PARTE TERZA La visione

1

L’ovale si incrinò.

Il Mago, avvertito da un commento musicale del Pianto volante, fissò sorpreso il puntino luminoso sull’analizzatore. Poi una lenta, silenziosa pioggia di immagini si riversò incessantemente dall’ovale in una nebbia viola, nella sua mente.

Erano configurazioni cristalline delicate e multiformi come fiocchi di neve. Di tanto in tanto il Mago riconobbe colori: cristallo rosso dentro un bozzolo di luce gialla, nero dentro verde, bianco dentro arancione. Si librarono come coriandoli nell’aria immota, quasi a caso, senza direzione precisa. Ma ognuna era un messaggio, e il Mago, non più cosciente delle azioni del suo stesso corpo, ne sentì la forza. Ogni messaggio era preciso e assoluto. Questo era la visione. Questo era vita. Questo era indispensabile come le ossa e l’aria. Se avesse potuto reagire a quei messaggi, forse avrebbe mutato la struttura delle cellule del proprio corpo, o la forma dei polmoni, perché il tono d’urgenza era assoluto. Ma che cos’erano? si chiese affascinato. Messaggi biologici o chimici? Un linguaggio alieno?

A quale creatura, sotto una stella remota e morente, erano realmente destinati quei messaggi?

Il Mago cominciò a vedere attraverso l’esile nebbiolina. La foschia si assottigliò; i cristalli divennero indistinti, un minuscolo, vivido sciame, poi svanirono. Il Mago inspirò, sentendosi perduto, come se, privato della visione, fosse giunto alla fine del tempo. Poi vide di nuovo il puntino luminoso sull’analizzatore, e ricordò che lui era Roger Restak, che fuggiva nello spazio, inseguito da un puntino luminoso, dopo essersi lasciato alle spalle Averno tramutato in un nido di Furie.

Fu costretto ad ammettere che, all’interno del suo schema temporale, quella situazione era incalzante quasi quanto la visione aliena.

Poi udì l’assoluto silenzio dentro il Pianto volante.

Ruotò la poltrona. Quasar, con le unghie parzialmente smaltate di verde, reggeva una sigaretta ancora intatta a un palmo dalle labbra. Gli occhi le brillavano sotto lo sguardo del Mago, ma a parte questo avrebbe potuto essere una statua. Il Professore era seduto contro il portello di prua, e respirava in fretta, troppo stupito per parlare. Nebraska, circondato dagli strumenti, era ancora abbrancato a due custodie di canne tenendole dritte per proteggerle dalle vibrazioni del decollo. Il suo viso era privo d’espressione; persino i baffi sembravano irrigiditi.

Alla vista della ragazza sul sediolo del navigatore il Mago sussultò; si rese conto che sul suo viso c’era un’espressione umana, al posto della solita vernice d’oro. — Magico Capo — disse lei, e anche la voce gli sembrò poco familiare. — Cos’hai combinato?

— Una cosa abbastanza semplice — rispose con calma, anche se cominciava a essere turbato per la fortuna sfacciata che continuava a favorirlo. — Ho ordinato secondo uno schema di scale tutte le frequenze musicali del computer di Averno, quelle usate per i cercapersone e le chiamate intercom, e poi le ho messe in codice. Ho suonato Bach con i numeri. Per 48 ore le parole d’ordine d’atterraggio saranno diverse. Se vorranno uscire, dovranno suonare Bach sulle loro spaziomobili.

Ancora nessuno si mosse. Il Professore mormorò: — Sant’Iddio! — D’un tratto il suo viso scuro luccicò di sudore. Nebraska emise un suono smorzato, come se tutta l’aria gli fosse uscita dai polmoni. Il Mago tornò a girarsi verso il pannello, preoccupato dal puntino luminoso.

— Allacciate le cinture. Stiamo per accelerare.

— Dove? — Per qualche motivo sembrava che tutti parlassero sottovoce.

— Come?

— Dove siamo diretti? — chiarì sottovoce il Professore.

— Ah. Non lo so. Signora dei Cuori, qual è la colonia più vicina sugli asteroidi? — Meditò sul puntino luminoso. — Deve trattarsi di una spaziomobile in arrivo, ma non ho udito… Signora dei Cuori, hanno modificato di nuovo la ricevente?

— Sì — rispose lei con un filo di voce.

— Be’, rimettila a posto, d’accordo? Voglio sapere se qualcuno ci segue.

— Magico Capo.

— Hai trovato…

— La colonia più vicina è Finisterre, Magico Capo! — Le mani le ricaddero inerti sui pulsanti di comando. Il Pianto volante emise un lamento stonato. Il Mago spostò lo sguardo dallo schermo e la fissò pieno di stupore. Rivide gli occhi di Terra, il viso di Terra. Toccò Michelle, per rassicurarla.

— Non è pazza. E io nemmeno. Hai calcolato la rotta?

Lei mosse le mani; continuò a guardarlo, Regina di Cuori senza parole. — Non…

— Non è pazza. Ma ci attende una corsa disperata. Pronti? — Azionò i reattori d’inseguimento della spaziomobile e tese l’orecchio ai messaggi musicali. La spinta potente lo schiacciò contro lo schienale. Udì il caos alle sue spalle e imprecò, ricordando solo allora gli astucci degli strumenti. Si girò e vide Nebraska a gambe levate in mezzo alle custodie.

— Tutto a posto?

Nebraska scostò alcuni scatoloni sforzandosi di mettersi a sedere. — Mi sanguina il naso.

— Ti avevo detto di allacciarti la cintura. Perché eri in piedi?

— Perché — gridò Nebraska senza smettere di toccarsi il naso — volevo venire a strapparti la testa! Che cosa vuoi combinare? Siamo musicisti! Un complesso in tournée! Ci hai messo l’intero Averno alle calcagna, e non facevamo nient’altro che caricare attrezzature! — Si tolse la camicia e la usò per tamponarsi il naso. — Me ne vado.

— Oh, andiamo, Nebraska, cerca di calmarti. Averno non ci insegue. Ti ho detto che l’ho chiuso per 48 ore.

— Hai chiuso Averno — disse cupamente Nebraska, seduto sulle ginocchia. — Ci bastava fare solo quel concerto a Helios. Tutti gli studi televisivi del mondo avrebbero supplicato per avere i Nova. Eravamo così vicini alla fama da poterne sentire l’alito sul collo. E ci sorrideva. Ci bastava ancora un concerto. Solo uno. Tutti questi anni a suonare nei club, e non dovevamo far altro che suonare ancora una volta. Adesso diventeremo famosi, d’accordo. Trasmetteranno le nostre foto al notiziario delle sei, e ci sarà gente pronta a offrirci una fortuna per la vera storia di come i Nova hanno ceduto una tournée spaziale in cambio di un tavolaccio e una gavetta nell’Anello Scuro e… — Sollevò la testa, alzando la voce. — E io non potrei nemmeno raccontarla, perché non la conosco!

— L’Anello Scuro — mormorò Quasar. — Magico Capo, cos’hai fatto? — Disse qualcosa nella lingua di una volta, poi concluse: — …un complesso di rinnegati, per cui dobbiamo combattere contro di loro, merde alors, non abbiamo armi.

— Aspettate un momento — disse gravemente il Professore, alzando le mani. — Aspettate. Stiamo calmi. Forse non siamo ancora nei guai. Forse non comprendiamo del tutto la situazione. Giusto, Magico Capo? Tutti noi siamo con te da anni. Non hai mai manifestato segni di pazzia delirante. Allora, dici di aver intrappolato su Averno tutte le spaziomobili della polizia, perché potessimo andarcene con qualche ora di anticipo? È così? Siamo in ritardo per l’appuntamento a Helios? Non avevi voglia di aspettare fin dopo colazione?

— Abbiamo a bordo un ospite non autorizzato — disse il Mago a sorpresa. — Pensavo che l’aveste vista.

— Vista — ripeté il Professore in tono assente. Poi spostò lo sguardo dal Mago alla Regina di Cuori e lo riportò indietro, socchiudendo gli occhi, incredulo. — Lei. — Adesso respirava in fretta e aveva il viso lucido, come se fosse stato colto dal mal di spazio. — Cosa hai… — All’improvviso si mise a gridare, facendo sobbalzare il Mago, che non l’aveva mai udito alzare la voce. — Hai fatto evadere quella pazza dall’Anello Scuro?

— Scusatemi — sospirò il Mago. Il taglio sopra l’occhio cominciava a pulsare. — Ma eravate già tutti a bordo. Dovevo andarmene in fretta.

— Magico Capo — disse furibondo il Professore — farai meglio a continuare ad accelerare fino alla fine, perché appena posso stare in piedi ti trasformo in un detrito spaziale!

— Mi lasci spiegare?

— Prova. Cerca solo di riuscirci.

— Terra — disse Quasar, senza pregiudizi. — La sorella pazza della Regina di Cuori, quella che ha una visione.

— Perché dici che non è pazza? — chiese stupita la Regina di Cuori.

— O siamo pazzi tutt’e due, o nessuno. Sono pazzo, io?

— Sì — brontolò Nebraska.

— Abbiamo liberato Terra? — chiese Quasar.

— Sì.

— Oh, Dio mio! — gemette il Professore.

— L’abbiamo liberata da quei cochons di Averno che facevano esperimenti con il suo cervello?

— Sì.

Quel beau geste! - Gli mandò un bacio sulla punta delle unghie smaltate di verde. La Regina di Cuori chiuse per un attimo gli occhi e li riaprì.

— Magico Capo — disse con voce rotta — accantonando per un attimo la questione della tua pazzia, sulla quale non vorrei prendere decisioni affrettate proprio ora, potresti anche dirmi dov’è mia sorella.

Il Mago aprì bocca, senza parole. Guardò il Professore. — Non l’hai vista nella stiva?

Il Professore scosse la testa. — Non c’era. A meno che non si sia nascosta dentro il piano.

— Be’, era proprio dietro di me — disse il Mago, perplesso. La Regina di Cuori lo fissò con occhi pieni d’orrore. — O davanti a me, non ne sono sicuro…

Quasar scoppiò in un’improvvisa risata cattiva. — Te la sei dimenticata? — Dietro di lei, Nebraska produsse dei suoni soffocati dalla camicia.

— Da qualche parte deve pur essere. Ha quasi distrutto il Mozzo, per uscire. Sapeva quel che faceva.

La voce del Professore si affievolì di nuovo. — Ha distrutto…

— L’ho vista per l’ultima volta quando ho legato il direttore Klyos con un pezzo di neurocavo. Il tono azzurro. Aveva un fucile. — Guardò accigliato il puntino luminoso. — Dev’essere nella stiva da qualche parte. Regina di Cuori, i reattori d’inseguimento fra poco si spegneranno. Appena riesci a muoverti, sistema la ricevente. Voglio sapere chi è sulle nostre…

— Ecco! Ecco! — La furia del Professore infranse la concentrazione del Mago come un rombo di tuono, facendolo sobbalzare. — Hai buttato via il nostro futuro come la spazzatura del giorno prima, hai stuzzicato Averno come un nido di vespe per liberare la pazza del secolo e poi, novello Lochinvar, dimentichi a terra la ragazza e ti porti dietro invece il nido di vespe! Hai passato il segno. Hai già sentito parlare dell’ammutinamento del Bounty? Bene, eccolo qui, Capitan Mago. Appena spegni i reattori, prendo io il comando.

— Tu non sai guidare — disse cupo Nebraska.

— Non me ne frega niente!

Il Mago girò sul sediolo puntellandosi con le braccia contro la forza dell’accelerazione. — Proprio tu me l’hai detto — esclamò con improvvisa passione. — Non ci si deve mai guardare indietro. L’hai detto tu!

— Quella era una favola. Un mito!

— Il punto è proprio questo.

— Quale punto?

— Ricordi che durante il viaggio discutevamo di simboli?

— Simboli!

— Stammi a sentire — supplicò. La voce era tesa, tanto da non avere quasi timbro. — Ascolta. Cerca di ricordare quello che dicevamo. L’anello nuziale, la croce, l’occhio nel triangolo… Li vedi, e sai cosa sono. Si spiegano da soli, senza parole. Sono un linguaggio. Parole senza suono. Hanno un significato. Sono simboli. Messaggi. Di che cosa? Di speranza, di paura, di fede, di amore e odio… soprattutto di cambiamento. Trasformazione. Tu sai cosa significa un anello, d’oro. Il significato è antico. Culturale. Un cerchio d’oro si riferiva a tutto, dalle fantasticherie al denaro, dal rituale alla politica. Adesso è una curiosità storica. Un oggetto che si porta addosso per figura. Ma il simbolismo è ancora presente. Lo riconosci. Indica senza parole quello che era un tempo. A noi: a noi che siamo umani. Ma cosa vedrebbe un alieno in un cerchietto d’oro? Se tu vedessi un ovale piegato sulla sabbia viola, che significato ne trarresti? Tutto? Niente. Ma ha un significato, per qualcuno, per qualcosa, da qualche parte. E Terra lo vede. Io lo vedo. E quello parla… Cosa significherebbe per te una pioggia di cristalli che cade nella luce? Niente. Niente per me. Ma quando i cristalli caddero dentro la mia mente, parlarono. In essi ho sentito il messaggio, la forza, l’ordine di trasformarsi. Non li comprendo, non so cosa sono. Ma so la risposta che pretendono…

“Una volta i simboli che ora usiamo per i marchi commerciali risplendevano di significato come fiamma. Una volta erano una cosa per cui si poteva anche morire. Noi li abbiamo inventati, vi abbiamo racchiuso le nostre esigenze, e una volta ci erano indispensabili quanto la vita. Talvolta anche più della vita. Ciò che Terra ha visto in tutti questi anni, ciò che io vedo ora, appartiene a una visione. Visione aliena. Visione di metamorfosi. E nell’ambito della visione non c’è scelta. Le bizzarre immagini che lei vede, che noi vediamo, sono un linguaggio di assoluta necessità, e io lo desidero anche più della musica… Penso che si tratti di una reazione fisica. Non ne sono sicuro. Non capisco i messaggi, non sono destinati a me, ma posso vedere le immagini e sentire il bisogno… — Aveva la voce scossa, sentiva il sudore gocciolargli dalla crosta sull’occhio. — Non so per quale motivo sia lei sia io siamo stati catturati da questo bisogno. La visione di cambiamento. Ma non c’è modo d’uscirne… Siamo costretti ad assistere alla visione, al cambiamento. Non c’è scelta. Devo assistere. Voglio assistere. Sono intrappolato nella forza aliena del bisogno, della necessità, e la voglio più della musica…

“La trasformazione sta iniziando. Potrebbero bastare pochi minuti, secondo la nostra misurazione del tempo, o anni interi… Al momento è l’unico futuro che mi resta. Mi spiace di avervi coinvolti. Farò quello che posso per tirarvi fuori. Ma nella visione aliena non c’è l’Anello Scuro o quello Chiaro, non c’è vespaio, né legge umana. Ci sono solo i suoi imperativi. Le immagini che esigono risposta. Se mi riportate a forza su Averno, finirò dentro una bolla a straparlare proprio come Terra, perché finché la visione non è completa…”

… Una superficie dura e chiara come vetro si arrotolò a formare un cilindro. Una linea nera comparve attorno al cilindro all’altezza del centro. Una linea rossa suddivise le metà. Una linea color lavanda separò i quarti. Una linea verde… Fili di colore si tesero nel senso della lunghezza per tutto il cilindro, vi penetrarono, ne furono assorbiti, vene di vetro dentro vetro. Lentamente i colori cominciarono a diffondersi nel cilindro come gocce d’inchiostro nell’acqua, e divennero opachi, nebulosi… La luce della stella morente si mescolò ai colori, rendendoli imprecisi, incerti per la percezione umana…

Il Mago aveva le braccia che tremavano. Allentò la presa sul sediolo, sentì il cambiamento di accelerazione e si lasciò andare stancamente all’indietro. Girò il sediolo per dare un’occhiata al pannello comandi. Poi chiuse gli occhi, grato del silenzio a bordo del Pianto volante, e ancor più profondamente grato a qualcos’altro. Mentre parlava, o sognava, i reattori si erano spenti. Michelle era già occupata a sistemare la ricevente; Nebraska e il Professore e le ultime custodie degli strumenti erano nella stiva. Il Pianto volante seguiva ancora la sua rotta veloce e arbitraria in mezzo alle tenebre.

Nessuno aveva invertito la rotta.

2

— Klyos a Scalo Uno — disse Jase, tenendo d’occhio il lontano bagliore nel buio provocato dai razzi del Pianto volante. - Klyos a Scalo Uno.

Scalo Uno, quando rispose, sembrò sorpreso. — Qui Scalo Uno. Signore, vi riceviamo sulla FA. Dove vi trovate?

— A bordo della lancia — disse Jase fra i denti — all’inseguimento del Pianto volante.

Scalo Uno, esitando, si limitò a considerare l’unico aspetto comprensibile della situazione. — La lancia del Mozzo non è un veicolo da inseguimento…

— So benissimo che non è fatta per i maledetti inseguimenti — gridò Jase. — Ma è l’unico maledetto veicolo in grado di decollare da Averno senza un arpicordo a bordo!

— Signore — disse Scalo Uno, scosso. — Avete autorizzato voi queste parole d’ordine.

— Le ho autorizzate perché Terra Viridian mi puntava un fucile alla tempia!

— Santo…

— Presumo che si trovi a bordo del Pianto volante. - Udì Scalo Uno abbaiare ordini, poi fermarsi bruscamente.

— Non possiamo…

— Lo so che non potete.

— Non possiamo decollare per inseguirli — disse Scalo Uno, sgomento.

— Lo…

— Li abbiamo lasciati andare. Erano nelle nostre mani, potevamo saldare il Pianto volante alle piastre del molo, e invece li abbiamo lasciati andare…

— Avete…

— Eravamo qui e gli abbiamo permesso… Hanno paralizzato Averno! Un gruppetto di musicisti. Sono persino andato al loro… Signore, stanno per arrivare dalla Terra due spaziomobili, ciascuna con detenuti a bordo. Ordine di inseguimento?

— Stato giuridico dei detenuti?

— Anello Scuro.

— No — disse Jase con riluttanza. — No. Non posso coinvolgere degli ergastolani.

— Signore, siete sicuro che abbiano preso Terra? Phillips dice che stava sorvegliando le operazioni di carico del Pianto volante e che ha visto entrare il Mago ma non…

— Allora ditemi come mai io sono a bordo della lancia con la coda del Pianto volante sotto il naso, e voi invece ve ne state seduti sui retrorazzi senza…

— Signorsì.

— Ci sono altri veicoli in arrivo?

— Tre dalla Luna, uno da Helios. Tutti veicoli di pattuglia che rientrano per fine turno. Devono rifare il pieno, però… — Scalo Uno si interruppe.

— Non possono entrare a rifornirsi. — Jase rimase in silenzio. I razzi del Pianto volante si accesero, e lui spalancò gli occhi. Ma Aaron aveva visto: mosse le mani sui pulsanti luminosi del quadro di comando e trasse dalla lancia una potenza che Jase non credeva possibile. La notte sembrò penetrare nella cabina, incuneare il suo corpo massiccio fra Jase e lo schermo stellare e spingere. — È illegale — brontolò Jase, con le orecchie doloranti. — Un privato cittadino che usa i reattori da inseguimento.

— C’è ben poco che lui non sappia sul Pianto volante - disse Aaron, sorvegliando l’analizzatore.

— Fate decollare spaziomobili di stanza sulla Luna e su Helios — disse Jase a Scalo Uno. — Io seguirò il Pianto volante finché ho combustibile. Hanno fatto il pieno su Scalo Uno?

