PARTE PRIMA IL CASO DELLA VERGINE SPAGNOLA

1

Il giorno in cui Jim Bishop e la sua moto fecero il loro rombante ingresso nelle terre del Nord, c’erano più di 40 gradi. Era mezzogiorno e il sole picchiava senza pietà. Le sagome marrone delle montagne brulle si stagliavano su entrambi i lati della superstrada, il cui asfalto, all’orizzonte, pareva liquefatto dal calore.

Bishop diede gas, e l’Harley Road King toccò i centoventi all’ora, vibrando sotto di lui. Era un mezzo elegante, pensato per viaggi lunghi e confortevoli, ma Bishop era ormai distrutto. Sotto la giacca di pelle, la T-shirt grigia era nera di sudore; sotto il casco, i capelli erano fradici; gli occhiali, come il parabrezza, erano ricoperti di quelli che i motociclisti chiamano «proteina spray»: insetti spiaccicati.

Bishop lasciò la superstrada al termine della lunga vallata. Uscita per Driscoll, California, 67.000 abitanti, l’ultimo grande avamposto prima delle montagne e dei boschi.

L’Harley sembrò lamentarsi con il pilota che aveva ridotto l’andatura. Bishop procedette a settanta all’ora su una strada a quattro corsie, interamente occupate da un torrente di auto. Ai lati, una sequenza di stazioni di servizio e centri commerciali color sabbia, poi altri benzinai e motel, ancora motel e fast-food — Taco Bell, Burger King, McDonald’s —, quindi ancora stazioni di servizio, e centri commerciali dai mille negozi, con insegne dalle grandi lettere che ne urlavano i nomi. L’Harley deviò su un’altra strada, fece una svolta e poi un’altra, ma lo scenario non cambiò. Stazioni di servizio, hotel, ristoranti e centri commerciali. Dietro le lenti da aviatore, gli occhi chiari di Bishop cercavano il centro città. Poi capì: quello era il centro, non c’era altro. Driscoll non era altro che una cicatrice di cemento che si irradiava alla base delle montagne. Un punto di sosta per i turisti che stavano per inoltrarsi nella natura selvaggia.

La moto scoppiettò mentre passava su un ponte bianco, anch’esso intasato di vetture. Sotto, il fiume Sacramento rifletteva stancamente i raggi del sole. Più avanti, dopo una curva, il traffico diminuì. Bishop accelerò e cambiò corsia passando fra due macchine che tentavano di stringerlo; poi girò in Main Street che, anche se il suo nome significava «via principale», in realtà era semideserta. I centri commerciali e i grandi magazzini ne avevano risucchiato la vita. Rimanevano solo un buco con pretese di teatro, uno squallido locale chiamato Clover Leaf e un hotel del quale sarebbe stato difficile stabilire se fosse aperto o chiuso. Un uomo con un braccio solo e un cappello militare barcollava ubriaco sul marciapiede; un altro, con la barba ispida, era piantato su un angolo, con il cartello REDUCE. SENZA TETTO. AIUTATEMI. Bishop passò oltre con la sua potente motocicletta.

Si diresse verso la periferia. Nelle vie laterali, case di legno o lamiera, dai tetti spioventi, erano stipate su esigue chiazze verdi, dove donne grasse, in camicetta senza maniche, annaffiavano giardini stentati al suono delle risate dei loro figli, impegnati a giocare sotto i getti d’acqua.

Le risate si dissolsero in lontananza, insieme alla città. Ancora poche desolate abitazioni e poi i campi aperti, bruciati dalla calura, lucenti e distesi fino ai piedi delle alture. Lontano, quasi in una vagheggiata dimensione di sogno, le bianche pareti di dimore estive abbagliavano Driscoll dall’alto della loro posizione sopraelevata. Bishop aveva raggiunto il limitare della città, il confine con le foreste del Nord.

Svoltò in un viottolo sterrato e percorse l’ultimo mezzo chilometro che lo separava dal campo di aviazione.


Nell’hangar vi erano due uomini, entrambi in tuta. Nel vecchio, calvo e rugoso, si riconosceva una vecchia volpe; nel giovane, il sorriso ebete tradiva la scarsa intelligenza. Stavano parlando, appoggiati all’ala di un Piper Tomahawk. Chiacchieravano, ridacchiavano. Fu il più anziano dei due, mentre si puliva le mani con uno straccio, a vedere per primo l’uomo che avanzava verso la porta dell’hangar.

Bishop aveva lasciato il casco appeso al manubrio della Harley e si era tolto la giacca di pelle, gettandola sulla spalla. Attraversava l’area di parcheggio con studiata lentezza, e altrettanto lentamente esaminava il campo con gli occhi chiari, dietro le lenti da aviatore. All’epoca doveva avere trent’anni, mi pare. Non era molto alto — poco più di un metro e settanta — ma largo di spalle e muscoloso, come si vedeva dai bicipiti e dai pettorali scolpiti sotto la T-shirt intrisa di sudore. Dall’andatura sicura e tesa si intuivano la velocità e la potenza del suo fisico. Il viso era ovale, con lineamenti fini e capelli castano chiaro. E anche se aveva un’aria ironica, come se stesse ridendo di nascosto di una barzelletta che gli altri erano troppo stupidi per comprendere, non ingannò il vecchio, che era in giro da un pezzo e ne aveva incontrati altri, di tipi come lui. Sentì come un pugno nello stomaco e la saliva azzerarsi, quando lo vide avvicinarsi.

Bishop passò dal sole caldo dell’esterno all’ombra fresca dell’hangar. Giunto all’altezza del timone dell’aereo, si fermò.

«Chi di voi è Ray?» chiese.

«Sono io», rispose il vecchio. «Sono io Ray. Ray Gambling.»

«E io sono Frank Kennedy», ribatté Jim Bishop senza scomporsi. «Il vostro nuovo pilota.»

2

Se la prima reazione di Ray Gambling alla vista di Bishop era stata di tensione, la seconda fu di aperto nervosismo. Parlava a voce troppo alta, come un attore scadente che sta imparando la parte, intercalando di continuo le frasi con una risatina idiota.

«Siamo una piccola ditta… eh, eh. Non posso offrirti un lavoro fisso. È l’estate la stagione più affollata, senza dubbio, la primavera e l’estate… eh, eh.»

Aveva condotto Bishop in un corridoio climatizzato, di fianco all’hangar. Il pilota seguiva il vecchio lungo il corridoio, fissando con durezza la sua nuca e sperando che si calmasse.

Ray balbettò qualcosa da sopra la spalla: «Ci sono i soliti avvocati che vanno e vengono da Arcata, dove c’è la sede della contea, per i loro processi e i loro pasticci… eh, eh. Poi, nella stagione calda, ci sono quelli della forestale, che controllano gli incendi e devono portare l’attrezzatura nei boschi. Trasportiamo anche merci, documenti da Weaverville e così via. Ricordati di portare sempre il cercapersone e mi raccomando di osservare le pause e i turni di riposo… eh, eh. Vedrai che probabilmente sarai in aria tutti i giorni da qui a settembre. Questa è Kathleen».

Dal retro erano arrivati nell’ufficio, un grande spazio diviso a metà da un bancone: sul davanti si apriva una vetrina che dava sull’area di stazionamento, con i piccoli aeroplani allineati in sosta. Lungo la stessa vetrina, alcune sedie e un tavolino coperto di riviste formavano una sorta di sala d’aspetto per i clienti in attesa di pagare, quando ce n’erano (e non era questo il caso). Di qua dal bancone c’erano scrivanie, computer, schedari e carte accatastate in modo disordinato. Kathleen era in piedi davanti a uno schedario e stava inserendo una pratica in un cassetto.

Quando i due uomini entrarono, la voce di Ray si fece ancora più acuta, la risatina più nervosa. «Kathleen Wannamaker; questo è Ji… No, Frank, vero? Frank, hai detto?… eh, eh. Scusami sai, con l’età la memoria fa cilecca… eh, eh. Frank Kennedy, il nostro nuovo pilota. Kathleen manda avanti la baracca, dirige le operazioni e tappa i buchi quando necessario. Devi essere gentile con lei se vuoi avere un futuro qui… eh, eh. Vero, Kathleen?»

La donna alzò lo sguardo senza sorridere. Aveva un’espressione dura e priva di fascino, ma era abbastanza attraente. Poteva avere dai trenta ai quarant’anni; era bassa, con la vita stretta, robusta sui fianchi e sul seno, e vestiva una gonna marrone chiaro con una camicetta bianca. Portava i capelli castani lunghi e flosci, con la riga in mezzo; quando vide Bishop, ne ravviò alcune ciocche dietro l’orecchio con un gesto automatico.

«Piacere», disse, mentre lo squadrava dalla testa ai piedi. I suoi lineamenti regolari sarebbero potuti apparire cordiali, ma in realtà non era così.

Bishop si tolse gli occhiali e incrociò il suo sguardo.

Ray continuò a blaterare. «Frank è quello di cui ti ho parlato; deve trovare un posto dove stare. Kathleen ha una casa da affittare, quindi… ecco fatto… eh, eh. Vero, Kathleen? Per te va bene? Hai detto che la casa è aperta e che non manca niente. Kennedy si fermerà per l’estate al massimo, quindi non ci dovrebbero essere problemi… eh, eh.»

La donna non rispose subito; stava ancora sostenendo il suo duello di sguardi con Bishop. Prima di proseguire, è necessario chiarire un concetto: le donne si innamoravano di Bishop all’istante. Accadeva immancabilmente: si innamoravano e venivano trascinate da una passione travolgente, rimanevano impantanate nelle sabbie mobili del sentimento. In gran parte era per il suo aspetto, i muscoli, lo sguardo tagliente, e poi per le moto e gli aerei, certo; ma doveva esserci dell’altro. Forse si trattava del fatto che era un bastardo ma a suo modo sincero, senza secondi fini. Era un bastardo e non gli importava di nessuno. Gli uomini gli erano grati per questo: per loro era sufficiente che passasse senza causare troppi danni. Ma per le donne era diverso: cercavano disperatamente di suscitare in lui un interesse, ognuna voleva essere la prima di cui lui si prendesse realmente cura.

Kathleen confermò la regola nel momento stesso in cui esitò prima di rispondere a Ray: esitò e continuò a guardare Bishop. E Bishop continuò a guardarla a sua volta, indifferente e tranquillo, sorridendo appena e facendo le sue valutazioni.

Finalmente Kathleen sospirò e sbatté le palpebre come se si stesse risvegliando. «Fanno quattro e cinquanta», annunciò. «L’affitto. Quattrocentocinquanta dollari al mese. La casa è pronta; puoi entrare subito, se ti va bene.»

«Mi sembra accettabile», replicò Bishop.

«Perfetto», Ray aveva quasi urlato. «È stato facile! Eh, eh. Siamo d’accordo…»

«Kennedy», disse Bishop.

«Kennedy! Frank, vero? All’inferno la mia memoria per i nomi… eh eh… Frank. Inizieremo a istruirti subito e a farti provare gli aeroplani sui quali volerai.»

Bishop non aprì bocca. Guardava Kathleen e lei ricambiava lo sguardo, con il petto palpitante d’emozione.

«Ehi, Kathleen», intervenne Ray. «Ecco tuo marito.»

Bishop spostò lo sguardo al di là del vetro. Un Cessna 340 stava fendendo l’aria tremolante di calore, adagiandosi lentamente sulla pista. La spinta delle eliche fece tremare il velivolo.

Kathleen non si girò subito; indugiò ancora un istante su Bishop, poi si costrinse a guardare fuori.

L’aeroplano raggiunse l’area di sosta, i motori si spensero e le eliche si fermarono. I tre nell’ufficio videro il pilota che slacciava le cintare, scendeva dalla cabina e passava da un’ala all’altra per fissare l’aereo al suolo.

«Quello è Chris, il marito di Kathleen», disse Ray a Bishop. «È il mio primo pilota. È anche un controllore di volo e un istruttore, perciò sarà quello che ti farà provare i vari aeroplani.»

Chris Wannamaker stava avanzando a grandi passi verso di loro, facendo oscillare la borsa dei documenti di volo che gli pendeva dal pugno. Un gran figlio di puttana, lo valutò Bishop senza s comporsi. Un vero figlio di puttana, e cattivo.

Proprio così, pensò. E non credo che gli farà piacere quando inizierò a scoparmi sua moglie.

3

La casa di Kathleen, quella che affittava, non era lontana dal campo di aviazione. Era di legno, a due piani, talmente in cattivo stato che sembrava reggersi a malapena sull’erba bruciata del prato. Al piano terra c’erano la cucina e il soggiorno; di sopra, un solaio con pretese di camera da letto. Il mobilio, se così si poteva chiamare, cadeva a pezzi.

Era sera quando Kathleen vi accompagnò Bishop. Dalle case vicine provenivano suoni di risate infantili e il fruscio dell’acqua degli irrigatori; i cani abbaiavano e si sentiva il tipico richiamo delle mamme: «È pronto!» C’era ancora un po’ di luce — era solo giugno — ma dalle finestre del soggiorno entrava la prima aria fresca della giornata, che scuoteva le tende sottili.

In camera, invece, l’aria era soffocante. Nello spazio angusto del sottotetto, quando si trovarono vicini sotto il soffitto spiovente, Bishop poté sentire l’odore del sudore di Kathleen mescolato al suo profumo. Gli piaceva; e gli piaceva la sensazione che gli suscitava.

«Qui sopra il condizionatore è quasi sempre necessario», spiegò Kathleen. «Fa un po’ di rumore, ma funziona bene.»

