IL CAVALIERE DISONORATO

La notte era insolitamente fredda, perfino per l’autunno. Il vento, umido, soffiava nei vicoli, agitando la polvere della giornata.

"Un vento del nord, e pieno di gelo."

Ser Arys Oakheart, cavaliere della Guardia reale, sollevò il cappuccio per nascondere il volto. Non voleva essere riconosciuto. Un mese prima, un mercante era stato sgozzato nella città delle ombre: un uomo inoffensivo venuto a Dorne per acquistare frutta e che invece dei datteri aveva trovato la morte. Il suo crimine? Essere di Approdo del Re.

"Quella gentaglia troverebbe in me un ben più temibile avversario." Ser Arys desiderava quasi essere attaccato. La sua mano si abbassò, sfiorando appena l’elsa della spada lunga seminascosta tra le pieghe delle tonache di lino che indossava: quella esterna, a strisce turchesi, con una fila di soli dorati e sotto una più leggera, di colore arancione. Gli abiti dorniani erano comodi, ma suo padre, se fosse stato ancora in vita, sarebbe rimasto sconvolto nel vedere il figlio conciato a quel modo. Era un uomo dell’Altopiano e per lui, come testimoniavano gli arazzi di Vecchia Quercia, i dorniani erano sempre stati dei nemici. Arys doveva soltanto chiudere gli occhi per rivedere quelle immagini nella propria mente. Lord Edgerran Mano-aperta seduto trionfante, le teste di centinaia di guerrieri dorniani ammassate ai suoi piedi. Le Tre Foglie del passo del Principe, perforate da lance dorniane, Alester che con l’ultimo respiro suona il corno di guerra. Ser Olyvar, la Quercia verde, tutto in bianco, che muore al fianco di re Daeron Targaryen, il Giovane Drago, unico conquistatore di Dorne. "Dorne non è un posto adatto a nessuno di noi Oakheart."

Anche prima della morte del principe Oberyn Martell, Arys non si era mai sentito a suo agio inoltrandosi nei vicoli scuri della città. Ovunque andasse, aveva sempre la sensazione di essere osservato: piccoli, scuri occhi dorniani lo fissavano con malcelata ostilità. I bottegai facevano del loro meglio per imbrogliarlo a ogni occasione, e a volte Arys si domandava se i tavernieri non sputassero nelle sue bevande. Una volta, un gruppo di ragazzini vestiti di stracci aveva iniziato a tirargli sassi, finché lui li aveva messi in fuga estraendo la spada. La morte della Vipera rossa aveva infiammato ulteriormente gli animi dorniani, anche se le strade erano tranquille da quando il principe Doran aveva confinato le Serpi delle Sabbie in una torre della fortezza. Ma nella città delle ombre, mostrarsi apertamente con la cappa bianca della Guardia reale voleva dire andare in cerca di guai. Arys ne aveva portate tre: due di lana, una pesante e l’altra leggera, la terza di raffinata seta bianca. Si sentiva nudo senza una di esse sulle spalle.

"Meglio nudo che morto" si disse. "Sono ancora uno della Guardia reale, anche senza la cappa. E lei dovrà tenerne conto. Glielo farò capire." Non avrebbe mai dovuto farsi coinvolgere in quella situazione, ma il cantastorie aveva detto che l’amore può tramutare chiunque in uno stolto.

Nel calore del giorno, quando solamente le mosche ronzanti frequentavano le strade polverose, la città delle ombre di Lancia del Sole appariva spesso deserta. Ma, una volta calata la sera, quelle medesime strade tornavano ad animarsi. Passando sotto delle finestre chiuse con le imposte, ser Arys udì il debole suono di una musica; dei tamburelli scandivano il ritmo accelerato di una danza della lancia, facendo vibrare la notte. Sotto le Mura Serpeggianti, dove tre vicoli si incrociavano, una giovane prostituta coperta di unguenti e gioielli lanciava richiami da una finestra. Ser Arys le lanciò un breve sguardo, incassò la testa nelle spalle e continuò a camminare controvento. "Noi uomini siamo talmente deboli. I nostri corpi tradiscono perfino i più nobili tra noi." Pensò a re Baelor il Benedetto, che digiunava fino allo stremo per combattere i desideri lussuriosi che gli arrecavano vergogna. E lui? Doveva forse comportarsi nello stesso modo?

Un uomo basso, fermo sulla soglia di un’arcata, cuoceva sfrigolanti fette di carne di serpente su una griglia, rigirandole con pinze di legno. L’aroma pungente delle salse piccanti fece lacrimare gli occhi di Arys. Le migliori salse di serpente contenevano almeno una goccia di veleno, aveva sentito dire, oltre a semi di senape e peperoncini di drago. Myrcella si era infatuata del cibo dormano con la medesima rapidità con cui aveva perso la testa per il suo principe dorniano. A volte, per compiacerla, Arys assaggiava una pietanza o due. Quel cibo gli bruciava la bocca e doveva bere subito del vino; uscendo, quel cibo bruciava addirittura di più che non entrando. Eppure, la piccola principessa ne andava matta.

