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— Voglio informazioni complete su tutta la faccenda — disse Carewe, anche se aveva già deciso. Athene non gli era mai sembrata più attraente; però, negli ultimi tempi, aveva cominciato a notare sulla sua faccia i primi segni del tempo, le avvisaglie di quello che sarebbe venuto dopo. “Ci godiamo un weekend di giornate di fuoco, e quando gli ultimi minuti del weekend scivolano fra le nostre dita non abbiamo l’onestà di piangere. Il prossimo weekend sarà altrettanto bello diciamo, fingendo che si tratterà solo di una ripetizione sempre identica, che il nostro calendario soggettivo, col suo ciclo di settimane, mesi e stagioni, sia la vera mappa del tempo. Ma il tempo è una freccia nera protesa in avanti…”

— Certo, ragazzo mio — disse Barenboim. — La prima cosa che devo farti presente è che bisogna conservare il segreto più assoluto. O forse sto dicendo cose talmente ovvie da sembrare stupide? — Scrutò Carewe con espressione di estremo rispetto, per rendere omaggio al solito buonsenso del suo contabile. — Immagino che potresti essere tu a spiegarmi quali e quanti danni subirebbe la Farma, se un’altra azienda venisse a conoscenza della cosa prima che noi si sia pronti.

— La segretezza è un fattore d’importanza vitale — convenne Carewe, con la mente ancora piena delle immagini del viso di Athene. — Questo significa che mia moglie e io dovremmo scomparire.?

— No! Anzi, il contrario. Niente attirerebbe maggiormente l’attenzione di una spia industriale che vederti scomparire da qui per poi riapparire, per esempio, nei nostri laboratori di Randal’s Creek. Manny e io pensiamo che per te e Athene la cosa migliore sia continuare a vivere normalmente, come se non fosse successo niente di strano. Tu potrai sottoporti a regolari controlli medici qui nei nostri uffici, senza che nessuno lo sappia.

— Insomma, dovrei fingere di non essermi disattivato?

Barenboim si studiò la pelle sottile della destra. — No. Dovrai fingere di esserti fatto disattivare… Che frase orribile, non ti pare? Tieni sempre presente che tu non verrai affatto disattivato. Continuerai a vivere la tua vita sessuale, però sarebbe meglio se cominciassi a usare depilatori per la faccia e a comportarti, in generale, da freddo.

— Oh. — Carewe fu sorpreso dalla forza della reazione negativa che avvertì. Aveva la fortuna incredibile di vedersi offrire l’immortalità senza nessun effetto collaterale negativo, una cosa che solo dieci minuti prima era impossibile, un sogno irrealizzabile; eppure voleva mettersi a discutere su una sciocchezza come il disfarsi della barba, segno esterno della sua virilità. — Naturalmente accetterò tutte le tue richieste, Hy, ma se la nuova droga ha gli effetti che dici non sarebbe meglio se io fingessi di non essermi disattivato?

— In altre circostanze, sì. Però immagino che quasi tutti i vostri amici conoscano il punto di vista tuo e di Athene sulla disattivazione. Vero?

— Penso di sì.

— Quindi, penseranno tutti che è strano che Athene diventi improvvisamente immortale mentre tu resti sempre quello che sei… E sai benissimo quanto sia difficile nascondere l’immortalità in una donna.

Carewe annuì. Le donne erano i veri immortali, agli occhi della natura. Un effetto collaterale della biostasi sull’organismo femminile era una regolarizzazione perfetta della produzione dello steroide estradiolo, il che conferiva alle donne un’aura di salute perfetta, quasi aggressiva, simile a quella che viene a crearsi nelle prime settimane di una gravidanza ideale. Immaginò Athene in quello stato di benessere olimpico, per sempre, e si maledì per avere esitato.

— Vedo che i tuoi pensieri corrono più in fretta dei miei, Hy. Immagino che vorrai parlare della cosa con mia moglie.

— Assolutamente no. Non ho mai avuto il piacere di conoscere tua moglie, e anche se il suo psicoprofilo indica che è capace di tenere un segreto sarebbe meglio se per ora non la incontrassi. Non deve verificarsi nemmeno la minima alterazione nella routine della vostra vita familiare. Mi segui?

— Vuoi che le spieghi tutto io?

