IV IL FREDDO IN MEZZO

Arpista, Fabbro, Pellaio, Tessitore,

Minatore, Pastore, Bracciante e Signore,

radunatevi tutti e udite attentamente

dell’Uomo del Weyr il consiglio prudente.

Riuscirono entrambi a non farsi sfuggire neppure un’allusione al suo ritorno prematuro quando parlarono con F’nor la mattina seguente. F’lar chiese a Canth di mandare il suo cavaliere nell’alloggio della regina non appena si fosse svegliato e fu soddisfatto nel vedere che F’nor arrivò quasi subito. Forse il cavaliere marrone notò lo sguardo stranamente intento lanciato da Lessa al suo volto fasciato, ma non diede segno di essersene accorto. Anzi, nel momento in cui F’lar espose l’ardito piano di esplorare il Continente Meridionale, con la possibilità di crearvi un Weyr dieci Giri di tempo prima, F’nor sembrò dimenticare le proprie ferite.

«Ci andrò volentieri, purché tu mandi T’bor insieme a Kylara. Non posso aspettare che N’ton e il suo bronzeo siano abbastanza cresciuti per occuparsi di lei. T’bor e Kylara sono…» F’nor si interruppe, rivolgendosi a Lessa con una smorfia. «Beh, sono una coppia, per quanto lo si può essere. Non mi dispiace venire… importunato, ma ci sono certi limiti che non sono disposto a superare, neppure per amore dei draghi.»

F’lar riuscì a nascondere a fatica il divertimento per la riluttanza del fratellastro. Kylara cercava di esercitare il proprio fascino su tutti i dragonieri, e poiché F’nor non si era dimostrato molto malleabile, era decisissima a spuntarla prima o poi.

«Spero che due bronzei siano sufficienti. Può darsi che Pridith abbia idee tutte sue, al momento del volo nuziale.»

«Non puoi trasformare un marrone in un bronzeo!» esclamò F’nor, così preoccupato che F’lar non riuscì più a trattenersi.

«Oh, piantala!» Quell’esclamazione scatenò l’ilarità di Lessa. «Siete proprio una bella coppia!» scattò F’nor, alzandosi. «Se dobbiamo andare a Sud, Dama del Weyr, faremmo meglio a muoverci. In particolare se dobbiamo dare a questo pazzo il tempo di ritornare serio prima dell’arrivo dei Signori. Mi farò consegnare le provviste da Manora. Allora, Lessa? Vieni con me o no?»

Soffocando le risate, Lessa prese la tenuta di volo foderata di pelliccia e lo seguì. Se non altro, quell’avventura sembrava incominciare bene.

Portando con sé la caraffa di klah e il boccale, F’lar entrò nella Sala del Consiglio, cercando di decidere se doveva parlare o no di quella spedizione al Sud con i Signori e i Maestri delle Arti. La capacità di volare in mezzo nel tempo, oltre che nello spazio, non era ancora ben conosciuta. Forse i Signori non avrebbero capito che era stata sfruttata íl giorno precedente per liquidare il primo assalto dei Fili. Se avesse potuto avere la certezza che il progetto sarebbe riuscito… certo, avrebbe aggiunto una nota ottimistica alla riunione.

Avrebbe lasciato che a rassicurare i Signori provvedessero le carte su cui apparivano chiaramente le ondate ed i tempi degli attacchi dei Fili.

I visitatori non impiegarono molto tempo a radunarsi; e non tutti riuscirono a nascondere l’apprensione e il turbamento causati dalla ricomparsa dei Fili, discesi dalla Stella Rossa per minacciare tutte le forme di vita su Pern. Sarebbe stata una riunione molto difficile, si disse F’lar, cupamente. Represse il rimpianto di non essersi recato con F’nor e Lessa nel Continente Meridionale, e ricominciò a studiare con impegno le carte che aveva davanti.

Poco tempo dopo gli ospiti erano tutti arrivati, tranne due, Meron di Nabol, di cui avrebbe preferito fare a meno perché era un piantagrane, e Lytol di Ruatha. F’lar lo aveva mandato a prendere per ultimo perché non voleva che s’incontrasse con Lessa. Lei era ancora chiaramente irritata, a torto, secondo l’opinione di F’lar, per aver dovuto rinunciare alla signoria di Ruatha in favore del figlio postumo di Dama Gemma. Lytol, come Connestabile di Ruatha, aveva diritto a presenziare alla conferenza; era un ex dragoniere, e il suo ritorno al Weyr era già abbastanza doloroso, senza bisogno che Lessa facesse pesare il proprio risentimento. E Lytol, insieme al giovane Larad di Telgar, era l’alleato più prezioso del Weyr.