Arys l’aveva lasciata nelle sue stanze, curva su una scacchiera di fronte al principe Trystane, intenta a spostare pezzi intagliati su riquadri di giada, cornalina e lapislazzuli. Le labbra piene di Myrcella erano leggermente dischiuse, gli occhi verdi socchiusi per la concentrazione. Cyvasse si chiamava quel gioco. Era arrivato nella Suburra dorniana a bordo di una galea mercantile dalla città libera di Volantis, e gli orfani l’avevano diffuso lungo tutte le sponde del Sangue Verde. La corte del principe Doran ne andava matta.

Quanto a ser Arys, trovava quel gioco semplicemente assurdo. C’erano dieci pezzi, ognuno con caratteristiche e poteri diversi. Inoltre, la base suddivisa in caselle quadrate cambiava da una partita all’altra, a seconda di come i giocatori dislocavano il loro schieramento iniziale. Il principe Trystane era rimasto immediatamente sedotto dal cyvasse, e anche Myrcella l’aveva imparato, per poter giocare con lui. La fanciulla non aveva ancora undici anni, il suo promesso sposo tredici, tuttavia negli ultimi tempi Myrcella vinceva sempre più spesso. Trystane non sembrava prendersela. L’aspetto dei due ragazzi non avrebbe potuto essere più diverso: Trystane aveva la pelle olivastra e i capelli neri lisci, Myrcella era pallida come il latte, con una massa di riccioli dorati. Luce e ombra, come la regina Cersei e re Robert. Arys pregava che in quel ragazzo dorniano Myrcella potesse trovare più gioia di quella che sua madre aveva avuto con il lord di Capo Tempesta.

Per quanto nella fortezza la giovane principessa fosse al sicuro, Arys preferiva non allontanarsi mai da lei. Le stanze di Myrcella nella Torre del sole avevano due sole porte di accesso, a ciascuna delle quali il cavaliere aveva fatto mettere due uomini di guardia. Armigeri Lannister, venuti con loro da Approdo del Re, veterani di molte battaglie e leali fino al midollo. Myrcella aveva portato con sé anche le sue servette e septa Eglantine, quanto al principe Trystane era scortato dalla sua guardia del corpo personale, ser Gascoyne di Sangue Verde. "Nessuno le farà del male" si ripeteva Arys Oakheart "e tra un mese saremo al sicuro lontano da qui."

Così infatti aveva promesso il principe Doran. Arys era rimasto sconvolto nel vedere quanto apparisse infermo e invecchiato il signore dorniano, ma non dubitava della sua parola. "Sono spiacente di non averti potuto ricevere prima, e di non aver potuto incontrare Myrcella" aveva dichiarato Doran Martell accogliendo Arys nel suo solarium "ma spero che mia figlia Arianne ti. abbia fatto sentire il benvenuto qui a Dorne, cavaliere."

"Così è stato, mio principe" aveva risposto Arys, pregando che il rossore sul suo viso non lo tradisse.

"La nostra terra è dura e povera, ma possiede una sua bellezza. Ci addolora che di Dorne tu abbia visto solamente Lancia del Sole, ma temo che fuori da queste mura né tu né la principessa sareste al sicuro. Noi dorniani siamo un popolo dal sangue bollente, rapidi nel furore, lenti nel perdono. Il mio cuore vorrebbe poterti rassicurare che le Serpi delle Sabbie sono le uniche a volere la guerra, ma non ti mentirò, ser. Anche tu hai udito il popolo nelle strade reclamare che io chiami a raccolta le lance di guerra. E metà dei miei lord, temo, è d’accordo con loro."

"E tu, mio principe?" aveva osato chiedere il cavaliere.

"Mia madre molto tempo fa mi insegnò che è da folli combattere guerre perse in partenza." Se la franchezza della domanda lo aveva offeso, il principe Doran l’aveva nascosto bene. "Eppure la pace è ancora fragile… quanto la tua principessa."

"Solamente un animale farebbe del male a una bimba."

"Anche mia sorella Elia aveva una figlia. Si chiamava Rhaenys. E anche lei era una principessa." Il principe aveva sospirato. "Chi è pronto ad affondare un pugnale nel corpo della principessa Myrcella non lo farebbe con malvagità, così come non c’era malvagità in ser Amory Lorch quando uccise Rhaenys, se è realmente stato lui a ucciderla. Il loro intento è solo di forzarmi la mano. Perché, se Myrcella dovesse cadere assassinata mentre si trova sotto la mia protezione, chi mai crederebbe alle mie smentite?"

"Nessuno farà mai del male a Myrcella finché io avrò vita."

"Nobile intento" aveva commentato Doran Martell con un lieve sorriso "ma tu, cavaliere, sei da solo. Avevo sperato che, imprigionando le mie testarde nipoti, le acque si sarebbero calmate, invece l’unico risultato è stato di indurre gli scarafaggi a nascondersi tra le lenzuola. Ogni notte li sento bisbigliare e affilare i loro coltelli."

"Ha paura" aveva notato ser Arys a quel punto. "La sua mano sta tremando. Il principe di Dorne è terrorizzato." Non sapeva però che cosa dire.

"Le mie scuse, cavaliere" aveva ripreso il principe Doran. "Sono debole e infermo… Lancia del Sole, con il suo frastuono, la sua polvere, i suoi odori, mi sta consumando. Non appena i miei doveri me lo consentiranno, intendo fare ritorno ai Giardini dell’Acqua. E allora porterò con me la principessa Myrcella."

Prima che il cavaliere della Guardia reale potesse obiettare, il principe aveva sollevato una mano dalle nocche gonfie e arrossate.

