21

La base del raggio aveva una circonferenza di duecentocinquanta chilometri circa. Iniziarono a percorrerla cercando qualcosa per salire, qualsiasi cosa: da una scala a un elicottero antigravitazionale. Trovarono solo alberi orizzontali che crescevano nella foresta verticale.

Inoltrandosi dai rami esterni alle radici abbarbicate alle pareti, dovettero superare una zona in salita, fatta di alberi spezzati e di foglie che marcivano. Le pareti del raggio erano costituite da un materiale grigio, spugnoso, che si piegava al tocco delle mani. Quando Cirocco strappò un cespuglio dalla parete, scoprì che possedeva una radice a fittone. Dalla parete uscì un fluido denso, lattiginoso; poi, lentamente, il buco si chiuse da solo.

Non c’era terriccio, e la luce, nonostante la prima impressione che ne avevano avuto, era scarsa. Cirocco stabilì che, come molte delle piante dell’orlo esterno, la vita lì dipendeva dalle risorse vitali presenti subito sotto la superficie.

La parete era umida; vi crescevano sopra muschio e licheni, ma i vegetali di dimensioni modeste erano scarsi. Non esisteva erba; i rampicanti erano tutti parassiti che spuntavano dalle radici degli alberi. Molti alberi appartenevano allo stesso tipo di quelli che avevano visto sull’orlo esterno, adattati a un’esistenza orizzontale. C’erano frutti già familiari e molte noci e nocciole.

— E questo ci risolve il problema del cibo — disse Gaby.

All’interno del raggio non potevano scorrere fiumi, ma sulle pareti si vedevano rivoletti di acqua. Molto più in alto, alcuni getti d’acqua, disposti in maniera regolare, scendevano verso di loro, trasformandosi in nebbia prima di raggiungere il suolo.

Gaby notò che sembravano equamente distribuiti, come innaffiatori automatici su un prato ben tenuto.

— Non moriremo nemmeno di sete — disse Cirocco.

Cominciarono a pensare che forse non era del tutto impossibile salire. Escludendo la possibilità di una scala (che comunque non avrebbero mai trovato, perché gli alberi non permettevano di esplorare troppo da vicino le pareti), avevano di fronte due alternative.

Potevano arrampicarsi in alto scalando gli alberi. I rami erano talmente intrecciati fra loro che si poteva passare da un albero all’altro senza soluzione di continuità, almeno in teoria.

La seconda possibilità era una scalata alpinistica vera e propria. Scoprirono che per infilare i chiodi nella parete bastava una semplice pressione della mano, data la natura porosa del materiale.

Cirocco avrebbe preferito salire lungo le pareti, perché gli alberi non le sembravano resistenti; Gaby preferiva l’altra soluzione che le sembrava più rapida. Discussero per un giorno intero, poi successero due cose.

Gaby si accorse della prima mentre guardava in giù, verso l’attaccatura del raggio.

— Mi pare che non ci sia più il foro — disse, puntando l’indice. Cirocco guardò socchiudendo gli occhi per vedere meglio, ma non riuscì a esserne sicura.

— Arrampichiamo un poco, così potremo vedere meglio.

Si legarono per farsi sicurezza l’un l’altra e poi cominciarono ad arrampicarsi sugli alberi.

Arrampicarsi non era poi molto difficile. Spostandosi di continuo da quelli più vicini alla parete, solidi come la roccia ma molto distanziati l’uno dall’altro, a quelli più esterni, esili ma pieni di appigli per mani e piedi, la cosa non era troppo difficile.

— Un po’ più in dentro — urlò Cirocco a Gaby, che la precedeva di cinque metri. — Direi che possiamo fermarci a due terzi dalla cima dell’albero.

— In dentro? … Cima? — chiese Gaby. — Ma cosa dici?

— La base degli alberi è quella vicina alla parete, la cima quella sospesa per aria. Non ti sembra semplice?

Dopo essersi arrampicate attraverso una decina d’alberi cominciarono a tracciarsi il percorso verso la cima dell’ultimo di essi.

