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Janas non consegnò la borsa alla ragazza che gli veniva in­contro e disse al cameriere che il cittadino Jarl Emmett lo stava aspettando. L’uomo sor­rise, s’inchinò, disse: «Certo, comandante Janas, il cittadino Emmett vi aspetta.» E lo guidò attraverso la sala affolla­ta verso un angolo semibuio dove sedeva Jarl Emmett, in compagnia di altri tre uomini.

A una certa distanza dal loro posto, una cantante si muoveva in mezzo ai tavoli, accompagnata da un cono di luce, che sembrava quasi ema­nare da lei. Era avvolta come da una nebbia leggera, che pareva costellata di brillanti, e lasciava indovinare le ricche forme del suo corpo. I capelli bianco-verdi, lunghissimi, si in­nalzavano in un cono altissimo sulla sua testa e le ricadevano sulle spalle, confondendosi con la spuma leggera che la vestiva appena. Teneva in ma­no un piccolo strumento simi­le a un’arpa, e, avanzando tra i tavoli, ne pizzicava le corde. Quella canzone, Janas l’aveva sentita tanto tempo fa, e mol­to lontano di li:

Noi siamo tra le stelle lucenti

e la Terra è lontana, lontana:

varchiamo l’intero Universo

senza mai un conforto, un affetto.

Siamo mercanti e pionieri dello spazio,

gridiamo la nostra pena e gli affanni.

A voi abbiamo dato un domani:

per noi, abbiamo detto addio a noi stessi.

Janas credeva di riconoscere due dei tre uomini Che erano con Emmett, ma in quel mo­mento gli sfuggivano i nomi. I tre lo accolsero sorridendo, e Emmett prese subito la parola.

«Sono contento di rive­derti, Bob» disse, alzandosi e tendendogli la mano. «O al­meno di rivederti in carne e ossa.»

Janas per poco non scoppiò in una risata. Quei quattro personaggi tenebrosi, vestiti di scuro, seduti attorno al tavolo ovale avevano un’aria buffa. Ognuno aveva davanti a sé un bicchiere vuoto a metà, e tre stavano fumando. Nel centro del tavolo era infilata, in una vecchia bottiglia di vino incro­stata di cera, una candela acce­sa, l’unica fonte di luce in quell’angolo buio. A Janas quei quattro facevano venire in mente i rivoluzionari barbu­ti del secolo XX, che aveva visto in 3D alla televisione; però qualcosa lo trattenne dal riderne. Forse i due momenti erano troppo simili, perché si potesse riderne.

Mentre si accomodava nel­l’unica seggiola libera, notò, con la coda dell’occhio, l’uo­mo che lo aveva seguito per strada; si sedette in modo da tener d’occhio lo sconosciuto.

«Ti ricordi di Hal Danser?» chiese Emmett, vestito in modo meno stravagante del­l’attuale moda terrestre.

«Molto lieto, Hal» disse Janas, stringendo la mano che gli veniva tesa attraverso il tavolo. «Siete anche voi nel settore operativo?»

«Sono l’assistente di Jarl» disse Danser. «È un piace­re rivedervi.» Danser, che era piuttosto grosso indossava un abito giallo e arancione, che ricordò a Janas un grosso pal­lone da spiaggia, mezzo sgon­fio.

Janas si voltò verso l’uomo piccolo e magro, a destra.

«Juan Kai» disse l’altro. «Ingegnere Capo Operazioni.»

«Ho sentito parlare molto di voi, cittadino Kai» disse Janas.

Kai sorrise: «Spero che non sia stato tutto negativo, ciò che avete sentito, coman­dante.»

«Tutt’altro» rispose Ja­nas; poi si voltò a salutare l’uomo vestito con estrema so­brietà, alla sua sinistra. «Il signor Paul D’Lugan, vero?» Per quanto indossasse abiti ci­vili, c’era in quell’uomo un piglio duro, soldatesco.

Un’ombra passò sul volto del giovanotto tarchiato, che annuì.

«Eravate primo ufficiale della CT “Città di Firenze”» disse Janas. «Riportaste due scialuppe su Iside, dopo la battaglia del ’77. Siete diventa­to celebre, allora.»

D’Lugan annui ancora. «Non è stata un’impresa molto eroica, comandante. Le navi della Confederazione ci aveva­no scambiati per ribelli e ci hanno annientati prima ancora che avessimo la possibilità di farci riconoscere. Ventotto morti.»

«Lo so» dissi Janas. «Un incidente spaventoso.»