— È stata la prima cosa, signore. Siete armato?

— Due storditori. La lancia non è armata. Non ho modo di minacciarli.

Ci fu un lieve ritardo, e Jase udì le scariche di statica e le ultime parole di frasi confuse. Finalmente Scalo Uno disse: — Otto spaziomobili si preparano a decollare dalla Luna e da Helios.

— Bene. — Si rivolse ad Aaron. — Cominciate a trasmettere le nostre coordinate a Scalo Uno. — Aaron annuì.

Scalo Uno disse: — Non siete solo?

— Aaron Fisher, agente del Settore Costadoro, è alla guida della lancia. Scalo Uno, voglio tutto Averno in stato d’allarme, solo comunicazioni di emergenza, e voglio quelle spaziomobili più in fretta possibile…

— Ci stiamo già lavorando, signore. Il guaio è che l’unica registrazione delle parole d’ordine alla quale abbiamo accesso è il nastro dello scalo principale, e alcune note vanno perse per il fruscio di fondo. Le spaziomobili non possono riprodurre le parole d’ordine se non hanno tutte le note, e quassù nessuno conosce la musica. Se trovassimo qualcuno in grado di riconoscere la musica, forse usando una tastiera potremmo collegarci…

— È stata proprio una tastiera a cacciarci in questo pasticcio!

— Sì, signore.

— Sidney Halleck — disse Aaron. La soluzione era così azzeccata che Jase lasciò perdere per un attimo il Pianto volante e gli lanciò un’occhiata.

— Perché non ci ho pensato? Conosce bene il Mago?

— Sì. — Il viso di Aaron, illuminato qua e là dalle luci del pannello, sembrava calmo, ma le sue parole, all’orecchio di Jase, avevano un tono crocchiante, come se a parlare fosse uno schiaccianoci. — Giocano a poker ogni settimana.

— Poker. — Jase si concentrò di nuovo sul Pianto volante. - Scalo Uno, localizzate Sidney Halleck, Settore Costadoro. È lui il genio musicale che ha mandato quassù i Nova. Ditegli di risolvere il problema. Se potete, fatelo venire su Averno con una spaziomobile di stanza sulla Terra; se su quel veicolo riesce a suonare le parole d’ordine, può aprire lo scalo. Forse riuscirà anche a far ragionare il Mago.

— Stiamo cercando di metterci in contatto con il Pianto volante, ma non risponde. Avevamo bloccato sulla loro ricevente la FA.

— Forse elimineranno il blocco. Continuate a provare. Chiudo. — Mantenne aperto il canale di comunicazione e restò in ascolto, ma dal Pianto volante non proveniva niente. Lasciò perdere il bagliore rossastro e si rivolse con rabbia ad Aaron. — Perché? Voi conoscete il Mago. È pazzo?

Aaron strinse le labbra. — Fino a ieri avrei detto che nessuno era più assennato di lui. A parte Sidney. È stato obbligato da Terra Viridian?

— Se lo è stato, non me ne sono accorto — rispose acidamente Jase. — È entrato mentre voi eravate sul molo del Mozzo, è entrato quando nessun altro poteva accedere al Mozzo, mi ha interrotto proprio mentre mi apprestavo a elencare le parole d’ordine, ha cominciato a risplendere di viola e ha detto che era stata Terra a guidarlo. Gli ho sparato… — Aaron girò la testa ed emise un rumore sorpreso. — …con lo storditore. Poi lo schermo della porta è esploso, distrutto da Terra. Quando ho cominciato di nuovo a capire qualcosa, mi sono ritrovato sotto la poltrona ad aria, con un fucile puntato alla testa e il Mago seduto sopra di me che suonava Bach al computer del Mozzo.

— Una volta l’ho visto in trance — disse Aaron, scosso. — Suonava Bach. Almeno credo.

— Non era in trance, era in preda alla maledetta visione. — Parlò di nuovo nell’intercom. — Klyos ad Averno. Sicurezza.

— Qui Servizio di Sicurezza, signore. Parla Ramos.

— Dov’è Nilson?

— Nel Mozzo, signore. L’intercom del Mozzo ancora non risponde.

— Me l’immaginavo, dopo quel che è successo. Ci sono stati altri incidenti dopo l’uscita del Pianto volante?

— No, signore. — Esitò. — Nessun altro incidente. Ma non riusciamo a trovare nessuno che abbia effettivamente visto Terra Viridian salire a bordo del Pianto volante, o che l’abbia vista lasciare il Mozzo. Il raggio di trasporto è stato sotto sorveglianza fin da quando il Mago ha lasciato il Mozzo. Nessuno ha visto la detenuta.

Aaron emise un fischio. Jase guardò torvo l’intercom. — Non ha senso.

— No, signore.

— Dev’essere per forza sul Pianto volante. A ogni buon conto, dite a Nilson di ripulire il Mozzo e di metterlo in stato di difesa.

Ditegli di dare un preavviso di due minuti e di far uscire tutti. Ripeto: tutti quanti. Non voglio che ci sia nessuno all’interno quando scatterà lo stato di difesa. Chissà quali casini quella pazza può aver combinato con le registrazioni.

— Sì, signore.

— E raddoppiate la guardia lungo la linea di trasporto. Se è lì e ne viene fuori, uscirà sparando.

— Signore.

— Chiudo. — Jase sentì finalmente allentarsi la tensione in tutto il corpo, e tirò il fiato, muovendosi sul sediolo per evitare i crampi. Tentò di mettersi in contatto con il Pianto volante su diversi canali, ma nessuno rispose. Si sedette di nuovo, con le labbra serrate, soffocando imprecazioni. Si rivolse bruscamente ad Aaron. — Perché dovrebbe essere interessato a Terra? A causa di Michelle? È stata lei a convincerlo? Erano amanti?

— No.

— Mai?

— No.

Jase gli lanciò un’occhiata. Aaron teneva lo sguardo fisso davanti a sé, senza nemmeno battere le palpebre. — Gliel’avevate chiesto — disse Jase. Dopo un momento Aaron emise un borbottio.

— L’avevo chiesto.

— Signor Fisher — ruggì Jase. — Abbiamo per le mani un’emergenza di primo grado! Mi serve tutto l’aiuto possibile! Volete darmi risposte che non siano monosillabi…

— Non sono abituato a… — Si fermò, con la schiena irrigidita, la bocca dura; Jase vide che le mani gli tremavano sopra le luci del pannello. — Non sono abituato a… — Fu costretto a fermarsi di nuovo; Jase attese. — Non sono abituato a parlare di argomenti personali. Tutto qui. Ci proverò. Solo non pigliatevela troppo con me. Non vi nasconderò niente. Ma è… è difficile parlarne. — Prese fiato, continuò in fretta, senza inflessione: — Amavo mia moglie. Per sette anni, dopo la sua morte non ho più provato sentimenti. Per nessuno. Ho solo continuato a cercare la sorella di Terra Viridian. Pensavo che se l’avessi trovata, in qualche modo avrei capito perché mia moglie era stata uccisa. M’importava solo quello. Poi, due settimane fa, incontrai la nuova cubista del Mago. Lei… io… siamo stati amanti. Sì. Riuscì a farmi provare di nuovo qualcosa. Per la prima volta in sette anni. — Riprese fiato, a bocca aperta. Jase non si mosse. La linea diritta delle spalle di Aaron si afflosciò un pochino. L’agente continuò in tono stanco. — Ti basta abbassare anche una sola difesa, e scopri che la vita non aspettava altro: farti uscire dal guscio e colpirti di nuovo, nello stesso punto di prima, dove faceva così male… Lei si serviva di me solo per procurarsi informazioni, immagino. Per arrivare a Terra. È tutto. Non so perché mai sia capitata proprio da me.

— La cercavate.

Aaron rimase in silenzio. Fece compiere alla lancia una piccola virata per mantenere la direzione del Pianto volante e inviò le nuove coordinate a Scalo Uno. — Lo so — disse in tono spento. — Ma perché doveva essere lei?

Jase sospirò in silenzio. “La Regina di Cuori preparò le crostate…” Per un istante un groviglio di coincidenze si introdusse nei suoi pensieri, e un filo dorato galleggiò liberamente, sfidandolo ad afferrarlo… Ma nel centro del groviglio c’era il cervello arruffato di Terra, e a lui si chiedeva solo di riportare la donna m cella; non c’era scritto da nessuna parte che doveva anche capirla.

Brontolò, con una punta di involontaria meraviglia: — È il pasticcio più ingarbugliato che abbia mai visto. Avrei dovuto lasciarvi dov’eravate, e dare al vostro comandante l’incarico di interrogarvi sulla faccenda del computer. Almeno adesso non sareste qui a inseguire Michelle Viridian.

— Perché non l’avete fatto?

— Avevo un presentimento che riguardava voi… — rispose con amarezza. Il Pianto volante cambiò ancora rotta. Jase si accigliò. — Cosa diavolo hanno, da ballare il valzer nello spazio?

Aaron corresse la rotta della lancia, e comunicò le nuove coordinate. Si interruppe bruscamente; spostò lo sguardo dall’analizzatore alla spaziomobile in fuga, che adesso puntava fuori del sistema solare. — Ora capta le coordinate che sto trasmettendo per la squadra d’inseguimento.

— Su cosa?

— La Frequenza Averno. Michelle è riuscita a sbloccarla.

Jase premette di nupvo il pulsante dell’intercom. — Parlate voi — disse chiaramente, e il viso di Aaron si girò ancora verso di lui. Era mascherato dal riflesso delle luci del pannello, ma Jase udì chiaramente che deglutiva con uno sforzo.

— Signore…

— Parlategli. Cercate di farlo ragionare. Forse a voi risponderà.

Aaron tirò un respiro profondo. Finalmente la sua yoce venne fuori, stentata, spassionata. — Lancia a Pianto volante. Lancia a Pianto volante. - Il silenzio superò l’abisso infinito che li divideva. — Mago. Qui Aaron Fisher. Siamo noi il puntino che vi insegue. Rispondi, per favore.

Una voce roca e agitata attraversò il vuoto. — Aaron? Sono Michelle Viridian.

Aaron spalancò la bocca, la richiuse. Scosse la testa, rimase di nuovo come impietrito; l’amore, l’angoscia, la furia che aveva dentro pretesero libertà immediata e si bloccarono a vicenda, come giganti incastrati nell’arco di una porta. Jase si rese conto della situazione e intervenne in fretta, mentre il Pianto volante era ancora in ascolto. — Sono il direttore Klyos. Passatemi il Mago.

— Non… non c’è.

— Cosa vuol dire non c’è? — chiese Jase. — L’avete scaricato nello spazio?

— Voglio dire, c’è, ma non è…

— Dio del cielo.

— È in una visione.

Perfino Aaron spostò l’attenzione dal buio dello spazio all’intercom. Jase chiuse gli occhi. — È un maledetto virus… Pianto volante, siete in arresto. Vi ordino di invertire immediatamente la rotta e dirigervi lentamente e senza deviazioni su Averno, dove tutte le persone a bordo saranno formalmente accusate di complotto, sabotaggio, distruzione di proprietà del GLM, tanto per cominciare. Se non eseguirete gli ordini, sarete ridotti in minuti frammenti disseminati da qui a Helios. Questo lo capite?

— Direttore Klyos, sono il Mago.

— È gentile da parte vostra unirvi a noi, signor Restak. Avete terminato la visione? Avete afferrato il senso del mio messaggio?

— La minaccia di farci saltare in aria? Sì.

— Quindi invertirete la rotta del Pianto volante, vi disporrete davanti alla nostra lancia e ritornerete lentamente e senza deviazioni…

Il Mago disse semplicemente: — Non possiamo.

Aaron ritrovò la voce. — Magico Capo.

Il Pianto volante cadde in un silenzio completo. Poi: — Aaron? — Il Mago aveva un tono stupito. — In nome di Dio, cosa ci fai quassù?

— È una lunga storia.

— Sei con il direttore Klyos?

— Siamo al vostro inseguimento, sì. Siamo usciti con la lancia del Mozzo. Magico Capo, cosa diavolo combinate tutti quanti? Ti sei fatto saltare i circuiti sniffando sabbia d’argento, o che cosa?

— Aaron…

— Sai che c’è una flotta che ti dà la caccia. Non voglio vederti morire là fuori. Per favore. Torna indietro.

— Non è così semplice. Sta’ a sentire…

— Lo so. Forse pensi che è meglio morire che passare qualche anno su Averno; però, Magico Capo, dev’esserci un motivo per cui ti sei cacciato in questo pasticcio, tanto per cominciare, e se la flotta ti raggiunge non saprò mai perché hai fatto una sciocchezza così maledettamente idiota, inutile, insensata, come portar via di nascosto Terra Viridian… — Il Mago aveva detto qualcosa. Jase strinse il polso di Aaron.

— Signor Restak, cosa avete detto?

— Non è con noi.

— Oddio — mormorò Aaron. Sorprendentemente, pareva sul punto di mettersi a piangere. — Magico Capo, cos’hai combinato?

— Aaron, stammi a sentire…

— La flotta d’inseguimento arriverà in fretta, ed è armata. Non puoi fuggire; non esiste un posto che puoi raggiungere senza rifornirti di carburante, e tutte le stazioni di rifornimento dello spazio ti stanno aspettando. La flotta ti offrirà un’unica scelta: morire o vivere, tutto qui, Magico Capo, e io non voglio vederti morire…

— Aaron — disse il Mago, ancora paziente, anche se per la prima volta Jase avvertì nella sua voce una traccia di tensione. — Lo so. Ma non è questo il punto…

— Certo che lo è! — gridò Aaron. — Finirai ucciso! — Si toccò con le dita gli occhi; la sua voce si abbassò, rauca, smorta. — Per favore. Torna indietro. Rifletti.

— Non ho fatto altro che riflettere — disse con fermezza il Mago. — Aaron, penso che forse avrai un problema. Perché Terra non è qui con me, e il Mozzo, l’ultimo luogo dove l’ho vista, non riesce a trovarla, e tu hai detto che siete usciti dal Mozzo, quindi è possibile che…

La sua voce sembrò svanire. Jase udì solo un silenzio che era l’arresto improvviso di tutti i suoi pensieri. Poi udì di nuove le scariche di statica: il Mago in attesa di risposta. Si sentì soffocare, gelare. Credette che anche il cervello gli si contraesse. Mosse cautamente la testa, incontrò lo sguardo di Aaron.

Nella minuscola stiva buia alle loro spalle, dove non avrebbe dovuto esserci movimento, qualcosa si muoveva.

3

Aaron si girò, molto lentamente: ancora una volta aveva la sensazione che il tempo si allungasse, si stirasse tanto da affilare le sue percezioni fino a un’intensa accuratezza onirica. La morte provoca quest’effetto, pensò, rendendosi conto che completare il movimento, l’atto di girarsi dal pannello pieno di luci per guardare dietro di sé, poteva significare la fine della sua visione personale: un raggio luminoso che gli penetrava negli occhi.

Lei era lì. Era rannicchiata nella stiva, immagine sfocata di un viso pallido nel debole riflesso luminoso della cabina. La luce imperlava la canna del fucile puntato contro di loro.

— Signor Restak — disse Jase nell’intercom a voce bassissima. — Signor Restak. — Non ci fu risposta. — Signor Restak.

Lei non aveva ancora aperto bocca; si era a malapena mossa.

Aaron continuava a fissarla, e aveva il viso di pietra, il corpo di pietra, tanto che lei avrebbe potuto estrarne la vita servendosi solo dei suoi occhi vacui e sognanti.

— Signor Restak: — Ancora nessuna risposta. Jase imprecò in silenzio, guardando Aaron con la coda dell’occhio. Gli vennero in mente due cobra che si fissassero negli occhi. Mormorò: — Signor Fisher, siate prudente…

Allora lei si mosse, si alzò in piedi molto lentamente. Jase udì la voce del Mago, greve, esausta. — Direttore Klyos?

— Lei è qui.

— Mi raccomando. Non fatele del male.

— Signor Restak — disse Jase con freddezza, resistendo all’impulso di gridare. — È lei che ha il fucile.

Terra uscì dalla stiva, silenziosa e smorta come una falena, gli occhi fissi sulla luce che racchiudeva la voce del Mago. Era attenta, non più sognante. L’odio di Aaron, che scaturiva come una scarica elettrica dal suo corpo immobile, le parlò, la mise in guardia. Terra spostò lo sguardo sul suo viso; e lui inghiottì a vuoto sotto quegli imprevisti occhi grigi penetranti. Vide gli occhi di Michelle.

Terra aggrottò lievemente le sopracciglia, confusa, e spostò il fucile, senza prendere di mira nessuno in particolare, ma restando abbastanza lontana da poterlo puntare rapidamente sull’uno o sull’altro. Aaron seguì con un guizzo d’occhi il movimento, calcolò la distanza: se si fosse mosso abbastanza in fretta, se si fosse allungato abbastanza… La bocca del fucile, come l’occhio della morte, lo fissava direttamente e gli leggeva i pensieri.

— La visione — disse lei, spiegando loro perché non dovessero fermarla prima del tempo. — La visione dev’essere completata.

— Terra? — disse il Mago, e gli occhi della donna guizzarono in direzione della spia luminosa.

Aaron si lanciò. Sentì sotto le dita la canna dell’arma, ma subito lei la tirò indietro con mossa brusca. Perdette l’equilibrio, cadde; udì lo schiocco della voce di Jase, la voce del Mago che si alzava di tono. Urtò il pavimento, con mani e ginocchia. Rimase in attesa, con la mente vuota a parte un breve ricordo.

“Mi ha dato il bacio d’addio e si è girata…”

Udì il proprio respiro. Qualche istante dopo alzò lentamente la testa. Terra si era ritirata nella stiva.

Non gli aveva sparato. Era ancora vivo. Si rimise insieme pezzo per pezzo, come uno stanco fantasma uscito dalla tomba, e si tirò di nuovo a sedere. La sua spina dorsale, la sua nuca, aspettavano ancora il raggio di fuoco.

— Aaron?

— Signor Fisher — disse Jase in tono aspro. — Non fatelo più.

— Non mi ha sparato — mormorò lui. — Perché non ha sparato? Io l’avrei uccisa. E lei lo sapeva.

— Oddio — disse l’intercom. — Aaron…

— Mago — disse Terra. La sua voce, sottile, remota, arrivava chiaramente dalla stiva.

— Terra. — La voce del Mago tremò, si riprese. — Non fargli del male. Se li uccidi, se danneggi la lancia, andrai alla deriva nello spazio e morirai.

— Non è… — Raccolse stancamente il fiato e lo lasciò andare. — La visione. La visione sta terminando.

— Lo so. Lo vedo.

— Tu sai — sussurrò lei, e Jase vide un’espressione quasi umana sfiorarle il viso. — Tu sai… — Poi, di nuovo indifferente, aggiunse: — Quello che voleva uccidermi ha Michelle nella mente. Mago, la visione è tutto. La visione. Diglielo.

Aaron chiuse gli occhi. Udì la voce del Mago come in sogno. — Ci proverò. — Poi, per un lungo istante, udì solo le scariche delle stelle.


La scogliera a strapiombo nera come lo spazio profondo. Ondeggiò, si strappò, si riversò come stoffa nera sopra la sabbia ametista. La luce confusa del sole nascente la sfiorò.

Sagome delicate, sbiadite, come scheletri di minuscole creature marine… non c’era orizzonte che permettesse di giudicarne la grandezza. Potevano essere grosse come una mano, grosse come un pianeta. Ricaddero, assorbite da qualcosa che pulsava.