— Esatto. Lascio a te farle capire quanto sia importante la segretezza. — Barenboim diede un’occhiata a Pleeth. — Credo che possiamo accordare la nostra fiducia al giovane Willy. Che ne dici, Manny?

— Penso di sì. — Pleeth annuì, poi si spostò. Le cornee striate di rosa dei suoi occhi brillavano alla luce del sole. Il sigaro che gli pendeva dal collo mandava riflessi dorati.

Barenboim schioccò la lingua, contento. — Tutto a posto. Una cosa che ti preghiamo di fare è trascorrere qualche giorno a Randal’s Creek dopo l’iniezione, per controlli medici. Comunque non sarà difficile trovare una scusa perché il supervisore dei costi debba recarsi in visita ai laboratori di biopoiesi. Non correremo rischi.

Carewe accennò un sorriso indifferente. — Si tratta di una scoperta importantissima, Hy. Cosa puoi dirmi…

— Niente. Tabù. Meno ne sai degli aspetti tecnici, meglio è. Abbiamo indicato il nuovo farmaco con la sigla E-ottanta, ma anche questa è un’informazione che non dovresti avere.

— Comunque — chiese Carewe, misurando le parole, — puoi dirmi se l’esperimento comporta pericoli?

— Esiste solo il rischio minimo di una delusione, dato che sino a oggi non abbiamo ancora eseguito prove su scala totale, ma credo che, anche nell’improbabile eventualità di un fallimento, tu riusciresti a sopravvivere, Willy. Non pretendiamo certo che tu lo faccia per niente.

— Non volevo…

— Nessun bisogno di scusarti. — Barenboim agitò la mano paffuta. — Hai perfettamente ragione a chiederti cosa ci guadagni. Se vedo che uno dei miei uomini non pensa ai propri soldi, mi chiedo subito che fine faranno i miei. Rendo l’idea?

La curvatura all’insù della bocca di Pleeth si fece più pronunciata. Raccogliendo il suggerimento, Carewe sorrise, a esprimere riconoscenza. — E un’idea che mi piace.

— Adesso ti dico qualcosa che ti piacerà ancora di più. Come sai, ultimamente abbiamo introdotto diverse tecniche nuove per il controllo dei costi. Fra tre anni, in base al ciclo di rotazioni ventennali, il mio capo contabile dovrà scendere di grado, ma proprio in seguito a tutte le innovazioni di procedura è pronto a retrocedere un po’ prima. Il suo posto potrebbe essere tuo in meno di un anno.

Carewe deglutì. — Ma Walton è un contabile splendido.

— Non mi piacerebbe affatto spingerlo…

— Idiozie! Walton è con me da più di ottant’anni, e ti assicuro che non vede l’ora di scendere di grado per poi darsi da fare per tornare ai massimi livelli. L’ha già fatto tre volte… È una cosa che gli piace molto.

— Davvero? — Carewe si rifiutò di prendere in considerazione l’idea che, dato il sistema di rotazione, prima o poi anche lui avrebbe dovuto rinunciare al rango di dirigente. Gli si stendevano davanti secoli d’oro, un meraviglioso tappeto sterminato in cui affondare i piedi.

La sua visita al presidente doveva essere stata notata da tutti gli altri, per cui Carewe soffocò l’impulso di smettere subito di lavorare e correre a casa a dare la notizia ad Athene. Tutto come al solito, si disse; e rimase seduto dietro la scrivania, mentre il suo cervello si abbandonava alle fantasticherie. Era già tardi quando si ricordò che aveva promesso ad Athene di essere a casa per le cinque in punto, per aiutarla a preparare una festicciola. Si guardò il polso. Il quadrante tatuato sulla pelle cambiò l’ordine delle molecole di pigmento, sistemandole in base al segnale orario standard: gli restavano meno di trenta minuti per arrivare a casa.

Quando usci dall’ufficio, Marianne Toner alzò la testa dalla scrivania col terminale del computer amministrativo. — Esci prima, Willy?

— Mezz’oretta. Stasera c’è un party a casa nostra, e devo dare una mano.

— Vieni da me, e vedrai che party — disse Marianne. Sorrideva, ma parlava sul serio. — Noi due soli. — Era bruna e alta, leggermente più grassa del necessario, con un corpo dalle curve voluttuose e occhi delusi. Doveva essere sui venticinque anni.