"Verrai anche tu. E la septa di Myrcella, le sue serve, le sue guardie. Le mura di Lancia del Sole sono robuste, ma ai loro piedi si stende la città delle ombre. E perfino tra queste mura, centinaia di persone vanno e vengono ogni giorno. I Giardini sono il mio paradiso. Fu il principe Maron a erigerli, come dono per la sua sposa Targaryen, simbolo del connubio tra Dorne e il Trono di Spade. L’autunno là è una splendida stagione… le giornate sono calde, le notti fresche, la brezza salmastra che soffia dal mare, le fontane e gli stagni. E ci sono anche altri bambini, ragazzi e fanciulle di alto lignaggio. Myrcella avrà amici della sua età con i quali giocare. Non si sentirà sola."

"Come dici."

Le parole del principe gli riecheggiavano nella testa. "Là Myrcella sarà al sicuro." Ma per quale motivo, allora, il principe Doran aveva insistito che lui non mandasse messaggi ad Approdo del Re informando la Corona del trasferimento? "Myrcella sarà ancora più al sicuro se nessuno sa dove si trova." Ser Arys aveva accettato, ma quale altra scelta gli restava? Lui era un cavaliere della Guardia reale, ma rimaneva pur sempre un uomo solo, proprio come aveva detto il principe Doran.

Il vicolo sbucava all’improvviso in un cortile illuminato dalla luna. "Oltre la bottega del candelaio" gli aveva scritto lei "ci sono un cancello e una piccola scala esterna." Arys aprì il cancello e salì i gradini scavati dal tempo fino a una porta anonima. "Devo bussare?" Invece spinse il battente. Si ritrovò in una grande stanza con il soffitto basso, immersa nella penombra. Alcune candele profumate bruciavano in nicchie scavate nelle pareti di terra battuta. Arys notò folti tappeti di Myr sotto i suoi piedi, un arazzo appeso al muro, un letto.

«Mia signora?» chiamò. «Dove sei?»

«Qui.» Ed emerse dalle ombre dietro la porta.

Un serpente dai vividi colori era attorcigliato attorno al suo avambraccio destro, scaglie color rame e oro scintillavano a ogni movimento. La donna non indossava altro.

"No" voleva dirle Arys "sono venuto solo per dirti che me ne devo andare." Ma quando la vide, nel chiarore della candela, perse la parola. Aveva la gola riarsa come le sabbie di Dorne. Restò immobile, in silenzio, immergendosi nella magnificenza di quel corpo, l’incavo della gola, i seni pieni e rotondi dagli enormi capezzoli scuri, le curve generose della vita e dei fianchi. E poi, senza sapere come, Arys la stringeva tra le braccia e lei gli stava sfilando le tuniche. Quando arrivò alla sottotunica, afferrò la seta all’altezza delle spalle e squarciò la stoffa fino alla cintola, ma a quel punto per Arys Oakheart nulla aveva più importanza. Sotto le dita, sentiva la pelle di lei, liscia, calda come sabbia arroventata dal sole di Dorne. Arys le sollevò il viso, trovò le sue labbra. La bocca della donna si dischiuse sotto quella di lui, i seni furono nelle sue mani. Sfiorandoli con la punta delle dita, Arys sentì i capezzoli indurirsi. I capelli della donna, folti e neri, sapevano di orchidea, un odore oscuro, intenso che lo fece eccitare al punto di fargli quasi provare dolore.

«Toccami, cavaliere» gli sussurrò lei all’orecchio.

Arys fece scivolare la mano lungo la convessità del suo ventre, fino a trovare l’umido recesso tra i ciuffi di peluria nera.

«Sì…» mormorò la donna mentre Arys faceva scivolare un dito dentro di lei. Poi la donna emise un gemito, trascinò Arys fino al letto. «Di più, oh sì, mio cavaliere, mio dolce cavaliere bianco, sì, ti voglio.» Le sue mani guidarono Arys dentro di lei, le braccia avvolsero la sua schiena, attirandolo più vicino. «Più a fondo» sussurrò la donna. «Oh, sì.» Quando lo avvolse con le gambe, Arys ebbe l’impressione che fossero forti come l’acciaio. Gli affondò le unghie nella schiena mentre lui la penetrava, ancora e ancora, finché lei non urlò, inarcando la schiena; le dita trovarono i suoi capezzoli e li strinsero, finché Arys sentì il seme sprizzare in lei. "Ora potrei morire felice" pensò il cavaliere, e per una dozzina di battiti del cuore si sentì in pace.

Non morì.

Il suo desiderio era profondo e sconfinato come il mare, ma quando la marea si ritirò, le rocce della colpa e della vergogna tornarono a ergersi, affilate come non mai. A volte le onde le sommergevano, ma quelle rocce restavano in agguato sotto le acque, dure, nere e viscide. "Che cosa sto facendo?" domandò a se stesso. "Io sono un cavaliere della Guardia reale." Rotolò sulla schiena e si mise a fissare il soffitto. Una crepa gigantesca lo attraversava, da parete a parete. Arys non l’aveva mai notata prima, così come non aveva notato l’immagine sull’arazzo, una scena di Nymeria, regina della Royne, e delle sue diecimila navi. "Vedo solo lei. Avrebbe potuto esserci un drago che guardava dalla finestra, e io avrei visto soltanto i suoi seni, il suo viso, il suo sorriso."

