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Il commissariato di polizia era immerso nel buio assoluto.

Carewe, che del mestiere di poliziotto sapeva solo quel poco che aveva visto nei programmi della tridì, restò sbalordito. Certo, la delinquenza non era un fenomeno molto diffuso nella società bastarda, ricca e tranquilla; però non avrebbe mai pensato che anche i poliziotti facessero il normale orario d’ ufficio. Aveva i piedi indolenziti per la camminata di un’ ora, e il petto gli bruciava. Aveva il sospetto che qualche sfera fosse riuscita a infilarsi nei polmoni, ma fece del suo meglio per allontanare lo spettro di altre operazioni chirurgiche. Avrebbe avuto tutto il tempo di preoccuparsi in seguito.

Salì i gradini, raggiunse la soglia buia, bussò alla porta. Il rumore dei suoi pugni sulla plastica armata era debole, scoraggiante. Stava per andarsene, disgustato, quando notò in un angolo un comunicatore. Sotto era stampato un numero locale, con la scritta: “In caso di emergenza, chiamate questo numero”. Tutt’altro che soddisfatto, compose il numero e aspettò che lo schermo entrasse in funzione. Per qualche secondo ci fu solo una sinfonia di colori, poi apparve l’immagine di un uomo in uniforme, dagli occhi gonfi.

— Cosa c’è? — chiese il poliziotto, insonnolito.

Carewe esitò. Non sapeva bene da dove cominciare. — Mia moglie è stata rapita, e uno dei responsabili è morto.

— Davvero? — Il poliziotto sembrava indifferente. — Sarà meglio che vi avverta che l’apparecchio che state usando registra automaticamente l’impronta della retina di chi chiama, ed è nostra abitudine non passare sopra agli scherzi.

— Ho l’aria di scherzare?

Il poliziotto lo fissò senza nessuna simpatia. — Dove e quando dovrebbero essere successe tutte queste cose?

— Sentite — ribatté Carewe, furibondo, — io vi sto segnalando un fatto serio, e non ho intenzione di restare tutta notte davanti a questa schifosa porta.

— Non possiamo fare molto per voi, amico, se non ci date qualche particolare.

— Va bene. Il rapimento si è verificato tre giorni fa a nord di qui, a Three Springs. L’uomo è morto stanotte a Idaho Falis, alla Cuscinetti Antiattrito.

Il poliziotto spalancò di colpo gli occhi. — Eravate alla Cuscinetti Antiattrito, stasera?

— Sì, ma…

— Come vi chiamate?

— Will Carewe. Cosa c’è di tanto speciale nel…

— Restate dove siete finché non vi raggiungerà un poliziotto, signor Carewe. Ricordatevi che abbiamo l’impronta della vostra retina. — La comunicazione s’interruppe, lasciando Carewe sbalordito. Si sedette sull’ultimo gradino e restò a fissare la via deserta, sconosciuta. L’orologio tatuato sul polso lo informò che, per quanto gli sembrasse incredibile, erano appena le due e qualche minuto.

Stava cercando una sigaretta, quando gli giunse alle orecchie il ronzio di un elicottero. Presumendo che si trattasse dei poliziotti in arrivo, si alzò in piedi, ma il velivolo era troppo grande per essere adibito al trasporto di personale. Volava sulla città a bassa quota, smuovendo l’aria della notte e facendo tremare il suolo. Luci blu si accendevano a intermittenza lungo la fusoliera. Carewe ebbe una premonizione improvvisa. Guardò verso sud, verso il punto da cui era giunto lì, e vide all’orizzonte un grande bagliore rossastro. L’elicottero era un’ autopompa automatica, e lui era purtroppo sicuro di sapere dove si stava dirigendo. L’inferno scatenato da Gwynne doveva aver superato il contenitore di sfere, aver dato fuoco all’intera fabbrica. Oppure esisteva un’ altra possibilità: l’investigatore aveva predisposto un congegno a orologeria per scatenare un incendio, con l’intenzione di distruggere ogni prova del suo delitto.

Stava ancora fissando il bagliore sanguigno a sud, quando un’auto della polizia si fermò accanto a lui. Ne scese un attivo alto, snello, sui quarantacinque anni. Aveva la faccia lunga e stretta, con grandi occhi scuri che fissavano Carewe al di sopra di un naso assurdamente rosso.

— Prefetto McKelvey — grugni l’uomo, salendo di corsa i gradini per aprire la porta. — Siete voi Carewe?