Quando i rami su cui si spostavano cominciavano a incurvarsi, passavano velocemente ad assicurarsi su un ramo più robusto. La pendenza giocava a loro favore come se aprisse per loro una finestra in un’altrimenti impenetrabile foresta. Avevano scelto un albero che, in una foresta orizzontale, avrebbe torreggiato sui suoi vicini. In quel posto doveva contentarsi di spingersi lontano dalla parete.

— Avevi ragione. È scomparso.

— Non ancora, ma sta scomparendo.

Del foro alla base del raggio restava solo un sottile ovale nero che si stava contraendo come l’iride di un occhio. Giorni prima, quando lo avevano visto da sotto, il foro aveva praticamente la stessa circonferenza del raggio. Adesso si era ridotto ad appena dieci chilometri di diametro, e continuava a rimpicciolire. Presto si sarebbe chiuso attorno ai cavi verticali che uscivano dal suo centro.

— Idee? — chiese. — Che senso ha chiudere quel foro e sigillare il raggio?

— E chi lo sa? Comunque penso che si riaprirà. Gli angeli entrano ed escono regolarmente da qui, per cui… — S’interruppe sorridendo. — È il respiro di Gea.

— Come?

— È quello che i titanidi chiamano vento da est. Oceano porta il freddo e il Lamento, Rea porta l’aria calda e gli angeli. Immagina di avere un tubo lungo trecento chilometri, con una valvola a ognuna delle due estremità. Potresti usarlo come pompa. Potresti creare zone di alta e di bassa pressione e sfruttarle per spostare l’aria.

— E come potrei fare? — chiese Gaby.

— Direi che esistono due modi. Potrebbe esserci un pistone mobile per comprimere o rarefare l’aria. Però non l’ho visto, e preghiamo il cielo che non ci sia, se no ci fa a pezzi.

— Avrebbe già schiacciato gli alberi.

— Giusto. Per cui passiamo all’altro sistema: le pareti possono espandersi e contrarsi. Si chiude la valvola sul fondo, si apre quella in alto, si fa espandere il raggio, e l’aria viene risucchiata dall’alto. Se invece si chiude la valvola in alto, si apre quella in basso e si fanno contrarre le pareti, l’aria viene spinta fuori dal basso.

— E da dove viene l’aria risucchiata dall’alto?

— O passa attraverso i cavi, oppure proviene dagli altri raggi. Non dimentichiamo che in alto sono tutti collegati fra loro. Con qualche altra valvola è possibile ottenere effetti globali massicci. Aprendo e chiudendo alcuni raggi l’aria viene risucchiata da Oceano, finisce nel mozzo e viene pompata in questo raggio. Aprendo e chiudendo altri raggi, l’aria viene spinta giù su Rea. Vorrei solo capire perché i costruttori hanno ritenuto necessario un impianto del genere.

— Credo di saperlo — rispose Gaby, dopo un attimo di riflessione. — È una domanda che mi ponevo da un po’: come mai l’aria non si accumula tutta in fondo ai raggi, sopra l’orlo esterno? Lì l’atmosfera è meno densa, ma va bene lo stesso perché la pressione dell’aria sull’orlo esterno è più alta che sulla Terra. E con una gravità bassa, la pressione scende meno in fretta. Ad esempio l’atmosfera di Marte è molto rarefatta, però sale molto in alto. Quindi l’aria non ha il tempo di fermarsi, se la si tiene continuamente in circolazione, e la pressione rimane relativamente costante per tutta Gea.

Cirocco sospirò, annuì.

— Va bene. Hai distrutto la mia ultima obiezione alla salita. Abbiamo cibo e acqua, e a quanto pare abbiamo anche l’aria. Che ne dici? Ci rimettiamo in marcia?

— E se invece esplorassimo il resto della parete?

— Ma perché mai? Potremmo anche aver già superato quello che stiamo cercando. E non c’è modo d’accorgersene.

— Temo che tu abbia ragione. Okay, partiamo.


Scalare gli alberi era un’operazione faticosa, noiosa, che richiedeva continuamente la massima concentrazione. Al confronto, l’ascesa sul cavo sembrava una cosa da niente.

