era? Un'altra delle tue donne?"

Si e no.

Sorrido fintamente divertito, cercando di scrollarmi di dosso

quella difficile telefonata. Ma non le do il tempo di ribattere.

"Era

mia madre. Allora, usciamo o no per questo local-tour? "

Capitolo 29.

Il sole è tutto vestito di tramonto. Ma non dipende dai suoi

raggi quella luce che ora le illumina il viso. Babi esce di casa.

Si

muove leggera, rapida. Come quando si va incontro a qualcosa

che si aspetta da tanto. Forse da sempre. Indossa il suo completo

nuovo, color carta da zucchero. Ha raccolto i capelli, scoprendo

due guance leggermente arrossate. E non certo per la velocità con

cui ha sceso le scale. Non ha preso l'ascensore perché oggi le

sembrava

troppo lento. A volte le cose non vanno a tempo con la nostra

felicità. È per questo che ora sta per andare in garage a prendere

la Vespa. A quest'ora, col traffico che c'è, sarebbe da pazzi

usare la macchina. La Vespa è più veloce. O almeno, sta al passo

del suo cuore. Lo diceva anche Cremonini quando cantava coi

Lunapop... "Ma com'è bello andare in giro con le ali sotto i

piedi,

sei hai una Vespa Special che ti toglie i problemi..." Ma Babi

di problemi non ne ha. Anzi. Ha solo bisogno e voglia di correre,

di non fare tardi al suo appuntamento. Chissà come andrà, se

sarà come se lo aspetta.

Uno strano fruscio interrompe i suoi pensieri. Non sembra un

gatto. Né il vento. E nemmeno Fiore.

"Ciao."

Quante volte ha sentito quella voce. Solo che oggi sembra diversa.

Più roca. È come se arrivasse da lontano, da un posto che

forse lei non ha mai visitato. Dove si arriva solo quando ci si

sente

soli. Troppo soli. E lì la voce non serve più, perché non c'è

nessuno

ad ascoltare.

"Alfredo. Ciao... come va? Ma che ci fai dietro il cespuglio?"

"Ciao, ti aspettavo."

"Ah, e scusa, ti nascondi?"

"Non ero nascosto, ero lì dietro, bastava guardare e mi vedevi

subito. Dove vai? Sei bella, stai bene."

"Be', grazie... ho un appuntamento. Come stai?"

"Perché non hai risposto al mio sms di ieri? Ho tenuto acceso

il cellulare tutta la notte, ma non mi è arrivato nulla."

"Già, scusa, ho finito il credito e ora che me lo ricordi è meglio

se dopo ricarico. Sì, il messaggio l'ho visto. Senti, però ora non

ho

molto tempo per parlarne, possiamo rimandare? Magari uno dei

prossimi giorni sali su e con calma..."

"Con calma un cazzo."

"Alfredo, che hai? Che è questo tono?"

"Alfredo che hai, che è questo tono. Ma sentila. Insomma, dove

stai andando? Ti vedi con qualcuno tipo a Vigna Stelluti? Oppure

a corso Francia? O magari davanti alla Falconieri per un tuffo

nei ricordi? "

"Alfredo, non capisco... e comunque non mi piace il tono che

usi, mi dici che è successo? Che hai? Sei strano."

"Veramente che è successo dovresti dirmelo tu, ti pare?"

"Guarda che non è il caso di farne una tragedia."

"Ah, non importa! Tanto a te che te ne frega, eh? È felice lei,

sta bene lei. Esce di casa tutta bella lei, tutta veloce e se ne

va a vedersi

con chissà chi. O forse lo so chi è, il chissà chi?"

"Si può sapere che vuoi? Che sono tutte queste domande?"

"Perché non posso chiederti qualcosa io? E vietato? Ti ricordi

chi sono, vero? Sono Alfredo, quello che..."

"Quello che cosa? Quello che si nasconde dietro i cespugli e

mi fa il terzo grado? Quello che sta cercando di farmi sentire in

colpa

e non si capisce per cosa? Quell'Alfredo?"

La raffica di domande termina quasi in un urlo. Le guance di

Babi, adesso, sono rosse davvero. E non per l'entusiasmo.

"Sì, proprio quell'Alfredo. Quello che hai preso per il culo così

bene. E brava Babi! "

"Se continui così è peggio, lo capisci? È peggio anche per te.

Guarda che a volte le cose semplicemente non vanno come vorremmo,

tutto qua, non è colpa di nessuno, non devi fare così... Non

sciupare tutto."

Quando le parole non bastano più. Perché dentro brucia qualcosa

che non si può dire. Che non si riesce a dire. Quando chi hai

di fronte, invece di darti la risposta che vorresti, dice altro.

Dice di

più. Dice troppo. Quel troppo che è niente. Che non serve a nulla.

E fa male il doppio. E l'unico desiderio è restituire quel dolore.

Fare male. Sperando così di sentirsi un po' meglio. Alfredo le

molla

uno schiaffo in pieno viso, forte, bello, preciso, rabbioso,

maleducato.

Non riesce a trovare altri aggettivi tanto gli è piaciuto.

"Alfredo, ma sei pazzo?"

Non lo sa. Sta lì a guardarsi la mano come se non fosse sua.

Però è la sua. Ed è finita nel posto sbagliato. E non è sicuro di

stare

meglio, ora. Babi è sconvolta. Ha gli occhi pieni di lacrime. Una

delle sue guance è più rossa di prima. E non dipende dalla rabbia.

"Tu sei matto, sei un violento. Tu sì che lo sei. Step non si

sarebbe

mai azzardato, lui non l'avrebbe mai nemmeno pensato di


farmi una cosa del genere! Sei un cretino, altro che bravo ragazzo

posato e tranquillo, sei un animale. Una bestia! Me ne vado, non

dico altro. E sì, se lo vuoi sapere sto andando a fare una cosa

importante.

Molto importante. Che riguarda la mia vita futura. E l'amore.

E non ti perdonerò mai d'avermi fatto fare tardi."

Tenendosi la mano sulla guancia se ne va, veloce ma meno leggera

di quando è uscita di casa. Cerca di ricomporsi, di calmarsi.

Alza la saracinesca del garage e si guarda nello specchietto della

Vespa. Chissà, pensa, forse il vento riuscirà a rinfrescarmi la

guancia.

Magari il rossore andrà via. Sennò, che figura ci faccio quando

arrivo? Accidenti a lui, ma è matto davvero? C'avevo messo una

vita a prepararmi per bene e guardami ora, ho la faccia sconvolta

e gli occhi lucidi.

Non si è voltato. Non ha risposto. La mano gli trema ancora.

Ma non c'è paragone col terremoto che ha dentro. Non sa che dire.

E non dirà niente. Quel silenzio in cui vive da giorni lo sta

abbracciando

di nuovo, si sta rubando quell'ultima goccia di speranza

che lo aveva portato ancora lì, a nascondersi dietro un cespuglio

per aspettarla. Per sapere una verità che già dovrebbe conoscere.

Perché i fatti parlano più chiaro delle persone. Ma lui non li ha

ascoltati. Né prima né adesso. E mentre sale le scale, sente alle

spalle

il rumore della Vespa che parte a tutta velocità, nervosa come

chi la guida.

Scusa, Babi, non volevo. Davvero, non volevo. La prossima volta

andrà meglio. La prossima volta parleremo con calma, magari

verrò su da te e ci prenderemo un tè. E mi racconterai dove sei

andata

oggi.

Capitolo 30.

Siamo fuori nella notte in moto, io e Pallina. Lascio andare la

750. Una velocità tranquilla, pensieri al vento. Lei si stringe a

me,

ma senza esagerare. Due equivoci umani, congiunzioni astrali di

uno strano destino. Io, il migliore amico del suo uomo, lei, la

migliore

amica della mia donna. Ma tutto questo appartiene al passato.

Scalo e corro via veloce, il vento rinfresca. Porta via i miei

pensieri.

Ah, sospiro. Così bello a volte non pensare. Non pensare. Non

pensare... Vento, velocità e rumori lontani. Non pensare. Una

serie

di locali. Akab come prima tappa.

"Dai, qui conosco tutti, saranno felici di vederti."

Mi lascio guidare. Entriamo, saluto. Riconosco qualcuno.

"Un rum, grazie."

"Chiaro o scuro?"

"Scuro."

Un altro locale. Charro caffè. Mi lascio andare.

"Un altro rum, con ghiaccio e limone."

Poi all'Alpheus. E un altro rum. Ghiaccio e limone. Qui fanno

di tutto: musica anni '70 e '80, hip-hop, rock, dance. Poi al

Ketum

bar. Mi dimentico dove ho posteggiato la moto. Cosa importa. "Un

altro rum. Ghiaccio e limone." Ridiamo. Saluto qualcuno. Uno mi

salta addosso.

"Cazzo, Step, sei tornato! Si ricomincia coi casini, eh?"

Sì, si ricomincia. Ma chi cazzo era quello lì? Un altro locale e

un altro rum e poi ancora un altro e un altro ancora. E altri due

rum. Ma chi era quello che mi è saltato addosso. Ah sì, Manetta.

Si era addormentato una volta in montagna. Sì, eravamo a

Pescasseroli.

Sotto il piumino, con i piedi di fuori. Gli abbiamo messo tra

le dita dei piedi dei cerini con la capocchia in fuori e li

abbiamo accesi.

Cazzo, che balzo che ha fatto quando si è svegliato sentendosi

bruciare. E noi giù per terra a ridere come matti. Io e Pollo. E

lui che saltava per la stanza con i piedi bruciacchiati, che

gridava.

"Cazzo che incubo! Che incubo, cazzo! " E noi giù a ridere, da

sentirsi

male. Io e Pollo. Che risate. Da matti. Io e Pollo. Ma Pollo ora

non c'è più. Una tristezza mi prende forte. Un altro rum, tutto

d'un

sorso, giù. Mentre ballo con Pallina, la sua dama, la donna del

mio

amico, l'amico che non c'è più. Ma ballo, ballo soltanto e rido,

rido

con lei. Io rido e penso a te. Un altro rum e, non so come, sono

sotto casa.

"Ehi, siamo arrivati."

Scendo dalla moto un po' traballante. Quell'ultimo rum di

troppo.

"Dove hai messo l'sh?"

"No, sono venuta in macchina, ora ho una 500 modello nuovo."

"Ah, carina." In realtà è una delle macchine che mi piace di

meno. Ma serve a qualcosa dirglielo? No, e quindi sto zitto, anzi

rincaro la dose.

"Vanno benissimo, non consumano niente e i pezzi di ricambio

sono a buon prezzo."

"Sì, infatti."

"Serata divertente, eh?"

"Fortissima." Su questo sono sincero. "Sono cambiati i locali

giù al Testaccio. "

"Cioè?"

"Meglio. Buona musica, la gente sembra divertirsi sul serio.

Pezzi forti, si balla una cifra. Sì, una bella serata."

Pallina si fruga in tasca e nel giubbotto.

"Ehi, mi sa che mi sono dimenticata le chiavi su da te."

"Non c'è problema, saliamo."

In ascensore, uno strano silenzio. I nostri sguardi si incrociano.

Rimaniamo senza parlare. Pallina sorride. Lo fa con tenerezza.

Io tamburello sul ferro della parete, sullo specchio. Cazzo, a

volte

l'ascensore sembra non arrivare mai. O sono i troppi rum che

rallentano

quel viaggio? O altro ancora? Arrivati. Apro la porta di casa

e Pallina si infila dentro. Si guarda in giro, poi va verso il

tavolo.

"Eccole, trovate! " Mi copre la visuale però, non ho visto niente.

Erano sul serio sul tavolo le chiavi, se l'era dimenticate o era

una

scusa per salire? Ma che ti viene in mente? Stai male. Perché

pensi

queste cose, Step? Troppi rum. Le chiavi erano sul tavolo,

dovevano

essere lì.

"Ehi, ma hai anche il terrazzo."

"Sì, sai che non c'avevo fatto caso."

"Ma dai! Sei sempre il solito distratto."

Apro la finestra ed esco fuori. C'è una luna bellissima. Alta,

tonda, lì tra i palazzi lontani, tutti bagnati dal suo pallore.

Silhouette

di vecchie antenne, moderne parabole e poi, quasi un controsenso,

panni stesi del giorno prima. Respiro forte, profumo di gelsomini

estivi, aria notturna settembrina, grilli lontani, silenzio tutto

intorno. Arriva Pallina alle mie spalle.


"Tieni, te ne ho portato un altro." Mi passa un bicchiere.

"Per chiudere bene la serata."

Lo prendo e lo porto alla bocca, annusandolo.

"Un altro rum. Sembra anche buono."

Paolo mi stupisce sempre di più. Rum in casa. Sta migliorando.

Ne prendo un sorso. Deve essere un Pampero. No, un Havana

Club, vejo sette anos, almeno. "Buonissimo."

Torno a guardare lontano. Poi un rumore di macchina sparisce

da qualche parte.

"Sai, Step, ti devo dire una cosa."

Rimango in silenzio. Continuo a guardare lontano. Do un altro

sorso senza girarmi. Pallina continua a parlare. La sento dietro

di me, vicino alle mie spalle.

"Non ci crederai. Da quando Pollo è morto non sono stata più

con nessun altro ragazzo. Ci credi?"

"Perché non dovrei crederci?" Rimango girato.

"Neanche un bacio, te lo giuro."

"Non giurare. Non credo tu mi dica bugie."

"Una te l'ho detta."

Mi giro e la guardo negli occhi. Lei sorride.

"Le chiavi le avevo nel giubbotto."

Una folata leggera di vento caldo della notte agita morbida i

suoi capelli scuri. Pallina. Piccola donna cresciuta. Ha la pelle

d'oca

e chiude gli occhi, regalandosi un respiro profondo. Poi si

avvicina

e mi abbraccia. Poggia la testa sul mio petto. Dolce amica

profumata.

La lascio fare.

"Sai, Step, sono così felice che tu sia qui."

Tengo le braccia larghe non sapendo bene che fare. Poi poggio

il bicchiere sul davanzale e la abbraccio piano. La sento

sorridere.

"Bentornato. Ti prego, stringimi forte."

Rimango così, senza trovare la forza di stringere ancora. Cerco

di scusarmi.

"Senti..."

Ma è un attimo. Lei alza la testa dal mio petto e mi dà un bacio.

Spinge sulle mie labbra e dischiude la bocca. Poi prova a

muoversi,

si agita lenta, con gli occhi chiusi. Sposta la bocca a destra e

a sinistra, cercando l'incastro giusto, la posizione, lo svolgersi

naturale.

Ma è impossibile. Io sono fermo. Immobile. Non so che fare,

non vorrei ferirla. Rimango così, con le labbra chiuse,

sicuramente

fredde, forse di pietra. Pallina lentamente rallenta il suo

disperato

agitarsi. Poi china di nuovo la testa sul petto e comincia a

piangere. In silenzio. Piccoli sussulti della sua testa, poi

singhiozzi

più brevi, disperati. Mi stringe per non staccarsi da me,

vergognosa

del mio sguardo. Io piano piano le accarezzo i capelli. Poi le

sussurro

all'orecchio: "Pallina... Pallina, non fare così".

"No, non avrei mai dovuto farlo."

"Ma cosa hai fatto? Non è successo niente. Non c'è stato nulla.

È tutto a posto."

"No. Ho provato a darti un bacio."

"Sul serio? Non me ne sono accorto. Dai, che il nostro amico

sicuramente ci starà guardando e starà ridendo di noi."

"Di me magari."

"Con me è arrabbiato perché non ci sono stato."

Pallina scoppia a ridere. Ma è una risata nervosa, tira su con il

naso e si asciuga con la manica del giubbotto. Un po' ride e un

po'

ancora piange.

"Scusami Step."

"Oh ancora... Ma scusami di che? Guarda che se continui con

questa storia ti porto a letto."

"Sì, magari."

Ride di nuovo più tranquilla stavolta. Le agito davanti al viso


l'indice minaccioso.

"A fare la nanna, che ti credevi, eh?" Sorride di nuovo.

"Quella la vado a fare sul serio."

E senza dire più nulla, ancora imbarazzata si dirige verso la

porta.

Si ferma un attimo. "Ti prego Step, dimenticatelo e chiamami."

Le sorrido e le faccio cenno di sì. Poi chiudo gli occhi e un

attimo

dopo Pallina non c'è più. Rimango così in silenzio in piedi nel

salotto,

poi mi guardo in giro e vedo la bottiglia di rum. Avevo ragione.

È un Havana Club. Tre anni soltanto però. Taccagno di un

Paolo. Esco in terrazzo. Guardo giù e faccio appena in tempo a

vedere

la 500 di Pallina che gira in fondo alla strada. Mi scolo l'ultimo

sorso della bottiglia senza passare per il bicchiere e rimango lì.

Con le braccia incrociate, appoggiate sul davanzale, con la

bottiglia

vicino ormai vuota. "Porca troia." Ho una rabbia dentro e non

so con chi prendermela. Cazzo e vaffanculo. Perché? Perché?

Perché?

Merda. Non posso fare niente. Neanche bestemmiare. No,

non servirebbe a niente. Ma non ci voglio pensare. Sto male,

cazzo.

Guardo giù. Eccola. Grazie. Sono più felice ora. Prendo la

bottiglia

per il collo, raccolgo tutta la mia forza e la lancio giù come

un boomerang, perfetto, veloce, speriamo solo che non ritorni. La

bottiglia rotea a duemila e pum, centra il parabrezza della Twingo

in pieno, disintegrandolo. Era una Twingo nuova, perfetta. Nera

credo o comunque scura. L'insieme di tutto ciò che odio. Un colpo

solo. Come Il cacciatore.

Capitolo 31.

Un vento leggero si perde tra piccole case ordinate, tra marmi

bianchi e grigi, tra fiori appena appassiti e altri appena messi.

Foto

e date ricordano qualcuno. Amori passati, vite spezzate o

naturalmente

recise. Comunque, andate. Strappate. Come quella del

mio amico. E a volte tutto questo accade senza un perché e il

dolore

è ancora più grande. Cammino tra le tombe. Ho un mazzo di

fiori in mano, i girasoli più belli che ho potuto trovare. In

amicizia,

come nell'amore, non si bada a spese. Ecco. Sono arrivato.

"Ciao, Pollo."

Guardo quella foto, quel sorriso che tante volte mi ha fatto

compagnia.

Quell'immagine piccola, così come grande e generoso era

il suo cuore.

"Ti ho portato questi."

Come se non mi vedesse, come se non sapesse. Mi piego, tolgo

dei fiori appassiti da dentro un piccolo vaso. Mi chiedo chi

glieli

ha portati e quando. Forse proprio Pallina. Ma poi abbandono

questo pensiero, lo butto via lontano proprio come coi fiori

appena

tolti. Sistemo alla meglio quei grandi girasoli. Sembrano ancora

forti di quei campi, sani di quei soli. Li dispongo con cura,

facendo

spazio tra loro. Sembrano quasi accomodarsi naturalmente.

E subito si rivolgono verso il sole, come un sospiro lungo, di

soddisfazione,

come se da sempre avessero cercato quel vaso.


"Ecco, ecco fatto."

Rimango per un po' in silenzio, quasi preoccupato di poter esser

stato interpretato male, di poter aver avuto qualche pensiero

sbagliato, non puro come invece è la nostra amicizia.

"Ma così non è, Pollo, e tu lo sai. Così non è stato neppure per

un attimo. "

E poi quasi prendo le difese di Pallina.

"La devi capire, è una ragazzina e le manchi. E tu sai, o forse

non sai, quanto cavolo le davi, cos'eri per lei, quanto la facevi

ridere,

quanto la facevi felice. E noi possiamo dircelo. Quanto

l'amavi..."


Mi guardo in giro, quasi preoccupato che qualcuno possa sentire

quella confidenza.

Lontano, più lontano, c'è una donna anziana vestita di nero.

Prega. Un po' più in là un giardiniere e il suo rastrello cercano

di

raccogliere alcune foglie ormai ingiallite. Torno dal mio amico. E

a lei.

"Devi capirla, Pollo. È una bella ragazza. È diventata una donna.

È incredibile come si trasformano. Tu le vedi, le rincontri, ed è

bastato un po' di tempo, un attimo, per trovare al posto loro

qualcun'altra.

Ieri non ho avuto dubbi, non so, non potrei mai. Lo so

che mille volte abbiamo riso e scherzato su 'mai dire mai', ma è

bello

poter avere qualcosa nella vita che rappresenti una certezza, no?

