XX GLI SPECCHI DI PADRE INIRE

Agia aveva ragione. Le vere giungle nel nord erano agonizzanti. Io non ne avevo mai vista una, ma il giardino a loro dedicato mi diede l'impressione di conoscerle. Ancora oggi, mentre sto seduto al mio scrittoio nella Casa Assoluta, qualche rumore lontano mi fa tornare in mente le strida del pappagallo dal petto color magenta e dal becco bluastro che svolazzava da un albero all'altro, spiandoci con gli occhi cerchiati di bianco e pieni di disapprovazione… anche se certamente è tutto dovuto al fatto che la mia mente era ammaliata da quel luogo stregato. Intercalata alle sue urla, giunse una voce sconosciuta, proveniente da un mondo rosso non ancora dominato dal pensiero.

— Che cos'è? — Toccai il braccio di Agia.

— Uno smilodonte. Ma è lontano, e vuole solamente spaventare i cervi per poterli mangiare. Scapperebbe da te e dalla tua spada più in fretta di quanto faresti tu. — Un ramo aveva strappato la veste di Agia portandole allo scoperto un seno, e quell'incidente non aveva certo migliorato il suo umore.

— Dove porta il sentiero? E come è possibile che quel felino sia tanto lontano? Dopotutto ci troviamo solo in una stanza dell'edificio che abbiamo visto dalla Scalinata Adamniana.

— Non mi ero mai addentrata tanto in questo posto. Sei stato tu a voler entrare.

— Rispondi alle mie domande — le dissi, stringendole la spalla.

— Se questo sentiero è uguale agli altri… intendo dire a quelli degli altri giardini, segue un ampio percorso circolare che ci porterà nuovamente alla porta d'entrata. Non c'è motivo di temere.

— La porta è scomparsa.

— È solo un trucco. Non hai mai visto quei quadri nei quali un pietista appare assorto quando lo guardi da una certa posizione e ti fissa quando ti sposti dalla parte opposta? La porta riapparirà quando ci avvicineremo dall'altro lato.

Un serpente dagli occhi di corniola si fece avanti sul sentiero e sollevò la testa velenosa per guardarci, quindi si allontanò. Agia soffocò un'esclamazione. — Chi di noi due ha paura adesso? — le chiesi. — Quel serpente scapperà con la stessa velocità che avresti tu? Adesso rispondi alla mia domanda sullo smilodonte. È veramente lontano? E se lo è, com'è possibile?

— Non lo so. Pensi che ci sia una spiegazione per tutto quello che vedi, qui? È così nel posto da cui vieni?

Rammentai la Cittadella e le antichissime usanze della corporazione. — No — risposi. — Esistono cariche e tradizioni inesplicabili, là, anche se con la decadenza di questi ultimi tempi stanno andando in disuso. E ci sono torri nelle quali non è mai entrato nessuno, e sale perdute e gallerie con ingressi invisibili.

— Allora perché non accetti che queste cose possano esserci anche qui? Quando eravamo in cima alla scalinata e hai guardato i giardini, sei riuscito a vedere l'intero edificio?

— No — riconobbi. — C'erano arcate e guglie e un pezzo della banchina che me lo impedivano.

— Potresti comunque delimitare quello che hai visto?

Scrollai le spalle. — Il vetro impediva di individuare gli angoli dell'edificio.

— Allora come puoi farmi simili domande? E se proprio le vuoi fare, non capisci che non posso sapere le risposte? Ho dedotto che lo smilodonte fosse distante dal suo ruggito. Potrebbe anche non essere affatto qui, essere lontano nel tempo.

— Quando ho guardato l'edificio dall'alto, mi è parso di vedere una cupola sfaccettata. Adesso però, guardando in alto, vedo solo il cielo.

— Le superfici delle sfaccettature sono molto estese, probabilmente le giunture sono nascoste fra i rami — disse Agia.

Procedemmo, guadando un rivoletto d'acqua nel quale era immerso un rettile dai denti maligni e dalla schiena pinnata. Sfoderai Terminus est. — Riconosco — ripresi, — che qui le piante sono talmente fitte che non permettono alla vista di spaziare in tutte le direzioni. Ma guarda attraverso l'apertura creata dal rivolo. Verso monte si vede solo la giungla, verso valle, invece, si distingue un luccichio d'acqua, come se questo rigagnolo si immettesse in un lago.

