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La CT “Salamina”, che era alla testa dell’Armada proveniente dalla Terra, si trovava oltre Altair, a più di sette anni luce dal pianeta, quando avvistò una delle navi vedetta sfuggite al nemico, la CT “Pompey” che volava in direzione della Terra.

«La flotta ribelle è vicina» disse la “Pompey”, rispon­dendo alla domanda dell’Ar­mada. «È enorme. Non immaginavamo neppure che nella Galassia esistessero tante navi.»

La “Salamina” ricevette il messaggio, ordinò alla nave ve­detta di proseguire la corsa verso la Terra, immagazzinò l’informazione ricevuta nella memoria dei suoi calcolatori e prosegui la rotta, scandaglian­do senza posa nella grigia im­mensità, per cercare di indivi­duare le onde emanate dalle apparecchiature nucleari ed elettroniche del nemico.

Gli incrociatori pesanti da battaglia assunsero la forma­zione prevista, radunandosi al centro dell’Armada. Intorno ad essi sciamavano gli stormi dei caccia. Dietro a questo schermo di metallo e di paraglas, di carne e di ossa, avanza­vano le portaerei, con i portelli aperti, da cui, non appena Abli Juliene, il Grande Ammiraglio del Corpo di Spedizione della Confederazione Terrestre, avesse impartito l’ordine, sareb­bero scattati i caccia.

L’ordine finalmente arrivò. Uno dopo l’altro, due dozzine di caccia si levarono dalla por­taerei, lanciandosi in avanti a “tutta accelerazione” e spariro­no nel grigiore indistinto che avvolgeva le navi spaziali salpa­te dalla Terra.

Nonostante la Contra-Grav, il maggiore Evan Branchi, pi­lota della “Wanda Love” che guidava la “squadriglia inter­cettazione” CSCT, giacque, schiacciato dall’accelerazione, contro il seggiolino, quando i plasma jet del piccolo caccia ruggirono nel vuoto. Restava sveglio, nonostante la violenta accelerazione che rischiava di fargli perdere conoscenza, gra­zie ai farmaci che gli erano stati iniettati, e non perdeva di vista un secondo gli schermi e i comandi che si allineavano di fronte a lui, mentre osservava il cronometro che divorava i secondi.

“Ci siamo” pensava Bran­chi. “Sono qui. Non possono più essere lontani, ormai”.

Il cronometro scattò e un comando raggiunse i plasma jet che spingevano lo scafo nello spazio. I jet si spensero all’istante e la “Wanda Love”, a motori spenti, si tuffò in avanti. «Il comandante ai piloti» disse Branchi, al mi­crofono. «Ci siamo. Da que­sto momento in poi, silenzio radio, a meno che ci attacchi­no. Appena avvistato qualcosa, avvertire la flotta. Non entrare in comunicazione con me.»

Dopo un brevissimo segnale di “messaggio ricevuto” da parte delle altre ventitré unità, la radio tacque.

Branchi si voltò a guardare il giovane che sedeva dietro di lui.

«Come andiamo, Jack?» chiese.

«Silenzio perfetto, mag­giore» rispose Jack. «Non c’è la minima dispersione. L’u­nica emissione radio in uscita dalla “Wanda” è il raggio diret­to che ci collega con la “Shilo”.»

Branchi annui e riprese a controllare gli strumenti di bordo.

La “Wanda Love” scivolava nell’Anti-spazio, simile in tut­to a un relitto abbandonato. Era quasi impossibile scoprirne la presenza, perché a bordo i razzi erano spenti, il controllo grav disinnestato, gli strumenti di controllo-rotta ridotti a un minimo di passività. I due uo­mini d’equipaggio erano isolati dentro alle tute spaziali. L’uni­ca energia elettromagnetica che si sprigionava dalla “Wan­da Love” era una radio-onda impercettibile, che la collegava direttamente con l’ammiraglia dell’Armada. E solo se fosse passato attraverso quel minu­scolo raggio, il nemico avrebbe potuto individuarla.

La “Wanda Love” doveva sfrecciare il più vicino possibi­le alla flotta nemica, per racco­gliere tutte le informazioni captabili col sistema di ascolto passivo, e infine invertire la rotta e ricongiungersi alla flot­ta. La “Wanda Love” perciò si tuffò in direzione del nemico, seguita da tutti i ventiquattro caccia della squadra.

Il cronometro continuò a scandire i secondi, via via che la “Wanda Love” si allontana­va dalla grande flotta terrestre. Evan Branchi avverti allo sto­maco una strana sensazione. Aveva sempre provato quel malessere, fin dalla sua prima missione, e aveva sperato inva­no che, col tempo, gli passasse. Invece quella bizzarra sensa­zione non lo abbandonava neanche quando volava al sicu­ro dietro le proprie linee, per­ché Evan Branchi sapeva che, prima o poi, una missione sa­rebbe finita male e che, quel giorno, lui non avrebbe più rivisto le verdi colline della Terra, né l’azzurro del suo cielo.

“E se fosse proprio que­sta?” pensava tra sé, come aveva pensato tante altre volte prima, decine di volte, nel corso di altrettante missioni quasi suicide.

L’apparato di ricezione pas­sivo segnalò qualcosa di insoli­to che si muoveva nel grigiore dell’Anti-spazio: i caccia nemi­ci!

«Ci hanno visti?» chiese il secondo pilota, con un legge­ro tremito nella voce.

«E come vuoi che non vedano?» rispose Branchi. Il malessere interno, intanto, si era trasformato in una fredda determinazione, che passava per coraggio, e che faceva di lui uno dei migliori piloti di caccia. «Hanno i nostri stessi strumenti.» La voce era cal­ma e decisa.

«Che cosa facciamo?»

«Li annientiamo» sibilò Branchi tra i denti, allungando la mano ai comandi che aveva di fronte. L’intercettazione si attivò all’istante, e sugli scher­mi si delineò la forza nemica: sedici caccia ribelli che filava­no dritto in direzione di Bran­chi. I plasma-jet si accesero, la radio entrò in funzione.

«Il comandante ai piloti» disse. «Intercettati caccia ri­belli.» Lesse una serie di coordinate destinate all’Armada che lo seguiva. «Ordine di attaccare e distruggere.»

Il “Wanda Love” che, ormai, era una creatura viva nelle mani del suo comandante, de­scrisse un ampio cerchio nel grigio Anti-spazio e si preparò a attaccare il nemico sul fian­co.

Le due squadre si trovavano ancora a centinaia di chilome­tri di distanza, quando da en­trambe le parti fu aperto il fuoco. I cannoni a energia entrarono in azione e sprazzi di energia elettrica avvolsero gli scafi metallici. Il grigio An­ti-spazio, dove non c’era mai stata luce, all’improvviso av­vampò tutto.

Branchi, per un secondo, rimpianse di non trovarsi su un’unità molto più grossa di quella, armata di generatori di energia...

Il “Wanda Love” era alla testa dei caccia della Confede­razione nella corsa verso la morte e fu il primo a sopporta­re l’urto del nemico. Vampate di energia elettrica avvolsero lo scafo sottile, fondendo ogni cosa. Il “Wanda Love”, investi­to da una seconda raffica, sal­tò in aria e il. maggiore Evan Branchi, pilota della CT, mori nell’istante in cui la sua tuta si squarciava nel vuoto dell’Anti-spazio.

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