Fili di luminescenza, di saliva o di vento vivente che soffiava in striature orizzontali…

Il bisogno… il bisogno d’integrità… il bisogno di completamento…

La visione si sfilacciò attorno a lui. Era seduto ai comandi del Pianto volante, e sentiva sempre il bisogno come una sete inestinguibile, un desiderio di rimodellare la struttura dei suoi occhi o il modo in cui le percezioni gli giungevano al cervello… Emise un suono, una protesta contro la sua incapacità di rispondere. Michelle sollevò lo sguardo dall’analizzatore.

Il viso di lei continuava a sembrargli poco familiare; pallido, sempre controllato, rivelava tutto il suo turbamento e il suo stupore. — Magico Capo — disse lei con gentilezza. — Sei tornato in te?

— Sì.

— Cosa… cosa vedi? Tu, e Terra? Magico Capo… — Si interruppe. Lui scosse leggermente la testa, leggendole negli occhi.

— Non è lei. Lei non è responsabile.

— Ha ucciso tutte quelle persone. L’ha fatto lei. Per che cosa? Che cosa l’ha costretta a farlo? E cosa avrebbe potuto… come avrebbe potuto… qualunque cosa vedi, come posso perdonarglielo? Nessuno potrebbe. È un fatto che resta, qualunque sia il sogno che tutt’e due sognate.

— Non è un sogno. Almeno non nel senso che dopo ci si sveglia, e si sa di aver sognato. È… una visione — disse disperatamente. E lei sorrise, ridiventando per un attimo quella che lui conosceva.

— Una visione — ripeté piano. — Voi due adoperate persino le medesime parole.

— Non significano molto, in questo contesto. Ma è l’unico linguaggio che possiedo.

Di colpo gli occhi di lei si riempirono di lacrime, si abbassarono a fissare le luci del pannello. Il Mago le sfiorò la spalla. — Perché — sussurrò lei — non poteva avere una visione quando era tranquillamente seduta a casa a far colazione, anziché in quel maledetto deserto, con un fucile fra le mani? Tu non hai ancora ucciso nessuno, Magico Capo. Stai per cominciare anche tu? — Lo guardò, perché era rimasto in silenzio. — È l’unica differenza fra voi due, per il momento. E lei ha di nuovo un fucile.

Il Mago allungò la mano a toccare il pulsante dell’intercom. Si sentiva raggelato. — La visione è davvero irresistibile — ammise, e parlò nell’intercom. — Direttore Klyos? — Rimase in attesa, fissando i vividi puntini luminosi sparpagliati sullo schermo stellare. Sembravano troppo lontani, incredibilmente remoti, come se all’uomo fossero toccate in eredità solo le tenebre infinite fra i soli, e il prepotente desiderio di raggiungerli. Il silenzio della lancia cominciò ad allarmarlo. — Terra?

— Sì — rispose la donna, e il Mago sospirò in silenzio.

— Siete tutti vivi?

— Io sono così stanca…

Sapeva a quale “io” si riferiva. L’“io” che aveva visioni, che ritrasmetteva messaggi accanto al lento mare tenebroso, provava solo bisogno. Anche lui sentiva l’identica stanchezza: la tensione costante provocata dal pericolo, dalla situazione, quando invece voleva solo lasciarsi assorbire dall’immagine.

— Stanno bene? Aaron e il direttore Klyos?

— Non parlano.

Si sentì impallidire. — Sono vivi?

— Sì — disse lei con indifferenza. Poi aggiunse, terrorizzandolo: — Ci sono momenti in cui non li vedo.

— Signor Restak? — intervenne cautamente Klyos.

— State bene?

— Cosa vuol dire con quella frase? Che non può vederci?

Il Mago imprecò fra sé. — Non ci conterei molto — disse infine, sforzandosi di tener calma la voce.

— Le visioni. Si tratta di questo? Quando ne ha una, non è cosciente dell’ambiente? Signor Restak?

— Io non sono cosciente di dove mi trovo — disse infine il Mago. — Ma non so cosa succede a lei.

— Ve l’ha appena detto.

Sentì il sudore solleticargli l’attaccatura dei capelli. — Quando comincerete a capire? — chiese bruscamente. — Lei mi legge la mente. Legge la mente di Aaron. Non ha intenzione di farvi del male. Lei e io stiamo captando i pensieri di un alieno. Vi sorprende? O per voi è normale?

— Signor Restak, non c’è più stato niente di normale da quando siete entrato nella mia vita. In questo momento mi sento come se avessi sulla schiena una bomba a orologeria. Se volete parlare di alieni, fate marcia indietro e tornate ad Averno. Vi ascolterò.

— Direttore Klyos, lei non vuole fare del male…

— Avete visto cos’ha fatto su Averno! È un’assassina.

Il Mago chiuse gli occhi. — Ha ucciso. Sì. Ma non cercate di uccidere lei mentre è immersa nelle visioni aliene. È sempre troppo pericolosa.

— Quali alieni? Di cosa parlate? Non siete nemmeno sulla stessa nave, come fate a sapere cosa pensa?

— Lo so — disse il Mago, alzando la voce senza volerlo — perché sono intrappolato nella stessa maledetta visione! Ho cercato di dirvi…

— Non capisco una parola di ciò che dite.

Il Mago inspirò e trattenne il fiato, sforzandosi di non perdere la pazienza. Vide che gli altri membri del complesso erano attorno a lui, seduti su cuccette e sedili, mentre lui era assorto nel suo bisogno, nient’affatto impaurito, perché fino a quel momento era stato troppo preso dalla meraviglia per lasciar posto alla paura.

Il suo silenzio si prolungò, si annebbiò…

Oh, Dio, no, pensò, terrorizzato per Terra, per Aaron. Non adesso.

— Signor Restak — udì confusamente. — Signor Restak.

Terra…

Una ragnatela di fili lattei, pulsante dall’interno… Si costruiva da sola angolo dopo angolo, in sezioni irregolari e nodi voluminosi, come delicate osse allungate. Lo schema sembrava casuale, ma era rigoroso, intuì il Mago, complesso come la matematica, e la scelta della lunghezza di ogni filo, di ogni posizione, era importante e impegnativa come la scelta di una serie di note musicali sotto le sue dita. Si sentì sedotto da sottili implicazioni, trascinato nello schema…

Le luci del quadro comandi sciamarono nella visione. Il Mago si sentì il corpo irrigidito, più vecchio di un giorno o di un minuto. Il silenzio attorno a lui era cambiato, come un’angolazione di luce. Erano state pronunciate parole che non aveva udito.

Poi sentì una mano sulla spalla, e il silenzio che era anch’esso parte della visione si infranse. Michelle era accanto a lui, e si passava la mano fra i capelli. Le ultime forcine a forma di cuore caddero ai piedi del Mago. Aveva gli occhi gonfi. La voce aspra, precisa, arrochita dall’angoscia, lo ipnotizzò.

— Aaron?

— Sì.

— Direttore Klyos? Siete in ascolto? Voglio sentire la vostra voce.

— Vi ascolto — rispose Jase, brusco.

— Se la toccate, il Mago lo saprà, e io urlerò così forte nell’intercom che mi sentiranno fino alla Stella Polare, e Terra Viridian con un fucile in mano è proprio l’argomento che va bene per i film dell’orrore. Mi sentite? Dite il vostro nome. Ditelo.

— Klyos.

— Aaron?

— Ti ascolto.

— Forse credete che non gliene importi niente di me dopo tutti questi anni, dopo sette anni dentro una cella dell’Anello Scuro, senza vedere niente tranne le visioni. Ma lei mi conosce. L’avete visto, direttore Klyos, nell’infermeria. Lei mi conosce. Sapeva che sarei venuta su Averno prima ancora del mio arrivo. Questo come lo spiegate, direttore Klyos?

— Non lo spiego.

— E tu, Aaron?

— Non lo so.

— Potreste chiedere, visto che non avete altro da fare che inseguire il Pianto volante. Potreste chiedere. Lei sapeva che sarei arrivata perché sono l’unica persona ancora in vita fra quelle che amava. Lei è la mia gemella, il mio viso, il mio cuore, e finché non impugnò quel fucile nel Settore Deserto non c’era al mondo persona che mi fosse più cara. Era tutta la mia famiglia, e io ero la sua. Potreste cercare i motivi che l’hanno spinta a uccidere, se siete ancora curiosi, se a qualcuno importa ancora dopo sette anni. Be’, io ho passato sette anni a cercare motivazioni, nella sua vita precedente, e sapete cos’ho trovato? Siete in ascolto? Aaron?

— Sì. — La sua voce suonò vuota, ossessionata.

— Ora vi dirò la verità. Direttore Klyos?

— Vi ascolto.

— Niente. Ecco cos’ho trovato! Ha ucciso per niente. Per nessun motivo. Per nessun motivo terreno. Per sette anni mi sono nascosta, per sette anni ho indossato un viso… il viso della Regina di Cuori, la cubista dal sorriso d’oro, che milioni di persone riconoscevano e nessuno ha mai conosciuto… perché quando mi guardavo allo specchio vedevo il viso di Terra, l’altro mio viso, e temevo che anch’io avrei potuto fare quello che aveva fatto lei… Ma adesso so che quel momento di sette anni fa nel Settore Deserto appartiene al suo passato, e il suo passato appartiene a lei, non a me, e non si ripeterà… Aaron…

— Non l’abbiamo toccata! È lei che ha il fucile!

— Di’ il mio nome. Dillo. Dillo.

— Michelle — mormorò lui. — Michelle Viridian.

— D’accordo. — Strinse la spalla del Mago con maggior forza, e lui si accorse che tremava. — Adesso lo sai. Ciò che non ti avevo detto. Ciò che ti avrei detto quando… se fossi tornata. Se tu avessi avuto voglia di ascoltare. Ma sei venuto qui.

— Sì — mormorò lui.

— Be’, adesso mi conosci, Aaron, riconosceresti il mio viso, adesso. — La voce si affievolì. Lei si spinse indietro i capelli con aria stanca. — Non mi nascondo più. Non avevi mai conosciuto Terra e quindi non mi avresti creduto se ti avessi detto che non era mai stata un mostro, solo un normale, intelligente essere umano con qualche talento e un viso grazioso. Per me era straordinaria, certo, perché ci volevamo bene, ma la persona più comune diventa sempre straordinaria quando le vuoi bene. Non avresti dato peso al fatto che mi teneva stretta la notte quando piangevo i nostri genitori, che c’era sempre un piatto di minestra ad attendermi quando tornavo a casa dai club alle tre del mattino, oppure che quando arrivammo sulla terra ed ero terrorizzata dai rumori, dai colori, lei si muoveva in quel mondo alieno come se nell’intero universo non ci fosse niente che poteva spaventarla. Io l’amavo. Ma se tutto questo ti lascia indifferente, allora spiegami perché il Mago rischia la vita per Terra e vede le visioni di Terra… Aaron?

— Non posso. — La sua voce tremava in maniera incontrollabile, e il Mago si sentì accapponare la pelle, come per una sensazione di pericolo.

— Non dovresti essere qui — disse Michelle disperatamente. — Non dovresti esserci affatto. Non volevo che tu sapessi, prima che tutto fosse terminato. Te l’avrei detto, dopo, se tu avessi ancora desiderato sapere chi ero. Ma voglio solo… Mi hai dato la rosa. E allora voglio che tu sappia, se ancora t’importa… o se mai t’importerà… che le parole che ti dissi quando venisti a salutarmi… su di te, sui cubi, sulla musica del Mago…

— Basta! Non voglio sentirlo! Non voglio!

Lei sollevò la mano dalla spalla del Mago, si toccò le labbra. — Scusami. — I suoi occhi erano storditi, feriti. — Scusami…

Il Mago l’allontanò, si chinò sull’intercom. — Aaron.

— Che c’è? — Sembrava furioso, scosso, come se lo avessero privato della sua essenziale intimità.

— Per favore. Terra è…

— Magico Capo, quella pazza ha ucciso mia moglie!

— Oh! — mormorò. Per un attimo rimase senza fiato. — Dio mio! — L’intercom ammutolì. Il Mago si chiese se un fragile anello invisibile nella notte che li univa si fosse improvvisamente spezzato. Alzò bruscamente lo sguardo, perché Michelle era scomparsa. Ma era ancora accanto a lui. Non riusciva a sentirne il respiro. Pur fissandola, non riusciva a trovarla. C’era solo il suo viso, immobile, cereo, inespressivo: un’altra maschera. Gli occhi grigi sembravano prosciugati.

— Signor Restak — disse Klyos.

— Sì — rispose intontito.

— Siete pronto a tornare?

Barcollò, stordito dai fatti. Poi scorse la visione umana che il Professore gli aveva regalato, traendola da un tempo e uno spazio che non esistevano se non in un linguaggio trasmesso di millennio in millennio: il Musico che si fermava per girarsi indietro, girarsi disastrosamente indietro, e guardava la lunga strada percorsa dall’Averno per vedere se aveva davvero portato in salvo una cosa di valore.

— No.

4

Jase si asciugò il sudore dal viso e cercò di sgranchirsi, pur restando legato al sediolo. — Dove siamo? — brontolò. Avevano inseguito il Pianto volante per giorni interi, gli sembrava, per mesi, come un’ombra uscita dal futuro, che avesse attraversato la sua vita già prima del loro incontro. I pericoli e le tensioni, dentro la lancia, gli erano divenuti familiari come i coltelli di un giocoliere.

Aaron lesse le coordinate con voce spenta. Un preciso e delicato equilibrio di eventi aveva spinto il poliziotto in quella corsa senza scopo nella notte, all’inseguimento di persone amiche, mentre il suo incubo peggiore gli puntava un fucile alla schiena. Jase, ammirando l’artistica inventiva del destino, non avrebbe biasimato Aaron se a questo punto anche lui fosse impazzito e avesse gettato la lancia nell’oblio scatenando il laser di Terra. Ma Aaron anziché esplodere diventava più freddo.

— Mi spiace — disse infine Jase, inutilmente. Aaron scosse appena la testa, senza cambiare espressione, sbattendo le palpebre come se avesse della sabbia negli occhi.

— Sono cose che succedono.

— Dio ci aiuti tutti quanti — mormorò Jase — se è questo che si intende per “cose che succedono”. — Toccò l’intercom. — Klyos a Scalo Uno.

— Scalo Uno.

— Avete già rintracciato Sidney Halleck?

— Affermativo. Gli abbiamo suonato le parole d’ordine dal registro dello scalo principale. Adesso le sta analizzando, signore.

— Bene. — Jase sospirò. — Voglio parlare con lui. E voglio, che lui parli al Mago. Il Pianto volante ha un canale aperto sulla FA.

— Sì, signore, li abbiamo ascoltati. Però continuano a non risponderci.

— Predisponete un collegamento con Sidney Halleck quando richiamerà. Scommetto che a lui risponderanno.

— Sissignore.

— Chiudo. — Avvertì il dissenso inespresso e diede un’occhiata ad Aaron. — Qualcosa non va, signor Fisher?

— No. Solo, mi dispiace vedere Sidney coinvolto… Adorava la musica del Mago. Per questo ha mandato quassù i Nova. Se mai rivedrà il Mago, lo troverà in una cella, con i capelli rapati a zero, e nessuna musica da suonare. — Irrigidì il viso bruscamente. Sembrò che volesse infilare il pugno nell’analizzatore. Ma le mani rimasero immobili. Con voce abbastanza ferma aggiunse: — Non m’intendo molto di musica. Ma conosco Sidney. Sarà un brutto colpo, per lui. Lo spreco. L’assoluto, totale spreco… — Alzò lo sguardo, fissò intensamente il buio. — Quella lì riesce ancora a uccidere la gente…

Gente che ami, terminò in silenzio Jase. Si lanciò un’occhiata alle spalle, verso la figura immobile seduta per terra, con il fucile puntato contro lo schienale di Aaron. Appena sopra la cintura, immaginò Jase, se Aaron l’avesse fatta sobbalzare. Gli occhi della donna si mossero, incontrarono i suoi: non era lui quello che Terra voleva vedere. Klyos la lasciò alla sua misteriosa attesa.

Disse d’un tratto: — Non avete mai parlato al Mago di vostra moglie.

— No — rispose brevemente Aaron.

— Signor Fisher, vi è mai capitato di leggere un’antica poesia che parla di sei ciechi che tentano di descrivere un elefante basandosi sul tatto?

Aaron rimase in silenzio, fissando senza espressione la macchia della Via Lattea. Poi sospirò. — Scusatemi. Continuo a dimenticare che è successo sette anni fa…

— Siete restato in silenzio molto a lungo.

— Sono abituato a non parlare… Quando mi arrabbio, non riesco a parlare. Seppellisco le cose. Proprio ora, vorrei prendere i comandi della lancia e scagliarla contro il Pianto volante.

— Lo so.

— Ricordo quella poesia sull’elefante. Terza elementare.

— Ecco perché faccio domande. Ho continuato a definire quest’elefante come un serpente con un ciuffo di peli a un’estremità e un foro puzzolente all’altra. Michelle Viridian ha convinto il Mago a liberare Terra dall’Anello Scuro, e tutto sembra molto semplice. Giusto?

— Semplice — fu d’accordo Aaron.

— Anche probabile?

Aaron spostò lo sguardo dalle stelle a Jase. — No, se conoscete il Pianto volante. Il Mago può guidare quel vascello con la musica. Dice che è la sua anima. Non lo metterebbe mai in pericolo. E poi semplicemente ha troppo buon senso. O lo aveva.

Jase annuì. — È questo che non capisco. Che una montagna mobile sia attaccata al serpente…

— Continuo a sforzarmi di trovare una parola — disse Aaron. Indurì di nuovo il viso, ma continuò ostinatamente: — Ha ucciso mia moglie. Adesso, sette anni dopo, siamo qui, lei e io, nella stessa spaziolancia, quando invece lei dovrebbe essere rinchiusa nell’Anello Scuro e io sulla Terra, e questa volta lei ha il fucile puntato su di me.

— Ironia.

— È questa la parola? Mi sembra troppo insignificante… Non faccio altro che pensarci e ripensarci. Come abbiamo fatto a cacciarci tutti in questa situazione.

— Quello che voglio sapere io, è il perché.

Aaron borbottò qualcosa in tono piatto. — Ho cercato i perché per sette anni. Ed ecco cosa ne ho ricavato.

— Be’ — sospirò Jase — ne avete certamente ricavato una grossa delusione.

— Direttore Klyos — disse Scalo Uno. — Qui Scalo Uno.

— Eccomi.

— La flotta d’inseguimento chiede l’ultima posizione del Pianto volante.

Aaron trasmise le coordinate, controllando che il Pianto volante non virasse appena intercettata la comunicazione. Non accadde nulla: la spaziomobile era silenziosa come una tomba e puntava diritta su una vicina galassia.

— Direttore Klyos — disse un’altra voce. — Qui Nilson.

— Nils! Sei nel Mozzo?

— Sì, signore. L’abbiamo rimesso un po’ a posto, anche se bisogna ancora sostituire gli schermi di controllo. Stanno anche sostituendo la vostra scrivania, la poltrona, le apparecchiature e la maggior parte del tappeto.

— Hai liberato il dottor Fiori?

— Sì. Lui e i suoi assistenti sono in buone condizioni. Ma dice che la Macchina dei Sogni non può più essere riparata. L’UIGLM vuole parlarvi.

— Ci avrei giurato. Cosa gli hai detto?

— Che siamo in stato d’allarme, ma la situazione si va normalizzando. Nient’altro.

— Bene.

— Inoltre, cominciamo a ricevere chiamate dai mass-media.

— Come? — esplose lui.

— Le notizie filtrano in fretta. Abbiamo fatto decollare la flotta della Luna, la gente si chiede perché.