— Sì. È cominciato tutto con la scomparsa di…

— Alt. Non dite niente. — McKelvey entrò, accese le luci, si accomodò dietro la scrivania di un ufficio al primo piano e indicò a Carewe la poltrona che aveva davanti. — Sono tenuto a informarvi che questa conversazione verrà registrata.

— Benissimo. — Carewe cercò inutilmente con gli occhi un microfono o una telecamera. — Ci sono un sacco di cose che voglio farvi registrare.

La faccia di McKelvey diventò ancora più lunga. — Allora cominciamo. Ammettete di esservi trovato alla Cuscinetti Antiattrito, stanotte?

— Sì, ma…

— A che ora siete entrato e a che ora siete uscito?

— Sono uscito un’ora fa circa, diciamo all’una e quindici, e sono rimasto dentro una ventina di minuti. Ma non è questo il punto. Io sono qui per denunciare il rapimento di mia moglie.

— E io ho tra le mani un caso di sospetto incendio doloso — ribatté McKelvey.

— Un vero peccato — disse Carewe, deciso, — perché io non discuterò con voi di sciocchezze come quell’incendio finché non farete qualcosa per mia moglie.

McKelvey sospirò e si studiò le unghie una a una. — Non fate altro che parlare di vostra moglie. Questo significa…

— Il mio è un matrimonio singolo. — Carewe si accorse che il prefetto scrutava il suo rilento glabro, ma ormai non gli importava più niente che gli altri lo considerassero freddo o attivo. — E non è che se ne sia andata perché sono immortale. L’ha rapita qualcuno.

— Avete idea del movente?

— Sì. — Carewe respirò a pieni polmoni e pensò: “Spero che questo costi un miliardo a Barenboim”. — La ditta per cui lavoro ha scoperto un nuovo tipo di biostatico che non danneggia l’attività sessuale maschile.

— Cosa?

— La ditta è la Farma, il biostatico si chiama E-ottanta, e io sono stato il primo a sperimentarlo. — Carewe decise di censurare i particolari più dolorosi della sua rottura con Athene, le delusioni che aveva sofferto. — In seguito, mia moglie è rimasta incinta, il che la rende alquanto interessante agli occhi di certi gruppi.

— Un attimo, un attimo. — McKelvey cominciava ad agitarsi. — Vi rendete conto di cosa state dicendo?

— Penso di sì.

McKelvey aprì un cassetto della scrivania, guardò per un attimo qualcosa che c’era dentro. — Dicevate la verità — commentò, con aria assente. Nei suoi occhi si leggeva una specie di sorpresa avida. — Avanti, signor Carewe.

Carewe gli raccontò tutto: i tentativi di omicidio di Africa, il messaggio di conferma di Storch, la scelta di Gwynne da parte di Barenboim, gli avvenimenti di quella sera che avevano portato alla morte dell’investigatore. Il prefetto continuò a guardare l’apparecchio nascosto nel cassetto e ad annuire.

— Una storia affascinante — disse, quando Carewe era ormai senza fiato. — Il poligrafo ha registrato qualche punta qui e là, ma immagino che siate alquanto sconvolto, per cui è mia opinione che abbiate raccontato solo la verità.

— Grazie. Adesso cosa farete?

— L’unico guaio è che la vostra storia non regge. Perché mai questo Barenboim dovrebbe volervi uccidere o aver rapito vostra moglie?

— E io come faccio a saperlo? — Carewe era indignato. — Non potete agire sulla base dei fatti? È ovvio che Barenboim ha tentato di farmi uccidere.

— Oh, non è tanto ovvio. Barenboim potrebbe aver assunto Gwynne in buonafede.

— Ma…

— In questa faccenda ci sono di mezzo un sacco di soldi. Un sacco di potere. Gwynne potrebbe essersi lasciato comperare oda qualcun altro. — Mc Kelvey si lisciò i peli della barba, producendo un rumore fortissimo.

— Gesù Cristo — disse Carewe, amareggiato. — Adesso capisco perché Barenboim mi ha consigliato di non rivolgermi alla polizia.

McKelvey scrollò le spalle. — Prima dobbiamo trovare i resti di Gwynne.

Così saremo sicuri che esiste un cadavere, e se rimane qualcosa del laser avremo anche una prova dei suoi intenti omicidi.

— Quanto ci vorrà?

— Da quello che mi dicono sull’entità dell’incendio, un giorno o due.

— Un giorno o due! E mia moglie?