«C’è del vino» mormorò la donna, le labbra contro il collo di Arys. Face scivolare una mano sul suo petto. «Hai sete?»

«No.» Arys si scostò da lei e si mise a sedere sulla sponda del letto. L’aria nella stanza era torrida, eppure lui fu scosso da un brivido.

«Stai sanguinando» disse la donna. «Devo averti graffiato.» Gli sfiorò la schiena.

Arys si ritrasse come se quelle dita fossero lingue di fuoco. «Non toccarmi.» Si alzò. «Basta.»

«Ho dell’unguento per le ferite.»

"Ma nessun unguento per la vergogna che provo." «Non è nulla. Perdonami, mia signora, devo andare…»

«Così presto?» La donna aveva una voce roca, una bocca grande fatta per sussurrare, labbra carnose fatte per baciare. I capelli, folti e scuri, le fluivano sulle spalle nude, fino all’attaccatura dei seni rotondi. Si avvolgevano su se stessi in grandi boccoli, soffici e pigri. Perfino la peluria del suo pube era morbida e riccia. «Resta con me questa notte, ser. Ho ancora molto da insegnarti.»

«Ho già imparato fin troppo da te.»

«Eppure sembravi contento di queste lezioni, ser. Sei certo di non frequentare qualche altro letto, qualche altra donna? Dimmi chi è. L’affronterò in duello, a petto nudo, lama contro lama.» Gli sorrise. «A meno che non sia una delle Serpi delle Sabbie. In questo caso, potrei dividerti con lei. Voglio bene alle mie cugine.»

«Sai che non ho nessun’altra donna. Solo… il dovere.»

«Il dovere?» Lei si appoggiò su un gomito, osservandolo, con i grandi occhi neri scintillanti al chiarore delle candele. «Quella fetida sgualdrina? La conosco. Arida come polvere in mezzo alle gambe, i cui baci ti lasciano coperto di sangue. Lascia che donna dovere dorma sola per una volta, e rimani con me questa notte.»

«Il mio posto è a palazzo.»

«Con l’altra tua principessa.» La donna sospirò. «Mi renderai gelosa. Penserò che ami più lei di me. Quella fanciulla è decisamente troppo giovane per te. Tu hai bisogno di una donna, non di una ragazzina, ma posso interpretare la verginella innocente, se questo ti eccita.»

«Non dovresti dire queste cose.» "Ricorda che è una dorniana." Sull’Altopiano, la gente diceva che era il cibo a rendere i dorniani così iracondi e le dormane così sensuali e lascive. "Peperoni piccanti e spezie esotiche scaldano il sangue, non è colpa sua." «Myrcella per me è come una figlia.» Non avrebbe mai avuto una figlia sua e nemmeno una moglie. Al loro posto aveva una magnifica cappa bianca. «Andremo ai Giardini dell’Acqua.»

«Prima o poi accadrà di certo» concordò la donna «anche se con mio padre per ogni cosa ci vuole quattro volte il tempo che occorre di solito. Se il principe Doran dice di volere partire l’indomani, puoi stare certo che partirete dopo due settimane. Ti sentirai solo, là, nei Giardini. E che fine ha fatto il coraggioso guerriero che aveva dichiarato di voler passare il resto della sua vita tra le mie braccia?»

«Ero ubriaco quando l’ho detto.»

«Avevi bevuto solo tre coppe di vino annacquato.»

«Ero ebbro di te. Erano passati dieci anni da… Sei la prima donna che tocco da quando sono entrato nelle Spade bianche. Non ho mai conosciuto che cosa fosse l’amore, fino adesso… e mi fa paura.»

«Che cosa spaventa il mio bianco cavaliere?»

«Temo per il mio onore» disse Arys. «E per il tuo.»

«Al mio onore ci penso io.» Lei si toccò un seno, seguendo lentamente la curva del capezzolo con il polpastrello. «E anche al mio piacere, se fosse necessario. Sono una donna adulta.»

Su questo non c’era alcun dubbio. Guardandola sul materasso di piume, con quel sorriso perverso, giocare con il proprio seno… era mai esistita una donna dai capezzoli così grandi e sensibili? Arys faticava a guardarli senza desiderare di toccarli, succhiarli fino a farli diventare duri, tumidi e lucenti…

Distolse lo sguardo. La sua biancheria era disseminata sul pavimento. Il cavaliere si chinò a raccoglierla.

«Hai le mani che ti tremano» osservò la dorma. «Vorrebbero accarezzarmi, penso. Hai proprio tanta fretta di rivestirti, ser? Ti preferisco così come sei ora. A letto, nudi, è quando siamo più sinceri con noi stessi, un uomo e una donna, amanti, una sola carne, vicini come più non è possibile essere. I vestiti ci rendono persone diverse. Da parte mia preferisco essere carne e sangue piuttosto che sete e gioielli, e tu… tu non sei quel tuo mantello bianco.»

«Invece sì» rispose Arys. «Io sono il mio mantello bianco. E questa cosa tra noi deve finire, per il tuo bene e per il mio. Se dovessimo essere scoperti…»

«Gli altri penserebbero che sei un uomo fortunato?»

«Penserebbero che sono un traditore. Cosa accadrebbe se qualcuno andasse da tuo padre e gli dicesse che ti ho disonorata?»