D’Lugan sorrise freddamen­te, come per mettere in dub­bio che si trattasse veramente di un incidente; però non disse nulla.

La cantante, nel frattempo, era sparita, e l’estremità della sala si andava gradatamente illuminando, inquadrando un piccolo palcoscenico chiuso da un sipario dorato. Quando tut­ta la scena fu avvolta da una luce bianca e morbida, senza ombre, una orchestra invisibile attaccò un pezzo che Janas non aveva mai sentito. Un ometto basso, con un costume da Arlecchino, rosso e oro, scostò il sipario e si presentò sul palcoscenico.

«Signore e signori» disse, mentre tra la folla correva un mormorio. «Eddie’s è lieto di presentarvi stasera alcuni tra i più interessanti danzatori della Galassia.» Seguì una pausa carica di drammaticità. «Ec­covi Rinni e Gray, i danzatori Paraseleni, di Odino.»

Dopo i soliti applausi, il sipario dorato si aprì, lascian­do apparire un’imitazione mol­to approssimativa, almeno così la giudicava Janas, dell’aspro, splendido paesaggio vulcanico di Odino. Le miriadi di stelle lucenti riprodotte sulla scena non erano che una pallida re­plica del cielo notturno di Odino. L’orchestra invisibile suonava, sempre più forte, una versione edulcorata dei canti tradizionali dei Paraseleni ri­belli e non conformisti di Odi­no.

Pochi secondi dopo, una dozzina di ragazze seminude, con indosso il minimo indi­spensabile per dare l’impressio­ne dei bizzarri costumi dei Paraseleni, si lanciò in una danza complicata, che aveva ben poco a che vedere con il pianeta Odino.

Janas si voltò per osservare gli uomini intorno al tavolo. Erano tutti e tre “cospiratori”, e proprio per questo Janas provava per loro una certa diffidenza, come del resto dif­fidava inconsciamente e invo­lontariamente di quasi tutti quelli che Emmett aveva reclu­tato nella sua campagna per mantenere la neutralità della CNS, anche se, personalmente, non ne conosceva quasi nessu­no. “Va bene” pensava Janas “sono anch’io uno di loro; ep­pure non riesco a fidarmi di questi individui, almeno finché non conosco le loro intenzio­ni. C’è troppa gente disposta a entrare in qualunque movi­mento rivoluzionario, con la certezza che il vecchio sistema debba essere rovesciato a tutti i costi e sostituito con qualco­sa di nuovo, ed è così raro che abbiano ragione! Jarl, comun­que, è un buon giudice di uomini, e ci sono molte proba­bilità che quei tre non siano rivoluzionari per vocazione, ma uomini che si rendono conto freddamente e razional­mente che, se vogliamo soprav­vivere, non c’è altra strada che questa.”

Janas si voltò per osservare l’individuo seduto a pochi ta­voli da loro, che li guardava con aria indifferente. Chi, che cosa rappresentava quell’indi­viduo?

Come se avesse captato il disagio di Janas, Emmett apri la giacca e gli mostrò un picco­lo aggeggio rettangolare appe­so a una cinghia di cuoio sotto l’ascella. Janas riconobbe im­mediatamente un “noiser” e cioè un apparecchio elettro­nico che serviva a disturbare l’ascolto di un eventuale appa­rato ricevente. Janas accennò di aver capito.

«Ma cosa sta capitan­do?» chiese dopo che il ca­meriere gli ebbe portato un bicchiere di whisky Brajen.

Emmett si schiarì la voce, si guardò attorno con un certo disagio e finalmente parlò: «È cambiato tutto, Bob» dis­se. «Franken ha consegnato la CNS alla Confederazione, e noi dobbiamo decidere sul da farsi. Ti ho fatto venire qui per questo. Volevo che parlassi con gli uomini del “Comitato” per poter fissare un piano d’a­zione preliminare.» Emmett tacque un istante, buttò giù un sorso, poi si voltò verso gli altri. «A capo del “Comita­to” ci sono ancora io» ag­giunse, poi si voltò verso Danser, alla sua destra. «Hal è il mio assistente, sia in questo, sia nelle altre cose. Inoltre, è responsabile dei collegamenti tra il settore Operazioni e gli altri settori.» Con un gesto, indicò Kai. «Juan ha il com­pito di tenersi al corrente di ciò che avviene nello spazio. Oggi, per esempio, deve saper dire dove sono le navi della CNS, che aiuto possono dare alla Confederazione, e entro quanto tempo noi possiamo metterci in contatto con loro per trasmettere un eventuale contrordine di Franken.»