Bishop guardò fuori dalla finestra e rimase soddisfatto. Anche da lassù, come dalla finestra rivolta a sud, al piano terra, poteva vedere il soggiorno della casa accanto, quella in cui vivevano Kathleen e il marito. Tutto procedeva al meglio.

Si volse verso la donna. Poi si avvicinò di un passo.

«Qualsiasi mobile tu voglia portare, per me va bene», Kathleen disse, alzando gli occhi sul viso di lui. «Posso mettere questa roba da mio zio; la tengo qui solo nel caso un inquilino ne abbia bisogno, ma tu puoi sistemare come…» La sua voce si spense mentre Bishop le osservava il viso, i capelli che incorniciavano le guance, i contorni della bocca carnosa. «Come vuoi tu», concluse la donna.

Bishop lasciò vagare lo sguardo dalle sue labbra agli occhi, alla fronte, e poi ancora agli occhi.

«Va benissimo così», le rispose.

4

L’uomo dai baffi grigi arrivò proprio quella prima sera. Bishop era seduto al buio in soggiorno, su una sedia di legno. Stava fumando una sigaretta nascondendo l’estremità accesa con la mano, in modo che non fosse visibile dalla casa accanto. Osservava il soggiorno di Kathleen attraverso le tendine mosse dall’aria.

L’uomo dai baffi grigi era con il marito di Kathleen, Chris, che stava sul divano con la schiena curva e il volto contratto in un sorriso torvo e sottomesso. Beveva una birra dopo l’altra e Bishop sentiva la sua voce quando urlava a Kathleen di portargliene un’altra.

L’uomo dai baffi grigi si era accomodato su una poltrona imbottita; sul tavolino davanti a lui c’era un bicchiere di whisky, ma Bishop poté notare che in tutta la sera lo sorseggiò solo una volta.

Passò circa un’ora e mezzo, poi l’uomo dai baffi grigi si alzò e uscì. Bishop lo seguì con lo sguardo finché raggiunse la Mercedes color argento posteggiata dietro il pick-up Dodge sotto la tettoia. Chris rimase seduto dov’era a finire l’ultima birra. Poi si alzò a fatica e si diresse barcollando fuori dal soggiorno. Bishop non lo vide più, ma restò alla finestra senza muoversi. Poco dopo, udì la voce di Chris provenire dal retro della casa. La voce tradiva una collera sorda che stava trasformandosi in rabbia. Kathleen gli rispose a voce alta. Doveva trovarsi vicino alla porta a zanzariera della cucina, e Bishop poté distintamente udirne le parole: «La casa è mia. Non devo chiedere il tuo dannato permesso per affittarla!»

Chris imprecò e Kathleen lanciò un urlo: evidentemente era stata picchiata. Bishop la sentì lamentarsi con rabbia mentre lottava con il marito e ancora gridare sotto un secondo colpo. Chris imprecò nuovamente e Bishop lo sentì muoversi a passi incerti. Kathleen rimase a piangere vicino alla porta della cucina.

«Brutto bastardo», furono le sue parole.

Poi la casa cadde nel silenzio. Bishop portò la sigaretta alle labbra e tirò una lunga boccata; il sudore gli imperlava le tempie. Il silenzio continuava. Bishop infine si alzò, spense la sigaretta nel posacenere e salì in camera.

L’aria fresca del condizionatore fu una gradita sorpresa. Si chinò sulla borsa da viaggio nera che aveva appoggiato ai piedi del letto e frugò tra i vestiti. Trovò il computer portatile, lo posò sul tavolino vicino alla parete, aprì la piccola tastiera e lo accese.

Era uno di quei palmari in grado di inviare la posta elettronica sulla rete wireless. Bishop preferiva le e-mail; erano più difficili da intercettare delle telefonate, non potevano essere ascoltate da un’altra linea. La tastiera era di dimensioni ridotte ma Bishop vi era abituato. Digitò rapidamente il messaggio con gli indici.

«Weiss», iniziò, «sono qui…»

5

«Qualcuno vuole uccidermi», stava dicendo l’uomo con la faccia da topo.

Il petto formidabile di Scott Weiss si gonfiò e si ritrasse come un’onda del mare. «Sono un investigatore privato, signor Spender», disse. «Se qualcuno sta cercando di ucciderla, deve rivolgersi alla polizia.»

«Non posso andare alla polizia. Non posso proprio.»

«E perché mai non dovrebbe?»

Il Topo — come Weiss l’aveva già soprannominato — si chinò in avanti con aria affannata. «Perché quello… quello che vuole uccidermi ha le sue ragioni; mi vuole ammazzare perché gli ho violentato la sorella.»

Weiss rimase impassibile, ma sarebbe potuto anche scoppiare a ridere: non credette a quella panzana neanche per un istante.

I due uomini si trovavano nell’ufficio di Weiss in Market Street, al settimo piano di un alto palazzo in cemento sormontato da un rosso tetto spiovente. Al piano terra c’era una banca, che occupava anche i locali dei sei piani immediatamente superiori. Al settimo c’eravamo noi, l’Agenzia, e uno studio legale aveva sede agli ultimi due. Lo studio Jaffe Jaffe passava molto lavoro all’Agenzia, e quindi trovava comodo averla in affitto al settimo piano, che era di sua proprietà.

Ma la convenienza era reciproca. Per l’Agenzia la posizione centrale era preziosa e il settimo piano era il migliore di tutto lo stabile. Dalle grandi finestre ad arco si godeva una bella fetta del celebre panorama della città, con i palazzi d’epoca in pietra scolpita che si stagliavano su un vibrante sfondo di moderni grattacieli. Avevamo il privilegio di vedere i muri della città accendersi di rosso e giallo per il sole, al mattino, e brillare di luce propria la sera, quando i lumi artificiali si accendevano nel crepuscolo.

Nello spazioso ufficio di Weiss, dove tutto era imponente — la scrivania, le poltrone per i clienti, la sedia girevole su cui lui, a sua volta imponente, sedeva con lo schienale leggermente inclinato —, lo sfondo della radiosa vista della città, incorniciata dal finestrone ad arco, provvedeva a sottolineare efficacemente la grandiosità della scena.

E proprio quella scena faceva sembrare molto piccolo il cliente di quella mattina. Wally Spender era in effetti un uomo piccolo e magro, con orecchie a sventola, occhi spaventati e un lungo naso sottile. Un topo che, per incanto, si era trovato in un involucro umano.

«È accaduto in Spagna», stava dicendo a voce alta. «Il… il fattaccio con la sorella, intendo. Non so… non so che cosa mi abbia preso… una passione incontrollabile, ritengo.» Stringeva le piccole mani sui braccioli e sedeva sull’orlo della poltrona, sulle spine come uno scolaro in difficoltà.

Il volto di Weiss rimase imperturbabile.

«Mi è bastato vederla… sul lungomare. Ero a Malaga, circa un anno fa, ed ero seduto ai tavolini di un bar, a prendere un caffè. Lei è passata di là, era solo una povera ragazza del posto ma… molto bella; almeno, bella sicuramente, molto… non so. Come le ho detto, mi è bastato vederla e… mi sono alzato e l’ho seguita, sul lungomare. Ricordo che si è fermata lungo la strada, per una qualche commissione… per comprare della frutta. Sì, della frutta. Io ero là, Weiss, fermo ad aspettare… e a guardarla. C’era qualcosa in lei, non so… non potevo smettere di seguirla. E sono arrivato fino alla sua umile dimora, ai limiti della città.»

«La sua umile dimora.» Weiss soppesò le parole.

Ma il Topo non colse l’ironia. Continuò. «Sì, proprio così. L’ho seguita nelle strade del quartiere vecchio, in quelle strade acciottolate solitarie e vuote, fra vecchi edifici spagnoli dall’aria cadente. Ed è stato come… Mi è venuto in mente che in un luogo simile fosse come se… potesse succedere qualsiasi cosa. Insomma, eravamo soli in quelle strade vuote, in un quartiere dove vengono commessi molti crimini. Nessuno se ne sarebbe stupito. E io la seguivo, appunto, in quelle strade, e ho cominciato ad avere questi pensieri. Non potevo farci niente.» Si leccò le labbra sottili, con lo sguardo fisso in un punto della stanza. Si stava eccitando, il suo stesso racconto rinnovava la sua eccitazione.

«Così… dopo un po’ siamo arrivati a casa sua e non c’era nessuno… nessuno neanche lì, da nessuna parte. E lei ha aperto la porta e io… l’ho spinta… l’ho spinta dentro. Proprio così, dentro, e l’ho… l’ho afferrata. Lei mi supplicava; sì, Weiss, è terribile a dirsi, ma mi supplicava, in ginocchio… con voce implorante… piangendo. Ed è a quel punto che mi ha detto…» Interruppe il racconto per leccarsi ancora le labbra e deglutire. Poi i suoi occhi si accesero. «Mi ha detto che non era mai stata con un uomo. Non aveva mai… lei sa cosa voglio dire, Weiss… prima di allora. Mai. Ma io non ascoltavo, non volevo ascoltare né fermarmi. Ero come un… animale, senza alcun freno. Lei si è difesa, sì, ha cercato di lottare con forza, ma poi… poi ha iniziato a lasciarsi andare; dopo un po’ non ha potuto farci niente, ha iniziato a lasciarsi andare. Lei sa come vanno queste cose, Weiss… siamo stati insieme…»

Weiss si schiarì la gola. Aveva conosciuto ogni genere di individuo, ma questo lo stava disgustando.

«È stato meraviglioso… sì, meraviglioso!» stava dicendo il Topo con un filo di voce.

«Perché non mi parla dell’uomo?» disse Weiss. «Quello che sta cercando di ucciderla.»

«Già.» Spender sbatté le palpebre e parve tornare in sé. Riportò lo sguardo sull’investigatore. «È stato solo… solo dopo che mi ha detto di avere un fratello. Mi ha detto di avere un fratello che viveva con lei.»

«Nella sua umile dimora.»

«Sì. Ecco perché mi ha detto che dovevo allontanarmi in tutta fretta.»

Weiss annuì con aria seria.

«Ed ecco… questo è tutto», disse Spender. «Voglio dire, non l’ho più rivista. Ho lasciato Malaga il giorno dopo. Non ero molto orgoglioso di me, questo è certo… lasciarmi così sopraffare dalla passione. Mi sono limitato a… a cercare di dimenticare, e in un primo momento ci sono riuscito. Così è passato un anno senza che accadesse nulla. Poi… poi, qualche settimana fa, sono iniziate le telefonate. Di notte, a casa mia. Dapprima non rispondeva nessuno; sollevavo il ricevitore e nessuno rispondeva. Poi l’altro giorno — o, meglio, l’altra notte — c’era un uomo all’apparecchio. Mi ha detto, senza esitare: ‘Sto venendo a ucciderla, señor, perché lei ha disonorato mia sorella e tutta la mia famiglia’. Gli spagnoli sono fatti così, lei lo sa, Weiss, ci tengono molto all’onore della famiglia.»

Weiss appoggiò il viso fra le mani. «È il bollente sangue latino», commentò.

«Proprio così! Proprio così. E l’altra notte poi… non riesco neanche a parlarne. Mi sono svegliato senza motivo, intorno alle due. Davvero non so perché. Mi sono alzato e sono andato alla finestra… E lui era là; lui, lo spagnolo, un uomo dai tratti da spagnolo. Era sul marciapiede e guardava in su, verso la mia finestra… guardava verso di me. E quando mi ha visto, sa che cosa ha fatto? Ha estratto un coltello! Un grande, enorme coltello… che muoveva in questo modo, avanti e indietro sulla gola, come se volesse tagliarla. E mentre lo faceva mi fissava, signor Weiss. Fissava me, ne sono sicuro.»

Weiss aveva una faccia stupenda, perfetta per quel lavoro. La sua espressione da uomo vissuto e pieno di comprensione per le miserie umane risultava impenetrabile. Era sui cinquant’anni e aveva lineamenti marcati, pesanti, un po’ cadenti: occhi marrone scuro, con folte sopracciglia nere sopra e borse grigio scuro sotto; capelli brizzolati, che teneva incolti ma gli conferivano una certa autorìtà. Era alto, molto alto, quasi un metro e novanta, con le spalle larghe e il ventre prominente. A causa del suo passato da poliziotto — o forse nonostante questo — dava sempre l’impressione di incombere sul suo interlocutore con un’aria protettiva, e penso che, in alcune occasioni, fosse davvero così.

Lasciò trascorrere qualche minuto, poi chiese: «Che cosa posso fare esattamente per lei, signor Spender?»

«Deve trovarlo!» sbottò il Topo. «Deve trovarlo e fermarlo. Deve farlo, signor Weiss. Mi segue… so che mi segue, e se lei non fa qualcosa, e in fretta, be’… a quest’ora, la prossima settimana, sono sicuro che sarò morto.»


«Allora crede che si sia inventato tutto», dissi.

Weiss scoppiò in una sonora risata. «Al cento per cento, te lo garantisco. Avrei dovuto chiamarti e farti suonare canzoni spagnole con la chitarra mentre parlava.» Sembrò imitare il cliente. «La sua umile dimora! Ha dovuto allontanarsi in tutta fretta dalla sua umile dimora! Tutte stronzate.»

Io stavo in una specie di sgabuzzino in fondo al corridoio che partiva dall’ufficio di Weiss. In quello spazio ristretto in cui veniva smistata la corrispondenza dell’Agenzia si trovavano una fotocopiatrice, un fax, la mia scrivania… e il sottoscritto.