Cazzo, la verità è che solo noi possiamo essere una nostra

certezza.

E mi piace un sacco dire 'no', hai capito? Mi piace un sacco dire

di 'no'. E mi piace un casino dire 'mai'! Cazzo, mi piace dirlo

per te, per quello che è stata ed è la nostra amicizia. Perché è

una

certezza. È la mia certezza. Già t'immagino, starai ridendo. Mi

prendi

per il culo, eh? Anzi no, lo so. Se ti avessi fatto tutto questo

discorso

mentre stavamo da qualche parte insieme alla fine mi facevi

uno scherzo. Ma siccome non mi puoi rispondere... be', te la devi

prendere così com'è tutta 'sta storia, ok? E comunque già la so

la domanda che mi avresti fatto. No. Non l'ho vista e non ho

intenzione

di farlo, va bene? Almeno non ora. Non sono pronto. Sai,

a volte penso se le cose fossero andate diversamente. Se se ne

fosse

andata lei al posto tuo. Io e te come amici non ci saremmo mai

lasciati, mentre lei, forse, così non avrei mai potuto

dimenticarla.

Lo so, sono egoista, ma almeno adesso ho ancora qualche

possibilità

di dimenticarla. Invece ti volevo raccontare qualcosa di questa

Gin. È una boccata di aria nuova. Ti giuro, cazzo, è allegra,

simpatica,

intelligente, è forte. Non ti posso dire di più perché, perché...

non ci sono stato a letto."

In quel momento passa lì vicino l'anziana signora. Ha finito tutte

le sue preghiere. Mi guarda incuriosita. Fa uno strano sorriso.

Non si capisce bene se è un sorriso di solidarietà o di semplice

curiosità.

Fatto sta che sorride e si allontana.

"Be', Pollo, ora vado anch'io. Spero di poterti raccontare presto

qualcosa su Gin, qualcosa di buono."

Poco lontano è appena arrivato un nuovo ospite. Alcune persone

scendono dalle auto in silenzio. Occhi lucidi, fiori freschi,

ultimi

ricordi. Parole dette a mezza voce cercando di capire bene cosa

fare. Il tutto confuso dal dolore. Poi mi piego per un'ultima

volta.

Sistemo meglio quel grosso girasole. Gli concedo un altro po' di

spazio e l'occasione di fare compagnia al mio amico del cuore. Mi

torna in mente una frase di Winchell: "L'amico è colui che entra

quando tutto il mondo è uscito". E tu, Pollo, sei ancora dentro

me.

Capitolo 32.

"E quindi che hai fatto, ci sei uscito?"

Lo guardo sorridendo.

"Macché, sono uscito con una mia vecchia amica."

"E hai intinto il biscotto nel passato..."

Lo guardo. Marcantonio ha una faccia alla Jack Nicholson e cerca

di carpire con simpatia i miei segreti. Ma non sa la storia. Non

sa

chi è Pallina. Non sa nulla di me e Pollo. Gli sarebbe stato

simpatico?

"Io invece mi sono visto con la Fiori."

"E allora?"

"Oh, io non capisco le donne. Un bacio, un altro bacio, una

strusciatina, la cominci a toccare come si deve, ma alla fine,

scusa,

non è meglio scopare direttamente? Eh, no, è troppo presto, è

troppo

presto. Ma di che, oh? ! "

Poco più in là. Stessa città, stessa storia. O meglio, al

femminile.


"E quindi che hai combinato?"

Silenzio. Prendo Ele da dietro intorno al collo e le punto il mio

fermaglio alla gola.

"Se non parli ti sgozzo."

Ele quasi tossisce.

"Va bene, va bene, ma che sei cretina? Quasi mi strozzi. E poi

chi te le racconta queste prudité?"

"Che cosa?"

"Prudité: piccole cose spinte, sei proprio out."

Ele scuote la testa guardandomi.

"Senti Ele, a parte che nel caso è pruderie, ma possibile che

non riesci a mettere in fila tre parole d'italiano che ci devi

subito

sbattere dentro uno stranierismo ! "

"Yes, I do."

Sollevo gli occhi al cielo. Incorreggibile. "Ok, racconti o no?"

"Allora sai che ha fatto? Mi ha invitato a cena a casa sua."

"Ma chi?"

"Marcantonio, il grafico."

"L'amico di Step!"

"Marcantonio è Marcantonio e basta. E non sai che carino, come

si è dato da fare, mi ha preparato una cena splendida."

Marcantonio sorride. Come uno che la sa lunga. O meglio, la

sa a memoria, tante devono essere le volte che la mette in

pratica.

"Allora, per cominciare sono andato giù da Paolo, il giapponese

di via Cavour, e ho preso un po' di roba. Tempura, sushi, sashimi,

passion fruit. Roba che sfizia, alto contenuto erotico. Li ho

portati

su, ho dato una riscaldatina al tempura, et voilà, tutto fatto. Ho

apparecchiato con le classiche bacchette giapponesi più forchetta

se hai poca dimestichezza con l'uso del mangiare orientale..."

"Avevi preso pure dal marocchino al semaforo i classici fiori da

5 sacchi?"

"Be', certo, quelli sono ideali: minima spesa per effimero

centrotavola!"


Ele sembra entusiasta della serata.

"Be', continua. Quindi aveva apparecchiato con amore, tutte

cose scelte con gusto..."

"Con molto gusto."

"Sei pronta? Domanda fondamentale: fiori ce n'erano?"

"Certo! Rose piccole, bellissime, ha giocato pure sul mio

cognome..."


Scoppiamo a ridere, poi torno seria.

"Ele, ora dimmi la verità." Ele alza gli occhi al cielo.

"Ecco lo sapevo. Dadà e arrivederci alla prossima puntata." Le

salto di nuovo al collo: "Questa volta ti sgozzo sul serio".

"No, ok, d'accordo parlo, parlo."

La libero dalla stretta. Ele mi guarda con occhio preoccupato,

alzando anche il sopracciglio.

"Ehi, non è che poi mi sgozzi sul serio?"

La guardo preoccupata. "Cosa hai combinato?"

"Ok... Gli ho fatto un pompino! "

"No, Ele, non è possibile! Alla prima uscita! Questa non si è

mai sentita."

"Ma di che parli?! Benedetta, quella che tu giudicavi una santa,

la Paoletti te la ricordi, no? È stata beccata al Piper in bagno

inginocchiata

in santa adorazione orale con tale Max conosciuto su pista

da ballo. Tempo di conoscenza mezzo disco di Will Young... La

cover dei Doors, Light my fire. Dopo di che è stata presa sul

serio da

uno strano fuoco. Ha cantato al microfono e si è fatta pure

beccare.

E Paola Mazzocchi? Lo sai che l'hanno beccata in bagno a scuola

con il prof di Educazione fisica, Mariotti? Eh, lo sai o non lo

sai, dopo

appena una settimana di scuola. L'adoratrice di cannoli siciliani!

Ti ricordo che quel soprannome ha girato per tutta la scuola. E

sai

perché? Perché Mariotti ha i capelli biondo tinti, ma è di

Catania."

"Sì, ma queste sono leggende metropolitane. Mariotti è rimasto

a insegnare. Ma ti pare che veniva beccato e non lo allontanavano?


"Ah, non lo so. So solo che la Mazzocchi aveva comunque quattro

in Educazione fisica..."

"Che c'entra?"

"C'entra, c'entra... Vuol dire che non sapeva neanche fare bene

un pompino."

"Ele, ma tu sei fuori! Vuoi dire che invece tu ti vanti della tua

bravura? Mo' ti sgozzo sul serio."

Marcantonio ci prova gusto a raccontare.

"Le ho fatto body art."

"Che vuol dire?"

"Tu che vieni da New York non lo sai? Cioè, io sarei giustificato,

ho passato le mie vacanze a Castiglioncello... Ma tu invece lì,

nella Big Apple e non sai di che stiamo parlando?"

Sbuffo e sorrido guardandolo.

"So cos'è. Ma che vuol dire è un'altra domanda."

"Oh, ecco, così mi piaci. Le ho dipinto il corpo. L'ho spogliata

tutta, poi ho cominciato a dipingerla. Pennelli a tempera calda,

leggeri, sul suo corpo, su e giù, intingendoli ogni tanto

nell'acqua

calda di una boccetta. Scivolavo su di lei dandole piacere,

guardandola.

Anche le sue guance acquistavano colore, senza che io me

ne occupassi. Le ho dipinto addosso quelle mutandine che le avevo

appena tolto, poi piano piano del chiaroscuro sui suoi capezzoli,

che, sempre più turgidi, sembravano impazzire a quelle pennellate

calde di piacere."

"E poi?"

"Presa da un orgasmo cromatico ha voluto dare lei colore al


mio pennello."

"Tradotto?"

"Mi ha fatto un pompino."

"Fiuuu. Se tanto mi dà tanto..."

"Hai qualche buona speranza con l'amica, su questo stai

ragionando?

"

"Ragionavo ad alta voce, sbagliando... E poi?"

"Poi niente, siamo rimasti a chiacchierare del più e del meno,

abbiamo piluccato un po' di giapponese rimasto e l'ho accompagnata

a casa."

"Ma dai, dopo il pompino non te la sei scopata?"

"No, non ha voluto."

"Cioè spiegami un po', il pompino sì e la scopata no, che ragione

c'è?"

"Ha tutta una sua filosofia. Almeno questo mi ha detto lei."

"E non ti ha detto altro?"

"Sì, mi ha detto: 'Bisogna sapersi accontentare'. Anzi no, meglio.

Ha detto che chi si accontenta, gode. E poi si è messa a ridere. "

"Ma Ele scusa... Allora tanto valeva che ci andavi a letto. Sesso

per sesso..."

"Ma che c'entra, scopare è un'altra cosa, l'unione perfetta.

Coinvolgimento

totale. Lui che è dentro di te, l'ipotesi di un figlio... Ti

rendi conto? Altro discorso è un pompino."

"E certo! Come no! "

"Senti, per me è come un saluto più affettuoso. Ecco, tipo stretta

di mano."

"Una stretta di mano? Vallo a raccontare ai tuoi."

" Certo, se uscisse nel discorso... Ma perché scusa loro non

l'hanno

fatto? Siamo noi che non riusciamo a vedere la normalità del

sesso, se ne dovrebbe parlare come di tutto, è che siamo borghesi,

per esempio, immagina tua madre che fa un..."

"Ele!!!"

"Ma perché, anche tua madre fa la difficile?"

"Ti odio."

"Be' Step, ora ti saluto. Quando abbiamo appuntamento con

Romani, il Serpe, e il resto del sottobosco?"

"Domani alle undici. Cioè, questo è il massimo... Ora ti devo

ricordare io gli appuntamenti. "

"Certo. È questa la vera 'assistenza'. Allora ci vediamo domani

a quell'ora meno qualche minuto."

Lo vedo allontanarsi così, un po' ciondolante, con una sigaretta

già in bocca. Dopo neanche un passo si gira. Mi guarda e fa un

sorriso. "Ehi... Fammi sapere se hai novità anche tu con la Biro.

Non fare l'ermetico, eh? Aspetto i tuoi racconti e non t'inventare

niente. Tanto un pompino si batte facilmente! "

Capitolo 33.

Un pomeriggio come tanti altri. Ma non per lei. Raffaella Gervasi

gira inquieta per casa. Qualcosa non le torna. Uno strano

malessere.

Un fastidio di fondo. Qualcosa che ha dimenticato... o qualcosa

che non riesce a ricordare. Raffaella cerca di calmarsi. Che

sciocca, forse sono così per mia figlia Babi. È così cambiata.

Così

piacevolmente cambiata. Finalmente sa quello che vuole. Ha fatto

la sua scelta e ora non ha più dubbi. Ma io? Io cosa voglio? E

improvvisamente

si ritrova davanti allo specchio del salotto. Si avvicina

preoccupata alla sua immagine, si guarda, cerca con le mani

di lisciarsi la pelle, di aiutarsi, si tira un po' indietro le

guance per

cancellare dal viso quel tempo passato, quegli anni che giacciono

lì, depositati ormai intorno ai suoi occhi. Ecco, vorrei meno

rughe,

ma questo è facile. Basta farsi un po' di botulino. Va di moda

adesso.

Fanno delle specie di feste dove si correggono queste

"imperfezioni

estetiche". Passano con un vassoio d'argento, una serie di

siringhe... le prendono e ci danno dentro che sembra champagne.

Leggere, indolore, costano perfino meno di un Moèt. Ma è veramente

questo il tuo problema? Raffaella si guarda negli occhi e cerca

di essere sincera almeno con se stessa. No, hai quarantotto anni

e per la prima volta in vita tua, nei confronti di tuo marito hai

un dubbio. Cosa gli sta accadendo? Torna sempre più spesso tardi

dal lavoro. Ho perfino controllato il conto in banca che abbiamo

in comune. Ci sono molti prelievi, troppi. Come se non bastasse

si è comprato dei ed. Lui... dei ed? Ho controllato in macchina.

Ascolta un certo Maggese di Cesare Cremonini, un ragazzino, poi

una compilation di Montecarlo Nights, quella musica notturna

strana

e sensuale e, colmo dei colmi... Buddha Bar VII, ancora peggio!

Per uno che ha sempre e solo ascoltato musica classica e che al

massimo

si è avventurato in un jazz delicato, tutto questo è una specie

di rivoluzione. E dietro a ogni rivoluzione così non ci può essere

che una donna. Ma com'è possibile? Claudio... e un'altra! Be', non

ci posso credere. Perché non ci puoi credere? Quante coppie del

vostro gruppo si sono sfasciate? E per cosa? Diverbi sulle scelte

di

lavoro? Discussioni su dove andare per le vacanze estive, se al

mare

o in montagna? Contrasti sull'educazione dei figli? O in che modo

cambiare l'arredamento di casa? No. Dietro c'è sempre e solo

un'altra persona. Una donna. E quasi sempre più giovane. E mentre

se lo confessa, Raffaella passa in rapida successione le schede,

le ipotesi, le facce di tutte quelle donne, quelle amiche, vere o

false

che siano. Niente. Non esce niente. Non le viene in mente niente.

Neanche una minima ipotesi, un nome, un indizio qualsiasi. Allora,

presa dalla gelosia più folle, si tuffa nell'armadio di Claudio e

fruga in ogni giacca, nei giubbotti, nei cappotti, nei pantaloni,

cercando

una qualsiasi prova, respirando i baveri, gli interni, per

sentire,

per cercare di trovare quel profumo colpevole, quel capello di

troppo, quello scontrino, un biglietto d'auguri, una frase

d'amore,

un accenno di desiderio... un piano di fuga! Qualsiasi cosa che

possa

dare pace a questa sua follia isterica, a questa sua insicurezza

rabbiosa. Claudio e un'altra. Perdere tutto quello che sembrava

per

lei e la sua vita una certezza quasi banale. Poi improvvisamente

una

luce, un lampo, un'idea. Forse la soluzione. Raffaella si

scapicolla

in sala da pranzo in cerca di quella cuccuma d'argento dove

finisce

la posta appena arrivata. Eccola là. C'è tutta. E non è stata

ancora

aperta. La prende a piene mani e comincia veloce a sfogliarla.

Per Babi, per Daniela, per me, per Babi di nuovo... ecco, per

Claudio! Ma è l'Enel, per me una promozione di saldi e sconti. Ma

cosa vuoi che me ne freghi ora. Eccola. Claudio Gervasi.

L'estratto

conto della carta di credito Diners. Raffaella corre in cucina,

prende un coltello e la apre delicatamente. Se trovo qualche

prova,

poi la richiudo e metto tutto a posto e faccio finta di niente.

Così

poi lo becco in flagrante e lo rovino. Lo rovino. Giuro che lo

rovino.

Tira fuori l'estratto e comincia a spizzarlo come la più grande

partita di poker mai giocata al mondo. Ogni riga è un sussulto.

L'ipotesi che l'avversario possa avere in mano quattro donne. O

anche

semplicemente una, ma comunque un'altra. Raffaella controlla

frenetica tutti gli importi. Niente. Tutti pagamenti regolari. Rid

del mutuo, pagamento del gasolio per la macchina... ecco! Una nota

strana. Acquisto in un negozio di ed. Quanti ne avrà presi? Be',

per il prezzo che vedo devono essere i tre che ha in macchina.

Niente

da fare. Ecco il completo di Franceschini, quello a via Cola Di

Rienzo. È quello che ha preso ai saldi e poi Teresa, la sarta, gli

ha

fatto l'orlo ai pantaloni. Sì, è tutto a posto. Raffaella ora

guarda più

tranquilla le ultime due righe, pagamento del telefono di casa...

mamma mia, questo bimestre abbiamo speso 435,00 euro. Ma non

fa in tempo ad arrabbiarsi. A pensare a quello che dirà alle

figlie,

le sole colpevoli di quell'intera cifra. Perché improvvisamente i

suoi

occhi cadono su un'altra spesa. 180,00 euro per qualcosa che lei

non si sarebbe mai aspettata.

Capitolo 34.

Ai Prati vicino alla Rai, all'angolo tra via Nicotera e viale

Mazzini,

c'è il Residence Prati, casa e albergo di tante piccole stelle del

cinema, della fiction, della soap, del varietà, di tutta la tv

italiana.

Ecco, poco più in là c'è anche una palestra. Scendo giù, è un

seminterrato.

Non sembra, ma sono quattrocento metri quadri buoni

se non di più, ben dislocata, diversi specchi, bocche di lupo,

un'areazione perfetta, un grosso tubo d'acciaio che serpeggia a

testa

in giù dal soffitto sbuffando e respirando.

"Ciao, cerchi qualcuno?"

Una ragazza con i capelli corti dalla pettinatura buffa mi sorride

nascosta dietro una strana scrivania. Nasconde un libro di

diritto,

chiuso con una matita in mezzo e due evidenziatori lì vicino,

classico da primo anno di università.

"Sì, sto cercando una mia amica."

"Chi è? Forse la conosco. È iscritta da molto tempo?"

Mi viene da ridere e vorrei risponderle: "Da mai! ". Ma sarebbe

come buttare all'aria ogni possibilità con Gin. Farla scoprire

nella

sua rete di palestre, il massimo.

"No, mi ha detto che oggi voleva fare una lezione di prova."

"Dimmi il nome che te la chiamo al microfono."

"No grazie." Sorrido, finto ingenuo. "Voglio farle una sorpresa."

"Ok, come vuoi."

La ragazza si rimette tranquilla e riprende a studiare. Codice

penale. Ho sbagliato, deve essere minimo al terzo anno, se non c'è

di mezzo qualche fuori corso. Poi rido fra me e me. Chissà, magari

un giorno potrebbe essere il mio avvocato. Probabile.

Eccola lì, Ginevra. Gin. La Biro. Roba da pazzi. Facendo onore

al suo cognome, descrive nell'aria traiettorie perfette prima di

colpire il sacco. Saltella di continuo. Pseudoprofessionista

pugile.

Improvvisamente mi ricorda Hilary Swank quando va a festeggiare

in palestra, da sola, il suo compleanno. Gira attorno al sacco

veloce

e Morgan Freeman decide di darle alcuni consigli su come si

colpisce. Avevo sentito dire che le donne italiane si erano

fissate

per la boxe. Ma pensavo fossero dicerie. Questa invece è una

realtà.

"Vai ancora, brava così, colpisci dritto." Qualcuno la allena.

Ma non somiglia a Clint Eastwood. Sembra perfino soddisfatto,

forse se la vuole solo portare a letto. Eppure la guardo. Eppure,

perché mi sembra di guardarla in modo diverso. Che strano. Quando

da lontano guardi una donna, ne scorgi i minimi particolari,

dettagli,

come muove la bocca, come si imbroncia, come si morde il

labbro, come sbuffa, come si aggiusta i capelli, come... tante

altre

cose. Cose che da vicino perdi, cose che a pochi passi magari

vengono

messe da parte dai suoi occhi.

Gin continua a sbuffare colpendo ripetutamente il sacco. "Destro

sinistro e giù ! Brava ritorna indietro, destro sinistro e giù...

Così

ancora..."

Continua a sudare mentre colpisce e agita i capelli neri

all'indietro.

Poi, sembra quasi un rallenty, si sposta i capelli dalla faccia

con il guantone e li porta lì, dietro le orecchie. Ci manca solo

che

si rifà il trucco. Donne e boxe, roba da pazzi. Mi avvicino piano,

senza farmi vedere.

"Ora prova un affondo e giù."

Gin colpisce due volte di sinistro poi prova l'affondo di destra.