S’lel entrò seguito da Meron. Il Signore era furioso per quella convocazione: lo dimostrava nel modo di camminare, nello sguardo, nel portamento altezzoso. Ma era incuriosito. Salutò soltanto Larad, tra tutti i Signori, e andò a sederglisi a fianco. I modi di Meron fecero capire a F’lar che considerava insufficiente la distanza tra loro due.

Il Comandante del Weyr ricambiò il saluto di S’lel e gli accennò di accomodarsi. Era stato lui stesso a decidere l’assegnazione dei posti nella Sala del Consiglio, e aveva sistemato con cura i dragonieri bronzei e marroni in mezzo ai Signori e ai Maestri delle Arti. Adesso, benché l’ambiente fosse molto ampio, c’era a malapena lo spazio per muoversi; ma non ce n’era abbastanza per sguainare le daghe, se l’atmosfera si fosse riscaldata troppo.

Nella sala scese il silenzio, e F’lar alzò gli occhi. Vide che il robusto ex dragoniere, divenuto Connestabile di Ruatha, si era fermato sulla soglia. Alzò lentamente la mano, salutando con rispetto il Comandante del Weyr. Mentre ricambiava il saluto, F’lar osservò il tic che faceva contrarre in continuazione la guancia dell’altro.

Con occhi rabbuiati dall’angoscia e dall’inquietudine, Lytol scrutò i presenti. Salutò con cenni del capo i suoi ex compagni di squadrone, poi Larad e Zurg, capo della sua Corporazione dei Tessitori. Si avviò a passo rigido verso l’unico posto rimasto libero, mormorando un saluto a T’sum, seduto alla sua sinistra.

F’lar si alzò.

«Vi ringrazio di essere venuti, buoni Signori e Maestri delle Arti. I Fili hanno incominciato a cadere. Il primo attacco è stato liquidato. Nobile Vincet…» Preoccupato, il Signore di Nerat alzò gli occhi. «Abbiamo inviato una pattuglia nella foresta pluviale per un sorvolo a bassa quota, a controllare che non vi siano Fili interrati.»

Vincet deglutì innervosito e impallidì al pensiero di ciò che potevano fare i Fili alla sua terra fertile e verdeggiante.

«Avremo bisogno dell’aiuto dei tuoi migliori uomini della giungla…»

«Aiuto? Ma hai detto… che avete liquidato il primo attacco…»

«È inutile correre rischi,» rispose F’lar, facendo capire che il volo di pattuglia era soltanto una precauzione, anziché una necessità.

Vincet deglutì ancora, si guardò ansiosamente intorno alla ricerca di un appoggio, e non ne trovò. Tra breve, anche tutti gli altri si sarebbero trovali nella sua stessa situazione.

«Tra poco arriveranno due pattuglie anche a Keroon e ad Igen.» F’lar guardò prima il Nobile Corman, poi il Nobile Banger, che annuirono gravemente. «Mi sia permesso dire, per tranquillizzarvi, che non vi saranno altri attacchi, per tre giorni e quattro ore.» E batté la mano su una delle carte. «I Fili cominceranno a cadere approssimativamente qui, su Telgar, poi andranno alla deriva verso Ovest, attraverso la parte meridionale di Croni, che è montagnosa, e poi passeranno sopra Ruatha e sull’estremità Sud di Nabol.»

«Come puoi esserne così certo?»

F’lar riconobbe immediatamente la voce sprezzante di Meron di Nabol.

«I Fili non cadono a caso, Nobile Meron,» rispose. «Scendono secondo uno schema perfettamente prevedibile; gli attacchi durano esattamente sei ore. Gli intervalli tra gli attacchi si ridurranno, poco a poco, durante i prossimi Giri, via via che la Stella Rossa si farà più vicina. Poi, per circa quaranta Giri completi, quando la Stella Rossa ci passerà accanto e si allontanerà da noi, gli attacchi si ripeteranno ogni quattordici ore, investendo il nostro mondo secondo una precisa tabella oraria.»

«Questo lo dici tu,» ringhiò Meron. Si levò un mormorio sommesso di approvazione.

«Questo lo dicono le Ballate dell’Insegnamento,» intervenne Larad, in tono fermo.

Meron lanciò un’occhiata aspra al Signore di Telgar e riprese a parlare.

«Ricordo un’altra delle tue predizioni. Avevi detto che i Fili avrebbero cominciato a cadere subito dopo il Solstizio.»

«E così è stato,» l’interruppe F’lar. «Sono caduti sotto forma di polvere nera, al Nord. E se abbiamo potuto godere di questo rinvio, dobbiamo ringraziare la fortuna, che ci ha mandato un inverno eccezionalmente lungo e freddo.»