Weiss si spingeva spesso fin lì, per fare una pausa, per pensare, per rilassarsi con le mani in tasca. Gli piaceva parlare con me dei vari casi, della sua vita. Non sono sicuro del perché lo facesse. Sapeva che volevo diventare uno scrittore e forse sperava che mi sarei ricordato dei suoi racconti e che li avrei trascritti, conservati, in un certo modo immortalati. O forse era già sicuro che lo avrei fatto e quindi mi forniva la sua opinione, la sua interpretazione dei fatti. Ma poteva anche essere che mi considerasse così ingenuo e diverso da lui, così fuori dal suo mondo, da non prendermi sul serio. Forse pensava che confidarsi con me fosse come parlare al vento.

«Be’, ma non potrebbe averlo fatto davvero?» chiesi. Ero in piedi davanti alla fotocopiatrice e osservavo le pagine di una pratica che mi scorrevano davanti. «Insomma, non è possibile?»

«Quel tipo! Se quello ha violentato qualcuno, io sono il re di Romania; se è mai stato in Spagna…» Scosse il capo. «’Sto venendo a ucciderla, señor.’ Ma andiamo… tutte stronzate.»

«Quindi perché ha accettato il caso?»

Si strinse nelle spalle. «Voglio accertarmi che sia innocuo. Vive nel Sunset District con la madre, che cosa mi costa andare a parlarle? Per essere sicuro che non farà del male a nessuno, né a se stesso. Chi lo sa? Potrei sbagliarmi. Forse tutto quello che ha detto è la pura verità. Forse un giorno scriverai un libro su questa faccenda. Il caso della vergine spagnola.»

La fotocopiatrice si fermò e iniziai a recuperare le pagine del documento. Attraverso la porta aperta, sentimmo le tre note che annunciavano l’arrivo di una e-mail sul suo computer.

«Dev’essere il rapporto di Bishop», dissi.

Weiss annuì. Mentre tornava nel suo ufficio lo sentii mormorare: «’Iniziava a lasciarsi andare’… cazzo, se questo è vero, io sono il re di Romania.»

6

Weiss, qui tutto procede bene, ma lentamente. Chris Wannamaker mi sta mettendo alla prova sugli aerei, così siamo spesso insieme, in volo. Ma è molto chiuso e taciturno; non c’è modo di farlo parlare. Controlla anche la moglie in maniera ossessiva e non vuole vedermi intorno. Quando Kathleen è a casa, lui c’è sempre. Sono riuscito a scambiare con lei due parole sul lavoro… scorza dura, ma triste e sola, una donna maltrattata. Mi serve l’occasione giusta per capire se è in possesso di qualche informazione e convincerla a darmela (l’informazione).


Weiss bofonchiò a bassa voce: «Convincerla a darmela!» Le e-mail di Bishop erano sempre piene di simili espressioni. Weiss era probabilmente l’unica persona sulla terra a cui Bishop teneva, l’unica di cui gli importasse avere la stima. Ma sapeva che il vecchio non approvava alcuni dei suoi metodi e gli piaceva giocare al figlio ribelle che dava qualche pensiero al padre bacchettone.

Weiss si portò una mano sullo stomaco e sospirò. Con l’altra fece scorrere sullo schermo il resto del messaggio.


Baffi grigi si è fatto vedere ancora, questa volta al campo di aviazione. È confermato: si tratta di Bernie Hirschorn, un VB che dirige la Driscoll Foundation, una società che controlla tutta la città e forse qualcos’altro. Molto denaro, legami con il giro della droga, morti a decine lungo la sua scalata al potere. Chi non lo paga finisce male o viene assorbito. Possiede ormai la metà dell’attività di Ray.

Ray ha comunque ragione… sta succedendo qualcosa. Alcune persone dell’organizzazione di Hirschorn hanno assoldato Chris per dei voli negli ultimi tempi, trasporto passeggeri, merci o Hirschorn stesso. Ufficialmente la destinazione è Arcata, il capoluogo della contea, ma l’aereo di Chris torna sempre da nord, e Arcata è a ovest, e i voli durano comunque troppo.


Weiss si dimenò pensieroso sulla sedia. Quella storia non gli piaceva. Le parole di Bishop erano molto chiare: quel tale, Hirschorn, spediva Wannamaker in volo in qualche località segreta, facendo credere che la destinazione fosse Arcata. Ma a quale scopo? A nord di Driscoll non c’era niente, solo chilometri e chilometri di foreste. Si trattava di un giro di merce di contrabbando con il Canada — sigarette, CD… — o di droga?

Qualunque cosa fosse, Weiss era molto preoccupato. Hirschorn era di certo un VB, un vero bastardo, con una scia di morti dietro le spalle, e Bishop era difficile da trattenere una volta che aveva trovato una pista. Weiss doveva cercare di tenerlo a bada, assicurandosi che non si facesse troppo coinvolgere.

L’e-mail terminava con un’ultima considerazione, ben poco rassicurante.


Forse ho trovato un modo per entrare nel giro. Wannamaker è un ubriacone, una testa calda che non tiene a freno la lingua e perde facilmente il controllo. Probabilmente Hirschorn cerca qualcuno di più affidabile per i suoi traffici, e io potrei essere quella persona.

A proposito, il nostro cliente, Ray Gambling, è un maledetto idiota. Ha paura e parla troppo. Per ben tre volte c’è mancato poco che facesse saltare la mia copertura chiamandomi con il mio vero nome. Scherzi del genere possono costarmi la vita. Saluti. JB

7

Chris Wannamaker aspettava appoggiato alla fusoliera dell’aereo, con i pollici infilati nelle tasche dei jeans. Bishop avanzava verso di lui nella calura, la borsa da volo appoggiata sulla spalla.

Chris sovrastava Bishop di almeno quindici centimetri e dalle maniche opportunamente strappate della T-shirt faceva spuntare bicipiti poderosi. Sul destro aveva un tatuaggio, due serpenti avvolti attorno a un teschio e una scritta: NATO PER SCATENARE L’INFERNO. Sul sinistro spiccava una lunga cicatrice biancastra e irregolare. Aveva capelli ricci castani, lineamenti ordinari e un mezzo sorriso carico di crudeltà.

«È tutto pronto», disse quando Bishop lo raggiunse. «Possiamo volare.»

Bishop annuì e i due uomini presero posto nell’abitacolo di guida.

Chris si sedette in silenzio al posto del copilota, guardando dal finestrino laterale mentre Bishop accendeva i motori e guidava l’aereo verso la pista di decollo. Entrambi indossavano le cuffie, anche se al campo non c’era la torre di controllo e, al mattino, nessun altro aereo in volo. I due sedevano uno di fianco all’altro senza spezzare neanche con una parola il sordo rombo dei motori.

Era stato così per tutta la settimana. Erano due nemici naturali e l’avevano capito nell’esatto istante in cui si erano incontrati. Chris aveva il compito di sincerarsi dell’abilità di Bishop in volo per motivi assicurativi, ma sapeva che il rivale avrebbe saputo far volare qualsiasi carretta. Era così passata una settimana in cui si erano scambiati solo le parole strettamente necessarie.

Una volta raggiunta la pista, Bishop toccò appena i freni e il Cessna si fermò. Premette il tasto del microfono e disse: «Pista di Driscoll, cinque-zero-quattro pronto al decollo».

Iniziò a dare gas e l’aereo si mosse, aumentando progressivamente la velocità. Bishop tirò la cloche proprio sul limite della pista e le ruote si staccarono dal suolo. Erano in volo.

«Zero-tre-zero», borbottò Chris, sempre con gli occhi fissi sul finestrino.

Arrivato a cinquecento piedi, Bishop orientò l’aereo verso nord e pensò: «Bene, così mi piace». La sensazione di aver lasciato la terra sotto di loro; il paesaggio che ondeggiava come un fazzoletto lasciato cadere da una signora; i contorni dei campi intorno all’hangar che diventavano sempre più geometrici ed essenziali, man mano che si allontanavano; la squallida città ridotta a niente più di un bagliore sullo sfondo. Nel raggio del suo sguardo, da ore dieci a ore due, Bishop scrutò il cielo e le montagne selvagge che si perdevano in lontananza, il verde della foresta che si fondeva con l’azzurro del cielo nell’orizzonte velato. Stava assaporando ogni momento della salita.

«Mettilo diritto», ordinò Chris.

Bishop lo guardò perplesso. Avevano raggiunto solo cinquemila piedi e ancora sfioravano le cime delle alture, distinguevano gli alberi, vedevano le auto che risalivano le strade di montagna, con i finestrini che rilucevano al sole. Erano troppo bassi.

«Vira tutto a destra», disse Chris, prima di riprendere a fissarsi il pugno con aria assente.

Bishop guardò l’indicatore di rotta: segnava 030. Iniziò a far virare l’aereo di quarantacinque gradi verso destra, tenendo il muso in direzione dell’orizzonte. Le montagne sfrecciarono sul parabrezza, la città scomparve alla vista e l’aereo continuò a virare, mentre il sole faceva riverbero sul vetro. Ecco di nuovo le montagne. Bishop raddrizzò la cloche e toccò appena il pedale del timone, poi controllò l’indicatore di rotta mentre le ali del Cessna ritornavano diritte: 030. Guardò l’altimetro e si compiacque: non avevano perso neanche un piede. «Una buona manovra», pensò.

Improvvisamente, la mano di Chris afferrò la manetta del motore di destra e lo spense.

Faceva parte del test valutare le reazioni del pilota in caso di emergenze, quali la perdita di un motore. Quando se ne spegne uno, non c’è più niente che contrasti la spinta dell’altro e l’aeroplano rischia di avvitarsi in una pericolosa caduta a spirale. Ciò accade se il pilota non ha la prontezza di spirito di spingere con forza sul pedale del timone.

Cosa che ovviamente Bishop fece, ma il pedale non rispose.

Ciò lo stimolò giustamente a rimarcare: «Merda!»

Spinse nuovamente il pedale, ma ancora non successe niente. Il muso del Cessna si inclinò a destra e poi verso il basso. Il piede di Bishop continuava a combattere con il pedale, che non dava risposta. Non capiva… poi si rese conto della situazione, ma non poteva crederci: Chris stava usando i comandi del copilota per impedirgli di manovrare.

«Cosa diavolo stai…»

Chris rise. «Vediamo come te la cavi ora!»

Un rollio inquietante inclinò l’aereo, che iniziò a girare su se stesso in modo lento, ma anche a precipitare sempre più velocemente. Bishop cercò la manetta di destra, ma Chris la teneva stretta. L’aria intorno a loro sembrava gemere e Bishop si sentì le guance in fiamme per effetto della forza G.

«Iu-huu!» fu il grido assordante di Chris nel microfono, simile a quello di un cowboy su un cavallo selvaggio.

Bishop imprecò e gli assestò un colpo secco affondandogli le nocche nella coscia.

«Ahi, cazzo!» urlò Chris rilasciando la gamba.

Il pedale del timone cedette sotto il piede di Bishop che lo spinse a fondo. Chiuse la manetta del motore di sinistra in modo da annullarne la spinta e riallineò le ali. Il nauseante avvitamento cessò, ma l’aereo continuava a precipitare verso le montagne. Ai suoi lati sorsero le creste di un mare d’alberi, verso il quale l’apparecchio stava affondando rapidamente. Nel parabrezza apparve l’inquietante sagoma di una roccia scura.

Bishop serrò le mascelle e tirò la cloche verso di sé, alzando il muso dell’aereo con ogni energia rimastagli. A quel punto, riaccese entrambi i motori a pieno regime e trattenne il fiato mentre la roccia si avvicinava al suo volto, un secondo dopo l’altro.

Infine, il Cessna riprese a salire. Bishop guardò l’indicatore di velocità e poi a ore nove. Le cime degli alberi sembravano toccare l’ala, era quasi possibile distinguerne ogni singola foglia. Ma in pochi secondi l’aereo le oltrepassò e la terra tornò ad allontanarsi velocemente.

Bishop guardò Chris. «Ma cos’hai in quel cervello bacato, figlio di puttana?» imprecò.

Chris si sfregò la coscia nel punto in cui era stato colpito e rivolse a Bishop un’occhiata torva. Poi iniziò a ridacchiare, un suono che si diffuse rauco e profondo nelle cuffie di Bishop.

«Riportalo a cinquemila piedi», disse. «Proviamo qualcos’ altro.»

E tornò a fissare il finestrino con sguardo assente.

8

Jim, ti rammento che la procedura prevede che tu mi tenga sempre dettagliatamente informato sulla natura delle attività criminali, se ve ne sono. Sono consapevole del pericolo che corre il nostro cliente, ma non voglio che tu comprometta la tua sicurezza. Inoltre, per quanto riguarda la signora Wannamaker, sono certo che sia una buona fonte di informazioni, ma mi aspetto che tu le ottenga in modo ragionevole e, soprattutto, professionale. W.


Bishop ebbe l’occasione di raccogliere informazioni in modo professionale quella notte stessa.

Era seduto al tavolino della sua camera da letto, al piano superiore, e aveva appena finito di leggere il messaggio di Weiss. Mentre guardava fuori dalla finestra, vide Kathleen uscire e fermarsi sotto il portico. La luce della luna illuminava il vialetto e Bishop si accorse che il furgone di Chris non c’era più.

Rimase immobile a osservarla: indossava una T-shirt azzurra e pantaloncini beige. Gli piacevano i fianchi rotondi e il seno procace, ma le ragioni per cui intendeva farsela erano altre. In primo luogo c’era il lavoro; in secondo, doveva dare una lezione a quel bastardo del marito e ripagarlo dello scherzetto che gli aveva fatto in volo quella mattina. Riguardandola, ammise con se stesso che avrebbe tratto un doppio piacere da tutto ciò.

Kathleen si era intanto appoggiata alla ringhiera ad assaporare il fumo di una sigaretta.