— Cristo. Mantieni il silenzio radio, escluse le spaziomobili in servizio e le situazioni d’emergenza. Informa l’UIGLM che richiamo io.

— Hanno detto…

— Digli di lasciar liberi i canali finché non ho qualcosa da comunicare. Possono sempre licenziarmi in seguito.

— D’accordo. Signore, non abbiamo trovato Terra Viridian. Potete confermare che si trova con il Mago?

— No — disse acidamente Jase.

— Allora dev’essere…

— È seduta nella stiva della nostra lancia, con un fucile puntato su di noi. — Toccò l’intercom. — Nilson. Nils…

— Sono qui — disse l’altro, con voce stridula. — Cosa… cosa…

— A parte questo, pare che non corriamo pericoli immediati. Nils, nel caso che non tornassimo indietro, voglio che venga inoltrata una raccomandazione per citazione al valore, impresa straordinaria in servizio, eccetera, a nome dell’agente di prima classe Aaron Fisher, Settore Costadoro.

— Jase — supplicò Nils. — Non è a questo prezzo che desidero prendere il vostro posto. Codice.

— Niente codice. Niente ordini. Lei è interessata al Mago, non a noi. Sta’ calmo. E passami Halleck appena possibile. Chiudo. — Aggiunse, in tono pensoso: — Posso già vedere i titoli, AVERNO BLOCCATO DA COMPOSITORE MORTO DA SECOLI. MAGO BLOCCA A TERRA LA FLOTTA DI AVERNO. DIRETTORE IN ORBITA… — Allungò di nuovo la mano verso l’intercom, impaziente, poi cambiò idea. — No. Mi parlerebbe solo di visioni. Non ha mai dato segni di pazzia, prima d’ora?

Aaron scosse la testa, poi precisò: — Non di pazzia. Solo… di comportamento bizzarro. Ve ne ho già parlato. Accadde la notte in cui nel club di Sidney un complesso andò vicino ad autofulminarsi durante l’esibizione. A quell’ora ero in servizio. C’erano poliziotti, ambulanze, strumenti rotti, gente e robot che portavano via i rottami… e lui nemmeno ci vide. Restò seduto sul palco a suonare la sua musica senza sentirci, senza accorgersi…

— È questo il massimo livello di follia che ha raggiunto?

— Nei cinque anni da quando lo conosco.

— Allora in nome di Dio cos’ha provocato tutto questo?

— È stata lei.

— Lei chi? Terra? O Michelle?

— Michelle no. Li ho visti insieme. Dovevo sapere. Come… cos’erano l’uno per l’altra. Fra loro c’era solo la musica.

— Terra — disse Jase, incredulo — è rimasta chiusa nell’Anello Scuro per sette anni senza nemmeno sapere che il Mago esisteva. Lui l’ha vista per circa un’ora.

— In quel periodo è successo qualcosa?

— Non le ha nemmeno parlato! Quando ho capito chi era la Regina di Cuori…

Aaron girò di scatto la testa. — Come? — supplicò. — Io ho passato sette anni a cercare Michelle Viridian. Come avete fatto a trovarla così in fretta?

Jase ci rifletté sopra. — La cercavate sotto il suo vero nome. Io sono partito dal suo nome d’arte e sono tornato indietro fino a quando ancora non esisteva. A sette anni fa. Mi basavo anche sull’intensa sensazione che lei era una persona di cui volevo conoscere il nome.

— Anch’io.

— Ma voi non sospettavate della Regina di Cuori. Io sì.

— No — disse Aaron in tono cupo. — Non avevo sospetti.

— Comunque, le ho chiesto se voleva vedere Terra. Immaginavo che fosse venuta proprio per questo, a ogni modo… — Si interruppe, colpito da un ricordo, e rivide la bizzarra posizione del Mago fra il gruppetto di persone che ascoltavano Terra. — Michelle e Terra si parlarono. Erano presenti il dottor Fiori, e sei guardie, i suoi tre assistenti, e il Mago. Avevo chiesto io al Mago di accompagnare Michelle. Guardavamo tutti la Macchina dei Sogni. Era affascinante. Si poteva vedere su uno schermo quello che pensava Terra. I suoi pensieri erano molto vividi. Bizzarri, alcuni; altri riguardavano Michelle, il loro passato. Quello che cerco di spiegarvi, signor Fisher — disse, accorgendosi del gelo che si propagava fra loro nell’aria — è quanto fossero avvincenti le immagini sullo schermo. Tutti quanti tenevamo lo sguardo inchiodato sulla macchina. Il dottor Fiori addirittura dimenticò due o tre volte che la macchina non era Terra. Tutti quanti, tranne il Mago. Noi guardavamo la Macchina dei Sogni per scorgere cosa pensava Terra. “Il Mago si limitava a guardare Terra.”

— Che lei gli controlli la mente? — chiese Aaron, dubbioso. Tutt’e due guardarono Terra. Il fucile si mosse nervosamente. — Può darsi — continuò. — Il Mago mi ha letto nel pensiero varie volte.

— È un sensitivo?

— Per quel che può significare. Ma questo non spiegherebbe perché è ossessionato. Perché ha passato il limite. Non butterebbe via la vita, la musica, il Pianto volante, solo a causa di una…

— Perché, allora, signor Fisher? Cosa potrebbe spingere un uomo sano di mente a rischiare la propria vita, la vita dei suoi amici… e poi, perché loro non lo fermano? Sono tutti d’accordo? Hanno aspirato l’identico virus della pazzia? Si dirigono esattamente verso il nulla, senza massicce provviste di carburante: se continuano nella loro rotta, la flotta d’inseguimento li trasformerà in un anello di polvere attorno alla Terra. Il Mago ha un controllo carismatico su di loro? Non ci sono mai disaccordi nel gruppo?

— Usano sistemi democratici — disse Aaron. — Li ho visti discutere.

— Perché non lo costringono a tornare? Perché gli permettono di comportarsi così? Lui ha messo in pericolo le loro vite, liberando una pazza da Averno, senza nemmeno riuscire a imbarcarla sulla nave giusta. Stanno vedendo tutti quello che vede lui?

— Qualcuno si occupa dei comandi — disse Aaron, rispondendo all’ultima domanda. — Non possono tutti avere visioni.

— E allora? Sta usando la forza?

Aaron scosse la testa. — Non ho mai visto un’arma in mano loro. Nemmeno in mano a Quasar.

— Li ha convinti?

— L’avrà fatto.

— È così probabile? Vi sembra credibile?

— No.

— E allora cos’è che vi sembra credibile?

— Niente di tutto questo — disse Aaron disperatamente. Jase si appoggiò contro lo schienale, imprecando in silenzio.

— Non cerca nemmeno di trattare per ottenere la libertà — disse stancamente. — Sembra che abbia il controllo di Terra, almeno quanto Terra controlla lui. Eppure non ci minaccia per mezzo suo, né si offre di togliercela dalle mani. Non fa altro che… volare. Senza nessuna meta. Mi piacerebbe affidarli entrambi al dottor Fiori.

— Avrei dovuto controllare — disse Aaron, fissando i comandi. I suoi occhi riflettevano colori vaganti emessi dalle spie luminose. — Ho controllato praticamente l’intero sistema solare, tranne lei. Se l’avessi fatto, tutto questo non sarebbe accaduto.

— Quando cercavate Michelle, volete dire.

— Non ho eseguito nemmeno un controllo di routine sulla Regina di Cuori. E l’avevo fatto per tutti. Per tutti. Se l’avessi fatto, non saremmo seduti qui.

— Perché lei no?

Rimase a lungo in silenzio. — Pensavo — disse infine con aria cupa — che quello che desideravo veramente conoscere di lei non fosse riportato su nessuna scheda.

Jase si schiarì la gola. — E cosa avreste fatto — chiese piano, incuriosito — se aveste scoperto che la Regina di Cuori era Michelle Viridian? — Di nuovo fu costretto ad attendere, mentre Aaron contemplava le tenebre desolate davanti a sé o nei sette anni dietro di sé. La gelida, smorta maschera del suo viso sembrò sciogliersi, divenne vulnerabile al dolore, alla comprensione.

— Non avrebbe avuto importanza — mormorò. — Trovare Michelle Viridian, o non trovarla. Sarei stato costretto a continuare a cercare. Non l’ho mai capito prima… Per tutti questi anni, non ho mai cercato lei. Ho cercato mia moglie.

5

Il viso di Michelle era appeso come una maschera al limitare della visione del Mago. Lui lo scorse oltre i suoi sogni inestricabili di paesaggi alieni; lo scorse con la coda dell’occhio mentre guardava le stelle lontane e attendeva. Il suo silenzio lo turbava. Una donna gli sedeva a fianco, pilotando in silenzio, ma non era Michelle. Michelle Viridian era svanita, lasciando la faccia vuota di una carta da gioco a governarle la mente e le ossa e gli occhi privi d’espressione.

Il Mago intercettò le coordinate della flotta d’inseguimento quando la lancia le trasmise. Come aveva detto Aaron, la flotta si avvicinava rapidamente e non c’era nessun posto dove il Pianto volante potesse andare per eluderla. Il viso di Aaron si presentò spontaneamente alla mente del Mago, rigido e pallido, inflessibile come quello della Regina di Cuori. Sette anni, pensò il Mago, impietosito, sette anni per ciascuno dei due…

E per il sognatore sotto il sole morente.

E per Terra.

E quanti anni, si chiese riportando la mente al problema immediato, avrebbe trascorso lui su Averno, se l’alieno non fosse riuscito a trovare un equilibrio tra la sua trasformazione e la minaccia alle costole del Pianto volante?

Vita senza musica. Di sicuro non l’avrebbero mai fatto uscire per assistere a un concerto del programma di riabilitazione… Se cioè per qualche motivo l’avessero lasciato vivere. Fu percorso da un panico cieco al pensiero della morte: la trasformazione incompleta, fallita, abortita, la morte della visione…

Doveva finire adesso, pensò. Adesso. Le probabilità erano ridicole. Si agitò inquieto e udì la voce di Sidney Halleck, lontana e aspra per i disturbi radio.

Si chinò verso l’intercom, sorpreso. Il Professore gli fu al fianco in un attimo.

— Sidney. Come hanno fatto a coinvolgerlo?

— Sst. — C’era un debole fraseggio musicale, un arpicordo tintinnante dall’oltretomba. Gli occhi del Mago si spalancarono.

— È un brano del Concerto Italiano - disse Sidney. — L’adagio. Si tratta del secondo pezzo. Il terzo non l’ho ancora identificato. Lo confronterò con la banca dati dell’università in cui insegno, se pensate che sia…

— Lo è, signor Halleck. Per favore.

— Perché non lo chiedete al Mago, signor Nilson? Su Bach ne sa quasi quanto me.

— Non ci è possibile, signore — disse Nils.

— Come mai? Dovrebbe essere ancora da voi.

— Scusatemi. A questo non posso rispondere.

— Volete solo che siano identificati i tre brani — disse Sidney, stupito ma tollerante. — Signor Nilson, vi rendete conto di quanto sia bizzarra la cosa?

— Signor Halleck — disse Nils — anche senza rivelare informazioni riservate, posso dirvi che avete scelto proprio l’aggettivo esatto. Quando avrete identificato la terza parola… il terzo brano, informateci immediatamente. Il direttore Klyos sarà in contatto con voi, per allora. Vi chiederà di venire qui.

— Su Averno? E perché mai?

— Posso dirvi solamente che abbiamo bisogno di una persona con le vostre capacità. Urgente bisogno.

— Ha qualcosa a che fare con…

— Per favore chiamateci appena identificate il terzo brano. Un elicar vi aspetterà sotto casa per condurvi allo spazioporto di settore. Chiudo.

Il Mago rimase in ascolto ma non udì niente dalla lancia. Si raddrizzò, si asciugò il sudore dagli occhi, stupito. — Qual è quell’antiquata espressione per…

Touché - precisò il Professore.

— Chi gli ha suggerito Sidney? — Si rispose da solo: — Aaron.

— Cosa ci fa Aaron quassù, a ogni modo? L’hanno convocato apposta per darci la caccia?

Il Mago scosse la testa in silenzio. — Lo sa il cielo. Ma cosa potrebbe fare Sidney? Portarsi dietro una tastiera, collegarla a qualche spaziomobile, direttamente ai computer di bordo. Lui saprebbe come programmare musica. E come suonarla…

— Be’ — disse bruscamente il Professore — andrà a finire così. — Il Mago avvertì la paura nella sua voce, sentì tutt’attorno la tensione come un cieco animale da guardia eccitato dalla propria insicurezza. — Lui scoprirà le nostre parole d’ordine, Magico Capo. Lo porteranno su; gli spiegheranno che il complesso inviato in tournée dietro sua raccomandazione ha provocato un’evasione, ha paralizzato Averno, e adesso è inseguito per tutto il cosmo dal direttore del satellite. Parlerai anche a lui degli alieni?

Il Mago lo fissò senza vederlo, mentre il terrore e il mistero si equilibravano nella sua mente. L’attimo di panico scivolò via, lasciandolo con un’espressione assente, perplessa. Si girò verso lo schermo esterno e la tensione, non più alimentata, si dissolse.

— Andrà tutto bene — disse, e ne era convinto: il filo diretto che portava dal caos al loro futuro.

— Magnifico, Magico Capo — esplose il Professore. — Mi piacerebbe sapere cosa vedi. Noi tutti possiamo accampare la scusa dell’ignoranza. Stavamo solo caricando il Pianto volante quando ci hai rapiti, e non c’è prova di delitto, sul Pianto volante, nemmeno un’arma, figuriamoci una detenuta. Tranne te. Averno ti ingoierà tutt’intero, senza neanche prendersi il disturbo di sputar fuori le ossa. Tu lo sai. Ma non scappi abbastanza in fretta, e non sei nemmeno spaventato. Stai per calare l’asso che hai nella manica, il trucco finale della tua provvista di trucchi magici. Almeno mi auguro che sia così, perché una cosa è sicura: non abbiamo jolly di riserva.

— È il bisogno — disse il Mago. Lo sentì di nuovo, mentre si sforzava di spiegare. — Come la sete. Come il respiro. L’inestinguibile imperativo del cambiamento. L’Anello Scuro è insignificante, un granello di sabbia fluttuante nell’ombra di un’eclisse. Nient’altro. L’Anello Scuro non è nella visione.

Accanto a lui il viso immobile fisso sull’analizzatore si girò allora, quasi mostrando emozione. — Terra l’ha ripetuto — mormorò Michelle — tante di quelle volte. Tu sai cosa significa.

— Lo so.

— Cosa significa? — chiese improvvisamente Quasar, come se una visione che non comprendeva l’ombra di Averno avesse finalmente catturato la sua attenzione. Alzò lo sguardo dal vasetto di polvere luminosa che si stava applicando alle palpebre. — Cosa vedi? Tu sogni a occhi aperti. Puoi farci vedere? Mostraci un alieno, Magico Capo.

— Ho bisogno di un goccio — disse debolmente Nebraska. — Sto cominciando a crederci.

— Voglio vedere l’alieno — si impuntò Quasar. — Portaci lì, Magico Capo.

— Non so “lì” dove sia — disse il Mago. — Conosco solo uno stato della mente.

— E allora portaci anche noi — disse Quasar.

— Non è…

— Tu ci sei andato. In questo luogo.

— Sì, ma…

Sì ma non è una risposta — disse lei con calma. — Stiamo volando verso il nulla. Sono già stata su questa strada per il nulla. O Aaron ci cattura o gli altri ci polverizzano. Anche l’oblio è senza dubbio uno stato della mente. Oppure, forse, solo forse, c’è qualcosa che tu vedi e nessun altro può vedere. Mostralo anche a noi, Magico Capo.

— Quasar, non posso. Mi spiace.

Lei gli lanciò un’occhiata torva; le sue labbra assunsero una piega sarcastica ma non amara. — Forse ci farai morire tutti, Magico Capo. Eppure non puoi darci quest’unica piccola cosa.

— Vorrei — disse lui disperatamente, intensamente. — Per te, vorrei farlo. Ma… — Si interruppe, fissandola dalla parte opposta della cabina, come se fosse un’equazione matematica di dubbia costruzione. — Aspetta… — mormorò. — Aspetta…

Lei lo fissò, sorpresa, lasciandosi dietro una scia di polvere luminosa. Il Mago si girò di nuovo verso l’intercom. Ma prima che potesse dire una sola parola sulla FA giunse la voce di Sidney Halleck.

— …l’ho rintracciato io stesso. Un rigo della Quinta suite inglese: il preludio. Adesso potete spiegarmi…

— Dio sia lodato — disse Nilson. — Grazie, signor Halleck. Avvertirò il Settore Costadoro. Qualcuno verrà a prendervi immediatamente.

— I Nova sono nei guai? — chiese Sidney, preoccupato. — Signor Nilson, è così?

— Non posso parlare di quest’argomento. Mi spiace davvero, signor Halleck.

— Signor Halleck — intervenne Jase. — Parla Jase Klyos.

— Direttore, cosa…

— Sono spiacente di infastidirvi. Il signor Nilson esegue i miei ordini. A causa di circostanze imprevedibili, fra la stazione e la Terra manteniamo un assoluto riserbo su informazioni riservate.

— Bach — precisò Sidney stupito — è di dominio pubblico.

— Sfortunatamente lo è anche l’ignoranza. Ecco tutto quello che posso dirvi: mi serve il vostro aiuto. A proposito di una poesiola infantile.

— Dio santo!

— Quella cui accennammo la prima volta che ci siamo parlati. Forse non ve ne ricordate; è successo settimane fa, ma credo…

— La Regina di Cuori. — La sua voce era cambiata.

— Sì. E sareste così gentile da portare con voi uno strumento con cui suonare quei brani?

Ci fu una pausa. — Direttore Klyos — disse Sidney in tono cupo. — Sto aspettando quell’elicar.

Il Mago si sedette lentamente, dimenticandosi che voleva parlare con Jase. Fissò la Regina di Cuori con intenso stupore, vide la maschera d’oro, udì la filastrocca, cercò di collegare le due cose in modo da ottenere una ragione plausibile che spiegasse quella discussione fra Sidney Halleck e il direttore di Averno, finché sotto i suoi occhi il viso di Michelle cominciò a ondeggiare e lei esclamò: — Magico Capo!

— Scusami. — La toccò con le dita gelide. — Stavo solo cercando di… Sidney sapeva… sapeva chi eri? Chi sei?

— Non l’ho mai detto a nessuno.

— È strano… Quello di cui parlavano era una filastrocca? O eri tu?

— Non lo so, non lo so! — Lui la tenne per le spalle, ma sapeva che lei non lo vedeva, che guardava di nuovo indietro, pericolosamente lontano, all’incubo confuso al quale pensava di essere sfuggita. — Hanno ragione, però — disse Michelle. — È stata colpa mia. Ecco da dove è cominciato tutto: dalla notte in cui mi dipinsi il viso e suonai con te. Avrei dovuto… avrei dovuto sapere che non si possono nascondere le cose. Pensavo di essere al sicuro. Lo facevo solo per questo. Per trovare sicurezza. Per sottrarmi alle ferite. Sembra una cosa talmente semplice, talmente umana. Che non può danneggiare nessun altro. Invece, guardaci! Siamo tutti qui, in mezzo al nulla, tu intrappolato in una visione, mia sorella alle nostre spalle con un fucile laser, spaziomobili sul punto di farci saltare in aria, Sidney a mezza strada verso Averno per suonare Bach, e Aaron… — Si interruppe. L’angoscia le sbocciò nuovamente negli occhi. — Aaron — mormorò. E poi il Mago la sentì scivolare via, ritirarsi dentro di sé così profondamente che stavolta non era rimasta nemmeno la Regina di Cuori.