Le sposto al volo il sacco e le blocco il braccio destro. "Pum."

Vedo

la sua faccia sorpresa, quasi attonita. Veloce, chiudo la mia mano

a pugno e la colpisco leggero sul mento. "Ciao, One Million

Dollar Baby. Pum, pum, eri morta." Si divincola liberandosi.

"Che cavolo ci fai qui?"

"Volevo provare questa palestra."

"Ma guarda! Proprio questa."

"Si dà il caso che può capitare, mi è comoda e siccome anch'io

'lavoro' qui vicino..."

"Sono stata presa a prescindere da te."

"Ma chi ti ha detto niente."

"Eri allusivo."

"Sei malata."

"E tu sei stronzo!"

"Basta, calma... Non vi metterete a discutere proprio qui in

palestra,

no?"

Si mette in mezzo l'allenatore.

"E poi scusa, Ginevra... per te questa è la prima lezione di prova

qui da noi, no? Non sei iscritta qui alla Gymnastic. Quindi lui

non

poteva sapere, non poteva essere sicuro di trovarti. È stato un

caso."

La guardo e sorrido. "È stato un caso. La vita è fatta di casi. E

mi sembra assurdo trovare delle ragioni al perché di quel caso.

Giusto?

È un caso e basta."

Gin sbuffa con le mani poggiate sul fianco ancora prigioniere

dei guantoni.

"Ma che 'caso' stai dicendo?"

"Buona Ginevra" si rifà sotto l'allenatore. "C'è troppo astio fra

di voi. Sembra che vi odiate."

"No, non sembra. È! "

"Allora dovete stare attenti. Tu che dovresti essere ancora fresca

di scuola te lo dovresti ricordare: 'Odi et amo. Quare id

fariam..., néscio...'."

Gin alza gli occhi al cielo.

"Sì, sì, grazie, la conosco. Ma qui i problemi sono altri."

"Allora dovete risolverli fuori di qui."

La guardo e sorrido.

"Giusto, vero... Ecco una buona idea. Esci?"

"Devi stare attento. Non la sottovalutare, Ginevra è forte, sai?"

"E come se non lo so. È pure terzo dan."

"Ma dai..." L'allenatore si fa curioso. "Non lo sapevo questo.

Sul serio?"

"Sì, stranamente sta dicendo la verità."

L'allenatore si allontana scuotendo la testa.

"C'è astio, c'è astio. Così non va, così non va."

Poi torna indietro sorridente, come se avesse trovato la soluzione

a tutti i problemi mondiali. Quanto meno a quelli miei e di

Gin.

"Perché non fate un piccolo incontro? Scusate, è l'ideale, un

sano scarico di tensioni."

Gin alza la mano con il guantone aperto verso di me, indicandomi.


"Tse, ma figurati se questo qua si è portato la roba per

cambiarsi."


"E invece 'questo qua' se l'è portata."

Le sorrido divertito e prendo da dietro la colonna la mia sacca.

"E ora, seguendo i consigli del tuo allenatore, vado subito a

cambiarmi. Non ti preoccupare comunque, ci vediamo fra poco."

Gin e l'allenatore rimangono lì a guardarmi mentre mi allontano.

"Non c'è niente di meglio, in fondo quel ragazzo mi sembra

simpatico e così puoi mettere in pratica parte dei colpi che oggi

ti

ho spiegato, comunque mi sembra che tu li abbia perfettamente

capiti."

"Sì, ma tu hai capito chi è quello?"

L'allenatore mi guarda perplesso. "No, perché chi è?"

"Lui è Step."

Rimane per un po' soprappensiero con gli occhi socchiusi, cercando

nel suo immaginario, tra i suoi ricordi e il sentito dire delle

tante leggende metropolitane. Niente. Non trova niente.

"Step, Step, Step. No, mai sentito."

Lo guardo preoccupata mentre lui mi sorride compiaciuto. " No,

sul serio, mai. Ma stai tranquilla, gli terrai testa! "

E in quel momento capisco due cose. Uno, sicuramente non è

un buon allenatore e due, proprio per questo dovrei iniziare a

preoccuparmi.


Una maglietta leggera, pantaloncini, calzettoni e le nuove Nike

prese alla Nike Town di New York. "Ehi, Step, ciao." Negli

spogliatoi

incontro uno che conosco, ma del quale non ricordo il nome.

"Che fai, ti alleni qui?"

"Solo per oggi. Voglio fare una lezione di prova tanto per vedere

un po' come cammina questa palestra."

"Cammina bene, eccome! A parte che è piena di fighe. Hai visto

quella al sacco? Una bona da paura."

"Fra poco tiro due colpi con lei."

"Ma dai!"

Il tipo del quale non mi ricordo assolutamente il nome mi guarda

sorpreso, poi un po' preoccupato.

"Non è che ho sbagliato? Non dovevo dirlo?"

"Che cosa?"

"Che è una bona da paura?"

Chiudo a chiave l'armadietto, mi metto il lucchetto in tasca.

"E perché mai? È vero! " Gli sorrido ed esco.

"Allora, terzo dan, si comincia?"

Gin mi guarda facendo un finto sorriso.

"A parte che qui non c'entra niente il terzo dan e poi come sei

ripetitivo, non riesci a trovare niente di nuovo?"

Rido come un pazzo e allargo le braccia.

"Non ci posso credere. Stiamo per fare un combattimento di

pugilato, un bell'incontro di quelli tosti... e tu che fai?

Sfruculi."

"Bello, sfruculi, mi mancava."

"Tu non lo puoi usare, in questo caso i diritti sono miei!" E

proprio subito dopo... Bum. Questo non me l'aspettavo. Mi prende

in piena faccia con un destro, veloce, preciso, posso dire

inaspettato

come giustificazione. Comunque mi ha preso.

"Brava, benissimo."

L'allenatore salta divertito.

"Destro, sinistro affondi e ti richiudi."

Muovo la mascella e me la sposto a destra e a sinistra,

leggermente

indolenzita.

"Niente di rotto?"

Gin saltella sulle gambe guardandomi e alza un sopracciglio.

"Se vuoi, cominciamo sul serio."

Poi saltellando mi viene più vicina.

"Questo era solo un assaggio, mitico Step. Ah, il mio allenatore

non ha mai sentito il tuo nome. "

La guardo mentre mi infilo i guantoni.

"Se è per questo non ha visto neanche la foto che ti ho fatto

con la polaroid. Certo, se la vedesse..."

"Se la vedesse?"

"Be', forse ci ripenserebbe. In quella foto fai così paura che di

colpo gli passerebbe perfino la voglia di portarti a letto ! "

"Ora mi hai veramente stufato."

Gin mi salta addosso come una furia e comincia a colpirmi. Paro

ridendo pugni che volano da tutte le parti, a guantone aperto,

poi chiuso, largo, stretto. Alla fine mi entra con un calcio

dritto per

dritto.

"Ehi..."

Colpito e affondato. Basso ventre. Mi prende lì in pieno. Mi

piego in due dal dolore. Riesco a trovare un po' di fiato.

"Ahia! Non vale!"

"Con te vale tutto."

"Ecco, Gin, se anche volessi dimostrarti il mio amore, in questo

momento non sarei proprio all'altezza."

"Non ti preoccupare... Mi fido sulla parola."

Porca puttana, mi ha distratto, mi ha fatto ridere e poi mi ha

sfondato. Rimango piegato in due cercando di recuperare. Si

avvicina

l'allenatore. "Problemi?"

Mi poggia la mano sulla spalla.

"No, no, tutto a posto... O quasi."

Sbatto i piedi e mi porto le mani sui fianchi, respiro

profondamente

mentre mi tiro su.

"Ecco, vedi, ora potrei finirti, se non provassi pena per te."

"Come sei caritatevole. Ci spostiamo sul ring?"

"Certo."

Gin mi sorride tranquilla. Mi passa sicura davanti. L'allenatore

si

porta ai bordi del ring e alza le corde aiutandoci a passare

sotto.

"Ehi, ragazzo, mi raccomando... Nessun colpo proibito e andateci

piano, eh? Un bell'incontro, su."

Gin mi raggiunge al centro del ring, ci diamo un colpetto sui

guantoni. Tutti e due insieme, come nei film.

"Sei pronta?"

"Sono pronta a tutto. E non gli dare retta, lui non è il mio

allenatore

e tu sei finito ! Ti avviso che sono ammessi tutti i colpi

soprattutto

quelli proibiti, almeno da parte mia! "

"Ohi, ohi, ohi... Che paura!"

Di risposta cerca di colpirmi in pieno volto, ma stavolta sono

pronto, paro di sinistro e le do un bel calcio nel culo, senza

farle

troppo male però.

"Eh, eh, eh... Adesso ci sono anch'io. Allora si comincia?"

Saltelliamo su e giù, girandoci intorno, studiandoci mentre

Nicola,

l'allenatore, ha fatto partire il tempo su un suo cronometro

Swatch o qualcosa giù di lì. Gin comincia a colpirmi e sorride

mentre

lo fa.

"Ehi, ti diverti ancora, eh? Brava, fai bene perché fra un po'..."

Poi un colpo dritto per dritto in pancia mi toglie per un attimo

il

respiro. Veloce l'amica.

"Risparmia il fiato, mitico Step, che ne hai bisogno. Ti avevo

detto che ho fatto anche molto full contact?" Continuo a

saltellare

mentre recupero. "Prima regola, devi sempre attaccare dopo un

colpo andato a fondo, sennò..."

Le parto da vicino ma non troppo forte, non troppo veloce. Destro,

ancora destro, poi driblo di sinistro e poi di nuovo destro. I

primi tre li para perfettamente il destro finale entra. Poi vedo

Gin

accusare il colpo, si sposta verso sinistra e quasi scivola. L'ho

colpita

troppo forte. Faccio per prenderla prima che cada per terra!

"Ehi, scusa, t'ho fatto male?" Sinceramente preoccupato. "È

che..."

Gin mi risponde con un uppercut prendendomi il mento di striscio.

Mi spezza le parole in bocca, per fortuna solo quelle.

"Non mi hai fatto niente." Sbuffa inorgoglita e gira veloce la

testa portandosi indietro i capelli, poi salta all'attacco. Una

doppia

sforbiciata. Destro, sinistro e di piatto col piede mi spinge

indietro

e poi ci dà sotto. Destro, sinistro e ancora destro. Sinistro,

destro,

gancio, li paro come posso, per non colpirla ancora, paro

sorridendo

e ogni tanto anche un po' in difficoltà, a essere sincero. Sempre

più vicini. Mi mette all'angolo, attacca ancora. "Ehi, troppa

foga."

Mi copro con i guantoni e lei continua a colpire, poi tenta un

colpo dritto per dritto di destro e tac, ecco fatto. Allargo il

sinistro

al volo e lo raccolgo al corpo. Le blocco il braccio destro sotto

il

mio e lo tengo ben stretto. "Imprigionata! "

Rimane bloccata così, leggermente più lontana con il sinistro.

"Ci vai con troppa foga, vedi che succede?"

Gin prova a liberarsi in tutti i modi. Si tira indietro, si

appoggia

alle corde, mi viene contro, si rilancia indietro, sbatte contro

di

me divincolandosi. Le do un pugno leggero con il destro sul viso.

"Pum... Vedi che potrei farti?" Continuo a colpirla. "Pum, pum,

pum. Gin pungiball... Eri finita!"

Di tutta risposta, come impazzita prova a colpirmi con il sinistro

libero. Lo paro con facilità, non si arrende, pum, pum, pum,

glieli paro tutti, uno dopo l'altro. Gin tenta da sotto, poi con

un

dritto, un gancio, di nuovo da sotto, sale con un piede sulla

corda

e si dà una spinta per colpire con ancora più slancio. Niente da

fare,

sono fermo contro l'angolo e le tengo il destro ben stretto a me.

Gin è fuori di sé. "Iaooo!" Prova a colpirmi con il ginocchio, ma

alzo al volo il mio parando anche quello. Prova a colpirmi di

nuovo

con un gancio sinistro ma lo fa con meno velocità, forse un po'

stanca. Ecco l'errore che aspettavo. Allargo il braccio destro e

blocco

anche il suo sinistro tenendolo ben stretto a me. "E ora?" Rimane

così a guardarmi per un attimo di fronte a me, completamente

bloccata. "Dove va adesso Gin, la tigre?" Prova a liberarsi.

"Buona, stai buona. Qui, tra le mie braccia." Prova di nuovo a

liberarsi

ma non ce la fa. Mi avvicino e la bacio, sembra starci per

un attimo. "Ahia! " Mi ha morso. La lascio al volo liberandole

tutte

e due le braccia. "Porca troia." Mi porto i guantoni alla bocca

per vedere se butto sangue. "Ma così mi stacchi un labbro. E poi

le altre? ! ! Guarda che quelle menano e non sono poche."

"Te l'ho già detto. Io non ho paura."

E per confermarmelo, prova un waikiki. Gira su se stessa per

colpirmi con un calcio rotante. Ma io sono più veloce, scivolo per

terra e le faccio una spazzata facendola cadere giù vicino a me.

"È inutile, Gin, è come quando Apollo in Rocky 4 dice: 'Io t'ho

insegnato quasi tutto. Tu combatti alla grande, ma io sono

grande!'."

È in un attimo le sono sopra, le blocco il corpo con le gambe

avvinghiate intorno alla vita e con il destro la tengo stretta a

terra

con la faccia sul pavimento, proprio lì, vicino alla mia.

"Allora? Sai che sei bellissima così? È un sentimento sincero il

mio." Non so perché, ma mi ricorda tanto Arma letale. Quando

Mel Gibson e René Russo si confrontano sulle cicatrici e poi

cadono

a terra. Ma noi siamo più belli, siamo veri.

"Gin, ti va di fare l'amore?"

Gin sorride e scuote la testa. "Qui? Adesso, sul parquet della

palestra, davanti a Nicola e agli altri che ci stanno guardando?"

"Il trucco è solo non pensarci."

"Ma che dici, Step, ma sei scemo? Poi magari senti pure che

fanno il coro dandoci il tempo. "

"Ok, allora riprendiamo il combattimento, come vuoi tu. Io ti

avevo dato una chance."

Ci rialziamo insieme. Questa volta però, divertito, attacco io. La

stringo nell'angolo e comincio a colpirla. Senza andarci troppo

pesante

però. Gin è veloce e cerca di uscirne. Con una spinta la rimetto

all'angolo. Lei si abbassa, schiva, fa per uscirne, ma io la

riblocco

e la ributto lì. Poi finge un sinistro, in realtà allarga. Io tiro

al corpo

lentamente. Lei velocissima richiude il braccio bloccandomi il

destro.

Subito dopo, quasi al volo fa la stessa cosa con il mio sinistro.

"Ta ta... Ti ho bloccato io. E adesso?"

In realtà con una capocciata me ne libererei subito, ma non mi

sembra proprio il caso. Gin sospira.

"Al solito... sei mio prigioniero, non ti azzardare a mordere,

però. Giuro che se lo fai ti stendo."

Prende e mi bacia. La lascio fare, divertito, saliva e sudore,

baci

lisci e morbidi, desiderosi e sfuggenti. La lascio fare, sì. Gioca

con le mie labbra, la stringo tra i guantoni, lei si strofina a

me, pantaloncini

e maglietta, sudata al punto giusto. I suoi capelli mi si

attaccano

al viso nascondendomi da sguardi indiscreti.

Ma Nicola, che ci seguiva tenendo il tempo, non può certo perdersi

questo strano incontro.

"Prima si vogliono sfondare e poi buttano tutto in cagnara. Che

gioventù assurda."

E si allontana scuotendo la testa. In cagnara quello che stiamo

facendo? Questa è arte, uomo. Arte fantastica, sopraffina,

mistica,

selvaggia, elegante, primordiale. Continuiamo a baciarci

nell'angolo

del ring, fregandocene, ora più liberi nella stretta ed eccitati,

almeno io. Fuori tempo... massimo. Lascio scivolare il guantone

che finisce guarda caso fra le sue gambe, ma Gin si sposta. Poi,

come

se non bastasse salgono sul ring due tipi sui quarant'anni con

un paio di capezze al collo, i capelli grigi e un'aria consumata.

"Scusate, eh, non vorremmo disturbare questo match. Ma noi

vorremmo boxare sul serio, se ve potete leva' di qua."

"Sì, portate 'st'idillio da un'altra parte, va'."

Ridono. Prendo Gin per un braccio stringendola con il dito del

guantone e l'aiuto a uscire dal ring. Quello più grosso, che sa

ancora

di fumo, non se la lascia scappare.

"Aho, ma che ce troverai poi a combattere con una donna..."

Gin mi sfugge dalle mani e si rinfila veloce sotto la corda

rientrando

nel ring.

"Ci trova, ci trova... vuoi vedere?" E si mette in posa. Mi metto

in mezzo prima che vada tutto a scatafascio.

"Ok, ok. Come non detto, vi lasciamo combattere. Scusateci.

La ragazza è nervosa."

"Io non sono nervosa."

"Ehm, quindi è meglio che ci andiamo a prendere un gelato."

Piano a Gin, sussurrandole all'orecchio: "Offro io, ma ti prego

piantala".

Gin allarga le braccia. "Ok, ok."

"Ecco bravi, andate a prendervi il gelato, va'."

"Sì, un gelato al bacio."

Ridono tutti e due. Uno poi con una tosse catarrosa. Ci mancava

pure la battuta. Gin prova a girarsi di nuovo, ma la spingo via

con forza.

"A cambiarsi, doccia, e poi gelato. Forza e senza discutere."

"Ehi, mi fai più paura del mio papi. Guarda, tremo tutta." E

simula una specie di balletto di sedere imitando le donne

africane.

Però. Le do una pacca forte sul culo.

"Forza, ho detto. A cambiarsi."

E con un'ultima spinta riesco, a viva forza, a spedirla dentro gli

spogliatoi. Fiuu, che fatica. Se tanto mi dà tanto. Mission

impossible.

Non ci credo. Gin sbuca di nuovo fuori dalla porta degli

spogliatoi.


"Guarda che mi cambio solo perché sono le undici e ho finito

la mia ora di allenamento."

"Sì, certo."

Mi guarda un attimo perplessa, con il sopracciglio tirato su, poi

lo lascia andare e sorride.

"Ok." Capisce che gliel'ho data vinta.

"Ci metto un attimo, ci vediamo al bar della palestra, lì in

fondo."

Vado anch'io a cambiarmi. Che lotta. Non so se è meglio dentro

il ring o fuori. Tiro fuori le chiavi dell'armadietto e comincio a

cambiarmi. Ma che c'avrà poi di speciale? Mi butto sotto la

doccia.

Sì, ok, un bel culo, un bel sorriso... Trovo uno shampoo lasciato

da qualcun altro e me lo rovescio in testa. Sì, è anche una tipa

divertente,

le palestre a vela. La battuta pronta. Però è uno sfinimento.

Sì, ma quant'è che non ho una storia come si deve? Due anni.

Però come si sta bene. Libero e bello. Rido come un coglione

mentre lo shampoo dolciastro mi si infila negli occhi, cazzo.

Brucia.

Niente rotture: che fai stasera, che facciamo domani, che si fa

per il weekend, ti richiamo dopo, dimmi che mi ami, tu non mi

ami più, ma come non ti amo, chi era quella, perché c'hai parlato,

con chi stavi al telefono? No, non esiste. Mi sono ripreso da

poco,

sempre che mi sia ripreso. Voglio le "calendarine". Il primo di

ogni

mese quella, il due l'altra, il tre un'altra ancora, il quattro

chissà,

anche niente magari, il cinque quella figa straniera incontrata

per

caso, il sei... Il sei... Sei solo, lo sai. Sì certo, ma che mi

frega, non

voglio impaludarmi. Mi asciugo e mi infilo i pantaloni. Non voglio

dare spiegazioni. Mi chiudo la camicia e prendo la borsa. Vado

verso

l'uscita. Non la saluto neanche, tanto la becco più tardi al

Teatro

delle Vittorie. Ah, no. Oggi non c'è convocazione per loro. Va

be', glielo dico domani quando la vedo. Capirai, quella è capace

di

ripiombare a casa mia e farmi la piazzata. Se non ci sono io,

becca

Paolo. Con Paolo ha gioco facile, lo sfonda. Capirai, la

prenderebbe

per una belva umana, una furia, una tigre. Che palle! La devo

pure aspettare. Chissà quanto ci metterà a prepararsi. Che tipo

di donna sarà? Sofisticata, menefreghista, spendacciona, attenta

al

soldo, folle, cocainomane, mignotta, impossibile? Arrivo al bar e

ordino un Gatorade non troppo freddo.