Bishop cancellò il messaggio di Weiss e si alzò. Pochi mimiti dopo scese a sgranchirsi le gambe in giardino. Era calata un’oscurità compatta. La calura, che aveva martellato la regione per tutta la giornata, adesso pareva adagiarsi sulla notte come un lenzuolo. Le cicale emettevano i loro versi tra gli aceri. Gli insetti ronzavano intorno alle lampade accese sotto il portico di Kathleen come elettroni impazziti: Bishop ne scorse le ombre riflesse sul volto e sulle braccia della donna quando lei si voltò per sorridergli. La raggiunse varcando il sottile confine di prato che separava le due case.

«Come va?» le chiese.

Kathleen rispose con un gesto vago della mano che stringeva la sigaretta. «Prendo un po’ d’aria. Non mi piace fumare con l’aria condizionata accesa.»

«Neanche a me. Chris è uscito?»

«È andato al Clover Leaf, in città.»

«Sì, so qual è.»

«Brutto posto, no?»

«In effetti mi è sembrato alquanto rozzo.» Indicò gli scalini del portico. «Posso?»

La donna alzò le spalle, ma Bishop colse una luce di interesse nei suoi occhi. Salì gli scalini, si appoggiò alla ringhiera, di fronte a lei, e la fissò… un lungo e intenso sguardo che non poteva essere frainteso. Kathleen fece un’espressione indifferente, ma dal respiro rallentato si capiva che era consapevole della sua vicinanza.

Fumarono insieme per qualche minuto, in silenzio. Udirono il suono di un telefono in qualche casa del vicinato.

«Chris dice che hai superato tutti i test. Sei pronto per volare.»

«Be’, lui ti sottopone a delle prove infernali.»

«Non badarci. Chris è un bastardo.»

Bishop alzò un sopracciglio. «Ma è tuo marito, giusto?»

«Che cosa vuoi che ti dica, le vie dell’amore sono misteriose…» Lasciò cadere un po’ di cenere, con indifferenza. «Si diverte a vedere i nuovi che se la fanno sotto; li lascia soffrire fino all’ultimo istante. Io l’ho avvertito: un giorno o l’altro finirà male.»

«Per dirtela tutta, non me ne frega un accidente se gli succederà», disse Bishop, «almeno fin tanto che non mi ci trovo io su quell’aereo.»

«Bene.» Rise sommessamente, poi scosse la testa. «Senti, non devi fraintendermi. Chris è un buon pilota, anzi, un ottimo pilota. Vola da quando era giovanissimo. Ha pilotato gli elicotteri quando era militare e sa portare qualsiasi velivolo. Può riprendere il controllo di quel Cessna anche a venti piedi e non ha mai messo la vita di nessuno in pericolo. Gli piace solo fare lo sbruffone, nient’altro.»

«Sicuro.»

Kathleen si staccò dalla ringhiera, lasciò cadere la sigaretta e la spense sotto la punta della scarpa. Lo guardò e disse: «Fammi un favore, non dire niente di tutto questo a Ray. Questo è il terzo lavoro di Chris in due anni e se lo perde… Cristo, non voglio proprio pensarci».

«Non posso crederci!» si stupì Bishop. «Ho sentito dire che Chris va forte, e che Ray non lo licenzierebbe mai.»

«Davvero? E dove l’avresti sentito?»

«In giro. Mi hanno detto che è amico del socio di Ray, come si chiama… Hirschorn.»

Kathleen guardò la strada vuota con aria stanca; avrebbe potuto dire molto sull’argomento, ma non lo fece. «Chris pensa sempre di essere incredibilmente bravo, e subito dopo si ritrova senza lavoro.» Sbuffò, gonfiando appena le guance. «Quello che voglio dire è che è giovane e impulsivo, ecco tutto. Non si rende bene conto delle situazioni. Ha passato dei brutti momenti negli ultimi due anni, da quando lo hanno buttato fuori dall’esercito… L’hanno veramente messo a terra. Poi ha lavorato nelle spedizioni e ha perso anche quel lavoro. Qui non è come a San Francisco o Los Angeles, non ci sono tutti quei posti di lavoro. Sono preoccupata che anche questa volta possa fallire.»

«Capisco.» Anche Bishop spense la sigaretta sotto il piede e rimase immobile davanti a lei. «Non dirò niente.» Con la scusa di osservare la luna, si avvicinò alla donna, fin quasi a toccarla, rilassato, con una mano nella tasca dei jeans.

Lei lo guardò negli occhi e si sentì avvolgere dallo sguardo di lui. «Grazie», disse.

«Ma ti dico una cosa», incalzò Bishop. «Se sapessi che a casa mi aspetta una donna come te, starei molto, molto più attento a come volo.» Nel dire così alzò un dito e lo posò sulla guancia di Kathleen che, ipnotizzata, non distolse lo sguardo.

«Non fare così», sussurrò.

Il dito di Bishop scivolò dalla guancia verso il mento. Alla fine lei si sforzò di ripetere: «No, Frank, davvero».

Bishop abbassò la mano e la donna distolse lo sguardo.

«Come se avessi bisogno anche di queste stronzate», mormorò Kathleen.

Stava per risponderle, per dirle che ne aveva davvero bisogno, che lui riusciva a vederla com’era e sapeva che di qualcosa aveva un dannato bisogno. Ma si accorse che gli occhi di lei guardavano oltre il giardino; poi udì il rumore del motore che si avvicinava e vide il furgone di Chris avanzare nella via in un modo che non lasciava dubbi: l’uomo era ubriaco.

Senza fretta, con movimenti sicuri, Bishop si allontanò da Kathleen e rimase con lei a guardare il veicolo che entrava nel giardino.

«Che succede! Che cazzo succede! Che cosa mi tocca vedere?» Chris parlava a voce alta, cercando di scendere dall’auto. Avanzò verso di loro con passo incerto, lasciando intuire che era davvero molto, molto ubriaco. «Me ne vado per un paio d’ore e quando torno a casa che cosa trovo…» Colpì la palma di una mano con il pugno dell’altra per cinque volte, per indicare che sua moglie si faceva fottere. «Ti sembra che un uomo debba trovare questo, quando torna a casa?»

«Va’ all’inferno, Chris», disse Kathleen voltandogli le spalle disgustata, provando vergogna per lui.

Chris salì i gradini barcollando e, una volta sotto il portico, sovrastò con la sua mole le altre due figure. «Non hai perso tempo, eh, amico?»

Bishop gli rispose in tono amichevole ma distaccato. «Stavo solo scambiando due parole da buon vicino.»

«Buon vicino!» sbraitò Chris. Ondeggiò pericolosamente verso la moglie. «È un buon vicino, tutto qui. Merda, è chiaro come il sole. E tu, Kathleen, sei anche tu una buona vicina?»

«Vaffanculo, Chris. Chiudi quella boccaccia!»

Gli stava ancora dando le spalle, quando lui l’afferrò con violenza e le strinse la mascella con l’enorme mano, obbligandola a guardarlo in faccia. Le dita premevano con forza là dove Bishop aveva fatto scivolare le sue.

«Ti ho fatto una domanda», disse. «Sei una buona vicina o no?»

«Lasciami stare!» Kathleen cercava di allontanare il braccio del marito, che però non lasciava la presa. «L’hai voluto tu», disse e gli affondò le unghie nel polso.

«Ah…» urlò Chris, che scostò la mano ma colpì con indifferenza la moglie sopra l’orecchio. Lo schiaffo fu così forte da rivoltare la faccia di Kathleen. Ancora girata per nascondere le lacrime, la donna ripeté: «Vaffanculo, Chris!»

L’uomo sorrise. Ora che l’aveva fatta piangere, era soddisfatto. «Buona vicina», insistette, guardandola, malfermo sulle gambe. Poi si mosse con passo incerto in cerca di Bishop.

Questi aveva osservato la scena immobile da un angolo del portico, con i pollici infilati dietro la fibbia della cintura.

Chris sibilò con una smorfia: «Hai detto qualcosa?»

La domanda fu seguita da pesanti attimi di silenzio. Bishop restava zitto, con un lieve sorriso sulle labbra e gli occhi inespressivi. Il gigante avanzò verso di lui, accompagnato da un evidente odore di birra.

«Ti ho fatto una domanda, amico. Hai detto qualcosa?»

Bishop scosse la testa.

Chris si avvicinò. «Hai forse pensato qualcosa?»

Il caldo era diventato opprimente. Nell’oscurità si sentì il rumore di un bidone dei rifiuti che veniva chiuso e di una porta che sbatteva.

«Be’, in effetti, una cosa sì», rispose Bishop in modo tranquillo. «Penso che tu debba smettere di picchiare le donne.»

Kathleen si infilò velocemente fra i due. La lampada del portico le fece brillare le lacrime sulle guance.

«Dai, Chris, lascia stare. D’accordo? Smettila, basta. Non stava facendo niente; ti giuro che stavamo solo parlando.» Mise le mani sul petto. «Te lo giuro su Dio. Per favore.»

Chris e Bishop continuavano a fissarsi sopra la testa della donna. Il primo non riusciva più a tenere gli occhi aperti, tanto era ubriaco, e le gambe non sembravano più in grado di reggerlo. Aveva uno stupido sorriso sul volto.

«Sei fortunato che lei… fortunato… che c’è lei», disse.

Barcollò verso la moglie, che gli mise un braccio intorno alla vita per sorreggerlo.

«Forza», disse. «Vediamo di entrare in casa.»

Lo guidò verso la porta, facendo segno con la testa a Bishop di andarsene. Bishop annuì e si avviò verso casa senza smettere di sorridere.

«Buon vicino… fanculo!» Sentì Chris imprecare alle sue spalle, ma non si voltò. La porta si chiuse.

Un cane abbaiava in lontananza e le cicale continuavano a frinire.

9

Weiss aspettava davanti alla piccola casa bianca, con le mani nelle tasche dei pantaloni stropicciati e la giacca, anch’essa stropicciata, aperta. Era una giornata grigia, il vento faceva ondeggiare la cravatta sulla camicia bianca. Weiss vedeva la sua sagoma riflessa nella porta d’ingresso; con orgoglio, notò che chiunque lo avrebbe ancora scambiato per un poliziotto.

Quando però la madre del Topo aprì la porta, gli lanciò uno sguardo rassegnato ed esclamò: «Oh, no. Mi lasci indovinare, un altro investigatore privato».

«La signora Spender?» chiese Weiss.

«Entri, entri, cerchiamo di sbrigare questa faccenda.»

Era una donna anziana, stanca e acida, dai lineamenti sottili e affilati come quelli di suo figlio, il Topo. I capelli grigi incorniciavano un volto rugoso, altrettanto grigio. Mentre si faceva da parte per lasciarlo entrare i suoi occhi arrossati osservarono con tristezza la figura di Weiss.

Questi riconobbe l’odore della casa non appena varcò la soglia. Vecchia, stantia, insopportabilmente rispettabile. Si aspettava stampe floreali alle pareti, tappeti consunti e tende soffocanti; anche qualche immagine di Gesù qua e là. I mobili dovevano essere quelli ereditati dalla casa più grande in cui la donna aveva vissuto fino alla morte del marito. Weiss era certo di tutto questo prima ancora di superare l’atrio in cui era stato introdotto.

«Devo dedurre che suo figlio ha consultato altri investigatori prima di me», disse.

«Sta scherzando, vero? C’è una lista lunga quanto un poema. E perché no, voglio dire, con tutto il denaro che abbiamo da buttar via! Insomma, signor…»

«Weiss.»

«Venga di sopra, signor Weiss; cercherò di risparmiare a entrambi tempo e denaro.»

La stretta scala era male illuminata, così come il pianerottolo del primo piano. Weiss seguì la donna fino a una porta chiusa. La signora Spender l’aprì con un gesto teatrale.

«Questa è la stanza di mio figlio», annunciò. «Qui è dove elabora tutte le scemenze che le ha raccontato.»

Non si diede pena di accendere la luce, ma quella che entrava dalla finestra permise a Weiss di osservare l’ambiente, una volta entrato.

Sembrava la stanza di un bambino di circa dodici anni. C’erano persino un modellino di astronave sul cassettone e due bandierine dei Giants appese al muro. Il letto singolo sembrava quello di un ospedale, con le coperte tirate e rimboccate sotto il materasso; a una delle pareti era appoggiato uno scaffale che fungeva anche da scrivania. Weiss esaminò i libri: volumi di numismatica, libri illustrati sulla Spagna, una lunga fila di romanzi di fantascienza consunti dall’uso.

Improvvisamente ci fu una specie di botto. La signora Spender aveva preso una pila di taccuini dall’armadio di suo figlio e l’aveva lasciata cadere sulla scrivania.

«Io non dovrei neanche sapere che esistono», disse in tono asciutto.

Weiss si avvicinò e sparse la pila sulla scrivania. Si trattava di normali taccuini a spirale, ma c’erano anche riviste di ragazze nude, tutte, come Weiss poté notare mentre la signora Spender sbuffava con una smorfia carica d’ironia, chiaramente di origine latinoamericana.

In fondo alla pila vi erano alcuni raccoglitori. Weiss li aprì e riconobbe con un sorriso le pagine azzurre, con le buste circolari in cui mettere le monete. Anche la collezione, Weiss notò, era quella di un ragazzino dodicenne, in cui i pezzi migliori, quelli di valore, mancavano inevitabilmente.

Sfogliò infine il primo taccuino. Le pagine erano coperte da una fitta scrittura tremolante. Weiss lesse qualche riga e capì di che cosa si trattava: la storiella della vergine spagnola era tutta lì, elaborata nei minimi dettagli. Come l’aveva individuata mentre stava seduto al bar, come la sua bellezza l’aveva colpito eccetera. Weiss leggeva lentamente. Lo stupro era descritto quasi con dolcezza, specialmente nel punto in cui la ragazza smetteva di resistere e cedeva alla virilità del Topo.