L’unica consolazione dopo dieci ore di scalata fu che si sentivano in forma. Cirocco era stanca, aveva le mani spellate e sentiva un leggero mal di schiena, ma per il resto stava bene. Dormire sarebbe stato meraviglioso. Salirono in cima a un albero per dare un’occhiata sotto prima di accamparsi.

— Riesci a misurare la distanza che abbiamo percorso? — chiese Gaby.

Cirocco si sporse in fuori per tentare una valutazione, e a momenti volò giù. Gaby dovette afferrarla per le spalle e tirarla indietro. — Ehi! — esclamò Cirocco. — Grazie. Non mi piacerebbe proprio trovarmi a penzolare nel vuoto appesa alla corda.

Riprese fiato, guardò di nuovo giù. — Cosa posso dirti? Mi sembra che abbiamo fatto un sacco di strada, ma la cima è lontana come prima. Credo che avremo questa sensazione per parecchio tempo.

— Diciamo che abbiamo fatto tre chilometri?

— Se ti va bene…

Il che significava, in assenza di problemi, cento giorni di scalata. Cirocco gemette e guardò ancora giù. Cercava di convincersi che avessero percorso cinque chilometri, ma in realtà sospettava che fossero solo due.

Tornarono indietro e trovarono due rami praticamente paralleli distanti poco più di due metri e mezzo l’uno dall’altro. Vi appesero le amache, si sedettero su un ramo e consumarono un pasto freddo composto di frutta e verdure crude, poi s’infilarono nelle amache e si abbandonarono al sonno.

Due ore dopo si mise a piovere.

Cirocco si svegliò sentendo le gocce sul viso, spostò la testa e lanciò uno sguardo all’orologio. Era più buio di quando si erano coricate. Gaby russava leggermente, il viso premuto contro il fondo dell’amaca. Avrebbe avuto un po’ di mal di gola, al momento del risveglio. Cirocco voleva avvertirla ma poi decise che se, malgrado la pioggia, riusciva a dormire, era meglio per lei.

Per prima cosa, prima ancora di spostare l’amaca, si spostò sulla cima dell’albero. Sopra di lei c’era un banco d’umidità da cui cadeva la pioggia, ma al centro del raggio pioveva molto più forte. Su di loro scendeva solo l’acqua che si raccoglieva nelle foglie e colava giù per i rami.

Quando scese, Gaby era sveglia e lo sgocciolio era sempre più forte. Spostare le amache non sarebbe servito a niente. Decisero di alzare una tenda per ripararsi alla meglio, usando la parete come punto d’appoggio. Si asciugarono come poterono e si distesero di nuovo. L’umidità era forte ma Cirocco era così stanca che si addormentò velocemente cullata dal suono dell’acqua che ticchettava sulla copertura.


Due ore dopo si svegliarono semi-congelate.

Dovettero tirare fuori coperte e maglioni e rannicchiarsi nella amache. Ci volle una buona mezz’ora prima che tornassero a scaldarsi. L’ondeggiare lento degli alberi le aiutò ad assopirsi.


Cirocco starnutì, sollevando una nube di neve. Era una neve molto leggera, molto friabile, e s’era infilata in ogni angolo della sua amaca. Quando si mise a sedere, la neve le scese nel grembo come una piccola slavina.

La tenda era tutta incrostata di ghiaccio. Il vento agitava le foglie, che scricchiolavano con rumori secchi. La mano intorpidita di Cirocco scosse le spalle di Gaby.

— Eh? Eh? — Un occhio di Gaby non si apriva per le incrostazioni di ghiaccio. — Oh, accidenti! — La tosse la piegò in due.

— Stai bene?

— Penso di sì, a parte un orecchio congelato. Cosa facciamo?

— Infiliamoci tutti i vestiti che abbiamo e aspettiamo che smetta di nevicare.

Non era facile restare lì sedute sulle amache con quel freddo. A Cirocco sfuggì di mano un guanto, che cadde giù. Si mise a imprecare, poi ricordò che avevano con loro i guanti di Gene.

Dormire era impossibile. Sotto le coperte e i vestiti faceva abbastanza caldo, ma la faccia tendeva a congelare. Ogni dieci minuti dovevano scrollarsi di dosso la neve che si accumulava sui loro corpi.