— Noi due soli? — ripeté Carewe. — Non credevo che tu fossi un tipo tanto convenzionale.

— Non convenzionale. Sono ingorda. Che ne dici, Willy?

— Dov’è la tua modestia virginale, donna? — Carewe si avviò verso la porta. — Uno non può più stare al sicuro nemmeno in ufficio.

Marianne scrollò le spalle. — Non temere. La settimana prossima me ne vado.

— Mi spiace. E dove ti trasferisci?

— Alla Swifts.

— Oh! — La Swifts era un’azienda di computer che impiegava solo personale femminile.

— Già. Probabilmente è meglio così, in ogni caso.

— Devo scappare, Marianne. Ci vediamo domattina. — Carewe corse all’ascensore, oppresso da un oscuro senso di colpa. La Swifts era nota soprattutto per le attività del suo Club Priapico, e il fatto che Marianne andasse a lavorare lì significava la rinuncia totale ai continui tentativi di attrarre qualche attivo. Probabilmente sarebbe stata davvero più felice; però l’immagine del corpo affamato di Marianne che si sottoponeva all’amplesso con un fallo di plastica era dolorosa.

Fuori, l’aria era più fredda del normale, per essere primavera, anche se la tempesta di neve del mattino si era finalmente scaricata sulle Montagne Rocciose. Carewe regolò il termostato della cintura e oltrepassò di corsa l’addetto alla sicurezza, pensando ancora a Marianne Toner. “L’E-ottanta deve funzionare perfettamente” si disse. “Per il bene di tutti.”

Aveva raggiunto l’estremità del parcheggio dov’era il suo missile, la sua “pallottola”, quando intravvide con la coda dell’occhio un leggero movimento sul terreno. In un primo momento, non riuscì a scoprire cosa avesse attirato la sua attenzione, poi scorse la forma di una grossa rana, completamente coperta di cenere e polvere. La gola dell’animale pulsava a ritmo continuo. Carewe la guardò un attimo, tornò alla sua pallottola e salì subito. All’ingresso del tubo per Three Springs, probabilmente si stava già formando la coda dell’ora del rientro; non aveva tempo da perdere, se voleva essere a casa presto. Accese il motore, accelerò, imboccò l’autostrada e si diresse a sud. A un paio di chilometri dalla Farma frenò di colpo, borbottò qualcosa, disgustato di se stesso, e tornò indietro. Quando arrivò, altra gente stava uscendo dall’edificio, e nel parcheggio si accendevano le luci dei fanali; ma trovò la rana nello stesso punto. Continuava a pulsare, diffidente.

— Forza, ragazzo — disse, raccogliendo l’animaletto freddo e sporco. — Chiunque perderebbe il senso dell’orientamento, dopo sei mesi di sonno. — Aspettò una pausa nel traffico, poi attraversò l’autostrada e buttò la rana nelle acque scure del bacino che lambiva la strada. Ormai il flusso di missili e automobili si era fatto intenso. Non gli fu facile tornare al suo veicolo. Chiedendosi se qualcuno dei guardiani avesse notato il suo gesto, si immise nel traffico, ma i pochi minuti che aveva perso gli furono fatali. Gliene occorsero altri dieci per raggiungere il tubo per Three Springs, e un gemito di dolore gli uscì dalle labbra quando vide la fila di pallottole ferme davanti all’imboccatura.

Quando arrivò il suo turno, il sole era quasi al tramonto. Il robosmistatore fotografò la sua targa e infilò il suo mezzo nel tubo. L’intelaiatura di supporto, trasportata da una cinghia mobile, si diresse verso l’ingresso nord, pronta per essere usata da un altro veicolo. Carewe tentò di rilassarsi mentre entrava nella valvola a sfintere. Spinto da una pressione di tonnellate d’aria, avrebbe percorso i centocinquanta chilometri che lo separavano da Three Springs in venti minuti; ma all’uscita ci sarebbe stata un’altra fila di veicoli in attesa di essere raccolti dall’intelaiatura, e lui sarebbe arrivato a casa con un’ora di ritardo.

Si chiese se chiamare Athene col telefono per spiegarle quello che era successo, poi decise di no. Doveva parlarle di troppe cose.

