toro scatenato batte via di spalla i due buttafuori e fa per
avventarsi
su di me, ma io mi porto di lato. Lo colpisco di striscio, di
sinistro
e il tipo finisce contro il muro. Poi urla e velocissimo si
rigira.
Ha la faccia segnata dalla polvere di muro giallo misto alle
escoriazioni
della strusciata. Un po' di sangue comincia a colargli dall'occhio
sinistro, da sopra il sopracciglio. Sta per ripartire. Ma questo
non se l'aspetta. Scatto in avanti colpendolo di destro,
velocissimo
anche perché è enorme, non potrei fare altro. Lo centro in
pieno viso, naso e bocca. Si porta le mani in faccia. Non perdo
tempo,
gli assesto un calcio nei coglioni meglio di tutti i lanci che io
abbia mai fatto in una partita di football. Bum. Si accascia come
se
niente fosse e d'istinto lo colpisco appena tocca terra. In
faccia. Un
calcio dritto, sordo, definitivo. Ma il tipo è duro. Potrebbe
riprendersi.
Allora faccio per caricare di nuovo...
"E basta Step, che cazzo te ne frega?" Il Ballerino mi tira per
la giacca. "Vieni a mangiarti la torta prima che se la finiscano."
Mi riaggiusto il giubbotto e faccio due respiri lunghi. Sì, è
meglio
basta. Ma che cazzo m'ha preso? Ma che me ne frega poi di
questo boro.
Eccola, la ritrovo dopo un attimo. È lì che mi guarda in silenzio.
Gin. Ha uno sguardo... Non so definirlo. Forse non sa che pensare.
Le sorrido cercando di rompere quel ghiaccio.
"Ti va un po' di torta?"
Annuisce senza rispondere. Le sorrido. Vorrei dimenticasse che
c'è gente così... Ma Gin crede ancora in tante cose. E capisco che
è difficile. Allora la scuoto, l'abbraccio, la spingo. "E dai..."
E finalmente sorride. Poi la faccio passare avanti. Le tengo la
mano, in maniera elegante, forse un po' stonata dopo tutto quello
che è successo, e l'aiuto a scavalcare il tipo rimasto a terra.
Capitolo 47.
Raffaella posteggia la macchina nel cortile del palazzo. Il loro
garage
è aperto. Claudio non è ancora tornato. Guarda l'orologio. È
mezzanotte. Vuol dire che la partita di biliardo è andata per le
lunghe...
be', se questo porta lavoro, allora è un bene. Chiude la macchina
e guarda in alto. La luce della stanza di Babi è ancora accesa.
Raffaella va verso il portone. Non sa com'è, ma in questo periodo
non riesce mai a essere del tutto serena. Forse ha troppi
pensieri. Alfredo
è ancora nascosto in giardino, dietro una pianta. Vedendola,
fa un passo indietro, si infratta nel verde, nel buio del parco.
Raffaella
sente il crack di un pezzetto di legno. Si gira di botto.
"C'è qualcuno?"
Alfredo smette quasi di respirare. Sta come immobile, paralizzato.
Raffaella cerca frenetica le chiavi nella borsa, le trova, apre il
portone e lo chiude veloce alle sue spalle. Alfredo si rilassa. Fa
un
sospiro e comincia a respirare di nuovo. No, così non può andare
avanti. Ma se quella notizia è vera, niente può più andare avanti.
"Babi, ci sei?" Raffaella vede la porta socchiusa con un po' di
luce che esce dalla camera. "Posso?"
Babi è sul letto. Sta sfogliando delle riviste.
"Ciao mamma. Scusa, non ti avevo sentito. Guarda, sto scegliendo
questi, ti piacciono?" Le fa vedere alcune foto.
"Molto. Mi sono presa uno spavento. Ho sentito un rumore nel
boschetto vicino al portone e m'è preso un colpo."
"Ah, non ti preoccupare. È Alfredo."
"Alfredo?!"
"Sì, sono due giorni che si nasconde di notte là dietro."
"Ma non può fare così, terrorizza la gente. E poi la settimana
prossima io ho una cena qui a casa. Molti lo conoscono, se lo
vedono
così, cosa penseranno?"
"Ma che t'importa." Ma vedendo che Raffaella resta della sua
idea, Babi continua. "Va bene. Se fa così anche la prossima
settimana,
vuol dire che ci parlo. Ok, mamma?" Le mette davanti un
altro giornale. "Allora guarda, ho deciso e mi ha aiutato anche
Smeralda.
Prendiamo questi: spiga e grano che portano pure bene, ok? "
"Sì, ma..."
"No, mamma. Sei uscita e te ne sei andata a giocare, lo so. Basta,
abbiamo deciso, no? Sennò qui non si va mai avanti. Ti giuro,
io sto troppo male, mi sembra ancora tutto per aria, per
favore..."
Raffaella la guarda e sorride.
"Va bene Babi, mi sembrano perfetti." La vede rilassarsi, più
tranquilla.
"Sul serio?"
"Sì, sul serio."
"Non è che me lo stai dicendo solo per farmi contenta?"
"No, davvero, questi sono i più belli."
Babi torna raggiante. Raffaella decide di farsi un regalo anche
lei.
"Senti Babi, ti volevo chiedere una cosa."
"Sì, dimmi."
"Ti ricordi quella volta che papà si doveva vedere con Step, che
doveva dirgli di lasciarti perdere?"
"Mamma, ma ancora stai pensando a quella storia? Sono passati
più di due anni, stiamo decidendo una cosa importantissima e
tu ci pensi ancora?"
"Lo so, lo so, ma non è che ci penso, è solo una curiosità. Ecco,
non è che ti ricordi se quella sera, per caso, hanno giocato a
biliardo?"
"Sì, certo che me lo ricordo e hanno pure vinto! 200 euro mi
sembra."
"E con chi stavano?"
"Come con chi stavano?
Babi squadra la madre. Vede che è strana, assorta. Babi sorride
scuotendo la testa.
"Mamma, ma ti pare che alla tua età ti fissi e fai la gelosa... ma
dai, mamma!"
"Scusa, hai ragione. È che ha comprato una stecca da biliardo
proprio qualche tempo fa. Però sembra che l'abbia regalata a
qualcuno."
"E allora, scusa, che male c'è? E poi quel posto dove hanno
giocato credo l'abbiano anche chiuso!"
Raffaella a questa notizia si tranquillizza del tutto.
"Va bene, hai ragione. Allora, fammi vedere le altre cose belle
che hai scelto." Apre il giornale. Babi le indica le sue
preferite.
"Allora, queste mi piacciono moltissimo, ma mi sa che costano
tanto."
Proprio in quel momento compare Daniela sulla porta.
"Mamma, ti devo parlare."
"Oddio, non t'avevo sentito, m'hai fatto prendere uno spavento.
Ma che stasera ce l'avete tutti con me! Comunque ora no Daniela,
che stiamo decidendo delle cose importanti. "
"La mia è molto più importante credo. Sono incinta! "
"Cosa?" Raffaella si alza dal letto, seguita da Babi. "È uno
scherzo?!"
"No. È così."
Raffaella si mette le mani nei capelli, passeggia su e giù per la
stanza. Babi si lascia cadere sul letto.
"Proprio adesso..."
Daniela la guarda senza parole.
"Eh, proprio adesso, proprio adesso... ma sentila. Scusami se
ho scelto proprio questo momento ! "
Raffaella si avvicina e la scuote.
"Ma com'è possibile? Non sapevo neanche che uscissi fissa con
un ragazzo!" Poi capisce che la sta trattando troppo duramente.
Allora lascia cadere le braccia lungo i fianchi e le fa una
carezza.
"Mi hai colto alla sprovvista. Ma chi è lui?"
Daniela guarda la madre, poi Babi. Tutte e due aspettano la sua
risposta. Anche loro hanno la bocca semiaperta in questa attesa
spasmodica, esattamente come Giuli. Ma loro la prenderanno meglio.
Sono sicura. Almeno mia madre. Della sua reazione Giuli rimarrà
sorpresa. Lo so.
"Ecco mamma, vedi... c'è un piccolo problema... cioè, per me
non è un problema poi, eh, spero che non lo sia neanche per voi."
Proprio in quel momento, sul pianerottolo di casa, è arrivato
Claudio. Ha visto la macchina di Raffaella e quella di Babi
posteggiate,
e perfino la Vespa. Sono tutti a casa. Dovrebbero già stare
dormendo. E la sua serata è stata perfetta... di più. Altro che lo
Spaccone o lo Scuro di Nuti. È stata la partita di biliardo più
bella
della sua vita. Ma non fa in tempo a finire di pensarlo che un
grido
frantuma la sua serata. Un urlo nella notte, una sirena, un
allarme.
Peggio. Lo strillo di Raffaella. Claudio passa in rassegna ogni
possibilità: hanno chiamato dall'albergo perché abbiamo fatto
troppo
casino, ci ha visti una sua amica che la odia e le ha spifferato
tutto,
c'ha messo dietro un detective da quattro soldi che le ha appena
consegnato delle foto. Ma non gli viene in mente niente se non
scappare. Troppo tardi. Raffaella lo vede.
"Claudio, vieni subito qua, vieni qua! " Raffaella continua a
urlare
come una forsennata. "Vieni subito a sentire cosa è successo! "
Claudio non sa più che fare. Ubbidisce, totalmente assoggettato
a quell'urlare che sbriciola ogni sua possibile reazione, ogni
sua certezza o tentativo di difesa.
"Allora, vuoi sentire cos'è successo? Daniela è incinta!"
Claudio tira un sospiro di sollievo. La guarda. Daniela è in
silenzio.
Ha gli occhi abbassati. Ma Raffaella non si ferma lì.
"Aspetta eh, aspetta! Mica è finita qui! Vuoi sentirla tutta? È
incinta e non sa di chi! "
Daniela a quel punto alza gli occhi e guarda Claudio, implorando
un qualsiasi tipo di perdono, un po' d'amore, una solidarietà
di qualunque genere. Poi c'è Babi, che guarda schifata la sorella
pensando che abbia deliberatamente deciso di rovinare il suo
momento.
E dall'altra parte della stanza c'è Raffaella. Anche lei si
aspetta
qualcosa da Claudio. Uno schiaffo, un urlo, una qualsiasi
reazione.
Ma Claudio è completamente svuotato. Non sa che dire, che
pensare. In parte è sollevato. Per un attimo ha temuto di essere
scoperto.
Allora decide di uscirsene così, anche se è sicuro che la pagherà
per molti anni.
"Io vado a dormire. Scusate, ma ho anche perso a biliardo."
Capitolo 48.
Musica. Prima sala. Gente che entra, gente che esce, gente che
scherza, gente che beve, gente che ride. Ragazzi che cercano di
farsi
sentire, donne che ascoltano e ogni tanto una risata. Gente
immobile,
gente che guarda, gente che spera, gente che chissà cosa pensa.
Seconda sala.
Uno strano dj, troppo normale per esserlo veramente, mette
della bella musica. Ballano tutti ed è difficile farsi strada.
Qualche
esibizionista si è portato su un terrazzino. Su qualche altra
sporgenza,
abbandonata a caso da chissà quale architetto, ballano delle
ragazze. Una cubista spogliata. Una donna marinaio. Una solo
vestita di reti. Una ragazza militare. Belle. Almeno così
sembrano.
Musica e luci a volte però giocano brutti scherzi. Il Ballerino si
fa
strada, spinge, in modo gentile, altri ballerini meno muscolosi di
lui ma forse più ritmati. Piano piano avanziamo in questa specie
di trincea umana.
Terza sala. La sala Vip.
Un tipo con la benda sull'occhio e dall'aria potente canta a più
non posso, ultimo baluardo di quell'ipotetica band alle sue
spalle.
Non canta male.
Qualche Vip sufficientemente sconosciuto siede su un divano
nella sala Vip ricavata da un mezzo soppalco. Un tipo all'entrata
di
questo piccolo ring controlla che nessuno entri in quell'eden
privato.
O forse che quei pochi Vip entrati non se ne vadano prima
di una certa ora. Il Ballerino ci porta due fette di torta.
"Adesso Walter vi dà un tavolino e due bicchieri di champagne.
Oh, scusa Step, ma io devo tornare all'entrata."
Mi fa l'occhiolino e sorride. È migliorato, però. Non me lo
ricordavo
anche con questa strana ironia.
Rimaniamo così in mezzo alla sala, con quelle due fette di torta
in mano. Gin con la forchetta di plastica, in uno strano
equilibrio,
prova a piluccarne un po'.
"Che c'è, sei arrabbiata?"
Mi sorride.
"No, che c'entra. Quello era proprio uno stronzo. Lo avrei fatto
anch'io se avessi potuto. Magari con meno violenza."
La guardo e divento serio. Mi fa tenerezza. Cerco di essere
gentile.
"A volte non puoi scegliere. Allora è meglio abbozzare, fare finta
di niente. Ma nel mio caso sei tu che hai scelto..."
"E non ho fatto bene?"
"Certo. Comincio a conoscerti. So solo che se esco con te devo
essere in forma. "
"Secondo te gli servirà di lezione?"
"Non credo, ma non potevo fare altrimenti. Magari era pieno
di coca. Con i tipi così non puoi parlare. O lui o io. Con chi la
volevi
mangiare questa torta?"
Prende veloce un altro pezzo di torta. "E buona." Mi sorride
mangiandola di gusto. Ha la bocca piena e riesce appena a farsi
capire.
"La voglio mangiare con te..."
Arriva Walter, un tipo sui quarant'anni dalla camicia bianca con
qualche fronzolo. Sembra uscito dal Settecento francese.
"Questi sono per voi."
E lascia su un tavolino due calici di champagne. Poso la torta.
Mi finisco il mio. Anche Gin beve il suo tutto d'un fiato. Ne
prendiamo
un altro al volo da una ragazza che passa con un vassoio.
Gin fa quasi cadere il suo, ma riesco ad afferrarlo. Sono un po'
ubriaco ma ancora lucido.
"Vieni, andiamo."
La prendo per mano e la porto verso l'uscita di sicurezza. In
un attimo siamo per la strada. Vento notturno, vento leggero,
vento
di ottobre. Qualche foglia per terra o poco più. Mi guardo in
giro.
Poco lontano c'è l'entrata del Follia, il tipo è ancora steso per
terra. Ora è poggiato sui gomiti, mentre la sua ragazza è lì
davanti
che lo fissa con le braccia sui fianchi a mo' di anfora. Chissà
cosa
pensa. Magari sotto sotto è soddisfatta che qualcuno l'abbia
conciato
così. Certo non glielo può far vedere. Magari le cose fra i due
cambieranno. Magari, sì, magari... E difficile. Ma non me ne frega
più di tanto. L'ha scelto lei mica io.
"Ehi, si può sapere a cosa stai pensando? Non mi dire che ti
stai ancora beando di come hai ridotto il tipo. È stato solo
sfigato,
l'hai detto tu. Lui o te. Questione di attimi. E lui è partito
dopo.
L'hai preso alla sprovvista. In un incontro normale non so come
sarebbe
finita."
"Io non so come finisci tu se non la smetti. Monta in macchina,
va .
"E ora dove mi porti? Abbiamo preso anche il dolce, e pure a
sbafo. "
"Manca la ciliegina."
"Cioè?"
"Cioè tu."
Alzo la musica in maniera che Gin non possa rispondere, la
metto al massimo e ho culo. "Un'altra come te ma neanche se
l'invento
c'è... Mi sembra chiaro che..." Gin sorride scuotendo la testa.
Riesco a prenderle la mano e portarmela alla bocca. La bacio
dolcemente. E morbida, è fresca, è profumata. Vive di una vita
tutta
sua, malgrado tutto quello che ha toccato. E la bacio ancora. Solo
labbra. Tra le sue dita. Frugando, strusciando, slittando, senza
frenare, lasciandomi andare, cadendo. Le vedo chiudere gli occhi,
lasciare andare la testa all'indietro sullo schienale. Ora,
perfino i
capelli sono ormai abbandonati. Le giro la mano e le bacio il
palmo.
Mi stringe il viso dolcemente, mentre respiro tra le sue linee...
La vita, la fortuna, l'amore. Respiro piano piano senza far
rumore.
Lei d'improvviso apre gli occhi e mi guarda. Sembrano diversi,
come
cristallini, appena appannati da un velo leggero. Felicità? Non
so. Mi sbirciano nella penombra. Sembrano sorridere anche loro.
"Guarda la strada..."
Mi rimprovera. Io ubbidisco e poco dopo giro a destra, giù,
lungo il fiume, Lungotevere, tra le macchine, fra gli altri,
veloce,
con la musica e la sua mano nella mia, che si muove ogni tanto,
ballerina, invitata a chissà quale danza. Cosa starà pensando? E
se
ha indovinato, quale sarà la sua risposta? Sì, no... E come una
partita
di poker. E lei è lì davanti a me, la guardo un attimo. I suoi
occhi,
leggermente abbassati, mi sorridono da sotto, dolci e divertiti.
Non c'è che andare al piatto, perché tiri giù le carte. Sarà un
sì... sarà un no... è troppo presto? Non è mai troppo presto. Non
c'è tempo per queste cose e poi non è una partita a poker, non c'è
piatto. Ma... Magari sono servito? Che bello essere una
"davanzalina" come lei. Una piccola donna al davanzale, è lì che
mi guarda,
pensa, ragiona, si diverte. Ride di quel giovane uomo che cammina
sotto il suo terrazzo, che non sa che fare, se far finta di
niente,
semplicemente sorridere o chiedere l'aiuto di una treccia... Per
salire... Beata te che puoi aspettare le mie mosse.
"Mi gira un po'la testa."
Mi sorride mentre lo dice. È una piccola giustificazione se per
caso accadesse qualcosa? O è una grande giustificazione se già sa
che accade qualcosa. Oppure le gira semplicemente la testa e me
lo voleva dire. Semplicemente. Ma cosa c'è di semplice? Nulla che
valga... Chi l'aveva detta questa? Non mi ricordo. Mi sto
intortando,
giri complessi e complicati, ragionamenti estremi per vedere le
effettive possibilità. Che percentuali ho di riuscita? Basta,
cazzo...
Non mi piace ragionare su tutto questo.
"Gira anche a me."
È la mia semplice risposta. Semplicemente. Gin mi stringe un
po' più forte la mano e io, stupidamente, ci vedo un segno. O
forse
no. Che palle. Ho bevuto troppo.
Aventino.
Una curva e su per la salita. Questa macchina va che è una
meraviglia.
Mio fratello sarà felice che gliel'ho ritrovata. Mi viene da
ridere. Lei mi guarda, mi giro e me n'accorgo.
"Che c'è? A che pensi?"
Gin, dalle sopracciglia un po' abbassate, Gin dallo sguardo un
po' aggrottato, Gin preoccupata.
"Niente, questioni familiari."
Gianicolo. Orto botanico. Mi fermo al volo, tiro il freno a mano
e scendo.
"Ehi, ma dove vai?"
"Niente... non ti preoccupare, torno subito."
Chiude la portiera stendendosi dalla parte mia e si chiude dentro.
Gin serena. Gin sicura. Gin previdente. Mi guardo in giro.
Niente. Perfetto, non c'è nessuno. Uno, due e... tre. Scavalco il
cancello
e sono dentro. Cammino in silenzio. Profumi leggeri, profumi
più forti, un poco pungenti. Future colonie non ancora esistenti.
Distillati in boccetta, essenze costose. Ecco. Ecco la mia preda.
La
scelgo d'istinto, la prendo con cura, la stacco con forza ma senza
maltrattarla. Un desiderio che ho sempre avuto e ora... Ora sei
mia.
Uno, due, tre passi e sono di nuovo fuori. Mi guardo in giro.
Niente.
Perfetto, non c'è nessuno. Torno alla macchina. Gin mi vede
all'improvviso.
Si spaventa. Poi mi apre.
"Ma dove sei andato? Mi hai fatto paura."
Allora apro il giubbotto, scoprendola. Come uno spinnaker che
prende vento all'improvviso in mare aperto. E in un attimo tutto
il
suo profumo inonda la macchina. Un'orchidea selvaggia. Compare
così, tra le mie mani, con un semplice gesto, più di un
prestigiatore
che di un ladro imbranato.
"Per te. Da fiore a fiore, direttamente dall'Orto botanico."
Gin la annusa, si tuffa al centro dell'orchidea selvaggia per
respirarne
il profumo più intenso. Lei, giovane donna in apnea, appare
di nuovo tra quei grandi petali. Mi ricorda un cartone. Bambi,
ecco sì, Bambi. Quegli occhi grandi, lucidi, emozionati che
compaiono
dietro quei petali delicati di un fiore. Quegli occhi spaventati
e incerti su un futuro prossimo. Non uno qualunque, il suo.
Prima, seconda, terza, siamo di nuovo in viaggio. Piccole curve
e su per una salita. Schivo una transenna che ci obbligherebbe
a fermarci e posteggio poco più su. Campidoglio.
"Vieni!"
La faccio scendere dalla macchina e lei come rapita mi segue.
"Ma guarda che..."
"Shh! Parla a bassa voce, qui ci vivono."
"Sì, va bene. Ma volevo dirti... Guarda che di sera qui non
sposano.
E poi non ne abbiamo ancora parlato. Ma io voglio la favola,
te l'ho detto."
"Cioè?"
"Abito bianco, un po' scollato, fiori misti al grano e una bella
chiesa nel verde anzi no, in riva al mare."
Ride.
"Lo vedi che sei ancora indecisa?"
"Perché?"
"Nel verde o al mare?"
"Ah, pensavo che dicevi che ero indecisa se sposarti o meno."
"No, per quello sei decisissima. Faresti carte false."
La tiro a me e provo a baciarla.
"Presuntuoso e poco romantico."
"Perché poco romantico?"
"Non si fanno richieste indirette. Ah ah! " Finge di ridere e mi
scappa dalle braccia, come un pesce salta fuori dalla mia rete e
corre
via veloce, svoltando dietro l'angolo. Le sono dietro. È un
attimo.
Siamo nella piazza grande del Campidoglio. Luce più alta. Una
statua centrale con attaccato un cartello. Naturalmente stanno
facendo
dei lavori. Ci fermiamo vicini ma divisi. Sembra tutto bellissimo,
soprattutto lei. Fa capolino da dietro la statua.
"Allora che fai? Non ce la fai già più?"
Fingo di partire, e lei scappa dietro la statua. Corro dall'altra
parte e pum, la prendo al volo. Lei strilla.
"No... no dai!"
La sollevo e me la porto via. Tipo ratto delle Sabine o giù di lì.
Via dalla luce, via dal centro. Finiamo sotto il colonnato, nella
penombra.
Le faccio ritoccare terra e lei si sistema il giubbotto coprendosi
la pancia, morbida e compatta, appena scoperta. Le prendo
i capelli e le scopro il viso leggermente arrossato, per la corsa
appena fatta, per qualche imbarazzo segreto o chissà che. Il suo
petto va su e giù veloce, poi piano piano rallenta.
"Ti batte forte il cuore, eh?"
La mia mano sul suo fianco. Sotto il giubbotto, sotto la
maglietta,
leggera, quasi come un semplice brivido, sulla sua stessa
pelle. Lei chiude gli occhi e io piano piano salgo, sul bordo, sui
suoi
fianchi, su, dietro la schiena. Apro la mano e la tiro a me,
stringendola,
spingendola verso il mio corpo, baciandola. Alle nostre
spalle una colonna più bassa delle altre, dal diametro più largo.