«Dunque l’ordine è già stato impartito?» chiese Janas.

«Poco dopo che ho parla­to con te» gli disse Emmett. «Ho fatto il possibile per fermarlo, o almeno per ritar­darlo, ma è stato tutto inutile.»

«Hai parlato con Altho?» chiese Janas.

Emmett scosse la testa. «Sono riuscito ad arrivare sol­tanto al segretario personale, un presuntuoso che si chiama Milt Anchor. Anchor mi ha detto che Franken, in quel momento, era in seduta e che, appena avesse finito, mi avreb­be fatto chiamare.»

«Dopo di che, non ha mai chiamato» concluse Janas.

«Mai» rispose Emmett, scrollando il capo.

«Né chiamerà mai» ag­giunse Paul D’Lugan.

Quando Janas si voltò verso di lui, l’altro rispose al suo sguardo.

«Sono a capo del Settore Operazioni, comandante, e sia­mo tipi piuttosto decisi» dis­se D’Lugan, in risposta alla muta domanda di Janas. «Sono la pecora nera del grup­petto. Non sono molto popo­lare tra i miei amici.»

«Ma non è vero, Paul» disse in fretta Danser.

«È così» riprese D’Lu­gan. «Io sono per l’uso della forza, comandante» disse a Janas. «Se Franken non in­tende ragione, se finora non ci ha messo al corrente delle sue intenzioni, sono persuaso che bisogna puntargli una pistola nella pancia e costringerlo ad ascoltarci.»

Segui un momento di silen­zio imbarazzato. Era evidente che gli altri non erano d’accor­do con D’Lugan, e neanche Janas del resto lo era.

Janas si voltò per guardare il palcoscenico. Una nuova cop­pia era apparsa in scena, dopo che le ballerine si erano ritirate verso il fondo. I nuovi venuti, inquadrati da una fredda luce azzurra, erano evidentemente le due stelle dello spettacolo, Rinni e Gray, i Paraseleni di Odino. Forse provenivano dav­vero da Odino, ma avrebbero potuto appartenere a qualun­que altro pianeta della Spirale, perché erano troppo poco ve­stiti per riconoscerne il luogo di origine.

Rinni era bionda, alta, con gambe molto lunghe, di una avvenenza eccezionale, stando ai canoni della bellezza esoti­ca, tipica di tanti mondi stella­ri. I lunghi capelli bianco oro le ricadevano sulle spalle nude, sui seni scoperti, e si gonfiava­no mentre si lanciava insieme con il suo compagno in una danza sensuale. Anche Gray era molto bello: giovane, bru­no, muscoloso. I due non ave­vano niente addosso, tranne una sorta di fascia azzurra, ornata di un disegno azzurro più scuro, in cui Janas credette di riconoscere, se ricordava be­ne, un simbolo del culto dei Paraseleni.

La voce di Emmett richia­mò la sua attenzione.

«Vorrei che parlassi anco­ra con una persona» diceva Emmett. «Syble Dian. Lei è il nostro avvocato e è a capo del “settore legale”, se vogliamo dargli questo nome.» Janas accennò di sì. «Non è potuta venire stasera» prosegui Emmett «ma appena può, vuole parlarti. È una tua ammiratri­ce.»

«Oh» fece Janas, abboz­zando un sorriso.

Emmett però stava già pen­sando ad altro, e si era rab­buiato in viso.

«Oggi pomeriggio sono stato avvicinato da un agente dei ribelli» si decise a dire alla fine.

«E che cosa voleva?» chiese Janas.

«Era una donna» disse Emmett. «Mi ha chiamato in 3D, ma lo schermo era oscura­to, e perciò non so che faccia avesse. Comunque, loro hanno una “cellula” qui, su Flagstaff. Mi ha offerto il loro appoggio.»

«Appoggio?» chiese Ja­nas, forte.

«Ci ha offerto il loro ap­poggio, qualunque sia la nostra decisione» spiegò Emmett.

«Tu che cosa le hai detto?»

«Niente.»

«Bene» disse Janas. «È meglio tenerli alla larga. Non abbiamo gli stessi scopi, e ab­biamo già abbastanza problemi per conto nostro, senza che ci occorra l’“aiuto” di nessun gruppo estraneo.»