— Ti ho già spiegato che le camere si allargano e che questo fatto può sembrare inquietante. E si dice anche che le pareti di questi giardini siano fatte di specchi, che creano l'illusione di uno spazio vastissimo.

— Una volta ho conosciuto una donna che aveva incontrato Padre Inire. Mi raccontò una storia. Vuoi sentirla?

— Se ti fa piacere.

A dire il vero, ero io che desideravo ascoltare quella storia; la ripetei a me stesso, nei recessi della mia mente, assaporandola come avevo fatto la prima volta, quando le mani di Thecla, bianche e fredde come gigli su una tomba piena di pioggia, erano strette fra le mie.


— Avevo tredici anni, Severian, e avevo un'amica che si chiamava Domnina. Era una ragazza graziosa che sembrava molto più piccola della sua età e forse proprio per questo motivo lui l'aveva presa in simpatia.

«So che non sei mai stato nella Casa Assoluta. Credimi, nella Sala del Significato ci sono due specchi. Ciascuno di essi è largo tre o quattro alne e si estende fino al soffitto. In mezzo non c'è niente al di fuori del pavimento di marmo ampio qualche dozzina di passi. In altre parole, chiunque passa per quella sala vede se stesso moltiplicato all'infinito, perché ogni specchio riflette le immagini dell'altro.

«È una sensazione molto piacevole, se sei una ragazza giovane e ti credi bellissima. Io e Domnina una sera stavamo giocando là e giravamo su noi stesse per provare delle camicie nuove. Avevamo messo un candeliere alla sinistra di ciascuno specchio… agli angoli opposti, se capisci cosa intendo dire.

«Eravamo tanto intente a specchiarci che non ci accorgemmo della presenza di Padre Inire fino a quando non fu a un passo da noi. In qualsiasi altra situazione saremmo scappate subito, benché fosse di poco più alto di noi. Indossava delle vesti iridescenti che parevano sbiadirsi quando lo guardavo, come se fossero tinte di nebbia. “Fate attenzione, bambine, a specchiarvi così” ci disse. “C'è un folletto in agguato che si insinua negli occhi di quelli che guardano.”

«Io capii cosa volesse dire e arrossii. Ma Domnina disse: “Penso di averlo visto. Ha la forma di una lacrima ed è tutto luccicante?”

«Padre Inire le rispose prontamente, ma mi accorsi che era stupito: “No, quello è un altro, dulcinea. Riesci a vederlo chiaramente? No? Allora vieni nella mia camera di presenza, domani prima di Nona, e te lo mostrerò.”

«Quando se ne andò, eravamo spaventate. Domnina giurò centinaia di volte che non ci sarebbe andata. Io la approvai e cercai di convincerla a persistere nel suo proposito. Ma soprattutto, ci accordammo che quella notte e il giorno successivo saremmo state sempre insieme.

«Fu tutto inutile. Un po' prima dell'ora stabilita, un servitore con una livrea che nessuna di noi due aveva mai visto venne a prelevare la povera Domnina.

«Alcuni giorni prima ci avevano regalato delle figurine di carta. C'erano servette, colombine, corifee, arlecchine, figuranti… le solite cose. Rammento che aspettai tutto il giorno, vicino alla finestra, che Domnina tornasse, e per ingannare il tempo giocavo con le figurine, colorando i costumi con i pastelli a cera e inventando giochi che avremmo fatto insieme al suo ritorno.

«Alla fine la mia balia mi chiamò per la cena. Ero convinta che Padre Inire avesse ucciso Domnina o che l'avesse rimandata dalla madre con l'ordine di non venire più a farci visita. Mentre stavo finendo la minestra, udii bussare. La cameriera di mia madre andò ad aprire e Domnina entrò correndo. Non dimenticherò mai il suo volto… pallido come quello delle bambole. Piangeva. La mia balia la consolò e alla fine riuscimmo a farla parlare.

«L'uomo che era venuto a prenderla l'aveva condotta attraverso corridoi che noi ignoravamo, e questo, Severian, era già di per sé spaventoso. Pensavamo di conoscere in tutti i particolari la nostra ala della Casa Assoluta. Infine il servo l'aveva fatta entrare in quella che doveva essere la camera della presenza. Domnina la descrisse come una grande sala tappezzata di drappi rosso scuro, priva di mobili, con vasi più alti di un uomo e tanto larghi che lei non sarebbe riuscita a circondarli con le braccia.