Lì,
dolcemente, la spingo, lasciandola scendere giù, piano piano. E
lei
si lascia andare. I suoi capelli, la sua schiena persi su quella
base
così antica, corrosa dal tempo, dalle venature sbiadite, dal marmo
poroso ormai quasi stanco, e sì che ne avrà viste di cose... Si
tiene
stretta ai miei fianchi con le sue gambe, stringendomi in una
morsa
leggera, facendole dondolare a destra e sinistra. E io mi lascio
portare. Mentre le mie mani naufragano tranquille lungo la sua
cintura,
i pantaloni, i suoi bottoni. Senza fretta, senza... Senza liberare
niente. Senza troppa voglia. Per adesso. Poi all'improvviso Gin
si gira verso sinistra e apre gli occhi, sgranandoli.
"C'è qualcosa lì!"
Spaventata, determinata, forse un po' seccata. Guardo meglio
nell'ombra ancora intontito dalla leggera sbronza d'amore.
"Non è niente. È un barbone..."
"E dici niente? Ma tu sei pazzo."
Si tira su decisa. E io che non ho sentito niente, e soprattutto
non ho voglia di litigare, la prendo per mano. L'aiuto. Scappiamo
così, lasciando quella mezza colonna antica e quella figura più o
meno presente, dimenticati nell'ombra. Come in un labirinto
procediamo
tra il verde nascosto e le luci più o meno soffuse dei Fori
romani. Sotto di noi, in lontananza, antiche colonne e travi e
monumenti.
Un viottolo si inerpica su dalla piazza del Campidoglio.
Terrazze sbalzate con piccoli parapetti, della ghiaia per terra,
del
verde curato, dei cespugli selvaggi. Tutt'intorno più sotto,
un'altezza.
"Tarpea."
Così, sospesi nel vuoto di quelle rovine, sotto un muretto, in
un cono d'ombra perfettamente protetta, una panchina nascosta.
Gin ora più tranquilla si guarda in giro.
"Qui non ci può vedere nessuno."
"Mi vedi tu."
"Ma se vuoi chiudo gli occhi."
Non dice no, non dice sì. Non dice. Ma respira vicino al mio
orecchio mentre si lascia spogliare. Via il giubbotto, via la
maglietta,
scomposti cadono dalla panchina, in un'ombra ancora più
scura. Via le scarpe, via i pantaloni. Ognuno toglie qualcosa
all'altro.
Poi ci fermiamo. È davanti a me, si copre il seno abbracciandosi
da sola con le mani incrociate sulle spalle, orlata tra i capelli
dalla luce della luna, coperta più giù solo dalle sue mutandine.
Non ci posso credere. Lei, Gin. Quella Gin che mi voleva
fregare 20 euro.
"Ehi, che fai, mi guardi?"
"Non mi hai detto di no. E poi ti sbagli, ho gli occhi chiusi."
Da qualche parte, da un locale o da una finestra lasciata aperta,
note di uno stereo in lontananza. "Won't you stop me, stop me,
stop me..." No. Non vuoi, Gin. Lo sanno anche i Planet Funk.
"Come sei bugiardo."
E allarga le braccia lasciandosi guardare, sorridendo. Poi mi si
avvicina, ha le gambe semiaperte. Rimane così a fissarmi.
"Senti..."
"Shh... non diciamo nulla."
La bacio e piano piano le sfilo le mutandine.
"No, ho voglia di parlare. Primo hai... sì, insomma... quello che
serve?"
"Ce l'ho..." rido. "Ce l'ho."
"Ecco, lo sapevo, lo porti in tasca o nel portafoglio? O l'hai
comprato prima di venirmi a prendere? Perché magari tu eri già
sicuro
che andava così! Be', se vuoi non lo mettiamo..."
"Di' la verità, vorresti avere subito un bel bambino, bello come
me, intelligente come me, forte come me?"
"Ma scusa di me non ha niente?"
"Va bene... E con qualche difetto come te."
"Quanto sei scemo. No, a parte gli scherzi ce l'hai o no... il
coso!?"
"Calma, calma, veramente prima non ce l'avevo..."
"Sì, e ora invece ce l'hai, e chi te l'ha dato? Il barbone?"
"No, il Ballerino, il mio amico del Follia. Si è avvicinato e me
l'ha infilato in tasca e mi ha detto..."
"Che ti ha detto?"
"In bocca al lupo... E veramente carina, ma non credo ce la farai.
"
"Quanto sei bugiardo..."
"Ma è vero! Be', non ha usato proprio queste parole, ma il
significato
voleva essere un po' questo, più o meno."
"E poi un'altra cosa..."
"No, ora basta parlare..."
La tiro a me. Le bacio il collo, lancia i capelli indietro e io
piccolo
vampiro continuo a succhiarla assaporando lei, il suo profumo,
il suo respiro. La mia mano sembra andare da sola, sui suoi
fianchi, sulla sua vita, tra le sue gambe, nella vita che sarà. La
sento
sospirare piano, poi leggermente più veloce, mentre si agita tra
le mie braccia quasi ballando, dolcemente, su e giù, senza
pensieri,
senza falsi pudori, sorridendo, aprendo gli occhi, guardandomi,
con una tranquillità e una serenità che mi mettono in imbarazzo.
E come se non bastasse mentre muovo la mano per prendere la nostra
sicurezza...
"Lascia, voglio farlo io."
"Ma guarda che sono io che devo indossarlo."
"Lo so... cretino. Vuoi sapere quanti ne ho infilati? Aspetta,
fammi pensare..."
"Non lo voglio sapere."
"Questo è il sedicesimo che infilo."
"Ah... Meno male."
"Perché?"
"Be', se era il diciassettesimo mi preoccupavo, porta sfiga! "
Non mi dà soddisfazione però mi fa divertire. Lo sbuccia come
se fosse una caramella, prova con le unghie ma non ci riesce, se
lo porta in bocca e questa volta lo fa con malizia.
"Stai tranquillo... non lo mangio."
Uno strappo deciso ed è lì tra le sue mani. Lo gira e lo rigira
sorridendo.
"È buffo..." È tutto ciò che dice. Poi muove la testa verso di
me.
"E allora?"
Nudo allargo le gambe e lì mi accarezza piano piano, su e giù...
poi me lo infila tranquilla.
"Sono brava?"
"Troppo!"
Ma non dico altro. Ora astronauta perfetto di questo viaggio
tra congiunzioni astrali sotto un cielo stellato, sopra una donna
incantata,
tra rovine del passato, nel piacere del presente.
Galassia. Interspazio. Natura. Profumi. Niente di selvaggio...
Un po' di resistenza, forse troppa... È strano. Vado avanti mentre
lei chiude gli occhi.
"È fredda la panchina."
Ma si lascia andare stendendo del tutto la schiena. Alza un po'
le gambe aiutandomi.
"Ahi..."
"Ti faccio male?"
"No, non ti preoccupare..."
Non ti preoccupare... Non ci posso credere, non ci posso credere,
io, Gin, lo sto facendo... Rimango in silenzio, sospesa, quasi
ascoltando la mia vita che scorre su di me, sotto di me, dentro
di me. In questo momento decisivo, così importante per la mia
vita,
unico, per sempre. Non lo potrò più cancellare. La mia prima
volta. Ed ho scelto te. Ed ho scelto te. Sembra quasi quella
canzone...
Ma non lo è. È realtà. Sono qui, io, in questo momento. E
Step. Lo vedo, lo sento. È sopra di me. Lo abbraccio, lo stringo,
lo stringo forte, più forte. Ho paura, come tutte le volte che si
fa
qualcosa che non si conosce. Ma è una paura normale, più che
normale... O no? Porca trota Gin, non ti far prendere adesso da
tutte le tue fisse, dai film che ti fai, da tutto insomma... Porca
miseria,
Gin, ma che mi combini? Gin la saggia e Gin la ribelle... Dove
siete? Niente, sono andate a farsi fottere... Ma come? Pure loro!
Che battuta... la odio, oddio, no, era per sfatare... Ho paura,
aiuto. Chiudo gli occhi, respiro, sospiro, comunque mi piace. Sono
appoggiata al suo collo, alla sua spalla, non più tesa, non più
preoccupata... In silenzio, così, portata, abbandonata,
naufragata...
E mi piace. Lo sento. Sento le sue mani, sento che mi tocca
tutta, che mi sfila via anche l'ultima cosa di dosso, dolcemente,
sì,
quasi non me ne accorgo... E ora che fa? No, aiuto... Si sta
infilando.
Oddio, che parola, non ci voglio pensare. Non voglio essere
qui a ragionare, a vedermi da fuori, a controllarmi, a sdoppiarmi,
ad avere questa mente che continua a parlare, a dirne... Oh,
ma che vuoi... E basta, e mollami... No! Voglio lasciarmi andare.
Nella culla del suo amore, in questo mare, nel desiderio,
lentamente
lasciarmi portare, dalle sue correnti. Persa. Sì, senza più
pensieri. Perdermi così tra le sue braccia... Ora. Ecco.
La sento ancora tesa, no, ecco, si sta lasciando andare... Un
ultimo
movimento seguendo a tempo una musica che non c'è, ma ancora
più bella forse per questo. Cuori e sospiri...
Un improvviso silenzio. Oddio penso, Gin stai per farlo... Sento
il profumo del suo respiro, del suo desiderio. E cerco la bocca
di Step, il suo sorriso, le sue labbra. Le trovo, e quasi mi ci
tuffo,
per nascondermi, per trovarmi, in un bacio più lungo, più
profondo,
più avvolgente, più... Più tutto.
Un gemito più forte e ora è mia. È strano pensarlo. È mia, mia.
Mia adesso, mia ora... Mia in questo momento, solo mia. Mi viene
da pensarlo. Mia. Mia per sempre... Forse. Ma ora, certo. Ora è
amore... Dentro di lei. E ancora e di nuovo e ancora, senza
fermarmi...
Ora sorride, dolcemente, senza strappi al motore.
E proprio in quel momento lo sento, è lui, è dentro di me... E un
attimo. Un salto, un tuffo al contrario... Un dolore acuto, un
buco
all'orecchio, un piccolo tatuaggio, un dente caduto, un fiore
sbocciato,
un frutto strappato, un passaggio rimediato, una caduta sugli
sci... Sì, ecco, una caduta sugli sci, nella neve fresca, fredda,
bianca,
appena arrivata, direttamente dal cielo, e tu sei lì, con la
faccia in
avanti, che scivoli ancora, che ridi, che ti vergogni, che
spalanchi la
bocca ancora piena di neve, tu negata, tu divertita, tu alla prima
caduta,
alla tua scivolata... Su quella neve, soffice e pulita, così come
mi sento io in questo momento. Finalmente. È dentro di me, lo
sento,
nella mia pancia, aiuto, mi aiuto... Ma che bello. E sorrido,
allontano
il dolore, ritorno a sentire, a provare, e assaggio il piacere,
un piccolo morso... Sto bene, mi piace, lo voglio. Come le sue
lettere,
a pelle, da oggi, incise per sempre dentro di me.
"Step, ho voglia di te."
"Cosa hai detto?"
"Non mi prendere in giro."
"No, ti giuro non ho capito."
Step continua a muoversi sopra di me. Dentro di me. E gli guardo
gli occhi e mi perdo rapita, dal suo sguardo, da quegli occhi che
contengono amore o forse no, ma non me lo chiedo, adesso no...
E mi parla e non si capisce, e sospira nelle mie orecchie, e il
vento,
e il piacere, che ruba, che porta le sue parole, e sorride, e
ride, e
continua a muoversi, e mi piace, e mi piace un sacco, e non
capisco,
e mi bacio le mani, e sono affamata, e glielo ripeto... "Step, ho
voglia di te..."
Più tardi, non so quanto più tardi, Gin mi abbraccia seduta sulle
mie gambe mentre cerco di levarmi la nostra sicurezza. Me lo
sfilo.
Una traccia di leggero inchiostro rosso tra le mie dita. Firma
indelebile.
Mia... Per sempre mia. Per sempre mia. Non ci posso credere.
"Ma..."
"Era quello che ti stavo per dire..."
"Cioè, tu non avevi mai...?"
"No, non avevo mai... ! "
"Perché non lo dici?"
"Sì, non avevo mai fatto l'amore, e allora che problema c'è? C'è
sempre una prima volta per tutto, no? Be', questa era la mia prima
volta. "
Rimango senza parole, non so che dire. Forse perché non c'è
nulla da dire.
Gin che si riveste. Mia... Mi guarda e sorride alzando le spalle.
"Hai visto che strano? Fra tanti è toccato proprio a te. Non te
ne farai una colpa, vero? E neanche un vanto spero."
Si infila la maglietta e il giubbotto senza rimettersi il
reggiseno.
Ancora non riesco a dire nulla. Si infila il reggiseno in una
delle tasche
del giubbotto.
"E poi che ne so... Sarà stata la serata... da domani però non ti
fare strane idee, devo recuperare il tempo perduto. Anche perché
statisticamente sono indietro di quattro anni. La maggior parte
delle
ragazze l'ha già fatto a quindici. "
Ormai completamente rivestita è già sulla scala sotto il lampione
mentre io finisco di chiudermi il giubbotto. Poi si mette a
ridere.
Sicura, serena, perfettamente a suo agio.
"Ma è anche vero che oggi c'è un po' il ritorno a certi valori del
passato. Insomma diciamo che io mi colloco tranquillamente nel
mezzo."
Poco dopo le sono vicino e cominciamo a camminare. Questa
volta finalmente in silenzio, anche perché io non sono riuscito a
dire
più nulla. Poi, a un certo punto, mi passa il braccio dietro la
schiena. Io l'abbraccio stringendola a me. Continuiamo così,
mentre
la respiro. Lei, Gin, ancora profumata del suo primo amore.
Mia. Mia. Mia.
"Sai Step, stavo pensando una cosa..."
Eccola lì, lo sapevo. Era troppo bello! Le donne e le loro
riflessioni.
Finiscono per rovinare anche i momenti più belli, gli unici
che meritano di essere vissuti in silenzio. Fingo di non essere
preoccupato.
"Cosa?"
Poggia la sua testa sulla mia spalla.
"Mi è venuto un pensiero strano, cioè in realtà è una curiosità...
Ma ci pensi? Chissà se dai tempi dell'antica Roma a oggi in quel
posto l'aveva già fatto qualcuno."
"Nessuno."
"Ma come fai a esserne così sicuro!"
"Non c'è niente da fare, certe cose le senti, le senti e basta."
Si ferma. Mi guarda. Ha degli occhi così intensi. E sorride in
un modo...
"Ne sono sicuro... nessuno. Fidati."
Allora poggia di nuovo la sua testa sulla mia spalla. L'ho
convinta
sul serio. Forse per come l'ho detto. Cavoli, mi piacerebbe
sul serio sapere se c'è mai stato qualcuno in quel posto. Ma non
c'è
modo. Eppure non so com'è ma sul serio ne sono convinto anch'io.
Gin riprende a parlare.
"Allora abbiamo scritto un pezzo di storia... la nostra." Mi
sorride
e mi dà un bacio sulle labbra. Morbida. Calda. Amorevole. La
nostra storia... Altro che 20 euro. Mi sa che alla fine mi ha
fregato
sul serio.
Capitolo 49.
"Fermati qui, frena." Non ci penso due volte e lo faccio. Di
botto, al volo, così come è lei. Meno male che non arrivava
nessuno
da dietro. Mio fratello... E chi lo sentiva poi. Va be' che se la
poteva
prendere sempre con il ladro. Gin scende veloce dalla macchina.
"Vieni."
"Ma dove?"
"E seguimi, quante domande che fai."
Siamo di fronte a Ponte Milvio, in una piccola piazza sul
Lungotevere
da dove parte via Flaminia che arriva fino a piazza del Popolo.
Gin corre sul ponte e si ferma a metà, davanti al terzo lampione.
"Ecco, è questo qui."
"Ma che cosa?
"Il terzo lampione. C'è una leggenda su questo ponte, Ponte
Milvio o Mollo come lo chiamava il Belli..."
"Ma che, ora mi fai la colta?"
"Sono colta! Su pochissime cose, ma lo sono. Come questa per
esempio, la vuoi ascoltare o no?"
"Prima voglio un bacio."
"E dai ascolta... È una storia bellissima."
Gin si gira e sbuffa. L'abbraccio da dietro. Ci appoggiamo al
parapetto. Guardiamo lontano. Poco più in là un altro ponte.
Quello
di corso Francia. Mi perdo con lo sguardo. E nessun ricordo
disturba
questo momento. Perfino i fantasmi del passato sanno avere
rispetto di alcuni momenti? Sembra di sì. Gin si lascia baciare.
Sotto di noi il Tevere, buio e scuro, scorre silenzioso. La luce
fioca
del lampione ci illumina leggera. Si sente lo scrosciare lento del
fiume
lungo gli argini. Il suo corso si spezza all'improvviso intorno
alle
colonne del ponte. L'acqua gorgheggia, si innalza, ribolle,
borbotta.
Poi, subito dopo, si unisce di nuovo e continua in silenzio la
sua corsa verso il mare.
"Allora, mi racconti?"
"Questo è il terzo lampione di fronte all'altro ponte... La vedi
questa qui intorno?"
"Sì... Mi sa che qualcuno si è sbagliato a legare il motorino..."
"Macché, scemo. Si chiama 'la catena degli innamorati'. Si mette
un lucchetto intorno a questa catena, lo si chiude e si butta la
chiave nel Tevere."
"E poi?"
"Non ci si lascia più."
"Ma come nascono queste storie?"
"Non lo so, questa esiste da sempre, la racconta perfino
Trilussa."
"Te ne approfitti perché non lo so."
"È vera... È che tu hai paura di mettere un lucchetto."
"Io non ho paura."
"Quello è il libro di Ammaniti."
"O il film di Salvatores, dipende dai punti di vista."
"Comunque tu hai paura."
"Ti ho detto di no."
"E certo, te ne approfitti perché non abbiamo un lucchetto."
"Stai qua e non ti muovere."
Torno dopo un minuto. Con un lucchetto in mano.
"E questo dove lo hai trovato?"
"Mio fratello. Si porta il lucchetto con tanto di catena per
bloccare
il volante. "
"Già, non può mica immaginare che è suo fratello poi che gliela
frega."
"Guarda che sei responsabile quanto me. E fra l'altro mi devi
ancora 20 euro."
"Che rabbino."
"Che ladra!"
"Ma di che? Oh, ma che vuoi, pure i soldi del lucchetto? Facciamo
tutto un conto finale..."
"Troppi me ne dovrai allora."
"Va be', stop, finiamola qui. Allora te la senti o no?"
"Certo che sì."
Metto il lucchetto alla catena, lo chiudo e sfilo la chiave. La
tengo
un po' tra le dita mentre fisso Gin. Lei mi guarda. Mi sfida, mi
sorride, alza un sopracciglio. "Allora?"
Prendo la chiave tra l'indice e il pollice. La faccio penzolare
ancora
un po', sospesa nel vuoto, indecisa. Poi all'improvviso la lascio.
E lei vola giù, a capofitto, rotea nell'aria e si perde tra le
acque
del Tevere.
"L'hai fatto veramente..."
Gin mi guarda con aria strana, sognante, anche un po' emozionata.
"Te l'ho detto. Non ho paura."
Mi salta addosso, a cavalcioni, mi abbraccia, mi bacia, urla di
gioia, è folle, è pazza, è... È bella.
"Ehi, sei troppo felice. Ma non è che funziona sul serio questa
leggenda?"
"Scemo!"
E corre via, gridando sul ponte. Incontra dei signori che
camminano
in gruppo. Tira il cappotto del più serio, lo fa girare su se
stesso, lo costringe quasi a ballare con lei. E scappa via di
nuovo.
Mentre gli altri ridono. Spingono scherzosamente il signore che si
è arrabbiato e vorrebbe sgridarla. Passo vicino al gruppo e
allargo
le braccia. Tutti condividono la felicità di Gin. Perfino il
signore
serio alla fine mi sorride. Sì, è vero, è così bella che obbliga
un po'
tutti a esserne felici.
Capitolo 50.
Mattina. "Non ci posso credere!" Paolo entra come una furia
in camera. "Pazzesco non avevo dubbi, lo sapevo che sei sempre il
mitico Step. Ma come cavolo hai fatto?"
Non capisco ancora niente, so solo che "cazzo" ci sarebbe stato
meglio. "Cavolo" proprio non lo sopporto. Mi rigiro nel letto e
affioro tra i cuscini.
"Di che?"
"La macchina, l'hai ritrovata e in così poco tempo poi. Ti è
bastata
una serata. Sei troppo forte."
"Ah sì... ho fatto qualche telefonata. E ho dovuto 'dare' quello
che sai."
"Che so? No, non lo so..." Paolo si siede sul letto: "Che hai
dovuto
dare? ".
"Ehi, non fare il finto tonto... I soldi."
"Ah certo. Ma no, che c'entra sai, la felicità... Non ci capisco
più niente. Senti, ma com'era il tipo che me l'ha fregata? Uno
furbo,
uno stronzo, un tipo duro, uno di quelli con la faccia..."
Interrompo questa falsa ipotesi di identikit.
"No, non l'ho visto. Me l'ha portata uno che conosco, ma che
non c'entrava niente con il furto."
"Be', meglio così. Cosa fatta, capo ha."
"Che vuol dire?"
"Be', si dice."
Mi rigiro nel letto e infilo la testa sotto uno dei cuscini. Mio
fratello.
Dice cose che non sa neanche cosa vogliano dire. Sento che
si alza dal letto.
"Ancora grazie, Step..."
Fa per uscire dalla camera. Mi tiro su.
"Paolo..."
"Eh, che c'è..."
"I soldi..."
"Ah sì, quanto abbiamo dovuto pagare?"
"Abbiamo? Hai dovuto pagare 2300. Molto meno di quanto
avevi previsto."
"Così tanto, ma porca troia."
Quando si tratta di soldi ecco che riescono le parolacce vere.
"Che ladri, mi verrebbe da non darglieli."
"Veramente ho già pagato io. Ma se vuoi facciamo la denuncia
di furto e gliela riporto subito."
"No, no, che scherzi? Anzi, grazie Step, tu non c'entri niente.
Te li lascio sul tavolo."
Poco dopo mi alzo, ormai la mattina è cominciata e ho voglia
di fare colazione. Incrocio Paolo in salotto. È seduto che sta
finendo
di riempire l'assegno.
"Ecco qua." Perfeziona la sua firma con un ultimo ritocco. "Ti
ho lasciato qualcosa per il tuo fastidio."
Prendo l'assegno e lo guardo. Paolo fa una faccia tutta allegra
come a dire "Allora... sei contento?".
2400. Cioè 100 euro di più di quello che avrei dovuto dare al
ladro. 100 euro per uno che si è sfondato a ritrovargli la sua
macchina.
Almeno questo è quello che pensa lui. Che accattone! Ma
vivi alla grande! Fai almeno 2500 e via, no?! Ma siccome in realtà
mi ha dato una mancia enorme per "prestarmi" la sua macchina e
per una splendida uscita, una bella cena e tutto il resto... non
posso
che dirgli: "Grazie Paolo".
"Ma figurati, grazie a te."
Queste sono le frasi che odio.
"E poi Step, non sai l'assurdo, mi hanno fregato anche un
lucchetto."
"Un lucchetto?"
Faccio finta di cadere dalle nuvole.
"Eh, sì, ero così preoccupato per la macchina che quando mi
fermavo mettevo anche una catena intorno al volante. Ieri non
l'avevo
messa, ma potevo pensare che riuscivano a fregarmi la macchina
anche in garage? Ma che ci farà un ladro con un lucchetto
poi."
"Eh, che ci farà? Boh."
A questa domanda non so veramente cosa rispondere. Vagli a
spiegare. Ma sai, era per la "catena degli innamorati".