Il Mago sentì un groppo alla gola. Deglutì, mormorò: — Signora dei Cuori. — Le toccò i capelli, le guance bagnate. — Michelle. — Nessuna delle due rispose. Il Mago si alzò, incontrò gli occhi scuri e sconvolti del Professore, scorse il momento di esitazione che ebbe Nebraska prima di balzare in piedi e azionare il distributore d’acqua. Non ne uscì niente. Nebraska sparì nella cucina, imprecando.

— Michelle. — Il Mago le sorresse le mani gelide, la scosse lievemente. — Ti prego. — Non la trovava più da nessuna parte; non sapeva dove andare per riportarla indietro. Poi Quasar si alzò, e il suo viso si era trasformato, mostrava una gentilezza insolita.

— Signora dei Cuori — disse, circondandole con le braccia le spalle. — Non angosciarti. Sono cose che accadono ogni momento. Il mondo ne è pieno. Ma continua a girare, quella vecchia palla di terra, ricca e povera, che un giorno ti sorride e il giorno dopo ti prende a calci. Perché questo è il suo segreto: continua a farti andare avanti, perché non sai mai, nemmeno tu adesso, se ti darà cocci di vetro oppure oro.

Il silenzio turbinò così intensamente che il Mago credette che si sarebbe spezzato e ritorto incessantemente fino alla fine del tempo. Poi Michelle piangeva sulla spalla di Quasar, e quest’ultima le mormorava parole incomprensibili fra i capelli.

— Non è colpa tua — disse, chiaramente adesso. — Hai fatto bene. So cosa vuol dire nascondersi. Vieni via da tutte quelle luci. Il Mago naviga nei suoi sogni. Forse trascinerà anche quello stupido poliziotto nei suoi sogni, forse no. A me non importa: io voglio vedere il suo alieno, e preferisco saltare in aria che venir rapata a zero.

Il Pianto volante parlò.

Il Mago e il Professore sobbalzarono. Nebraska, di ritorno con una tazza di caffè, si versò un po’ di liquido sulla mano. Il Mago, con lo sguardo fisso su Michelle e la mente vuota, lottò per un istante con quel brano musicale, poi vi rinunciò e controllò i comandi.

— Che cos’è? — chiese teso il Professore. — Altra compagnia?

Il Mago scosse la testa. La luce gialla che si era accesa trattenne ancora per un attimo la sua attenzione, come se il messaggio che trasmetteva fosse più critico, più disastroso della normale segnalazione di mancanza di carburante.

— Abbiamo consumato più di metà carburante. L’inseguimento ci è costato parecchio. — Con uno sforzo distolse lo sguardo dalla spia luminosa. La luce gli scivolò davanti alla visione: lui ammiccò per scacciarla, vide Michelle che sorseggiava il caffè. Le mani le tremavano intensamente, ma adesso vedeva di nuovo. Incrociò il suo sguardo, le rivolse una muta domanda, incalzante, ne ottenne la risposta prima ancora che lei aprisse bocca.

— No — mormorò Michelle. — Non tornare indietro. Ti prego. Magico Capo, ti prego. Hai detto che stava per finire. Lasciala finire.

6

— Aaron? — chiamò il Mago. — Direttore Klyos? Siete ancora vivi?

— Signor Restak — rispose stancamente Jase — vi rendete conto della rotta che state seguendo? Non avete di sicuro il carburante necessario per raggiungere Andromeda.

— Voglio la voce di Terra — disse l’intercom. — Terra?

— Sono qui — rispose la donna, dal pavimento.

— Terra. Mi stai ascoltando?

— Sì. — Il tono era distaccato.

— Terra, ascoltami. La prossima volta che hai una visione, voglio che tu parli. Voglio udire la tua voce. L’hai già fatto al processo e con il dottor Fiori. Voglio che tu mi dica come procedi nella visione. Descrivi esattamente ciò che vedi. Io farò la stessa cosa. Forse in questo modo cominceranno a capire che quello che diciamo esiste al di fuori delle nostre due menti. Ti ricorderai…

— Magico Capo — lo interruppe Aaron. Aveva la voce tesa, pericolosamente controllata; i suoi occhi riflettevano il nero dello spazio profondo. — Non costringermi ad ascoltare. Non farlo.

Ci fu un momento di silenzio. — Aaron. — Al suo stesso orecchio la voce suonò poco familiare, carica di sfumature ricche di inattese emozioni. — Tu sopporti tutto il peso della giustizia. Quando questa storia sarà finita, potrai allontanartene come vorrai. Sto cercando di mostrarti qualcosa. Sto rischiando la vita per mostrartelo. Così, se faranno saltare in aria il Pianto volante e di me resterà solo un’eco di luce che si muove verso la fine dell’universo, forse non ne sarai completamente sconcertato. O completamente amareggiato.

Aaron restò in silenzio. Jase gli lanciò un’occhiata. Vide che aveva il viso contratto, arrossato fino alla radice dei capelli. La battaglia che si svolgeva dentro di lui, fra il furore, le radicate riserve d’orgoglio e d’angoscia, e il bisogno di sapere, sembrava esplosiva. Jase cambiò posizione, a disagio in quel turbine, ma quando alla fine Aaron parlò, aveva già sepolto ogni sensazione sotto una patina di calma professionale.

— Non perdere tempo a farmi favori. Cerca solo di tornare su Averno, e non salterai in aria.

— Aaron…

— Quanto pensi di poter tirare la corda? Adesso lei mi punta il fucile alla schiena, per causa tua.

— Lo so. Però, Aaron, lei è solo…

La calma si spezzò. — Difendila, Magico Capo, e attraverserò a piedi il vuoto dello spazio per trasformarti in luce con le mie mani!

Jase si girò, avvertendo il movimento alle sue spalle prima ancora di vederlo. Il fucile attraversò rapidamente il suo campo visivo. Udì il Mago gridare.

— Terra! No!

Ci fu silenzio di tomba. Jase batté le palpebre per il sudore improvviso, vide il fucile puntato fra le scapole di Aaron abbassarsi lentamente. L’attimo dopo Terra indietreggiò, tornò a sedersi sul pavimento. La sua espressione fra un movimento e l’altro era rimasta uguale. “Non ha sparato”, pensò Jase. “Non l’ha fatto neppure adesso.”

Parlò nell’intercom, sentendosi stanchissimo. — Come facevate a saperlo, signor Restak?

— Lo sapevo. Cos’ha fatto?

— Nessun danno per ora. Ha chiarito come la pensa. Non le piace che vi minaccino.

— Aaron?

Jase guardò il poliziotto. Respirava a scatti, ma in silenzio, aveva il viso esangue. Dalla sua fragile immobilità Jase giudicò che fosse sul punto di tremare di rabbia.

— Non è ferito. Signor Restak, la situazione è insopportabile.

— Lo so, perdio. Aaron?

— Credo che il signor Fisher sia troppo furibondo per parlare. Sta cercando di non farsi sparare addosso. In nome dell’amicizia, come diavolo lo giustificate, signor Restak? Rischiate di farlo uccidere.

— Non mi ha mai detto niente — disse il Mago. Jase lo udì trarre un respiro profondo. — Lo conoscevo da anni. Mi disse che sua moglie era morta. Me lo disse un’unica volta. Non parlava mai di lei. Questo non me lo sarei mai aspettato — concluse.

“Mi sarei aspettato piuttosto di essere sbranato da coccodrilli sulla Luna”, pensò cupamente Jase. Mantenne ferma la voce, cercando a tentoni qualche brandello di buonsenso, persino nel Mago. Disse, rischiando che il suo compagno esplodesse un’altra volta: — Il signor Fisher mi sembra un uomo molto riservato. Vi ha mai detto che negli ultimi sette anni ha continuato a cercare in segreto Michelle Viridian, per vedere se da lei poteva capire le ragioni che avevano spinto Terra ad ammazzargli la moglie? Anche sfruttando i nostri più completi e sofisticati sistemi di schedatura, non è riuscito a trovarla, tanto bene si era nascosta.

— L’ha trovata — mormorò il Mago.

— L’ho fatto venire quassù per questo motivo. Lei ha usato il suo computer per chiedere informazioni riservate su Averno. È stata lei a trovare lui, signor Restak. Se lei non l’avesse fatto, lui non sarebbe seduto qui con Terra alle spalle.

— Lei…

— Michelle Viridian è passibile di imputazioni molto gravi. Davvero non avete mai saputo il suo nome?

— Non me l’ha mai detto. Non l’ha mai detto a nessuno. Ne era terrorizzata. — Dopo una pausa aggiunse: — Su Averno mi disse che sette anni fa, dopo la condanna di Terra, Michelle Viridian si era dipinta il viso per poter suonare un’ultima volta senza essere riconosciuta. Poi avrebbe… si sarebbe tolta la vita. Quella notte. Per la disperazione. Non è la criminale incallita che dipingete voi, direttore Klyos. Non aveva nessuno, non aveva famiglia, a parte Terra. E Terra era in viaggio per l’Anello Scuro.

— Quella notte — disse Jase interessato — lei non si uccise. Cosa la spinse a cambiare idea?

— Trovò… trovò un ultimo complesso con cui suonare. Il mio.

Aaron sollevò involontariamente la testa. Deglutì, abbassò di nuovo lo sguardo, tenne gli occhi fissi, nascosti.

Jase si agitò sul sediolo. La minuscola cabina della lancia sembrò ancora più stretta, affollata da eventi che si sovrapponevano, da troppi particolari che si raggruppavano in un complicato poliedro.

— La Regina di Cuori — disse con voce piatta.

— La poesiola infantile — disse il Mago, sorprendendolo. Jase si infuriò, provando la sensazione che gli avesse letto nella mente.

— Come fate a…

— Ero in ascolto, quando eravate in comunicazione con Sidney.

— Il signor Halleck… Da quanto tempo conosceva la Regina di Cuori?

— La incontrò sette anni fa, più o meno quando lei cominciò a suonare con me.

Jase restò in silenzio. — Signor Restak — disse stancamente. — Ogni volta che provo a ricavare un senso da questa storia, mi ritrovo sempre più invischiato. La flotta d’inseguimento vi è quasi alle calcagna. Un po’ di tempo fa, dopo che mi avete legato e avete scatenato l’inferno e Bach contro le mie spaziomobili, non mi importava minimamente in quanti pezzetti vi avrebbero ridotto. Ma adesso, prima che vi distruggano, mi piacerebbe proprio sapere cosa sta succedendo. Se avete qualcosa da spiegare, vi ascolterò. Se volete che Terra parli, l’ascolterò. Cercherò di evitare che il signor Fisher si faccia uccidere. Ditemi solo, in nome di Dio, come una filastrocca ha potuto cacciarci in un vespaio del genere.

— Non è cominciato con una filastrocca. È cominciato…

— Quando?

— Quel giorno — disse il Mago misurando le parole. — Nel Settore Deserto. So perché Terra ha massacrato tutta quella gente.

— Sapete…

— È una conseguenza delle visioni che sono dentro di lei. La trasformazione. Posso vederla.

— Signor Restak, ogni volta che cominciate a parlare in questo modo mi fate sentire a disagio. Mi viene voglia di farmi la doccia al cervello.

— Per favore. Ascoltate. — Si interruppe di nuovo. Jase lo sentì scegliere le parole. E poi udì la profonda stanchezza che c’era sotto: il Mago che faceva giochi di prestigio con tavolini, sciarpe e tazzine da caffè, e un coltello di troppo. — Quando ho accompagnato voi e Michelle a vedere Terra: ricordate?

— Sì.

— C’era il computer, che mostrava immagini della sua mente. Noi siamo entrati; abbiamo guardato Terra, perché era la prima cosa che si notava, la pazza rapata a zero dentro la bolla. Poi voi avete guardato lo schermo. E lei ha guardato me. E io ho visto nella mia mente tutte le immagini che lei continuava a vedere. Ed è… era irresistibile. Era… direttore Klyos, qual è la cosa che desiderate di più dalla vita?

— Un trasferimento.

Il Mago rimase un attimo in silenzio. — D’accordo — disse con pazienza disumana. — Allora qual è la cosa che vi tocca più profondamente?

Jase rimase muto, colpito dalla domanda inaspettata. — Cosa cercate di dire, signor Restak?

— Che quello che lei… che tutt’e due vediamo, ha la stessa enorme importanza. È egualmente vitale. Non per noi. Non a livello umano. A livello…

— Oh Cristo, non comincerete a parlare di alieni!

— Le avete viste anche voi, quelle immagini.

Di colpo Jase vide ancora le immagini, la loro estraneità, sempre dal lato sbagliato degli ampi confini della sua personale esperienza. Sagome che scrosciavano giù come pioggia, che si allontanavano in fretta su una spiaggia ametista. L’ovale piegato, sereno come una luna caduta sulla sabbia. Il sole rosso… “I colori sono tutti sbagliati”, pensò. Ma lei aveva insistito su quei colori.

— Ha ucciso a causa di quelle immagini. Perché secondo me chiunque le generi ha provato un irresistibile stimolo di luce. Lo stimolo era probabilmente biologico, istintivo. Come quello di animali o rettili nati sulla terraferma, che sono spinti verso l’acqua perché altrimenti muoiono. Sono spinti. Cosa sia successo all’alieno, non lo so. Forse si collega in qualche modo al sole morente. Terra era nel deserto in pieno giorno. Ma l’immagine nella sua mente era buia. Lei vide le tenebre. Sentì le tenebre. Provocò la luce.

Il disprezzo nella voce di Aaron ebbe su Jase l’effetto di una scossa elettrica. — Magico Capo, non ci credo! Mi rifili stronzate assurde e ti aspetti che perdoni e dimentichi…

— Signor Fisher! — intervenne aspramente Jase, scorgendo con la coda dell’occhio lampi di luce lungo la canna del fucile. La voce del Mago, esausta per la tensione, lo interruppe a sua volta, zittendo tutti.

— Allora, maledizione, spiegalo tu! Dimmi perché sei qui, perché continui a inseguire la donna che hai inseguito per sette anni, infuriato con lei, infuriato con me, con la voglia di uccidere una donna processata e condannata da anni… Sette anni, Aaron! Hai chiesto spiegazioni, mi sono fatto in quattro per cercare di darti risposte, e non vuoi nemmeno starmi ad ascoltare perché dopo sette anni di amarezza e di odio non sei capace di provare altro!

— Tu… — La parola sembrò uscire in un soffio impetuoso, come se Aaron avesse ricevuto un calcio nello stomaco. — Magico Capo…

— Signor Fisher, cercate di calmarvi!

— È lei quella che ha ucciso! Perché sono io sotto processo?

— Perché tutto questo è anche colpa tua, come di tutti gli altri!

— Mia! — disse incredulo. Il rigido autocontrollo era scomparso, ma era svanita anche la furia. Sembrava, pensò Jase, genuinamente ferito da un pensiero mai avuto. Terra aveva abbassato il fucile. Jase vide la mossa, e ci rifletté sopra, pieno di stupore. Lei aveva abbassato il fucile. Poi, con stupore ancora maggiore, pensò: “Anche lei sta ascoltando.”

— Mentre tu inseguivi Michelle Viridian per tutti questi anni, le hai dato qualcosa da cui nascondersi, da cui scappare con la stessa forza di adesso. Sei tu quello da cui lei si è nascosta in primo luogo: tu e tutto il tuo furore segreto. In questo mondo è pericoloso nascondere le cose. Se non le trasformi in linguaggio, si trasformano in qualcosa d’altro; riemergono quando pensi di averle sotterrate, le trovi dove meno te l’aspetti: la pazza con il fucile puntato alla tua schiena, la maschera sul viso della donna che amavi… hai trovato esattamente quello che cercavi, Aaron: le cose che odii.

Aaron mosse le labbra senza emettere suono. Fissò la spia luminosa dell’intercom, quasi si aspettasse di vederne uscire all’improvviso il Mago come un ologramma. Il suo viso era privo d’espressione, svanita insieme al colore.

— Sto cercando… Aaron, sto cercando di mostrarti un modo diverso di guardare quello che hai fissato con odio per sette anni. Non voglio ferirti. Cerco solo di mostrarti che non avresti mai potuto spiegare la strage di Terra, che Michelle non avrebbe mai potuto spiegarla… hai continuato a cercare la cosa sbagliata.

— Lo so — disse lui, con voce così bassa che il Mago la udì a stento. I suoi occhi catturarono bizzarramente la luce, velati da lacrime o ricordi. Tenne le mani abbandonate; tenne tutto il corpo abbandonato, come se accettasse il vuoto dell’aria. Jase si sentì d’un tratto pungere la gola. “Sette anni”, pensò. “Gli ci sono voluti sette anni per lasciar perdere. Dio santo, come riusciamo a sopravvivere, tutti noi, tra sofferenze e fuggevoli amori?”

— Mago — disse, accantonando con una scrollata di spalle quel problema, come un vecchio fardello familiare. — Avete ottenuto la nostra attenzione. Adesso potete spiegare meglio…

— Spaziomobile Ero a lancia — intervenne l’intercorri in tono aspro. — Flotta in avvicinamento alle ultime coordinate note del Pianto volante. Prego trasmettere nuove coordinate…

— A questo punto li abbiamo praticamente sotto il naso — disse Jase con irritazione. — Ora…

— Ordini per l’avvicinamento? Volete che apriamo il fuoco?

— Voglio che ve ne andiate… negativo. Raggiungeteli e scortateli.

— Signore — disse incredula Ero. - Codice cinque?

— Negativo Codice cinque. Sono disarmati.

— Signore, ne siete certo?

— Naturalmente. Sto trattando per una soluzione incruenta. Mantenete il silenzio; sgombrate i canali. Scortate e aspettate…

— Codice otto?

— Negativo — gridò Jase. — Negativo Codice otto. Niente azioni di forza. — Si interruppe perché il Mago in sottofondo aveva detto qualcosa di incoerente. — Signor Restak — disse all’improvviso, profondamente a disagio. — Mago. — Udì dietro di sé il respiro affannoso, irregolare di Terra. — Signor Restak! Rispondete! Maledizione, Ero, volete togliervi dai…

— Il bisogno — disse rigidamente Terra, congelando le corde vocali di Jase — è la luce.

7

Buio. Non il buio delle palpebre abbassate, con i suoi casuali barlumi colorati, non il buio della notte, con i suoi fuochi remoti, ma la muta, immota mezzanotte del vuoto… Lei era lì dentro. Vi era rinchiusa. Vi era sepolta. Stringeva il buio fra i denti, lo inspirava nei polmoni. Le sue ossa erano scolpite nella notte. I suoi occhi non contenevano luce. Avrebbe potuto trovarsi oltre il limite dell’universo, in un luogo in cui la luce ancora non era stata concepita.

— Questo buio — sussurrò al Mago perduto nella sua cecità personale, alle vaghe ombre umane, meno concrete di un ricordo, che tenevano lo sguardo inchiodato su di lei. — Questo buio… — Un verso di un’antica poesia le passò per la mente. «E buio su buio è buio…». È freddo, questo buio. Troppo ristretto, anche. Il buio è… una pelle che deve essere scartata…

Un occhio si aprì nel buio. Un puntino di luce.

— La stella gialla… Troppo distante. Troppo fredda. Non significa nulla. Non è messaggio. E… non reale. Non c’è fuoco, ma il ricordo del fuoco. Il bisogno… e il ricordo del bisogno. — Sentì la mente del Mago dibattersi come un piccolo insetto in una gigantesca ragnatela per liberarsi dalla sua visione, dalla sua voce. Il movimento frenetico cessò a poco a poco; la paura che il Mago avvertiva intorno a sé, dentro di sé, la paura e il ricordo della paura, si erano dileguati. Era stato davvero inghiottito dal buio, fuori dal tempo, sotto il gelido sguardo della stella gialla. Invece lei… una parte di lei legata al tempo… ricordava ancora la paura. Il cuore di qualcuno batté all’impazzata al ricordo; le mani di qualcuno, strette attorno a un fucile, erano scivolose per il sudore.