«Era esattamente ciò che pensavo io» rispose Emmett. «Questo è un affare di fami­glia, e deve rimanere all’inter­no della CNS. Sono questioni nostre, che riguardano esclusi­vamente la CNS. E dei nostri affari, ce ne occupiamo noi.» Le ultime parole furono dette con tono addirittura sinistro, e D’Lugan, sentendole, sorrise.

Emmett per un secondo ri­mase in silenzio, come se vo­lesse riflettere attentamente prima di parlare. «Bob» disse alla fine. «Spiega loro esattamente perché sei qui.» E indicò gli altri tre.

Dopo aver sorseggiato un po’ di whisky, Janas disse: «Ho portato con me due rap­porti destinati ad Altho Franken. Sono entrambi trascritti a macchina e incisi su nastro. In uno, c’è l’analisi dei danni e delle perdite inflitti ai mondi della Confederazione nei dieci anni trascorsi.»

«Tu non credi che il presi­dente Herrera l’abbia messo al corrente della situazione?» chiese Hal Danser.

«No» disse Janas. «Non credo che Herrera gli abbia detto qualcosa di più del poco che ha dovuto rivelargli per ottenere, come infatti ha otte­nuto, l’appoggio della CNS. Non penso che Altho abbia un’idea esatta di come vadano le cose laggiù, o, per lo meno, sono convinto che quando ha consentito a consegnare alla Confederazione le navi e gli uomini della CNS, sapesse ben poco della situazione reale.»

«Le cose sono molto gra­vi?» chiese piano Danser.

«Gravissime!» scattò D’Lugan.

Janas guardò D’Lugan. «Molto più gravi di quanto si voglia ammettere. I ribelli con­trollano la Cintura, e le forze della Confederazione sono sempre state troppo sparpa­gliate per ottenere risultati concreti. I ribelli non hanno ancora in pugno il centro della galassia, ma d’altra parte nean­che la Confederazione lo ha sotto controllo. In questo mo­mento la Nebulosa Centrale è terreno aperto, disponibile per il più forte.»

«Per essere più precisi, quello che è rimasto della Ne­bulosa» aggiunse cupamente D’Lugan.

Janas annuì. «La Nebulosa Centrale non è più quella di dieci anni fa. Io stesso ho stentato a riconoscerla. Diversi pianeti che allora erano abita­ti, ora non lo sono più.»

«Antigone» disse D’Lugan, con un tono quasi di venerazione.

«Sì» disse Janas. Non voleva pensare a Antigone co­me l’aveva vista per l’ultima volta, con le foreste in fiam­me, le pianure carbonizzate, le città ridotte in ceneri, dove ogni traccia di vita era stata spazzata via. «Ma ce ne sono altri. Sono stato tre anni su Odino, e non riesco ancora a credere a ciò che è capitato lassù. Per il momento, soltanto la Terra e i pianeti del sistema solare sono sfuggiti alla distru­zione.»

D’Lugan non disse niente, ma Janas gli lesse nello sguar­do una pena e un’angoscia profonde. Danser sedeva im­mobile, scrutando intento il contenuto del suo bicchiere. Juan Kai si cacciò un’altra sigaretta in bocca, mentre Emmett si curvava sul tavolo.

«E l’altro rapporto, Bob?»

«Sì» disse Janas, dando un’occhiata alla borsa posata sulla sedia, vicino a lui. «Non cercherò nemmeno di dirvi co­me sono riuscito ad avere que­ste informazioni, né quanto mi siano costate. Ma ho la più assoluta certezza che rispondo­no a verità.»

«Di che si tratta?» chiese a un tratto Danser.

Janas diede un’occhiata allo sconosciuto che sedeva a qual­che tavolo dal loro. Si era portato la mano sinistra all’o­recchio e li fissava con aria perplessa. Janas sorrise tra sé e notò che anche Emmett sorri­deva.

«Una valutazione delle forze del generale Kantralas» rispose lentamente Janas, ri­volgendosi a Danser. «Il nu­mero di uomini, di navi, di armamenti di cui dispone. Con tutta probabilità, è l’informa­zione più accurata e precisa che abbiamo dello spazio esterno. Una parte del rapporto è costituita da uno “studio psicologico” di Kantralas e dei suoi luogotenenti. Le truppe di Kantralas, e credo che non sia un segreto per nessuno, sono tenute assieme soprattut­to dalla forza della sua perso­nalità. Nel suo esercito ci sono troppe forze in contrasto tra loro, individuali e nazionali, perché esso possa costituire un tutto omogeneo. L’unica cosa che li tiene uniti è la volontà di sconfiggere la Confederazio­ne.»