"Ma non è finita qua Step, eh? Guarda."
Me lo butta sul tavolo. Lo prendo in mano, lo guardo meglio.
Delicato. Semplice. Ne riconosco la chiusura che ho aperto ieri
sera.
Un reggiseno. Il suo reggiseno.
"Capisci... 'sti stronzi mi hanno rubato la macchina e sono andati
a scopare! Spero solo che lei non gliel'abbia data a quel ladro
di merda. Anzi, che se lo sia messo lei il lucchetto."
"Be', se hai trovato questo reggiseno nella macchina, non credo
che le cose siano andate come ti auguri."
"Ah, già, anche questo è vero."
Mi alzo e faccio per andare in cucina.
"Ma che fai, te lo tieni?"
Faccio finta di non capire.
"Che cosa?"
"Come che cosa? Il reggiseno!"
Sorrido facendolo penzolare davanti al mio viso.
"Be', perché no, farò una nuova edizione di Cenerentola! Invece
della scarpetta cercherò colei che riuscirà a indossare questo
reggiseno."
"A parte che andrà a tutte quelle che portano la terza."
"Che occhio che hai. Meglio, non sarà più difficile."
Paolo mi guarda e alza il sopracciglio.
"Step, scusa la domanda... Ma tu ti credi un principe azzurro?"
"Dipende da chi è stavolta Cenerentola."
Capitolo 51.
"Allora?" Ele mi corre incontro e quasi mi salta addosso. Sembra
impazzita.
"Raccontami tutto, dai... che hai combinato?"
Poi mi monta sopra, spinge forte, quasi a torturarmi.
"Sono sicura che hai combinato..."
"Ma chi te la dà questa sicurezza?"
"Lo sento... Lo sento... Tu lo sai che io sono sensitiva."
Si risiede composta vicino a me.
"Sì, sensitiva. Va be', te lo racconto, però non dirlo a nessuno,
ok?"
Ele annuisce, sorridendo, strabuzza gli occhi, non sta nella
pelle.
"Abbiamo fatto l'amore. "
"Cosa?"
"Hai sentito."
"Non ci credo."
"Credici."
"Sì, va be', questa poi l'hai sparata proprio grossa."
"Allora va bene, non abbiamo fatto niente."
"Sì, niente! Non ci credo."
"E allora lo vedi? Non ci credi comunque."
"Va bene, ma c'è anche una via di mezzo."
"Sì, ma se non c'è stata? Che vuoi da me?"
"Voglio la verità."
"Ma la verità te l'ho detta."
"Cioè?"
"La prima!"
"Cioè...? Avete scopato!?"
"Ma perché la devi sempre mettere così?"
"Perché è quello che avete fatto, o no?"
Mi guarda allusiva non credendoci ancora.
"Allora mi hai mentito. "
"Va bene, allora abbiamo scopato, abbiamo fatto l'amore, abbiamo
fatto sesso, insomma dilla come vuoi. Ma l'abbiamo fatto."
"Cioè, così di botto, l'hai fatto con lui?"
"Sìììì, e con chi sennò! "
"Ma scusa avevi aspettato tanto."
"Appunto! Ma guarda che sei assurda. Delle volte mi dicevi:
'Ma quando lo fai, ma vai con lui, mi buttavi sotto uno qualunque,
vai con quello, ma che ti frega poi se non ti va non lo vedi
più...' e
ora rompi perché sono andata con Step, ma guarda che sei strana
forte. "
"No, è che mi fa strano... E come è stato?"
"Com'è stato? E che ne so, non ho paragoni, io."
"Sì, insomma sei stata bene, ti ha fatto male, hai goduto, in
quanti modi l'avete fatto? Dove siete stati?"
"Oddio non ci posso credere, sembri un fiume in piena, una
marea di domande e che è?"
"Lo sono!"
"Che cosa?"
"Un fiume in piena."
"Ok, siamo stati al Campidoglio. Lì abbiamo iniziato... poi ci
siamo spostati al Foro romano..."
"E lì ti ha'forato'."
"Ele! ! ! Perché mi devi sempre rovinare tutto? È stato
bellissimo.
Se continui così, non ti racconto più niente."
"Ehi, guarda che se continui così, sono io che chiedo i diritti."
Non ci posso credere. La sua voce. Io ed Ele ci giriamo di botto.
Ce li abbiamo proprio lì, seduti due file dietro. Step e
Marcantonio.
Hanno ascoltato tutto. Ma da quanto sono lì? Cosa ho detto?
Di cosa ho parlato? In un decimo di secondo ripercorro velocemente
tutta la mia ultima mezz'ora... la mia vita, le mie parole. Oddio!
Cosa
le avrò mai raccontato? Qualcosa sì, l'ho detta. Ma da quanto
stanno lì? Sono rovinata, finita, vorrei scomparire sotto la
sedia. D'altronde
questo è il TdV, il Teatro delle Vittorie, il Tempio del varietà.
Qui c'era quel pupazzo. Provolino. Com'era la sua frase?
"Boccaccia
mia statti zitta. " E se fossi la Carrà vorrei fare come quel
personaggio
in bianco e nero. Maga Maghella. E scomparire. Invece incrocio
lo sguardo di Step che alza il sopracciglio: "Be', insomma, siamo
andati benino, no? Vero Gin?". Sorride divertito. Non so cosa
dire... No, non deve aver sentito più di tanto. Almeno spero.
Marcantonio frantuma quel drammatico silenzio. "Allora che
facciamo stasera? Be', dopo tutti questi bei racconti potremmo
essere
di 'privé'. " Marcantonio mi guarda. Ha uno sguardo molto intenso.
Prende in giro. Almeno spero... " Scambio coppie? " Ele scoppia
a ridere guardandomi. "Però non sarebbe male. Con te, Gin,
roba da pazzi!" Marcantonio si avvicina e mi accarezza i capelli.
Step rimane seduto sulla sedia e gioca con il sedile facendolo
dondolare
avanti e indietro. Io non so più cosa fare. È come se mi mancasse
il respiro. Divento rossa almeno credo. Abbasso gli occhi,
sbuffo. I capelli diventano quasi elettrici. Poi il miracolo.
"Allora, tutti pronti? Cominciamo le prove!"
Un fuggi fuggi generale a quelle parole dell'assistente di studio.
O forse l'ispettore, non lo so. Chiunque sia, mi ha salvato.
Scappo
via ma dopo un attimo torno indietro. Lo vedo impreparato al mio
gesto, meglio così. Mi avvicino e lo chiamo. "Step?" Si gira. Gli
do
un bacio leggero sulle labbra. Ecco fatto. Step mi guarda. Fa un
sorriso come sa fare solo lui.
"Tutto qui?"
Non gliela voglio dare vinta.
"Sì, tutto qui. Per adesso."
Senza dire niente di più, mi allontano tranquilla. L'ispettore di
studio si avvicina a Step.
"Forte quella ragazza."
"Molto forte."
"Come si chiama?"
"Ginevra, Gin per gli amici."
"È proprio forte."
L'ispettore di studio si allontana. E io, nel dubbio, lo richiamo.
"Ehi..."
"Sì?"
"È vero, è forte. Ed è mia."
Capitolo 52.
Pomeriggio di prove. Sto in sala regia con Marcantonio. Vicino
a noi, divisi semplicemente da un vetro, ci sono Mariani e
tutti gli altri. Il Serpe si agita nervosamente. Il Gatto & il
Gatto
sono seduti come avvoltoi alle spalle di Romani. Guardano i
monitor
della consolle, come impazziti, schizzano da un angolo all'altro
della sala, cercando l'inquadratura perfetta, quella ideale
da offrire a casa per rendere al meglio quello che vedranno.
Romani
no. Romani è calmo. Fuma lentamente una sigaretta, la tiene
sospesa nel vuoto a pochi centimetri dal suo viso in uno strano
gioco d'equilibrio. La cenere fa un difficile arco partendo dalle
sue dita, si prolunga nel vuoto rimanendo così, sospesa nel nulla,
senza cadere. Romani con l'altra mano fa dei leggeri movimenti,
schiocca le dita. Alterna le camere prontamente offerte
dal tipo al mixer. Il tipo è impassibile. Spinge dei bottoni su
una
tastiera, come se suonasse un piccolo pianoforte, leva dai monitor
più piccoli le immagini e le passa al monitor grande davanti
a Romani. Uno, due, tre, dissolvenza, quattro, cinque, sei, totale
dall'alto. "Ecco Step, questa è la tv." Marcantonio mi dà una
pacca sulle spalle. "Vieni andiamo in postazione, stiamo per
iniziare."
"Ma che si fa adesso?"
"Be', niente di speciale. È solo una prova prima della generale.
Praticamente siamo in un ritardo fottuto. Ma è così quasi sempre."
"Ah, capisco."
Alzo le spalle, non è che poi mi sia così chiaro. Ma deve essere
un momento importante, c'è una strana tensione. I cameramen
iniziano
a indossare le cuffie, se le calano sulla testa come soldati
pronti
ad andare in trincea. Muovono veloce la manopola dello zoom,
una botta secca, facendola rollare e impugnano le camere al volo,
allargano le gambe e si mettono in posizione, proprietari di
mitragliatrici
pronte a sparare su qualsiasi immagine venga chiamata dal
loro generale Romani.
"Tre, due, uno... Via con la sigla! " La musica parte. Il monitor
a colori, immobile di fronte a noi, prende improvvisamente vita.
Entrano quei loghi colorati che abbiamo fatto noi. Poi scompaiono
di botto. E sotto di loro una serie di sipari si apre in
successione,
perfettamente a tempo. La camera due, dove un unico cameraman
ha il piacere e la possibilità di stare seduto, avanza lentamente
al centro dello studio. Nel monitor a colori vedo quello che
sta riprendendo. La sua luce rossa è accesa. È il segnale che è in
onda. Avanza inesorabile come un perfetto fucile da caccia. Ha
preso di mira l'ultimo sipario, quella piccola porta sullo sfondo
che
improvvisamente si apre. Eccole. Una dopo l'altra, bionda, bruna,
rossa, escono come piccole farfalle da quella piccola porta, come
foglie colorate che cadono da un autunnale albero televisivo,
loro,
le ballerine. Coperte, scoperte, velate. Dai muscoli nascosti, dai
sorrisi improvvisati, dai capelli pettinati o colorati, dai visi
truccati.
Leggere si portano al centro. Prendono posto con eleganza. Poi
con un unico passo, partono insieme come piccoli soldatini
delicati.
Ballano su se stesse, allontanandosi e ritrovandosi, allargano
le braccia e sorridono, spegnendosi e accendendosi davanti a ogni
camera che si illumina di rosso mandandole in onda. E i cameramen
impeccabili ballano con loro, cambiano inquadratura, le portano
per mano, le lasciano e le riprendono. E Romani dirige il tutto,
perfetto maestro di una musica appena creata, composta di immagini
e luci. Marcantonio in silenzio batte a tempo sui tasti del
computer liberando, uno dopo l'altro, i titoli che appaiono e
scompaiono
muovendosi in 3D ora sul volto di quella ragazza bruna, ora
su un totale dall'alto, ora su una panoramica in dissolvenza.
Bravissimo.
Non sbaglia un colpo. Un ultimo battito e la musica si
stoppa. Silenzio. Le ragazze schierate tutte insieme allargano le
braccia e con un solo gesto indicano il fondo del teatro. Da
quella
piccola porta compare il presentatore. "Buonasera... buonasera.
Oh, eccoci qui... Che vuol dire I grandi genii Vuol dire, vuol
dire. Per esempio essere geniali vuol dire stare qui con queste
bellissime
ragazze e oltretutto essere pagati per starci..."
Guardo Marcantonio. "Ma veramente dirà queste cose?"
"Ma no, che c'entra... Lo fa in prova per divertirsi, per fare il
simpatico e magari beccare una di quelle ballerine, ma quando va
in onda è tutta un'altra cosa. Il più classico dei presentatori.
Magari
fosse così. Anzi non capisce che sarebbe molto più simpatico
a tutti. Ormai la gente è abituata, tutti leggono tutto, seguono
tutto
e sanno tutto. E invece lui crede che a guardarlo ci siano solo
coglioni."
"Be', se lo guardano così tanto, un po' coglioni sono."
Marcantonio si gira e alza il sopracciglio.
"Uhm, vedo che stai imparando. Niente male. Siediti qui va che
ti spiego bene cosa devi fare."
"Come cosa devo fare, ma non ci sei tu?"
"Ma un giorno potrei non esserci, posso avere da fare e poi...
Questa è la gavetta, domani sarà tutto nelle tue mani e tu devi
avere
la padronanza del mestiere."
Padronanza del mestiere. Mi suona male. È come essere stato
risucchiato su da un enorme aspirapolvere che ti prende e non ti
molla più. Mi siedo vicino a Marcantonio che inizia a spiegarmi.
"Allora con questo tasto resetti, con questo mandi di nuovo il
logo
in 3D..." Cerco di seguire, poi per un attimo mi distraggo. Nel
monitor è comparsa Gin, ha portato qualcosa al presentatore che
le sorride e la ringrazia. Guardo il suo primo piano che Romani
gentilmente ci concede. Poi Gin si allontana e il presentatore
continua
a spiegare qualcosa. Anche Marcantonio spiega qualcosa. Io
penso a Gin e al contratto che ho firmato per questo lavoro.
Maledetto
aspirapolvere. In tutti e due i casi mi sento fottuto.
Più tardi. Finite le prove. Dietro le quinte le ragazze si
cambiano
in fretta, riaccendono i telefonini che cominciano a squillare.
Gin si avvicina a Ele che è piegata in due in un angolo degli
spogliatoi.
"Ele, ma che fai?"
"Niente riprendo fiato, mi viene da vomitare. Che fatica! Però
è divertente. Ma è sempre così?"
"Questo non è niente, devi vedere quando c'è la diretta. Questa
è solo una prova."
"Oh, qui anche le altre sono tutte distrutte. Eppure è una vita
che lo fanno. Io altre due prove e sto perfetta. Forse perché di
base
c'ho il fisico. "
Sorride e le dà una pacca sulla spalla e poi fa pure l'occhiolino.
È al settimo cielo. Be', d'altronde finalmente è stata presa.
Almeno
questa volta. Chissà se c'è stato lo zampino... Gin non lo vuole
nemmeno pensare. La guarda mentre si cambia. Si tira via la roba
in un modo, Ele... pensa Gin. Mi ha sempre divertito la sua
maniera
di vestirsi o svestirsi... Non tanto quello che si mette, ma come
lo fa. Sembra una lotta fra lei e quello che deve indossare. Le
va sempre tutto sbrindellato, se lo sistema alla meglio, lo calza
un
po', si tocca i capelli, li butta indietro e via, è pronta.
"Ehi, Gin, che fai dopo?"
"Boh, non lo so."
"Di' la verità."
Mi guarda alzando il sopracciglio.
"Hai già il programmino?"
"Ma di che!" Le lancio il sopra della felpa e la prendo in
pieno.
"Ma ti pare che se c'ho il programmino, come dici tu, non lo
dico proprio a te? Ma che me ne frega! "
"Ho capito, hai il programmino."
Prende la felpa, la usa a mo' di fazzoletto e fa finta di
soffiarcisi
il naso dentro. Le altre la guardando sbigottite. Al solito. È il
suo
scherzo preferito, lo fa da quando ci conosciamo. Ma io non dico
nulla. Ele finge di asciugarsi il naso con la mano mentre le
altre,
schifate, continuano a fissarla.
"Grazie, sei proprio un'amica..."
E così dicendo, mi lancia la felpa, sorride e scappa via. Un po'
più tardi. Ho fatto pure la doccia. È un mito questo teatro. Tutte
le comodità respirando quello che è stato il debutto della Carrà,
di
Corrado, di Pippo Baudo, di Celentano e di chissà quanti altri.
Esco
con la sacca sulle spalle e mi guardo in giro. Niente, non lo
vedo.
"Signori'... Le sue amiche sono già andate via..."
La guardia giurata mi sembra sinceramente dispiaciuta. Ingenuo.
Come se io cercassi sul serio loro.
"Vuole che le do un passaggio, fra poco stacco che tanto arriva
il mio collega." E ride mostrando dei denti gialli, storti
lottatori
di qualche sigaretta a basso prezzo. Poi si perde giustamente
inciampando
in una risata cafona.
"Per me sarebbe un piacere..."
Non più ingenuo, anzi anche un po' viscido.
"No, grazie. Molto gentile."
E come mamma mi ha insegnato, mi allontano senza dare troppa
confidenza.
Capitolo 53.
Ho trovato la mia Cenerentola. Step, che cazzo pensi? Ti sei
bevuto il cervello... la tua Cenerentola. Mamma, sei a pezzi. Va
be', mi piace. È forte, è simpatica, è divertente, è bella! È in
ritardo...
Sono sotto casa sua, le ho fatto lo squillo con il telefonino
e me ne ha fatto uno di risposta. Quindi ha capito che sono qui
sotto. Basta! Ora le citofono, che poi che me ne frega a me che i
suoi non devono sapere nulla della sua vita privata! Gianluca il
fratello ci ha già visto che ci baciavamo. Due volte. Capirai. E
se i
suoi ci vedono che usciamo... Che problema c'è? Ci avessero
beccato
che scopiamo, capirei! Be', lì il problema ci sarebbe. Basta,
io citofono.
Mi avvicino al portone, cerco sul citofono Biro, il suo cognome.
"Fermo che fai?"
"Come che faccio? Citofono a una ritardataria."
"E invece sono puntualissima! Mi hai fatto lo squillo e sono
scesa. Solo che pensavo che ripassavi con la Audi 4 e invece tu
sei
in moto e io in gonna."
"Al massimo saranno felici quelli delle altre macchine... Ma ce
le hai le mutandine sotto?"
"Cretino! " Mi dà un pugno sempre sulla stessa spalla. Ormai
avrò il livido.
"Mi dispiace, ma ho discusso a lungo con il ladro, ho trattato il
prezzo e poi l'ho riconsegnata a mio fratello che è stato
felicissimo."
"Poveraccio."
"Ma come poveraccio. A parte che economicamente sta benissimo
e poi scusa voleva spendere fino a 4300 euro per la sua macchina,
sì insomma, l'ho fatto risparmiare."
"Cioè?"
"Poco più della metà."
"Quindi, secondo te, gli è andata pure bene?"
"Moltissimo, sali va'."
"Be', ha fatto proprio un affare ad avere un fratello come te."
"Lo puoi dire forte."
Gin alza la voce. "Ha fatto un affarone con un fratello come te! "
"Ma dicevo per dire, ti ho sentito."
Mi dà un bacio sulle labbra e monta dietro incastrandosi per
bene la gonna sotto le gambe.
"Tu a spirito niente, eh? Era per scherzare."
Le passo il casco. "Ah senti, mi è venuta un'idea... Ma tuo
fratello
come è messo a soldi?"
"Caschi male. E comunque chi tocca la mia famiglia è fuori,
out, compreso? Anzi solo il fatto che l'hai potuto pensare cambia
già le cose."
Gin scende dalla moto e mi si para davanti.
"Anzi, cambiamo subito!"
"Cioè? Mi dai meglio il bacio di prima che era un po' sfuggente
e per niente lungo?"
"Macché! Cambio programma, smonta dai!"
"No, non mi dire che facciamo di nuovo a botte. Per quello
vediamoci
in palestra."
"Ma che hai capito. Per stavolta la passi liscia. Cambio
programma.
Vuol dire smonta dalla moto che guido io."
"Cosa?" Penso dentro di me, lei, Gin, vuole guidare la moto. La
mia moto. Guidare la mia moto. E chi poi? Una donna. Sì d'accordo,
è Gin. Ma è sempre la mia moto e lei, anche se è Gin, è sempre
una donna. Poi mi rendo conto dell'assurdo. Non credo alle mie
orecchie. "Sì d'accordo, mi diverte vedere come te la cavi."
Ma questo invece sono io. Step! Ma che, ti sei impazzito? Niente.
Non ragiono più, non ci credo. Porca troia. Sono fuori. Scorro
sul sellino tenendo alte le gambe. Mi faccio scivolare la moto
sotto
e finisco sul posto di dietro, lasciando spazio a Gin che monta
davanti.
E io, colmo dei colmi, l'aiuto! Ah... Sono proprio impazzito.
"Allora, sai come si guida?"
"Certo! Per chi mi hai preso? Guarda che ne ho fatte di cose
anche se non ti conoscevo."
"Sì certo..." Mi viene da sorridere ma mi trattengo. Penso alla
panchina, al buio dell'altra notte, alla "nostra storia"... Vorrei
dirle
"Sì infatti, come l'altra sera" ma non lo faccio. Sarebbe una
battutaccia.
Puf. "Ahia!" Mi ha dato una gomitata in piena pancia.
"Lo so a cosa hai pensato."
"Cosa?"
"Hai pensato 'Sì come l'altra sera' ne hai fatte di cose... Si è
visto,
eh? Come no!? Non eri mai stata con nessuno e se non c'ero
io...' Vero? Di' la verità, hai pensato questo."
Oh, non c'è niente da fare, le becca tutte. Mento spudoratamente.
"Ma guarda che tu stai proprio male. Hai la coda di paglia.
Assolutamente
no, non ci pensavo proprio! Ora tu stai in fissa che io
penso sempre a quello. Ma ti sbagli! "
"Sì... e a cosa pensavi allora che ti vedevo sorridere dallo
specchietto?"
"Ma niente... Alla benzina... che ti faccio guidare la moto."
"Sì va be'... ci credo. Andiamo va', che è meglio! Come si accende
'sto coso?"
"'Sto coso è una 750 Custom dell'Honda con la ruota lenticolare...
Tocca i duecento come niente e si accende così." Mi spingo
in avanti, prendo il manubrio e tengo Gin tra le braccia, come se
la stessi abbracciando da dietro. Poi con il pollice destro
accendo
la moto. Do un po' di gas e faccio un respiro lungo tra i suoi
capelli.
Morbidi e profumati, leggeri, quasi mi accarezzano. Chiudo
gli occhi. Mi perdo.
"Ehi!" Li riapro.
"Sì? Che c'è?"
"Se stai così, non riesco a guidare." Sorride.
"Ah, certo." Levo le braccia e mi sposto indietro. Gin si infila
il casco e se lo chiude. La seguo facendo la stessa cosa.
"Allora Step, sei pronto?"
"Sì. Sai come si mette la mare..." Non faccio in tempo a finire
la frase che Gin ha già messo la marcia, è scattata in avanti
dando
gas. Quasi cado dalla moto per il contraccolpo all'indietro. Mi ha
preso alla sprovvista. Non capiterà più. Spero. La stringo forte,
mi
abbraccio al suo giubbotto e le passo le braccia intorno alla
vita.
Ehi però. Non guida male. Incredibile. Cambia le marce tranquilla,
giocando di frizione. L'ha già portata sul serio la moto. E pure
spesso. Rosso, frena al semaforo con la marcia troppo alta. Come
non detto. La moto si spegne di botto e quasi inchioda. Cadiamo
a destra se non fosse che tiro giù veloce la gamba. Reggo tutti e
due.
Compresa la moto. La mia moto...
"Ehi, come va? Sicura che vuoi portarla tu?"
"Non ho visto che era rosso. Non capiterà più." Scala la marcia
in su per riportarla in folle.
"Sicura che..."
"Te l'ho già detto, non capiterà più. Hai deciso dove andiamo? "
"Alla Warner. Ci sono un sacco di sale e fanno..." Non mi lascia
finire.
"Ok, bellissimo. Così posso tirare lungo il raccordo." E parte
velocissima in prima, fregandomi di nuovo.