McKelvey si protese verso il terminale del computer. — Cercate di vedere la faccenda dal mio punto di vista. L’unica prova che potete fornirmi che sia stata rapita è una frase di sua nonna, secondo la quale avrebbe ricevuto una falsa telefonata a nome vostro. Metterò un rintracciatore alle calcagna di vostra moglie. Se non otterremo risultati entro, diciamo, domani sera, avremo una base concreta su cui agire.

— Non posso aspettare tanto. Domani sera potrei essere morto — disse Carewe, calmo. — Oppure non credete che qualcuno stia tentando di uccidermi?

McKelvey provò, inutilmente, a recitare la parte dell’uomo paziente. — Signor Carewe, personalmente accetto l’idea che qualcuno voglia uccidervi, ma come prefetto di polizia posso agire solo in base a prove concrete. Volete lasciarmi la possibilità di trovarne qualcuna, per favore? — Accese il terminale e chiese i dossier di Gwynne, di Barenboim e della Farma. Dopo di che, si avvicinò a un distributore di bevande e tornò con due tazze fumanti di caffetè.

— Grazie — disse Carewe; malo modo, e si mise a sorseggiare.

McKelvey sorrise con aria complice. — Intanto che aspettiamo… Questo biostatico funziona sul serio? Voglio dire…

— Lo so cosa volete dire. Funziona ancora perfettamente, ma non ho la minima intenzione di fornirvene la prova.

— Non è necessario. — McKelvey rise, nervoso. — Sapete, l’anno scorso a momenti mi facevo disattivare. Pensate un po’… — Il terminale del computer squillò, buttando fuori una scheda. McKelvey la inserì in un visore. — Questo è il nostro dossier sulla Farma. — Lo studiò per un attimo, regolando i comandi, e la sua faccia si piegò poco per volta in una smorfia.

— Qualcosa che non va? — chiese Carewe.

— Non lo so. Voi non mi avete detto che l’azienda per cui lavorate è a corto di fondi.

— Impossibile. Sono un contabile. Sarei il primo a saperlo.

— È tutto scritto qui — ribatté McKelvey, ostinato. — Secondo le nostre informazioni, i profitti della Farma sono in continua diminuzione da tre anni, quest’anno le proiezioni statistiche prevedono un deficit di più di otto milioni di neodollari.

— Avete interpretato male le cifre — gli assicurò Carewe. — Passatemi il visore.

Il prefetto era perplesso. — Si tratta di informazioni confidenziali, riservate alla polizia… Però venendo qui voi mi avete fatto un favore personale. — Fissò un attimo Carewe poi gli passò l’apparecchio. Carewe lo avvicinò agli occhi. Quando capi che l’altro non aveva commesso errori, si sentì invadere da una sensazione d’irrealtà.

Il livello molecolare della scheda che stava leggendo gli offriva un’analisi concisa della situazione finanziaria della Parma, reparto per reparto. Il reparto di Carewe, cioè quello della biopoiesi, e un altro, sembravano in grado di cavarsela anche quell’anno, per quanto a stento, ma gli altri reparti stavano precipitando verso la catastrofe. Carewe stava scorrendo le colonne dei debiti, cercando di farsi un quadro generale della situazione, quando una voce attirò la sua attenzione. “ Investimento di capitali, spese generali e deprezzamento degli impianti per il laboratorio di Drumheller: N$ 1.650.000.” Controllando, trovò alla stessa voce un investimento di capitali inferiore per l’anno precedente, ma non c’era assolutamente niente se si risaliva indietro di un altro anno. Nella colonna dei crediti non si trovava menzione del laboratorio di Drumheller. Carewe mosse i comandi, per penetrare più a fondo nei segreti nascosti fra le molecole della scheda, ma McKelvey gli strappò di mano il visore.

— Basta così. Cosa stavate cercando?

— Niente. E che queste cifre mi affascinano. — Decise di tenere per sé l’informazione che Barenboim aveva investito più di due milioni di neodollari in un laboratorio che, apparentemente, non aveva guadagnato nemmeno un centesimo a giustificazione della propria esistenza. Era una cosa già abbastanza significativa, date le circostanze, ma il punto più importante era che l’esistenza di quel laboratorio era stata tenuta segreta anche ai dipendenti della Farma più informati. Carewe provò la certezza esultante di sapere dove erano state condotte le ricerche e gli esperimenti sull’E.80.

E questo significava che sapeva anche dove trovare Athene.

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