Trema fra le mie braccia. Sei troppo uomo per me, señor, sussurra con il suo accento spagnolo. Si aggrappa a me in modo rassegnato, mentre la porto verso il letto.


Weiss sorrise perché non riusciva a immaginare il Topo portare una donna adulta in nessun posto.


Penso che mi verrà l’ernia, le dico con voce virile. Tu sei troppo procace per me.


Weiss continuava a girare le pagine. Vi erano altre storie descritte con molta fantasia: tutte le protagoniste femminili erano spagnole o latinoamericane e tutte venivano in qualche modo obbligate ad avere rapporti con il Topo. All’inizio resistevano, poi cedevano a un piacere selvaggio. Vi erano anche alcuni disegni a matita di ragazze dai tratti latini stese sul pavimento con le gambe aperte.

«Disgustoso», commentò la signora Spender.

Weiss si strinse nelle spalle e chiuse il taccuino. «Le persone hanno fantasie di ogni genere, signora. Volevo solo assicurarmi che suo figlio non avesse fatto male a nessuno. A nessuna persona vera, intendo.»

La signora Spender scoppiò in una risata. «Chi? Wally? No, naturalmente. Fa il ragioniere.»

«Be’, questo non sempre è una garanzia.»

«Lo so, ma… quello che intendo dire è che mio figlio va al lavoro tutti i giorni alle otto e ritorna alle cinque e quarantacinque in punto. Alcuni giorni va a lavorare in farmacia, altri al negozio dell’elettricista, altri ancora in quello delle arti decorative, di qualunque cosa si tratti. So sempre dov’è, perché mi avvisa sempre. Ci sentiamo tre o quattro volte al giorno.»

«Dal suo cellulare?»

«Qualche volta sì; ma altre sono io a chiamarlo nel posto dove sta lavorando. Non che io lo controlli… è un uomo adulto, ma… Comunque lo trovo sempre dove ha detto di essere.»

«E nei fine settimana?»

«Mi porta a fare spese. Andiamo al cinema. Conduciamo una vita tranquilla.»

«Che cosa mi dice della Spagna? Suo figlio ci è mai stato, in vacanza o per altri motivi?»

«Con il suo stipendio? Se mio marito non mi avesse lasciato qualcosa di cui vivere, non potremmo permetterci neanche questa casa. Andiamo una settimana al mare in inverno, ecco tutto. Wally non ha neanche il passaporto.» L’espressione dura del volto si addolcì leggermente; stava cercando la comprensione di Weiss e la ottenne con facilità: Weiss capiva tutto.

Continuò in un tono più pacato: «Non è certo la vita migliore per un uomo adulto, signor Weiss, non è che io non lo capisca. Wally ha sempre desiderato andare in Spagna, fin da quando era un bambino, ma poi, per una ragione o per l’altra… non è colpa di nessuno». Rivolse lo sguardo ai taccuini sulla scrivania. «Dio mi è testimone. Mio figlio non potrebbe mai stuprare nessuno. Ha delle fantasie, come lei ha detto, ma questo non è un reato.»

«No, signora, non è un reato, altrimenti tutti finirebbero in galera.»

«Ecco, è proprio ciò che intendevo.»

«Che mi dice dell’uomo che suo figlio crede stia cercando di ucciderlo. Potrebbe esistere davvero?»

La signora Spender lo fissò rassegnata. «Il famoso uomo con un grande coltello appostato fuori dalla casa.»

«Proprio lui.»

«Glielo dico io chi è», fece lei. «Tre anni fa, mio figlio ha compiuto quarant’anni. Da allora, ogni anno è la stessa storia. Una volta si tratta del fratello della ragazza, un’altra del padre, poi del marito. Tutti comunque hanno un grande coltello e sono appostati fuori dalla casa.»

«E tutti vogliono vendicare il loro onore?»

«Così è Wally… l’uomo più ricercato della terra.»

«Dunque lei è certa che quell’uomo non esiste.»

«L’uomo non esiste, la donna non esiste, tutta la storia non esiste. Lei è il quarto investigatore che assume; se vuole le do i biglietti da visita degli altri, per interpellarli. L’unica verità qui è che mi sono costati ottantacinque dollari l’ora. Ottantacinque più le spese. Uno di loro ha telefonato ai datori di lavoro di Wally, chiedendo se per caso, qualche volta, non aveva fatto assenze sospette durante le quali avrebbe potuto andare in giro a commettere stupri; a momenti lo licenziano. Guarda caso, tutti sono giunti alla stessa conclusione: la storia esiste solo nella testa di mio figlio, nelle sue fantasie. Ora la ringrazio, mi mandi pure il conto per posta.»

Weiss assentì, in tono distaccato, mentre faceva scorrere le dita sulla copertina di uno dei taccuini. Non disse alla signora Spender che un suo amico gli aveva fatto avere l’elenco delle telefonate del figlio. Sapeva che non vi erano state telefonate notturne e praticamente nessuna neanche di giorno, certamente nessuna di minaccia o anche solo insolita.

«Che stranezza», pensò. «Che situazione veramente bizzarra.»

Quando si voltò, il grosso corpo e la larga faccia dai tratti cadenti parvero incombere sulla vecchia inacidita con la loro tipica aria protettiva. «Tratterrò le spese da quello che mi ha dato suo figlio», disse, «e le farò avere il resto.»

Questo fece effetto su di lei; probabilmente il denaro fece effetto, credo, perché le labbra si serrarono e gli occhi diventarono ancora più lucidi. «Grazie, signor Weiss, lei è molto gentile, una persona veramente gentile.»

«Grazie del tempo che mi ha dedicato, signora. Non si scomodi, conosco la strada.»

Uscì caracollando tristemente, lasciandola sola in quella strana stanza con le bandierine alle pareti e l’astronave sul cassettone, i taccuini e le riviste alla rinfusa sulla scrivania.


«Allora,» gli chiesi quando rientrò, «ha appurato che Spender non è veramente uno stupratore?»

Weiss era di fianco alla mia scrivania, con le mani in tasca e lo sguardo basso. Mi guardava in modo assente mentre mi occupavo della corrispondenza dell’Agenzia. Annuì appena mentre mi diceva: «Sono andato alla farmacia dove lavora e abbiamo parlato in un piccolo stanzino sul retro dove tiene le sue cose».

«Come l’ha presa?»

«Si è messo a piangere.»

«Sta scherzando.»

«No, si vergognava davvero.»

«Di non essere un vero stupratore?»

Weiss alzò le spalle. «Mi ha detto che una volta, diversi anni fa, aveva pagato una prostituta per trasformare le sue fantasie in realtà. Lei doveva interpretare la parte della vergine spagnola, lui l’avrebbe circuita e poi…»

Il rumore della stampante che prendeva una nuova busta lo interruppe, così gli chiesi: «E che cosa è successo? Non ha funzionato?»

«No, quando sono arrivati al punto, il suo arnese l’ha piantato in asso.»

«Il suo…»

«Insomma, non ce l’ha fatta.»

«Capisco.» Scossi la testa e aggiunsi: «Così adesso ci riprova ogni anno. Assolda un detective, gli racconta il fatto, gli fa credere che ci sia il fratello sulle sue tracce…»

«Ogni anno da quando ha compiuto quarant’anni.»

«Penso sia dura abbandonare un sogno», dissi gettando la busta appena stampata nel cestino della posta in uscita.

«Be’, quarant’anni non sono poi molti», continuò Weiss. «Potrebbe anche diventare un vero stupratore se la sua mente se ne convince.»

«Lo crede veramente? Io non saprei. In fin dei conti, un uomo è quello che è.»

«Certo, certo. Suppongo che questa sia la morale della storia.» Weiss sospirò rumorosamente, mentre si avviava verso il suo ufficio.

Quando giunse sulla soglia, sentii una risata sommessa. «Così finisce il caso della vergine spagnola», esclamò rivolto a me.

Ed entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

10

Weiss aveva due vizi. Uno era il whisky, scotch di puro malto di quello buono. Ogni sera si versava un Macallan — di dodici anni, perché il gusto affumicato di quello più vecchio non gli piaceva — e continuava a riempirsi il bicchiere fino al momento di andare a letto, spesso consumando più di mezza bottiglia. Comunque, col suo fisico imponente, lo reggeva bene; non credo di averlo mai visto ubriaco. Ma non credo nemmeno che avrebbe mai potuto rinunciarvi, o che avesse la minima intenzione di farlo: una volta mi disse che era una delle cose per cui valeva la pena vivere.

L’altro vizio erano le prostitute, ma non vi rivelerò come ne sono venuto a conoscenza. La sua vita sessuale consisteva negli incontri occasionali organizzati da un’agenzia diretta da una donna di nome Casey. Chiamo questa abitudine un vizio per rispetto della delicata sensibilità dei lettori (siete delicati e sensibili, vero?), perché secondo me non c’era proprio niente di cui vergognarsi. Weiss era un uomo brutto, impacciato e completamente incapace di comportarsi in modo seducente con le donne. Ho sentito dire che una volta, molto tempo fa, era stato sposato, ma dev’essere stata una brutta storia. Da allora niente, o per lo meno niente che avesse una possibilità di diventare una vera relazione.

Il fatto era che aveva troppa soggezione delle donne e ciò è davvero molto strano, a ben pensarci. In fondo si trattava di un uomo che aveva visto ogni genere di depravazione, ma che conservava una visione idealizzata dell’altro sesso. Considerava le donne tenere, miti e dolci per natura e questo lo portava a trattarle con esagerata gentilezza, quasi in modo cavalieresco, con una spiccata tendenza a essere protettivo. Si innamorava solo da lontano, di quelle già impegnate o comunque irraggiungibili. Le donne si accorgevano di quanto il suo amore fosse esagerato, di quanto le idealizzasse e sognasse di proteggerle da ogni pericolo e male. E naturalmente finivano per vederlo come un’asessuata figura paterna o come una simpatica scocciatura da levarsi di torno.

Il risultato era un uomo che sarebbe stato incredibilmente felice con la sua mogliettina e un paio di marmocchi, ma che era stato fregato dal suo stesso desiderio ed era rimasto solo. Era un uomo, comunque, e aveva bisogno delle donne. Non solo del sesso, ma anche del suono della loro voce, di vedere la luce riflessa sui loro capelli, insomma di tutto quanto, come la maggior parte di noi. Ecco perché si era rivolto a Casey.

Per le ragazze di Casey era un buon cliente. Pagava senza lamentarsi, lasciava buone mance, era generoso con i liquori e il cibo. Sapeva ascoltarle se avevano voglia di raccontare i loro guai e non chiedeva mai servizi complicati o sconvenienti. Ciò che soprattutto voleva era sentirle parlare o ridere, vederle muoversi, assaporarne il profumo… e avere il conforto e il piacere di stringerle, di essere dentro di loro. Sapete com’è.

In ogni caso, quella sera, la sera dopo aver letto gli appunti del Topo, tornò a casa, si versò il solito whisky e chiamò Casey.

«Dov’eri finito?» chiese Casey quando udì la sua voce. «Ero preoccupata che tu avessi trovato il vero amore, o qualcosa del genere.»

«L’amore è un bel problema per il tuo lavoro.»

«Non proprio. Comunque è bello risentirti.» A Casey Weiss piaceva, o almeno così sembrava. Sapeva riconoscere un buon cliente quando lo incontrava e di tanto in tanto andava lei stessa da lui, senza fargli pagare niente. Ma Weiss non capiva se questo era un gesto di affetto o un abile manovra commerciale, del tipo «ogni dieci una gratis». «Che cosa possiamo fare per te stasera, mio caro?» chiese.

«Quella ragazza messicana, Ynez, lavora ancora per te?»

«Mi dispiace, se n’è andata da tempo. In effetti si è sposata e si è trasferita a Dallas con il marito.»

«Buon per lei.»

«Ti do il numero, nel caso capitassi da quelle parti. Adesso però c’è Cannella, se ho indovinato il genere di cui sei in cerca stasera.»

«Cannella suona bene.»

«Un po’ più scura di Ynez, ha una misura in più di reggiseno.»

«Sembra perfetta.»

«Vuoi qualcosa di speciale per accompagnamento?»

Weiss rispose con un grugnito e riappese.

Casey sapeva ciò che Weiss voleva e istruiva le sue ragazze. Nessun atteggiamento esagerato, posizioni spinte o altro. Tutto doveva svolgersi in modo amichevole e cordiale. Alcune non erano tanto brave, ma Cannella aveva capito perfettamente. Si sedette sul divano e gli parlò dei figli di sua sorella e di altre vicende familiari. Beveva vino e rideva con gusto, mentre gli occhi di Weiss luccicavano di piacere alla vista di quella ragazza allegra e spensierata.

Quando lei se ne andò, tuttavia, si sentì depresso. Tornò a versarsi da bere. Indossò l’accappatoio e si sedette sulla poltrona del bovindo, con il bicchiere in mano. La nebbia era salita dall’acqua arrivando fino ai quartieri settentrionali della città; Weiss la vedeva inghiottire i lampioni, a uno a uno, rubando per un attimo la loro luce per poi estinguerla. Si crogiolò in una malinconia non del tutto spiacevole, nella tristezza del desiderio — il suo, quello degli altri uomini, di tutti quanti. Gli venne in mente il Topo e pensò, non senza disappunto, che in fondo non erano poi così diversi loro due, Spender con il suo taccuino e lui, Weiss, con le sue puttane. Forse quella notte aveva cercato una ragazza latinoamericana per farsi del male, per avvalorare la tesi delle presunte somiglianze fra lui e quello strano individuo.