«Al centro c'era quella che dapprima le era parsa una stanza all'interno della stanza. Le pareti erano ottagonali e ricoperte da disegni raffiguranti dei labirinti. Sopra, appena visibile dall'entrata, ardeva la lampada più luminosa che Domnina avesse mai visto. Era biancoazzurra e talmente splendente che nemmeno un' aquila avrebbe potuto fissarla a lungo.

«Domnina aveva avvertito lo scatto della serratura alle sue spalle. Non sembravano esserci altre uscite. Corse ai drappeggi, nella speranza di trovare una seconda porta, ma non appena iniziò a spostarli, una delle pareti decorate con i labirinti si aprì e comparve Padre Inire. Alle sue spalle c'era come un buco senza fondo e pieno di luce.

«“Eccoti qui” disse Padre Inire. “Sei arrivata appena in tempo. Figliola, il pesce è quasi preso. Puoi vedere apprestare l'amo e scoprire in che modo le sue squame dorate resteranno impigliate nella nostra rete.” La prese per un braccio e la fece entrare nella stanza ottagonale.


Dovetti interrompere il racconto per aiutare Agia a superare un tratto del sentiero completamente sommerso dalla vegetazione. — Stai parlando a te stesso — mi disse. — Ti sento bisbigliare alle mie spalle.

— Sto raccontando a me stesso la storia a cui ti ho accennato. Mi era parso che non avessi piacere di sentirla, mentre io la volevo ascoltare ancora… e poi, parla degli specchi di Padre Inire e potrebbe tornarci utile.


— Domnina si ritrasse. Nel mezzo della recinzione, esattamente sotto la lampada, c'era una nebbia di luce gialla in continuo movimento. Si muoveva in alto e in basso e di lato con guizzi rapidi e non lasciava mai uno spazio maggiore di quattro spanne. Faceva venire in mente un pesce, molto più della forma vaga che Domnina aveva scorto nella Sala del Significato… un pesce che nuotava nell'aria imprigionato in una vasca invisibile. Padre Inire richiuse dietro di loro la porta dell'ottagono. Si trattava di uno specchio nel quale lei poteva vedere riflessi il volto, la mano e le vesti lucenti di Padre Inire; e anche la sua figura, e la forma del pesce… ma pareva che ci fosse un'altra ragazza… la sua faccia che curiosava dietro la sua spalla, e poi un'altra e un'altra ancora, sempre più piccole, e così fino all'infinito, una interminabile catena di volti di Domnina.

«Quando li vide, lei capì che le pareti della recinzione erano tutte specchi. La luce della lampada veniva catturata da quegli specchi e riflessa dall'uno all'altro in una danza interminabile, come palle d'argento lanciate da ragazzi. Al centro, il pesce guizzava avanti e indietro: pareva formato dalla convergenza della luce.

«“Ecco, lo puoi vedere” disse Padre Inire. “Gli antichi, che conoscevano questo fenomeno meglio di noi, ritenevano il pesce il meno importante e il più comune fra gli abitanti degli specchi. Non ci importa affatto la loro erronea credenza che gli esseri evocati fossero sempre presenti nelle profondità del vetro. Con il tempo, i nostri antenati si posero un problema serio: quali mezzi servono per effettuare un viaggio il cui punto d'arrivo sta a una distanza astronomica dal punto di partenza?”

«“Posso toccare con la mano?”

«“Per il momento sì, bambina. Più avanti non te lo permetterò.”

«Domina lo fece e avvertì un soffio caldo. “È così che arrivano i cacogeni?”

«“Tua madre ti ha fatto salire a bordo del suo velivolo?”

«“Certo.”

«“E hai avuto modo di vedere i velivoli-giocattolo che i ragazzini lanciano nel parco di sera, fatti di carta e di pergamena. Quello che stai vedendo adesso rispetto alle macchine che viaggiano da un sole all'altro è come uno di quei giocattoli rapportato a un vero velivolo. Eppure, con questo noi siamo in grado di evocare il pesce e forse anche altre cose. E come i modellini dei ragazzi talvolta incendiano il tetto di un padiglione, così anche i nostri specchi, per quanto la loro concentrazione non sia potente, non sono privi di pericoli.”