"A cosa mi scusi?"

"All'arancia."

Poi le risposte arrivano quasi da sole. Gin è naturale, selvaggia,

elegante, pura, appassionata, antidroga, altruista, divertente.

Poi

rido. Ma che palle! Magari è ritardataria e la dovrò aspettare.

Sborso 2 euro, levo il tappo e bevo il Gatorade. Mi guardo

intorno.

Un tipo agghindato da post allenamento legge "il Tempo".

Mangia a ripetizione piegato su un riso scondito, colorato qua e

da qualche chicco di mais e da un peperone capitato lì per caso.

Al

tavolo vicino un altro pseudomuscoloso chiacchiera con una ragazza

con tono falso. Si mostra eccessivamente allegro a qualunque

cosa lei gli risponda. Due amiche progettano chissà cosa per

un'ipotetica vacanza. Un'altra racconta alla sua amica del cuore

quanto si sia comportato malissimo un lui. Un ragazzo al bancone

ancora sudato per la serie appena fatta, uno già cambiato. Una

ragazza

che beve un frullato e va via, un'altra che aspetta chissà che

cosa. Cerco il viso di quest'ultima nello specchio di fronte al

bancone.

Ma è coperta dal ragazzo addetto al bar. Poi lui serve qualcosa

e se ne va scoprendola. Come la carta che ti arriva per un poker

sperato, come l'ultimo rimbalzo della pallina di una roulette che

forse si ferma su quel numero che tu hai puntato... esce lei.

Eccola.

Mi guarda e sorride. Ha i capelli davanti agli occhi appena

truccati,

sfumati di un grigio leggero. Le labbra rosa e un poco

imbronciate.

Si gira verso di me.

"Be', che fai, non mi riconosci?" Poker. En plein. È Gin. Ha

un tailleur azzurro. Su un risvolto si leggono due piccole cifre.

D&G. Sorrido. Yoox. Poi scarpe alte dello stesso colore.

Elegantissime.

René Caovilla. Dei legacci leggeri liberano a tratti le sue

caviglie.

Alle dita dei piedi, unghie velate di un pallido azzurro più

chiaro, come piccoli sorrisi divertiti, si affacciano da

un'abbronzatura

leggera. Occhiali Chanel sempre azzurri appoggiati sulla testa.

È come se un velo di miele fosse stato lasciato colare,

perfettamente

modellato sulle sue braccia, sulle sue gambe scoperte, sul


suo viso che sorride.

"Allora?"

Allora... Allora tutti i miei propositi vanno a farsi fottere.

Cerco

qualche parola. Mi viene da ridere e insieme in mente quella scena

di Pretty Woman. Richard Gere che cerca Vivien al bar

dell'albergo.

Poi la trova. Pronta per andare all'opera. Gin è perfetta come

lei, di più. Sono messo proprio male. Prende la borsa e viene

verso di me.

"Stai pensando a qualcosa?"

"Sì." Mento. "Che il Gatorade era troppo freddo."

Gin sorride e mi supera.

"Bugiardo, pensavi a me."

Decisa e divertita si allontana, non troppo ancheggiante ma sicura

su per le scale che portano fuori dalla palestra. Le gambe

scendono

giù dalla gonna leggera, leggermente plissettata e si perdono,

toniche e guizzanti, forse un po' incremate, sparendo sottili più

giù

per lasciar posto a un tacco deciso e squadrato.

Si ferma in cima alle scale e si gira. "Allora che fai, mi guardi

le gambe? Dai, non stare in fissa. Andiamo a prendere un aperitivo

o quello che vuoi tu che poi ho il pranzo con i miei e mio zio.

Due palle. Sennò, con il cavolo che mi conciavo così."

Donne. Le vedi in palestra. Piccoli body, strane tute inventate,

pantaloncini stretti e magliette sbrillentate. Aerobica a più non

posso.

Sudate su un viso senza trucco, capelli impiastricciati, incollati

al viso. E poi pluff... Peggio della lampada di Aladino. Escono

dagli

spogliatoi miracolate. Quel cesso slavato che hai visto prima non

c'è più. Il brutto anatroccolo si è truccato. È nascosto in

vestiti ben

scelti, ha le ciglia più lunghe, arcuate da un mascara costoso.

Labbra

perfettamente disegnate, a volte perfino tatuate, fanno uscire

ancora di più quella bocca che non è stata ancora pizzicata dalla

costosa zanzara collagene. Le donne, giovani cigni mascherati.

Certo

non sto parlando di Gin. Lei è...

"Oh, ma a che pensi?"

"Io?"

"E chi sennò? Siamo io e te."

"Niente."

"Sì, ancora. Be', deve essere un niente molto particolare.

Sembravi

imbambolato. Te ne ho date troppe, eh?"

"Sì, ma mi sto riprendendo."

"Io vengo con la mia macchina."

"Ok. Seguimi."

Monto in moto, ma non resisto. Piazzo lo specchietto per poterla

vedere salire in macchina. La supero. La tengo al centro della

mia vista. Eccola, sta salendo. Gin si piega in avanti, si siede

sul

sedile, morbida e leggera fa volare via da terra una dopo l'altra

le

sue gambe. Veloci e scattanti, quasi unite se non per un attimo,

quel

piccolo frame di pizzo che però per me è come un film. Che

sensuale

fotoflash. Poi torno alla realtà. Metto la marcia e via. Gin mi

segue senza problemi. Guida come una pilota provetta. Non ha

problemi nel traffico, allarga, supera e rientra. Suona il clacson

ogni

tanto per prevenire qualche errore altrui. Segue oscillando la

macchina

nelle sue curve, agitando la testa, immagino, a tempo di musica.

Gin selvaggia metropolitana. Ogni tanto mi lampeggia quando

si accorge dal mio specchietto che la sto controllando, doppi fari

come a dire... ehi, stai tranquillo, ci sono. Ancora qualche curva

e ci siamo. Mi fermo, la lascio sfilare, mi accosta. "Dai,

posteggia

qui, che lì non si entra." Non chiede altre spiegazioni. Chiude la

macchina e mi monta dietro tenendosi la gonna bassa per quella

strana operazione da cavallerizza.

"Troppo forte questa moto, mi piace. Ne ho viste poche così."

"Nessuna. L'hanno fatta solo per me."

"Sì, senz'altro, ancora. Sai quanto costerebbe un solo modello

per una sola persona?"

"415.000 euro..."

Gin mi guarda sinceramente strabiliata.

"Così tanto?"

"E calcola che a me hanno fatto pure un grosso sconto."

Mi vede sorridere nello specchietto che ho girato verso di lei

per incrociare il suo sguardo. Cerco di fare una piccola lotta a

braccio

di ferro con gli sguardi. Poi crollo e sorrido. Lei mi batte forte

sulla spalla. "Ma va', che cavolo dici, sei proprio un cazzaro! "

Questa,

dai tempi delle mitiche risse a piazza Euclide, dalle scorribande

sulla Cassia fino giù a Talenti e ritorno, non mi era mai

capitata.

Step, un cazzaro. E chi si è permesso di dirlo? Una donna. Questa

donna, questa qui dietro a me. E continua poi.

"A parte il suo costo, mi piace veramente tanto questa moto.

Un giorno o l'altro me la devi far portare."

Roba da pazzi, qualcuno che mi chiede di guidare la mia moto, e

chi poi? Sempre una donna. La stessa che mi ha dato del cazzaro!

Ma

la cosa più incredibile di tutte è che io le dico: "Sì, certo".

Ci infiliamo a Villa Borghese, guido veloce ma senza troppa

fretta e mi fermo davanti al piccolo bar vicino al laghetto.

"Ecco, siamo arrivati, qui non ci viene tanta gente, è più

tranquillo."


"Che c'è, non ti devi far vedere?"

"Ehi, hai voglia di litigare oggi? Se lo sapevo, in palestra ci

andavo

giù più duro."

"Guarda che ti ha detto bene."

"Ancora."

"Ok, ok, pace dai, ci si prende un aperitivo 'tregua', ci stai?"

Capitolo 35.

Claudio posteggia la macchina in garage. Per fortuna non c'è

la Vespa. Ancora nessuna delle figlie è tornata. Meglio. Almeno

non

corre il rischio di rovinare di più la fiancata. Anche se è

difficile

scendere al di sotto di quello che gli hanno offerto per la

Mercedes.

E con questo ultimo pensiero di libertà, dedicato al sogno della

sua Z-A, chiude il garage e sale a casa.

L e nessuno?

L'appartamento sembra in silenzio. Un sospiro di sollievo. È bello

concedersi un attimo di tranquillità. Anche per organizzare ancora

meglio l'uscita serale. Non sarà facile. C'ha pensato tutto il

pomeriggio,

ma vuole ripassare il piano, perfezionarlo anche nei minimi

dettagli. Vuole essere sicuro che non ci sia nessun imprevisto.

Ma proprio in quel momento gli piomba alle spalle Raffaella.

"Ci sono io, e c'è anche questa."

Gli sbatte davanti alla faccia l'estratto conto della sua carta di

credito, con la penultima riga sottolineata con l'evidenziatore

giallo.

Claudio la prende per le mani sbigottito. Raffaella gli si fa

ancora

più sotto.

"Allora, che vuol dire? Mi sai dare una spiegazione?"

Claudio si sente un giramento di testa. Il suo estratto conto

aperto. Schiaffato lì, davanti a tutti. A tutti... a sua moglie.

Oddio,

pensa, cosa avrà trovato? Fa una veloce ricognizione mentale. No.

Non ci dovrebbe essere nulla. Poi la vede. In fondo al conto la

penultima

riga risalta su tutte le altre. Prova inconfutabile della sua

colpa, dell'essere voluto tornare sul luogo del delitto. Ma lei

non

può sapere, non può immaginare.

"Ah, questa... ma niente, non è niente."

"180 euro per niente? Non mi sembra un buon affare."

"Ma no, è che ho comprato una stecca da biliardo."

"Ah sì? Questo lo so. Nell'estratto conto si legge perfettamente:

La bottega del biliardo. Quello che non so è da quando tu giochi

a biliardo. E soprattutto chissà quante altre cose allora non so.

"

"Ma Raffaella, ti prego. Guarda che ti sbagli, non è per me."

Poi una specie d'illuminazione, un faro nella notte, la

possibilità

di uscire illeso da quel mare in tempesta, da quel navigare a

vista

tra scogli appuntiti nascosti dall'uragano Raffaella.

"Non sapevo che regalare al dott. Farini, e siccome so che nella

casa al mare ha un biliardo, ho pensato che questo fosse un bel

regalo! Infatti gli è piaciuto molto. Pensa che stasera ci

vediamo,

andiamo a cena e poi facciamo anche una partita! "

Non era proprio questo il piano che aveva pensato tutto il

pomeriggio,

ma a volte l'improvvisazione crea delle bugie miracolose.

Raffaella non sa se crederci.

"Cioè, andate a giocare a biliardo tu e lui?"

"Sì, ma tu non sai. Dice che con la stecca che gli ho regalato gli

si

è riaccesa un'antica passione. Da quando ha ripreso a giocare

anche

le cose in azienda gli vanno meglio, capisci? Il biliardo lo

rilassa, non

è un miracolo?" Poi tutto fiero, quasi gonfiandosi. "Pensa che mi

ha

affidato dei finanziamenti per centinaia di migliaia di euro

grazie a

una stecca da biliardo da soli 180 euro. Non sono stato bravo?"

La vede ancora dubbiosa. Allora decide di giocare il tutto per

tutto, spericolato funambolo della menzogna, trampoliere della più

bassa bugia, Stuntman della falsità più assurda.

"Senti, non so come convincerti, guarda, ecco, potremmo fare

così, vieni anche tu con noi! Facciamo la cena e poi ci tieni i

punti

nella sala da biliardo, eh, ti va?"

Raffaella rimane per un attimo in silenzio.

"No, grazie."

Di fronte a questo tuffo nel vuoto, si tranquillizza. Anche

Claudio.

E se avesse detto di sì? Dove lo trovavo alle sette di sera

Farini?

È almeno un anno che non lo sento, sarebbe stato difficile

organizzare

una cena così, su due piedi, e soprattutto una partita a

biliardo, visto che Farini non ha proprio l'aria del giocatore.

Claudio

decide di non pensarci. Sta troppo male anche solo all'idea. Così

le sorride, cercando di fugare del tutto ogni sua minima

perplessità.

Ma Raffaella ha un ultimo guizzo.

"Scusa, ma se era un regalo di lavoro, perché non hai usato la

carta dell'ufficio?"

"Oh, ma tu lo sai com'è fatto Panella, quello spulcia tutto, e se

poi Farini non decideva d'affidarsi al nostro studio? Già lo so,

me

l'avrebbe rinfacciato tutto l'anno! Ho pensato che per 180 euro

potevo correre il rischio! " E proprio mentre lo dice, Claudio si

rende

conto di quanto ha rischiato anche lui questa volta. Si leva la

giacca, sta sudando. Va verso la camera da letto per nascondere in

qualche modo la tensione drammatica del momento.

"Ah, Raffaella, ma non ti preoccupare, eh? Ora che Farini è venuto

da noi, io quei 180 euro me li faccio rimborsare, cosa credi! "

Raffaella lo segue e lo raggiunge in camera. Sta per dire ancora

qualcosa ma Claudio non ce la fa più. Si avvicina e la prende per

le braccia.

"Sai, mi piace che dopo tutti questi anni tu sia ancora gelosa.

Vuol dire che il nostro rapporto è vivo."

Raffaella sorride. Le sembra in qualche modo di essere tornata

ragazza, be', se non altro più giovane, è come se in un attimo

quelle rughe, viste nello specchio, fossero sparite. Claudio si

avvicina

e le dà un bacio. Piano piano cominciano a spogliarsi, come

non facevano da tempo, da troppo tempo. E Claudio si sente

colpevolmente

eccitato. Raffaella lo guarda.

"Sì, mi sembrava assurdo che tu potessi fare una cosa del genere

e ora m'è venuta una voglia pazzesca, sento la rabbia che diventa

desiderio."

Claudio si abbassa i pantaloni e le solleva la gonna, la lascia

scendere lentamente sul letto e le sfila le mutande, alzandole le

gambe

con ancora le scarpe. Nella penombra della stanza, con l'aria

ancora

incerta, rarefatta da dubbi e bugie, da menzogne, dalla disperata

ricerca della verità, iniziano a toccarsi. Poi Claudio si tira

giù le mutande, le allarga le gambe e prende sua moglie. Claudio

va su e giù. Ansima e suda nella camicia. Raffaella se ne accorge.

"Ma spogliati del tutto."

"E se poi arrivano le nostre figlie?"

Raffaella sorride e chiude gli occhi, godendo, tirandolo a sé.

"Hai ragione... è bello così... continua ancora... dai..."

E Claudio spinge con forza, cercando di soddisfarla, eccitato

ma preoccupato. Come sarà più tardi la sua prestazione sul tavolo

da biliardo-letto con la controfigura di Farini? Preferisce non

pensarci.

Ha letto un articolo sull'ansia da prestazione. Va evitato proprio

come pensiero. Una cosa è sicura: i graffi della settimana prima

sono rimasti ben nascosti sotto la camicia tutta sudata.

All'improvviso

dal fondo del corridoio si sente la voce di Babi.

"Papà, mamma... ci siete?"

Raffaella dalla camera, con la voce leggermente rauca, cerca di

prendere tempo.

"Un attimo, arriviamo."

E proprio in quel momento Claudio, eccitato dall'assurdo di

tutta quella situazione, viene. Raffaella rimane così, interrotta

sul

più bello. È costretta suo malgrado a sorridere. Poi Claudio le dà

un bacio sulle labbra.

"Scusami..." e s'infila nel bagno. Si sciacqua velocemente. Anche

la faccia. Se l'è vista brutta, bruttissima. Invece è andato tutto

bene. Ora spera solo di essere all'altezza della serata, visto che

perfino

il piano è perfetto. Poi si ricorda che non ci deve assolutamente

pensare. Altrimenti già lo sa. Ti prende l'ansia da prestazione.

Capitolo 36.

Gin sorride e ci sediamo a un tavolino. Poco lontano un

intellettuale

con occhialini e libro sul tavolo sorseggia un cappuccino,

poi riprende in mano un articolo di "Leggere". Più in là una donna

sui quarant'anni con i capelli lunghi e un bastardino sotto la sua

sedia fuma svogliata una sigaretta, triste e nostalgica forse di

tutte

quelle canne che non si fa più.

"Bell'ambientino, eh?"

Gin si è accorta di quello che stavo guardando.

"Be', lo teniamo su noi. Che prendi?"

Alle sue spalle si è "concretizzato" un cameriere.

"Buongiorno, signori."

Ha circa sessant'anni e ci tratta in maniera elegante.

"Per me un Ace."

"Per me invece una CocaCola e una pizzetta bianca prosciutto

e mozzarella."

Il cameriere facendo un piccolo inchino con la testa si allontana.

"Ehi, dopo la palestra ti tratti niente male, eh? Pizzetta bianca

e CocaCola, la dieta degli atleti!"

"A proposito di atleta, tu che sei un'atleta a scrocco mi devi far

avere la lista delle tue palestre dei 365 giorni."

"Come no, senz'altro ti faccio subito la fotocopia."

"Complimenti comunque, è un'ottima idea..."

"Non solo, ma se sei attento riesci anche a fare lo stesso tipo di

lezione ogni settimana, l'unica cosa è che devi diventare amico

degli

istruttori perché quelli prima o poi ti sgamano."

"E allora?"

"Dopo la lezione gli offri due Gatorade, esponi la tua difficoltà

finanziaria e vai a vela tranquilla che è una meraviglia. Facile

no?"

"C'è qualcun altro che usa questo metodo?"

Ritorna il cameriere.

"Ecco qua, l'Ace per la signorina e per lei pizzetta bianca e

CocaCola."


Il cameriere posa tutto al centro del tavolo, mette uno scontrino

sotto il piattino finto argento e si allontana.

"No, penso di no."

Gin addenta una grossa patatina e se la mangia. Poi ridendo si

copre la bocca con la mano. "Almeno spero..." Continuiamo così

a chiacchierare, a conoscerci, a ridere e a provare a indovinare

cosa

abbiamo in comune.

"Ma dai, non sei mai stata fuori dall'Europa?"

"No, Grecia, Inghilterra, Francia, una volta perfino in Germania

all'Oktober Fest con due amiche mie."

"Ci sono stato anch'io."

"Ma quando?"

"Nel 2002."

"Pure io."

"Pensa che forza."

"Sì, ma la cosa più assurda è che una delle mie amiche era pure

astemia. Non sai che è diventata: ha preso una birra da un litro,

quei boccaloni ripieni che lavano dentro a quelle vasche enormi.


Se n'è scolato metà e dopo neanche mezz'ora era su un tavolo che

ballava una specie di tarantella e poi si è messa a gridare 'la

fontanella,

la fontanella...' e se l'è fatta sotto, un disastro."

La guardo mentre beve l'Ace. C'era una ragazza che ballava sul

tavolo nella sala dove eravamo noi. Ma chi non ballava quella sera

sul tavolo all'Oktober Fest? Mi ricordo che quando ho detto a Babi

che partivo con Pollo e Schello e un'altra macchina di amici per

andare a Monaco si era arrabbiata come una pazza.

"Cioè parti per Monaco, e io?"

"Tu no... Siamo solo uomini."

"Ah sì? Voglio proprio vedere."

E poi quel coglione di Manetta nell'altra macchina che fa? Ti

arriva con la donna. E al ritorno giù discussioni del cavolo con

Babi

perché naturalmente, come tutto, prima o poi, anche quello si

era venuto a sapere.

"A che stai pensando?"

Mento. "Alla tua amica che ballava sul tavolo. L'avreste dovuta

filmare. Sai le risate poi."

"Ma noi abbiamo riso come pazze sul momento, che ti frega

del poi. Poi, poi... Ora! "

E beve un altro sorso di Ace guardandomi allusiva. Ahia, che

vuole dire? La cosa si mette male. Male. Insomma si mette. Gin

vuole l'"ora". Ma non adesso, adesso ancora no. Forse domani, sì

insomma, tra un po', dopo...

"A che stai pensando? Ancora alla mia amica che balla sul tavolo?

Non ci credo, secondo me hai conosciuto qualcuna all'Oktober

Fest e ti stai ricordando una delle vostre bravate."