Dal Topo i pensieri di Weiss si spostarono velocemente su Jim Bishop. Ciò non migliorò le cose, perché il solo pensiero gli procurava invidia e un sordo dolore. Bishop non chiedeva niente alle donne — se non la solita cosa — ma riusciva a farle cadere ai suoi piedi con il semplice schiocco delle dita. Anche Weiss avrebbe voluto non desiderare niente, e schioccare semplicemente le dita. Questa almeno era la sua fantasia per quella notte.

Depose il bicchiere e si alzò, avviandosi alla scrivania con il computer. Lo accese, sapendo che così si autopuniva perché era certamente arrivata una e-mail di Bishop. Sapeva di spargere sale sulle ferite, ma non poteva fermarsi. Il collegamento fu veloce.


Le cose si stanno muovendo. Chris vola tutti i giorni, merci e passeggeri, facce nuove. Non so quanti voli siano per conto di baffi grigi-Hirschorn, ma alcuni di certo lo sono. Devo trovare il modo di fare un controllo. Ray è sempre più nervoso e spaventato; occorre dargli dei risultati. Vedo due strade: la prima è che se Chris, come ho sentito dire, continua a ubriacarsi al Clover Leaf e a vantarsi di «grandi piani, grandi successi per il futuro», Hirschorn lo venga a sapere e decida di levarselo di torno, così io potrei farmi avanti. La seconda è la ragazza, alla quale mi sto avvicinando; sa qualcosa, forse molto, è terribilmente sola e vuole liberarsi del fardello che la opprime; ci sono quasi con lei, ovviamente in modo professionale. Stammi bene. JB.


Quando Weiss si alzò dalla scrivania, la sua faccia era più simile che mai a quella di un cane bastonato. Tornò a sedersi sulla poltrona vicino alla finestra e ad assaporare lo scotch.

In modo professionale, ovviamente.

Riprese a osservare la nebbia che continuava a salire.

11

Il sole stava tramontando, l’aria era immobile e Bishop stava rientrando alla base a bordo di uno Skyhawk, un monomotore. Le nuvole sopra le alture a ovest erano di un arancio acceso che si stagliava sull’azzurro intenso del cielo. I campi che circondavano la pista sembravano scuri e tranquilli visti dall’alto. In quel momento Bishop stesso si sentiva bene, in pace.

Manovrava con estrema sicurezza e l’aeroplano sembrava scendere da solo. Una leggera pressione sulla cloche e lo Skyhawk si ritrovò in traiettoria di avvicinamento. La mente di Bishop era sgombra, assorta nel suo compito. Diede un’ultima occhiata al tramonto, alle colline e agli alberi che parevano alzarsi a coprirlo mentre l’aereo scendeva leggero. Poi la pista fu davanti a lui; l’aereo vi si adagiò senza neanche un rumore, senza il minimo sobbalzo. Mentre l’apparecchio rullava Bishop trasse un profondo respiro, come se si stesse risvegliando in quel momento.

Fu in quell’istante che vide Chris in compagnia di Hirschorn, l’uomo che lui chiamava «baffi grigi».

Erano nel posteggio delle auto, dietro l’angolo dell’hangar. Bishop, ora vigile e all’erta, non li perse di vista mentre guidava l’aereo verso la rimessa. Hirschorn era un uomo robusto e distinto, sulla sessantina; il viso era quello di un seduttore, abbronzato e dai lineamenti marcati, incorniciato da capelli color argento e dai baffi grigi, leggermente più scuri. Indossava una giacca sportiva bianca, una polo con i bottoni slacciati e pantaloni grigi; il tutto asciutto e pulito, nonostante la temperatura elevata. Chris era imponente al confronto, con i muscoli che gonfiavano la maglietta sudata. Ma il modo in cui teneva le mani infilate nella cintura, la posa curva e imbronciata lo facevano assomigliare a un bambino che stesse subendo un rimprovero.

Hirschorn agitava il dito davanti a lui, senza permettergli di distogliere lo sguardo. Sembrava parlare in modo pacato ma continuo, e non pareva intenzione di Chris interromperlo. Quando fu più vicino, Bishop notò che Chris era visibilmente a disagio e che, anche se cercava di mantenersi freddo, mal sopportava quella specie di interrogatorio.

Portò l’aereo dietro all’hangar, dove non potevano vederlo, e mentre fissava le ali al suolo cercò di sentire le parole di Hirschorn, senza però riuscirci. Si affrettò a concludere l’operazione ed entrò nell’hangar.

Era tardi e gli impiegati erano andati via; l’unico rimasto era Ray, che era il responsabile e il padrone, almeno per il cinquanta per cento. Sembrava lavorare su un Bonanza, ma in realtà era immobile di fianco all’apparecchio e osservava Hirschorn minacciare Chris. Gli occhi erano spalancati, la fronte aggrottata e imperlata di sudore.

Bishop lo superò senza dire una parola e Ray quasi saltò dallo spavento.

«Bishop», sibilò.

Sentendosi chiamare con il suo vero nome, l’uomo si irrigidì. «Chiudi quella boccaccia di merda.»

«Mi dispiace, volevo dire, Kennedy…» biascicò Ray.

«Ti ho detto di tacere; e smettila di balbettare», replicò Bishop, senza fermarsi.

Ray cercò di raggiungerlo con la voce appena più alta di un sussurro. «Sono là da dieci minuti. Non sono riuscito a sentire che cosa si dicono, ma sembra che Hirschorn stia leggendo a Chris la sua condanna a morte.»

Bishop avrebbe voluto fare altrettanto con Ray, o meglio ancora metterlo al tappeto, dargli una lezione. Ma Ray era il cliente e non gli restava altro da fare che continuare a camminare per attraversare l’hangar e uscire dall’altra parte.

Il posteggio per le auto era un piccolo spazio quadrato in cui l’asfalto originario si era ormai ridotto in gran parte a ghiaia. La Mercedes di Hirschorn era parcheggiata sull’unico pezzo intatto vicino alla strada, non lontano dalla moto di Bishop. C’era un uomo appoggiato alla vettura, probabilmente una guardia del corpo, un delinquente fatto e finito, muscoloso e robusto, con le braccia simili a quelle di un gorilla, il viso spigoloso e capelli neri a spazzola. Era vestito come Hirschorn, solo con molte taglie in più, e fumava una sigaretta guardandosi le scarpe.

Bishop si avviò con apparente disinvoltura verso la moto, aprì una delle borse e vi ripose la sacca da volo. Il gorilla lo osservò, ma solo perché doveva vigilare. Bishop si muoveva lentamente, soffermando lo sguardo sul sole e poi sul cielo, come per valutare l’intensità della calura. Prese una sigaretta e fece finta di perlustrare le tasche alla ricerca di un cerino.

Questo gli diede lo spunto per avvicinarsi alla vettura. «Hai da accendere?»

Il gorilla estrasse un costoso accendino e lo fece scattare. Bishop si abbassò verso la fiamma.

«Bella moto», disse l’uomo.

«È un po’ ingombrante, ma veloce», replicò Bishop, espirando il fumo della sigaretta. Si voltò verso Hirschorn, che stava ancora puntando il dito sul petto di Chris. «Sembra che abbiamo un cliente insoddisfatto», osservò.

Il gorilla si strinse nelle spalle e si limitò a sorridere.

«È il tuo capo?» gli chiese Bishop.

«Sì, sono il suo autista.»

Bishop strinse gli occhi, sempre guardando in direzione dei due. «Ehi, ma quello è, come si chiama… Hirschorn, il padrone di questa baracca insieme a Ray.»

Il gorilla continuò a sorridere.

«Merda», aggiunse Bishop. «Scommetto che Chris è di nuovo nei guai. Che cosa ha fatto?»

«Io sono solo un autista», replicò il gigante.

«Certo, certo. Povero Chris. Ora che me lo hai detto, mi sembra di ricordare che avesse degli affari con Hirschorn.»

«Io non ti ho detto niente.»

«No? Forse l’ho sentito dire da qualche parte.»

«Probabilmente è così.»

Bishop aspirò una boccata di fumo e restò in attesa.

«Ti ricordi dove?» chiese il gorilla.

«Dove, cosa?» replicò Bishop.

«Dove hai sentito quello che mi hai detto? Ti ricordi?»

«Oh, non saprei. Probabilmente al Clover Leaf, da uno dei piloti che lo frequentano. Chris è un tipo così, no? Diventa loquace quando beve. Le voci girano.»

«Già, Chris è un tipo così. E che cosa diceva?»

«Niente di particolare, che io abbia sentito. Si vantava. Sai, un grosso affare fra lui e Hirschorn, un servizio pagato molto bene. Questo genere di cose.»

«Certo.»

«Pensi che sia questo il guaio? Il fatto che Chris chiacchiera troppo?» Il gorilla non rispose e Bishop pensò di essersi spinto fin dove poteva arrivare. «Be’, grazie per il fuoco», disse prima di andarsene.

Quando Bishop raggiunse la moto, Hirschorn aveva finalmente finito e stava tornando verso la Mercedes. Il povero Chris era rimasto da qualche parte dietro all’hangar come un cane bastonato.

Mentre si accingeva a partire, vide il gorilla affrettarsi ad aprire lo sportello al suo capo. A quel punto esclamò: «Salve, signor Hirschorn».

L’uomo rimase con un piede nella macchina e uno sull’asfalto, mentre cercava di capire chi lo salutava.

«Se ha bisogno di un pilota che regga l’alcol e tenga la bocca chiusa, il suo nome è Frank Kennedy», disse.

Hirschorn fece un gran sorriso, che spiccava chiaro sul viso abbronzato. Il suo sguardo dalle palpebre socchiuse sembrava poter capire tutto di un uomo.

«Grazie comunque», ribatté. «Io e Chris lavoriamo insieme da una vita.»

Bishop annuì e Hirschorn si abbassò per salire in macchina. La portiera si chiuse e il gorilla prese posto alla guida.

Mentre Bishop inseriva la chiave per accendere la moto, sentì il finestrino della Mercedes abbassarsi dietro di lui.

«Ehi, Kennedy.»

Bishop si voltò e nel vano aperto vide l’uomo dai baffi grigi che gli chiedeva: «Per quali apparecchi sei abilitato?»

«Per qualsiasi dannata macchina che stia in aria», ribatté Bishop. «Nell’esercito portavo anche gli elicotteri.»

Hirschorn si produsse di nuovo nel suo sorriso smagliante. «Bene, buona serata», disse.

Bishop montò in sella, osservando la Mercedes che attraversava il posteggio e si allontanava lungo la strada.

12

Bishop arrivò a casa che ormai stava diventando buio. Sul marciapiede c’erano tre ragazzini che litigavano per uno skateboard, ma quando l’Harley imboccò il vialetto, si fermarono a guardarla. Poco dopo erano scomparsi, inghiottiti dall’oscurità del quartiere.

Lui non vi fece molta attenzione; stava ancora pensando a Hirschorn.

Entrò nella casa buia, dove il calore era soffocante, cercando a tastoni l’interruttore per fare un po’ di luce. Ma qualcosa lo fece fermare di scatto: anche con le finestre aperte, sentiva benissimo l’odore del fumo di una sigaretta.

Bishop cercò con lo sguardo tra le ombre, e la vide. Era appoggiata al davanzale della finestra e la sua figura si stagliava appena nell’ultima luce del giorno.

«Non accendere le luci», gli disse.

Bishop si fermò. «D’accordo.»

«Adesso dimmi una cosa», proseguì Kathleen. «Chi cazzo sei?»

Bishop sentì il cuore accelerare i battiti e fu contento di non doverla guardare in faccia. «Che cosa vuoi dire?»

Vedeva la punta della sigaretta muoversi nel buio, seguendo i gesti della donna. «Voglio dire che arrivi da queste parti e… mi sei subito addosso. Sei sbucato dal nulla e in non più di una settimana… merda, che cosa sta succedendo? Chi sei? È questo che ti chiedo.»

Bishop cercava di pensare in fretta, misurando le parole. Sapeva qualcosa su di lui o tirava a indovinare? Non riusciva a capire. «Ho solo provato una forte attrazione», le disse, «e ho pensato che anche per te fosse lo stesso. Ma se ho sbagliato…»

«Merda, certo che hai sbagliato! Sono sposata, maledizione, no?»

Bishop si rilassò e sorrise nel buio. Kathleen stava solo cercando di comunicargli che lui la interessava, come sempre accadeva. Doveva parlare, perché le donne devono parlare prima. E adesso era sicuro che sarebbe riuscito a farsela e che lei gli avrebbe detto molte più cose.

«Certo, lo so, sei sposata.» Attraversò la stanza e le si fermò vicinissimo. «Ma tuo marito non è qui. È in volo, stanotte.»

Kathleen rise piano, avvolgendolo in una nuvola di fumo. «Sei veramente un mascalzone.»

Bishop le passò le dita fra i capelli e lei non fece nulla per fermarlo. Ormai era sicuro che sarebbe stata sua: alla poca luce della finestra vedeva le sue labbra che sembravano attendere qualcosa, gli occhi sfavillanti.

«Non dovrebbe picchiarti», le disse, lisciandole i capelli all’indietro.

«Chi sei tu, il mio cavaliere senza macchia e senza paura?» Kathleen tirò su col naso e aggrottò la fronte. Teneva un braccio sull’altro all’altezza della vita, facendo sporgere la sigaretta sul fianco per non bruciare Bishop. E lasciava che la mano di lui le accarezzasse i capelli, la guancia. «So che non è così. Mi bastano gli occhi per capirlo.»

