Parte quarta

51

Grenouille camminava di notte. Come all’inizio del suo viaggio, evitava le città, evitava le strade, si fermava a dormire sul far del giorno, si alzava la sera e proseguiva. Mangiava quello che trovava per via: erbe, funghi, fiori, uccelli morti, vermi. Attraversò la Provenza, passò dall’altra parte del Rodano su una barca rubata a sud di Orange, seguì il corso dell’Ardèche fin nel cuore delle Cevenne e poi l’Allier verso nord.

Nell’Auvergne arrivò vicino al Plomb du Cantal. Lo vide a ovest, grande e grigio-argento alla luce della luna, e sentì l’odore del vento freddo che veniva di là. Ma non provò il desiderio di andarci. Non aveva più voglia di vivere in una caverna. Aveva già fatto questa esperienza e si era rivelata invivibile. Proprio come l’altra esperienza, quella di vivere tra gli uomini. Si soffocava in entrambi i modi. Semplicemente non voleva più vivere. Voleva andare a Parigi e morire. Questo voleva.

Di tanto in tanto metteva la mano in tasca e stringeva il flacone di vetro che conteneva il suo profumo. La bottiglietta era ancora quasi piena. Per la sua comparsa a Grasse ne aveva usata soltanto una goccia. Il resto sarebbe bastato per ammaliare il mondo intero. Se avesse voluto, avrebbe potuto farsi festeggiare a Parigi non da diecimila persone soltanto, ma da centomila; o andare a passeggio a Versailles per farsi baciare i piedi dal re; scrivere al papa una lettera profumata e rivelarsi come il nuovo messia; a Notre-Dame, davanti a re e imperatori, ungersi imperatore supremo, anzi addirittura Dio in terra, ammesso che ci si potesse ancora ungere come Dio…

Poteva fare tutte queste cose, se solo l’avesse voluto. Aveva il potere di farlo. L’aveva in mano. Un potere più forte del potere del denaro o del potere del terrore o del potere della morte: il potere invincibile di suscitare l’amore negli uomini. Solo una cosa non riusciva a fare, questo potere: non riusciva a fargli sentire il proprio odore. E anche se il suo profumo di fronte al mondo lo faceva apparire come un Dio, se non riusciva a sentire il proprio odore e se quindi era condannato a non sapere mai chi egli fosse, se ne infischiava, se ne infischiava del mondo, di se stesso, del suo profumo.

La mano con cui stringeva il flacone emanava un profumo molto delicato, e quando la portava al naso e la fiutava, diventava malinconico, e per un attimo smetteva di camminare e si fermava ad annusare. Nessuno sa com’è buono in realtà questo profumo, pensava. Nessuno sa com’è fatto bene. Gli altri si limitano a subirne l’effetto, anzi non sanno neppure che è un profumo che agisce su di loro e li affascina. L’unico che l’abbia mai conosciuto nella sua reale bellezza sono io, perché io stesso l’ho creato. E sono anche l’unico che non può esserne affascinato. Sono l’unico per il quale questo profumo non ha senso.

E un’altra volta — era già arrivato in Borgogna — si chiese: quando ero vicino al muro sotto il giardino in cui giocava la fanciulla dai capelli rossi, e il vento mi portava il suo profumo — o piuttosto la promessa del suo profumo, poiché in realtà il suo profumo sarebbe nato in seguito, non esisteva ancora — ciò che provavo allora era forse qualcosa di simile a quello che ha provato la folla sul Cours, quando l’ho inondata col mio profumo? Ma poi respinse quel pensiero: no, era qualcosa di diverso. Poiché io sapevo di desiderare il profumo, non la fanciulla. Invece la folla pensava di desiderare me, e ciò che desiderava in realtà non lo saprà mai.

Poi smise di pensare, perché pensare non era il suo forte, e inoltre era già arrivato nella zona di Orléans.

Attraversò la Loira nei pressi di Sully. Il giorno dopo gli giunse alle narici l’odore di Parigi. Il 25 giugno 1767 entrò in città da Rue Saint-Jacques, alle sei di mattina.

Era un giorno molto caldo, il più caldo di tutto quell’anno. Migliaia di odori e puzze sgorgavano come da migliaia di ascessi scoppiati. Non c’era un alito di vento. La verdura sui banchi del mercato appassì prima di mezzogiorno. Carne e pesci marcivano. Nei vicoli stagnava un’aria pestifera. Sembrava che anche il fiume non scorresse più, ma si limitasse a stare immobile e puzzare. Come il giorno in cui era nato Grenouille.

Attraverso il Pont Neuf passò sulla riva destra, e proseguì fino alle Halles e al Cimetière des Innocents. Nelle arcate degli ossari lungo Rue aux Fers si mise a sedere. L’area del cimitero si stendeva davanti a lui come un campo di battaglia distrutto dalle cannonate, pieno di buche, di solchi, attraversato da fosse, disseminato di ossa e di teschi, senza un albero, un cespuglio o un filo d’erba: una discarica della morte.