"Ci vedi male."

"Io ci vedo benissimo. Ho dieci decimi."

"No, vedi male il nostro gruppo. Ci hai presi per non so cosa.

Noi siamo persone tranquille, serene. Certo siamo tipi allegri,

non

di quelli che vanno al ristorante e stanno lì solo a pensare alle

buone

maniere 'No questo non si fa, questo neanche...', sì insomma

quei rompicoglioni. " Mi giro e ho culo. Una coppia si è appena

seduta.

Hanno un setter inglese, dei vestiti di marca e, come il più

naturale dei controsensi, hanno tutti e due sotto il braccio "il

manifesto".

Arriva il cameriere e ordinano qualcosa.

"Ecco, guarda quei due. Non si rivolgono la parola." Ordinano

infatti separatamente, senza darsi la precedenza, senza chiedere

l'uno all'altra e viceversa cosa gli va in questo momento.

Distrattamente,

scontatamente, galleggiando così alla deriva.

"Guarda, il cameriere se ne va e loro riprendono a leggere, tutti

e due 'il manifesto' poi... Non che io abbia qualcosa contro quel

giornale..."

O meglio ce l'ho ma Gin non so bene come la pensa, qualcuno

potrebbe dire: quindi non ti vuoi esporre? Sì, rompicoglioni, è

proprio così.

"Ma nemmeno se lo dicono che hanno comprato tutti e due lo

stesso quotidiano? Cosa c'è di peggio? Indifferenza totale..."

Il cameriere ritorna veloce a quel tavolo. Hanno preso tutti e

due un semplice caffè.

"E ora l'uomo paga solo perché tocca a lui, così è la regola." Il

tipo si alza un po' dalla sedia, sposta il peso sulla gamba

destra, il

portafoglio evidentemente lo tiene a sinistra, infila la mano

nella

tasca e paga mentre la donna senza neanche guardarlo continua a

bere il suo caffè.

"Distratti e annoiati. Ben vengano i miei amici, o no? E che

cazzo!

Fanno casino, rutti, fanno a botte, non pagano, o lo fanno urlando

chiedendosi 1 euro a testa e altro, ma almeno per loro la vita

non è sopravvivere, cazzo."

Gin sorride.

"Sì, sì, hai ragione, almeno su questo hai ragione."

E questo mi basta, non voglio di più. Non per adesso almeno.

"Va bene, ma rilassati ora, Step, anche perché hai altro da fare."

"Cioè?"

"Devi risolvere il problema con il signore."

Mi giro, dietro alle mie spalle c'è il cameriere che sorride. Non

me ne ero accorto.

"Permette?"

Non riesco neanche a rispondere. Il tipo si sporge in avanti e

prende lo scontrino da sotto il piattino di finto argento. Non

l'avevo

sentito arrivare alle mie spalle. Strano, non è da me. Ecco, con

Gin sono per la prima volta rilassato. È un bene?

"Sono 11 euro, signore."

Faccio esattamente la stessa mossa del tipo squallido della coppia

abulica ed estraggo di tasca il portafoglio. Lo apro e sorrido.

"Meno male."

"Che cosa?"

"Che siamo diversi da quei due squallidoni."

"Cioè?"

Gin mi guarda alzando il sopracciglio. "Spiegati meglio! "

"È molto semplice. Devi pagare tu, non ho soldi."

"Preferirei non eccedere in stravaganze pur di essere diversi.

Cioè era meglio se eravamo uguali a quei due e pagavi tu."

Gin tutta elegante e sorridente, perfettamente vestita e truccata,

mi fa una smorfia, finta ironica. Poi sorride ancora al cameriere,

scusandosi per l'attesa. Apre la borsetta, tira fuori il

portafoglio,

lo apre e questa volta non sorride più. Anzi un po' impacciata,

arrossisce.


"Siamo proprio diversi da quei due. Anch'io non ho soldi." Poi

guardando il cameriere: "Sa, mi sono cambiata perché ho un pranzo

con i miei parenti e quindi, siccome pagano loro, non ci ho

pensato".


"Male..."

Il cameriere cambia tono, espressione. Quella sua cortesia sembra

svanire nel nulla. Forse, uomo maturo, anziano si sente preso

in giro da questi due ragazzi.

"A me non interessa tutto questo."

Prendo in mano la situazione.

"Guardi, non si preoccupi, accompagno la signorina alla macchina,

vado a prendere i soldi a un Bancomat e torno qui da lei a

pagare."

"Sì, certo... e io mi chiamo Joe Condor! Vi sembro così allocco?

Tirate fuori i soldi o chiamo la polizia."

Sorrido a Gin. "Scusami." Mi alzo e prendo il cameriere per

un braccio gentilmente all'inizio, poi alla sua ribellione "Ma che

vuoi, sta' fermo" stringo un po' di più e me lo porto più lontano.

"Ok, signor cameriere. Siamo in difetto, ma non farla lunga.

Non intendiamo fregare 11 euro. È chiaro?"

"Ma io..."

Stringo più forte, questa volta in maniera decisa. Vedo sulla sua

faccia una smorfia di dolore e subito lascio andare.

"Per favore, glielo sto chiedendo per favore. È la prima volta

che esco con questa ragazza..." Forse commosso e convinto più di

ogni altra cosa da questa mia ultima confessione, annuisce.

"Ok, allora l'aspetto più tardi."

Torniamo al tavolo. Sorrido a Gin. "Tutto risolto." Gin si alza

e guarda il cameriere sinceramente dispiaciuta.

"Mi dispiace sul serio."

"Oh, non si preoccupi. Sono cose che capitano."

Io sorrido al cameriere. Lui mi guarda. Credo che cerchi di capire

se tornerò o meno.

"Non torni troppo tardi per favore."

"Non si preoccupi."

E andiamo via così. Con un sorriso gentile e un briciolo di

dignitosa

speranza.

Capitolo 37.

Sono dietro a Step, sulla moto, sulla sua moto, i miei pensieri

al vento. Ma guarda questo. Ma dove ti sei ficcata, Gin? È

assurdo.

Prima uscita o meglio la seconda. La prima però lui e i suoi

amici sono fuggiti da quel posto. Come si chiama? Il Colonnello.

E ora, oggi, stamattina che ha la possibilità, la grande esclusiva

di

uscire con te, Gin l'unica, l'irripetibile, la formidabile. Che

fa? Si

presenta senza soldi. Ci manca poco che ci sbattono pure dentro.

Roba da pazzi. Mio zio Ardisio direbbe: "Attenta, attenta Ginevra,

quello non è il principe della terra". Già mi immagino la sua

voce, tutta roca, tutta in su, con le "e" strette e le "t" che

diventano

facilmente delle "d"... "Addenda, addenda, principessa..."

Zio Ardisio. "Quello è il principe dei porci... Neanche un fiore

per la mia principessa, devi chiudere gli occhi e costringerdi a

sognare...

Addenda, addenda... principessa..." Scuoto la testa, ma

lui se ne accorge, fingo di guardare da un'altra parte. Ma mi

segue

nel suo specchietto e si sporge indietro per farsi sentire.

"Che c'è? Ho fatto la classica figuraccia?"

"Ma di che?"

"Prima uscita, non pago io, quasi ti faccio pagare, anzi peggio,

quasi venivamo arrestati. So già cosa pensi..."

Step sorride e fa la voce in falsetto per imitarla. "Ecco, lo

sapevo

questo è un poco di buono."

Come una tiritera continua. Io sto sulle mie.

"Ma guarda con chi sono capitata. Ah, se lo sapessero i miei..."

Step sorride e continua imperterrito. Oh, ha beccato tutti i miei

pensieri. Però è pure simpatico. Cerco di non sorridere ma non ce

la faccio.

"C'ho preso, vero? E di' la verità, dai."

"No, stavo pensando a quello che poteva dire mio zio Ardisio. "

"Lo vedi? Va be', insomma qualcosa di vero c'era in quel tuo

sorriso. "

"Ti chiamerebbe il principe dei porci!"

"A me?" Fingo di fare il duro. "Ci dovrebbe solo provare."

Mi fermo. Gin scende davanti alla sua macchina. È serena,

divertita, veramente elegante. Rimane così, con le gambe

leggermente

divaricate e i capelli che le scendono sugli occhi mentre

cerca le chiavi nella borsa. Ha una borsetta piccola, eppure

ci deve essere dentro un sacco di roba. Gin fruga, smacina, sposta

delle cose di qua e di là. Intanto la guardo, incorniciata da un

arco di travertino, all'entrata di via Veneto, risplende tutta la

sua

bellezza moderna in quella cornice antica.

Un vento leggero accarezza le trasparenze della sua gonna. Sotto

quel leggero celeste, tra quei disegni di fiori appare un azzurro

unito e deciso che nasconde più su, tra le sue gambe ancora

abbronzate,

il fiore proibito.

"Eccole! Oh, non so com'è, finiscono sempre in fondo."

Tira fuori dalla borsetta delle chiavi attaccate a una pecorella

nera.

"È il regalo di Ele, la pecora Embè! Forte vero? Ma stai attento

alla pecora Embè..."

"Perché?"

"Prende a calci tutti i lupi che le si avvicinano."

"Tranquilla, praticamente me la sono già mangiata..."

"Cretino... Be', grazie dell'aperitivo, è stato come dire...

unico.

Vuoi che ti porto qualcosa da mangiare dopo che ho finito con i

miei zii?"

"Capirai, never ending story, peggio del film. Ehi, può accadere

di dimenticarsi dei soldi, no?"

"Come no... strano però che capiti sempre tutto a te."

E con questa bella frase, si allontana e sale in macchina.

"Passaci da quel cameriere. Ti aspetta. Nessuno andrebbe illuso."


Poi parte quasi sgommando, guidando a modo suo. Mi verrebbe

da urlarle: "Aho, a bella! Mi devi ancora 20 euro di benzina..."

ma finisco per pentirmi perfino del mio pensiero.

Capitolo 38.

"Eccola che arriva! Gin!"

Li saluto da lontano. Che strano gruppo tutti insieme, di altezze

sfalzate, dai vestiti così diversi. Mio fratello jeans e maglietta


Nike, mia madre un vestito scuro a fiori con sopra una mantellina

blu, mio padre impeccabile in giacca e cravatta e mio zio Ardisio

con una giacca arancione e una cravatta nera con i pois bianchi. È

incredibile dove riesce a trovare certa roba. I costumisti della

televisione,

Fellini stesso, andrebbero pazzi per lui. Con quei capelli

arruffati, bianchi e capricciosi che incorniciano quel viso buffo

sottolineato

da quegli occhialetti tondi. Come un punto esclamativo

dopo la frase: Che tipo mio zio!

"Ciao" ci baciamo tutti con affetto, con amore, con tenerezza

e mamma come al solito mi bacia mettendomi la mano sulla guancia

come a imprimere ancora più amore a quel suo semplice bacio,

come se volesse fermarlo per un attimo in più rispetto a tutti gli

altri.

Mio zio invece come al solito esagera e mentre mi bacia mi tira

unendo pollice e indice sotto il mento, obbligandomi a scuotere

la testa a destra e sinistra.

"Eccola qua la mia principessina." Poi mi molla lasciandomi

un po' di dolore. Mi devo per forza passare la mano sotto il mento

per allisciarmelo e lo zio si becca uno sguardo di odio leggero.

Ma è un attimo. Poi sorrido al suo sorriso. Mio zio è fatto così.

"Allora?" Cominciano sempre così i nostri incontri. "Chi ha

scelto questo posto?"

Alzo timidamente la mano. "Io, zio..." E resto in attesa. Zio mi

guarda con il sopracciglio leggermente alzato, un'espressione un

po' dubbiosa e il labbro che trema. Passa qualche attimo di

troppo,

comincio a preoccuparmi.

"Brava, è bello, brava figlia mia, è bello. Sul serio. Un tempo si

mangiava in mezzo all'arte..."

Sospiro, fiuu... È andata, anche se non sono "figlia sua", voglio

bene a mio zio. Speravo gli piacesse mangiare qui con tutti noi al

Caffè dell'arte vicino a viale Bruno Buozzi.

Zio Ardisio comincia uno dei suoi racconti.

"Mi ricordo quando volavo sull'accampamento, quello con i

miei soldati..." La sua voce si fa più roca quasi modulata dalla

pressione

dei ricordi, spezzata a tratti dalla forza della nostalgia. "E io


gli gridavo e gridavo 'studiate, leggete'. Ma loro erano troppo

preoccupati

dalla morte. E poi facevo un giro con il mio aereo bimotore

e poi tornavo indietro per dare notizie e atterravo sull'erba lì

vicino.

Burubu, burubam, sballottato arrivavo, con quell'aereo che

era un miracolo dell'avazione..."

Luke che naturalmente fa il preciso nei pochi momenti quando

non dovrebbe esserlo. "Aviazione zio, aviazione con la i."

"E io c'ho detto? Avazione, eh?"

Luke scuote la testa e sorride. Meno male che Luke stavolta

rinuncia.


Al tavolo arriva un cameriere giovane e composto con i capelli

corti ma non troppo, con uno sguardo ingenuo ma lucido. Quasi

perfetto oserei dire, se non fosse che spinge un carrello con dei

flûte lucidi, tirati a nuovo e una bottiglia già infilata in un

secchiello

pieno di ghiaccio. È un Möet, ottimo champagne e certo, ci

mancherebbe,

tanto paghiamo noi.

"Mi scusi, eh? Ma non ci siamo proprio. Nessuno ha ordinato...


Vedo già mamma che mi guarda preoccupata. Il giovane cameriere

interviene sorridendo.

"No, signora, questa bottiglia la offr..."

"Grazie per la signora, ma non esiste proprio."

"Se gentilmente mi fa finire, la offre quel signore laggiù."

Il cameriere, ora più serio, indica alcuni tavoli lontani, quasi

sul

fondo del ristorante. Incorniciato dagli alberi nella vetrata alle

sue

spalle c'è lui, Step. Si alza dal tavolino e sorridendo muove la

testa accennando

a un inchino. Non ci posso credere, mi ha seguito fin qui.

E certo, voleva vedere dove andavo, ha voluto scoprire se ero

veramente

con la mia famiglia. E questo è il pensiero di Gin la vendicativa.

Gin-Selvaggia. Ma Gin non è così! Una parte di me si ribella.

Magari

voleva solo scusarsi per l'aperitivo, in fondo hai fatto una

figuraccia

anche tu. E questo è il pensiero di Gin la saggia. E qualcosa,

non so bene perché, mi rende più simpatica Gin-Serena.

"Questo biglietto è per lei, signora."

Il cameriere mi porge un biglietto e questo ancora di più mi fa

pensare che la mia scelta sia giusta. Lo apro leggermente

imbarazzata,

con gli occhi addosso di tutti, papà, mamma, Luke, zio Ardisio.

Prima di leggere arrossisco. Che palle. Ma perché proprio adesso.

Leggo. "È bellissimo guardarti da lontano... ma da vicino è

meglio...

Ci vediamo stasera? P.S. Non ti preoccupare, ho trovato un

Bancomat e ho già pagato il cameriere del nostro aperitivo."

Chiudo il biglietto e sorrido e quasi mi dimentico che ho tutti

gli occhi addosso. Zio Ardisio, papà, mamma, Luke. Tutti vogliono

sapere che c'è scritto, a cosa è dovuta quella bottiglia e

naturalmente

il più irrequieto, quello che resiste meno di tutti è proprio

zio Ardisio.

"Allora, principessa... A che cosa la dobbiamo questa bottiglia?"


"Be'. Quel ragazzo l'ho aiutato... non era capace, non sapeva,

insomma si sta preparando per un esame."

"Ardisio, ma che ti importa?" Mamma mi salva in calcio d'angolo.

"C'è qua una bella bottiglia, brindiamo e pace! No?"

"Ecco appunto..."

Guardo Step e gli sorrido, lui mi vede da lontano, si è seduto

di nuovo. Ma che fa ora? Perché non se ne va? È stato carino, ma

basta. E vattene Step, che aspetti?

"Mi scusi?"

Il cameriere mi guarda sorridendo, non ha ancora aperto la

bottiglia.


"Sì?"

"Mi ha detto il signore che mi dovrebbe rispondere."

"Cosa?"

"Non lo so, credo al biglietto."

Tutti mi guardano di nuovo, ancora più attenti di prima.

"Gli dica di sì. " Poi guardo loro. " Sì, voleva sapere se l'ho

iscritto

all'esame."

Tutti tirano un sospiro di sollievo. Tranne mamma naturalmente

che mi fissa, ma evito il suo sguardo. Finisco di nuovo a guardare

il cameriere che tira fuori un altro biglietto. "Allora le devo

dare

questo."

"Un altro?"

Crollano un po' tutti.

"Ma stavolta ce lo dici che c'è scritto?"

"Ma che è, una caccia al tesoro?"

Arrossisco di nuovo naturalmente e lo apro. "Allora, alle otto

io sono sotto casa tua. Ti aspetto, non fare tardi, non combinare

casini... P.S. Porta i soldi, non si sa mai."

Sorrido fra me e me.

Il cameriere ha finalmente stappato la bottiglia, finisce veloce

di versare lo champagne nei flûte e fa per andarsene.

"Senta, scusi..."

"Sì?"

Fa un piccolo giro su se stesso e mi guarda.

"Ma se le rispondevo di no aveva un altro biglietto?"

Il cameriere sorride e scuote la testa. "No, in quel caso mi ha

detto che dovevo semplicemente portarmi via la bottiglia. "

Capitolo 39.

Raffaella ha raggiunto Babi in salotto.

"Ciao Babi, dimmi... allora che c'è?"

"No, è che ti volevo far vedere questi, mamma, ma che hai? Sei

tutta arrossata..." Babi la guarda preoccupata. "Ma che avete

litigato?"


"No,tutt'altro..."

Raffaella la guarda sorridendo. Ma Babi non le dà soddisfazione

e le mostra un giornale.

"Ecco, ti dicevo, ti piacciono questi sui tavoli? Non sono carini?

O preferisci questi altri che sono più naturali? Spiga e grano,

bello no? Meglio questo, vero?"

"Mi ci fai pensare stasera?"

"Devi uscire, vero?"

"Sì, vado dai Flavi."

"Mamma, guarda che dobbiamo decidere, la stai prendendo

troppo sottogamba! "

"Domani decidiamo tutto, Babi, ora sono in ritardo."

Raffaella va in bagno e comincia a truccarsi velocemente. Proprio

in quel momento arriva anche Daniela.

"Mamma, ti devo parlare."

"Sono in ritardooo..."

"Ma è importante! "

"Domani! Non c'è niente che non possa essere risolto domani! "

In quell'istante passa Claudio. Va di corsa anche lui. Daniela

cerca in qualche modo di fermarlo.

"Ciao papà, ti puoi fermare un secondo? Ti devo raccontare

una cosa, è molto importante ! "

"Ho una cena con Farini. Ho già detto tutto alla mamma. Scusami,

ma è un affare di lavoro importantissimo e poi c'è di mezzo

anche una partita..."

Claudio bacia frettolosamente Daniela. Raffaella lo raggiunge

sulla porta.

"Claudio, aspettami, scendiamo insieme."

Daniela rimane così, in mezzo al corridoio a guardare i suoi

genitori

che vanno via. Poi si avvicina alla camera di Babi. Ma la porta

è chiusa. Daniela bussa.

"Avanti, chi è?"

"Ciao... scusa, ti devo raccontare una cosa. Possiamo parlare?"

"No, guarda. Sto uscendo. Mamma se n'è andata e dovevamo

decidere una marea di cose importanti. Scusami, ma non è proprio

il momento. Vado da Smeralda, almeno mi dice qualcosa lei. Se hai

bisogno cercami sul telefonino."

Ed esce così anche lei di scena. Daniela, rimasta sola, si

avvicina

al telefono di casa e compone un numero.

"Pronto Giuli... ciao... che stai facendo? Ah, bene... senti,

scusami,

ma non è che posso passare? Ti devo dire una cosa, sì, una

cosa importante. Sì, ti giuro, ti rubo solo due minuti. Sì, scusa

eh,

ma non so proprio che fare. Ti giuro, sì, ne parliamo tra una

pubblicità

e l'altra. Ok, grazie."

Daniela attacca, chiude veloce la porta di casa e scende a razzo

le scale. Apre il portone ed esce.

Proprio in quel momento, da dietro una siepe: "Dani! ".

È Alfredo.