Athene Carewe era alta, castana di capelli, con un corpo snello, flessuoso, che poteva distendere mollemente quando era di buonumore o irrigidire come una lama d’acciaio quando era in collera. I tratti del suo viso erano regolari, a parte una lieve incurvatura della palpebra sinistra, conseguenza di una caduta infantile, che a volte la faceva sembrare arrogante e altre volte le dava un’aria da cospiratrice. Quando Carewe entrò nella bolla geodetica che aveva acquistato con un mutuo di cent’anni, lei aveva già fatto rientrare le pareti interne, in previsione del party. Indossava un abito di perline luminose che l’avvolgeva nel fuoco dei gioielli e del sole riflesso in un lago.

— Sei in ritardo — gli disse, senza preamboli. — Ciao.

— Mi spiace. Mi hanno trattenuto.

— Ho dovuto far rientrare le pareti da sola. Perché non mi hai chiamata dall’ufficio?

— Ti ho chiesto scusa. Comunque il ritardo è successo quando ero già uscito dall’ufficio.

— Sìì?

Carewe esitò. Si chiese se fosse il caso di irritarla ancora di più parlandole della rana. Il matrimonio singolo era raro in una società in cui le donne nubili erano superiori ai maschi attivi in proporzione di otto a uno. Impegnandosi a non farsi disattivare per parecchi anni, Carewe avrebbe dovuto scegliere il matrimonio multiplo, che gli avrebbe anche portato una dote enorme. Una delle leggi non scritte che regolavano i suoi rapporti con Athene era che lei non doveva restargli sottomessa o sentirsi riconoscente; quindi, se decideva di litigare era sempre perché ne aveva voglia sul serio. In quel momento, Carewe voleva evitare a tutti i costi una discussione. Mentì, dicendo che c’era stato un incidente all’imboccatura del tubo.

— Qualche morto? — chiese lei, disponendo i posacenere.

— No. Non è stato un incidente serio. Ha solo bloccato il traffico per un po’. — Carewe andò in cucina, si versò un bicchiere di latte vitaminizzato. — Quanta gente viene stasera?

— Una decina di persone.

— C’è qualcuno che conosco?

— Non fare lo scemo, Will. Li conosci tutti.

— Il che significa che ci sarà anche May col suo ultimo ragazzino?

Athene mise giù l’ultimo portacenere con un colpo secco. — Sei tu che critichi sempre gli altri perché sono troppo convenzionali e antiquati.

— Sul serio? — Carewe bevve un po’ di latte. — Allora non dovrei più farlo, perché non riesco proprio ad abituarmi allo spettacolo di ragazzi di tredici anni che praticamente si fanno May sul pavimento di casa mia.

— Vuoi fartela tu? Accetterebbe subito.

— Piantiamola. — Afferrò Athene per il braccio mentre gli passava accanto e se la strinse contro, scoprendo che sotto le perline luminose non indossava nessun vestito. — Ehi,.cosa faresti se a questa roba mancasse la corrente?

— Penso che riuscirei lo stesso a farmi scaldare. — D’improvviso lei aderì completamente al corpo del marito.

— Su questo non ci sono dubbi. — Carewe abbassò il ritmo del respiro. — Non permetterò che tu invecchi, Athene. Non sarebbe giusto.

— Allora vuoi uccidermi! — La voce di Athene era allegra, ma lui sentì che il corpo della moglie si irrigidiva.

— No. Ho ordinato alla Farma le nostre iniezioni. Mi faranno anche un buon prezzo, visto che lavoro…

Lei si liberò dall’abbraccio. — Non è cambiato niente, Will. Non mi farò l’iniezione per poi starmene a guardare te che diventi sempre più vecchio, sempre più vecchio…

— È tutto a posto, cara. L’iniezione ce la facciamo insieme. Se vuoi, me la faccio io per primo.

— Oh! — I suoi occhi castani erano velati dal dubbio. Carewe capì che lei stava scrutando nel futuro, si poneva le domande di cui conoscevano fin troppo bene le risposte. “Cosa ne è dei dolci sogni d’amore quando il marito diventa impotente? Per quanto tempo l’unione di due anime può sopravvivere all’atrofia del corpo?” — Hai deciso?