«Non è un segreto» disse Emmett. «Herrera non fa che gridarlo ai quattro venti.»

«Andate avanti, coman­dante» disse D’Lugan, accen­dendo la seconda sigaretta.

Janas accettò la sigaretta che gli offriva Danser, si acco­modò meglio sulla sedia, buttò giù un sorso di whisky e con­centrò l’attenzione sul palco­scenico illuminato, dove la danza diventava sempre più selvaggia e sfrenata. Rinni e Gray, probabilmente, erano stati su Odino o, per lo meno, avevano studiato le danze dei Paraseleni, perché c’era nello spettacolo qualcosa che ricor­dava Odino; nel complesso pe­rò la danza era artificiosa e non autentica. Quei due era­no senz’altro bravi, ma non erano Seleniti; e Janas provava quasi un senso di sollievo all’i­dea che non lo fossero. Si voltò verso i compagni.

«Seguono Kantralas» dis­se «perché è l’unico che sia abbastanza forte da tenerli uniti. Lo rispettano e sanno che nessuno di loro, da solo, è tanto forte da battere la Con­federazione, mentre credono che Kantralas possa farlo. Ma appena eliminata la Confedera­zione, il potere di Kantralas crollerà, e ciascuno dei satelliti sarà libero di fare quello che più gli piacerà. Carman Dubourg, per esempio, progetta di crearsi un impero personale nei mondi della Cintura. Issac Holzman vorrebbe isolare Krishna per far rivivere le antiche consuetudini della sua gente. Un’altra mezza dozzina di per­sone progetta di spadroneggia­re nella Nebulosa, la quale, da parte sua, non vuole saperne di loro. E così di seguito. C’è, indubbiamente, un’esigenza di giustizia in alcuni dei loro pro­positi, ma molti progetti sono soltanto dettati dalla sete del potere. Il mio rapporto, co­munque, è uno studio di ognu­no di questi uomini, o, per lo meno, di quelli che contano, e contiene un esame delle loro personalità, degli scopi che si prefiggono e uno schema pro­babile di quello che intendono fare, una volta che la Lega abbia sconfitto la Confede­razione. Se vincono, nonostan­te le buone intenzioni di uomi­ni come Kantralas e Holzman, questo braccio della Spirale sarà sconvolto da un lungo periodo di guerre civili, che si concluderanno soltanto quan­do uno di loro abbia sopraffat­to gli altri, o quando tutti si siano eliminati a vicenda.»

«È esattamente ciò che ripete Herrera» disse D’Lugan, freddo. «Ma allora voi siete d’accordo con lui?»

«No» rispose Janas, con lo stesso tono. «Sappiamo tutti che genere di pace vuole imporci Herrera. Se riesce a sconfiggere i ribelli e a mettere le mani sulla CNS, niente più lo fermerà. Herrera è un ditta­tore assetato di potenza, e il tipo di pace che progetta di dare alla Confederazione è peggiore, indubbiamente, di al­tri cento anni di guerre.»

Janas, per non pensare al peggio, si voltò verso la scena. La danza volgeva alla fine.

Stretti selvaggiamente uno all’altro, Rinni e Gray si stac­carono di scatto, e rimasero, per un secondo, a fissarsi, gli occhi negli occhi. Poi, con un solo gesto, la ragazza e il suo compagno si strapparono la fascia che indossavano, la but­tarono lontano. L’orchestra lanciò un ultimo acuto, poi tacque. Segui un momento di silenzio assoluto.

Rinni, lentamente, si piegò sulle ginocchia e si voltò verso Gray tendendogli le braccia. Quando il compagno le venne incontro e si chinò su di lei, le luci si spensero e il palcosceni­co spari nel buio.

«L’umanità è sconfitta» diceva Emmett, badando appe­na a ciò che avveniva sul palco. «Si approssima un’età di te­nebre, e l’intera Spirale sarà sommersa dalla barbarie. Ma qualcuno dovrà pur sopravvi­vere per continuare il cammi­no della civiltà. E soltanto la Compagnia di Navigazione So­lare può fare questo.»

«Jarl ha ragione» disse Janas. «Se leggerete questi rapporti, vi renderete conto che, indipendentemente da ciò che può fare o non può fare la CNS, esiste una sola possibili­tà. La Confederazione non è in grado di vincere questa guerra. Tra un mese, le forze ribelli saranno sulla Terra.»

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