Bishop si chinò per baciarla, ma lei voltò la testa e le labbra di lui toccarono solo un angolo della bocca. «No!» disse. Volse lo sguardo verso la stanza buia. «Hai sentito che cosa ti ho chiesto. Chi sei? Non so neanche chi cazzo sei.»

«Sai tutto quello che devi sapere», sussurrò Bishop, baciandole il collo.

«Smettila, non sto scherzando», disse, il respiro più veloce.

«Devi solo dirmi che non vuoi.»

Passarono alcuni istanti in cui Bishop si ritrasse appena. Kathleen tornò a guardarlo e lui si riavvicinò. Questa volta riuscì a baciarla sul serio. Prima posando appena le labbra su quelle di lei, che si fecero morbide, poi con tutta la lingua, fino a sentire il sapore di fumo in fondo alla sua bocca.

Quando si staccarono, Kathleen appoggiò la testa sul petto di Bishop, che la sentì tremare. «Ma che cazzo sto facendo?» disse lei.

«Non c’è niente di male», le rispose Bishop dolcemente. «Va tutto bene.»

«Ci ucciderà se lo viene a sapere.» Però non sembrava importarle davvero. Le mancava il respiro. «Non sto scherzando, Frank. Ci ucciderà entrambi.»

Bishop lentamente la fece staccare dal davanzale, senza incontrare alcuna resistenza. Quando la baciò per la seconda volta, lei si lasciò andare, si strinse a lui, lo abbracciò. Teneva la sigaretta sollevata dietro la sua testa, facendo salire una spirale di fumo verso il soffitto.

Più tardi, di sopra, mentre lui era dentro di lei, gridò.

13

Weiss, la ragazza ha ceduto. Niente male, devo dire. Ha ascoltato di nascosto Chris e Hirschorn per settimane, preoccupata del fatto che suo marito si stesse cacciando in qualche guaio. Dunque, sembra che stia per succedere qualcosa molto presto, qualcosa di grosso, per il quale Hirschorn richiede massima segretezza. Sempre Hirschorn avrebbe detto che il tempismo è essenziale perché non si può comunicare con la base, niente radio né telefono. Il ruolo di Chris non è chiaro, forse deve solo fare il pilota per trasportare materiale e persone a una base operativa tra i boschi, o forse qualcosa di più.

In questo momento non ho idea di che cosa si tratti realmente. Kathleen dice che potrebbe essere contrabbando o droga, ma sembra piuttosto un affare che si conclude in un’unica operazione. Kathleen ha anche sentito alcuni nomi: Whip, forse il nome di un uomo, e poi Harry Ridder, di un posto vicino a Sonoma. Hirschorn rideva quando parlava di Ridder. Su questi non so nulla di più; se possibile cercate di identificarli, grazie.

Kathleen conferma che Hirschorn sa della lingua lunga di Chris, quando è ubriaco. È piuttosto incazzato ma per il momento non lo caccia: ci sono legami familiari — Hirschorn conosceva il padre di Chris — e può darsi che ormai l’operazione sia in una fase troppo avanzata per cambiare. Forse posso spingere un po’ la cosa. Ci sto ancora lavorando.

Ho comunque detto a Kathleen di continuare ad ascoltare, per proteggere se stessa e Chris e questo genere di cose. C’è cascata, ha detto che lo farà, ma può non essere completamente affidabile, per senso di colpa, scrupoli di coscienza e così via.

Sappimi dire di Whip e Ridder al più presto. Grazie. JB.


Le prime parole dell’e-mail erano rimaste sullo stomaco di Weiss come un pranzo consumato troppo in fretta. «La ragazza ha ceduto. Niente male, devo dire.» Stava conducendo sul Golden Gate la sua solida Taurus grigia, gli occhi fissi sull’asfalto. Il cielo era tornato azzurro, l’aria era tersa e l’acqua luccicava al di là dei cavi rossi del ponte. Le cittadine della costa orientale, all’orizzonte, sembravano villaggi di fiaba. Ma Weiss non riusciva a far altro che fissare l’asfalto e ripensare all’indigesto messaggio che gli tormentava le viscere. «La ragazza ha ceduto. Niente male, devo dire.»

Il fatto era che Bishop aveva ragione. Davvero niente male: aveva messo le mani su qualcosa, qualcosa di grosso, a quanto pareva. Qualunque fosse l’operazione che Hirschorn stava preparando, il fatto di interromperla poteva essere cruciale per salvare la vita del loro cliente, senza contare i benefici per la reputazione dell’Agenzia, i clienti nuovi che potevano arrivare da tutto lo stato e via discorrendo. E se i tempi erano così stretti come sembrava, bisognava muoversi velocemente. Il quadro era perfetto. La ragazza avrebbe continuato a sorvegliare il marito e a riferire a Bishop, che adesso era il suo amante… anche se poteva «non essere completamente affidabile, per senso di colpa, scrupoli di coscienza e così via».

«Vacci piano, Bishop», disse Weiss a voce alta mentre guidava.

Perché anche se voleva proteggere il cliente, e ci teneva moltissimo ad allargare gli affari dell’Agenzia, non poteva non considerare le cose dal punto di vista di Kathleen. Era fatto così, faceva parte del suo modo di agire. Gli era facile immaginare che lei avrebbe placato i suoi «scrupoli di coscienza» convincendosi che quella con Bishop non era una storia qualunque, ma una passione importante, forse il grande amore della sua vita. Per illudersi maggiormente, avrebbe iniziato a vedere in Bishop l’uomo dei suoi sogni e a ripetersi che teneva veramente a lei, nonostante lo sguardo freddo e distaccato che spesso percepiva nei suoi occhi. E invece di affrontare la realtà — quella di essere diventata una donna che tradisce il marito, una pedina in un gioco più grande di lei — si sarebbe convinta che per lei e Bishop c’era un futuro altrove, un futuro che avrebbe messo fine alla solitudine, ai maltrattamenti.

Comunque era così che Weiss se l’immaginava, perché aveva già visto altre donne comportarsi così con Bishop, e quando aprivano gli occhi le conseguenze erano catastrofiche. A Bishop non sembrava importare un fico secco di che cosa succedeva a loro. Ma Weiss si sentiva tenuto ad assumersi la sua parte di «senso di colpa e scrupoli di coscienza», perché in parte si sentiva responsabile: era lui il capo, quello che dava via libera a Bishop.

E di certo non sarebbe stato lui a togliergli l’incarico. Anche se avrebbe potuto farlo, magari per il bene di Kathleen. Ma non era lei il cliente; era Ray Gambling. Il proprietario di metà della North Country Aviation, che li aveva assoldati per scoprire che cosa il suo socio stesse organizzando con i loro aerei e i loro piloti. Ray era quello che doveva affrontare gli ispettori, che doveva rispondere alle domande sui documenti di volo falsificati, che poteva perdere il lavoro o finire in prigione o addirittura essere ucciso, se Hirschorn voleva farlo tacere. Da un punto di vista più egoistico, Ray era anche quello che avrebbe parlato bene dell’Agenzia, se lo avessero tirato fuori dai guai.

Con un lamento sommesso, Weiss si massaggiò lo stomaco mentre continuava a guidare.

La Taurus scese dal ponte e proseguì verso nord, all’ombra del promontorio.

14

«È lei William Ridder?»

«Sì, sono io.»

«Aveva un figlio di nome Harry?», chiese Weiss.

«Perché lo vuole sapere? Che storia è questa?»

I due uomini erano in piedi vicino al fienile cadente di un’altrettanto cadente fattoria, vicino alla strada statale. Weiss non ne capiva molto di agricoltura, ma nonostante questo gli sembrava che l’unica cosa che crescesse in quel posto fosse la polvere. Difficile dire cosa c’entrasse quel luogo con l’indagine di Bishop. Ma questi voleva saperne di più sui nomi forniti da Kathleen — Harry Ridder, Whip — e quella era senz’ombra di dubbio la fattoria dei Ridder.

Il vecchio, William Ridder, appoggiato a una zappa, scrutava Weiss con occhi taglienti. Il traffico della strada era assordante: auto che passavano veloci, camion che cambiavano rumorosamente marcia.

«Sono un investigatore privato», disse Weiss. «Il nome di suo figlio è saltato fuori nell’ambito di un caso di cui ci stiamo occupando. Cercando di rintracciarlo, ho trovato il suo necrologio. Il giornale dice che si è suicidato cinque mesi fa.»

«Suicidato.» Il vecchio parve sputare quella parola. «Ha solo premuto il grilletto al posto loro, ecco la verità.»

«Che cosa significa? Che è stato ucciso?»

«Ci può giurare. Ma di quale caso vi state occupando?»

Il vecchio aveva la pelle cotta dal sole, scura come un guscio di noce, ed era così magro che la camicia e i pantaloni gli pendevano di dosso come sacchi. Guardava Weiss con sospetto, ma i suoi occhi erano quelli di una vittima che si aspetta il peggio. Un uomo abituato a essere calpestato, pensò Weiss. E lui ne approfittò.

«I miei clienti mi hanno chiesto di eseguire dei controlli su una ditta di progettazione giardini a cui intendono dare un incarico», disse. «Suo figlio faceva dei lavori per questa ditta, e mi hanno dato il suo nome come riferimento. Mi dispiace rivangare un passato doloroso ma, se la sua morte è sospetta, per me può essere importante.»

Non che tutto ciò avesse molto senso, ma probabilmente non era peggio delle spiegazioni che il vecchio era abituato a ricevere per quel che gli accadeva nella vita. Comunque gli bastò.

«Glielo avevo detto», disse Kidder in tono amaro. «Gli avevo detto che qui c’era tutto il lavoro che voleva.» Indicò i campi polverosi, privi di vita. «Ma Harry era fatto così. Voleva andarsene, vivere in città.» Indicò l’orizzonte, sopraffatto dal rumore sempre più forte del traffico. «Dev’essersi ficcato in qualche pasticcio laggiù, poco ma sicuro.»

«In che senso?»

«Be’…» Il vecchio premette la terra con il retro della zappa. «Harry era veramente portato per i giardini, proprio per la progettazione di giardini, come si dice oggi, e ci sono fior di ricchi che pagano bene per farsi progettare il giardino. Harry lavorava per uno di questi, un certo Moncrieff, Cameron Moncrieff. Non scorderò mai quel nome.»

«Cameron Moncrieff», ripeté Weiss lentamente e il modo in cui lo pronunciò spinse il vecchio a chiedere: «Lo conosce?»

Weiss lo conosceva. «Ne ho sentito parlare. Mi sembra sia morto un po’ di tempo fa, no?»

«Be’, adesso le racconto», rispose Kidder. «Vede, Harry, da quando se n’era andato, non si faceva sentire spesso, ma di tanto in tanto telefonava per salutarci. Diceva che lavorava per diverse persone, a sistemare i giardini, ma soprattutto per questo Moncrieff. Poi un giorno ci telefona, e viene fuori che questo Moncrieff è morto, non so bene di cosa, ma comunque… Si è ammalato all’improvviso ed è morto. Insomma, Harry ci chiama, ci racconta questo fatto, dice che deve trovarsi un altro lavoro e così via. Poi, all’improvviso, eccolo: si presenta a casa una notte, a notte fonda, magro come un chiodo, che trema come una foglia.»

«Vuol dire che aveva paura?»

«Sì, proprio così. C’era qualcosa… qualcuno che lo terrorizzava. Non usciva quasi più dalla sua stanza. Quando era partito era un ragazzo sano e robusto; adesso era magro come un chiodo e tremava come una foglia. Non voleva uscire da quella stanza per niente al mondo. Si era portato su il mio vecchio fucile e stava seduto lì, a guardare dalla finestra. Lo si poteva vedere sempre allo stesso posto, giorno e notte, a scrutare l’orizzonte.»

«Si aspettava di veder arrivare qualcuno?» chiese Weiss. «Temeva che qualcuno l’avesse seguito?»

Il vecchio continuò a premere il terreno con la zappa, osservando alternativamente la terra e la zappa. Poi alzò lo sguardo e osservò Weiss: Weiss con i suoi lineamenti seri e pesanti, con i suoi occhi profondi e comprensivi.

«Venga», disse. «Le faccio vedere una cosa.»

Weiss lo seguì fino in fondo al campo, su un terreno secco e crostoso. L’uomo procedeva lentamente, curvo e con lo sguardo rivolto in basso, appoggiandosi al manico della zappa per aiutarsi. Weiss dovette accorciare il passo per non superarlo.

Arrivarono a un capanno degli attrezzi costruito con vecchie assi inchiodate e un tetto in lamiera ormai arrugginito, non più di due metri per due. La porta cigolò quando il vecchio l’aprì.

«Dopo un po’ di tempo ha iniziato a stare qui.»

«Suo figlio?»

Ridder annuì. «Portava il fucile con sé e stava qui per ore, anche di notte a volte.»

L’espressione di Weiss non cambiò. Ma s’immaginò il giovane Ridder accucciato in quel buco, tremante, con il fucile sempre pronto.

«Mia moglie dice che dovrei buttarlo giù, adesso. Lo penso anch’io, ma non ci riesco, non so perché.»

Il vecchio tenne la porta aperta mentre Weiss si abbassava per riuscire a entrare in quello spazio angusto. All’interno, pur stando piegato, sentiva la sporca lamiera del tetto sfiorargli i capelli. Il rumore della strada era attutito e l’oscurità fitta. Ci volle qualche istante prima che i suoi occhi si abituassero. Allora si guardò intorno, e vide cosa c’era sulle pareti.