Warner Village. Quattordici e più sale, film diversi che partono
a orari diversi. Due ristoranti, un pub e tanta gente.
"Ehi Gin, non credevo ce l'avremmo fatta."
"Che cosa? Nel senso se finivamo benzina o se trovavamo la
Warner? "
"Diciamo che la mia preoccupazione era proprio alla base... se
restavamo vivi!"
"Ah ah! Ma non sei soddisfatto di come ti ho portato fino a
qui? E con la tua moto poi? Non ti ho dato emozione e
tranquillità?
Acceleravo, prendevo una curva troppo stretta... Quando superavo
tra due macchine e ti sentivo stringere il mio giubbotto levavo
gas, frenavo un pochino e ti sentivo abbandonare la presa. Era
bellissimo per me guidare così. Tu e le tue emozioni. Era come se
io ti sentissi appeso al filo del mio gas."
Rimango in silenzio mentre andiamo verso la cassa per fare i
biglietti.
"Ehi Step, ma l'hai capita?"
"Che cosa?"
"La storia del filo del gas."
"Be', non è che ci vuole poi tutta questa applicazione."
"Che ne so? Mi rimani perplesso, lì, in silenzio. Come se avessi
perso il controllo della situazione. Animo, animo! Fai i biglietti
va', che io vado a prendere il pop corn."
"Sì, ma per quale sala?"
"Che ne so!"
"Sì, ho capito, ma quale film vuoi vedere? Uno comico, uno
sentimentale, uno del terrore?"
"Ma scegli tu... scusa! Io ti ho portato fino a qua, adesso devo
pure scegliere il film! Mi sembra troppo! Fai qualcosa anche tu.
Calcola solo che il film del terrore mi sembra che l'hai già
visto."
"Guarda che ti sbagli Gin, non l'ho visto."
Guardo la locandina e lo trovo. Le verità nascoste. No. Non l'ho
visto. E poi che ne sa lei di quello che ho visto o no.
"Ma come, l'hai detto tu, l'hai anche interpretato. Sul raccordo
dietro a Gini, un vero film del terrore. Brrr. Ancora tremi tutto.
Ti
vedo. Vai sul sentimentale, va'... che come caschi, caschi bene e
non
ti fai male!"
Due ragazze davanti a me ridono. Gin si allontana scuotendo
la testa. "Roba da pazzi..." Io mi metto le mani in tasca. Le
ragazze
davanti a me mi guardano ancora un po' e sorridono di nuovo.
Poi per fortuna una delle due attacca un discorso che le porta
da qualche altra parte. Per la prima volta capisco cosa vuol dire
sentirsi "soggetto". E poi fatto soggetto da una donna, da Gin,
Gin che ha guidato la mia moto, che l'ha portata bene, tranquilla,
sicura, veloce, che ci si è trovata, che è arrivata fino a qui...
Lungo tutto il raccordo, di notte, in gonna, cambiare le marce
con le scarpe eleganti, con il freddo, con le macchine veloci.
Gin...
la prima donna che ha guidato la mia moto. E la prima che mi ha
fatto soggetto! Mi viene da ridere. Poi tocca a me. Torno serio,
compro i biglietti e non ho dubbi sulla scelta.
Gin è ferma all'entrata della sala con due bicchieroni di pop
corn tra le braccia e una CocaCola poggiata su un secchio lì
vicino
con infilate dentro due cannucce.
"Allora ce l'hai fatta..."
Prendo la CocaCola, tiro un sorso e la supero.
"Andiamo va'."
Gin scuote la testa e mi segue cercando di non far cadere i pop
corn.
"Si può sapere che film hai scelto?"
"Perché? Tanto avresti comunque da ridire."
"Io?!? Ma perché la leggi così. Non è vero. Io sono una che si
adatta. Non sono una rompicoglioni. E poi non ne ho visto ancora
nessuno. Quello comico, quello sentimentale e perfino quello
del terrore. Andavano bene tutti."
"E infatti... li ho presi tutti."
Tiro fuori dalla tasca sei biglietti.
"Prima quello del terrore, poi quello comico così ti riprendi e
poi quello sentimentale così magari alla fine mi riprendo io."
"Con quello sentimentale... E da cosa?"
"Mi riprendo te, in senso fisico... Ma scusa, tutta questa uscita,
tu che porti la mia moto, tre film al posto di uno, tra il secondo
e il terzo c'è un buco di venti minuti e magari mangiamo pure... E
in tutto questo io non ci guadagno niente? Eh no, non vale. Tu sei
un investimento. Cioè a me, qualcosa, o meglio 'una cosa', cioè
'quella cosa' mi spetta... o no? Eh?"
"Una cosa sola? Ma tu vali molto di più. Tieni te li meriti tutti!
"
Gin mi lancia il bicchierone dei pop corn. Io li prendo alla meno
peggio considerando che ho in mano pure la CocaCola. Il risultato
non è dei migliori. Rimango con alcuni pop corn attaccati
al golf, uno perfino sulla spalla e molti, troppi, ai miei piedi.
Gin
si allontana alzando le spalle.
"Non ti preoccupare, offre la casa! "
Proprio in quel momento passano le due ragazze che stavano
davanti a me in fila. Si mettono di nuovo a ridere. Mi scrollo
qualche
pop corn di dosso, poi sorrido anch'io. "Dovete capirla. Non
lo vuole ammettere ma si è innamorata! " Annuiscono. Be', mi
sembra
che la mia spiegazione l'abbiano presa per buona. E un po' più
soddisfatto entro nella prima sala. È buio.
"Gin... Gin, dove sei?" Chiamo sottovoce, ma comunque qualche
tipo preciso di troppo c'è sempre. "Shhh."
"Ma non sono neanche partiti i titoli di testa... e che sarà mai!
"
Alzo la voce. "Gin! Dammi un segno."
Da destra mi arriva un pop corn e mi colpisce sulla guancia.
"Sono qui..."
Mi siedo vicino a lei che subito mi offre il suo bicchierone. "Se
già ti sei mangiato tutti i tuoi pop corn, prendi pure i miei. Io
sono
generosa, lo sai."
"E come no! Più che offrirli tu li tiri direttamente! "
Infilo una mano tra i suoi pop corn e ne prendo un po' prima
che facciano la stessa fine degli altri. "Step, di' la verità. Ma
quest'idea
dei tre cinema l'hai presa da Antonello Venditti?"
"Antonello Venditti? Ma che, sei matta? Ma chi lo conosce?"
"Ma che c'entra! Dalla sua canzone. Quella che parla anche di
Milan Kundera, che parla della scuola, del Giulio Cesare."
"Mai sentita."
"Mai sentita?"
"Sì, mai sentita!"
"Ma dove vivi? È che non fai caso alle parole..."
"No, non faccio caso a un cantautore romanista..."
Un tipo davanti a noi si gira deciso.
"Invece noi facciamo caso alle vostre parole, solo che vorremmo
anche sentire cosa dicono nel film. O anche stavolta ci sono i
titoli secondo voi?"
Preciso, pignolo e pure vendicativo. Capirai, non gli è sembrato
vero. Ha aspettato apposta che parlassimo proprio per dire la
sua battuta sui titoli. Poteva rifare semplicemente "shhh".
Saremmo
stati zitti e basta. Invece è andato lungo, troppo. Faccio per
alzarmi.
"Scusa eh, ma..." Non faccio in tempo a finire la frase che
Gin mi tira giù per il giubbotto facendomi ricadere sulla
poltrona.
"Step... mi fai un po' di coccole?" Mi tira a sé sorridendo e io
non me lo faccio ripetere due volte.
Dopo il primo film, Le verità nascoste, andiamo a bere una birra
al pub della Warner prima che cominci quello comico.
"Ma di' la verità Gin... Hai avuto paura?"
"Io? Non conosco quella parola."
"Allora perché ti stringevi tanto a me e poi sul più bello mi
levavi
la mano?"
"Avevo paura."
"Ah, hai visto? Te l'ho detto..."
"Avevo paura che quello dietro se ne accorgesse e poi ci
denunciasse...
o per rissa o, peggio, per atti osceni in luogo pubblico."
"Meglio la seconda allora."
"E certo, così ci andavo di mezzo pure io."
"Ma no, mica per quello. E che faccio la collezione di denunce.
Atti osceni mi manca! "
"Ah be', con me l'album non lo finisci."
"E perché? Mancano ancora due film."
Si muove di scatto. Le fermo la birra prima che me la tiri
addosso.
"Ehi, niente paura. Volevo solo finirla perché sta cominciando
l'altro film. Se perdi tempo, poi come fai con il tuo album?"
Sorride, beve tutto d'un sorso e finisce la sua birra. Poi si alza
asciugandosi apposta la bocca con il polso del giubbotto.
"Andiamo... o non ti va più?"
E allusiva entra nella sala. Scary Movie. Prima il film del
terrore.
Ora un film comico sul terrore. Chissà come trova la mia scelta.
Ma non glielo chiedo, troppe domande. Gin si agita sulla sedia.
Ogni tanto ride a qualche scena di comicità demenziale. Be', il
fatto
che rida già è incoraggiante. Ride di me? Troppe domande, Step.
Ma che fai, sei diventato insicuro?
Gin si alza. "Ohi, io vado in bagno."
"Ok."
"Hai capito?"
"Sì, me l'hai detto, vai in bagno."
Gin scuote la testa e sorride uscendo dalla fila, tenendosi bassa,
per non disturbare quelli dietro. O senza dare troppo nell'occhio?
Mi giro. Dietro è vuoto. Non c'è nessuno. Mi rimetto a guardare
il film. Un tipo con la maschera corre inciampando dappertutto.
Ma non mi fa ridere. Forse perché sto pensando a Gin. E al
bagno. O forse perché non fa proprio ridere. Comunque, devo andare
anch'io al bagno. Be', "devo" è una parola grossa. Mi va, è
meglio, se non altro per capire se ho capito o no.
Al massimo se Gin mi dice "Ma che hai capito?" le dico "Ma
che hai capito tu? Dovevo andare semplicemente al bagno. Oh che,
non può scappare anche a me?". Uhm, non ci crederà mai. Attraverso
la fila senza far troppo rumore. Le risate di qualcuno più
avanti coprono il fatto che ho sbattuto contro una poltrona mezza
abbassata. Mi massaggio il quadricipite e mi infilo nel bagno. Non
la vedo. Si sarà chiusa nella toilette sul serio?
"Ehi meno male."
Mi spunta all'improvviso da dietro la pesante tenda bordeaux.
"Per un attimo ho pensato che non avessi capito." Ride. Non
le dico che per un attimo non avevo capito sul serio. "Mi hai
messo
paura! " Gin mi si avvicina e mi bacia. È calda, morbida, bella,
profumata, desiderabile e... da finire l'album!
"Be', non dici niente?"
"Sì. Che facciamo? Ci chiudiamo in bagno?"
Lei sorride. " No, rimaniamo qui. " Poggia le mani indietro, si
spinge
sugli avambracci e quasi si arrampica sul lavandino, salendoci
sopra.
Poi allarga le gambe e mi avvicina. Mentre sto per baciarla vedo
uscire dalla tasca del suo giubbotto le sue mutandine. Se l'è già
sfilate
e questo mi eccita ancora di più. Una risata dalla sala arriva
improvvisa
proprio mentre mi apro i pantaloni. Anche questo mi eccita
ancora di più. Poi eccomi in lei. Lei. Tutto. Ridiamo insieme
mentre
la penetro. Poi lei, a un tratto, fa un gemito e sospira mentre di
là
scoppiano a ridere. Poggio le mani sulle sue natiche, quasi mi
aggrappo
a lei e mi spingo dentro perché sia ancora più mia. Di là ridono
di nuovo. Anche lei. Anzi no, non ride, sorride. Poi sospira. Si
appoggia al mio collo e mi morde leggera. "Dai Step continua, non
ti fermare..." Io continuo lentamente, lei si muove sul lavandino.
Le
si scoprono le gambe. La gonna scivola di lato. La sua pelle sulla
porcellana
bianca e fredda del lavandino. Gin ha un fremito. Sposta le
mani indietro, appoggia la testa allo specchio. Io le tiro le
gambe più
su, verso l'alto e la raggiungo ancora più dentro. Sospira. Sempre
più
forte. Sospira mentre la sento venire. Poi una risata grossa dalla
sala.
Il rumore della porta vicina. Chiudo gli occhi, riesco a malapena
a
sfilarmi e vengo anch'io. Gin però perde l'equilibrio, quasi
scivola di
lato dal lavandino. Per aggrapparsi si tiene a un rubinetto e lo
apre
bagnandosi tutta la gonna di dietro. "Ah! È gelata! " Ridiamo.
Chiudo
al volo l'acqua. Subito dopo mi chiudo anche i pantaloni
sistemandomi
per quanto è possibile. Gin si guarda allo specchio. Dietro
la gonna è completamente bagnata. Incrocio il suo sguardo. "Ti è
piaciuto
eh?" Una risata dalla sala arriva in tempo perfetto. "Spiritoso! "
"Be', a loro ha fatto ridere."
La tenda pesante bordeaux si muove agitandosi e poi puff! Come
tirata fuori da un prestigiatore un po' goffo, compare una
signora.
"Oh non riuscivo più a uscirne, 'sta tenda è di un pesante. E
qui il bagno, vero?"
"Sì, quella porta a destra è quello nostro." Le dice Gin senza
incrociare troppo a lungo il suo sguardo. Poi scompare anche lei
nella tenda. "Grazie" risponde la signora e mi supera senza
accorgersene.
Io, che invece me ne sono accorto, mi chino al volo e seguo
Gin nella sala.
"Ehi, ti sei persa queste." Me le sfila dalla mano al volo.
"Dammele subito." Seduta al suo posto Gin si infila le mutandine
spingendosi indietro sulla poltrona con le spalle.
"Mamma mia, pensa se le trovava la signora, che figura! "
"Sì, se la signora trovava prima come aprire la tenda era la vera
figuraccia! Sai che succedeva..."
"Sì, che finivi il tuo album!"
E anche stavolta la sala ride.
Poco più tardi, finito il secondo film. In un ristorante della
Warner,
stile californiano o giù di lì. Petto di pollo grigliato misto a
parmigiano
e foglie di spinaci freschi. Una Caesar salad da dividere.
"Ehi quella foglia era mia! " Gin mi dà una botta con la
forchetta.
"Ma chi c'aveva fatto caso, oh! "
"E questa?" Ne infilzo una al volo proprio dalla sua parte.
"Anche questa." Ma non fa in tempo a fermarmi che l'ho già
infilata in bocca. Rido masticandola a bocca aperta come uno
strano
cane erbivoro ma divertitamente vorace.
"Che schifo... fai proprio schifo! "
"Bleah!" rispondo alla sua accusa facendo un salto in avanti
per spaventarla. Proprio in quel momento...
"Siete troppo divertenti... così devono essere le coppie! L'amore
non è bello se non è litigarello..." Rimaniamo a bocca aperta. O
meglio io la richiudo quasi subito con tutti quegli spinaci. Non
ho
poi troppa confidenza con quella signora. Anzi per dire la verità,
non ce ne ho per niente. L'ho vista una volta sola e... al bagno.
È la
signora di prima, quella che ci stava per scoprire... in erotici
atteggiamenti.
Gin la riconosce e abbassa lo sguardo arrossendo. È buffa.
Che poi è stata proprio lei a desiderarlo e ora se ne vergogna.
"Scusate se ve lo chiedo, ma sapete per caso qui dov'è il bagno?"
Gin sembra aver trovato nel piatto uno spinacio interessante
ma lo abbandona immediatamente e indica con la forchetta in
fondo alla sala. Io faccio la stessa cosa ma senza forchetta. "Di
là! "
Diciamo all'unisono e poi, subito dopo, scoppiamo a ridere.
"Perché ridete, dovete andarci anche voi?"
Guardo Gin ironico. "Dobbiamo andarci anche noi?"
Gin scuote la testa, fa una strana smorfia con la bocca e riesce
però a non arrossire. "No, ora no. Fra poco comincia il nostro
film ! "
"Di nuovo, ne vedete un altro? Che bella coppia, siete proprio
uniti! Ecco!"
"Sì..." Guardo Gin sorridendo. "Devo dire che il cinema ci unisce
proprio. Anzi, soprattutto il bagno del cinema! "
"Cioè, non ho capito."
Gin mi guarda e scuote la testa, poi sorride alla signora
intenerita
dalla sua ingenuità. "Niente... scherzava!"
"Be', scusate. Ora vi lascio che mi scappa proprio, forse ho
bevuto
troppo. Oppure sarà l'età."
"Macché, signora. Anche noi andiamo spessissimo al bagno..."
Gin mi dà una botta sulla spalla. "E basta! Dai che comincia il
film, andiamo va' ! "
E in un attimo, salutata la signora, siamo in un'altra sala. Qui
si danno film di stagioni passate. È una novità, al Warner. Si
stringe
a me, segue il film con una mano sulla bocca. Accovacciata,
mangiucchia
un po' di unghie e si appoggia di nuovo a me. Le parole
che non ti ho detto. Kevin Costner ha perso sua moglie e non vuole
rimettersi in gioco. Non vuole riprendere a vivere. Scrive lettere
in bottiglie che si perdono in mare, una dopo l'altra, il suo
amore
che naufraga. Ma non scrive a nessuno. Poi qualcuno trova quel
messaggio in una bottiglia. Una giornalista. La lettera commuove
anche lei e diventa un caso. Si accendono le luci. Primo tempo.
Gin
ride tirando su con il naso e si copre con i capelli e non si fa
vedere
e si gira dall'altra parte e mi guarda da sotto e scoppia a ridere
di nuovo e tira su con il naso. "Hai pianto! " La indico
colpevole.
"Embe'... allora? Mica me ne devo vergognare."
"Va be', ma è un film! "
"Sì, e tu invece sei un insensibile."
"Ecco lo sapevo... come al solito la colpa è mia! Andiamo in
bagno a fare pace?"
"Cretino... Adesso non c'entra proprio."
Gin mi dà un pugno sulla spalla. "Ma perché, c'è un momento
che c'entra o non c'entra? Va be', a parte che 'c'entra' suona
male."
"Vedi, sei fuori luogo! Fai pure le battutacce. Pesaaaante!
Ma io..."
"Shhh! Ora basta che ricomincia il film!"
E scivola giù sulla poltrona, tuffandosi su di me, abbracciandomi
e ridendo ferma la mia mano che cercava qualche distrazione.
Poco più tardi davanti a una birra. "Ti è piaciuto?"
"Bellissimo. Sto ancora male."
"Ma Gin... è troppo!"
"Oh, ma che ci posso fare? Sono fatta così. Certo che se non
affondava con la barca e tutto il resto... Ora finalmente che
aveva
cominciato a riamare... ad amare la giornalista... che cattivi gli
sceneggiatori."
"No, perché? È perfetto! Ora sarà la giornalista a scrivere
lettere
d'amore e a metterle nella bottiglia così le trova un altro e la
storia ricomincia... Oppure ci mette un peso dentro, così le
bottiglie
finiscono in fondo e se le legge Kevin Costner."
"Mamma mia. Sei di un macabro! "
"Cerco di sdrammatizzare questo dramma che stai vivendo."
"A parte che non sto vivendo nessun dramma. E poi il pianto
è liberatorio, fa bene, sfoga le ghiandole, capito? È un
equilibratore
proprio come i baci."
"I baci?"
"Sì. I baci contengono degli enzimi, delle strane sostanze...
Tipo...
Endomorfina credo, insomma tipo della droga. I baci
tranquillizzano...
Perché credi che ti bacio io?"
"Mah pensavo... pura attrazione sessuale."
"E invece no, puro effetto tranquillante."
"Quindi vedi, mi stai facendo conoscere un lato nuovo di me
stesso, dovrei baciare più donne, magari scoprirebbero che sono
meglio di qualunque camomilla, dovrei buttarmi sul mercato! Sai
i soldi..."
"Sai le botte!"
"Ah, vedi? Solo a pensarlo sei già gelosa."
"Step ma tu ci hai mai pensato..."
"A che, essere geloso?"
"Ma no, a scrivere, che ne so un biglietto, una poesia..."
"Sì e a metterla in una bottiglia."
Veramente avevo provato a scrivere a Babi. Era Natale. Me lo
ricordo come fosse ieri. I fogli di carta appallottolati sotto il
tavolo.
Tentativi disperati di cercare parole adatte. Adatte a un
disperato.
Io. Io che correvo affannato nell'inutile rincorsa,
nell'impossibilità
di riconquistare un amore che se ne va, che se ne è andato.
E poi incontrare lei, lei con un altro e non trovare neanche la
parola
più semplice. Che ne so... Ciao. Ciao come stai. Ciao fa freddo.
Ciao è Natale. Ciao auguri. O peggio... Ciao ma come... Oppure:
ciao non te l'ho detto mai... Ciao, io ti amo. Ma che c'entra
adesso? Non c'entra più niente.
"No. Mai scritto niente. Neppure un biglietto d'auguri."
"Ma non c'hai neanche provato?"
"No. Mai."
Ma che vuole? Perché insiste? Mi guarda di traverso.
"Uhm..." Perplessa. E poi riattacca. "Be', peccato! Secondo me
sarebbe bellissimo! "
"Cosa?"
"Ricevere qualcosa scritto da te. Ecco io vorrei una poesia...
Una bella poesia."
"Pure bella! Cioè non basta che la scrivo... deve essere pure
bella."
"E certo... soprattutto bella! Mica lunga. Una bella poesia
sentita,
piena d'amore... magari per farti perdonare! "
"E ti pareva! Neanche ho scritto la poesia che comunque ho
già combinato qualcosa."
"Perché? Prima non mi hai forse mentito?"
Sorride, alza il sopracciglio e si alza lasciandomi al tavolo.
"Falso!"
Finisco l'ultimo sorso di birra e in un attimo sono vicino a lei.
"Ehi, ma dimmi la verità. Da cosa lo hai capito?" Le dico
confermando
che c'ha preso in pieno. "I tuoi occhi, Step. Mi dispiace,
ma i tuoi occhi dicono tutto... o almeno abbastanza! "
"Cioè?"
"Mi hanno fatto capire che almeno una volta hai provato a scrivere
una lettera o una poesia o altro. Non lo so io, lo sai tu."
"Ah... certo."
"Ecco vedi. Hai detto certo."
Mannaggia mi sono fregato con quel certo. Ma poi che c'entra
certo? Camminiamo vicini, in silenzio, verso la moto. Una cosa è
sicura. Devo portare più spesso gli occhiali. Quelli scuri. Magari
anche di notte. Oppure non dire più bugie. No. E più facile
portare
gli occhiali... Ah, certo.
Capitolo 54.
10 ottobre.
Uaooo! La prima puntata è andata benissimo. Io,
Gin, non ho toppato niente. Ci mancava pure. Avevo
un'unica entrata alla fine della puntata dove
dovevo portare semplicemente una busta con il nome
del vincitore. Cosa potevo sbagliare? Be', potevo
anche inciampare. Ele invece è stata grande.
Doveva entrare a metà puntata per dare la busta
con la classifica provvisoria. Non ha inciampato.
È stata perfetta. È entrata, ha raggiunto
il presentatore al momento giusto, al posto
giusto solo che... si è dimenticata di portare
la busta! Grande! Ma che dico, grandissima!
Ele è sempre Ele. Però tutti hanno riso, il presentatore
ha fatto una bella battuta (non doveva
essere bellissima però, visto che ora non me la
ricordo). Ele è diventata subito simpatica a tutti!