«“Pensavo che per andare fra le stelle fosse necessario sedersi su uno specchio.”

«Padre Inire sorrise. Era la prima volta che Domnina lo vedeva sorridere e nonostante sapesse che lo stava facendo solo perché lei lo divertiva più di una donna adulta, ne rimase comunque turbata. “Aspetta, lascia che ti spieghi meglio la questione. Quando qualcosa si muove in fretta, molto in fretta, con la stessa velocità con la quale tu distingui le cose della tua camera quando la governante accende la candela, allora diventa pesante. Non è che si ingrandisca, capisci, ma diventa pesante. È attratto con più forza da Urth o da qualsiasi altro mondo. Se si muovesse abbastanza in fretta, diventerebbe un mondo a sua volta e attirerebbe a sé altre cose. Non succede mai niente del genere, ma se dovesse capitare, accadrebbe in questo modo. Eppure, nemmeno la luce della tua candela avanza abbastanza in fretta da poter viaggiare fra i soli.”

«Intanto, il pesce continuava a guizzare dall'alto al basso, avanti e indietro.

«“Non si potrebbe creare una candela più grande?” Sono certa che Domnina avesse in mente il cero pasquale che vedeva sempre in primavera e che era più grosso della coscia di un uomo.

«“Si potrebbe farlo, ma la luce non volerebbe comunque più veloce. Eppure, nonostante sia priva di peso, preme contro quello su cui cade, allo stesso modo in cui il vento, che noi non riusciamo a vedere, preme le pale di un mulino. Adesso vedi che cosa succede quando si illuminano specchi posti uno davanti all'altro: l'immagine che riflettono viaggia fra di loro e ritorna. Immagina che tornando incontri se stessa… che cosa avviene, secondo te?”

«Nonostante la paura, Domnina rise e rispose che non lo sapeva.

«“Si annulla. Pensa a due bambine che stanno correndo su un prato senza guardare dove vanno. Quando si scontrano, non ci sono più due bambine che corrono. Ma se gli specchi vengono preparati bene e sono posti alla giusta distanza, le immagini non si incontrano mai, anzi, vanno una dietro l'altra. Questo non ha alcun effetto quando la luce proviene da una candela o da una stella comune, perché le due luci che si inseguono sono solo luce bianca randomizzata, uguali alle increspature che una bambina potrebbe generare lanciando una manciata di sassolini in uno stagno. Ma se la fonte della luce è coerente e l'immagine è riflessa da uno specchio otticamente perfetto, l'orientamento dei fronti d'onda è uguale perché l'immagine è la stessa. Dato che niente nel nostro universo può superare la velocità della luce, la luce accelerata lo abbandona per entrare in un altro. Quando rallenta, rientra nel nostro… logicamente in un altro punto.”

«“Si tratta solo di un riflesso, allora?” chiese Domnina, guardando il pesce.

«“Alla fine diventerà reale, se non oscuriamo la lampada e non spostiamo gli specchi. Le leggi del nostro universo non ammettono l'esistenza di un'immagine riflessa priva del suo oggetto corrispondente, perciò l'oggetto diventerà reale.”


— Guarda — disse Agia, — c'è qualcosa.

L'ombra delle piante tropicali era tanto intensa che le chiazze di sole sul sentiero parevano rifulgere come oro colato. Strizzai gli occhi e cercai di scrutare oltre i raggi.

— Una palafitta di legno giallo con il tetto di fronde. Non la vedi?

Si mosse qualcosa e la capanna parve avventarsi contro i miei occhi emergendo dalla massa dei verdi, gialli e neri. Una macchia scura diventò il vano di una porta e due linee spioventi si trasformarono in un tetto. Un uomo vestito di chiaro era fermo sulla piccola veranda e guardava verso di noi. Mi misi a posto il mantello.

— Non importa — disse Agia. — Qui non è necessario. Levatelo pure, se hai caldo.

Mi tolsi il mantello e lo piegai sul braccio sinistro. L'uomo sulla veranda si volse con un'inequivocabile espressione di terrore ed entrò nella capanna.

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