Anche parlare era difficile, perché il raggio risuonava di mille rumori. A Cirocco i minuti sembravano ore quando si copriva la testa con la coperta e ascoltava l’ululato del vento. Sotto, si udiva uno scricchiolio continuo, pauroso; erano i rami degli alberi carichi di ghiaccio che il vento spezzava e faceva precipitare.

Aspettarono cinque ore. Il vento rinforzò e il freddo si fece più intenso. Un ramo precipitò accanto alle loro amache, e Cirocco restò ad ascoltare il rumore mentre attraversava la crosta di ghiaccio che ricopriva la foresta.

— Gaby, mi senti?

— Ti sento, capitano. Cosa facciamo?

— L’idea mi ripugna, ma dovremmo muoverci. Voglio trovare rami più robusti. Non credo che questi si spezzeranno, ma se per caso succedesse, sarebbe la fine.

— Aspettavo che tu lanciassi l’idea.

Uscire dalle amache fu un incubo. Quando riemersero sul ramo, l’incubo peggiorò. Le loro corde si erano congelate. Dovettero piegarle e scrollarle, e fu terribile. La salita si svolse in condizioni di estrema difficoltà. A causa del ghiaccio, dovettero usare i martelli per piantare i chiodi nella parete, e usarono le piccozze per scrostare il ghiaccio dei rami su cui camminavano. Nonostante tutte le loro precauzioni, Cirocco scivolò due volte e Gaby una. La seconda volta, quando la corda arrestò la sua caduta, Cirocco si stirò un muscolo della schiena.

Dopo un’ora di sforzi raggiunsero un tronco enorme, abbastanza robusto e grande da potercisi sedere sopra. Ma lì non c’erano rami, e il vento era più forte che mai.

Si legarono al tronco e si misero ad aspettare.

Cirocco tossì a lungo prima di riuscire a parlare.

— Non vorrei dirlo, ma non mi sento più i piedi.

— Cosa proponi di fare?

— Non lo so. So solo che se non facciamo qualcosa moriremo congelate. O ci rimettiamo in moto o troviamo un riparo. Giù in fondo c’è sempre la scalinata.

— Per arrivare fin qui abbiamo impiegato un giorno, e non c’era il ghiaccio a complicarci la vita. Per tornare alla scalinata ci vorrebbero un paio di giorni, ammesso che la neve non abbia seppellito l’entrata. Penso che ci convenga salire, altrimenti congeliamo sul serio. Il movimento dovrebbe scaldarci un po’.

— Sono d’accordo — disse Gaby. — Però prima potremmo tentare un’altra via. Arriviamo fino alla parete. Ricordi quando parlavi degli angeli? Hai detto che forse nel raggio c’erano delle caverne. Vediamo di trovarle.

Cirocco sapeva che la cosa principale da fare era muoversi per permettere al sangue di circolare e di trasportare calore.

S’incamminarono, strisciando, sul tronco. In quindici minuti raggiunsero la parete. Gaby la studiò, poi si fece forza e cominciò a picconare il ghiaccio. Quando riapparve la solita sostanza grigia, continuò a dare colpi. Cirocco capì cosa voleva fare e le diede una mano.

Per un po’ tutto andò bene. Scavarono un buco di mezzo metro di diametro. La sostanza lattiginosa che usciva dalla parete si congelava subito, e dovettero tirar via anche quella. Gaby era un demone coperto di neve, una furia bianca che si agitava senza sosta.

Poi raggiunsero un secondo strato della parete, durissimo. Era impossibile scavarlo.

— Be’, era un’idea — disse Gaby, abbandonando le mani lungo i fianchi. Fissò, disgustata, la neve che era caduta tutt’attorno a loro per effetto delle vibrazioni. Poi inclinò la testa e guardò in alto, nel buio. Indietreggiò di un passo, afferrandosi al braccio di Cirocco per non cadere rovinosamente sul ghiaccio.

— Lì c’è un punto più scuro — disse, puntando l’indice. — Dieci… no, quindici metri sopra di noi, un po’ sulla destra. Lo vedi?

Cirocco non era sicura. Vedeva diversi punti scuri, ma nessuno le dava l’impressione di essere una caverna.