Alla fine invece di arrabbiarsi con lei tutti
le hanno battuto le mani, hanno riso. Qualcuno
ha detto perfino che l'ha fatto apposta! Ele...
figuriamoci. Il mondo dello spettacolo. . . Vogliono
vederci per forza qualcosa di male. Come ha detto
mio zio Ardisio quando ha saputo che ci lavoravo
"Attenta, nipotina mia. Che lì il più pulito
c'ha la rogna". Forse è vero. Step comunque
profuma sempre...
5 novembre.
Ormai sono una scheggia! Mi hanno fatto fare
una delle ragazze aggiunte al balletto. Roba da
pazzi... E andavo pure a tempo nelle prove! Domani
abbiamo la puntata, bisogna vedere come me
la cavo lì. Il peso della diretta è un'altra cosa,
mi hanno detto. "Lì sbagli con più facilità
e il tuo errore arriva direttamente nelle case di
tutti!" Aiuto! Non ci voglio pensare. Mi vedrà
pure mia madre. Non se ne perde una. Le vede fino
in fondo e riesce sempre a notarmi. L'altra
volta mi ha detto: "Ti ho visto stasera!". "Ma
guarda mamma che ti sbagli, non ho fatto niente."
"Come no! Sei entrata nel finale per i saluti...
Eri l'ultima a destra in fondo a tutti al palcoscenico..."
Mia madre! Non riesci a nasconderle
niente. Più o meno.
6 novembre.
Perfetta! Il coreografo mi ha detto: "Perfetta!".
Ho alzato il sopracciglio e gli ho detto:
"Ma chi, quella davanti a me?". Carlo, il coreografo,
ha riso come un pazzo. "Sei troppo simpatica"
mi ha detto. Ma non si è fermato lì. Mi ha
chiesto il numero di telefono. "Dai, così ti chiamo
ad allenarti, puoi migliorare se vieni in sala
prove con le altre..." Perfetto, mi piace ballare!
Sarebbe stato tutto perfetto se proprio mentre
Carlo si segnava il mio numero sul suo telefonino
non fosse passato Step. Step e il suo
tempismo. Perfetto anche lui. Solo che si è arrabbiato
da morire. Step geloso. Come lo devo leggere?
Ele dice che Step è fantastico, meraviglioso.
E certo, con lei! Non solo, ma Ele dice
che Marcantonio è in fissa con la coppia aperta.
Step invece... con la coppia blindata! Ma non
ci può essere una via di mezzo?
Per fortuna sul tempismo abbiamo fatto pace.
Ultimo piano del mio palazzo, il modo migliore
per fare pace... e per migliorare... come dice
Step. Per fortuna lì non arriva l'ascensore e non
credo neanche che alle due di notte qualcuno decida
di stendere dei panni su in terrazzo. Mio
fratello questa volta non si è visto. Ah, e neanche
la signora del bagno del cinema. "Be'," ha
detto Step, "buonanotte, il mio album dovrà aspettare..."
Se continuiamo così però prima o poi lo
finisce sul serio!
10 dicembre.
Uffa! Ma perché va sempre a finire così! Non
ci può essere un buon rapporto sereno e tranquillo
e soprattutto professionale, tra un uomo e una
donna che lavorano insieme? Evidentemente no. Carlo,
il coreografo, e'ha provato. E di brutto. È
andato sul pesante. M'ha sfiorato la tetta. Pensava
di farmi venire un brivido sessuale. Invece
mi ha fatto vomitare e ci ha rimediato una spinta.
E di quelle forti. Ha sbattuto contro l'asta
a metà dello specchio ed è rimasto piegato in due.
Forse ho esagerato. No. Non ho esagerato, anzi.
Solo che mi ha detto di non presentarmi più in
sala prove. "A meno che..." mi ha detto. A meno
che...! Ma ti rendi conto? A meno che... cosa?!
Mah! Gli avrei voluto rispondere: "Sì, a meno che
non mi presento con Step! ". Altro che spinta poi. . .
Ho deciso. A Step non dirò niente di Carlo. Per
il suo album non gli servono doppioni.
20 dicembre.
Non ci posso credere. È sempre distratto su
tutto e su tutti per quanto riguarda il lavoro,
invece su questo Step si è impuntato. "Come mai
non sei più nel balletto?" "Mah," gli ho detto,
"Carlo ha voluto provare qualche altra ragazza. . . "
Non ci ha creduto. Non ha smesso un attimo, ha
continuato fino alla fine delle prove! Non solo,
ma con perfetta lucidità razionale. Anche un po'
preoccupante...
"Sì e guarda caso chi ha scelto Carlo? Arianna,
la più facile di tutte!" E tu che ne sai?
Avrei voluto rispondergli, ma ho pensato che era
meglio non alzare altra polvere. Mi ha tempestato
di domande. "Ma come? Ma ti piaceva tanto ballare...
Ma non vi salutate più, ma in puntata non
avevi mai sbagliato... Ma non è che ci ha provato?"
Su quest'ultima domanda ho avuto uno scatto
improvviso. Non vorrei che Step l'avesse notato.
Alla fine mi ha detto: "Ok basta!". Meno male ho
pensato. Mi stavo rilassando quando ha aggiunto:
"Lo chiederò direttamente a lui... Qualche cosa
in più mi saprà dire no?". "Fai come ti pare" gli
ho detto... non ce la facevo più. E poi ho pensato:
cosa dirà Carlo non lo so e sinceramente
non me ne frega niente. Una cosa è sicura. Se parla
rimpiangerà la mia spinta.
24 dicembre.
Abbiamo fatto le prove fino alle sei e poi tutti
a casa per il... Natale! Carlo c'è ancora ed
è intero quindi non ha parlato. La cosa strana è
che ora mi saluta tutto carino. Boh... i miracoli
di Step. Forse. Meglio non indagare comunque.
Abbiamo deciso una cosa fighissima io e Step. Prima
tutti a casa con i genitori per il cenone e
poi, dopo mezzanotte, tutti a casa di Step o meglio
del fratello per scartare i regali. Vengono
anche Ele e Marcantonio che stranamente ancora
durano! Stranamente per Ele, che conosco bene, e
stranamente per Marcantonio, che conosco poco.
Comunque, per quello che lo conosco, non credevo
durasse così tanto. Mah! Forse hanno messo in pratica
sul serio lo schema della coppia aperta...
Boh! Meglio per loro. Rileggo adesso quello che
ho scritto e vedo che è pieno di boh, forse, mah. . .
sono diventata troppo incerta? Mah, forse, boh!
Una cosa è sicura. Nella vita è meglio non avere
troppe certezze. Per adesso va... con Step. E va
che è una bellezza!
25 dicembre.
Mi sono svegliata a mezzogiorno e ho fatto una
colazione fantastica, tutto panettone e cappuccino!
Uaooo! Sono troppo felice! Un sacco di gente
dice che le feste di Natale intristiscono...
a me invece piacciono da morire. L'albero con le
lucette, il presepe, la cena tutti insieme e piena
di roba buona. Certo si mette su qualche chilo,
ma dov'è la tristezza? Poi si perdono. Un po'
di movimento e li perdi. E con Step hai voglia a
perdere chili, e quando ingrassi? Che battutaccia!
Speriamo che nessuno lo trovi questo diario.
E poi comunque se adesso per caso tu che lo hai
preso, lo stai leggendo... stai sbagliando tu!
Hai capito fottutissimo/a ladro/a, curioso/a! Comunque
non ci voglio pensare. Ieri sera è stato
tutto bellissimo, troppo! A mezzanotte e mezzo
eravamo tutti a casa del fratello di Step. Paolo,
suo fratello, non c'era. Era andato anche lui
a festeggiare dalla sua donna, una certa Fabiola.
E così eravamo soli. Bellissimo! Marcantonio
ha portato un ed meraviglioso. Café del mar (o
altro) l'ha messo su. Atmosfera perfetta, struggente
ma non troppo, morbida oserei dire. E osa
Gin, osa! Rum, brandy, champagne c'era di tutto.
Ho dato due sorsi dal rum di Step ed ero già ubriaca!
Abbiamo fatto il gioco della bottiglia per
vedere chi scartava per primo. È uscito Marcantonio
e così è toccato a loro. Solo che Marcantonio
ha approfittato del gioco della bottiglia
e "memore" come ha detto lui "dei bei tempi"
quando solo grazie a quella bottiglia si superava
la nostra timidezza. . . si è buttato su Ele.
Avvinghiato tipo polipo. L'ha baciata slinguazzandola
tutta ed Ele rideva, rideva... Stanno benissimo!
Forti davvero! Sono felice per Ele. Bei
regali poi, carinissimi. Ele, sempre esagerata,
gli ha regalato un programma di grafica particolarissimo,
arrivato dall'America e costato un sacco
di soldi (questo me l'ha detto Step che l'aveva
usato quando era stato fuori). Marcantonio
vedendolo è letteralmente impazzito, l'ha abbracciata
e ha iniziato a urlare: "Sei tu la donna
della mia vita, sei tu!". Ele, invece di essere
felice, si è arrabbiata e gli ha detto: "Allora
il tuo amore sì può comprare. . . basta un programma
di grafica!". "Eh no!" ha risposto Marcantonio.
"Non un programma di grafica... un Trambert
xd americano! Eh!" Ele di risposta gli è saltata
addosso. Sono caduti sul divano e hanno cominciato
a lottare. Poi Marcantonio l'ha bloccata
e le ha detto "Non fare così, tu devi essere
più spiritosa, più gentile, più servizievole, ti
dona di più, ti rende più bella, ecco così sei
bella, cioè sei ancora più bella. . .". Insomma l'ha
talmente imbambolata che alla fine a Ele le è pure
piaciuto il regalo! E che regalo! Un vestito
da geisha! Be', certo, in seta, blu scuro, bellissimo,
con la giacca alla coreana, molto elegante.
Ma sempre da geisha è. Ele si è poggiata
la giacca sul petto e si è guardata allo specchio.
Le sono venuti gli occhi lucidi e mi ha detto
piano "Era il mio sogno". Il suo sogno. Essere
una geisha... mah! Tornano i dubbi. Ma sono
passati in un attimo. Anche perché toccava a me.
Ho scartato il regalo che mi ha fatto Step. "No!
Non ci posso credere. Non ho parole." "Che c'è,
non ti è piaciuto?" ha pensato Step. Io l'ho guardato
e ho sorriso. "Apri il tuo..." Step ha iniziato
ad aprire il pacco ma intanto continuava
"Guarda che si può cambiare... Se ti va piccolo
si cambia, eh? O non ti piace il colore?". "Apri,
muoviti" gli ho detto. "No!" Ha detto Step. "Non
ci posso credere!" Mi ha copiato la frase e non
solo quella. Ci siamo regalati due giacche Napapijri
blu scure, identiche, perfettamente identiche...
Mamma... ero senza parole. "È bellissimo!!
Step siamo simbiotici! Cioè ti rendi conto,
abbiamo avuto la stessa idea. Oppure, come al solito,
mi hai seguito?" "Ma di che?" Ho riso un
sacco! Non si voleva far vedere geloso davanti al
suo amico-collega Marcantonio! Come se Ele non
raccontasse a Marcantonio tutto quello che io racconto
a lei. Quindi... morale... tutti sappiamo
tutto di tutti!! ! Ma intanto, che importa? Ci vogliamo
bene! Questo conta! Chiusura serata bellissimo.
Musica, torroncini, chiacchiere per un
po', poi Marcantonio ed Ele se ne sono andati. Mi
tolgo gli stivali, mi stendo sul divano, mi appoggio
a Step e infilo i piedi sotto un cuscino,
al caldo. Posizione da sogno. Parliamo un sacco.
o meglio, parlo un sacco io. Gli racconto degli
orecchini che ho ricevuto dai miei, del regalo di
zio Ardisio, di quello delle zie, di nonna ecc.
Poi quando chiedo a lui come è andata lo sento
indurirsi. Insisto e alla fine, con fatica, scopro
che lui e Paolo hanno cenato con il padre e
la sua nuova donna. Step mi racconta che ha ricevuto
delle scarpe nere da suo fratello, molto
belle, e un golf verde da suo padre, unico colore
che mi dice non sopportare (buono a sapersi!
Meno male! C'era una giacca verde Napapijri. Ma
anche a me, il verde non piace! Fiuuu! È andata
bene... Fortuna simbiotica). Step mi sottolinea
il fatto che il biglietto del regalo suo padre
l'ha fatto firmare anche dalla sua nuova donna.
Cerco di giustificarlo, ma Step non ha dubbi. Ma
chi la conosce quella lì? Tu lo vorresti un regalo
da uno che non conosci? Da questo punto di
vista non ha tutti i torti. Poi, cosa più assurda
(dopo mia lunga insistenza), mi dice che ha
ricevuto anche un regalo da sua madre ma che non
l'ha aperto. E sulla mia battuta "Be' ma tua madre
la conosci, no?" credo di aver sbagliato tutto.
"Pensavo di conoscerla." Oddio. Gli ho rovinato
il Natale. Per fortuna recupero. Con dolcezza,
con tranquillità, con passione, con il tempo...
Abbiamo sentito perfino Paolo che rientrava.
Certo, farlo a Natale va un po' contro i miei
principi, ma mi sentivo in colpa. Be', piccola
giustificazione. Diciamo che è entrato in gioco
un altro lato dell'essere cristiano. Speriamo che
non sia entrato in gioco però nient'altro. Anche
perché dare un natale... proprio a Natale! be',
sarebbe il massimo. Abbiamo riso su questo con
Step. Per fortuna lui si sentiva tranquillo, anche
se ha fatto delle battute sulla scelta del
nome. Facile! Gesù o Madonna, dipende se viene
maschio o femmina. Blasfemo... Anzi, scontato!
Sei scontato come Maria Luisa Ciccone, gli ho risposto.
Comunque il regalo di sua madre non l'ha
aperto.
Capitolo 55.
Cappuccino e cornetto, la cosa più tranquilla che c'è da Vanni.
"Step! Non ci posso credere." Pallina mi corre incontro. Non
faccio in tempo a girarmi che quasi mi rovescia tutto addosso. Mi
abbraccia. Qualcuno ci guarda. Incrocio gli occhi di una signora
riflessi nello specchio davanti a me. Mangia un cornetto e
sospira.
Occhi leggermente lucidi. Fan nostalgica di Carramba che sorpresa!
e di tutte le trasmissioni simili. O è commozione da cappuccino
troppo caldo? Boh.
"Pallina, contegno."
Sorrido abbracciandola. "Ci manca solo che ci propongono di
partecipare a qualche reality show. "
Pallina si stacca e mi guarda. Mi tiene il braccio sui fianchi e
piega la testa un po' di lato.
"Reality show, ma come parli? Step, sei proprio cambiato! Mio
padre direbbe che sei entrato nell'imbuto. "
"Cioè? In che imbuto?"
"Ma guardati, termini tecnici..."
Mi fa fare un mezzo giro e mi riferma davanti a lei sottolineando
il mio stop con una risata. "Vesti quasi alla moda."
"Sì, pure..."
"Be', comunque hai abbandonato il giubbotto boro da pregiudicato
temerario."
"Ma perché..." Mi guardo il giaccone blu scuro che indosso
tranquillo su un paio di jeans e un maglione a collo alto. "Così
non
vado bene?"
"No. Non ci posso credere. Step che cerca conferme! Ahia, siamo
messi male..."
"Si cambia. Ci si modifica, si è più elastici, si ascolta..."
"Allora siamo messi molto male. Sei entrato del tutto
nell'imbuto!"
"Ancora? Ma che vuol dire 'sta storia dell'imbuto?"
"Mio padre paragona la vita sociale a un imbuto appoggiato su
un tavolo. All'inizio ci si aggira liberi nella parte larga senza
pensieri,
senza troppi doveri, senza dover fare ragionamenti, ma poi
quando ci si incammina nell'imbuto, si entra nella parte più
stretta,
allora bisogna andare avanti, le pareti si stringono, non si può
tornare indietro, non ci si può aggirare, gli altri spingono,
bisogna
stare in fila, ordinati! "
"Mamma. Un incubo ! E tutto questo perché ho cambiato giubbotto?
Pensa allora se mi vedi domani."
"Cioè?"
"Abbiamo la puntata in diretta, vestito d'ordinanza: giacca e
cravatta ! "
"No. Non ci posso credere, domani sono qui. E chi se lo perde.
Step in giacca e cravatta! Neanche venissero a fare il concerto
a casa mia Boy George e George Michael e decidessero di venire
tutti e due a letto con me! "
"Va bene tutto, Pallina. Ma mi spieghi il paragone? Due rinomati
gay della musica che attinenza hanno con il fatto che io mi vesta
in giacca e cravatta. Avessi detto una cosa tipo culo e camicia."
"Boh, non lo so. È vero. È strana come attinenza, ci devo
ragionare
su. Ma da 'quel punto di vista' per quanto ti riguarda invece...
non è cambiato niente vero? Perché dicono che in tv, dopo
la moda, c'è la più alta percentuale..."
Per un attimo penso all'incontro che abbiamo avuto sul terrazzo
l'altra sera. Ma è solo un attimo. Rido. È passata. Rido sul
serio.
"No. No. Stai tranquilla. E tranquillizza soprattutto le tue
amiche!"
"Presuntuoso!"
Mi dà una leggera spinta. Chissà se anche lei ha pensato all'altra
notte.
"E di' un po', ma tu cosa fai in questo programma?"
"Quello che ho studiato in America. Loghi, computer grafica,
messa in onda dei titoli di testa, sottopancia dei risultati o
soldi che
si possono vincere. Sai quelle scritte che vedi sotto la faccia di
qualche
presentatore. Be', ecco, io mi occupo di quella roba lì."
"Capirai... tv! Quindi ballerine, vallette, strafighe, bonazze di
tutti i tipi e donne che la danno per lavoro. E quando cambi idea,
anzi, immagino che lì sia un paradiso di conferme..."
"Be', no. Diciamo che quello è il lato più piacevole del lavoro."
Proprio in quel momento passa una delle ballerine. Una... la
più bona.
"Ciao Stefano."
"Ciao."
"Ci vediamo dentro."
"Certo."
Se ne va sorridendo, bella e sicura, con un passo deciso,
tranquillo,
certa delle attenzioni più o meno delicate, dei pensieri, i più
diversi, che accompagnano il suo allontanarsi di schiena.
"Capirai, hai capito tutto."
Pallina è in ottima forma, non perde un colpo.
"E poi... 'Stefano'?! È la prima volta che sento chiamarti
Stefano.
Oddio, sei pure in incognito."
"Sai, Step è troppo confidenziale."
Proprio in quel momento mi sento chiamare. "Step!"
Mi giro. È Gin. Avanza sorridente e solare, bella nella sua
trasparenza
selvaggia. Pallina alza il sopracciglio. "Sì, è vero! Step è
troppo confidenziale!"
Gin arriva e mi bacia veloce sulle labbra. Poi si mette di lato
come a dire: sono pronta per conoscere questa tua amica... Perché
è un'amica, vero? Donne.
"Ehm, sì scusa, ti presento la mia amica Pallina. Pallina questa
è Ginevra. "
"Ciao." Gin le dà veloce la mano. "Chiamami pure Gin."
"Io invece per amici e non, sono comunque Pallina."
Si scrutano per un attimo dal basso verso l'alto, veloci. Poi non
si sa come, né perché, ma per fortuna, decidono di starsi
simpatiche.
Scoppiano a ridere. "Step," fa Gin, "io vado. Non fare tardi
che ti hanno cercato dentro."
"Ok, grazie, arrivo subito."
"Ciao Pallina" la saluta sorridente e si allontana. "Piacere di
averti conosciuto."
Rimaniamo per un attimo in silenzio a guardarla andare via.
Pallina poi curiosa "È un'attrice?".
"No. Ha un ruolo semplice semplice, fa la valletta."
"Cioè?"
"Porta le buste."
"Peccato, è un talento sprecato."
"Che vuoi dire?"
Pallina fa la voce in falsetto "Piacere di averti conosciuto".
"Ma guarda che a Gin magari le stai simpatica sul serio."
"Vedi, sarebbe un'attrice perfetta! Ha fregato anche te."
"Ma sei troppo prevenuta."
"Siete voi uomini troppo sprovveduti. Vedrai se non ho ragione
io. Quando la rivedi?"
Fra poco.
"Ecco allora o starà zitta e farà il muso oppure ti tempesterà di
domande. 'Chi era quella Pallina? Che fa? Da quanto la conosci?'
E preoccupati soprattutto se ti chiede: 'Ma che, c'hai avuto una
storia con lei?'."
"Perché?"
"Perché allora non è solo curiosa... è anche innamorata."
E Pallina si allontana così, come fa lei, come ha sempre fatto,
saltellando.
Raggiunge una sua buffa amica che non conosco e scompare
così. Mi lascia, ancora una volta, semplicemente preoccupato.
Poco dopo sono dentro al Teatro delle Vittorie. Saluto Tony, la
guardia all'entrata e mi guardo in giro cercandola. "Tieni" gli
lancio
il pacchetto. Tony lo prende al volo come il miglior quarterback
di una squadra americana. Tutto bene se non fosse per il fisico e
che di solito sono di colore.
"Ehi, grazie Step. Te ne sei ricordato."
Guarda felice il suo pacchetto di MS.
"Quant'è?"
"Lascia stare, al massimo, se finisco le mie, me ne offri tu
qualcuna."
Falsi tutti e due. Io non fumerei mai una MS neanche se finisco
le mie e ti pare che lui non sa il costo di un pacchetto visto
che, a
quanto vedo, ne fuma quasi due al giorno? Be', comunque mi fa
piacere offrirgliele. In fondo mi è simpatico.
Mi guardo in giro. Forse è andata alla macchinetta della CocaCola
o dei caffè. Non faccio neanche in tempo a guardare. "Se cerchi
Gin, è andata a cambiarsi." Sorride Tony facendomi l'occhiolino.
Oh, non c'è niente da fare. Non sfugge niente a nessuno. A
una guardia poi... sarebbe un controsenso. "Grazie." È inutile
dire
"Ma non cercavo lei" oppure, ancora peggio, "No, veramente
stavo cercando Marcantonio". Non farebbe altro che peggiorare la
cosa.
"Ciao Step, ti ho visto da Vanni che parlavi con una bruna
bassetta."
È Simona, una delle vallette del programma.
"Era Pallina, una mia amica."
"Sì, sì certo... come no! Guarda che lo dico a Gin."
Capirai, peggio di così. Simona si allontana. Proprio in quel
momento arriva Marcantonio. "Ohi, proprio te cercavo, vieni nella
nostra postazione che gli autori ci vogliono parlare."
"Ok! Sono da te tra cinque minuti."
"Due."
"Tre."
"Ok! Non uno di più!"
Marcantonio lancia al volo la sigaretta davanti alla sua
camminata,
la spegne come tocca terra e scompare per uno dei corridoi.
Io non faccio in tempo a girare l'angolo che ci sbatto contro.
Pum,
come una furia. Quasi cade all'indietro, la prendo al volo.
"Gin!... Ma dove corri?"
"Ma niente, per fare un po' di movimento, per tenermi in forma.
Non sono riuscita ad andare in palestra. Anzi a dire la verità...
"
Si avvicina e mi sussurra all'orecchio dopo essersi guardata in
giro
per bene che non ci sia nessuno. "Oggi alla Urbani mi hanno
beccata.
"
"No?"
"Sì. Uno mi è venuto con un foglio vicino e mi ha detto: 'Ma
lei è già venuta a fare la lezione di prova a febbraio e a
giugno?'."
"No!"
"Sì, che te lo devo giurare?"
"No, che c'entra? È che tu non ce la puoi fare..."
"Perché?"
"Non passi mai inosservata..."