«Mio padre è molte cose, ma nessuno ha mai detto che è uno stolto. Il Bastardo di Grazia degli Dèi si prese la mia virtù quando entrambi avevamo quattordici anni. Sai che cosa fece mio padre quando lo venne a sapere?» La donna strinse le lenzuola nel pugno e se le tirò fin sotto il mento, per nascondere la sua nudità. «Niente. Mio padre è straordinario nel non fare niente. Lui lo chiama pensare. Dimmi la verità, ser, è il mio, di disonore, che ti preoccupa, oppure il tuo?»

«Entrambi.» Quel tono d’accusa faceva male. «Ecco perché deve essere la nostra ultima volta.»

«Lo avevi già detto.»

"L’ho detto e dicevo anche sul serio. Ma sono debole, altrimenti adesso non sarei qui." Ma Arys non poteva dirglielo: sentiva che era il tipo di donna che disprezzava la debolezza. "Assomiglia più a suo zio, la Vipera rossa, che non a suo padre." Le voltò le spalle, su una sedia trovò la sottotunica di seta. Gliel’aveva lacerata fino alla cintola, facendosela poi scivolare lungo le braccia.

«Questa è strappata» si lamentò Arys. «Come faccio a metterla?»

«Mettila al contrario» suggerì lei. «Una volta che avrai indossato le altre tuniche, nessuno vedrà lo strappo. Forse la tua piccola principessa te la potrà ricucire. Altrimenti posso fartene avere una nuova ai Giardini dell’Acqua.»

«Non mandarmi regali.» La cosa avrebbe attirato troppo l’attenzione. Arys scosse la sottotunica e se la infilò con il dietro davanti. La seta era fresca al contatto della pelle, ma aderì alla schiena in corrispondenza dei graffi. Quanto meno, però, avrebbe potuto rientrare a palazzo. «Quello che voglio è solo porre fine a questa…»

«Ti stai comportando in modo nobile, ser? Mi stai facendo male. E io comincio a pensare che le tue parole d’amore fossero tutte menzogne.»

"Non potrei mai mentirti!" Ser Arys si sentì schiaffeggiato. «Per quale altra ragione avrei messo in gioco il mio onore, se non per amore? Quando sono con te io… riesco a malapena a pensare. Tu sei tutto quello che ho sempre sognato, ma…»

«Le parole sono vento. Se tu mi ami davvero, non andartene.»

«Ho giurato di…»

«… non sposarti e non avere figli. Be’, io ho bevuto il latte di luna, e sai che non posso sposarti.» Gli sorrise. «Però potrei accettare di tenerti come amante.»

«Mi stai deridendo.»

«Un po’, forse. Pensi di essere l’unico cavaliere della Guardia reale ad avere amato una donna?»

«Ci sono sempre stati uomini che trovano più facile prestare giuramento che non tener fede a quanto hanno giurato» ammise Arys. Ser Boros Blount era tutt’altro che uno sconosciuto nella strada della Seta, e ser Preston Greenfield soleva recarsi a casa di un certo tessitore, quando il tessitore non era in casa, ma Arys non intendeva accusare i suoi confratelli ordinati parlando dei loro fallimenti. «Ser Terrence Toyne fu trovato nel letto dell’amante del suo re» disse invece. «Era amore, giurò, ma pagò con la sua vita, e anche con quella di lei, oltre che con la caduta della sua casata e la morte del più nobile cavaliere mai vissuto.»

«Giusto, e che cosa mi dici di Lucamore il Lussurioso, con le sue tre mogli e i suoi sedici figli? Quella canzone mi fa sempre ridere.»

«La verità non è altrettanto divertente. In vita, non venne mai chiamato Lucamore il Lussurioso. Il suo vero nome era Lucamore Strong, e la sua esistenza fu tutta una menzogna. Quando il suo inganno venne scoperto, gli stessi confratelli ordinati lo castrarono, e il Vecchio Re lo spedì alla Barriera. I sedici figli vennero lasciati a piangerlo. Non fu un vero cavaliere, come del resto Terrence Toyne…»

«E il cavaliere del Drago?» La donna gettò da parte le lenzuola e mise i piedi a terra. «Il più nobile cavaliere mai vissuto, dicesti, però si è portato a letto la regina e l’ha messa incinta.»

«Non ci credo» ribatté Arys, offeso. «La leggenda del tradimento di Aemon Targaryen con la regina Naerys è solo questo: una storia, una menzogna che il fratello del principe mise in giro quando volle rinnegare il suo vero figlio in favore del figlio bastardo. Non a caso Aegon fu chiamato il Mediocre.» Arys trovò il cinturone della spada e se lo strinse attorno alla vita. Per quanto l’arma sembrasse contrastare con gli sgargianti abiti dorniani, il peso familiare della spada lunga e del pugnale gli ricordò chi era. «Io non verrò ricordato come ser Arys il Mediocre» dichiarò. «Non disonorerò la mia cappa bianca.»

«Certo» disse lei. «La bella cappa bianca. Dimentichi che anche mio zio la indossava. Morì quando ero piccola, ma ancora mi ricordo di lui. Era alto come un campanile e mi faceva il solletico finché non riuscivo più a respirare.»

«Non ho mai avuto l’onore di conoscere il principe Lewyn» rispose ser Arys «ma tutti dicono che sia stato un grande cavaliere.»

«Un grande cavaliere con un’amante. Adesso è una donna anziana, ma da giovane, si dice, era di una bellezza rara.»