Non si vedeva anima viva. Il puzzo dei cadaveri era così forte che persino i becchini erano spariti. Ritornarono soltanto al tramonto, a scavare fosse alla luce delle fiaccole fino a notte inoltrata per i morti del giorno seguente.

Soltanto dopo mezzanotte — i becchini erano già andati via — il luogo si popolò di tutte le canaglie possibili, ladri, assassini, accoltellatori, prostitute, disertori, giovani desperados. Accesero un fuocherello all’aperto, per cucinare e per disperdere il puzzo.

Quando Grenouille si mosse dalle arcate e si mescolò al gruppo, in un primo tempo non lo notarono affatto. Poté avvicinarsi al fuoco inosservato, come se fosse uno di loro. Questo fatto in seguito confermò la loro idea che probabilmente si fosse trattato di uno spirito o di un angelo o comunque di una creatura soprannaturale. Infatti di solito erano estremamente sensibili alla vicinanza di uno sconosciuto.

Ma quel piccolo uomo con la sua giacca blu si era semplicemente trovato lì come se fosse spuntato dal terreno, con una boccetta in mano, che aveva stappato. Questa fu la prima cosa che tutti riuscirono a ricordare: che un tale era lì e stappava una boccetta. E poi si era spruzzato tutto con il contenuto di questa boccetta e tutt’a un tratto era apparso circonfuso di bellezza, come di una fiamma raggiante.

Per un attimo indietreggiarono, con rispetto e profondo stupore. Ma nello stesso istante sentirono che il loro indietreggiare equivaleva già a un prender l’avvio, che il loro rispetto si trasformava in desiderio, il loro stupore in entusiasmo. Si sentirono attratti da quel piccolo uomo angelico. Un turbine di passione emanava da lui, un flusso trascinante, al quale nessuno riusciva a opporsi — tanto più che nessuno avrebbe voluto opporvisi — poiché era quello stesso a smuovere la volontà e a sospingerla verso quell’uomo.

Avevano formato un cerchio attorno a lui, venti, trenta persone, e questo cerchio si stringeva sempre più. Presto il cerchio non riuscì più a contenerle tutte, ed esse cominciarono a premere, a spingere e a incalzare, ognuno voleva essere più vicino al centro.

E poi d’un tratto crollò in loro l’ultima inibizione, il cerchio si sfasciò. Si precipitarono su quell’angelo, si avventarono su di lui, lo gettarono a terra. Ognuno voleva toccarlo, ognuno voleva una parte di lui, una piccola piuma, un’ala, una scintilla della sua fiamma meravigliosa. Gli strapparono dal corpo i vestiti, i capelli, la pelle, lo fecero a brandelli, affondarono unghie e denti nella sua carne, gli si buttarono addosso come iene.

Ma il corpo di un uomo è tenace, e non si lascia squartare così facilmente, persino per i cavalli costituisce un’enorme fatica. E così, presto lampeggiarono i pugnali, e affondarono nella carne e la squarciarono, e asce e lame robuste si abbatterono sibilando sulle sue giunture, gli schiantarono le ossa. In brevissimo tempo l’angelo fu smembrato in trenta parti, e ogni membro della masnada ne afferrò avidamente un pezzo, si tirò indietro in preda a una brama voluttuosa, e lo divorò. Dopo mezz’ora anche la più piccola fibra di Jean-Baptiste Grenouille era sparita dalla terra.

Quando i cannibali alla fine del pasto si ritrovarono insieme accanto al fuoco, nessuno disse una parola. Di tanto in tanto qualcuno ruttava leggermente, sputava un ossicino, faceva schioccare pian piano la lingua, spingeva col piede un residuo della giacca blu tra le fiamme: tutti provavano un lieve imbarazzo e non osavano guardarsi. Ognuno di loro, uomo o donna, aveva già commesso una volta un delitto o qualche altro crimine abietto. Ma divorare un uomo intero? Mai e poi mai avrebbero pensato di poter compiere un gesto tanto orribile. E tuttavia si meravigliavano di come fosse stato facile per loro, e di non avvertire neppure un’ombra di rimorso, pur con tutto l’imbarazzo. Al contrario! Nonostante lo stomaco fosse pesante, il cuore era straordinariamente leggero. Nelle loro anime tenebrose si agitava d’un tratto un’ombra di gaiezza. E sui loro volti aleggiava un tenero, timido barlume di felicità. Per questo forse avevano timore di alzare lo sguardo e di guardarsi negli occhi.

Quando poi trovarono il coraggio di farlo, dapprima con circospezione e in seguito senza più riserve, dovettero sorridere. Erano straordinariamente fieri. Per la prima volta avevano compiuto un gesto d’amore.

FINE
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