"Uhm, che carino! Secondo me hai spifferato tutto tu."
"Io? Ma che, sei matta! "
"No, sei matto tu che mi rispondi pure."
"Ah, senti un po'... " Capirai. Adesso parte con le domande. Lo
sapevo. Pallina ha ragione. Pallina ha sempre ragione.
"Hai visto Marcantonio? Ti cercava, ha detto che avete una
riunione
importante! "
"Sì, grazie. L'ho incontrato prima."
La guardo e sorrido. Gin fa per andare e la fermo.
"Non mi devi dire niente altro?"
"No, perché? Ah, sì..."
Ecco lo sapevo. Pallina non può non avere ragione. Gin mi
guarda di traverso, fa un occhio come a dire allusivo. Ecco che
parte,
lo sapevo... "Stasera c'è mio zio a cena e quindi purtroppo...
dopo
non possiamo fare le nostre 'prove generali'."
"Ah! " Rimango deluso. Non tanto per le prove quanto per la
sua non curiosità.
"Che c'è?" Mi guarda incuriosita.
"No, niente..."
"Step... Ricordati gli occhi."
"Cioè?"
"Non devi mentire, stai mentendo."
"No, cioè sì. È che mi chiedevo..."
"Sì, lo so... Ma come mai Gin non mi chiedi 'Ma chi era quella?
Ma come la conosci... Ma che c'hai avuto una storia', giusto?"
Si... giusto.
"Ma è scontato. Primo, qualunque persona sia, cosa importa?
Vuoi stare con me? Quello è importante. Secondo, potresti
dirmelo...
come non dirmelo... qualunque storia ci sia. Quindi perché
rischiare con i tuoi occhi? Una cosa è sicura, tu le piaci."
"Io? Ma è la ragazza del mio amico." E mi viene quasi naturale
usare il presente per il mio amico Pollo e questo mi fa star
meglio.
"Tu le piaci, Step, fidati! Magari ci ha anche provato. Ricordati,
donna vede donna. Fidati Step. A me poi, a volte, purtroppo devo
dire, non mi sfugge niente."
Si allontana così cercando di rimediare con una corsa veloce alla
sua palestra mancata. È vero, Gin. A te non sfugge niente. Be',
andiamo a questa riunione di autori. Ah, e un'altra cosa. Pallina
non ha sempre ragione.
Entro nella nostra stanza appena in tempo per vedere la scena.
Renzo Micheli, il Serpe, è in piedi davanti a Marcantonio. Ha dei
fogli in mano e li agita in perfetta sintonia con la sua voce.
Agitata.
Sesto e Toscani, il Gatto & il Gatto, sono lì dietro accovacciati
che se la ridono in silenzio lanciandosi ogni tanto delle occhiate
divertite
da non si sa poi cosa.
"Hai capito? Non toppare più. Non ti devi permettere di sbagliare.
Non puoi permettertelo. Se ti dico una cosa, è quella. I risultati
vanno dati in ordine da sinistra a destra e non incolonnati. "
"Ma siccome con Romani non si era parlato di come renderli
visivi, ho pensato..."
Micheli, il Serpe, lo interrompe al volo. "Ecco l'errore. Ho
pensato!
Lo sapevo che ti eri spinto oltre, ma non capivo dove. Tu devi
eseguire e bene. Non ti azzardare a pensare!"
E così dicendo, Micheli, il Serpe, gli lancia i fogli ancora caldi
di stampa in faccia. "Tie', rifalli e fammeli vedere!"
Marcantonio riesce a parare i primi fogli, ma gli altri gli
arrivano
sul viso e, come una violenta pioggia cartacea, si aprono a
ventaglio.
Toscani, con il suo solito stecchino in bocca, finge uno strano
stupore divertito. "Ohh."
Poi, non soddisfatto, lecca lo stecchino come fosse un Chupa-
Chups. Sesto, poggiato a un tavolo poco distante si alza curioso
di
vedere come reagirà Marcantonio. Ma niente. Non accade niente.
Micheli aspetta ancora un attimo. Poi "Andiamo va'..." Sembra
quasi dispiaciuto di non ottenere risposta a quella sua
provocazione.
Quei semplici fogli di carta, come guanti di seta di uno
spadaccino
appartenente al passato, non hanno ottenuto risposta nel
loro schiaffeggiare. Marcantonio raccoglie qualche foglio sparso
sul suo tavolo. Renzo Micheli, seguito da il Gatto & il Gatto, fa
per
uscire dalla stanza quando trova me sul suo passaggio. È un
attimo.
Un'esitazione. Mi guarda alzando il sopracciglio, stringe un
po' gli occhi come a dire: vuoi risponderne tu per caso? Ma è solo
un attimo. Mi sposto di lato lasciandoli passare. Quegli strani
padrini
di un duello andato a male escono divertiti dalla stanza. Subito
dopo mi chino per raccogliere i fogli sparsi tutto intorno, per
spezzare quel fastidioso silenzio, per dare una mano, lì dove
posso,
a Marcantonio. Sarebbe stato assurdo decidere al posto suo di
reagire a quella inutile sfida. È Marcantonio ad aiutarmi a
uscirne.
"E così, caro Step, oggi hai imparato un'altra lezione. A volte,
sul lavoro, la tua forza, le tue ragioni devono essere messe da
parte
quando incontri il potere... Litigare con Micheli sarebbe come
cancellarsi, buttare a fiume un'ipoteca sul futuro. Sarà lui il
dopo
Romani."
Cominciano ad annebbiarsi le sue parole.
"E io, sai, ora ho comprato una casa, ho il mutuo e... non sono
più il nobile di una volta... Insomma lì era diverso."
Faccio cenno di sì con la testa. Continuo a fingere di ascoltare.
Pezzi di parole un po' ciancicate. Una strana giustificazione
incollata
lì, nell'aria, alla meglio. Sembrano quelle lettere di giornale,
diverse
fra loro, incollate e poi spedite per chiedere il riscatto che
deve
essere pagato. Ma io non ho quei soldi. Io non posso fare niente.
Raccolgo gli ultimi fogli, li batto sul tavolo e li poggio lì,
delicatamente.
Poi con un "Certo Marcantonio, ti capisco, hai ragione..."
esco di scena con un "Sì, forse anch'io avrei agito in quel
modo..."
lasciando così, con quel forse, un dubbio rassicurante in lui,
un piccolo spazio per la sua dignità. Gin non avrebbe avuto dubbi.
Lei avrebbe scoperto subito la mia bugia. Forse. Magari! Magari
mi tirassero i fogli in faccia, tutti e tre, insieme. Non aspetto
altro. Mi stanno sul cazzo. E cullando questo piccolo sogno mi
allontano.
Chiudo la porta e mi metto gli occhiali. Poi mi viene da
ridere. Che stupido, non c'è mica Gin.
Capitolo 56.
Entro a casa e poggio la borsa. Mi levo la giacca e sento Paolo
di là che sta chiacchierando. Sarà con qualcuno o è la
televisione?
Paolo arriva sorridente verso di me. " Ciao.. .c'è una sorpresa. "
Non
è la televisione. C'è qualcuno. Poi all'improvviso compare.
Incorniciata
dallo stipite della porta del salotto, con un po' di luce della
finestra alle sue spalle che le rende i contorni più sfuocati ai
miei
occhi, così delicata visione, forte e presente invece nella mia
vita,
in tutta la mia vita passata. Mia madre. Mamma.
"Ho preparato qualcosa se hai fame, Step." Dice Paolo prendendo
il giaccone dall'armadio e infilandoselo. "È tutto lì sul tavolo,
se hai fame." Ribadisce, preoccupato di quella situazione.
Non so se è nel dubbio che io abbia fame o nell'avermi servito
quel piatto che magari non mi andava in quel momento. Incontrare
mamma. Forse non ne aveva voglia, potrebbe aver pensato
o forse no. Ma è un attimo. Paolo è uscito lasciandoci così, soli.
Soli come siamo sempre rimasti da quel giorno. Almeno io. Solo
senza di lei. Senza la madre che mi ero disegnato prendendo spunto
proprio da tutti i suoi racconti, da quelle favole che mi aveva
letto da piccolo, da tutte quelle storie che mi aveva raccontato
vicino
al mio letto dove io, con appena poche linee di febbre, amavo
rifugiarmi rannicchiandomi in quel calore, quello delle coperte
e il suo. Sapendo che lei era lì, vicino a me, a raccontare, a
tenermi
la mano, a sentirmi la fronte, a portarmi un bicchier d'acqua.
Quel bicchier d'acqua... Quante volte, pur di averla vicino ancora
un secondo, sul limite dell'addormentarmi le avevo chiesto
quell'ultimo favore, per vederla rientrare ancora una volta,
incorniciata
da uno stipite di un'altra porta, di un'altra casa, di un'altra
storia... Quella con mio padre. E questo splendido disegno
proprio da lei creato, pieno d'amore, di favola, di sogni, di
incanto,
di luce, di sole... Puff, cancellato in un attimo. Averla scoperta
lì, a letto con uno. "Ciao mamma..." Uno qualsiasi, uno
sconosciuto,
un uomo diverso da mio padre con la mia stessa madre
e da allora buio. Buio completo. Sto male. Mi siedo al tavolo,
dove
i piatti sono già preparati. Non vedo neanche cosa c'è e solo
all'idea di mangiare mi viene da vomitare. Ma è la mia unica fuga.
Calma Step. Passerà. Tutto passa. No, non tutto. Con lei il dolore
non è ancora passato. Quel bicchier d'acqua... Calma Step.
Sei cresciuto. Bevo un po' d'acqua. "Allora, so che stai
lavorando...
sei felice?" Felice? Detta da lei questa parola mi fa venire da
ridere. Ma non lo faccio. Rispondo qualcosa così come alle altre
sue domande. "Come sei stato in America? Hai avuto problemi?
Ci sono molti italiani? Pensi di tornarci?" Rispondo. Rispondo a
tutto più o meno bene credo, cercando di sorridere, di essere
gentile.
Proprio come mi aveva insegnato lei. Gentile.
"Guarda, ti ho portato questi."
E tira fuori qualcosa da una borsa, non quella che le avevo
regalato
io quella volta a Natale o per il suo compleanno, quand'era
non mi ricordo. Ma mi ricordo che quella borsa la trovai lì, sulla
poltrona di quella casa. In salotto... il letto di un altro che
ospitava
lei, la mia mamma. Ospitava. Ospitava. Ospitava. Basta Step.
Smettila, smettila.
"Li riconosci? Sono i morselletti che ti piacevano tanto."
Sì. Mi piacevano tanto. Mi piaceva tutto di te, mamma. E ora
per la prima volta, dopo averla più volte guardata, la vedo di
nuovo.
Mia madre. Sorride con questa piccola busta trasparente tra le
mani. La posa leggera sul tavolo e mi sorride di nuovo piegando la
testa di lato. Mia madre. Ha i capelli più chiari ora. Anche la
pelle
sembra più chiara. Lei, delicata come sempre, sembra ancora più
fragile. Dimagrita. Ecco, sembra dimagrita e la pelle leggermente
increspata da un vento leggero. E gli occhi. I suoi occhi un po'
appannati
è come se avessero un po' di luce in meno. È come se qualcuno,
cattivo con me, avesse girato di poco quell'interruttore tenendo
in penombra il nostro amore. Il mio amore. Bevo un altro
po' d'acqua.
"Sì, me li ricordo. Mi piacevano tantissimo."
E uso il passato senza volerlo, senza sapere, con la paura che
perfino quei semplici biscotti abbiano perso quel sapore che mi
piaceva tanto.
"Hai aperto il mio regalo?"
"No, mamma." Non riesco a mentirle. Ancora adesso non riesco
a dirle una bugia. E non è solo la paura di essere scoperto... Mi
viene in mente Gin e la storia degli occhi. Per un attimo mi viene
da sorridere. Ed è un bene.
"No, mamma, non l'ho fatto,"
"Non è educato, lo sai."
Ma non aspetta la mia richiesta di perdono, non ce n'è bisogno.
Il suo sorriso mi fa capire che è tutto a posto, è già passato, e
lei non me lo fa pesare.
"E un libro e vorrei tanto che tu lo leggessi. Ce l'hai qui?"
"Sì."
"Allora prendilo."
E le sue parole sono così cortesi che non riesco a non alzarmi,
andare in camera mia e tornare subito dopo con quel pacchetto,
poggiarlo sul tavolo e scartarlo. "Ecco. È di Irwin Shaw.
Lucy Crown. È una storia molto bella. Mi è capitato per caso
sottomano.
E mi ha colpito molto. Se hai tempo, vorrei che tu lo leggessi."
"Sì, mamma. Se ho tempo lo farò."
Rimaniamo per un po' in silenzio e, anche se è solo un attimo,
mi sembra lunghissimo. Abbasso lo sguardo, ma anche la copertina
del libro non mi aiuta a far passare quell'infinità. Piego la
carta
del regalo, ma anche quello non fa che aumentare il peso dei
secondi
che sembrano non passare mai. Mia madre sorride. Mi aiuta
lei finalmente a superare quella piccola eternità.
"Anche mia mamma piegava sempre la carta dei regali che riceveva.
Tua nonna." Ride. "Forse hai preso da lei." Si alza. "Be',
io vado..."
Mi alzo anch'io. "Ti accompagno."
"No... non ti disturbare."
Mi dà un bacio leggero sulla guancia, poi sorride.
"Ce la faccio. Ho la macchina qua sotto."
Va verso la porta ed esce di spalle, senza più girarsi. Mi sembra
stanca e io mi sento sfinito. E non trovo più tutta quella forza
che mi
è sempre sembrato di avere. Quel bacio, forse, non era così
leggero.
Capitolo 57.
Poco più tardi.
"Oh, stavo proprio pensando a te... siamo simbiotici! Sul serio
ti stavo per telefonare! " Gin è disarmante sempre così allegra.
"Dove sei?"
"Qui sotto. Mi apri?"
"Ma ho appena finito di mangiare, c'è ancora mio zio. E poi
che fai, vuoi venire a casa, presentarti ai miei, approfittare che
c'è
anche mio zio per chiedermi qualcosa?" Ride allegra.
"Dai Gin, inventati qualcosa. Che ne so... che devi ritirare il
bucato su in terrazzo, che devi andare a prendere qualcosa dalla
tua amica al piano di sopra, che devi fuggire con me, di' anche
questo
se vuoi, ma liberati... Ho voglia di te."
"Non hai detto ho voglia di vederti, hai proprio detto 'ho voglia
di te'?"
"Sì, e confermo!" Mi sembra di essere uno dei partecipanti a
quegli stupidi quiz. Spero di non aver sbagliato la risposta. Gin
fa
una pausa lunga. Troppo lunga. Forse ho sbagliato la domanda.
"Anch'io ho voglia di te."
Non aggiunge altro e sento aprire il portone. Non prendo
l'ascensore.
Salgo su le scale veloce come un fulmine fino all'ultimo
piano, senza fermarmi, a volte addirittura a quattro a quattro. E
quando arrivo si apre l'ascensore. È lei. Simbiotici anche in
questo.
Mi tuffo sulle sue labbra e cerco lì il mio respiro. Baciandola
senza tregua, non facendola respirare. Le rubo la forza, il
sapore,
le labbra, le rubo anche le parole. In silenzio. Un silenzio fatto
di
sospiri, della sua camicetta che si apre, del gancio del suo
reggiseno
che salta, dei nostri pantaloni che scendono, della ringhiera che
si muove, di lei che ride facendo "Shh" per non farci sentire, di
lei
che sospira per non farmi venire. Non subito almeno. E strane
posizioni
in quella trappola di gambe, in quel groviglio jeansato che
mi eccita di più, che mi affascina, che mi fa morire. Smettere per
un attimo e in ginocchio, sul freddo marmo del pianerottolo,
baciarla
tra le gambe. Lei Gin, cowgirl stranamente scomposta, mima
un rodeo tutto suo per non cadere dalle mie labbra. Per poi
cavalcarla
di nuovo e correre insieme, noi stupidi, selvaggi, appassionati,
cavalli innamorati tenuti a terra da una ringhiera di ferro.
Vibra in silenzio come la nostra passione. Per un attimo sospesi
nel
vuoto. Rumori lontani. Rumori delle case. Una goccia che cade. Un
armadio che si chiude. Dei passi. Poi più niente. Noi. Solo noi.
La
sua testa indietro, i suoi capelli sciolti, abbandonati in caduta
nella
tromba delle scale. Si muovono frenetici, quasi vorrebbero
saltare,
come il nostro desiderio. Ma un ultimo bacio ci fa venire giù
insieme, tornare a terra proprio mentre l'ascensore viene
chiamato.
"Shh" lei ride accasciandosi per terra. Quasi stremata, sudata,
bagnata e non solo di sudore. Con i capelli che si attaccano al
viso
e ridono con lei. Ci abbracciamo così uniti, pugili suonati,
spompati,
sfiniti, accovacciati a terra, vinti. Nell'attesa di un inutile
verdetto:
pari ai punti... Sorridendo ci baciamo. "Shh" fa ancora lei.
"Shh." Si bea di quel silenzio... Shh. L'ascensore si ferma a un
piano
più sotto. I nostri cuori battono veloci e non certo per paura.
Mi nascondo tra i suoi capelli. Mi appoggio al suo morbido collo.
Mi riposo tranquillo. Le mie labbra stanche, felici, soddisfatte
in
cerca solo di un'ultima risposta.
Gin...
"Sì?"
"Non mi lasciare."
E non so perché. Ma lo dico. E quasi mi pento. E lei rimane
per un po' in silenzio. Poi si scosta da me. E mi osserva curiosa.
Poi
lo dice piano, quasi sussurrandolo.
"Hai buttato la chiave del lucchetto nel fiume."
Poi morbida tiene la mia testa tra le mani e mi guarda. Non è
una domanda. Non è una risposta. Poi mi dà un bacio e un altro e
un altro ancora. E non dice più niente. Mi continua solo a
baciare.
E io sorrido. E accetto volentieri quella risposta.
Capitolo 58.
Un pomeriggio caldo, stranamente caldo per essere dicembre.
Il cielo azzurro, intenso come quelle giornate in montagna dove
non vedi l'ora di sciare. Solo che io devo lavorare. Sono entrato
nell'imbuto
come dice Pallina, ma è l'ultima puntata o meglio l'ultimo
giorno di prove prima dell'ultima puntata. Eppure mi sembra
un giorno particolare. Sento qualcosa di strano e non capisco
perché.
Sesto senso forse. Ma non avrei mai potuto immaginare.
"Buongiorno Tony..."
"'Giorno Step."
Entro frettolosamente nel teatro. Un gruppo di fotografi più o
meno scalcagnati, dalle macchine fotografiche più diverse così
come
i loro vestiti, mi taglia la strada. Non sono certo come quei
precisi
gruppi di giapponesi che si incontrano per le piazze di Roma.
A loro non sfugge nessuna immagine.
"Di là, è andata di là... presto, che la becchiamo."
Rimango interdetto e Tony questo, naturalmente, non se lo fa
scappare.
"Stanno a insegui' la Schiffer. È arrivata prima perché deve
prova'
l'entrata dal palcoscenico. Che poi che c'avrà da prova', è una
camminata, manco ci so' le scale. Che deve prova', è una vita che
cammina. Boh! Forse è pe' giustifica' i soldi che prende, mortacci
sua.
E già che c'è Tony aggiunge: " Aho, se cerchi Gin è andata su
proprio
nel camerino vicino alla Schiffer. L'ha chiamata uno degli autori.
Magari la fa entra' con la Schiffer. Metti che impara a cammina'
bene pure lei, sai i soldi che se fa. Altro che camminate...
vannate a
fa' subito il giro del mondo. Viaggi gratis pure te e con
l'autista."
Tony. Ride un po' sguaiato inciampando in una strana tosse tutta
fumo e niente salute. Ciò nonostante si accende al volo un'altra
MS, buttando via il pacchetto finito. Era quello che gli avevo
portato
ieri o uno nuovo? Cosa importa. Ah, se non importa a lui. Be',
meglio che vado a vedere come sta Marcantonio e come va il nostro
lavoro. Quello, se non altro per contratto, mi dovrebbe
interessare.
Eccolo là. Seduto al computer, concentrato. Lo guardo da
lontano attraverso la porta semiaperta. Poi sorride tra sé, spinge
un
tasto, dà l'invio alla stampa e soddisfatto si accende una
sigaretta
giusto in tempo per vedermi arrivare.
"Ehi, Step, ne vuoi una?" Be', almeno lui a differenza di Tony
la offre e non sembra star poi così male.
"No grazie."
Richiude il pacchetto. "Meglio così! " Se lo infila nella tasca
del
suo giubbotto e si alliscia i pochi capelli che ha ai lati della
testa
portandoli all'indietro. "Ce l'ho fatta... Sono riuscito a
impostare
tutto proprio come volevano."
"Ah, bene." Mi accorgo che evita volutamente di dire come volevano
gli autori, ma non è il caso di farglielo notare. Se non altro
perché mi ha offerto la sigaretta. Rimaniamo per un attimo in
silenzio
a guardare i fogli che escono dalla stampante. Vrrr. Vrrr. Uno
dopo l'altro. Precisi, puliti, ordinati. Colori chiari e leggeri,
perfettamente
leggibili, proprio come volevano, immagino. Marcantonio
aspetta l'uscita dell'ultimo foglio, poi li prende delicatamente
dalla macchina e ci soffia sopra leggero per far asciugare
quell'ultimo
inchiostro appena stampato.
"Ecco fatto. Mi sembrano perfetti."
Mi guarda cercando approvazione. "Sì, credo di sì."
Non è che non ne sono poi tanto sicuro. Il lancio di quei fogli
in faccia a Marcantonio mi ha tolto completamente qual era la
ragione
della discussione.
"Sì, perfetti!"
Mi limito a dire cercando così di uscirne in qualche modo. Ma
non basta. Non è sufficiente, purtroppo.
"Senti Step, mi fai un favore? Puoi portarli tu di sopra agli
autori?"
È riuscito a pronunciarla quella parola finalmente. Ma è una
vittoria, come si dice? Di Pirro! Perché comunque tocca a me
affrontarli.
Che palle! Ma non posso tirarmi indietro. Ormai sono
nell'imbuto. Eh già. E poi mi ha chiesto un favore Marcantonio, il
mio maestro. Come posso dirgli di no.
"Certo, figurati."
Mi guarda sollevato. Mi passa i fogli e mentre esco dalla stanza
si ributta indietro sulla sedia, spegne la sigaretta e se ne
accende subito
un'altra. Che palle! Di una cosa sola sono sicuro. Fuma troppo.
Be', lo devo fare. Non c'è niente di più bello di una cosa che
devi
fare. Devi, prima legge dell'imbuto. Sto iniziando a odiarlo
'st'imbuto.
Tony mi saluta con il suo solito sorriso divertito. Sempre lo
stesso, ogni volta che passo. Ma fosse che Tony non fuma solo MS?
Dove ha detto che sono gli autori? Ah sì, al primo piano, dove c'è
anche il camerino della Schiffer. Faccio veloce le scale. Eccoli.
I fotografi
sono tutti seduti o meglio stravaccati su piccoli divani sbiaditi.
Aspettano l'uscita della diva nell'ipotesi di poterla sorprendere
struccata ma pur sempre bella. Tutto per poter dare un po' più
di valore alle loro eventuali foto rubate. Strano mestiere.
Faticoso e
ferocemente legato a troppe ipotesi. Quando arrivo non mi degnano
neanche di uno sguardo, giustamente. Solo un fotografo, o meglio
una lei, mi dedica un attimo della sua semplice attenzione.