Il bisogno crebbe, la stella crebbe, come fiore profumato e pericoloso nel buio.

— Il bisogno è la luce.

La fredda stella intaccò il buio. Poiché non esisteva da nessuna parte, in nessun tempo, non provocò ombra e non diede calore. — È il ricordo di una stella — disse lei disperatamente. — Non dà nulla. — Le sue mani si mossero sull’oggetto metallico che stringeva. Qualcuno disse qualcosa: una parola acquistò esistenza in un altro mondo, un altro tempo. Un ricordo di luce le riempiva la mente, luce dal passato. — Nessun calore — mormorò. — Non nel ricordo. — Ma lei aveva con sé la luce.

Un movimento più avanti, interrotto. Assaporò la paura come una pillola di metallo. — Di nuovo — mormorò. — Di nuovo. — Ma sopra la testa non aveva il sole del deserto, e nemmeno si trovava sulla smorta sabbia prosciugata dal calore. Era in una minuscola bolla d’aria racchiusa contro un immenso buio. Davanti a lei due uomini respiravano silenziosamente, con il viso scostato dalle luci del pannello, in ombra. La guardavano. Erano talmente immobili che sembravano volerle nascondere il battito del loro cuore o i mormorii privi di senso della loro mente.

— Terra — disse il buio in tono gentile, supplichevole; e per un istante lei fu fuori della visione, e l’unica luce che vide fu la spia luminosa dell’intercom sul pannello fra i due uomini. Mosse le labbra senza emettere suono: Michelle.

— Terra.

— Il bisogno è la luce…

— Non puoi creare nessuna luce che penetri in un sogno… Non puoi creare nessuna luce che penetri attraverso una simile distesa di tenebra… Puoi solo morire. Questa volta morirai. E morirò anch’io, perché distruggerai il mio viso, il mio cuore.

— Michelle — mormorò. E allora lo sentì: il terribile, impellente desiderio di calore, di luce, di vita.

Strinse le mani sul fucile. Scagliò una luce nel buio…

Non c’era abbastanza calore nella sabbia del deserto. La luce che la inzuppava, che bruciava la pelle, non era sufficiente. Il cielo assolato, così luminoso da ferire gli occhi, non era sufficiente. Il Mago desiderò il calore, lo desiderò con tutte le sue forze, volle avvolgere se stesso nella fiamma, catturare il sole come un pesce nella rete e tirarlo a terra fino a fondere la sabbia sotto i piedi, finché il fuoco giallo non si fosse esteso da orizzonte a orizzonte.

Sollevò il fucile laser.

Udì le urla, come grida d’uccelli marini in lontananza. Non significavano nulla. Il bisogno era la luce. Pietre gli esplosero attorno, pareti e macchinari si deformarono. Il fuoco si accavallò fra terra e sole, diede al deserto una sfumatura rossastra. Il sole rosso non era caldo abbastanza, il bisogno era maggiore. Lui creò un mondo di fuoco, dipinse di luce tutto ciò che vedeva. Finché non rimase altro che il fuoco…

Si ritrovò in una notte rossa. Non c’erano rumori, a parte il fuoco che lambiva ancora gli scheletri delle caserme. Aveva le mani saldate al fucile. Alla fine le staccò, lasciò cadere il fucile. Provocò un rumore lieve nel vuoto circostante. Per un istante si chiese in quale sogno, nel sogno di chi, si trovasse. Poi cominciò a vedere le sagome sparpagliate sul terreno, bagnate di luce rossa. La luce del sole rosso. Sagome da incubo, carbonizzate, fuse, dilaniate. Un attacco, pensò. Sono l’unico sopravvissuto.

E poi, con il corpo sudato e tremante, le mani doloranti, vide cosa aveva fatto.

Emise un gemito. Si inginocchiò, sbattendo le palpebre per togliersi il sudore dagli occhi. Grigio. Pavimento grigio che si incurvava a formare il pannello di comando. Uno sciame di luci. Sotto le luci, una tastiera.

Emise un respiro che non era tenebra, che non era fuoco. Il Pianto volante era silenzioso come lo era stata la visione. Vide stivali, neri, marrone consunto, una lucente, squamosa pelle arancione che feriva gli occhi. Di colpo sul suo viso il sudore divenne di ghiaccio.

— Dio mio — mormorò. Poi udì nell’intercom la voce di lei.

— Mago.

— Terra — mormorò, timoroso di muoversi. Stivali grigi entrarono nel suo campo visivo; una mano scura si allungò verso di lui. Alzò gli occhi, vide un viso vivo.

— Magico Capo? — disse il Professore, esitante. — Stai bene?

Lui annuì, si lasciò tirare in piedi, si diresse barcollando all’intercom.

— Aaron?

— Sono qui. — La voce era poco più di un sussurro.

— Direttore Klyos? Siete… non vi ha…

— Non ha sparato — disse Jase. Sembrò al Mago che pronunciasse le parole con circospezione, come se fosse stupito di avere ancora la voce. — Non ha sparato.

— Sapete…

— Ha parlato. Le avete detto di parlare, e ha parlato. Voi no.

— Ero… ero… Il bisogno era la luce.

— Lo so.

— Lei ha creato la luce.

— Non nella lancia. Grazie a Dio.

— No — disse il Mago. Si accorse di tremare ancora, e si sedette. — Nella mia mente. L’unico luogo dove potesse farlo senza far male a Michelle. Ci ha salvati — disse, ancora incredulo, rivolgendosi sia alla lancia sia al Pianto volante. - Ci ha permesso di vivere.

La voce di Jase tornò. — È lì che eravate?

— Nel Settore Deserto. A creare la luce.

— Signor Restak… — Sembrava scosso.

— Non c’era abbastanza luce. Lo sentivo. Non c’era abbastanza luce, in tutto il Settore Deserto, in tutto il mondo… non per una creatura sotto un sole morente, che aveva bisogno di luce per nascere.

— Ora?

Immagini si formarono al limitare della coscienza del Mago, attirando la sua attenzione… Una scogliera a strapiombo nera come lo spazio profondo. Un confuso cielo rossastro sullo sfondo. Un ovale ripiegato su se stesso, di tutti i colori e di nessun colore, disteso su sabbia ametista. Una sfocata visione di una stella rossa. La scogliera. L’ovale. Il sole rosso. La voce di Terra.

— La visione.

Rivolse le parole alla minuscola stella di luce che era l’intercom della lancia. Reggeva ancora il fucile, ma ormai non se ne rendeva più conto. Gli uomini avevano distolto il viso da lei, fissavano il fuoco e il buio oltre lo schermo stellare come se le sue parole e i suoi pensieri tingessero la loro mente, creassero visioni fra le stelle.

— La sabbia viola s’increspa. Qualcosa si muove sotto la superficie… La scogliera nera. Il bisogno è raggiungere la scogliera nera. Il bisogno è…

La voce del Mago attraversò il buio, lottando con il linguaggio del sogno: — Calore. Il bisogno è… cambiare. Trasformare. Ma il bisogno non è nel sole. La scogliera nera…

— “La scogliera è una porta, un ingresso…

— “Un passaggio verso il fuoco.

— “La visione è fuoco.”

Le increspature continuarono, metodiche ondulazioni di granelli ametista, una vibrazione contro la scogliera. La scogliera stessa cominciò a vibrare.

— Non è facile stimare — disse con calma il Mago — la prospettiva all’interno della visione. La scogliera è alta un chilometro? Oppure è alta un palmo? La vibrazione è sufficiente a smuovere una pietra grossa come un pugno? O sufficiente a devastare una superficie di mille chilometri?

— La porta dev’essere spalancata.

Onde d’urto si ripercossero sulla sabbia. Il mare calmo cominciò a fremere, l’acqua si alzò sulla spiaggia come da un vaso in ebollizione.

— La porta è immensa — disse il Mago. La voce era soffocata. — Forse ogni seme della Terra ha la stessa intensa reazione esplosiva quando finalmente si divide in due, spinto verso la luce; ma sarebbe in grado di percepirne la sorgente? Il sole della visione è come quello che vedremmo noi, sul nostro orizzonte, anche se è gigantesco e offuscato… Sull’orizzonte sotto il sole morente la scogliera stessa è enorme. E anche l’essere sotto la sabbia, che si spinge verso il calore, disturba il mare…

— Fuoco e acqua.

— È un rischioso inizio di vita… un equilibrio di fuoco e di acqua, di calore e di gelo. La scogliera nera racchiude la forgia. Il crogiolo.

— Il bisogno — sussurrò Terra. — Il bisogno…

Il centro si spalancò: una grotta di denti colorati o una bocca piena di gioielli. Inghiottì i propri detriti; inghiottì l’ultimo frenetico impulso sotto la sabbia. I riflessi di fuoco dentro la grotta percossero come ali le pareti ingemmate.

— Fuoco…

Un milione di messaggi, tutti provocati dal fuoco interiore del pianeta. Giunture sigillate, superfici levigate, energia zigzagante lungo eleganti disegni di strutture. Una testa bianca esplose dalla scogliera in una pioggia di stelle. Poi l’onda di marea colpì.

— Acqua.

— La guarigione — disse Terra. La parola sgorgò come un lieve respiro.

Jase la guardò. Era seduta sul pavimento, tenendo una mano posata sul fucile al suo fianco, anche se pareva aver dimenticato l’arma, la lancia, ogni cosa o persona a bordo. I suoi occhi erano persi nel vuoto, inermi, risplendenti di visioni.

Jase tornò a girarsi verso lo schermo esterno, sentendosi stordito, spiazzato, con la testa piena della soggettiva e approssimata raffigurazione dei sogni. Le due voci si sostenevano e si sovrapponevano a vicenda. Il linguaggio non era mai del tutto preciso, danzava sempre sulla superficie della visione stessa, come luce su acqua, illuminava ma non determinava. Una trasformazione mediante fuoco e acqua… di che cosa?

— Cosa vediamo, mi chiedo — meditò il Mago. — O come? Tramite occhi alieni, la visione di una mente aliena? Oppure quest’essere osserva se stesso nel suo formarsi? Vediamo il suo stesso schema biologico, osserviamo il suo retaggio di messaggi genetici, la sua visione interiore di ordini ai quali bisogna rispondere? La scogliera, il sole, il mare, ricordi ereditari, un codice di trasformazione, per cui il sole che vediamo si trova nelle sue cellule, nel suo essere? Forse il vero sole è ancora cambiato da quando è stato ereditato il messaggio…

Un getto di vapore sgorgò dalla scogliera. Oscurò il mare, il sole, rimase sospeso come una densa nebbia tropicale sopra ogni cosa. Lunghe onde si arrotolarono come riccioli sulla sabbia, si srotolarono fino al limitare della grotta, si ritrassero lentamente, pesantemente, trascinando la sabbia con sé. Strato dopo strato di ametista, che colorava l’acqua di viola confuso…

— Un’onda — disse il Mago. — Un’altra onda… Un’altra…

Jase lanciò un’occhiata al cronometro, ma il tempo non gli si impresse in mente. Non aveva significato. “Ecco”, pensò. “Ecco la sensazione che provavo: il tempo è diverso. Tutte le mie abitudini riguardanti il tempo sono tenute in sospeso.” Si rese conto del silenzio di Aaron, accanto a sé. Concentrandosi, riuscì a sentirne il respiro, lento e quasi impercettibile, ritmato con il conteggio delle onde fatto dal Mago. Si chiese se doveva reagire, se doveva aprirsi a forza un varco nell’ipnosi generale. Poi pensò: “Al diavolo, ho chiesto io una spiegazione.”

Finalmente, dopo un numero imprecisato di onde, il Mago disse: — Ci sono dei contorni sotto la sabbia.

— Signore — si inserì la Ero.

— Qui Ero. La flotta ha raggiunto il Pianto volante e lo scorta. Richiesta di ordini.

— Limitatevi a scortarli — disse calmo Jase. — Mantenete il silenzio.

— Disegni sulla sabbia — disse Terra.

— Filigrana come ragnatela… Un merletto che ricopre la spiaggia… Qualunque cosa sia, è enorme.

Metamorfosi, pensò Jase, ricordando una delle inesplicabili allusioni di Terra. Solo che questa era una larva intelligente, e aveva un bozzolo di ametista, e si tuffava nel fuoco e nell’acqua mentre cambiava. Una larva consapevole della propria struttura, che aveva inviato uno schema della sua trasformazione attraverso chissà quanti anni luce.

— Signore. Ancora Ero - disse il comandante della flotta in tono irritato. — Stiamo intercettando conversazioni senza senso dal Pianto volante.

Jase sospirò silenziosamente. — Registratele sul giornale di bordo — suggerì. — Potrebbero essere una specie di codice. Continuate ad ascoltare.

— Signore — mormorò Aaron, destato dal suo stato di trance. — Che diavolo succede? Non riesco a smettere di vedere… di immaginare cose. Io che non ho mai avuto un briciolo d’immaginazione. Il Mago… mi fa vedere le cose che dice. E lei pure. Cosa… Come fanno?

— Non lo so. Aspettiamo.

— Ossa — mormorò Terra. — Ossa di cristallo.

Il fragile scheletro luccicante giacque immobile sulla sabbia, traendo di tanto in tanto barbagli di fuoco dal debole sole, quando la nebbia si attenuava. Il sole brillava come brace ardente fra il fumo rossastro. Un’altra onda scrosciò, si ritrasse. Un’altra.

— Il calore — disse il Mago — deve averne vetrificato la struttura. Era ancora tanto incandescente quando è strisciata fuori dalla fornace, che ha fuso la sabbia, i minerali, qualsiasi cosa ci fosse. Ha formato una membrana fra ogni… fra ogni osso. Non so di cosa sia fatta. Sembrano ali di cristallo piombato e vetro colorato. Ma non è possibile, se sono previste per volare.

— Buio — disse Terra, ma questa volta non c’era angoscia nella sua voce. — Il bisogno è vedere. Vedere il sole.

— La parte principale del corpo è ancora sepolta. Il cervello.

Jase si sorprese a cercare di immaginare un cervello alieno, poi rinunciò. Al suo fianco, Aaron si mosse leggermente, come turbato dall’identica immagine. Si girò brevemente per lanciare un’occhiata a Terra, e nei suoi occhi lo stupore lottava con l’ostilità.

— È reale?

— Dio, non lo so — disse Jase. — Aaron, cos’è più importante in questo momento? La legge? La pena? La nostra scorta di carburante? Non so cos’è reale. Ma so cos’ha attirato la mia attenzione.

— Il bisogno è vedere…

— Il sincronismo è sorprendente — disse il Mago. — I bisogni sono precisi, cruciali… un momento di fuoco, un momento di acqua, il sole… il pozzo di magma, il mare per raffreddare la creatura, l’azione delle onde sufficiente a disseppellirla, e il tutto alla luce del giorno, non di notte… Sette anni terrestri per preparare pochi istanti decisivi.

“Ma che cos’è?” pensò Jase affascinato. “Che cosa?”

— Cominciano ad apparire i contorni del corpo. Sembra… — Si interruppe con un mormorio di sorpresa. Tentò di parlare di nuovo, senza riuscirci. — Non riesco… — All’improvviso ansimava, a sprazzi. — Troppo… troppo rapido. Non posso… Non posso…

— Mago. — Terra alzò Ieggermente la voce. — Non è per te. La conoscenza. Non ascoltarla. Lascia perdere. La conoscenza non è per te. Solo la visione.

Ci fu un lungo silenzio; Jase fissò con aria assente la spia luminosa dell’intercom, come se potesse udire, sotto la statica e il debole brusio, la massa di dati che si precipitava nella mente del Mago.

— Mio Dio — disse il Mago con voce malferma. — Quella creatura è programmata come un… come un…

“Come un cosa?” gridò Jase silenziosamente.

Le onde liberavano il cilindro. La superficie nebulosa era suddivisa in uno spettro di colori. Le onde la ricoprivano, si ritraevano lungo le linee vitree, portando via lentamente, accuratamente, ogni granello di sabbia.

Il sole, visto attraverso una cortina d’acqua…

— Il sole — disse piano Terra. — Il sole rosso…

— Il sole è un rivelatore direzionale — disse a sorpresa il Mago. — Un punto di riferimento. Questo spiegherebbe tutti gli atlanti stellari che ha inghiottito. Il bisogno…

— Il bisogno è l’eternità — disse semplicemente Terra.

— Il sole rappresenta la casa. La famiglia. Il bisogno è più profondo dell’intelligenza. Il sole, anche fioco e morente, è… — Sembrò che per una volta gli mancassero le parole. — È un simbolo. Molto tempo fa dev’essere stato più di un simbolo. La stella giovane dev’essere stata la fonte di calore, il processo medesimo. Ma la stella è invecchiata; l’imperativo di trasformazione si è evoluto secondo uno schema differente. Anche così, il ricordo evolutivo persiste. L’istinto è indirizzato a quel sole.

Jase inspirò, espirò in silenzio. Quando avrebbe rivisto il sole giallo, si disse, gli sarebbe sembrato per un istante completamente estraneo.

— Si muove — disse Terra. — Le ali si muovono.

Le ali si alzarono verso il vapore, cose d’aria e di luce, quasi invisibili. Molto lentamente si ripiegarono, serrate contro il corpo, poi si spiegarono e si distesero, lunghe e splendenti, su gran parte della spiaggia. Si piegarono ancora, si aprirono gentilmente, quasi sensualmente, nell’aria calda e umida.

— È bellissima — mormorò il Mago. — Enorme, magnifica, intelligente, e…

— Cosa? — disse Jase, anche se sapeva che il Mago non lo avrebbe udito.

— Sensibile. Fa parte del suo schema d’apprendimento. È stupita di essere in vita, è contenta del vapore, è sola, è cosciente di sé, è sgomenta del sole ma ne ha bisogno, come un bambino; è capace di amare e di essere illusa… — La sua voce si spezzò di colpo, arrochita dalla tensione e dalle sue stesse emozioni. — C’è forse un’unica cosa che non è: non è affamata. — Emise una debole risata, metà di timore reverenziale, metà d’ironia. — Si è sfamata in quel fuoco… si è rifornita ed è pronta a volare.

Jase si sentì gelare il sangue, sbalordito. Una nave, pensò confusamente. Una nave vivente? Atlanti stellari nel cervello, ali come vele solari… — Dio… — mormorò quasi con rispetto. Accanto a lui Aaron era di nuovo immobile; fissava dallo schermo stellare il bagliore rosso che era il Pianto volante, e gli ardenti mondi più lontani.

— Il bisogno è volare — disse Terra. Non vedeva niente di quello che aveva attorno; i suoi occhi erano pieni della grande creatura dalle ali delicate concepita nella sabbia di cristallo, nata da fuoco e acqua, che raccoglieva nelle sue ali la luce di un sole alieno. Una lacrima le scivolò lungo la guancia. “Ha già atteso tanto questo momento”, pensò Jase. “Finirà qui? O volerà via insieme a quella creatura, dentro quel cervello alieno, a scorrazzare per l’universo? È lei che immagina tutto e trasmette la storia al Mago? In questo caso, il racconto continuerà a lungo, perché qui non c’è niente che la spinga a tornare. Ha inventato questa creatura e fa in modo che sia reale anche per noi, e rimarrà con lei fino alla morte. È il suo solo modo di evadere dall’Anello Scuro.”

— Signore — protestò Ero. - Cosa sta succedendo?