"Oddio, m'hai fatto prendere un colpo... mamma mia, ho il

cuore a duemila. Ma che, ti nascondi così!"

"Scusami, ho visto uscire ora Babi."

Daniela si accorge che è pallido, dimagrito, nervoso.

"Ecco, no... volevo parlare un po' con te che sei sua sorella."

Daniela lo guarda. Oddio, questo qua mo' m'attacca un bottone

su Babi.

"No scusami, Alfredo, guarda io non so niente... devi parlare

solo con lei. "

"Ok, scusa, hai ragione. E tu come stai?"

"Bene, grazie..." Daniela lo guarda meglio. Alfredo potrebbe

essere la persona giusta con la quale parlare. È un medico, è

maturo,

magari mi dà anche un consiglio giusto.

"Sai, scusami se ti ho spaventato."

"Oh figurati, non ti preoccupare, è passato."

"Eh, invece a me non passa. Penso sempre a tua sorella e sto

malissimo. Pensa che prendo anche degli ansiolitici."

"Mi dispiace."

Rimangono per un po' in silenzio. Poi Daniela decide di chiudere

quella conversazione impossibile.

"Be', ora scusami, ma devo proprio andare, mi sta aspettando


una mia amica..."

"Ok, scusa tu..."

Daniela se ne va di corsa a prendere in garage la Vespa. Spera

di arrivare da Giuli che non è ancora cominciato il film. Poi

ripensa

ad Alfredo. Poveraccio, guarda come sta. Certo che la passione di

Babi distrugge proprio. In questo momento è un uomo finito,

instabile,

psicolabile. E sulla sua decisione Daniela non ha dubbi. Alfredo

era l'ultima persona alla quale avrebbe potuto dire di essere

incinta.

Capitolo 40.

Comodo e tranquillo, elegante come non mai, almeno credo.

Mi guardo nello specchietto e non riesco a riconoscermi. Capelli

ancora freschi dalla doccia appena fatta, giacca blu, camicia

bianca

e pantaloni di lino beige con delle scarpe americane marroni

scure,

dalla cucitura in corda che non risalta troppo però, regalando

un'immagine moderna. Cinta alta con fibbia grossa, di un marrone

scuro identico alle scarpe. Ah, dimenticavo, camicia abbottonata

fino al penultimo e telefonino nella tasca. Io con il telefonino.

Ancora non ci posso credere. Rintracciabile sempre, dovunque,

mai libero quindi e come per magia o per sfiga naturalmente suona.

Cazzo proprio adesso, lo apro, vuoi vedere che Gin ha un problema?

Se è così, non me ne frega niente, passo a prenderla sotto

casa, anzi no, salgo su e la rapisco. Continuo frenetico con i

miei

pensieri.

"Pronto?"

"Step, meno male che rispondi..."

È Paolo, ma certo come ho fatto a non pensarci?

"Che succede?"

"Step, è successa una cosa tremenda, mi hanno fregato la

macchina."


"Porca puttana... Mi hai fatto pensare a mamma e papà..."

"No, loro stanno bene. Sono sceso giù e non c'era più la mia

Audi 4. Cazzarola, ma come avranno fatto? Non c'è vetro per terra,

non hanno spaccato il finestrino quindi. Ma pure il garage era

aperto e senza forzature. Ma come avranno fatto?"

"A Pa', guarda che ormai i ladri hanno tecniche perfette, eh? I

garage con telecomando poi non li sfonda più nessuno. Hanno un

variatore di frequenze. Girano finché il garage non si apre."

"Ah già, non ci avevo pensato. Porca troia! "

Mi fa piacere sentire mio fratello così incazzato, mi sembra più

vivo, e finalmente, cazzo, si riscalda. Ma sempre per roba da poco

però... la sua macchina. Che sarà mai.

"Proprio adesso me l'hanno fregata. Porca pupazza."

Ecco, porca pupazza. Che vuol dire "Porca pupazza"?

"Ho pagato l'altra settimana l'ultima rata del finanziamento.

Potevano fregarmela prima, almeno mi risparmiavo quei soldi."

Bleah! Che schifo. Infido calcolatore. Commercialista fino in

fondo.

"Va be', Pa', insomma che vuoi fare?"

"No, io speravo..."

"Che te l'avessi fregata io?"

"No, ma che scherzi? Anche perché le chiavi e il doppio stanno

ancora qui."

"Ah, allora per un attimo l'hai pensato, eh?"

"No, perché, cioè..."

"Eh no, se sei andato a controllare il doppio, vuol dire che ci

hai pensato. Solo io potevo prenderlo."

Pausa di silenzio.

"Be' sì, per un attimo l'ho pensato. Ma mi avrebbe fatto piacere,

cioè, sì insomma, sempre meglio tu..."

Mio fratello. "Pa', stai zitto va', che è meglio."

"Perché?"

Già, perché mi dice. E io stupido che tento di farglielo capire.

"Niente Pa', tutto a posto."

"Ecco io volevo sapere Step, no, senza che ti offendi, eh?"

"Che cosa? Dimmi..."

"No, siccome tu bene o male conosci un sacco di gente in quei

giri. Ecco se non hai problemi... se puoi sentire in giro se si sa

di

qualcuno che l'ha presa."

"Ehi, ma quelli vogliono soldi, eh? Mica vorrai che vado a fare

a botte con gente di quella portata per una macchina qualsiasi."

"Qualsiasi... Per una Audi 4! "

"Sì, sì, per una Audi 4."

"No, no questo no, assolutamente... Ecco io ci avevo già pensato,

sono disposto a dare anche 4300 euro..."

"E perché proprio questa cifra?"

"Ho pensato che con la franchigia e tutto il resto..."

Mio fratello, grande commercialista. Il migliore.

"Ok Pa', se posso ci provo."

"Grazie Step, lo sapevo che potevo contare su di te."

Mio fratello che può contare su di me, questo è il massimo. Due

curve e sono sotto casa sua. Vado a citofonare, mentre sto per

farlo

mi ricordo che ha un telefonino. Le faccio due squilli per

avvisarla.

Avrà capito? Nel dubbio aspetto un attimo. Prima o poi scenderà.

Prima o poi. Le donne e il loro prepararsi. Forse è meglio se

citofono. Ancora un minuto. Mi concedo un altro minuto per

aspettarla.

Mi accendo una sigaretta. Ecco, finisco di fumarmi la sigaretta

e poi citofono. Strada tranquilla. Mi guardo in giro. Qualche

macchina che passa sullo sfondo. Uno che inchioda perché un altro

ha fatto il prepotente non facendolo passare. Ma poi anche

quest'ultimo

riparte e tutto procede, tranquillo, sperso in questa grande

città. Che palle! Che riflessioni del cavolo. Ma dove la porto

stasera?

Che strano, ho pensato a tutto ma non a questo. Dove la porto?

Questa era una cosa alla quale pensare. Mi viene un'idea, ma

poi mi preoccupo. Mi preoccupo di quello che sto pensando. Io

che mi preoccupo dove portarla a mangiare? Non mi starò

preoccupando

un po' troppo? Quando esci con una donna se ti metti a

scalettare la serata è lì che toppi.

E toppi alla grande, eh! Non ci siamo. Ci vuole disinvoltura,

casualità, quello che è, è. Poi improvvisamente mi viene un'idea.

Cazzo però, mi piace la mia idea. Un altro tiro e poi citofono. Ma

il cancello in quel momento si apre. Un rumore, uno scatto di

serrature.

Il portone in fondo si dischiude lentamente. Della luce filtra

dall'androne, leggermente arancione. Illumina le foglie lì intorno

nel giardino, i gradini lontani, i motorini posteggiati. Poi esce

una signora anziana. Cammina lenta, sorridente, con le gambe

leggermente

ricurve sotto il peso degli anni. Poi, subito dopo, lei. Lei

che l'ha fatta passare, lei che ancora le tiene il cancello, lei

che l'aiuta

a uscire, che le parla sorridendo, che annuisce a qualche domanda

occasionale, lei gentile, lei bella, lei sorridente. Lei. La

signora

mi passa davanti e anche se non la conosco mi scappa un

"Buonasera".

Mi sorride. Come se mi conoscesse da sempre.

"Buonasera a lei" e si allontana lasciandomi solo con Gin. Ha

i capelli raccolti, un giubbotto corto di pelle, con zip e

cinturini,

una divertente cintura azzurra 55 DSL, i pantaloni scuri a vita

bassa,

a cinque tasche e cuciture a contrasto. Borsa grande in tessuto

Fake London Genius. Ha stile. E per averlo non ha speso nulla.

Incredibile

come noti tutto quando ti piace qualcuno. Ha la faccia

buffa. Ma che dico? Bella.

"Ma la moto? Non sei venuto in moto?"

"No."

"E io che mi sono conciata così." Mi fa una specie di piroetta

davanti. "Non sembro un po' il 'Selvaggio' Marion Brando?"

Sorrido. "Più o meno."

"Ma allora come sei venuto?"

"Con questa, ho pensato che stavi più comoda."

"Una Audi 4! E a chi l'hai fregata?"

"Ah, mi sottovaluti, è mia."

"Sì, e io sono Julia Roberts."

"Dipende dal film. Ho capito, Pretty Woman."

"Tsk."

Gin va verso la portiera e mi dà al volo un pugno sulla spalla.

"Ahia."

"Cominciamo male. Non mi è piaciuta quella battuta."

"Ma no, Pretty Woman nel senso che vuole un sogno."

"E allora?"

"Allora hai trovato il tuo sogno..."

"Ma chi, la Audi 4?"

"No, io." Sorrido, entriamo in macchina e parto sgommando.

"Più che un sogno, questo mi sembra un incubo. Dai, di' la verità,

a chi l'hai fregata?"

"A mio fratello."

"Ecco così mi piaci, sarà sempre una bugia, ma almeno è più

credibile. "

Accelero leggermente e ci perdiamo nella notte. E penso al doppio

delle chiavi comprato da quel tipo vicino al bar dei Sorci Verdi

a corso Francia, quello che ha le copie di tutte le chiavi di

tutte

le macchine possibili e immaginabili. Penso a Pollo e alla prima

volta

che mi ci ha portato, penso agli scherzi che facevamo, penso a

mio fratello preoccupato per la sua macchina rubata, penso alla

serata,

penso alla mia idea, penso al mio passato. Un qualche pensiero

veloce, più forte degli altri. Passo davanti all'Assunzione. Mi

voglio distrarre. Mi giro verso Gin. Ha acceso la radio,

canticchia

una canzone e si è accesa una sigaretta. Poi mi guarda e sorride.

"Allora dove andiamo?"

"Be', è una sorpresa."

"Era quello che speravo che dicessi."

Mi sorride e piega di lato la testa, si scioglie i capelli. E in

quel

momento capisco che la vera sorpresa è lei.

Capitolo 41.

"Allora? Qual è la sorpresa? È una bella sorpresa?"

"Sono più sorprese."

"E dimmene una."

"E no. Non è più una sorpresa."

Posteggio e scendo giù dalla macchina. Un marocchino o qualcosa

giù di lì mi corre incontro con la mano già aperta. Gliela prendo

al volo e gliela stringo. "Ciao capo..." ride divertito e sguaina

una

specie di dentatura alla "ecco perché i dentisti sono così cari!

".

sono 2 euro.

"Senz'altro. Ma pago quando torno." Gli stringo un po' più

forte la mano. "Così sono sicuro che la ritrovo perfetta, vero? Si

paga a servizio fatto."

Mi guarda preoccupato. "Quindi tienila bene d'occhio, non voglio

graffi. Chiaro?"

"Ma io dopo mezzanotte sono..."

"Torniamo prima." E mi allontano.

"Allora aspetto, eh?"

Non rispondo e guardo Gin.

"Ci tiene proprio a questa macchina tuo fratello, eh?"

"Maniacale. In questo momento sta disperato perché pensa che

gliel'abbiano rubata."

"Non è che ci ferma la polizia e finiamo in galera?"

"Mi ha dato una notte per ritrovargliela."

"E poi?"

"Poi parte la denuncia. Ma non ti preoccupare, gliel'ho già

ritrovata,

no?"

Gin ride e scuote la testa.

"Poveraccio tuo fratello, mi immagino cosa gli hai fatto passare."

"Veramente lui non lo sa, ma l'ho sempre salvato da molte

situazioni.

"

Penso a mia madre per un attimo. Mi viene voglia di raccontarle...

Ma questa è la nostra serata, io e lei. E basta.

"A che pensi?"

"Che ho fame... vieni! "

E la trascino via, prendendola per mano. Da Angel, un aperitivo,

un Martini ghiacciato per tutti e due, shakerato, ghiaccio e

limone

alla James Bond o giù di lì e a stomaco vuoto è un sogno. Gin

ride e mi racconta. Storie del passato, amiche sue ed Ele e come

si

sono conosciute e le litigate e le gelosie dell'amica. E io la

prendo

poi per mano e saluto un tipo con l'orecchino che sembra

conoscermi

e poi me la porto in bagno.

"Ehi, ma che vuoi fare? Non mi sembra proprio il caso, eh?"

"No guarda..." Le passo 20 centesimi o forse 50 o forse 1 euro,

magari 2, non li vedo nemmeno. Glieli metto in mano. Penso

al tipo del parcheggio. A quando torno e gli dirò che non ho più

monete.

"Questo è il pozzo dei desideri, vedi quanti soldi ci sono sul

fondo?" Gin guarda dentro una specie di pozzo in quel bagno pieno

di piante e tappeti colorati, rosso, viola, arancione e una luce

blu e gialla e muri bianchi e color mattone. "Dai... Hai

espresso?"

Lei sorride, si gira e butta via la mia moneta con un desiderio

tutto

suo che finisce sul fondo nella speranza di avverarsi. La seguo a

ruota e faccio volar via la mia sopra la mia spalla. E vola giù

che è

una meraviglia e sparisce ondeggiando in mezzo all'acqua con uno

strano zigzag per poi posarsi sul fondo tra mille altri sogni e

qualche

desiderio, forse, più o meno realizzato.

Usciamo in silenzio, mentre un tipo entra veloce quasi urtandoci

mentre già si sbottona i pantaloni, ma poi ci ripensa e si tuffa

sul lavandino vomitando. Ci guardiamo e scoppiamo a ridere,

schifati

e imbrividiti... Bleah... Chiudendoci la porta alle spalle e via.

Lascio 15 euro sul tavolo e in un attimo siamo fuori. Incontro

Angel che mi saluta.

"Ciao Step, quanto tempo..."

"Sì, sì. Dopo, caso mai, ripasso."

In realtà si chiama Pier Angelo, ancora me lo ricordo, vendeva

strani quadri a piazza Navona agli stranieri, croste improbabili

per

delle cifre ancora più improbabili. Un tedesco, un giapponese, un

americano, una sua strana spiegazione in inglese non proprio

perfetto,

maccheronico e inventato, e via un altro "pacco" per potersi

comprare un giorno, come poi ha fatto, il suo Angel's.

"Allora? Tutto qui?"

"Stai tranquilla... ho capito, non vuoi faticare."

La prendo al volo e me la carico sulle spalle. "No dai, che fai?"

Ride divertita e prova a picchiarmi, ma lo fa senza cattiveria.

"Ti porto io... Basta che non fai più domande."

"Dai, mettimi a terra!"

Passiamo davanti a un gruppetto di ragazzi e ragazze che ci

guardano più o meno divertiti, sognanti le prime, imbarazzati i

secondi.

Questo è quello che mi sembra di leggere sulle loro espressioni.

E voliamo via. Cul de sac.

"Ecco ora puoi scendere. Qui un aperitivo di formaggi e vini."

Gin si sistema giù il giubbotto che le si era alzato e anche la

maglietta

che le ha scoperto la pancia, morbida ma compatta senza

strani piercing all'ombelico, naturale e rotonda.

"Che fai guardi? La mia pancetta non è il massimo."

Bella e insicura. "Vuoi dire che c'è dell'altro?"

Gin sbuffa.

"Sono calamitato, attratto, inevitabilmente risucchiato e..."

"Sì, sì, ok. Ho capito il concetto."

Ci sediamo al primo tavolo e ordino a uno di colore vagamente

francese con tanto di grembiule bianco.

"Allora un formaggio di capra agro e stagionato e due bicchieri

di Traminer. "

Il tipo annuisce e io nella sua incertezza spero tanto che abbia

capito sul serio.

"Dove l'hai letta questa storia del Traminer e formaggio di capra?

Te l'ha suggerita tuo fratello?"

"Perfida..."

Faccio con la mano il segno di vittoria rivolto in basso verso di

lei.

"Viperetta acida. No, mi dispiace, ho fatto un corso personale

con un sommelier francese. Una sommelier per essere precisi. Da

Epernay, nello Champagne. Calze velate grigie. Leggerissime e

sempre

rigorosamente autoreggenti. Vuoi altri dettagli? "

Sbuffa scocciata.

"No grazie, sennò ricominci, sai io sono naturalmente attratto...

eccetera eccetera e quelle altre cavolate lì..."

Il tipo vagamente francese le poggia un piatto in legno sul

tavolino

e "voilà". Ci ha preso: formaggio di capra e Traminer freddo.

Incredibile e non si ferma lì.

"Vi ho portato anche del miele naturale..."

"Grazie."

Che bello quando uno ama il suo lavoro. E non c'è niente di più

bello invece di una ragazza che mangia con gusto. Come lei.

Sorride

e spalma il miele su del pane ancora caldo, appena tostato,

perfettamente

abbronzato, non bruciato. Ci poggia sopra un pezzo di

formaggio e dà un grosso morso, deciso ma lento, mentre con

l'altra

mano si protegge dalla caduta libera di briciole impazzite. Poi si

tocca con la punta delle dita il palmo e come suonando uno strano

motivetto le lascia cadere giù nel piccolo piatto, vicino al pane

rimasto,

mentre con l'altra mano prende il Traminer e con un piccolo

sorso accompagna il tutto.

È perfetta, cazzo, è perfetta, lo so. Piccoli spunti... Che senso

hanno non lo so... Ma in realtà... Lo so. Il Traminer scende giù

veloce,

freddo con il suo retrogusto. Gelato. Un bicchiere dopo l'altro.

Sì. Lo so, è perfetta. E da quello che penso, da come mi intorto,

su

quel "lo so, non lo so", capisco già di essere mezzo ubriaco.

Aspetto

che finisca l'ultimo morso, metto dei soldi sul tavolo e la

rapisco.

"Vieni andiamo."

"Ma dove?"

"Un posto per ogni sua specialità."

E corriamo via, così, un po' di vino, un po' di risate. Tra

sguardi

indiscreti, persone agli altri tavoli, teste che fanno capolino

per

guardare, spiare, osservare, quei due sconosciuti... Noi due,

meteore

di una qualsiasi notte, in un locale qualsiasi, un momento più

che qualsiasi, ma solamente nostro. Come questo cibo-tour.

"Ehi Step?"

"Sì?"

"Quanti punti base toccheremo?"

"Che vuol dire?"

"Visto che mangiamo una cosa in ogni posto, per capire quanti

saranno, sennò ho paura che scoppio. Sì, insomma, in quanti locali

ci fermiamo?"

"Ventuno!"

Rispondo deciso, leggermente scocciato, cazzo. Ma scusa, neanche

un accenno, che ne so: carina l'idea, originale, divertente. Gin

improvvisamente si stoppa. Si ferma in mezzo alla strada e punta i

piedi.

"Che succede?"

Mi prende al volo per il giubbotto e mi tira a sé con tutte e due

le mani, tenendolo per i baveri.

"Dimmi a chi l'hai rubata?"

"La Audi 4? Te l'ho detto, a mio fratello..."

"No, questa idea. Mangiare una cosa diversa in ogni posto, da

chi l'hai presa?

Rido scuotendo la testa, più ubriaco che mai, anche di

divertimento

etilico.

"L'ho pensata io."

"Vuoi dire che è un'idea tutta tua, che non l'hai rubata da

qualche

parte? Da qualche libro scemo, da qualche film romantico, da

qualche leggenda metropolitana?"

Allargo le braccia e tiro un po' su le spalle. "Tutta mia."

Sorridendo

"Mi è venuta in mente così...". Schiocco le dita. Gin mi tiene

ancora per il bavero e mi guarda con la faccia ancora un po'

dubbiosa.


"E non l'hai già fatta a qualcun'altra?"

"No. È solo per te. Se è per questo, neanche nei posti che ho

scelto sono mai stato con qualcun'altra."

Mi lascia andare al volo, spingendomi all'indietro.