Curiosità
femminile forse. Ma neanche quella è sufficiente per risollevare
in qualche modo la macchinetta fotografica che le penzola annoiata
dal collo. Meglio. Già mi pesa portare quei fogli. Sicuramente
gli autori avranno qualcosa da dire. Ci manca solo l'interesse di
qualcun
altro. Mi guardo in giro cercando dove saranno. "Schiffer." La
scritta, perfettamente stampata a caratteri grossi da una laser
write,
risalta nitida sulla prima porta. La seconda porta è priva di
indicazioni.
La scelta mi viene abbastanza naturale. Busso. Non sento risposta.
Dopo qualche secondo la apro. Niente. Silenzio. Se non il
fatto che compare un piccolo corridoio. In fondo un'altra porta.
Stesso tipo, stesso colore. Avanzo con i fogli tra le mani. Forse
sono
laggiù. In quell'altra stanza. Be', visto che ci sono, tanto vale
provare.
Ma mentre mi avvicino sento un rumore. Uno strano rumore.
Qualche risata soffocata. Poi dei movimenti disordinati, sordi,
ribelli.
Come calci scoordinati di un bambino sollevato in aria che
cerca di colpire un pallone sotto i suoi piedi. Ma quel pallone è
troppo
lontano per dargli il piacere di quel tiro. E così apro la porta.
Senza bussare. Semplicemente maleducato. Ma mi viene spontaneo.
Così come mi sembra irreale quello che vedo. Toscani tiene
abbracciata
Gin da dietro. Sesto è appoggiato a un tavolo con il suo
solito stecchino in bocca e sorride divertito dalla scena, Micheli
è
davanti a Gin e si muove con uno strano tempo. Poi d'improvviso
metto meglio a fuoco la scena. Gin ha la camicetta strappata. Il
suo
seno è nudo, scoperto da un reggiseno finito di traverso. Ha un
pezzo
di scotch da pacchi sulla bocca. Toscani la sta leccando sul collo
con la sua lingua rasposa. Micheli, il Serpe, ha i pantaloni
aperti
davanti, l'uccello di fuori e si sta masturbando. Gin, con i
capelli
bagnati dal sudore per la lotta, si gira all'improvviso verso di
me. È
disperata. Mi vede. Sospira. Sembra avere un attimo di sollievo.
Toscani
incrocia il mio sguardo e smette di leccarla. La sua lingua rimane
sospesa nell'aria come la sua bocca aperta. Sesto non è da meno.
Assume un'aria sbigottita e anche lui apre la bocca. Il suo
stupido
stecchino rimane così sospeso a mezz'aria, appeso al labbro
inferiore.
Finalmente quei fogli hanno una loro ragione. È un attimo.
Li scaglio con forza in faccia a Sesto, l'unico che potrebbe
intervenire
per primo. Lo prendo in pieno. Cerca di evitare il colpo. Scivola
dal tavolo. Finisce per terra. Micheli, il Serpe non fa in tempo
a girarsi. Lo colpisco con il pugno chiuso da destra verso
sinistra
con il braccio aperto come per allontanarlo. Lo prendo in pieno
vicino
alla trachea. Vola all'indietro finendo a gambe all'aria con uno
strano rantolo. Mentre il suo uccello timido si ritrae subito. Si
vergogna
perfino di aver tentato di mettere in scena quella ridicola
erezione.
Toscani smette di abbracciare Gin. In un attimo sono su di
loro. La libero definitivamente strappandole dalle labbra il pezzo
di scotch. "Stai bene?"
Muove su e giù la testa come per dire sì, con le lacrime agli
occhi,
con le sopracciglia aggrottate. Le labbra le tremano in un
disperato
tentativo di parlare. "Shh" le faccio io. La allontano
gentilmente,
la sospingo con dolcezza verso la porta d'uscita. La vedo
andar via, così di schiena. Intuisco che si sta rimettendo a posto
il
reggiseno. Si sistema la camicetta. Riordinando le idee per quello
che le è possibile. Vuole trovare un posto per il suo dolore.
Cerca
di piangere. Ma non ci riesce. Comunque non si gira indietro. Si
allontana semplicemente. Incerta sui suoi passi, traballante sulle
gambe, pensierosa sul da farsi. Per quanto mi riguarda io, invece,
non ho dubbi. Pum. Mi giro di scatto e colpisco Toscani con una
violenza che non pensavo di avere. Lo prendo in piena faccia, da
sotto, colpendo il labbro, il naso, la fronte, strusciandolo
quasi, ma
poggiandoci tutto il mio peso, tutta la mia rabbia. Finisce contro
il
muro e non fa in tempo a fermarsi che gli sono addosso. Dritto per
dritto con il mio piede destro in piena pancia, levandogli il
respiro,
dandogli appena il tempo di cadere giù per poi prendere una
corta rincorsa ma piena di potenza e colpirlo quasi come una palla
al rimbalzo. Pum. In piena faccia. Come un calcio di rigore, come
il miglior Vieri, o Signori, o Ronaldo e tutti gli altri insieme,
tutti,
senza escluderne nessuno. Con un unico urlo e una minaccia. È
un rigore da non sbagliare. Pum. Di nuovo. Contro il muro. Gli si
spappola la guancia. C'è una schizzata di sangue meglio di
qualsiasi
rabbioso interprete della più sudicia pop art. Scavalco Micheli
che ancora rantolando sta recuperando fiato. Gli sorrido
involontariamente.
Gusto il fatto che si stia riprendendo. Deve essere in
forma per quello che naturalmente decido di tenermi come gran
finale. Poi sono da Sesto. Si copre la faccia con tutte e due le
mani
sperando in chissà quale miracolo... Che però non avviene. Pum !
Lo colpisco con il destro, largo, bello, teso, aperto. Da destra
verso
sinistra con tutto il peso del mio corpo. Pum! Di nuovo. Lì, sul
suo orecchio, con una violenza tale che mi sorprendo che non
salti.
Ma poi mi tranquillizzo. Bene, sanguina. E lui stupido, sorpreso,
ancora incredulo, si toglie le mani dal viso, le porta davanti ai
suoi occhi. E le guarda senza volerci credere, cercando chissà
quale
assurda spiegazione a quel dolore, a quel sangue, a quel rumore.
Ma non fa in tempo a realizzare niente. Pum! Ora è libero il suo
volto. Pum. Pum. Uno dopo l'altro gli piazzo una serie di colpi in
faccia. Uno dopo l'altro, dritto per dritto senza tregua, sugli
occhi,
sul naso, sulle labbra, sui denti, sugli zigomi, pum! Pum! Pum!
Uno dopo l'altro, sempre più veloce, sempre più veloce, sempre
più veloce, come un pazzo, come uno normale. Pum! Pum! Pum!
Sono i miei colpi che lo tengono su, che sostengono quel viso che
si sta smaciullando. Pum! Pum! Pum! E non provo dolore e non
provo pietà e non sento più niente se non il piacere. Non capisco
più a chi appartiene tutto quel sangue tra le mie mani. Sorrido.
Mi
fermo. Respiro. Mentre lui si accascia come un sacco morto.
Scivola
giù, floscio, inebetito, forse felice a sua insaputa di esserci
ancora.
Forse. Ma è un dettaglio. Poi lo vedo per caso. Mi sembra la
giusta chiusura. Mi piego, lo prendo tenendolo tra le dita con
disgusto
e disprezzo. E pum. Gli pianto il suo stecchino su quello che
è rimasto del suo labbro inferiore. Non faccio in tempo a girarmi.
Strash. Mi arriva da dietro una sedia. Mi prende in pieno sulla
nuca.
Sento solo il botto. Mi giro. Micheli è in piedi davanti a me. Ha
ripreso fiato. Alle sue spalle sono comparsi tutti quei fotografi
inutili.
Famelici, ravvivati, increduli, quasi slinguettano assatanati su
quell'imprevisto piatto caldo appena servito. Agitano voraci le
loro
macchine fotografiche inondandoci di flash. Avranno visto Gin
andar via. L'avranno vista sconvolta, con la camicetta strappata,
in
lacrime. Ma l'hanno vista andar via. Questo mi fa star meglio.
Strabuzzo
gli occhi, cerco di rimettere a fuoco dopo il colpo appena
ricevuto.
Giusto in tempo. Vedo arrivare di nuovo la sedia. Mi piego
d'istinto facendola passare sopra la mia testa. Fshhh, è un
attimo.
Sento un vento leggero appena sopra i miei capelli. Schivata.
Di poco ma schivata. Mi rialzo di botto bloccandogli il braccio,
gli
stringo il polso facendogli cadere la sedia e poi lo tiro a me
andandogli
incontro di testa. Pum! Una capocciata perfetta, in pieno
sul naso, spaccandoglielo. La raddoppio al volo. Pum. Sul
sopracciglio.
E di nuovo. Pum. In pieno viso. Si accascia sotto i flash
dei fotografi che continuano imperterriti a scattare. Micheli è lì
per
terra. Preso dalla foga, dalla sua idea secondo lui geniale di
colpirmi
con una sedia, non ha pensato minimamente a nascondere quello
stupido arnese che lo ha spinto a fare tutto questo. Ha ancora il
suo uccello di fuori. Il mandante di quello sporco attentato
andato
a male penzola grinzoso tra degli inutili pantaloni grigi. Come
se bastasse un po' di flanella a dargli eleganza. E io non ho
dubbi.
È lui il vero colpevole. E allora è giusto che paghi. Non aspetto
altro.
Mi preparo. Come quel tiro da fuori. Sta per scadere il tempo.
Il pivot è fermo con la palla in mano. È l'ultima partita di
basket,
decisiva per la vittoria del campionato. E improvvisamente lui
tira...
O come un saltatore che si prepara per l'ultimo salto. Ondeggia
sui suoi passi, cerca di trovare il tempo giusto dentro di sé, di
battere il record del saltatore precedente. O più facilmente come
la campana, quel puro gioco da cortile, dove dopo aver lanciato un
sasso bisognava saltellare in maniera corretta lungo un difficile
percorso.
O come in Gunny... "Sta' attento a quello che cerchi, potresti
trovarlo..." Ecco, voi avete trovato me. Non ho dubbi e senza
scagliare la prima pietra, io mi preparo, mi elevo e salto,
andando
a tempo con i flash dei fotografi. Me ne frego. Pum! Ci salto
sopra
e ancora pum. Pum. Di tacco, al centro mentre Micheli si dimena
e quel buffo arnese tra le sue gambe si accartoccia sempre di
più. Pum, ancora, senza pietà, schiacciando con il peso
quell'uccello
approssimativo ormai spezzato delle sue eventuali ali. Pum,
sanguina l'uccello o quello che ne rimane... Prendo la rincorsa e,
pum, chiudo così, in perfetta sintonia con gli ultimi flash dei
fotografi
disintegrandogli le palle, sempre che uno che agisce così ce le
abbia sul serio. Ma io nel dubbio preferisco mettermi al sicuro.
Non
sia mai che uno come Micheli possa generare un altro verme di
quella stirpe... E così per sigillare la chiusura di questo
incontro-
scontro, sono fortunato. D'altronde era la stanza degli autori.
Usarla
fa parte del loro mestiere. La vedo. Piccola, rossa, di ferro.
Richiama
la mia attenzione quasi lampeggiando. La prendo. Mi piego
su Micheli. Qualche flash mi accompagna curioso. Cosa vorrà
fare? E allora li accontento. Clack! Un'unica stretta. Con forza,
determinata,
precisa, perfetta. Micheli urla come un pazzo, mentre
quella cucitrice sigilla del tutto la voglia di quello stupido
uccello
di uscire ancora fuori a fare cucù. Micheli si accascia. Cerca
disperato
tra le sue gambe cosa è rimasto di quell'improbabile araba
fenice. E non riesce a darsi una risposta. Ma come? La mia
cucitrice...
Ribellarsi così proprio a me! A me che sono un autore. Già.
Sorrido uscendo. Ma io no. Io non sono un autore. E uso la
cucitrice
"a cazzo"... Tanto per rimanere in tema. Fotografi preoccupati
si spostano lasciandomi passare. Sorrido divertito a qualche
flash. La fotografa, che prima mi aveva guardato leggermente
incuriosita,
mi dedica ora tutta la sua attenzione. È affascinata dallo
scoop. Poi torna subito professionale a immortalare la scena.
Fa un'ultima foto. Ma è diventata troppo per lei. Vomita
appoggiandosi
alla porta. Qualcuno si sposta. Qualcuno riesce a farmi
una foto da vicino. Già vedo in grande il titolo di un ipotetico
gazzettino:
"Ultima notizia. Step è uscito dall'imbuto!". Sì. Bravi. È
proprio così. E ne sono felice. Poi esco di scena.
Capitolo 59.
Non faccio in tempo a scendere giù. La notizia è arrivata prima
di me. Una strana agitazione ha reso febbrile il teatro. Sembra di
essere
in una improvvisa diretta. Tutti corrono da qualche parte.
Curiosi,
impazziti, urlando, smaniosi di sapere, già padroni di una storia.
La colorano come meglio credono, aggiungendo notizie,
ingrandendola,
cambiandone la partenza, la fine. "Hai saputo?" "Ma
che è successo?" "Una rissa, un marocchino... un polacco... i
soliti
albanesi... una guardia ha sparato... Ci sono feriti? Tutti! "
Chiedo di
Gin. Una ragazza mi dice che è andata a casa. Meglio. Vado verso
l'uscita. Tony mi viene incontro. Sembra agitato anche lui. Lo
deve
essere sul serio, visto che non ha la sigaretta in bocca.
"Vai via Step. Sta arrivando la polizia."
Sembra l'unico ad aver capito qualcosa. "Comunque sia, hai
fatto bene. Mi sono sempre stati sul cazzo tutti e tre." E ride
divertito
della sua sincerità. Lui, semplice custode dell'ingresso
dell'imbuto,
se lo può permettere. Vado verso la moto. Mi sento chiamare.
"Step, Step!" È Marcantonio che corre verso di me. "Tutto
a posto?" Mi guardo per un attimo le mani insanguinate e senza
volerlo me le massaggio. Strano. Non mi fanno male. Marcantonio
se ne accorge. Lo rassicuro.
"Sì, tutto a posto."
"Ok. Meglio. Vai a casa allora. Io rimango qui. Ci sentiamo più
tardi e ti racconto tutto. Gin sta bene?"
"Sì, è andata a casa."
"Perfetto." Poi cerca di sdrammatizzare. "Ma non è che non
gli è piaciuto il lavoro che ho fatto e hanno tirato i fogli in
faccia
pure a te? Sai, mi sentirei in colpa se è successo tutto questo
per
causa mia..."
Ridiamo.
"No. Gli è piaciuto molto. Avevano solo un piccolo cambiamento
da fare. Magari riusciranno pure a dirtelo."
"Sì, magari..."
Torna quasi professionale.
"Be', per quest'ultima puntata può anche andare in onda senza
cambiamenti, no?"
"Sì, credo di sì. Devi solo ristampare quei fogli, quelli che ho
portato su da loro si sono un po' rovinati."
"I fogli, eh? Da quello che ho sentito sono loro rovinati e non
solo
fisicamente. È una brutta storia. Vedrai che ne uscirai vincente.
"
Accendo la moto. "Grazie, Marcantonio. Ci sentiamo."
Metto la prima e mi allontano. Vincente? Ma su che cosa?
Sinceramente
non me ne frega niente. Gin sta bene. Di questo mi importa.
Poco più tardi. Sono a casa e la chiamo. Ci sentiamo per telefono.
È ancora scossa. Ha parlato con i suoi. Ha raccontato tutto.
Parla piano. Non ha ritrovato tutta la forza. Sento le sue parole
qualche tono più basso del solito. Ma è normale.
"Per fortuna è arrivato un ragazzo che mi ha salvato, così ho
raccontato ai miei." Ride un po'. Mi rende felice. Mi viene da
pensare:"Non
hai detto è arrivato il 'mio' ragazzo...". Mi sembra troppo.
È ancora presto per scherzarci sopra... Continuo ad ascoltarla
tranquillo.
"Mi hanno detto di denunciarli. Tu mi farai da testimone, vero?"
"Sì, certo." Mi diverte aver cambiato ruolo. Mi ero scocciato
del solito film dove recitavo sempre la solita parte. "Be', da
imputato
a testimone. E dalla parte della giustizia poi. Contro il sistema!
Non è male. Dovrei iniziare anche a cambiare genere però,
sempre di processo si tratta."
L'ascolto ancora per un po'. Poi le consiglio di prendersi una
camomilla e di cercare di riposare. Non faccio in tempo ad
attaccare.
Il telefono comincia a squillare. Non ho voglia di rispondere
e poi c'è Paolo, magari è per lui.
"Vado io?" Mi sembra felice di rispondere.
"Certo." Mi passa davanti. Annuisco e decido di farmi una doccia.
Mentre mi spoglio capisco che non era per lui. Lo sento parlare
dal salotto. "Cosa? Sul serio! E come stanno? Ah, niente di grave,
quindi. Come gravissimo? Ah, abbastanza grave. Mi stava facendo
preoccupare... Ma come è successo? Ah... Cosa? Lo volete invitare
da Mentana? Ah, da Costanzo? Anche da Vespa? Ma ci sarà stata
una ragione..."
Dal tono capisco che cerca di salvarmi. "Be', è fatto così...
Ah...
lei dice che ha fatto bene? Come? Cioè, lo volete presentare come
un eroe? Ah, una specie di eroe, un paladino, il giustiziere sul
lavoro...
Be', non lo so se accetterà... No, io non sono il suo agente...
sono solo suo fratello."
Mi viene da ridere e mi infilo sotto la doccia. Che sciocco Paolo,
poteva dire che era il mio agente. Oggi tutti i fratelli fanno gli
agenti dei divi. C'è un solo problema. Aumento il getto dell'acqua
calda. Io non sono un divo e non ho intenzione di diventarlo.
Su questa mia ultima scelta però nessuno sembra essere d'accordo
con me.
Il giorno dopo, dalle sette di mattina il telefono comincia a
squillare.
Arrivano le richieste più assurde. Una dopo l'altra. Si presentano
tutte le radio, le più svariate televisioni, inviti per ogni tipo
di
programma, di ogni formato, di ogni genere, a ogni ora, su
qualsiasi
tema. E poi ancora giornalisti, critici, opinionisti, semplici
curiosi.
E Paolo risponde a tutti. Dopo la doccia di ieri sera Paolo ha
voluto
sapere la storia per filo e per segno... Mi ha tenuto più di
un'ora
davanti a uno pseudointerrogatorio offrendomi però, al posto della
solita luce in faccia, un buon piatto di spaghetti. E questo non è
stato male. Cucina bene però, il fratello. Ho parlato e mangiato
con
gusto. C'era pure una bella birra gelata. Ne avevo bisogno. Faccio
colazione mentre lo guardo. È al telefono. Prende appunti e
risponde,
si segna numeri di telefono, appuntamenti, orari per partecipare a
eventuali trasmissioni. "Ah, mandereste l'autista. Sì, sì.. .E per
il compenso?
1500 euro... Sì... No... No... Va bene... Anche se a Fatti e
fattacci
ce ne hanno offerti 2500..." Mi guarda sorridendo e mi strizza
l'occhio. Scuoto la testa e addento il cornetto. Ho sentito dire
che
di solito sono quegli avvocati stanchi del diritto che si
trasformano
in agenti. Ma un commercialista che diventa agente... Questa non
si
è mai sentita. Potrebbe essere una buona idea però.
L'avvocato che diventa agente in fondo parte da un concetto
di diritto e di giustizia per poi perderlo di vista. Il
commercialista
invece no. Il commercialista parte dal concetto di fisco, frode
e risparmio e diventando agente non fa altro che perfezionarlo.
Mio fratello. Sarebbe di sicuro un ottimo agente, ma io un pessimo
divo.
"Ciao Pa', io esco."
Paolo rimane così, con il telefono sospeso nell'aria e la bocca
semiaperta.
"Non ti preoccupare, vado a trovare Gin." E su questo sembra
capire.
"Sì, sì, certo." Lo vedo subito piombare sul suo foglio. Fa una
somma veloce di tutti quelli che potrebbero essere i suoi
ipotetici
guadagni. Poi mi guarda. E in un attimo li vede sfumare. Chiudo
la porta. Sono sicuro che sta pensando alla giornata di vacanza
che
si è preso dall'ufficio. Soprattutto a tutti quegli altri soldi
che ha
perso. Mio fratello. Mio fratello il commercialista che diventa il
mio
agente. Certo che è buffa la vita.
Capitolo 60.
Gin sta bene. Ha gli occhi ancora un po' arrossati, è un po'
sbattuta, ma sta bene. La camicetta strappata e il reggiseno li ha
messi da parte in una busta. Come prova dice lei. Non li voglio
vedere.
Mi fa male ripensare alla scena. Le do un bacio leggero. Non
ho voglia di incontrare i suoi. Non saprei che dire. Ma hanno
capito
chi sono. "Quello della bottiglia di champagne" ha detto Gin
ai suoi per farglielo capire.
"Vorrebbero ringraziarti."
"Sì, lo so. Di' che accetto volentieri... No, di' che ho dei
problemi,
che devo andare a casa. Insomma di' quello che vuoi."
Non ho voglia di sentire il loro grazie. Grazie. Grazie a volte è
una parola fastidiosa. Ci sono cose per cui non vorresti essere
ringraziato.
Ci sono cose che non sarebbero dovute accadere. Cerco di
farglielo capire con gentilezza. Mi sembra di esserci riuscito.
Più tardi
sono a casa. Paolo intuisce che mi deve lasciar stare. Non mi
propone
appuntamenti né l'idea di facili guadagni. Non mi passa papà
né mamma. Sono uscite anche delle foto su alcuni giornali e un
sacco
di gente ha telefonato per salutarmi. Per starmi vicino. O forse
solo per dire: "Io lo conoscevo bene...". Ma io non voglio
nessuno.
Voglio vedermi la puntata. Ecco. Sono le nove e dieci. Inizia la
sigla.
Dopo soli due cartelli con i soliti titoli, la sorpresa. I nomi e
cognomi
dei tre autori non ci sono più. Le ballerine continuano a ballare
perfettamente sorridenti e tranquille malgrado quello che è
successo.
D'altronde loro che c'entrano e poi si sa... the show must go on.
L'ultima puntata poi. Ti pare che non va in onda. Ragioni di
mercato.
Qualcosa ho imparato. È facile capire di che materiale è fatto
l'imbuto.
Di soldi. I titoli continuano. Le ragazze ballano. La musica è
la stessa. Il pubblico sorride. C'è un'altra sorpresa. Il mio
titolo c'è
ancora. Mi squilla il telefonino. Vedo il numero. È Gin. Rispondo.
Ride. Sembra molto più allegra, in piena ripresa.
"Hai visto? Avevo ragione io. Lo pensavo, ma non te l'ho detto,
è come dire che non avrai problemi. Sono felice per te."
È felice per me. Lei che è felice per me. Che tipo. È incredibile.
Riesce sempre a sorprendermi. La saluto. "Ci sentiamo dopo,
quando finisce." Attacco. Non avrai problemi. Che problemi posso
avere io? Al massimo una denuncia per rissa. Un'altra. L'unico
problema è che non finisco l'album. Mi apro una birra e in quel
momento suona il telefonino. Un numero coperto. Non dovrei fidarmi
eppure, non so perché, me la sento e rispondo. E non mi
sono sbagliato. È Romani. Riconosco la voce. Butto un occhio alla
tv. Infatti sono in pubblicità. La prima della trasmissione, quasi
sempre alle nove e quarantacinque. Guardo l'orologio. Sono in
anticipo di qualche minuto. Chissà chi ha fatto la scaletta. Forse
l'avevano già fatta quei tre. Sicuramente non hanno potuto
rimetterci
le mani. Ma lascio perdere tutti questi pensieri. Cerco di sentire
cosa sta dicendo e rimango sorpreso ascoltandolo.