— Vado a dare un’occhiata.

— Vado io. Tu hai lavorato come una matta.

Gaby scosse la testa. — Io sono più leggera.

Cirocco non fece discussioni. Gaby cominciò a piantare chiodi nella parete, più in alto che poteva. Poi vi passava la corda e si arrampicava di nuovo più in alto che poteva per piantare un secondo chiodo. Quando si sentiva sicura toglieva il primo e lo piantava ancora più su.

Impiegò un’ora per raggiungere il punto più scuro. Sotto, Cirocco rabbrividiva, batteva i piedi, scagliava via i pezzetti di ghiaccio che Gaby faceva cadere. Poi le precipitò sulle spalle un mucchio di neve, e lei cadde sulle ginocchia.

— Scusa! — urlò Gaby. — Comunque ho trovato qualcosa. Tolgo un po’ di ghiaccio e ti faccio salire.


L’apertura era grande abbastanza da permettere a Cirocco di passare, specie dopo che Gaby ebbe piccozzato via buona parte del ghiaccio. Dentro, era una bolla cava con un diametro di un metro e mezzo circa e un’altezza leggermente inferiore. Quando furono entrate tutte e due coi rispettivi sacchi, non c’era quasi più spazio libero.

— Intimo, eh? — disse Gaby, allontanando il gomito di Cirocco dal proprio collo.

— Scusa. Scusa davvero. Gaby, il mio piede!

— Scusa tu. Ehi, ma sei enorme!

La schiena di Cirocco era praticamente appoggiata al soffitto della bolla, e le sue ginocchia tese in avanti costringevano Gaby a indietreggiare. Cirocco scoppiò in una improvvisa risata.

— Cos’hai da ridere adesso?

— Hai mai visto quelle vecchie comiche di Stanlio e Ollio? — chiese, schiamazzando. — Ce n’è una dove sono tutti e due in vestaglia e cercano di infilarsi in una cuccetta ferroviaria assieme.

Gaby la guardò sorridendo, ma ovviamente non sapeva di cosa l’altra stesse parlando.

— Una cuccetta in alto, capisci, su un treno che attraversava tutto il paese. Mi sembra che dovessero sistemare anche un paio di valigie con loro. Comunque, come ci sistemiamo qui?

Tolsero dal pavimento tutta la neve, poi ammassarono i sacchi davanti al foro, per chiuderlo. Si trovarono al buio, però almeno non sentivano più l’ululato del vento. Dopo i venti minuti di tentativi inutili, decisero di sedersi fianco a fianco. Cirocco non riusciva quasi a muoversi, ma il caldo, lì dentro, era meraviglioso.

— Credi che si possa dormire? — chiese Gaby.

— Io penso proprio di riuscirci. — Cirocco esitò un attimo, poi si chinò a baciarla. — Buonanotte, Gaby.

— Ti amo, Rocky.

— Dormi. — Lo disse sorridendo.


Quando si svegliò, Cirocco aveva la fronte e i vestiti inzuppati di sudore. Alzò la testa e scoprì che riusciva a vederci. Chiedendosi se il tempo fosse cambiato, spostò il suo sacco, e vide che l’ingresso della caverna si era chiuso.

Per un attimo pensò di svegliare Gaby, poi cambiò idea.

— Cerchiamo prima come uscire da qui — mormorò a se stessa. Non aveva senso dire a Gaby che erano state di nuovo inghiottite vive prima di aver controllato se era vero o meno. Gaby non avrebbe preso bene la notizia: il pensiero di essere confinata in uno spazio così stretto, che era già di per sé spaventoso, sarebbe stato ancora più tremendo pensando al panico che avrebbe assalito Gaby.

Con sollievo scoprì che non c’era alcun motivo d’allarmarsi. Tastando la parete con la mano, scoprì che il foro nella materia grigia si riapriva da solo. Dietro c’era uno strato di ghiaccio. Cirocco colpì il ghiaccio con un pugno e la crosta si ruppe, lasciando entrare una folata di aria gelida. Si affrettò a chiudere il foro col suo sacco.