"Il principe Lewyn?" Arys non era a conoscenza di quella storia. Ne fu sconvolto: il tradimento di Torrence Toyne e gli inganni di Lucamore il Lussurioso erano annotati nel Libro bianco della Guardia reale, ma non c’erano tracce di una donna sulla pagina dedicata al principe Lewyn Martell.

«Mio zio diceva sempre che è la spada che un uomo stringe nel pugno a definire il suo valore, non quella che ha in mezzo alle gambe» riprese la donna «quindi risparmiami tutte queste ipocrisie sulle cappe bianche disonorate. Non è il nostro amore a disonorarti, sono i mostri che hai servito e i bruti che hai chiamato confratelli.»

Anche queste parole lo ferirono in profondità. «Robert Baratheon non era un mostro.»

«È salito sul Trono di Spade calpestando i cadaveri di bambini» disse la donna «anche se ammetto che era meno mostruoso di Joffrey.»

"Joffrey." Un bel ragazzo, alto per la sua età, e anche forte, ma questo era tutto quello che si poteva dire in positivo di lui. Ser Arys si vergognava ancora per tutte le volte che aveva percosso la povera Stark per ordine del giovane re. E quando Tyrion lo aveva scelto per scortare Myrcella a Dorne, aveva acceso un cero davanti all’ara del Guerriero.

«Joffrey è morto, avvelenato dal Folletto.» Arys non avrebbe mai immaginato che il nano fosse capace di una tale enormità. «Il re adesso è Tommen, ed è ben diverso dal fratello.»

«Come lo è dalla sorella.»

Aveva ragione. Tommen era un ragazzino di buon cuore che cercava sempre di fare del suo meglio, ma l’ultima volta che ser Arys lo aveva visto era in lacrime su un molo. Myrcella invece non aveva versato neanche una lacrima, anche se era lei a lasciare gli affetti e la casa, diretta a suggellare un’alleanza con la propria virtù. La verità era che la principessa era più coraggiosa del fratello, e anche più intelligente e più sicura di sé. La sua mente era più arguta, le sue maniere più raffinate. Nulla l’aveva turbata, neppure Joffrey. "È vero che le donne sono più forti." E Arys non stava pensando solamente a Myrcella, ma anche alla madre di lei, la regina Cersei, alla propria madre, alla regina di Spine, alle affascinanti, letali Serpi delle Sabbie generate dai lombi della Vipera rossa. Ma soprattutto Arys pensava alla splendida donna che aveva davanti: la principessa Arianne Martell.

«Non voglio dire che sbagli.» La voce di ser Arys era roca.

«Non vuoi dirlo? Non puoi semplicemente farlo! Myrcella è più adatta a regnare…»

«Un figlio viene prima di una figlia.»

«Perché? Quale dio ha stabilito questa regola? Io sono l’erede di mio padre. Dovrei forse rinunciare al mio diritto per favorire i miei fratelli?»

«Stai travisando le mie parole. Non ho mai detto che… A Dorne è diverso. Sui Sette Regni non ha mai regnato una donna.»

«Re Viserys Targaryen voleva che a succedergli fosse la figlia Rhaenyra, puoi forse negarlo? Ma mentre il re era sul letto di morte, il lord comandante della Guardia reale decise altrimenti.»

"Ser Criston Cole." Criston il Creatore di re aveva messo il fratello contro la sorella, dividendo perfino la stessa Guardia reale e scatenando la terribile guerra fratricida che i cantastorie chiamavano la Danza dei Draghi. Alcuni sostenevano che Criston avesse agito per ambizione, in quanto il principe Aegon era più malleabile della sua determinata sorella maggiore. Altri, invece, dicevano che aveva agito per più nobili motivi e che intendeva difendere l’antica usanza degli andali. Altri ancora, pochi in verità, bisbigliavano che, prima di entrare nella Guardia reale, Criston fosse stato l’amante della principessa Rhaenyra e che quindi avesse voluto vendicarsi della donna che lo aveva respinto.

«Il Creatore di re causò grandi lutti» ammise ser Arys «e pagò per ciò un duro prezzo, ma…»

«… ma forse i Sette Dèi ti hanno inviato qui a Dorne affinché un cavaliere bianco ripari il torto fatto da un altro prima di lui. Sai che quando mio padre farà ritorno ai Giardini dell’Acqua intende portare Myrcella con sé?»

«Per tenerla al sicuro da quelli che le vogliono male.»

«No. Per tenerla lontano da quelli che le vogliono dare la corona. La Vipera rossa l’avrebbe incoronata di persona se fosse sopravvissuto, ma mio padre non ha abbastanza coraggio.» Arianne Martell si alzò. «Tu dici di amare quella fanciulla come se fosse tua figlia, sangue del tuo sangue. Permetteresti che tua figlia venisse defraudata dei suoi diritti e rinchiusa in una prigione?»

«I Giardini dell’Acqua non sono una prigione» protestò Arys debolmente.

«Perché una prigione non ha fontane o alberi di fico, è questo che pensi? Eppure, una volta che la fanciulla sarà là, non le verrà più permesso di andarsene. E nemmeno a te. A questo penserà Hotah, il capitano delle guardie di mio padre. Tu non conosci quell’uomo come lo conosco io. Diventa davvero terribile quando si scatena.»