— Sì. — La faccia di lei aveva perso il colorito. Carewe sentì come un pugno allo stomaco, un senso di colpa per la mancanza di tatto con cui aveva affrontato l’argomento. — Ma non c’è niente di cui preoccuparsi. La Farma ha scoperto un nuovo tipo di biostatico, e io sarò il primo a sperimentarlo.

— Un biostatico nuovo?

— Sì. È di un tipo che non distrugge le capacità sessuali maschili… — Era del tutto impreparato allo schiaffo che lei gli mollò, centrandolo in pieno sulla bocca. — Cosa cavolo…

— Te l’avevo detto cosa sarebbe successo la prima volta che tu avessi osato fare uno scherzo del genere. — Athene lo fissò disgustata, l’occhio sinistro quasi chiuso, la palpebra che pulsava ininterrottamente. — Stai lontano da me, Willy.

Carewe sentì il sapore del sangue. Erano le labbra. — Ma cosa credi di fare?

— Cosa credevi di fare tu? Di scherzi simili me ne hai già combinati, Will. Hai cercato di convincermi a farmi l’iniezione quella volta che avevo preso l’Illusogeno, e un’altra volta hai fatto venire qui mia madre perché mi spingesse a cambiare idea… Ma questo è il tentativo più stupido in assoluto. Ficcati in testa che io non mi faccio l’iniezione finché non te la fai anche tu.

— Ma non è uno scherzo! Hanno davvero…

Lei lo interruppe con una parolaccia che lo ferì quanto un altro schiaffo, e si allontanò. Nello stomaco di Carewe si accesero i sintomi premonitori di una furia cieca, contraendogli spasmodicamente i muscoli. — Athene, sarebbero queste le meraviglie del matrimonio singolo?

— Sì! — La voce di lei era selvaggia. — Che tu ci creda o meno, Will, sono queste. Non basta che tu te ne vada in giro con la tua barba e il tuo coso ben chiuso nel sospensorio a dire: spiacente, ragazze, sarei lieto di accontentarvi tutte, ma noblesse oblige, sono costretto a mantenermi puro per mia moglie! A te piace molto recitare, però…

— Avanti — la stuzzicò lui. — Non fermarti. Continua pure.

— Il nostro tipo di matrimonio dovrebbe essere basato sulla fiducia assoluta, ma tu non sai cosa significhi. Hai rimandato la disattivazione fino a trovarti in zona di rischio di trombosi perché sei convinto che io non potrei vivere senza fare l’amore tre o quattro volte la settimana. Anzi, praticamente hai messo in gioco la vita per questo.

Carewe boccheggiò. — Questa è la cosa più distorta, più viscerale che…

— Ho ragione o no?

Lui chiuse la bocca di colpo. Le accuse di Athene erano un misto di irritazione, paura, e dei concetti antiquati sui rapporti umani che erano tipici di lei; però tutto quello che aveva detto, comprese le frasi su di lui, era assolutamente vero. E in quell’istante, siccome l’amava, la odiò. Ingurgitò d’un fiato il resto del latte, sperando vagamente che il calcio che conteneva lo aiutasse a rilassare i nervi. E non fu sorpreso nel constatare che la rabbia, dentro, continuava a crescere. Solo Athene era capace di trasformare quello che doveva essere uno dei momenti più felici della loro esistenza in un’altra serata orribile, in un altro dei momenti di furia che si succedevano con tanta regolarità.

Era come se le interazioni delle loro emozioni creassero un campo instabile che di tanto in tanto doveva invertire polarità, per non distruggerli entrambi.

— Senti — le disse, disperato, — dobbiamo parlarne.

— Se ti va parla pure, ma io non sono obbligata ad ascoltarti. — Athene sorrise dolcemente. — Renditi utile, tesoro. Prepara un po’ di quei bicchieri autorefrigeranti che ho comperato la settimana scorsa.

— Prima o poi dovevano arrivarci. Pensa a quante ricerche sono state fatte in questi duecento anni.

Athene annuì. — Comunque ne. valeva la pena. Pensa un po’, non bisognerà mai più prendere in mano un cubetto di ghiaccio.

— Stavo parlando del nuovo ritrovato della Farma — insistette lui, depresso, perché sapeva che quando Athene decideva di fare la finta tonta, di non capire, era intrattabile al massimo. — Esiste davvero, Athene.

— E porta gli antipasti.

— Sei la più stupida baldracca del mondo.