Lo tolse dopo qualche minuto: la parete si era già richiusa, lasciando solo un foro di pochi centimetri.

Cirocco studiò attentamente il foro, riflettendo. Quando le parve di aver capito svegliò Gaby.

— Sveglia. C’è un altro contrordine.

— Eh? — Gaby aprì subito gli occhi. — Accidenti, ma questo è un forno!

— Appunto. Dovremo toglierci qualche vestito. Vuoi fare prima tu?

— Comincia pure. Cercherò di non intralciarti troppo.

— Okay. Sai perché fa così caldo? Ci hai pensato?

— Mi sono appena svegliata, Rocky. Abbi pazienza.

— D’accordo. Te lo spiegherò io. Tocca la parete. — Riuscì, con movimenti complicatissimi, a togliersi la giacca a vento, mentre Gaby faceva la stessa scoperta che lei aveva già fatto.

— È calda.

— Già. Ci ho messo un po’ a capire. All’inizio pensavo che gli alberi non fossero stati previsti dai costruttori, come gli alberi sul cavo; però non potrebbero crescere se non fosse la parete a nutrirli, mi sembra ovvio. Ho cercato di capire che tipo di macchina potrebbe nutrirli, e ho concluso che può essere solo una macchina a biochimica naturale. Un animale, o una pianta, possibilmente con una genetica creata appositamente. E mi pare alquanto difficile credere che una cosa del genere abbia potuto svilupparsi in un tempo ragionevole. Perché, capisci, è alto trecento chilometri, con un foro nel mezzo, e ricopre la vera parete.

— E gli alberi sarebbero parassiti? — Gaby la stava prendendo meglio di quanto non si aspettasse.

— Solo nel senso che traggono nutrimento da un altro animale. Però non sono veri parassiti, perché tutto è stato predisposto. I costruttori hanno creato questo animale come habitat per gli alberi, e a loro volta gli alberi forniscono un habitat ad altri animali più piccoli, e probabilmente agli angeli.

Gaby diede un’occhiata tranquilla a Cirocco.

— Un po’ come gli enormi animali che secondo noi vivono giù, sotto il suolo — disse.

— Sì, qualcosa del genere. — Gaby non mostrava il minimo accenno di panico, pensò. — L’idea non… non ti preoccupa?

— Stai pensando alle mie fobie?

Cirocco tese una mano, tolse il sacco, toccò la parete ghiacciata, che si aprì e poi ricominciò a chiudersi.

— Vedi? Si chiude, ma basta toccarla e si riapre. Non siamo intrappolate, e questo non è uno stomaco o roba…

Gaby le sfiorò la mano, le sorrise debolmente. — Grazie per queste attenzioni.

— Non voglio metterti in imbarazzo. Vorrei solo…

— Hai fatto bene. Se me ne fossi accorta io per prima, probabilmente starei ancora urlando. Però, fondamentalmente, non sono claustrofobica. Ho solo una paura terribile di essere mangiata viva. Comunque vorrei una risposta convincente da te. Se questo non è uno stomaco, cos’è?

— Non esistono paragoni con nessuna creatura che io conosca. — Ormai Cirocco si era quasi spogliata del tutto, e decise di fermarsi lì. Cominciò a svestirsi anche Gaby, mentre Cirocco cercava di farsi più piccola che poteva. — È un rifugio. Serve precisamente a ripararsi dal freddo, come stiamo facendo noi. Ci scommetto che gli angeli vivono in caverne del genere, e forse anche altri animali. Chi lo sa. Forse i loro escrementi servono da fertilizzante.

— A proposito di fertilizzanti…

— Già, anch’io ho lo stesso problema. Dovremo usare un contenitore per cibo vuoto o qualcosa del genere.

— Dio mio, puzzo come un cammello. Se il tempo non cambierà in fretta, questo posto diventerà veramente piacevole per viverci.

— Non è poi così brutto. E poi, a dire il vero, io puzzo peggio di te.

— Molto diplomatico da parte tua. — Gaby si era spogliata quasi completamente. — Mia cara, per un bel po’ dovremo vivere dannatamente vicine l’una all’altra, e non è certo il caso di fare le pudiche. Però, se pensi che lo dica perché…

— Non penso proprio niente — rispose Cirocco ma con voce un po’ troppo aspra.