«Ha fatto tutto coi chiodi», stava dicendo il vecchio all’esterno, ancora appoggiato alla zappa. Si appoggiava e guardava lontano, verso le colline. «Vecchi chiodi trovati per terra. Poi ne ha colorato una parte con calce e pietra rossa.»

A Weiss sembrò di percepire una punta di orgoglio paterno nella voce dell’uomo, ma continuò a osservare le pareti.

Harry Ridder aveva inciso qualcosa nel legno, per lo più motivi e disegni, ma anche parole. Aveva intagliato con fatica le assi marce con spirali accanto a figure, figure sopra nomi. Ogni soggetto si inseriva perfettamente in quello precedente in modo da sfruttare ogni centimetro delle pareti, da coprire tutto lo spazio fra le cesoie e la falce e il rastrello, appesi ai loro ganci arrugginiti. Weiss girò lentamente su se stesso, con la testa piegata, e si rese conto che le pareti erano completamente decorate.

«Sembra quasi un lavoro artistico, vero?» disse la voce orgogliosa del vecchio dall’esterno.

Weiss non rispose. All’idea di quel ragazzo chiuso per ore in quel buco, il suo stomaco si stringeva e la nausea lo assaliva. Un disperato che copre ossessivamente tutto lo spazio disponibile per raccontare la sua storia, come se queste pareti fossero l’ultimo pezzo di carta rimasto al mondo. Era pura follia.

Weiss colse il rumore del traffico in lontananza. Chiuso lì dentro, al buio, si rese bruscamente conto di quanta luce c’era fuori, quanta sana luce del giorno. Si piegò di più per avvicinarsi alle pareti, cercando di distinguere un disegno dall’altro, di separare le lettere dalle forme.

Scoprì il volto di una donna dai capelli lunghi che si trasformavano in onde e le onde in un nome, «Julie Angel». Il nome poi diventava una foresta, una casa, un lupo che ululava alla luna. Gli occhi di Weiss seguirono il tracciato, mentre il sudore gli colava dalle tempie e il suono del suo stesso respiro gli rimbombava nelle orecchie. «Julie», trovò ancora quel nome; e poi anche «Angel», che diventava l’immagine di un vero angelo. Le ali dell’angelo si trasformavano in un complesso labirinto circolare in cui si annidavano altre parole: «Vita», «Speranza», «Morte». Non c’era un filo logico che Weiss riuscisse a cogliere.

Continuò a osservare e si soffermò su un punto in un angolo, dove il sole entrava attraverso un buco irregolare. Intorno al buco il legno era più scuro, e le incisioni avevano preso uno sgradevole color marrone.

Il foro d’uscita, pensò Weiss.

Harry Ridder si era fatto saltare le cervella proprio in quel capanno. In quel punto il proiettile, dopo aver attraversato la testa del ragazzo, aveva trapassato la parete di legno del capanno. E la macchia marrone, be’, era tutto ciò che restava di Harry.

Ma c’era questo di strano: più Weiss guardava, più gli sembrava che il foro e la macchia che lo circondava fossero il centro di tutto il bizzarro ciclo murale, come se tutto ciò che era stato incìso sulle assi all’intorno fosse pensato per condurre lo sguardo proprio in quel punto. Vi si avvicinò in ginocchio, sul pavimento di terra battuta. Si chinò per avvicinarsi ancora di più. Passò le dita sui bordi scheggiati e si accorse che vi era incisa una parola. La sentì sotto i polpastrelli: una sola parola perfettamente adattata ai contorni del legno scheggiato. Come se il giovane Harry avesse calcolato, nel momento in cui si era infilato il fucile in bocca, il punto in cui il proiettile sarebbe uscito dal suo cranio. Incredibile, pensò Weiss. Socchiuse gli occhi, la vista ostacolata dal raggio di sole e dal pulviscolo.

La parola — il senso della parola — gli si chiarì all’improvviso. Weiss fu scosso da un sussulto. Sentì che gli mancava il respiro, sentì il sangue defluire dal viso. Rimase a osservare quell’unica parola attraverso le palpebre socchiuse, per un momento lunghissimo. La lesse più e più volte.

SHADOWMAN.

15

Anche Sissy Truitt faceva parte della squadra di Weiss. Era una bionda dai lineamenti delicati, con una voce gentile e vellutata e miti occhi azzurro scuro. Una delle migliori investigatrici dell’Agenzia, soprattutto quando si trattava di interrogare le persone. Era così dannatamente persuasiva e materna, che tutti le confessavano qualsiasi segreto. Weiss, naturalmente, era pazzo di lei; se solo avesse potuto, l’avrebbe avvolta con il suo stesso corpo per proteggerla dalle intemperie. Un esempio estremo del suo atteggiamento pateticamente cavalieresco verso le donne in generale. Sissy era molto paziente con lui; lo gratificava con le sue risate argentine, i suoi sorrisi materni, i suoi affettuosi cenni del capo, come se il boss fosse un fedele sanbernardo che la seguiva ovunque per proteggerla. Era fatta così, era buona con tutti.

Il grande ufficio di Weiss, con le imponenti finestre sulla città, l’enorme scrivania e l’altrettanto enorme proprietario, sembrava sempre intimidirla un po’ quando entrava, con quel suo fare mite e l’aspetto da scolaretta, tutto gonne a pieghe, cardigan e similia. Teneva la cartelletta del caso in corso stretta al petto con entrambe le braccia, come se fosse il libro di algebra e lei stesse per essere interrogata.

«Oh», disse lanciando un’occhiata a Weiss e correndo a sedersi sul bracciolo di una delle poltroncine per i clienti. «Che cosa ti è successo, Scott?»

Weiss in effetti aveva il viso pallido e tirato per la mancanza di sonno. Shadowman. Quel nome lo ossessionava. Ma, nonostante adorasse essere oggetto delle attenzioni di Sissy, liquidò la domanda con un gesto della mano. Si appoggiò bene all’indietro sulla poltrona, l’enorme poltrona girevole dall’alto schienale. «Che cos’hai scoperto?» le chiese. «Finora tutto quello che so è che Harry Ridder faceva il giardiniere da Cameron Moncrieff.»

Sissy posò la cartelletta in grembo. «Sai chi era Moncrieff, vero?»

«Certo. Un piccolo contrabbandiere e un ruffiano, uno a cui piaceva indossare maglioni a dolcevita e parlare di arte come se ne capisse qualcosa.»

«Qualcosa ne capiva, perché parte del suo commercio illegale riguardava proprio quel settore; era un collezionista. Poi si occupava anche di donne, armi, cocaina. Faceva da mediatore in tutti questi campi. E doveva essere piuttosto bravo: viveva in una specie di castello, in Presidio Terrace.»

«Però, si trattava bene l’amico. Credi che facciamo il lavoro sbagliato?»

«Non scherzare», disse Sissy con la sua dolce risata.

«Mi ricordo che una volta è stato pizzicato dai federali. Contraffazione di valuta, vero?»

«Sì, erano risaliti a lui a causa di una partita di denaro falso. Si è fatto un anno di galera.»

«Bene!» disse Weiss. «Quindi il giovane Harry Ridder era il giardiniere di questo bel tipo. E…?»

Le strette spalle di Sissy si alzarono sotto il cardigan. «E niente. Non ho trovato niente su Ridder. Nessuno sembra averlo mai notato, se non per il fatto che il giardino era curato e in ordine. L’ho trovato citato solo nel rapporto del coroner, perché Ridder era presente quando Moncrieff è morto.»

«È morto in casa?»

«Sì, una malattia del fegato.»

«AIDS?»

«Non credo; per lo meno, dal rapporto non risulta.»

Weiss si fermò un attimo a pensare. «Chi altri era presente quando Moncrieff è morto?»

«Il suo avvocato, Peter Crouch.»

«Ah, lo conosco, Crouch. Il classico difensore di pesci piccoli. So che ha chiuso bottega un po’ di tempo fa e si è ritirato in qualche baita da pensionato.»

«Sì, l’ho cercato senza successo. Nessuno ne sa più niente da mesi e nessuno sembra particolarmente preoccupato per questo.»

«Certo, chi vuoi che se ne occupi di Crouch. Quindi, Moncrieff è morto in presenza del suo legale e del giardiniere. Nessun altro? Nessuno di nome Whip, per caso?»

«No, nessun Whip, ma una donna che il coroner definisce ‘badante fissa’.»

«Intendi dire un’infermiera?»

«Non un’infermiera diplomata, almeno a quel che risulta.»

«Ha un nome questa donna?»

«Julie Wyant, che è più o meno tutto quello che la gente sembra sapere di lei.»

Weiss ricordò le parole incise nel capanno dove Ridder si era ucciso: «Julie Angel». Ripeté il nome a voce alta: «Julie Wyant. E dove si trova adesso?»

«Questo è il punto», disse Sissy Truitt. «Anche lei è scomparsa.»

Weiss alzò la sua grande mano. «Scomparsa, nel senso di…?»

«Scomparsa, morta, insomma», replicò Sissy a bassa voce. «Suicidio, pare. Circa tre mesi fa hanno trovato la sua macchina abbandonata nel parcheggio di Vista Point. La polizia pensa che sia andata a piedi sul ponte e si sia buttata di sotto. Da allora nessuno l’ha più vista.»

16

Una volta solo, Weiss restò seduto a dondolarsi piano sulla poltrona, fissando con aria assente l’orizzonte al di là delle ampie finestre ad arco. Shadowman.

Ripensò a tutto il caso cercando di mettere insieme i pezzi. Fino a quel momento, ecco quel che sapeva.

Bernie Hirschorn — il delinquente assassino che possedeva quasi tutta la città di Driscoll — pagava un pilota, Chris Wannamaker, per effettuare misteriosi voli di andata e ritorno in una località sconosciuta. La moglie di Chris, Kathleen, era preoccupata per il marito al punto di ascoltare di nascosto le conversazioni fra quei due. Aveva rivelato a Bishop che avrebbero portato a termine una grossa operazione nel giro di poco tempo. Fra i nomi che aveva sentito c’erano quelli di Harry Ridder e di un certo Whip.

Ridder era stato il giardiniere di un delinquente di nome Moncrieff. Era stato presente alla morte dell’uomo, ma anche lui era deceduto in seguito a un colpo che si era sparato nel cervello in un angusto capanno per gli attrezzi, probabilmente spinto da un terrore insopportabile. Anche la seconda persona presente alla morte di Moncrieff, una donna di nome Julie Wyant, sembrava essersi suicidata. La terza, l’avvocato Peter Crouch, era scomparsa, o così voleva far credere.

Questi gli interrogativi più pressanti: esisteva una connessione fra la morte di Moncrieff e la scomparsa di queste persone, o si trattava di pura coincidenza? C’era un legame fra Moncrieff, Hirschorn, Chris Wannamaker e i misteriosi voli tra i boschi del Nord?

Weiss inspirò a fondo, lo sguardo perso nel vuoto, senza interrompere il movimento della poltrona. Shadowman. Il suo istinto, l’istinto del poliziotto, gli diceva che tutti questi pezzi dovevano incastrarsi, solo che non sapeva come. Gliene mancavano ancora troppi.

Ciò lo riportò al secondo nome su cui doveva indagare: Whip. Che razza di indizio. Da dove poteva cominciare?

Weiss era comunemente ritenuto uno dei migliori segugi della città, se non del paese. Sembrava che riuscisse a pensare con la testa delle persone scomparse e ne seguisse le tracce con l’istinto. In poche ore, riusciva a fare un lavoro che a un poliziotto avrebbe richiesto un mese di telefonate. L’ho visto con i miei occhi. Ma anche per lui, che era in grado di trovare chiunque, sarebbe stato molto difficile scovare una persona di cui sapeva solo il nome, Whip. Se però questa aveva avuto a che fare con Moncrieff, i poliziotti forse potevano sapere qualcosa…

Ruotò la poltrona dalla finestra alla scrivania e lanciò una triste occhiata al telefono. Ma esitò ancora, e continuò a riflettere.

Era preoccupato per Ray Gambling, il suo cliente. Ray era terrorizzato che Hirschorn scoprisse di essere sotto sorveglianza e che lo facesse uccidere, e che poi eliminasse anche sua moglie, i bambini, i genitori e tutti i parenti…, Ray aveva una gran paura del suo socio.

Ma Weiss aveva ancora qualche amico fra i poliziotti e uno in particolare, Ketchum, il suo ex compagno di pattuglia. Si poteva fidare di Ketchum: avrebbe ascoltato la storia e avrebbe indagato nei luoghi giusti, senza lasciarsi scappare niente. Weiss pensò che Ketchum era la via giusta per scoprire qualcosa in più senza mettere a repentaglio la vita di Ray.

Stava per alzare il telefono, quando questo iniziò a squillare. Sollevò la cornetta e sentì la voce della centralinista, Amy, che gli diceva: «È l’ispettore Ketchum che la cerca, capo».

Weiss non si stupì più di tanto. Queste coincidenze accadevano spesso fra lui e Ketchum. «Grazie», disse. «Passamelo pure.» E poco dopo: «Ketch?»

«Sono io.»

«Stavo per chiamarti.»

«Hai visto che bravo poliziotto sono. Lo sapevo.»

«Che succede?»

«Conosci un tipo di nome Wally Spender?» chiese Ketchum.

Per un attimo Weiss esitò. Era così immerso nell’altro caso da avere difficoltà a riconoscere il nome di Spender. Poi all’improvviso se ne ricordò: il Topo, il caso della vergine spagnola.

«Si, certo, Wally Spender. Lo conosco», disse.

«Sarà meglio che vieni a vederlo.»

«Perché, si è cacciato in qualche guaio?»

«No, si è cacciato in un vicolo dietro Mission Street», Ketchum replicò. «È morto accoltellato.»

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