— E tu sei la seconda. — Athene lo spinse verso la cucina. — I bicchieri, per piacere, Will.

— Vuoi i bicchieri? — Carewe si mise a tremare, arrendendosi a un impulso infantile. Arrivò in cucina, tolse uno dei bicchieri gelidi dal contenitore ermetico e tornò indietro. Athene stava controllando la casa, pensosa. Lui afferrò l’orlo del vestito di perline luminose, v’infilò dentro il bicchiere e glielo spinse fino a metà schiena. Athene fece un salto, il bicchiere rotolò per terra, e in quel preciso istante giunse il primo ospite della serata.

— Sembra divertente — disse Hermione Snedden dalla soglia. — Posso giocare anch’io?

— È solo per coppie sposate — sussurrò Athene, fulminando Carewe con gli occhi. — Entra, bevi qualcosa.

— Io non mi faccio mai pregare. — Non esistevano immortali realmente grassi, dato che il numero delle cellule presenti nel corpo restava sempre invariato, ma Hermione era maestosa di natura. Attraversò la stanza seguita dallo strascico di seta cremisi, tenendo le braccia quasi all’altezza delle spalle, e arrivò al bar. Mentre studiava le file di bottiglie, tolse un oggetto dalla borsetta e lo appoggiò sul banco.

— Sì, bevi qualcosa, Hermione — disse Carewe. Andò dietro al banco del bar, e quasi gli sfuggì un gemito di disappunto quando vide che l’oggetto che lei aveva tirato fuori era un proiettore tridimensionale. Significava che avrebbero giocato a Citazioni.

— Sono vestita di rosso — disse la donna, con aria maliziosa, — quindi dammi un drink rosso. Quello che vuoi tu.

— Bene. — Carewe, impassibile, scelse una bottiglia anonima ma d’aspetto pericoloso, souvenir d’una vacanza dimenticata, e le versò una dose generosa.

— Cosa sta succedendo fra voi due, Will? — Hermione si protese sul banco.

— Chi ha detto che è successo qualcosa?

— Si vede. La, tua bella faccina stasera è un po’ rigida. Hai un’aria all’Ozitnandia.

Lui sospirò. La tortura era già cominciata. Gli amici di Athene tendevano a interessarsi di libri, ed era per quello che si divertivano a giocare a Citazioni. Carewe sospettava che facessero anche l’impossibile per infarcire la conversazione di allusioni letterarie quando parlavano con lui, che non era mai riuscito a finire un libro e non aveva idea di cosa significasse Ozimandia.

— Me la do apposta, l’aria all’Ozimandia — disse. — È un piccolo esperimento che sto facendo. Scusami un attimo. — Raggiunse Athene. — Vieni un secondo in cucina. Dobbiamo chiarire questa faccenda prima che arrivino gli altri.

— Will — gli assicurò lei, — non abbiamo tempo a sufficienza né stasera né nessun’altra sera. Adesso togliti dai piedi. — Si allontanò in fretta, prima che Carewe potesse ribattere. Lui andò in cucina, solo. Un risentimento lento, glaciale, gli avviluppava l’anima. Sentiva il flusso del sangue che gli circolava in corpo. Athene doveva essere punita per l’indifferenza totale con cui trasformava il loro rapporto in un’arma che lo feriva ogni volta che le andava a genio. Bisogna ferire anche lei per quel motivo, ma come? Cominciava a nascergli in testa un’idea, quando sentì arrivare altri ospiti. Si sforzò di calmarsi e andò a salutarli, sorridendo con labbra che pulsavano ancora per lo schiaffo di Athene.

Erano arrivate sei persone. Fra le altre, May Rattray e un ragazzino biondo, sui quattordici anni, che gli venne presentato col nome di Vert. Le donne si allontanarono chiacchierando, mettendo in sintonia reciproca luci, colori e profumi. Carewe si trovò solo con Vert. Il ragazzo lo osservò con evidente Mancanza d’interesse.

— È un nome insolito, il tuo — disse Carewe. — In francese significa verde, no? I tuoi genitori sono…

— È Trev alla rovescia — lo interruppe il ragazzo. La sua faccia coperta di peluria era diventata aggressiva. — Mi hanno chiamato Trev, ma che diritto ha una madre di dare il nome al figlio? Bisognerebbe che ognuno potesse scegliersi il nome da sé.