Ser Arys corrugò la fronte. Il grosso guerriero di Norvos dal volto solcato di cicatrici lo inquietava profondamente. "Dicono che dorma con a fianco la sua grande ascia." «Secondo te che cosa dovrei fare?»

«Quello che hai giurato. Proteggere Myrcella a costo della vita. Difendere lei… e i suoi diritti. Metterle una corona sulla testa.»

«Io ho prestato un giuramento

«A Joffrey, non a Tommen.»

«Aye, ma Tomrnen è un ragazzino di buon cuore. Sarà un re migliore di Joffrey.»

«Ma non di Myrcella. Anche lei vuole bene a quel ragazzo. So che non permetterà che gli capiti niente di male. Capo Tempesta appartiene a Tommen di diritto: lord Renly è morto senza lasciare eredi e lord Stannis è accusato di tradimento. Col tempo, attraverso la lady sua madre, anche Castel Granito passerà a Tommen. Resterà comunque uno dei grandi lord del regno… ma Myrcella è la legittima erede del Trono di Spade.»

«La legge… non so se…»

«Io lo so.» Arianne si fermò davanti a lui. La folta massa scura dei capelli le ricadeva fino alle natiche. «Fu Aegon il Drago a creare la Guardia reale e i suoi giuramenti, ma quello che un re crea, un altro re può distruggere, oppure cambiare. Un tempo, la Guardia reale serviva a vita, eppure Joffrey cacciò ser Barristan solo perché il suo mastino potesse avere la cappa bianca. Myrcella vorrà che tu sia felice, e vuole bene anche a me. Darà il consenso al nostro matrimonio, se glielo chiederemo.» Arianne lo abbracciò, appoggiandogli la testa sul petto. «Puoi avere sia me sia la tua cappa bianca: basta che tu lo voglia.»

"Mi sta squarciando dentro." «So che è così, ma…»

«Io sono una principessa di Dorne» disse con la sua voce roca «e non è bene che mi abbassi a implorare.»

Ser Arys percepiva il profumo dei suoi capelli, sentiva il battito del suo cuore mentre Arianne si stringeva contro di lui. Il suo corpo rispondeva a quel contatto, e Arys non dubitava che anche lei lo sentisse. Quando le mise le braccia attorno alle spalle, sentì che tremava.

«Arianne? Mia principessa? Amore, che cosa c’è?»

«Devo proprio dirlo, ser? Ho paura. Mi chiami amore, eppure mi respingi, proprio quando ho un bisogno disperato di te. È davvero così sbagliato desiderare un cavaliere che mi protegga?»

Arys non l’aveva mai vista così vulnerabile. «No» rispose «ma ci sono le guardie di tuo padre a proteggerti, perché…»

«Sono proprio le guardie di mio padre quelle che temo di più.» Per un momento, parve addirittura più giovane di Myrcella. «Sono state loro a trascinare via in catene le mie dolci cugine.»

«Non in catene. Ho sentito che la loro sistemazione è confortevole.»

Arianne scoppiò in un’amara risata. «Tu le hai viste? Mio padre non mi permette di vederle, lo sapevi?»

«Tramavano tradimenti, tentavano di fomentare una guerra…»

«Loreza ha sei anni, Dorea otto. Che guerre potrebbero mai fomentare? Eppure mio padre ha imprigionato anche loro insieme alle sorelle più grandi. Hai visto anche tu com’è ridotto, no? La paura spinge anche gli uomini più valorosi a fare cose che altrimenti non farebbero, e mio padre non è mai stato un valoroso. Arys, tesoro mio, nel nome di quell’amore che dici di provare per me, ascoltami! Non sono mai stata coraggiosa come le mie cugine, il mio ceppo è più debole, ma Tyene e io abbiamo la stessa età e siamo state come sorelle da quando eravamo piccole. Non esistono segreti tra noi. Se lei può essere imprigionata, la stessa sorte può toccare anche a me, e per la stessa ragione… a Myrcella.»

«Tuo padre non farebbe mai una cosa del genere.»

«Tu non lo conosci. Per lui, sono stata una delusione fin dal giorno in cui venni al mondo: sono senza cazzo. Per cinque o sei volte ha cercato di darmi in sposa a vecchi barbogi sdentati, uno più deprecabile dell’altro. Non mi ha ordinato di sposarli, questo è vero, ma la scelta dei pretendenti dimostra l’opinione che ha di me.»

«Ma tu resti comunque la sua erede.»

«Tu credi?»

«Ti ha lasciato a regnare su Lancia del Sole durante la sua lunga permanenza ai Giardini dell’Acqua, o sbaglio?»

«Regnare? No. Ha lasciato suo cugino ser Manfrey come castellano, il vecchio e cieco Ricasso come siniscalco, i suoi gabellieri a raccogliere tasse e tributi perché Alyse Ladybright, la tesoriera, potesse contarli, i suoi sceriffi a mantenere l’ordine nella città delle ombre, il suo boia di corte ad assicurare la giustizia e maestro Myles a occuparsi di tutte le lettere del principe di Dorne tranne quelle strettamente personali. E sopra tutti loro aveva collocato la Vipera rossa. I miei compiti riguardavano feste e banchetti, e l’intrattenimento degli ospiti importanti. Oberyn si recava ai Giardini una volta la settimana. Io venivo convocata una volta ogni sei mesi. Non sono l’erede che mio padre vuole, lo ha fatto capire apertamente. Le nostre leggi glielo impongono, ma lui vorrebbe che fosse mio fratello a succedergli.»