— … perché pensi che io mi ecciterei, ripensaci. Praticamente non è il posto giusto questo. Spero che non penserai male se mi tolgo anche questo per permettergli di asciugarsi dal sudore. — E si tolse l’ultimo indumento senza attendere il permesso, poi cercò di scostarsi, per quanto possibile, da Cirocco.

— Forse stavo pensando qualcosa del genere — ammise Cirocco. — L’altro motivo, quello più importante, quello che mi fa arrossire, è che mi sono cominciate le mestruazioni.

— L’avevo capito. Ma per educazione non ho detto niente.

— Ma quanto sei diplomatica. — Risero entrambe, ma Cirocco sentì che stava arrossendo. Era una cosa molto fastidiosa. Era abituata a una vita di bordo fatta di routine e disagi. Sentirsi in disordine e incapace di porvi rimedio le dava molto fastidio. Gaby le suggerì di usare una delle bende del set di pronto soccorso più che altro per evitare il disagio fisico. Cirocco si sentì felice che fosse stata Gaby ad affrontare il problema. Non si sarebbe mai azzardata a usare qualcosa dalla cassetta di pronto soccorso senza avere l’approvazione di Gaby.

Restarono tranquille per un po’; Cirocco era sconfortantemente conscia della vicinanza di Gaby, anche se continuava a ripetersi che avrebbe dovuto esserci abituata. E poi, sarebbero potute rimanere in quel rifugio per chissà quanto tempo.

Gaby non sembrava essere molto preoccupata né turbata e ben presto Cirocco dimenticò tutti i pensieri precedenti. Dopo un’ora di vani tentativi, scoprì che non riusciva a prendere sonno.

— Sei sveglia?

— Russo sempre quando sono sveglia — sospirò Gaby, e si mise seduta. — Diavolo, prima di essere insaccata con te così vicino avrei dormito come un sasso. Ma tu sei così calda, e morbida…

— Conosci qualche gioco per passare il tempo?

Gaby rotolò su se stessa, la fissò negli occhi. — Se vuoi te ne insegno qualcuno molto interessante.

— Sai giocare a scacchi?

— Lo sapevo che me l’avresti chiesto. Nero o bianco?


Il ghiaccio si stava formando attorno all’apertura a una velocità straordinaria.

Dapprima si preoccuparono dell’aria; ma pochi esperimenti bastarono a dimostrare che anche con l’apertura chiusa c’era sempre ossigeno. L’unica spiegazione possibile era che la cosa che le ospitava agisse come una pianta, espellendo l’anidride carbonica tramite le pareti interne.

Sul fondo della caverna trovarono un’escrescenza a forma di capezzolo. Quando la schiacciarono ne uscì la stessa sostanza lattiginosa che avevano già vista. L’assaggiarono, ma decisero di sfruttare le loro scorte di cibo finché non si fossero esaurite.

Con ogni probabilità, doveva essere il latte di Gea di cui le aveva parlato Maestrocantore, e senza dubbio serviva a nutrire gli angeli.


Le ore si trasformarono lentamente in giorni; le partite a scacchi in tornei. Gaby li vinse quasi tutti. Inventarono nuovi giochi a base di parole e numeri, e Gaby risultò vittoriosa anche in quelli. Con tutto quello che era successo, le cose che le attiravano e quelle che inevitabilmente le respingevano, come la riservatezza di Cirocco e l’orgoglio di Gaby, attesero fino al terzo giorno prima di mettersi a fare all’amore.

Accadde durante uno di quei momenti in cui entrambe stavano fissando il soffitto luminescente, ascoltando il vento che ululava là fuori. Erano annoiate ma piene d’energia e sull’orlo di una crisi. Cirocco stava svolgendo nel suo intimo un flusso di ragionamento senza fine sul tema: "Motivi per cui non dovrei entrare in intimità con Gaby: (A)… Non saprei proprio"

Aveva senso fino a pochi giorni prima. Ma nelle condizioni attuali?