"Quindi ti volevo dire, Stefano, che mi dispiace. Non sapevo.
Non avrei mai potuto immaginare."
E continua con la sua solita tranquillità, con la sua eleganza,
con la sua voce calma e ferma, dal suono pieno. Una voce che dà
sicurezza. Ascolto in silenzio e rimango senza parole se anche
avessi
voluto dire qualcosa. Altre due ragazze hanno denunciato lo stesso
fatto accaduto tempo prima. Non avevano avuto il coraggio di
parlare per paura di perdere il lavoro o peggio, semplicemente
di apparire. E forse ce ne sono altre.
"E dopo quello che hai fatto tu, Stefano, stanno acquistando
sicurezza. Non si sarebbe scoperto chissà per quanto tempo ancora,
forse mai. Quindi, Stefano, mi sento in colpa per averti fatto
trovare in una situazione come questa. Proprio la tua ragazza
poi... "
Scuoto la testa. Non c'è niente da fare. Anche Romani lo sa.
Deve essere stato Tony.
"Quindi ti prego, accetta le mie scuse e grazie, grazie sul serio,
Stefano." Ancora un grazie. Grazie da Romani. Grazie. L'unica
parola
che non volevo sentire.
"Be', ora ti saluto, devo riprendere la puntata. Vienimi a trovare
però. Ho una cosa per voi. E un regalo. Tanto io non lo posso
usare. Ho un'altra trasmissione che parte tra due mesi e non
posso staccare."
Cerca di non dare troppa importanza al suo gesto. Non c'è niente
da fare, è un grande.
"Così state un po' tranquilli. Poi, se vi va, lavoriamo di nuovo
insieme..."
Fa una pausa.
"Se vi va... Ma mi farebbe piacere. Ti aspetto... Stefano?"
Per un attimo teme che sia caduta la linea. Non ho detto niente.
Neanche un intercalare, però chiudo in bellezza.
"Sì, Romani, va bene, passo domani, grazie."
Chiudiamo così la telefonata. Guardo la tv. Come per incanto
la pubblicità finisce e la trasmissione ricomincia. Mi scolo la
birra.
Be', almeno un grazie sono riuscito a dirlo anch'io.
Capitolo 61.
Al TdV stanno già smontando tutto. Pezzi di scena vengono tirati
via uno dopo l'altro con una facilità estrema. Una squadra di
distruttori
agisce implacabile. Con determinazione, senza alcun dubbio,
con rabbia quasi. Ridono tra di loro, sembrano quasi provare
piacere nel farlo.
"È più facile distruggere che costruire..."
La sua voce mi sorprende alle spalle. Ma è sempre rassicurante.
Sorrido dandogli la mano. Anche la sua stretta mi piace. Sincera,
serena, forte, che non ha bisogno di dimostrare niente. Non
più. Romani. È stata la persona più interessante da conoscere. La
più diversa, la più inaspettata. Vero proprietario di
quell'imbuto,
deludente e preoccupante per tanti lati, alla fine riesce anche a
fartelo
apprezzare. Camminiamo. Pezzi di scenografia continuano a
cadere dall'alto. Piccoli crolli di colossi di Rodi pittorici,
domani
già dimenticati. Andare avanti per forza, l'importanza e la
stupidità
del successo, la droga del successo, la bellezza del successo.
Credere per un attimo di non venire dimenticati. Ma non sarà così.
Non sarà così. "Tieni." Mi passa una busta. "Sono i contratti
per te e Ginevra per la prossima trasmissione che faccio. Se vi
va,
siete già dentro. A marzo, un gioco sulla musica. Una trasmissione
facile facile e già collaudata in diversi paesi d'Europa. Fa più
del trentacinque per cento in Spagna. C'è Marcantonio, c'è lo
stesso
coreografo. Ho riconfermato alcune ballerine. Ho escluso altri..."
sorride alludendo ai tre. "Anche perché non credo lavoreranno
più in quest'ambiente. Ho chiesto una campagna stampa
contro quei tre da far impallidire. Mica per niente... per far
risaltare
tutti noi che siamo i buoni!" Ride. "Poi ho scritto un pezzo
speciale su di te. Uscirà tra qualche giorno. Diventerai famoso."
Di nuovo. Niente. Non c'è niente da fare. Sono abbonato a
diventare
famoso per rissa. "Allora io vorrei che tu e Ginevra accettaste
questo contratto. Vi ho fatto aumentare i compensi, a tutti
e due. Diciamo che è un contratto... riparatorio. Non per colpa
nostra, ma visto che la rete ha accettato il mio suggerimento...
Voi
perché dovreste rifiutarlo? " Ride. Poi rimane in silenzio. "Be',
pensateci..."
"Senta Romani, posso chiederle una cosa?"
"Certo."
Lo guardo per un attimo. Ma che mi frega. Io glielo chiedo.
"Ma perché porta sempre uno dei due bottoni del colletto
slacciato?"
Mi guarda. Rimane per un po' in silenzio. Poi sorride.
"È molto semplice: per capire il carattere di chi mi sta di
fronte.
Tutti hanno questa curiosità, la voglia di chiedermelo, di sapere.
Ma molti non lo fanno. Così la gente si divide in due: chi non
osa farmi questa semplice domanda e chi osa. I primi rimarranno
sempre con quella curiosità. I secondi invece avranno scoperto la
ragione di questa stronzata! "
Ridiamo. Non so se è vera. Ma come spiegazione mi piace un
sacco e decido di accettarla così.
"Questa invece è una busta da parte mia. Un ottimo posto dove
andare a pensare al contratto... Qualche spiaggia al caldo aiuta
a far dire di sì. "
E sorride allusivo per tutti quegli ipotetici sì che si possono
dire.
Poi si allontana veloce fingendo di avere qualcosa da fare. Dà
qualche inutile ordine alla squadra. Tanto ormai hanno già
distrutto
tutto. Così però mi ha fregato. Questa volta non ho fatto in tempo
a dirgli grazie.
Capitolo 62.
Non ci posso credere. Gin ha detto di sì. Ha dovuto inventare
che oltre a me ci sono altre tre o quattro persone, ma i genitori
hanno
detto sì. Non solo. Una frase rassicurante. "Se poi c'è lui..."
Quel
lui sarei io. Cosa assurda. Per la prima volta dei genitori
immaginano
al sicuro una figlia vicino a me. Be', l'imbuto a qualcosa è
servito.
Gin al sicuro... Sì, tra le mie braccia! Un sogno. Come la busta
di Romani. Un altro sogno. Volo in prima classe. Thailandia,
Vietnam e Malesia. Tutto pagato, tutto organizzato. A volte fare
la
cosa giusta paga. Anche in un mondo spesso troppo indifferente e
ingiusto. A volte. Quando incontri qualcuno di coraggioso e
onesto.
Come Romani. I migliori voli. I migliori bungalow. Le spiagge
più belle. Il sole, il mare e un contratto che ci aspetta quando
torniamo
per dire sì o no. E la libertà. La libertà di dire sì ogni minuto
se ci va di fare qualcosa oppure no, senza impegni, senza "è
pronto
a tavola", senza si "deve" fare, senza telefonate inaspettate,
senza
problemi, senza incontri di chi non vuoi incontrare. Saliamo
sull'aereo
liberi, tranquilli.
Io un po' meno. Mi guardo in giro. Che sciocco. No, non c'è.
Non ci può essere. Eva, la hostess, non lavora per la Thai. Una
signorina
dagli occhi a mandorla, la pelle leggermente ambrata e dalla
divisa perfetta ci fa accomodare. Le sorrido. È molto gentile. E
anche molto carina. Ci dà qualcosa da bere. Quando se ne va Gin
mi dà una gomitata.
"Ahia!"
"Ti voglio maleducato e scortese con le hostess."
"Certo, lo sono sempre stato."
"Fai vedere gli occhi..."
Mi infilo ridendo gli occhiali. "C'è troppa luce! "
Prova a togliermi gli occhiali. "No, sul serio, levami una
curiosità...
hai mai avuto a che fare con qualche hostess?"
Sorrido. Bevo qualcosa dal bicchiere che la signorina della Thai
ci ha gentilmente offerto. Poi la bacio al volo. Champagne leggero
colora le nostre labbra. Lo faccio durare un po'. Le bollicine di
champagne sembrano rassicurarla. Forse il mio bacio. Soprattutto
il mio "mai". Più che altro il fatto che l'aereo comincia a
rullare.
Gin mi stringe forte dimenticando un mio eventuale passato e
preoccupandosi
soprattutto dell'imminente presente. Statap. Siamo in
volo. Il carrello rientra. L'aereo prende quota. Raggiunge le
nuvole.
Un tramonto più vicino ci accarezza dal finestrino. Gin allenta
il suo abbraccio e posa la testa su di me. "Ti dispiace se sto
così?"
Non faccio in tempo quasi a rispondere. La sento addormentarsi,
abbandonare tutte le ultime tensioni, lasciarsi andare tra le mie
braccia, su un aereo in volo, tra le nostre nuvole, leggere. Si
sente
sicura. Tenera. Cerco di muovermi il meno possibile. Prendo dalla
sacca che ho lì vicino Lucy Crown, il libro che mi ha regalato mia
madre, e comincio a leggere. Mi piace come è scritto. Almeno per
le prime pagine non fa male. Per ora.
"Oh happy day..."
Della musica improvvisa. Mi accorgo di essermi addormentato.
Il libro è poggiato sul tavolino. Gin è lì vicino a me che mi
guarda
e sorride. Ha una macchinetta fotografica tra le mani.
"Ti ho fatto qualche foto mentre dormivi." Ancora. "Eri
bellissimo...
sembravi buono! " L'abbraccio portandola a me.
"Ma io sono buono..." E la bacio. Più o meno convinta della
mia affermazione decide comunque di partecipare. Poi ci accorgiamo
della presenza di qualcuno. Ci stacchiamo per niente intimiditi.
Almeno io. Lei invece arrossisce. E l'hostess di prima, con
due bicchieri in mano. Gentile e professionale, non ci fa pesare
il
nostro amore.
"Sono per voi... Manca poco..."
Li prendiamo curiosi. La hostess delicata e leggera si allontana
così come era apparsa.
"È vero non ci pensavo più: è il 31 dicembre..."
Gin guarda il suo orologio. "Mancano pochi secondi."
Uno strano conteggio dall'accento americano parte dalla cabina
di pilotaggio. "Tre, due, uno... Auguri!"
La musica si alza. Gin mi dà un bacio. "Auguri Step il buono... "
Brindiamo con i due bicchieri arrivati giusto in tempo. Poi ci
diamo un altro bacio. E un altro. E un altro ancora. Senza più
paura
di essere interrotti. Tutti sull'aereo cantano e festeggiano
felici
dell'anno passato o di quello che sarà, di essere in vacanza o di
tornare
a casa. Comunque felici. Con il loro champagne. Con la testa,
e non solo, già tra le nuvole. L'aereo scende un po' di quota e
non
è un caso.
"Guarda..." Fa Gin indicando fuori dal finestrino. In qualche
paese lì sotto stanno festeggiando. E fuochi d'artificio
abbandonano
la terra per venirci a salutare. Per festeggiare il nostro
passaggio.
Si aprono sotto di noi come fiori appena sbocciati. Dai mille
colori imprevisti. Dai mille disegni pensati. Polveri,
perfettamente
incastrate, si liberano prendendo fuoco nel cielo. Una dopo
l'altra. Una dentro l'altra. E per la prima volta li vediamo da
sopra.
Io e Gin abbracciati, con i visi incorniciati nel finestrino, ne
scorgiamo
la fine, la parte da sempre nascosta, da sempre conosciuta
solo alle stelle, alle nuvole, al cielo... Gin guarda estasiata i
fuochi.
"Che bello! " Luci lontane riescono a dipingerla. Delicate
pennellate
di colore luminoso accarezzano le sue guance. E io timido pittore
improvvisato, la stringo a me. E la bacio. Mi sorride. Continuiamo
a guardare fuori. Uno strano gioco di fusi orari, di ore legali,
di passaggio veloce su paesi lontani, ci regala un altro Capodanno
e un altro, e un altro ancora. Ogni ora è di nuovo mezzanotte
e di nuovo Capodanno, e di nuovo e di nuovo ancora. E fuochi
diversi, di diverso colore sparati da un diverso paese, vengono
a noi. Sorridono avvicinandosi, portando l'augurio di chissà quale
fuochista. E la musica continua. E l'aereo, veloce e tranquillo,
procede
spedito. Attraversa il cielo, le felicità e le speranze di chissà
quanti paesi. E la hostess, precisa e ordinata, appare e scompare
puntuale a ogni Capodanno, portando champagne. Noi, ubriachi
di felicità e non solo, ci facciamo gli auguri e ancora e ancora
gli
auguri. Brindiamo più volte per quello stesso nuovo anno, con
un'unica
grande certezza. "Che sia un anno felice..." E dopo averlo
festeggiato
così tanto, stanchi di tutti quegli anni passati in un attimo,
ci addormentiamo sereni e tranquilli. Ci risvegliamo in spiaggia.
E ci sembra quasi di sognare ancora. Davanti a quel mare, a
quell'acqua cristallina sempre calda, a quel sole e a quei
tramonti.
Thailandia, Koh Samui.
"Hai visto Step, è uguale alle cartoline che ricevevo. Ho sempre
creduto che magari uno strano falsario le avesse lavorate al
computer.
"
Gin perennemente a mollo.
"Anche lavorandoci non avrei potuto immaginarmi tanto."
"Certo che grande fantasia ha Dio. Dal nulla poi, mica aveva
esempi ai quali riferirsi Lui... Grande pittore..."
Ed esce così, lasciandomi in acqua, tra mille pesci colorati e
nessuna risposta. Poi qualcosa mi viene in mente.
"Be', ma un grazie anche a Romani però è dovuto."
Nel suo piccolo. Ride e si allontana verso il bungalow. Senza
pareo. Serena e tranquilla come poche. Ancheggiando apposta
divertita,
salutando una piccola bambina thailandese, che la chiama
per nome, già amici, e non solo perché Gin le ha regalato una
maglietta.
Vietnam. Phuquoc.
Ancora in acqua, ora abbracciati, ora schizzandoci, ora una
piccola
battaglia sulla sabbia sotto gli occhi divertiti di bambini
incuriositi
da questi due strani turisti che prima lottano e poi si baciano!
E continuiamo così. Baciandoci un po' di più, cullati dal sole,
bagnati di desiderio e prima che la curiosità di tutti quei
bambini
diventi malizia rientriamo nel bungalow. Una doccia. Tende
abbassate
ballano al ritmo del vento ma senza allontanarsi troppo dai
vetri. Qualche onda si rompe sugli scogli e noi, vicini, ne
seguiamo
il tempo.
"Ehi, ma sei un miracolo della natura... sei diventata
bravissima."
Scemo!
Mi dà un pugno leggero prendendomi in pancia.
"Mi dimentico sempre che sei terzo dan."
"Ora voglio guidare io."
"Ricordati quella volta che hai voluto guidare la mia moto... al
semaforo un altro po' cadevi."
"Cretino. Poi l'ho portata bene però, no? Fidati."
"Ok, voglio fidarmi."
Si sfila da sotto salendomi sopra, sigillando quel passaggio con
un bacio pieno, tanto, lungo. Mi scavalca con la gamba, me lo
prende con la mano e lo porta dentro di sé morbida e decisa. Con
sicurezza. Continua a baciarmi. Piegata su di me mi tiene le
braccia
aperte e spinge in giù il bacino con forza, accogliendomi fino
in fondo, nella sua pancia più lontana. Ho fatto bene a fidarmi.
Mi stringe forte i polsi e abbandona per un attimo il suo bacio.
Apre la bocca. Rimane sospesa sulle mie labbra. Sospira più volte
per poi pronunciare quella fantastica parola. "Vengo." Lo dice
piano, lentamente, staccando quasi ogni piccola lettera, con
una voce bassa... troppo bassa. Di quell'erotico incolmabile... E
in un attimo vengo anch'io. Gin lancia i capelli all'indietro,
spinge
ancora due o tre volte il bacino verso di me, poi si ferma e apre
gli occhi. Fssh. Come se fosse tornata improvvisamente. Di nuovo
lucida d'incanto.
"Ma sei venuto anche tu?"
"Sì, certo! Che faccio, mi perdo per strada?"
"Ma tu sei pazzo?" Ride. "Tu sei proprio pazzo."
Scivola vicino a me, si poggia su un gomito e mi fissa divertita.
"Cioè sei venuto dentro di me?"
"E per forza, di chi sennò? Eravamo io e te."
"Ma scusa io non prendo niente, non prendo la pillola."
"Oddio! Veramente? Non sei tu che prendi la pillola o no... Mi
sono confuso! T'ho preso per l'altra! "
"Cretino... scemo!"
Mi risale sopra e comincia a colpirmi.
"Ahia! Ahia! Basta Gin, stavo scherzando."
Si tranquillizza. "Ho capito, ma scherzavi anche quando dicevi
che sei venuto?"
"No, su quello no! Certo che no!"
"Che vuol dire certo che no?"
"Che era un momento così bello, così unico, così fantastico,
che mi sembrava stupido interromperlo. Come dire, fuori luogo..."
Si ributta vicino a me, sprofonda quasi con un tuffo sul cuscino.
"Tu sei pazzo... E ora che facciamo?"
"Be', prendo ancora un po' di fiato e poi se vuoi ripartiamo.
Guidi sempre tu?"
"Ma no, dico che facciamo, che facciamo, dai, hai capito! Non
scherzare sempre... dove la troviamo qui la pillola del giorno
dopo,
in Vietnam? Mi sembra un assurdo, non la troveremo mai!"
"E allora non la cerchiamo."
"Come?"
"Se non la troveremo mai, è inutile che la cerchiamo, no?"
La bacio. Rimane per un attimo interdetta. Però si lascia baciare.
Non partecipa più di tanto. Mi stacco e la guardo.
"Allora? " Ha il viso buffo. È sorpresa e perplessa al tempo
stesso.
"Il tuo ragionamento non fa una grinza e allora..."
"E allora l'ho già detto, non la cerchiamo. Riprendo fiato e
ricominciamo."
Scuote la testa e sorride, pazza anche lei, mi bacia. Mi accarezza
e mi bacia ancora. E il fiato torna presto. E decido di guidare
io,
senza fretta, senza strappi al motore, accelerando. E mentre il
tramonto
ancora una volta gioca a nascondino, noi veniamo di nuovo,
senza nasconderci stavolta, ridendo, uniti, come prima, più di
prima. Folli d'assurdo. Pazzi d'amore. E di tutto quel che sarà.
Più tardi. In uno strano pub chiamato da ironici padroni
vietnamiti
Apocalipse Now beviamo della birra. Gin scrive a tutto spiano
sul suo diario.
"Ehi, si può sapere che razza di Divina Commedia stai tirando
giù? È da quando ci siamo seduti che non fai che scrivere e la
conversazione
dove la lasci? La coppia è anche dialogo, eh?"
"Shh! Sto fermando il momento."
Gin scrive un'ultima cosa rapidamente, poi chiude il diario.
"Fatto! Altro che Bridget Jones. Sarà un best seller mondiale! "
"Che hai scritto?"
"Quello che abbiamo fatto."
"E ci metti così tanto a descrivere una scopata?"
"Cafone!"
È un attimo. Gin mi lancia la sua birra addosso. Alcuni vietnamiti
si girano. Prima ridono, poi rimangono in silenzio preoccupati,
un po' indecisi su quello che accadrà. Io mi scrollo la birra
dalla faccia. Mi asciugo per quanto è possibile con la maglietta.
Poi
rido rassicurandoli.
"Tutto a posto... è fatta così! Per dire ti amo, siccome non ci
riesce, tira la birra."
Non capiscono ma sorridono. Anche Gin fa un sorriso "simpatico",
ma è finto. Si beve un altro sorso.
"Vuoi sapere cosa ho scritto? Tutto! Non solo l'amore che abbiamo
fatto, ma anche quello che è successo. È un pezzo del nostro
destino. Magari grazie a quell'attimo avremo un figlio. Staremo
insieme per sempre."
"Per sempre? Sai, ci ho ripensato. Secondo me anche in Vietnam
potrebbe esserci la pillola del giorno dopo. Cerchiamola subito!"
Scatto veloce verso il basso proprio mentre Gin mi lancia quel
po' di birra rimasta nel suo bicchiere. Stavolta non mi prende. I
vietnamiti ridono divertiti e battono le mani. Hanno capito il
gioco,
più o meno. Mi inchino verso di loro. Mi inneggiano uno strano
coro: "Ti amo... ti amo... ti amo". Lo pronunciano buffo ma
hanno capito sul serio. Non faccio in tempo a rialzarmi. Il
bicchiere
di birra mi prende in piena pancia. "Ahia! " Questa volta è Gin a
inchinarsi e le donne vietnamite esplodono in un boato. Non so se
avremo un figlio. Una cosa è sicura. Se le cose dovessero andar
male
possiamo sempre mettere su una compagnia e dare spettacolo.
Malesia. Perentian. Tioman.
Dorati, sani, leggermente abbrustoliti da un sole che non ci ha
mai abbandonato. Camminiamo. Un pomeriggio di un giorno qualsiasi.
Come sono tutti i giorni quando sei in vacanza. Ci fermiamo da
un pittore disteso all'ombra di una palma e scegliamo senza
fretta.
"Ecco, quello!"
Uno dei tanti quadri infilati nella sabbia come grandi conchiglie
colorate lasciate essiccare all'aria. Lo scegliamo insieme,
divertiti
che proprio lo stesso ci abbia colpito.
"Come siamo simbiotici, eh Step?"
"Già."
Lo pago 5 dollari, ce lo avvoltola e ce lo portiamo via camminando
lenti verso il nostro bungalow.
"Sono preoccupata."
"Perché? Per la tua pancia? È presto."
"Cretino! Mi sembra strano. Dieci giorni e non abbiamo mai
litigato! Neanche una volta. Tutto il giorno insieme e mai una
discussione."
'
"Be', allora scusa meglio dire: 'tutte le notti insieme e abbiamo
sempre...'."
Gin si gira al volo. Fa la faccia da dura.
"Fatto l'amore! Non t'arrabbiare. È inutile che mi guardi male!
Stavo per dire proprio questo. Tutte le notti insieme e abbiamo
sempre fatto l'amore."
Si... si... certo.
"Anche se..." Continuiamo a camminare. "Scusa eh, Gin. Ma
abbiamo sempre scopato rende molto meglio l'idea."
Comincio a correre. "Cretino. Allora dillo che vuoi litigare! "
Comincia a correre anche lei cercando di raggiungermi. Apro
veloce la porta del bungalow e mi ci infilo dentro. Poco dopo
arriva
anche lei.
"Allora... vuoi proprio litigare."
"No vedi..." le indico la finestra, "è quasi buio. Ormai è tardi,
se si litiga, si litiga di giorno! " La tiro a me. "Perché di
notte..."
"Di notte?" Mi riprende Gin.
"Si fa l'amore, va bene? Si dice come preferisci tu."
"Ok."
Sorride. La bacio. È bellissima. L'allontano un po' dal mio viso.
E sorrido anch'io. "Però adesso scopiamo!" Mi picchia ancora.
Ma è un attimo. Ci perdiamo tra fresche lenzuola che profumano
di mare. E facciamo l'amore, scopando.