— Sono d’accordo. Però, anziché trovarti un nome nuovo tu hai preso quello che ti ha dato tua madre e lo hai capovolto… — Carewe s’interruppe, accorgendosi che stava entrando in acque psicologiche profonde. — Ti va di bere, Vert?

— A me il liquore non serve — rispose Vert. — Ma tu fai pure, serviti.

— Grazie — disse Carewe, contento. Si spostò dietro il banco del bar e, con la scusa di ripulirlo, non si mosse più. Si mise a bere lunghe sorsate da un bicchiere autorefrigerante pieno di scotch. La prospettiva di una serata di Citazioni, interrotta solo da qualche chiacchiera, con Vert, era troppo dura per sopportarla senza alcol. Quando le donne tornarono, lui era già a metà del secondo bicchiere di liquore e cominciava a sentirsi all’altezza della situazione. Anche all’altezza di Athene, se era solo per quello: aveva deciso come fargliela pagare, e cara. Arrivarono altri quattro ospiti. Lui si diede da fare a preparare da bere. Due del gruppo erano maschi freddi non molto più vecchi di lui, Bart Barton e Vic Navarro. Carewe li corteggiò assiduamente, nel tentativo di creare un gruppo anti-Citazioni. Era appena riuscito a far partire una discussione ragionevolmente interessante sulla carrozzeria delle nuove auto, quando Athene si portò al centro della casa.

— Vedo che tutti abbiamo i proiettori — disse, con un assurdo tono da maestra di cerimonie, — quindi cominciamo col gioco. C’è un premio segreto per la miglior frase della serata, ma ricordate che vogliamo Citazioni assolutamente informali, inventate sul momento. Chiunque sarà sorpreso a citare fonti già note dovrà pagare pegno. — Ci fu una risatina soffocata. Gli ospiti si misero a regolare i proiettori, e il soffitto fu invaso da raggi di luce multicolori. Lettere e parole scintillanti, apparentemente solide, apparvero in aria. Carewe brontolò e andò a sedersi dietro il banco. Athene puntò il suo proiettore.

— Comincio io — annunciò, — per creare un po’ d’atmosfera. — Accese il piccolo strumento. Parole di un verde scintillante si materializzarono in aria, pochi metri al di sopra di lei. “Che senso ha parlare in francese se tutti sanno quello che stai dicendo?” Carewe fissò, sospettoso, gli ospiti, che ridevano quasi tutti; poi tornò a studiare la frase. Il suo significato continuava a sfuggirgli. Athene gli aveva spiegato più di una volta che il gioco delle Citazioni era l’arte di togliere una frase o un’asserzione dal contesto di una conversazione o uno scritto, presentandola come un’entità letteraria a sé stante, il che creava nella mente del lettore un controcontesto fantastico. Lo aveva definito olografia verbale, e lui era rimasto più perplesso che mai. Da quando, un anno prima, il gioco era diventato di moda, Carewe aveva fatto del suo meglio per sfuggirlo.

— Ottimo, Athene — disse una voce di donna dal buio, — ma cosa te ne pare di questa? — Altre parole apparvero in aria, sospese appena sotto il soffitto: “Io so solo quello che leggo nelle enciclopedie”.

Altre due frasi si accesero quasi contemporaneamente, una rossa, l’altra giallo topazio: “Che brutta storia quella di Romeo e Giulietta, che tragedia!”, e “Questa stanza la teniamo murata apposta per te”.

Carewe, stoico, le fissò da dietro l’orlo del bicchiere, poi decise di contrattaccare. Afferrò due bottiglie piene di liquore, si mise a girare tra gli ospiti, riempì i bicchieri, spinse tutti a bere. Nel giro di pochi minuti, la quantità di alcol che aveva ingurgitato, unita alla stanchezza, alla fame, alle parole proiettate in aria, lo scaraventò in un mondo dalle dimensioni spaziali incoerenti. “Raggio è l’unica parola che significa raggio”, lo informò una frase luminosa mentre sedeva a terra, fra un gruppo di persone vagamente intravviste. “Detto fra noi” gli chiese un’altra frase, “ti sembra che io abbia qualcosa della lontra?” Bevve un’altra sorsata di scotch, tentò di intromettersi in una conversazione sottovoce che si stava svolgendo accanto a lui.