«Tuo fratello?» Ser Arys le pose una mano sotto il mento e le sollevò la testa, per guardarla negli occhi. «Non starai parlando di Trystane: è solo un ragazzo.»

«Non Trys, Quentyn.» Gli occhi di Arianne erano neri come il peccato e privi di esitazione. «Conosco la verità da quando avevo quattordici anni, dal giorno in cui mi recai nel solarium di mio padre a dargli il bacio della buonanotte. Solo che lui non c’era. Mia madre lo aveva mandato a chiamare, scoprii in seguito. Era rimasta accesa una candela. Quando mi avvicinai per spegnerla, vidi lì accanto una lettera, ancora incompiuta. Era indirizzata a mio fratello Quentyn, che si trovava a Yronwood. Mio padre gli diceva che doveva obbedire in tutto e per tutto al suo maestro e al maestro d’armi, perché "un giorno tu siederai dove io siedo ora, e regnerai su Dorne, e per regnare bisogna essere forti di mente e di corpo".» Una lacrima scivolò lungo la guancia morbida di Arianne. «Parole di mio padre, scritte di suo pugno. Si sono incise a fuoco nella mia memoria. Piansi tutta la notte, e per molte altre notti a venire.»

Ser Arys doveva ancora incontrare Quentyn Martell. Il giovane principe era stato educato da lord Yronwood fin dalla più tenera età, lo aveva servito come paggio, poi come scudiero e aveva addirittura ricevuto il cavalierato dalle sue mani, preferendo lui alla Vipera rossa. "Se fossi un padre, anch’io vorrei che mio figlio fosse il mio successore" pensò. Ma sentiva la pena nella voce di Arianne, e sapeva che se le avesse detto quello che realmente pensava, l’avrebbe perduta.

«Forse hai letto male» disse invece. «Eri solo una ragazzina. Forse il principe Doran aveva scritto quelle parole solo per spronare Quentyn a essere più diligente.»

«Tu credi? Dimmi allora: dov’è Quentyn adesso?»

«Il principe si trova assieme all’esercito di lord Yronwood sulla strada delle Ossa» rispose cautamente ser Arys. Era ciò che gli aveva detto il decrepito castellano di Lancia del Sole, al suo arrivo a Dorne. E il maestro dalla serica barba lo aveva confermato.

«Questo è quello che mio padre vuole farci credere, ma io ho amici che dicono cose ben diverse.» Arianne abbassò la voce. «Mio fratello ha attraversato in segreto il mare Stretto, sotto le spoglie di un anonimo mercante. Perché?»

«Come faccio a saperlo? Possono esserci più di cento ragioni.»

«Oppure una soltanto. Sapevi che la Compagnia dorata ha rotto il suo contratto con la città libera di Myr?»

«I mercenari lo fanno spesso.»

«Non la Compagnia dorata. "La nostra parola vale come oro", così dice il loro motto fin dai tempi di Acreacciaio. Myr è sul piede di guerra contro Lys e Tyrosh. Per quale ragione rompere un contratto che offre l’opportunità di buoni guadagni e ampi saccheggi?»

«Forse la città libera di Lys offre un soldo più alto. O forse lo offre quella di Tyrosh.»

«No» tagliò corto Arianne. «Ci crederei per qualsiasi altra compagnia di ventura: cambierebbero padrone per mezza moneta. La Compagnia dorata è diversa. Una confraternita di esiliati e figli di esiliati, uniti dal sogno di Acreacciaio. È una patria che vogliono, oltre all’oro. E questo, lord Yronwood lo sa bene quanto me. I suoi antenati cavalcarono al fianco di Acreacciaio durante tre delle Ribellioni dei Blackfyre.» Prese Arys per la mano e intrecciò le sue dita con quelle di lui. «Hai mai visto l’emblema della Casa Toland di Collina Fantasma?»

Arys ci pensò su un momento. «Un drago che si mangia la coda?»

«Quel drago è il tempo. Non ha inizio, non ha fine, per questo tutto ritorna. Anders Yronwood è Criston Cole che risorge e sussurra all’orecchio di mio fratello che dovrebbe essere lui a regnare su Dorne dopo mio padre, che non è giusto che gli uomini s’inchinino al cospetto di una donna… e che Arianne in particolare non è atta a governare, essendo una ambiziosa meretrice.» Si scostò i capelli in un gesto di sfida. «Quindi, ser, le tue due principesse, Myrcella e Arianne, hanno una causa in comune… e in comune hanno anche un cavaliere che dichiara di amarle entrambe, ma rifiuta di combattere per loro.»

«Combatterò.» Ser Arys mise un ginocchio a terra. «Myrcella è la figlia maggiore, ed è più adatta a governare. Chi ne difenderà i diritti se non il suo cavaliere della Guardia reale? La mia spada, la mia vita, il mio onore, tutto appartiene a lei… e anche a te, delizia del mio cuore. Lo giuro: fino a quando avrò la forza di alzare una spada, nessuno ti sottrarrà il diritto alla successione. Io sono tuo. Che cosa ti posso dare di me?»

«Tutto.» Arianne si inginocchiò a sua volta, baciandolo sulle labbra. «Tutto, mio amore, mio unico amore, mio dolce amore, e per sempre. Prima però…»

«Chiedi, e sarà tuo.»

«… Myrcella.»

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