— Limitatevi ad attendere — disse piano Jase. — Eseguite i vostri ordini.

Le ali si distesero completamente e si irrigidirono. L’enorme, unico occhio mise alla prova le proprie capacità: infrarosso, raggi X, ultravioletto, luce visibile. Un intenso calore rese liquida la sabbia, sfregiò la parete screpolata della scogliera. L’acqua si intorbidò di vapore. Le ali, all’ultimo istante, si ripiegarono, si serrarono. Ci fu una sbavatura di luce.

Silenzio…

Molto lontano nelle tenebre fra i mondi la creatura riaprì le ali, si librò nei venti solari, delicata, immensamente potente e per il momento totalmente libera.

Jase si rese conto a poco a poco dei rumori circostanti: scambio di frasi fra Averno e la flotta d’inseguimento, uno scricchiolio del sediolo di Aaron, un debole segnale sonoro che indicava l’esaurirsi del carburante. Allungò la mano verso l’intercom, interruppe il gesto, fissandosi la mano, chiedendosi per un istante di chi fosse e a cosa servisse. Che creazione meravigliosa, pensò. Ti nutre, è utile nel fare l’amore, ripara una tubazione che perde, suona la musica… Il Mago. Batté le palpebre, risvegliandosi, e incontrò lo sguardo di Aaron.

Il viso del poliziotto era bianco come ossa calcinate; gli occhi, per qualche bizzarro miscuglio di emozioni e di riflessi circostanti, avevano lo stesso colore di quelli di Terra.

Terra.

Si girarono tutt’e due. Adesso la donna riusciva di nuovo a vedere; li osservava, respirando lentamente e a fatica dalla bocca. Quando loro la guardarono, inclinò la testa all’indietro, appoggiandola alla parete della cabina, quasi fosse troppo pesante per tenerla eretta. Chiuse gli occhi, per un attimo smise di respirare. Quando li riaprì, sembrava totalmente estranea.

Jase deglutì a vuoto, immobile sul sediolo. Una donna era salita a bordo della lancia; una persona del tutto estranea ne aveva occupato il corpo. I suoi occhi, pensò. Ecco cos’è cambiato. I pensieri che aveva nella mente le avevano cambiato l’espressione degli occhi.

La donna lanciò un’occhiata circolare alla cabina, poi fissò Aaron. Aveva gli occhi velati di stanchezza, ma non li teneva più concentrati con la terribile intensità di prima su eventi privati, invisibili. Sembrava sollevata da un’enorme tensione, cosciente del luogo in cui si trovava, attenta ma non spaventata. Sembrava…

Normale, pensò Jase, con la sensazione che la pelle gli si stirasse sul viso. Dio mio, era solo rinsavita.

— È finita — disse Terra. Aveva sempre la stessa voce, fragile e stanca. Poi guardò Aaron.

Lasciò quasi cadere il fucile, nel raccoglierlo; Jase vide che le braccia le tremavano. Lei attraversò la cabina lentamente, come se si muovesse sott’acqua o contro un oscuro vento impetuoso. La testa le ondeggiava; il viso, sotto le luci della cabina, era tanto pallido da sembrare livido. Aaron pareva ammaliato dal suo sguardo: non compì nessun gesto per fermarla, nemmeno quando fu abbastanza vicina da sfiorarlo. Lei gli lasciò scivolare il fucile fra le braccia.

— Perdonami.

A Jase sembrò che la donna cadesse per un tempo lunghissimo, prima che lui riuscisse ad afferrarla. Allungò la mano verso l’intercom. Aaron, finalmente in grado di muoversi, premette per primo il pulsante. — Michelle — disse. La sua voce diventò rauca, insistente, continuò a inviare quel nome nel vuoto come il battito del cuore. — Michelle. Michelle. Michelle…

8

Il ritorno su Averno fu, pensò Jase, il viaggio spaziale più tranquillo di tutta la sua vita. Il Mago aveva invertito la rotta senza una parola; il Pianto volante, circondato dalla flotta d’inseguimento, seguì lentamente la lancia in un silenzio da funerale. Aaron smise di tentare di parlare con Michelle. Comunicò con Scalo Uno a monosillabi; si rivolse a Jase una volta sola.

— Adesso cosa farete…

— Dopo — rispose concisamente Jase, e Aaron lasciò perdere.

Si spostarono a fianco dello scalo principale per guardare il Pianto volante che entrava di nuovo in Averno. Le parole d’ordine suonate dal Mago si diffusero sulla FA piene di delicata e misteriosa bellezza. Lo scalo principale si spalancò, inghiottì il Pianto volante. La flotta d’inseguimento ritornò alla Luna, e Aaron riportò con manovra impeccabile la lancia nel molo del Mozzo.

Ad aspettarli c’erano guardie, dottori, personale dell’obitorio. Jase uscì con movimenti rigidi, senza un’occhiata al corpo che giaceva sul pavimento della cabina. Il dottor Fiori lo prese per un braccio.

— Cos’è successo? Le avete sparato? — Arrossì, vedendo l’espressione di Jase. — Scusate. Avrei dovuto dire: siete stato costretto a spararle?

— Non ero armato — rispose Jase con tono glaciale. — E nemmeno il signor Fisher. È morta, tutto qui.

— Di cosa?

— Siete voi il dottore. — Mosse un passo verso la scaletta, poi si fermò. — Datele un’occhiata. Quando avrete terminato, venite nel mio ufficio. Aaron…

— Vorrei parlarvi — disse Aaron.

— Non ora. Andate a parlare a Michelle.

Aaron non si mosse, pallido in viso. Deglutì. — Non so se…

— Avete passato sette anni a cercarla! Se non altro potrete spiegarle cos’è successo a sua sorella.

Aaron lo fissò, e finalmente sulle guance gli tornò un po’ di colore. Rimase senza parole per qualche istante. Jase attese. — Ditemelo voi — disse infine Aaron con rabbia. — Cos’è successo?

Jase rimase in silenzio, raccogliendo la sfida inespressa. “Cinquantasei anni”, pensò stancamente. “Per nove anni direttore di Averno. Una carriera oscura ma rispettabile, secondo le regole, senza ambiguità. Ed ecco cosa mi tocca adesso.”

— Andate — disse piano, senza possibilità di discussione. Aaron ubbidì.

Jase riuscì finalmente a raggiungere il suo ufficio. Nils gli diede una birra gelata. Jase ne bevve tre quarti prima di parlare. Si appoggiò allo schienale della poltrona ad aria inclinato al massimo e sospirò.

— Viaggio piacevole? — chiese Nils cordialmente.

Jase fissò il tappeto. — È azzurro.

— Il magazzino era a corto di grigio. Allora, com’è morta Terra Viridian?

— Ha smesso di respirare. — Rimase qualche attimo in silenzio, grattando via l’etichetta della bottiglia di birra. Nils si sedette sul bordo della scrivania.

— Tutto qui? Musicisti in visita favoriscono evasione di detenuta, direttore cattura detenuta e malfattori senza sparare un colpo, detenuta muore, tutti gli altri vanno in galera. Fine?

Jase si strofinò gli occhi. — Sembra facile, no?

— Tutto chiaro. — Si interruppe, guardando Jase. — Quindi, dov’è il problema?

Jase lasciò ricadere la mano. Sulla soglia c’era il dottor Fiori. — Direttore Klyos?

— Avanti. — Si raddrizzò.

— Direttore Klyos, mi dispiace d’avervi assalito con una domanda così poco felice, ma volevo solo…

— Non pensateci più. Dottor Fiori, vorrei esaminare i nastri della Macchina dei Sogni riguardanti la visione di Terra.

Il dottore emise un suono soffocato e amaro. — Li ha distrutti.

— Chi? Terra?

— Sparando per aprirsi la strada. Non c’è più niente di recuperabile, nei nastri o nel computer.

Jase brontolò qualcosa.

— Prego?

— Ho detto che quadra.

Il dottor Fiori si avvicinò di un passo, guardandolo attentamente. — Perché? Ha fatto… Ha detto qualcosa, o ha fatto qualcosa mentre era con voi, che ritenete significativo? Importante?

— In un certo senso. — Si appoggiò di nuovo allo schienale, con aria stanca. — Penso che… sia rinsavita, proprio prima di morire. È arrivata alla fine della visione, ed è tornata… normale. — Rivolgendosi a Nils, che sembrava vagamente a disagio per quel discorso nebuloso, aggiunse: — È tutto registrato sui nastri della lancia.

— Cos’ha fatto? — mormorò il dottor Fiori.

— Ha dato il fucile al signor Fisher e gli ha chiesto di perdonarla. Gli aveva ucciso la moglie nel Settore Deserto, sette anni fa. È stata l’ultima cosa che ha detto. Ha semplicemente smesso di vivere.

Nils emise un fischio. — Abbiamo fatto venire Fisher quassù per fargli passare un’esperienza del genere?

— Nils, sono cose che è meglio dimenticare.

— Ma perché? — chiese il dottor Fiori. — Perché l’ha fatto? Ha ammesso il suo crimine, ha accettato la colpa, la responsabilità del dolore di un’altra persona… la donna che ho esaminato qui non ne sarebbe mai stata capace. Perché è cambiata? Direttore Klyos, cos’è accaduto nello spazio? Qualcosa dev’essere successo.

Jase lo guardò. — Secondo voi cosa può averla spinta a comportarsi così?

— Si è resa conto che sua sorella Michelle era in pericolo a causa dell’evasione, ha capito la propria colpa, ha accettato la responsabilità delle proprie azioni. Ha smesso di fuggire, si è girata ad affrontare quello che aveva fatto e… non so… avrà deciso che non voleva vivere con la sua colpa.

Jase brontolò: — Sembra plausibile.

— È questo che è successo?

— Più o meno. — Nils gli lanciò un’occhiata penetrante, poi si alzò e si accostò alla propria scrivania, volgendo le spalle a Jase. Il dottor Fiori fissò Jase, mordicchiandosi il labbro inferiore, perplesso.

— È arrivata alla fine della visione — ripeté. — Avete detto così, direttore Klyos. Avete usato il suo linguaggio.

— Già — disse Jase, sorpreso.

— Cos’è successo?

— Dottor Fiori, quando lo scoprirò ve lo farò sapere. Ve lo prometto. Ora, se volete scusarmi, dovrei prendere alcune decisioni.

Il dottor Fiori si girò per uscire. Si fermò alla porta. — Direttore Klyos, se era tutto… se era tutto così semplice… allora quale demone si è impadronito del musicista?

— Ottima domanda — disse Jase, e non rispose. Quando il dottor Fiori fu uscito, si rivolse alla schiena di Nils. — Sidney Halleck è ancora in viaggio?

— No. Quando avete detto che il Mago tornava indietro, ho rimandato la spaziomobile sulla Terra. Non mi è sembrato necessario far venire qui anche lui. — Si girò finalmente a guardare Jase, e chiese incuriosito: — Cos’è successo a Terra? Cos’è successo a voi?


Il Mago, sotto buona scorta, era occupato a registrare per Scalo Uno tre brani di Bach sulla tastiera del Pianto volante, quando Aaron salì a bordo. Alcune guardie sostavano all’esterno del portello aperto; seguirono con lo sguardo Aaron che percorreva la rampa, ma non lo fermarono. Altre due guardie, armate di fucile, si trovavano all’interno.

— Lo sorveglio io — disse Aaron. Le guardie si scambiarono un’occhiata. Lui aggiunse: — L’ho riportato indietro, no? Tutto intero, in modo che possiate far uscire ancora le spaziomobili. Datemi dieci minuti.

— Cinque minuti, signor Fisher — disse infine uno dei due. — Ma prima lasciategli terminare il nastro.

Aaron si appoggiò alla paratìa, perché non se la sentiva di sedersi. Chiuse gli occhi; per un momento riordinò passato e futuro. Era di nuovo allo scalo del Settore Costadoro; il Mago, con la schiena rivolta alla luce del mattino, suonava musica; per un istante ci fu ancora un futuro. Aprì gli occhi, udendo l’intercom gracchiare.

— Dovremmo esserci. Restate lì finché non ne siamo sicuri. Lo facciamo girare di nuovo.

Il Mago restò immobile, in ascolto. Il nastro di Scalo Uno ripeté le parole d’ordine, identiche fino all’ultima nota.

— Perfetto — disse.

— Grazie, signor Restak. Ci auguriamo che gradirete la lunga permanenza che vi aspetta in questo luogo pieno di aria riciclata, luce artificiale e alloggiamenti grandi come bare. Dite addio alla tastiera.

Il Mago abbassò lo sguardo sui tasti. Le sue spalle sobbalzarono leggermente come sotto un tocco gelido. Aaron capì all’improvviso che il Mago non l’aveva nemmeno sentito entrare.

Si sentì la gola chiusa, dolorante, ma si sforzò di parlare. — Magico Capo.

Il Mago si alzò. Tenne la mano sospesa sulla tastiera, la sfiorò appena, senza trarne alcun suono. Poi la ricoprì con cura, lanciò un’occhiata circolare alla spaziomobile, e infine guardò Aaron.

— Riportamelo tu a casa, ti spiace?

Aaron, abbandonato contro la paratia, rimase di nuovo in silenzio. — Mi spiace — mormorò. — Mi spiace.

Il Mago esaminò l’amico, o la situazione, spassionatamente. — Non venderlo, per il momento. — Teneva gli occhi sbarrati, come se avesse ancora visioni; il viso era pallidissimo.

— Non c’è nessuna possibilità che Klyos ti lasci andare. Ci sono io come testimone. C’è il giornale di bordo della lancia… anche la flotta d’inseguimento era in contatto, alla fine… — Il Mago scosse leggermente la testa e Aaron si interruppe.

— Ancora non posso pensarci — disse in tono lamentoso. — Quando lei… quando Terra è morta…

— Hai condiviso le sue sensazioni? — mormorò Aaron.

— Non ero mai morto prima.

— La maggior parte della gente non sa cosa vuol dire… Muore prima di… — Ci rinunciò con un gesto di stizza. — Klyos…

— Non potrebbe mai presentarsi in tribunale a parlare di un alieno su un altro pianeta, e continuare a essere direttore di Averno.

— Io lo costringerò. Lo assillerò. Stiamo parlando di verità, di giustizia, di legalità…

— Stiamo parlando di un alieno — disse pazientemente il Mago — e in qualsiasi modo ne parliamo sembrerà sempre che ci comportiamo esattamente come Terra: questo era nella visione; questo nella visione non c’era; la visione è finita.

— Lo sospetti soltanto? — chiese Aaron avventatamente. — O hai già visto che accadrà?

Il Mago lo guardò in silenzio. — Sto facendo un’ipotesi fondata — disse stancamente. — Sono troppo sfinito per avere ancora visioni. Gli altri quattro probabilmente non hanno nulla da temere. M’importa solo questo, per il momento. È me che vogliono. — Lanciò un’occhiata al portello, sentendo un rumore di passi. Aaron non si mosse, rifiutandosi ancora per un istante di concedere ad Averno tutto il passato del Mago.

— No.

Un guizzo attraversò l’insolita tenebra che velava gli occhi del Mago. Il musicista toccò leggermente Aaron. Sembrò di nuovo quasi umano. — Hai parlato con Michelle?

— No. — Aaron guardò con rabbia il pavimento, avvertendo la sorpresa del Mago. — Anch’io sono spaventato — ammise schiettamente. Le guardie rientrarono nella spaziomobile. Fecero un cenno silenzioso, perentorio. — Dove lo portate? — chiese Aaron, guardando l’amico scendere la rampa. Il Mago ammiccò un pochino, a metà strada, come se fosse uscito bruscamente alla luce.

— Sicurezza AC, livello B.

— Sono lì anche gli altri?

— Sono tornati agli alloggi per gli ospiti — disse la guardia da sopra la spalla. — Sotto sorveglianza.

Aaron si soffermò vicino al portello finché il Mago, affiancato da sei guardie, ebbe attraversato il molo e fu scomparso. Senza guardarsi indietro. Sentì un bizzarro senso di vuoto spalancarsi alle sue spalle; il Pianto volante, spogliato di ogni magia e musica, era solo un’altra vecchia spaziomobile piuttosto sciupata. Un bisogno irresistibile lo spinse a muoversi.

Quando si fermò davanti agli alloggi degli ospiti, sentì sul viso un leggero velo di sudore freddo. Le guardie, riconoscendolo dall’uniforme di settore, aprirono la serratura della porta. Quasar passeggiava avanti e indietro aspirando fumo, il Professore se ne stava accartocciato tristemente su una sedia, Nebraska traeva con le labbra un sommesso lamento malinconico da un piccolo strumento rettangolare. Michelle, raggomitolata in un angolo del divano, sollevò la testa, scostandosi i lunghi capelli dagli occhi.

Aaron sentì che tutte le parole gli svanivano dalla mente. Incontrò gli occhi di lei, incapace di reagire, di muoversi, di parlare. Non riusciva a scorgere l’espressione che lei aveva sul viso; la vista gli si era leggermente annebbiata.

— Ti ho cercata… ti ho cercata per sette anni — disse infine, con l’impressione che fosse un altro a parlare. — Non so perché sia così spaventoso superare questi ultimi due metri. C’è una cosa che devo assolutamente dire. L’ultima cosa che Terra… che Terra disse a me. — Udì debolmente la sua voce, in lontananza, una domanda. — Perdonami.

Allora riuscì a camminare alla cieca verso di lei, sperando che fosse lì a incontrarlo, dove il passato terminava e iniziava il futuro.


Jase era seduto in ufficio e guardava corrucciato le parole sullo schermo.


Complotto…

Assalto…

Distruzione…

Fallimento…

Morte…


Tutte appropriate. Tutte vere. Eppure in un certo senso tutte imprecise.

Nils lavorava in silenzio alla propria scrivania, occupandosi dei rapporti, sforzandosi di inviare le spaziomobili a disposizione dov’erano indispensabili finché perdurava il blocco dello scalo principale. Sembrava dimentico di tutto; però, quando Jase cancellò tutto ricominciando da capo per la quarta volta in un’ora, commentò: — In genere non vi ci vuole tanto tempo per fare un rapporto. Di solito li fate di getto, a voce.

— Sono stanco — disse aspro Jase. Nils sollevò la testa, mantenendo un’espressione accuratamente neutra.

— Limitatevi a riferire — suggerì. — A raccontare cos’è successo. Avete prove sufficienti a far rinchiudere il Mago per buona parte della sua vita.

— Lo so.

— È vero.

— Lo so.

— Aaron Fisher…

— Aaron — ripeté piano Jase. Nils inspirò una o due volte, per calmare la confusione o, pensò Jase, la collera provocata da un comportamento non proprio ineccepibile, che tradiva una sorprendente debolezza. “Lui sa”, pensò Jase. “Odia saperlo, ma lo sa. Che il linguaggio che mi serve per questo rapporto non compare da nessuna parte.”

— Aaron Fisher è stato al vostro fianco per tutto il tempo. Farà il suo rapporto; confermerà il vostro. È tutto chiaro, dall’inizio alla fine.

Jase si appoggiò allo schienale, accorgendosi che cominciava ad andare in bestia. — Maledizione, Nils, l’unica cosa chiara in questa faccenda è che se dico la verità perdo il posto.

Nils lo fissò. Diventò tutto rosso. — No — disse. — Non potete dirmi questo. Non potete nemmeno insinuarlo. Che questa… faccenda della visione… che Terra era… non era…

— Io potrei anche non dire niente — disse Jase, fissandolo negli occhi. — Ma ho idea che Aaron dirà tutto.

Nils si alzò a mezzo, si lasciò ricadere sulla sedia. Jase guardò la furia del suo vice calmarsi lentamente. Alzò le mani sulla tastiera, sfiorò i tasti, poi le lasciò ricadere. Si chinò in avanti, prendendosi il viso fra le mani. Quando Jase riuscì a guardarlo di nuovo in viso, sembrava intontito.