— …Quasi tutte le mie mogli vogliono che io smetta di lavorare e resti a casa, sfruttando le loro doti. Dicono che sapere che lavoro tutto il giorno le stanca.

— E un po’ come una “ couvade” alla rovescia, con le donne che immaginano di sentire i dolori del parto.

— Già, però un giorno o l’altro mi presenteranno un bel conto per malattie psicosomatiche.

Carewe si escluse di nuovo dalla conversazione e si girò a guardare cosa stesse facendo Athene. “Non è roba da inferno?” chiedeva una scritta blu elettrico. “È Natale, e noi qui a seguire una stella.” Vide Athene seduta sola, stagliata controluce sullo sfondo della cucina. Rideva allegramente di una Citazione, apparentemente indifferente alla scenata di poco prima. “D’accordo” pensò lui, “se le cose devono andare così…” Una scritta gli apparve davanti, confondendogli il cervello. “Per Natale, nessuno dovrebbe uscire a trovare gli altri. Dovrebbero essere gli altri a venirti a trovare.” Chiuse gli occhi, li riaprì a una risata più rumorosa del solito. “Pensa un po’ quanto sarebbe stata più veloce la conquista del West se le ruote dei carri avessero girato nel senso giusto.”

— Un attimo — disse Carewe, irritato, a qualcuno che gli stava vicino. — Cosa significa?

— È una frase che si riferisce ai film che vediamo al Teatro Storico… Oh, tu non vieni a vederli, eh? — disse Vic Navarro.

— No.

— Be’, nei vecchi film la tecnica di ripresa provocava spesso un effetto stroboscopico, per cui sembra che le ruote girino in senso contrario al moto.

— Ed è questo che fa ridere tutti?

— Will, vecchio mio! — Navarro gli diede una pacca sulle spalle. — Bevi un altro goccio.

Carewe obbedì; e dietro l’universo privato, amico, del bicchiere, le scritte colorate tremarono e danzarono e corsero, sino a formare un tutto unico nella sua coscienza… “Tienimi informata su Dio” … “Niente è più lucido di uno stivale lucido” … “Stai cercando di fare di me una non-entità?” “È con questa mosca che ho schiacciato il ragno” … “Non mi dispiace essere cortese, se mi fa risparmiare soldi” …

— Per quanto mi riguarda — stava dicendo qualcuno, — l’immortalità è arrivata troppo tardi. Non abbiamo più pionieri del calibro dei Wright che possano vivere oltre i limiti naturali dell’esistenza e godersi i risultati di quello che hanno iniziato…

“Al momento mi ha preso la mania degli sciroppi antimaniacali” … “Probabilmente è morto per autodifesa” … “La morte è il modo della natura per dirci di rallentare il passo”

— Un attimo! — Carewe sbuffò di colpo nel bicchiere, quasi soffocò. — Quest’ultima frase è buffa. Non va squalificata o roba del genere?

— Caro vecchio sussurrò Vic Navarro.

— Se si possono comporre frasi buffe, gioco anch’io — disse impulsivamente Carewe, e si mise a cercare un proiettore. May Rattray e Vert, perso ogni interesse per il gioco, si erano avvinghiati dietro alle sue spalle. Carewe prese il proiettore di May, studiò un attimo la tastiera e cominciò a comporre una Citazione. Le sue parole fluttuarono sotto la volta fumosa della casa a bolla: “La morte elimina all’istante l’alito pesante”.

— È troppo simile alla precedente — disse Hermione Snedden, una macchia rosso fuoco alla sua sinistra. — E poi, l’hai pensata così, senza riflettere.

— Non è vero! — Carewe era trionfante. — L’ho sentita in uno spettacolo della tridì.

— Allora non vale.

— Non sprecare fiato, Hermione — disse Athene. — Will si diverte a giocare solo se infrange le regole.

— Grazie, mia cara — rispose Carewe, con un inchino esagerato in direzione della moglie. “Tu e io giochiamo a un altro gioco” pensò furibondo, “e infrangerò le regole anche di quello.”

Il mattino dopo, mentre lo spettro sconfitto del doposbornia gli faceva tremare i nervi, si vergognò per come si era esibito al party di Athene, ma il desiderio di ferirla non era diminuito.

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