"Ma va'! Questa l'hai detta grossa!"

"Pum!" Fa esplodere un finto palloncino soffiando con tutta

la bocca. "Pum."

"Cazzata! Ah, ah, Step ha detto la cazzata."

Quasi ne fa una tiritera. La prendo io al volo per il bavero, la

rigiro su se stessa prima che si allontani troppo. Fa una mezza

giravolta

e finisce vicino al mio viso. La sua bocca.

"Ok, detta la cazzata. Ma sempre in gruppo. Mai da solo, come

sono ora qui con te..."

"Ok, già va meglio. Così ci posso credere."

"Ci devi credere."

La voce mi si abbassa e mi sorprendo anch'io nel sentirla così

soffocata, sussurrata quasi, alle sue orecchie, intorno al suo

collo,

tra i suoi capelli. Guardo i suoi occhi, le sorrido sincero. Lo

apprezza,

mi crede. Ma voglio sigillare. "Giuro..." e stavolta si fida.

Sorride anche lei e si lascia andare. Bacio. Bacio morbido, bacio

lento, bacio non irruento. Bacio al Traminer, bacio leggero, bacio

di lingue in lotta, bacio surf, bacio sull'onda, bacio con morso,

bacio

vorrei andare avanti ma non posso. Bacio non si può. Bacio c'è

gente...

Capitolo 42.

Non ci posso credere. Io, Gin, qui a via del Governo Vecchio

che mi bacio per strada. Gente che passa, gente che mi guarda,

gente

che si ferma, gente che mi fissa... E io in mezzo alla strada.

Senza

pensare, senza guardare, senza preoccuparmi. Occhi chiusi. Gente

intorno. Ecco, penso che ci potrebbe ora anche essere uno che

mi sta fissando a cinque centimetri dal nostro bacio. Apro di

pochissimo

l'occhio destro. Niente. Tutto tranquillo. Lo richiudo.

Chissà se dall'altra parte... Ma me ne frego! Io e Step. Di questo

sono sicura. Lo abbraccio più forte e continuiamo a baciarci così,

senza problemi, senza pensieri. Poi scoppiamo a ridere, chissà

perché.

Forse perché ha mosso un po' la mano, mi ha toccato il fianco,

scivolando verso chissà dove. Ma sono onesta. Io non ci avevo

neanche pensato. Mi è solo venuto da ridere e basta. E così a lui.

E lo abbiamo fatto! Siamo scoppiati a ridere. Mi sono toccata con

la guancia destra la spalla, sorridendo, appoggiandomi di lato,

lasciando

passare un brivido... O forse un desiderio.

"Dai, vieni ci aspettano i Primi della classe."

"E chi sono, degli amici tuoi secchioni?"

"Macché! È un posto dove si mangia solo pasta."

"Ah, be', che ne sai. Magari il cuoco si è laureato in Filosofia."

Cerco di risolvere così quella mia battuta vanziniana. Con Step ci

riesco. Chissà, forse perfino quei due fratelli, malgrado tutti i

loro

successi, sentendola avrebbero sorriso.

Il proprietario si presenta come un certo Alberto. Saluta, è

gentile,

ci fa accomodare, ci suggerisce un "trittico" dice lui. "Trofie

al pesto, tortelloni alla zucca e riso champagne e gamberi."

Ci guardiamo e facciamo sì con la testa, ok, va bene, sì. Insomma,

senti Alberto, ma perché non te ne vai?

"E da bere?"

Step chiede se c'è un vino bianco, almeno credo. Ma non ho

sentito bene... Farfallina o qualcosa del genere.

"Benissimo." Alberto invece, che ha capito, si allontana.

Mi guardo intorno nel locale. Archi fatti di mattoni antichi,

pietre

che escono dai muri, bianco, marrone, rosso, luci rivolte verso

l'alto. Guardo giù. Cotto, perfetto e nuovo. Poco più in là la

cucina.

Finta antichità, ferro, pezzi più scuri, ghisa o altro e due porte

che

sbattono insieme tipo saloon mentre esce un ragazzo con un piatto

caldo fumante e nessuno gli spara. Anzi a un tavolo gli fanno

segno

felici di raggiungerlo. Chissà da quanto stavano aspettando.

"Ecco la vostra Falanghina."

Alberto porta una bottiglia di vino bianco in mezzo al tavolo e

la stappa con facilità. Falanghina... No farfallina. Sono fuori.

Step

la prende e ne versa un po' nel mio bicchiere. Poi aspetto che

faccia

la stessa cosa con il suo e li alziamo per bere.

"Aspetta, brindiamo."

Lo guardo preoccupata.

"Sentiamo," sorrido, "a cosa brindiamo?"

"A quello che vuoi tu. Ognuno decide e poi si brinda insieme."

Mi concentro un attimo. Lui mi guarda negli occhi. Poi allunga

il suo bicchiere verso il mio e lo urta.

"Magari è lo stesso desiderio."

"Magari un giorno ce lo diciamo."

be si avvera.

Guardo Step cercando di capire. Lui mi sorride. "Si avvera...

si avvera..."

E butto giù d'un fiato con la certezza che prima o poi quel

desiderio,

almeno il mio, si avvererà. Faremo l'amore... Mah! Aiuto!

Ma che dico? Oddio. Mi distraggo. Mi guardo in giro. Come sembrano

diverse le coppie che mangiano agli altri tavoli. Chissà com'è,

ma crediamo sempre di essere i migliori. È il mio caso almeno. Sì,

Gin la presuntuosa. Ma non potrei mai stare al tavolo con uno con

il quale non mi rivolgo parola. Mangiare in silenzio. Ma che senso

ha? Così fanno quei due. Ogni tanto, fra un boccone e l'altro

guardano

fuori, fuori dalla loro vita, dai loro pensieri. In cerca di

qualcos'altro.

Annoiati da quello che hanno accanto. Da quella stessa

vita che proprio loro hanno scelto ! Sbirciano negli altri tavoli,

fra

le altre persone, continuando a masticare in cerca di curiosità.

Ma

ti rendi conto?

"Ahhh!!"

"Ma che fai, urli?" Step mi guarda preoccupato, ma io rido.

"Tu sei tutta matta."

"No, sono tutta felice! "

E urlo di nuovo mentre la tipa annoiata al tavolo ha smesso per

un attimo di masticare e mi guarda sorpresa, incuriosita. E io,

be',

io la saluto. Prendo un boccone dai piatti appena arrivati e me lo

metto in bocca. "Uhm, buono..."

Giro l'indice sulla guancia sempre guardando la vicina annoiata

che scuote la testa, non capendo. E pensare che l'uomo, quello di

fronte a lei, non si è neanche accorto di niente. E Step ride. E

mi

guarda. E scuote la testa. E io gli sorrido.

"Ehi, ma non stai pagando un po' troppo?"

"La cena è offerta da mio fratello. In realtà, lui è un po'

tirato,

ma non ha problemi di soldi."

"Forte, e perché lo fa?"

"Mah, forse per aiutare me, il fratello più piccolo che ha

problemi

con le donne."

"Ma smettila! Sì, senza dubbio è per questo."

E via di nuovo correndo veloci, ridendo. Poi montiamo in macchina.

Non so come trovo altri 2 euro in tasca. Li do al marocchino

che forse sperava qualcosa in più. Ma poi ci ripensa, si ritiene

comunque soddisfatto e ormai da adottato romano mi aiuta a fare

manovra: "Venga, venga dotto', tutto a posto, gliel'ho guardata

come

un fiorellino".

Non trova risposta se non il mio fare cenno di sì con la testa.

Sì, sì, va bene, va bene così.

Musica. 107, 10. Tmc. Le parole del dj lasciano spazio alle note

degli U2. E Gin, ovviamente, conosce la canzone. "And I miss

you when you're not around, I'm getting ready to leave the

ground..."

"Ma le sai proprio tutte! "

"No. Solo quelle che parlano di noi due."

Lungotevere. Poi passiamo il ponte. Destra, sinistra, piazza

Cavour,

via Crescenzo. Papillon. Mario il proprietario ci saluta. "Salve,

siete in due?"

"Sì, ma due speciali, eh?" Sorrido a Gin stringendola a me. Il

tipo

ci guarda. Stringe un po' gli occhi. Starà pensando: "Ma io questo

lo conosco? Chi è? È uno importante?".

Ma non trova risposta, anche perché non c'è.

"Prego venite, vi metto di qua così state più comodi."

Grazie.

Nell'indecisione ha optato per due che comunque vanno trattati

bene. A prescindere, insomma. Attraversiamo una sala con una

tavolata piena di gente, per lo più donne e anche carine. Bionde,

brune, rosse, sorridono, ridono, tutte truccate parlano ad alta

voce,

ma mangiano educate, spezzettano pezzi di pizza appena fatta

da un piatto centrale. Poco più in là forchette fameliche si

tuffano

su alcune fette di prosciutto appena tagliate, rosa e leggere,

figlie

di chissà quale maiale.

"Porco..."

"Ahia, che è?"

Gin mi ha appena colpito al fianco con un cazzotto dritto per

dritto.

"Mi hai preso alla sprovvista."

"Ti ho visto come guardavi quella."

"Ma che? Stavo pensando al prosciutto."

"Sì, senz'altro, ancora. Mi hai preso per scema?"

Mario fa finta di non sentire. Ci fa accomodare a un tavolo ad

angolo e ci lascia subito.

"Sì, al prosciutto... lo so io a cosa pensavi. Quelle devono

essere

le ballerine del Bagaglino. Festeggiano la prima o qualcosa del

genere. Quello lì con pochi capelli è il regista e quelle due al

suo

fianco sono le prime ballerine. "

"Che ne sai?"

"Si dà il caso che io ogni tanto faccio dei provini... Sei tu

l'infiltrato

nel mondo dello spettacolo."

Una del gruppo si alza dal tavolo, si dirige verso il bagno, ci

passa davanti, sorride e poi si gira perdendosi in fondo alla sala

ma

lasciando un perfetto panorama, due gambe muscolose, un sedere

tondo imprigionato con qualche difficoltà in una gonna troppo

stretta.

"Sì, guarda come sbavi e tu pensavi al prosciutto! Peccato! "

"Peccato che?"

"Ti sei giocato la serata."

"Cioè?"

"Se avevi qualche minima chance con me, e guarda che ce n'era

un filino, be'l'hai persa."

"E perché?"

"Perché sì. Anzi, ti do un consiglio. Infilati al bagno, segui

quella,

al massimo ci ricavi una sveltina o due biglietti per il

Bagaglino.


"E poi ci andiamo insieme."

"Neanche morta."

"Non ti piace il Bagaglino?"

"Non mi piaci tu."

"Benissimo."

"Che vuol dire benissimo?"

"Che ho una chance..."

"Cioè?"

"Che sei gelosa, un po' rompipalle, ma in definitiva..."

"In definitiva?"

"Ci stai!"

Gin sta per ripartire quando la fermo al volo con la mano.

"Aspetta. Almeno ordiniamo."

Mario è comparso alle spalle di Gin.

"Allora, che faccio preparare?"

"Siamo venuti per provare quelle buonissime tagliate, grandi e

al sangue. Ne abbiamo sentito tanto parlare."

"Perfetto."

Mario sorride felice di essere famoso almeno per le tagliate.

"E ci porti un buon cabernet."

"Va bene il Piccioni?"

"Faccia lei."

"Benissimo."

E si sente ancora più soddisfatto del fatto che si possa contare

su di lui anche per la scelta del vino.

"Gin, dai, non litighiamo, vuoi cambiare posto? Vuoi sederti

di qua?"

"Perché?"

"Così le guardi tu quelle ragazze, le ballerine."

"No, no." Sorride. "Mi diverte che le guardi tu, anzi mi fa

piacere.


"Tifa piacere?"

"Certo, più coppia aperta di così. A, perché non siamo coppia.

B, dopo quel panorama di tette e culo sarai più sereno nel

sentirti

un bel no da una misera mortale..."

"Terzo dan in tutto e per tutto, eh?"

La ragazza che era andata in bagno ripassa davanti a noi per

tornare al suo tavolo. Mi giro d'istinto senza volere. Gin non

aspettava

altro e la chiama,

scusa.

"Sì."

"Puoi venire un attimo?"

La ragazza, sorpresa, annuisce.

"Dai, Gin, lascia stare. Passiamo almeno una volta una serata

tranquilla. "

"Ma di che ti preoccupi? Io sto semplicemente lavorando per te."

La ragazza si avvicina gentile e curiosa al nostro tavolo.

"Grazie eh... Vedi questo ragazzo, Stefano, Step il mito per

alcuni,

voleva il tuo numero di telefono ma non ha il coraggio di

chiedertelo."


La ragazza rimane sorpresa, la bocca mezza aperta completamente

presa in contropiede.

"Veramente..."

Gin sorride.

"No, no, non ti devi preoccupare per me. Io sono sua cugina."

"Ah."

Ora sembra più rilassata. La tipa mi guarda, valuta se è il caso

di

darmelo o no e io, forse per la prima volta in vita mia,

arrossisco.

"Pensavo stavate litigando o magari uno scherzo..."

"No, assolutamente."

Gin rimane decisa sulla sua affermazione.

"Ok, ci hai pensato troppo. Non fa niente. Carina questa gonna.

È di Ann Demeulemeester?"

"Di chi?"

"No, mi sembrava. Taglia 40, vita con passanti, bottoni nascosti,

una tasca..."

"No, è Uragan."

"Uragan?"

"Sì, è la marca nuova di un mio amico."

"Ah, ho capito e tu sei una specie di testimonial."

La ragazza sorride allisciandosi la gonna e cercando di

sistemarsela

un po'.

"Sì, diciamo di sì."

Fatica inutile. La gonna rimane fissa bloccata, semplicemente

avvinghiata ai suoi fianchi, non mostrando, per un pelo, le

mutandine.


"Be'..."

Cerco di prendere in mano la situazione.

"Scusaci. Ma vedo che ti chiamano al tavolo."

La ragazza si gira. Effettivamente se ne stanno andando.

"Ah sì, scusate."

be, ciao.

"Sì, ciao."

La tipa si allontana.

Rimaniamo così a fissarla nel suo incedere e, non si sa perché,

sculetta più di prima.

"Complimenti."

"Per che cosa?"

"Be', è la prima volta che una donna riesce a mettermi in

imbarazzo...

e per di più con un'altra."

"Be', io ce l'ho messa tutta. Strano... ma se non ti dà il suo

numero,

figuriamoci il resto."

"Be', se non altro potrò giocare su questo senso di colpa..."

"Per cosa?"

"Non crolla tutti i giorni un mito come il mio... Step che non

riesce ad avere il numero di una che veste Uragan. Non è roba da

tutti i giorni. "

"Non so se questo ti può consolare, ma aveva le tette rifatte."

"Non ci ho fatto caso. Ero più affascinato dal suo culo naturale."

Sorrido malizioso. "Su quello non hai niente da dire, vero?"

"Veramente ho qualche dubbio anche su quello. Mi dispiace

solo che non potrai mai averne la prova."

"Mai dire mai."

Proprio in quel momento Mario posa i due piatti di tagliate

davanti

a noi.

"Eccole qua."

"Grazie, Mario."

"Dovere." Ci sorride. Gin prende subito a tagliarla.

"Be', intanto Step accontentati di questa carne qua."

"Ah, se questa però non è naturale, siamo fottuti tutti e due."

A quelle parole Mario rimane interdetto.

"Ma che, state scherzando? Qui solo carne doc. Oh, non mettete

in giro strane storie che vado fallito."

Scoppiamo a ridere.

"No, no, non ti preoccupare. Si parlava d'altro, sul serio!"

E continuiamo a mangiare, versandoci del cabernet, mangiando

lentamente, ridendo, raccontandoci dei fatti insignificanti ma

che ci sembrano così importanti. Sprazzi di vita, dell'uno o

dell'altra,

ai quali non abbiamo mai partecipato. Momenti euforici e diversi

con amici del passato che oggi però, a rivederli bene, non

sembrano

poi così un granché. O forse è il timore di non essere abbastanza

divertente. Gin mi versa del vino. E solo il fatto che sia lei a

farlo già mi fa dimenticare tutto.

Capitolo 43.

Giuli guarda Daniela a bocca aperta.

"Chiudi quella bocca, mi fai sentire ancora più in colpa così! "

Giuli la chiude. Poi deglutisce e cerca di riaversi.

"Sì, ho capito... ma com'è possibile?"

"Com'è possibile? Eppure dovresti saperlo, visto che anche tu

e prima di me lo hai fatto. Vuoi che ti spiego?"

"Ma no, cretina. Questo lo so, sei tu caso mai che non lo sai.

Dicevo, com'è possibile che sei rimasta incinta? ! "

"Senti, Giuli, ti prego non fare così, sto malissimo. Cioè, ti

prego.

E pensa che lo sto dicendo a te... pensa a quando lo dirò ai

miei!

"Perché, glielo dici?"

"E certo che glielo dico, come faccio sennò?"

"Ma guarda che non ci vuole nulla, eh? Basta una giornata di

clinica e la tua cavolata puff, sparisce. Hai capito?"

"Macché, sei pazza? Io il bambino voglio tenerlo."

"Vuoi tenerlo? Allora tu sei proprio pazza! "

"Giuli, da te questo proprio non me l'aspettavo. Mi obblighi a

venire tutte le domeniche a messa con te e poi... hai il coraggio

di

dire una cosa del genere! "

"Oh senti, vieni a fare la predica tu a me! Hai voluto farlo per

forza prima dei diciotto anni sennò ti sentivi una sfigata e sei

stata

pure punita, lo vedi? Ti sembra un discorso religioso il tuo? Ma

fammi il piacere! Comunque fai come ti pare, la vita è tua..."

"Ti sbagli. La vita è anche sua. Vedi, è a questo che non pensi.

Ora c'è un'altra persona oltre a me."

"E a tutto il resto invece tu non ci pensi, vero? Per esempio,

glielo hai detto a lui?"

"A lui chi?"

"Come a chi? Al padre! "

"No."

"Brava! E non pensi allora a come la prenderà Chicco Brandelli

quando avrà la notizia, eh, no, non ci pensi?"

"No, non ci penso."

"E certo, non te ne frega niente a te, quello secondo me

s'ammazza!"


"Non credo che sia lui il padre."

"Cosa? E chi è? Ho capito. Ti prego, no, dimmi di no. Andrea

Palombi. Ma è diventato un mostro, è terribile, uno sfigato, pensa

come diventa questo povero bambino."

"Il mio bambino sarà bellissimo, prenderà tutto da me..."

"Guarda che non lo sai, non lo puoi sapere, magari invece viene

identico a Palombi. Mamma, se è così, io non faccio la madrina,

te lo dico fin da adesso, io non la faccio ! "

"Oh, non ti stare a preoccupare. Non viene uguale a lui."

"E perché?"

"Perché non è lui il padre."

"Non è neanche lui il padre? E allora chi è? Cavolo, sei sparita

dalla festa a un certo punto ma pensavo fossi andata via con

Chicco."

" No, mi ricordo solo che ho preso un 'ecstasy bianca dalla

gangsta

dove mi hai mandato tu e poi..."

"Un'ecstasy bianca? Ma tu hai preso uno scoop!"

"Uno scoop, e che è?"

"E ti credo che non ti ricordi niente. Meno male che non sei

rimasta

sott'acqua. Quello ti sfonda, ti leva tutti i freni inibitori, fai

di tutto, diventi la porca più porca del mondo e poi puff, a

momenti

non ti ricordi neanche come ti chiami! "

"Be' sì, è andata proprio così... credo..."

"Non ci posso credere, hai preso uno scoop."

"Quella è stata Madda che ha voluto punire in qualche modo

mia sorella."

"Sì, facendo godere te!"

"Ma lei mica lo sapeva che poi sarei stata così bene."

"Cavoli, riesci sempre a stupirmi."

"Sono forte, eh?"

"Insomma... ma possibile che non ti ricordi nulla, niente, non

un indizio?"

"Niente, ti giuro, buio totale. E stato bello, sì, questo me lo

ricordo!"

Giuli rimane per un attimo in silenzio sul divano. Poi beve un

sorso d'acqua, guarda Daniela e ritrova la forza di parlare.

"Be', una cosa però riesco a immaginarla..."

"Che cosa?"

"La faccia dei tuoi."

"Io no."

"E secondo me ti gonfiano così tanto che alla fine tu non

assomigli

neanche più a loro. "

"No. Secondo me invece la prenderanno bene. Scusa, ma è in

queste situazioni che si vede il vero amore di una famiglia, no?