— Merda.

— Proprio così — concordò Jase.

— Non ne voglio sapere niente.

— Me l’hai detto tu di limitarmi a raccontare cos’è successo.

— Non può essere vero.

— D’accordo. — Si strinse nelle spalle. — Metterò il Mago nell’Anello Chiaro, e la faccenda sarà chiusa. Oppure dirò quel che è accaduto realmente, e tu avrai il mio…

— Se lo fate — lo avvisò Nils — vi faccio saltare i denti. — Poi emise un sospiro, e il suo viso segnato mostrò tutta la tensione delle ultime ore. Diede un’occhiata allo schermo, batté due o tre ordini. Lasciò ricadere le spalle, fissò Jase.

— Ci sono cinque cadaveri all’obitorio. È stata Terra, prima di andarsene.

— Lo so — disse Jase.

— Ha distrutto le roboguardie. Per non parlare di qualche decina di monitor e di quest’ufficio.

— Lo so.

— Il Mago ha effettivamente bloccato due terzi delle spaziomobili operative della Stazione Comando di questa zona. Poteva essere una catastrofe.

— Sì.

— Voi e il signor Fisher l’avete inseguito da soli, e disarmati. L’avete riportato indietro.

— Sì — disse pazientemente Jase.

— Be’ — disse Nils, alzando di nuovo la voce — non vi daranno certo una medaglia, se vi metterete a parlare di visioni! Attenetevi ai fatti! Non avete da fare altro. Nessuno vuole altro, da voi.

Jase rimase silenzioso, fissando il suo riflesso scuro sullo schermo vuoto. C’è il giornale di bordo della lancia, pensò; e ricordi delle ricche, vivide immagini aliene gli passarono per la mente. Fuoco e acqua… il gigantesco sole rosso splendente attraverso il vapore sopra un mare tormentato… l’enorme nave vivente che sollevava lentamente le ali… Chissà se in un prossimo futuro un poliziotto in normale servizio di pattuglia su una spaziomobile attorno allo straordinario pianeta da cui era partito avrebbe intercettato quella creatura e avrebbe perso la voce per il terrore e la meraviglia. “Siamo nati circondati da misteri”, pensò. “Facciamo i nostri compromessi con il terrore, con il meraviglioso, in modo da poter continuare il nostro semplice compito di restare in vita giorno dopo giorno… Raggiungiamo un equilibrio sul cavo più alto, avanziamo lentamente passo dopo passo, mentre il cavo vibra e il vento soffia, e nessuno vuole che l’ignoto, l’inaspettato, munito di ali come un insetto alieno uscito da una variopinta e gigantesca giungla ci passi vicino e ci faccia perdere l’equilibrio…”

— Jase — disse Nils, e lui ammiccò, stupito. — Sullo schermo c’è un messaggio dell’UIGLM. Vogliono parlare con voi.

— Prendi tempo.

— Quanto? — chiese Nils con asprezza. — Quanto tempo?

— Quanto basta — disse Jase, prendendo infine una decisione — perché possa parlare con il signor Restak. Vallo a prendere, per favore. E…

— Non ho nessuna intenzione di lasciarvi qui dentro da solo con lui. Ho appena terminato di cancellare le tracce della sua ultima visita.

— Voglio che tu sia presente — disse piano Jase. — Sto solo cercando di seguire i tuoi suggerimenti. Sto cercando di svolgere il mio lavoro…

Il prigioniero giunse scortato da sei guardie. Aveva i polsi legati. Era pallido, con la barba lunga, completamente esausto. Ascoltò in silenzio, senza espressione, mentre Jase diceva alle guardie: — Slegatelo. E aspettate fuori.

Il direttore non disse altro, finché le guardie non furono uscite. Il Mago lanciò un’unica occhiata a Nils, poi aspettò rassegnato che Jase si appoggiasse allo schienale della sedia e affrontasse il problema.

— Signor Restak — disse infine Jase — vi rendete conto dell’impressione che susciterete quando sarete processato?

Il Mago sembrò sorpreso. Sul viso gli tornò un po’ di colore. — Ci ho riflettuto — disse.

— Se una volta nella vita qualcuno tira fuori sciocchezze del genere, è solo una bizzarra curiosità. Due volte in sette anni… — Scosse la testa. — Potrebbe essere imbarazzante. Potrebbe. Non lo so. — Il Mago lo osservò in silenzio, come se cercasse di udire quel che Jase non diceva.

— La visione è finita — disse infine a bassa voce. — Terra è morta, io sono tornato indietro. Non ci sono state comunicazioni fra il Pianto volante e la lancia, dopo.

— No.

— Quindi non ho idea di cosa… — Si interruppe, cercando le parole. — Di quanto abbiate capito.

Jase si chinò sulla scrivania. Con la coda dell’occhio scorse Nils ingobbirsi ancora di più sul proprio lavoro, cercando di non ascoltare, senza nessuna voglia di ascoltare. Emise un sospiro. — Signor Restak, non sono pagato per capire. Sono pagato per occuparmi di cose che succedono o che non succedono. So quel che è successo sulla lancia. Sto solo cercando di stabilire quanta importanza debba rivestire per me.

Il Mago aprì bocca per parlare, poi si bloccò. I suoi occhi erano cambiati. — Credete…

— No. Ho visto, signor Restak. — Si interruppe, ripeté piano, quasi a se stesso: — Ho visto. — Dentro di sé rivide l’immagine che Terra e il Mago gli avevano piantato nella mente, la creatura che spiegava le sue vele scintillanti sul nero mare tenebroso fra i soli. Mentre la terribile stanchezza gli svaniva dagli occhi, il Mago sembrò leggere la mente di Jase, sembrò osservare anche lui la creatura. Per un istante l’ufficio si riempì di un tranquillo silenzio infinito. — Il punto è, signor Restak — continuò Jase — che io sono seduto qui nel mio ufficio, e voi siete lì in piedi con sei guardie in attesa di scortarvi di nuovo in cella di sicurezza. Il giornale di bordo della lancia è ambiguo, e il signor Fisher dopo tutto è amico vostro, e quindi inattendibile. Il punto è, signor Restak, cosa devo fare di voi, perdio?

Il Mago cambiò leggermente posizione, come se la domanda di Jase gli avesse fatto perdere l’equilibrio. Nils ormai non faceva nemmeno più finta di ascoltare.

— Be’ — disse finalmente il Mago, con il viso impassibile che mascherava la speranza, giocando il suo ultimo jolly. — Non volevate un trasferimento?

9

Jase e Sidney Halleck erano seduti al bancone di mogano del Constellation Club e sorseggiavano birra. Erano le tre e un quarto del mattino. Nel club non c’era nessuno, a parte il Mago che suonava qualcosa di gentile e complicato sul palco più vicino. Era passato un anno dall’ultima volta che Jase l’aveva ascoltato suonare. Aveva creduto che l’ambiente terrestre, pieno di colore e di frastuono, avrebbe fatto sbiadire i suoi ricordi della vita trascorsa nello spazio. Ma si ritrovava sempre a bere birra a denti stretti.

— Su quel palco ho messo da poco un pianoforte nuovo — disse Sidney, covando con gli occhi il Mago e lo strumento. — Di antica fattura tedesca, molto bello. Pare che al Mago piaccia.

— È abbastanza grande — disse cortesemente Jase.

— I Nova si sono esibiti qui stasera in ricordo dei vecchi tempi. Se foste arrivato un po’ prima, avreste potuto ascoltarli. Il Mago non si è ancora accorto che lo spettacolo è finito… Partiranno domani per il Settore Arcipelago.

— Vengo proprio da lì.

— Bello, no?

Jase annuì. — Credo di essermene andato appena in tempo.

Lo sguardo di Sidney vagò dal palco al viso di Jase. — Posso dirgli di smetterla — suggerì. Jase scosse la testa, provando una sensazione di rilassamento sotto lo sguardo tranquillo di Sidney.

— No — sospirò. — E solo che… non mi sento mai veramente tranquillo vicino al signor Restak. A vederlo lassù, sembra abbastanza inoffensivo. Ma dove c’è lui succede sempre qualcosa. Non l’ho più visto da quasi un anno. Presento le dimissioni, per un po’ giro il mondo, a un certo punto mi capita una sosta di sei ore in piena notte, e allora vengo qui a farvi una visitina. Varco la soglia e scopro che questa è l’unica serata in cui il Mago e i Nova suonano qui. Non sono paranoico, e nemmeno molto dotato d’immaginazione. Ma quell’uomo mi fa sentire a disagio.

Sidney si chinò sul bancone, prese un bicchiere pulito dalla rastrelliera e lo sistemò sotto un’antica spina da birra. Abbassò la maniglia e un rivolo di birra scura riempì lentamente il bicchiere. — Direi che è comprensibile. La sua libertà vi è costata il lavoro.

— No — disse Jase onestamente. — Non la metterei in questo modo.

— Vi siete rifiutato di presentare accuse.

— Non si è trattato di questo. La scheda del Mago era candida come la neve; c’era una multa per eccesso di velocità, forse una per divieto d’attracco. Tutto qui. I poliziotti erano furiosi con lui perché era stato abbastanza furbo da chiuderli dentro per qualche ora. Ma erano pur sempre gli stessi uomini e le stesse donne che avevano voluto assistere al suo concerto. Lui non ha fatto male a nessuno. Sono stato io a portare Terra fuori da Averno. Il Mago aveva commesso qualche infrazione, ma non era un criminale, non c’erano risentimenti profondi contro di lui. E io ho avuto l’appoggio di Aaron, quando mi sono rifiutato di presentare accuse. E avevo inoltre la mia reputazione personale. Che contava qualcosa. No. C’era un solo particolare che esigeva un prezzo. E un prezzo maledettamente caro.

— L’alieno — disse quietamente Sidney.

Jase annuì. — Nel momento in cui avanzai l’ipotesi che forse Terra Viridian non era affatto pazza, in quel momento decisero che il pazzo ero io.

— C’era davvero?

— Che cosa?

— L’alieno.

Jase puntò lo sguardo sul Mago che era ancora assorto nella sua musica. — L’ho lasciato andare, no?

Sidney mormorò qualcosa. Posò sul banco il bicchiere pieno di birra. Jase ne bevve un sorso. Gelata, color melassa, con una corona di schiuma bianca… per un attimo rese piacevole anche la musica del Mago. Jase si pulì le labbra. — È tutto quello che volevo.

— Cosa? — disse Sidney, sorridendo.

— Nove anni trascorsi come direttore di Averno, e tutto quello che volevo davvero era una birra alla spina gelata.

— Può darsi — mormorò Sidney. Il sorriso gli svanì dal viso; i suoi occhi, gravi e meditabondi, cercarono di nuovo il pianista. — Senza di voi, sarebbe ancora là. Su Averno, a dimenticare nota dopo nota tutta quella musica… Da amico, sono lieto per lui che lassù ci foste voi. Chiunque altro avrebbe…

— Ah… — lo interruppe Jase, scrollando le spalle. — Mi sentivo in trappola, su Averno. Volevo uscirne. Il mio vice era la persona adatta a cui affidare l’incarico, quindi non ho avuto rimorsi. Ho detto all’UIGLM che sarebbe stato un direttore molto in gamba, e loro hanno inghiottito amo, piombo e lenza. Nils non ama molto gli alieni, ma a parte questo è all’altezza del compito.

— Adesso cosa farete? Non vi ci vedo a fare il turista per tutta la vita.

— Quando troverò un posticino tranquillo con sole, acqua e la possibilità di pescare, aprirò un piccolo ufficio privato di investigazioni e consulenza. Mi piace lavorare a contatto con la gente… — Bevve un’altra sorsata di birra. Un brano di musica veleggiò nella sua mente, così dolce e misurato che gli sembrò di udirlo con l’orecchio del Mago. Lo riconobbe; era come una chiave che liberava i ricordi. Alzò lo sguardo, quasi aspettandosi di udire la propria voce ripetere quel brano come una parola d’ordine.

Ma si trovava nel Constellation Club, non su Averno. Strinse con forza il bicchiere fra le mani. Intuì che Sidney lo osservava. Disse a voce bassa: — Quella notte… durante quel lungo volo in una visione aliena… con una pazza che mi puntava il fucile alla schiena, con Averno paralizzato, mentre davo la caccia a un uomo che aveva inventato nuove leggi da infrangere, ci fu un momento in cui fui costretto a guardare con stupore la struttura della mia stessa mano… Fu quello il momento in cui non ebbi scelta, in cui seppi cosa accadeva.

— Quando vidi Aaron — disse Sidney con semplicità — seppi che doveva essere accaduto qualcosa di straordinario.

— Aaron… Mi avrebbe dato la caccia per tutta la vita, se non avessi lasciato andare il Mago. E quello che lui insegue finisce per andare da lui.

— Non è più qui — sospirò Sidney. — L’hanno trasferito al sud.

— Lo so. L’ho tenuto d’occhio.

— Gli hanno affidato il comando di una stazione di polizia. Per cui non capita spesso che veda lui o la Regina di Cuori. Dice che è stato trasferito per colpa vostra: avete esagerato con gli encomi.

Jase scosse la testa. — Non saranno mai sufficienti, non basteranno a far dimenticare loro che quando mi sono rifiutato di presentare accuse formali contro il Mago, lui mi ha spalleggiato totalmente. Rimarrà quest’ombra, nel suo stato di servizio. L’UIGLM sa che durante quel volo è successo qualcosa di più della solita routine, ma non vuole sentirsi dire che cosa. Un direttore di Averno che perde la bussola può essere accettabile, ma un poliziotto terrestre con uno stato di servizio impeccabile che lo spalleggia in tutto e per tutto non può essere spiegato facilmente. Per quanto lo abbia elogiato, loro vedono solo che gli elogi provengono da me.

— Anche voi avevate uno stato di servizio impeccabile — ribatté Sidney.

— Fino a quando non ho pronunciato una parola di sei lettere. È buffo come quella parola renda nervosa la gente. — Si sciacquò dalla gola l’amarezza, con una sorsata di birra, e si ritrovò ad ascoltare ancora la musica del Mago. — Non la smette mai?

— Sono stupito che non si accorga della vostra presenza.

— Dovunque vada — brontolò Jase — mi tocca ascoltare la loro musica. Trovo un cesso di bar piccolo e buio, mai spazzato dalla nascita del GLM, che non riconoscerebbe la luce del sole se entrasse: qualcuno accende la tele, ed eccoli lì. I Nova.

Sidney sorrise. — L’occasione di fermarli l’avete avuta. Li avete resi famosi, permettendo loro di continuare la tournée.

— Lo so. E anch’io avrei potuto essere un eroe… inseguendo pericolosi criminali con la spaziolancia, riportando tutti quanti su Averno… l’UIGLM mi avrebbe mandato mazzi di fiori e una targa ricordo.

— Sarebbe stato più facile per voi — disse gentilmente Sidney.

— Quando l’avessero piantata di darmi medaglie e ridermi dietro a causa di Bach, mi avrebbero lasciato lì seduto per altri dieci o vent’anni. Direttore di Averno, senza via d’uscita. Mi piace il profumo della terra…

— Aaron e la Regina di Cuori e il Mago mi hanno raccontato a spizzichi cosa accadde quella notte — disse Sidney, prendendo altri due bicchieri. — Mi sembra un racconto sconclusionato. Forse, senza tener conto della visione del Mago sembrerà sempre sconclusionato. Ma continuo a non capire perché, di tutta la gente che c’era al mondo, abbiate fatto venire lassù proprio Aaron, in quel momento preciso e con motivazioni così vaghe. O come mai abbiate collegato la Regina di Cuori a Michelle Viridian. O da dove sia spuntato il dottor Fiori, proprio al momento giusto per tirar fuori Terra dalla sua cella. Eravate un uomo molto occupato. Come mai avete badato tanto a un particolare così insignificante come una ricevente guasta?

— Avete mai avuto premonizioni?

— Ho la premonizione che stiate per raccontarmi una lunga storia.

— Avete tempo?

— Tempo, e birra.

— Tutto è cominciato — disse Jase — con una poesiola infantile.

Prima che terminasse le pareti del club avevano cambiato colore due volte, e sul banco c’era una piramide di bicchieri vuoti. Il Constellation Club, all’occhio di Jase, rappresentava la terra al più alto grado di armonia e civiltà. Persino la musica del Mago, dovette ammettere, poteva sembrare piacevole a qualcuno.

— Dio del cielo — disse Sidney, incredulo. — Volete dire che avrei potuto ritrovarmi lassù a suonare Bach per una flotta di spaziomobili in modo che potessero catturare il Pianto volante?

— Vi volevamo proprio per questo. Fortunatamente, la visione del Mago finì e lui tornò indietro prima che voi arrivaste ad Averno.

— Ecco allora cosa avete visto, la vostra premonizione di un disastro: Terra Viridian evasa da Averno. — Batté leggermente le palpebre, alzò un bicchiere vuoto, poi trovò quello giusto. — Adesso ricordo. Anche il Mago ebbe una premonizione.

— Altro che! Quando?

— La notte precedente la nostra prima conversazione. Lui era qui e suonava il piano. Per ore. Non l’avevo mai visto in uno stato simile. Non si fermava mai, non parlava… Più tardi disse che, mentre suonava, vedeva Averno orbitare… Una cosa molto bizzarra.

Jase emise un brontolio. Sentì che i piacevoli fumi della birra gli abbandonavano piano piano il cervello, lasciandolo alla deriva nelle ore piccole, senza riposo e con la barba lunga, con addosso gli stessi vestiti sporchi che portava da 7 mila chilometri. Spostò a malincuore lo sguardo dagli ottoni lustri e il legno tutt’attorno al palco dove il Mago suonava ancora.

— Quindi di solito non si comporta così? Non passa ore intere a suonare.

— No.

— Lo sta facendo adesso.

Sidney si mosse a disagio sullo sgabello. — Sono le cinque passate — disse sorpreso.

— Guardava Averno orbitare?

— È quello che ha detto.

Tutt’e due osservarono il Mago, che si muoveva instancabile, aggrottando lievemente le sopracciglia per concentrarsi, o come qualcuno tutto preso da un sogno avvincente. Jase disse a caso: — Forse gli piace semplicemente suonare il piano.

Sidney raccolse fra le dita dei bicchieri vuoti, li sollevò in aria e li lasciò cadere. Jase sobbalzò al fracasso. Nonostante ciò gli occhi del Mago non ebbero nessuna reazione.

— Signor Restak! — gridò Jase, pregando che la testa del Mago sobbalzasse, che le sue dita inciampassero sui tasti. Il Mago, sordo come un ologramma, rimase impassibile.

— Potrebbe essere qualsiasi cosa — mormorò Sidney. — Potrebbe essere…

— Potrebbe essere qualsiasi cosa — disse Jase in tono sinistro — tranne che per un piccolo particolare. Io mi trovo qui.

Sidney gli lanciò un’occhiata. Si alzarono contemporaneamente. Sul palco, in piedi ai lati del Mago che continuava a suonare, erano ancora fuori del suo campo visivo periferico. Sidney toccò il Mago, lo chiamò per nome. Finalmente, con gentilezza, Jase allungò la mano e gli afferrò la sinistra nel bel mezzo di un arpeggio, staccandola dalla tastiera.

— Signor Restak.

Anche la destra si arrestò. Il Mago sollevò su Jase lo sguardo, pallido, ansante, mostrando la stessa sorpresa di chi viene bruscamente strappato da un sogno, non ancora sveglio del tutto.

— Ci guarda orbitare — disse.


FINE
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