La situazione era quella, e aveva certo influito sul suo giudizio. Non era mai stata in condizioni di tale intimità con un altro essere umano. Erano state in costante contatto fisico per tre giorni. Avrebbe voluto svegliarsi tra le braccia di Gaby, fresca ed eccitata. Quel che era peggio era che Gaby non poteva leggerle nella mente. Ma entrambe potevano avvertire i cambiamenti che avvenivano nell’umore dell’altra.

E Gaby le aveva detto che non voleva nulla da lei finché non si fosse sentita di ricambiarla con altrettanto amore.

Ne aveva lei?

No. Ripensandoci bene, si rese conto che quello che Gaby voleva da lei era un entusiasmo sincero; non avrebbe accettato di fare all’amore come terapia per scacciare il panico che l’assaliva.

D’accordo. Cirocco l’entusiasmo ora ce l’aveva. Non l’aveva mai sentito più forte. Si era sempre trattenuta perché essenzialmente non era omosessuale, era bisessuale con una forte attrazione per il sesso maschile e sentiva che non poteva impegnarsi con una donna che l’amava finché non si fosse impegnata con amore nel primo atto di quella passione.

Parole, parole, parole, solo stupide parole. Ascolta il tuo corpo, ascolta il tuo cuore.

Il suo corpo non aveva più resistenze residue, il suo cuore ne aveva solo una. Si voltò e si mise a cavalcioni su Gaby. Si baciarono, e Cirocco cominciò a carezzarla.

— Non posso dirti che ti amo, onestamente, perché non so per certo cosa significhi questa dichiarazione fatta a una donna. Morirei per difenderti, e il tuo benessere mi sta a cuore più di quello di qualsiasi altra persona. Non ho mai avuto un’amica migliore di te. Se questo non ti basta, mi fermo subito.

— Non fermarti.

— Quando amai un uomo, una volta, volevo avere un figlio da lui. Quello che sento ora per te è simile a quello che sentii allora, ma non nello stesso modo. Ti desidero… oh, così tanto che non riesco nemmeno a dirlo. Ma non posso dirti con certezza che ti amo.

Gaby sorrise.

— La vita è piena di disillusioni. — Abbracciò Cirocco e l’attirò su di sé.


Il vento ululò all’esterno per cinque giorni. Il sesto giorno iniziò il disgelo, e durò fino al settimo.

Era pericoloso uscire col disgelo. Lastroni di ghiaccio precipitavano in basso in una cacofonia tremenda. Quando il fracasso cessò, riemersero in un mondo freddo, battuto dall’acqua, pieno di sussurri.

Salirono in cima all’albero più vicino, e i sussurri crebbero d’intensità. Arrivate ai rami più piccoli, una pioggia leggera prese a cadere sulle loro teste, a grandi gocce che scendevano dolcemente di foglia in foglia.

L’aria al centro del raggio era perfettamente chiara; ma tutt’attorno, fin dove giungeva il loro sguardo, le pareti erano uno scintillio continuo di arcobaleni. L’acqua si scioglieva e precipitava in basso, andando a formare un lago alla base del raggio.

— E adesso? — chiese Gaby.

— Ricominciamo a salire. Abbiamo perso un mucchio di tempo.

Gaby annuì. — Sono d’accordo, lo sai. Basta venire con te. Però, per favore, spiegami ancora una volta che senso ha questo viaggio.

Cirocco stava per rispondere che era una domanda stupida; poi capì che non lo era. Nei giorni trascorsi, aveva confessato a Gaby che non sperava più di trovare qualcuno nel mozzo. Non sapeva nemmeno lei quando avesse smesso di illudersi.

— Ho fatto una promessa a Maestrocantore — disse. — E ormai non posso avere più segreti con te.

— Che promessa?

— Ho promesso di tentare tutto il possibile per mettere fine alla guerra fra titanidi e angeli.

— Capisco. Credi di poter fare qualcosa?

— No. — Gaby non disse niente, ma continuò a fissarla negli occhi. — So solo che devo tentare. Perché mi guardi così?

— Per nessun motivo. Che altra ragione mi offrirai quando avremo incontrato gli angeli? Perché proseguiremo, è vero?

— Penso di sì. Non so perché, ma mi sembra la cosa più giusta da fare.

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