Se

va sempre tutto benissimo, che bravura c'è? Sarebbe fin troppo

facile

in quel caso, giusto?"

"Sì, sì, certo. A me m'hai convinto, vediamo se riesci a

convincere

anche loro! "

"Be'..." Daniela si alza dal divano. "Io vado. Voglio dirglielo

stasera stessa, non ne posso più di tenermi questo segreto. Sarà

una

liberazione. Ciao, Giuli..."

Si danno un bacio sulla guancia. Poi Giuli la saluta e mentre

esce le dice:

"Fammi sapere, eh? Chiamami se hai bisogno".

"Ok, grazie."

Giuli sente sbattere la porta di casa. Alza il volume della tv e

si

rimette a guardare il film. Dopo poco spegne la televisione.

Decide

di andare a letto. Una cosa è sicura: dopo la storia di Daniela,

qualunque altro film è noioso.

Capitolo 44.

Mario arriva preoccupato al nostro tavolo.

"Ma che fate? Già ve ne andate? Avete preso solo un secondo.

Ho un dolce buonissimo fatto in casa, con le mie mani. Anzi, per

essere sincero, con quelle di mia moglie."

E quest'ultima confessione mi prende alla sprovvista. Vorrei

raccontargli tutto, spiegargli che non è che si è mangiato male,

ma

che ho avuto questa grande idea, grande... Un'idea. Un piatto

particolare

da ogni parte, in ogni posto famoso per quel piatto. Anche

il cabernet ha fatto il suo effetto e partecipa alla festa. Così

preferisco

una semplice bugia.

"No, è che abbiamo un appuntamento con i nostri amici, sennò

quelli scappano."

Mario sembra accettare con tranquillità questa spiegazione.

"Arrivederci allora... ma tornate presto."

"Certo, certo."

Anche Gin partecipa. "La tagliata era buonissima."

Ma mentre usciamo succede qualcosa d'imprevisto.

"Aspettate, aspettate!"

Un ragazzo dall'aria buffa con i capelli gonfiati a mo' di

cappello

da cuoco ci corre incontro.

"Step, tu sei Step, vero?"

Annuisco.

Sorride soddisfatto di aver fatto centro.

"Tieni, questo è per te."

Prendo un foglietto ma non faccio in tempo a leggerlo perché

Gin più veloce me lo strappa di mano mentre il ragazzo continua.

"Me l'ha dato una ragazza bionda, una ballerina." Sorride felice.

"È una di quelle del Bagaglino. Mi ha detto di darlo a te o a

tua cugina."

Mario lo guarda preoccupato e poi, quasi a scusarsi con noi "È

mio figlio. Vieni andiamo di là che c'è ancora gente da servire".

"Ma se hanno finito tutti."

Mario lo strattona.

"Ma non capisci un cavolo!" E lo spinge in avanti. "E forza!

Muoviti."

E il ragazzo, mortificato, piega la testa in giù già pronto a

sentire

la solita ramanzina del padre chiedendosi perché sempre e solo

a lui.

"Tieni." Gin mi passa il foglio.

"Mastrocchia Simona... Già una che mette prima il cognome e

poi il nome..."

Poi mi guarda con una certa aria di sufficienza.

"Telefonino, fisso ed e-mail sul biglietto. Vuole essere

rintracciata.

Visto, sa anche usare il computer. È tecnologica. Come la

gonna Uragan. Meno male che hai svoltato la serata."

"Veramente non l'ho ancora svoltata. Comunque in tempo di

guerra non si butta via niente! "

Piego il biglietto e me lo metto in tasca.

"Ah, ah, molto divertente, sul serio."

Rimaniamo un po' in silenzio, camminando. Vento di primi

d'ottobre, qualche foglia qua e là tra i marciapiedi. Quel

silenzio

mi infastidisce.

"Ma guarda che sei forte, hai fatto il casino, le hai chiesto il

numero,

fai la mia cugina preoccupata, quella sorride e poi infine ce

lo dà, e tu t'arrabbi. Guarda che sei insuperabile."

"Insuperabile, hai detto bene. Allora? È finito questo cibo-tour,

o come cavolo si chiama? Non hai messo neanche un titolo a questa

tua grande idea! "

Fa risuonare il tutto con eccessiva enfasi e continua a guardarmi

per un po'. Poi apre la bocca, fa la smorfia come se imitasse un

"boccalone", uno stupido pesce, o un semplice umano qualsiasi

che comunque non trova le parole per rispondere. Insomma mammifero

o anfibio, sta parlando di me. Mi brucia pure sui tempi. E

dire che avevo pensato di chiamarlo proprio cibo-tour... Be', tiro

fuori il foglietto con il numero di Mastrocchia Simona, il

telefonino

che mi ha regalato Paolo e comincio a digitare sui tasti. In

realtà

lo faccio a caso, senza guardare. Con gli occhi, ma senza farmene

accorgere, la sto controllando. E la piccola tigre parte in

quarta.

"Ma guarda che stronzo!"

Mi si avventa contro. Chiudo al volo il telefonino e lo metto in

tasca mentre con la destra paro un suo colpo, forte a calare,

dritto

sulla faccia, mentre Mastrocchia Simona con il suo numero scritto

in maniera incerta cade a terra. Le prendo il polso e veloce

glielo

giro portandole il braccio dietro la schiena. Una mezza giravolta

ed è attaccata a me. "Ahi." Quasi sorpresa da quella velocità e da

quel dolore. Allento un po' la presa. La tiro a me. Con la

sinistra

le prendo i capelli, infilo le dita tra le ciocche. E come un

pettine

selvaggio, un po' grezzo, un po' naturale, le fisso i capelli

indietro.

Le libero la fronte. I suoi occhi sono grandi, intensi, spaziosi.

Mi

guardano. Come mi piace. Poi li chiude. Li riapre e si ribella.

Prova

a divincolarsi. Ma registro un po' la presa.

"Buona... Shh." Sussurro. "Sei troppo gelosa..."

A quella parola sembra quasi impazzire, scalpita, si agita, tenta

di colpirmi con i piedi, con le ginocchia.

"Io non sono gelosa! Mai stata e mai lo sarò. Sono famosa per

non esserlo!"

Rido parando più o meno i suoi colpi. Si getta con la bocca

aperta sul mio viso, prova a mordermi. Comincia una guerra di

guance, un alternarsi di strusciate, i suoi denti si aprono e si

chiudono,

cercandomi, non trovandomi, mi avvicino e mi allontano, la

sua bocca mi insegue, io mi spingo giù, spostandole la testa,

liberandomi,

nascosto tra i capelli, fino al collo. Apro la bocca, tanto,

più che posso. Vorrei quasi inghiottirla tutta e insieme respiro

catturandole

la pelle, il collo, la giugulare e con un morbido morso gigantesco

la blocco, la prendo, la posseggo.

"Ahia. Ahia. Ok, basta!" Scoppia a ridere. "Mi fai il solletico,

ti prego, il collo no."

Si piega verso di me con la testa cercando di liberarsi. Fa uno

strano balletto, piccoli passi che si spostano verso sinistra

mentre

continua a ridere. E brividi e sorrisi, piega la testa sulla sua

spalla,

chiude gli occhi, debole, sconfitta, abbandonata, conquistata da

quel sensuale solletico. E io la bacio. Morbidissima, dalle labbra

calde come non ho mai sentito. Come una febbre. Di desiderio. O

la lotta che è stata... Ma tutto il resto mi sembra fresco,

compreso

lì, sotto il giubbotto, sotto la maglietta che mi lascia visitare.

Poi, il

suo seno... Lo accarezzo per un attimo con la mia mano, morbida

e gentile. Ma è solo un attimo, sento il suo cuore battere veloce,

più

veloce. E non so perché, vi giuro che non lo so, li lascio lì,

tutti e

due. Non voglio disturbare. Le prendo la mano.

"Vieni, ci manca il dolce..."

Tranquilla si lascia portare. Poi all'improvviso si ferma un

attimo.

Mi blocca tenendomi per mano e muove le labbra spingendole

in avanti, smorfiosa paperina, leggermente imbronciata.

"Perché come dolce io non andavo?"

E provo a dire qualcosa ma non me ne lascia il tempo. Mi scappa

via di mano e mi supera correndo, con il petto spinto in avanti,

quel seno che era mio prigioniero, con le gambe indietro, ridendo,

libera. E io la inseguo mentre poco più in là, ormai preda del

vento,

forse di un altro destino, rimane un numero di telefono e un nome.

Anzi un cognome e un nome: Mastrocchia Simona.

Capitolo 45.

Claudio è fermo con la sua Mercedes a via Marsala. Si guarda

in giro preoccupato. Poi si chiede: ma che pericolo c'è a stare in

macchina? Uno può essere stanco, magari ha viaggiato tanto, il

rischio

di un colpo di sonno. Oppure ha voglia di una sigaretta. Ecco,

sì. Mi fumo una bella sigaretta. Non c'è niente di male. Claudio

tira fuori dal pacchetto una Marlboro ma la rimette subito dentro.

No. Meglio di no. Ho letto su un giornale che riduce certe

prestazioni.

No. Non ci devo pensare. Non ci devo pensare. Devo allontanare

questo pensiero altrimenti s'innesca l'ansia da prestazione.

Ecco. Arriva. Cammina saltellando. Ha un lettore ed tra le mani

e la cuffia alle orecchie, sorride tenendo il tempo con la testa,

i

capelli sciolti e la pelle leggermente abbronzata, com'è naturale.

Un vestito leggero sul verde con dei girasoli gialli e il suo seno

piccolo.

Bella. Come sempre. Come l'ha vista la prima volta. Giovane

come l'ha continuata a desiderare da quella sera, da quel bacio

dato

in macchina, dopo la partita vinta a biliardo con Step, il ragazzo

con cui stava allora Babi. Simpatico, quel tipo, un po' violento,

forse... ma che partita che abbiamo fatto quella sera! Claudio ha

continuato a giocare da allora. Per una passione ritrovata. Ma non

per il biliardo. Per lei, per Francesca, la giovane brasiliana che

sta

arrivando. In fondo è per lei che si è iscritto a quel club, è per

lei

che ha comprato la stecca nuova, una Zenith, è per lei che

vorrebbe

vincere quel torneo sulla Casilina. Che follia. Non meno di

questa.

Andare quasi tutte le settimane all'Hotel Marsala con lei. Ormai

è più di un anno che va avanti questa storia. Certo, è un piccolo

albergo, fuori dal giro delle sue amicizie, frequentato solo da

giovani turisti, da marocchini o albanesi che magari hanno voglia

di spendere poco. Ma che ci può fare? Lui di voglia invece ne ha

tanta... e di lei. E questo è il solo modo per vederla. Pagando

naturalmente

cash la stanza.

"Francesca!"

La chiama da lontano. La ragazza, col Sony alle orecchie, sembra

non sentire. Allora Claudio clicca due volte sulla leva delle

luci,

lampeggiando. Francesca se ne accorge, sorride, si leva le

cuffiette e corre veloce verso di lui. S'infila nella macchina.

Gli monta

sopra, quasi un tuffo sulle sue labbra.

"Ciao! Ti desidero! " ed è sincera. E ride. E fa la pazza. E lo

bacia

con forza, con voglia, con passione, morbida, leccandolo,

sorprendendolo

come sempre. Più di sempre.

"Francesca, ma dov'eri tutt'oggi, t'ho cercato."

"Lo so... vedevo il tuo numero, ma non ti volevo rispondere."

"Come non mi volevi rispondere?"

"Sì, non ti devi abituare. Io sono la musica e la poesia... libera

come il mare, come la luna e le sue maree. " E così dicendo

Francesca

gli inizia a sbottonare la camicia e lo bacia sul petto. Poi gli

apre la cinta dei pantaloni e continua a baciarlo, e il bottone, e

la

zip, e poi più giù, ancora più giù, fino ad allargargli le mutande

e

andare avanti, senza paura, senza problemi, come la luna e le sue

maree. Ma questa è una mareggiata! pensa Claudio e si guarda

intorno,

abbassandosi un po' sul sedile, nascondendosi più che può.

Certo che se lo beccano adesso. Altro che una sigaretta e un po'

di riposo. Questi sono atti osceni in luogo pubblico. Una cosa è

sicura, dell'ansia da prestazione nessuna traccia. Spera solo che

non chiami Raffaella in quel momento per sapere come sta andando

la partita di biliardo. Non saprebbe cosa rispondere. È una

partita meravigliosa. Claudio chiude gli occhi, si lascia andare.

E

sogna un panno verde e le palle che vanno in buca, una dopo

l'altra,

senza che neanche le colpisca, così, come per magia. E poi per

ultimo vede anche se stesso su quel panno. Rotola dolcemente,

scivola,

su e giù, fino a sparire dentro l'ultima buca in fondo... ah, sì,

così... che partita!

Francesca si rialza da sotto il cruscotto.

"Vieni, andiamo..." e lo prende per mano e lo tira via senza

neanche fargli chiudere bene il finestrino. Claudio riesce a

malapena

ad abbottonarsi i pantaloni e a mettere l'allarme da lontano

alla Mercedes. Ma che importa? Tanto per 4000 euro, ma vuoi

mettere

con la Z4... quello sì che è un sogno. Proprio come lei, come

Francesca, che saluta il portiere.

"Buonasera, Pino, la diciotto per favore."

"Certo, buonasera signori." Il portiere non fa in tempo a dirlo.

Francesca gli ruba le chiavi dalle mani e spinge Claudio

nell'ascensore.


"Dobbiamo stare attenti..."

Francesca ride e lo zittisce baciandolo, non lo vuole sentire.

"Shht... zitto!"

Ma non può immaginare cosa sta pensando Claudio. Ma scusa,

eravamo già stati in macchina, potevamo andare a prenderci

semplicemente un gelato o una birra o anche un prosecco, che ne

so, e l'ansia da prestazione, poi? Scusa, eh? Claudio sente che

sta

tornando. Cerca di allontanarla.

"Francesca..."

"Sì, tesoro?"

"Mi raccomando, non parlarne mai a nessuno, eh? Neanche alle

persone che pensi non possano mai incontrarmi."

"Ma di cosa?"

"Di noi."

"Noi chi? Non so di chi parli. " E ride e lo bacia di nuovo.

"Vieni,

siamo arrivati." E lo trascina nel corridoio e Claudio quasi

inciampa

e la segue e alla fine si lascia andare scuotendo la testa. Ma

mentre cammina le guarda il sedere. È un tutto "brasileiro". Sodo,

forte, allegro, vivace, ballerino, pazzo... altro che ansia da

prestazione!

Questa è voglia di mareggiata, di cavalcare le onde, di fare

surf, perso in quel mare brasiliano... Un ultimo barlume.

"No, sai, è che mia moglie ha scoperto il fatto che ho comprato

una stecca da biliardo."

"Embe'?"

"Io ho subito detto che era un regalo per una persona che

conosco..."


"Bravo, vedi? Ma ti pare che poi si ricorda di quella sera che

hai giocato a biliardo e ci siamo conosciuti? Ne è passato di

tempo,

che ne può sapere? E poi quel posto è stato chiuso, per questo

ora sto sulla Casilina!"

"No. Non hai capito. Non è che lei sa, lei indovina! "

"Voglio proprio vedere se indovina cosa sto per farti..." e così

dicendo apre la porta, spinge dentro Claudio e chiude la diciotto

alle sue spalle. Claudio finisce sul letto e lei gli salta sopra,

padrona,

selvaggia, oltre la luna e le sue maree. Claudio dimentica ogni

preoccupazione, anche dove si trova. La lascia fare. Poi ha

un'unica

certezza. No, questo non l'avrebbe indovinato mai nessuno.

Neanche sua moglie.

Capitolo 46.

"Allora, entriamo?"

"Certo, perché no?"

"Ma mi sa che non ci fanno passare. Guarda, hanno una lista."

"Ma io qui al Follia li conosco."

"Che palle, ma tu conosci tutti."

"Va be', se proprio ti fa piacere ci mettiamo in fila e paghiamo.

Tanto è il conto di mio fratello."

"Poveraccio. Anche se è ricco, non dilapidare il suo patrimonio.


Una ragazza esce spintonata da dietro. I due buttafuori sulla

porta fanno appena in tempo a levare la catena. Una specie di

energumeno

dai capelli lunghi esce dietro di lei e le dà un'altra spinta.

"E muoviti, che hai rotto il cazzo!"

La ragazza prova a dire qualcosa, ma non fa in tempo. Un'altra

spinta spezza al volo le sue parole e si ritrova sul cofano di una

macchina posteggiata. Il tipo sudato con i capelli unti le mette

la

mano sulla faccia.

"Allora? T'ho visto che guardavi quello biondo."

Gin non riesce a parlare, guarda incredula la vicenda.

Il toro scatenato chiude la mano trasformandola in un pugno pieno

di rabbia e di violenza, digrigna i denti, ha la faccia da pazzo.

"Te l'ho detto mille volte, porca troia!"

E senza pietà la colpisce in pieno petto.

La ragazza si piega in due e si porta le braccia al volto

coprendosi

impaurita. Gin non si trattiene ed esplode, sembra fuori di sé.

"Oh, ma basta... Falla finita."

Il tipo si gira verso di noi, stringe gli occhi e mette a fuoco

Gin

che lo guarda spavalda.

"E te, che cazzo vuoi?"

"Che la lasci perdere. Vigliacco schifoso! "

Fa un passo verso di lei, ma non gliene lascio il tempo, la tiro

per un braccio portandola dietro di me.

"Ehi, calma. Le dà fastidio la tua scena. È chiaro?"

"E'sticazzi!"

Rimango per un attimo in silenzio, provo a contare, non voglio

partire. La prima vera uscita con Gin... Non mi sembra proprio il

caso.

Il tipo: "Allora?". v

Allarga le gambe. È pronto a litigare. Che palle... I due

buttafuori

si mettono in mezzo.

"Calma, è tutto sotto controllo."

Sembrano preoccupati. Strano. Non mi conoscono. Forse conoscono

il tipo. È bello grosso, piazzato, tosto. Devono temere lui.

Ma è nervoso, rabbioso, cattivo. Non sembra lucido. La rabbia a

volte offusca e fa perdere la calma, la freddezza. La cosa più

importante.

Grosso è grosso comunque.

"Calma, Giorgio. Non t'ha detto niente di male. Stai litigando

con la tua ragazza qui davanti a tutti e può capitare che

qualcuno..."


Lo conoscono. Questo non va bene.

"Non è che può capitare, deve capitare! Sta massacrando quella

poveraccia."

Gin non riesce proprio a star zitta. E questo è ancora peggio.

Non solo. Continua.

"Bravo, ti credi figo? Pensa che invece sei solo un coglione."

I due buttafuori impallidiscono. Mi guardano con una faccia

come a dire "E mo', come cazzo la mettiamo?". Il toro sembra non

aver sentito. E attonito, privo di parole, scuote la testa

rintronato,

come se quelle parole fossero state un tir in pieno viso, un

mantello

rosso aperto all'improvviso in piena arena. La ragazza alle sue

spalle si massaggia il petto, piange e tira su con il naso. Sembra

non

riuscire a respirare bene, il suo petto fa su e giù con uno strano

asincronismo in quel grande silenzio che si è creato.

"Ehi, cazzo Step, che succede? Forza, vieni dentro. Eri sparito

eh? Raccontami..."

Mi giro, è il Ballerino. Lui sta da sempre qui al Follia, non si è

mai allontanato, lui.

"Ma da quanto sei tornato?"

"Be', sarà un mesetto..."

"E non ti sei neanche fatto sentire! Che stronzo! Dai, vieni

dentro

dai che c'è una festa, stiamo tagliando una torta buonissima, alla

mimosa. Dai. Te ne freghi un bel pezzo per te e la tua signora. È

bona, dolce e in più non paghi, no?"

"Ma che la mia signora?"

"No, la torta."

Ride e comincia a tossire. Che le mille sigarette spente e

assopite

giù nei suoi polmoni si siano divertite anche loro come pazze

a quella battuta così scema?

Faccio per girarmi ed entrare, seguito da Gin, dai due buttafuori.

Ma in realtà è come se guardassi ancora indietro. È come se

i miei occhi non lo perdessero mai di vista. Ho le orecchie tese,

i

sensi svegli, in guardia. Infatti. Non mi ero sbagliato. Tre passi

veloci

alle mie spalle, uno scalpiccio strano e d'istinto mi piego in

avanti girandomi su me stesso. Ecco che arriva come una furia. Il

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