«La polvere?» chiese Nessel di Crom. «Quella polvere era… i Fili?» Quell’uomo era un consanguineo di Fax e subiva l’influenza di Meron; era anziano, e aveva imparato la lezione dal comportamento sanguinario del bellicoso parente, ma non aveva mai avuto il coraggio di imitarlo. «La mia Fortezza e le mie terre ne sono ancora piene. È molto pericoloso?»

F’lar scosse il capo con forza.

«Da quanto tempo la polvere nera ha invaso le tue terre? Da settimane, mi pare. Ha ancora causato qualche danno?»

Nessel aggrottò la fronte.

«Le tue carte m’interessano molto, Comandante del Weyr,» disse con calma Larad di Telgar. «Possono darci un’idea esatta delle zone in cui cadranno i Fili, nelle nostre terre?»

«Sì. E puoi anche calcolare che i dragonieri arriveranno poco prima dell’inizio dell’invasione,» proseguì F’lar. «Tuttavia, è necessario che anche voi prendiate certi provvedimenti, ed è per questo che ho convocato il Consiglio.»

«Un momento!» brontolò Corman di Keroon. «Vorrei una copia di quelle carte. Voglio sapere che cosa significano, in realtà, quelle fasce e quelle linee ondulate. Voglio…»

«Naturalmente, avrai una tabella oraria. Ho intenzione di chiedere al Maestro Arpista Robinton,» e F’lar accennò rispettosamente con il capo verso l’uomo che aveva nominato, «di sovraintendere al lavoro di copiatura e di assicurarsi che tutti capiscano bene il significato dei dati.»

Robinton, un uomo alto e magro dalla faccia segnata e malinconica, rispose con un profondo inchino. Un lieve sorriso gli inarcò le labbra, quando vide che i Signori delle Fortezze gli lanciavano occhiate speranzose. La sua categoria, come quella dei dragonieri, era stata a lungo derisa, e quel nuovo rispetto lo divertiva. Aveva un acuto senso del ridicolo, e un’immaginazione molto fertile. La situazione in cui lo scettico Pern era venuto a trovarsi era troppo ironica per non solleticare il suo innato senso di giustizia. Per il momento si accontentò di rispondere con un inchino ed una frase blanda.

«’In verità tutti dovranno ascoltare il Maestro’» La voce era profonda, le parole pronunciate senza inflessioni dialettali.

F’lar, che stava per riprendere a parlare, lanciò un’occhiata a Robinton: aveva compreso il doppio taglio di quel verso. Anche Larad si girò in fretta verso il Maestro Arpista e si schiarì la gola.

«Avremo le carte,» disse, precedendo Meron, che aveva aperto la bocca per parlare. «Avremo i dragonieri quando cadranno i Fili. Quali sono gli altri provvedimenti? E perché sono necessari?»

Tutti gli sguardi si appuntarono di nuovo su F’lar.

«Abbiamo soltanto un Weyr, mentre un tempo ce n’erano sei.»

«Ma si è diffusa la notizia che Ramoth ha deposto più di quaranta uova,» esclamò qualcuno, dalle ultime file. «E perché ci avete portato via tanti giovani?»

«Quarantini draghi ancora immaturi,» rispose F’lar. Si augurò che quella spedizione al Sud desse risultati positivi. Nella voce di quell’uomo era riconoscibile una paura autentica. «Crescono bene e in fretta. Per il momento, finché i Fili non ci investono troppo di frequente, all’inizio del Passaggio della Stella Rossa, il nostro Weyr è sufficiente… se avremo la vostra collaborazione. La tradizione vuole,» e accennò con il capo in direzione di Robinton, custode delle tradizioni, «che voi Signori delle Fortezze siate responsabili soltanto delle vostre abitazioni, adeguatamente protette dalle fosse dei fuochi e dalla pietra nuda. Ma è primavera, e si è lasciato che le nostre montagne si coprissero di vegetazione. I campi arati sono pieni di messi in fiore. Perciò, l’estensione di terreno vulnerabile ai Fili è troppo vasta perché un solo Weyr, in questo momento, possa occuparsi del servizio di pattugliamento, senza esaurire le forze dei draghi e dei cavalieri.»

A quell’ammissione, un mormorio spaventato e incollerito si diffuse rapido nella sala.

«Fra poco,» continuò in tono imperturbabile F’lar, «Ramoth si leverà per un altro volo nuziale. Ovviamente, nei tempi andati, le regine incominciavano a deporre un gran numero di uova molti Giri prima del Solstizio decisivo, e tra l’altro mettevano al mondo altre regine. Purtroppo, Jora era vecchia e malata, e Namorth intrattabile. Quindi…» Qualcuno lo interruppe.

«Voi dragonieri, con tutte le vostre arie, ci condurrete tutti alla rovina!»

«La colpa è vostra!» si levò tagliente da voce di Robinton, tra le grida che fecero eco a quelle parole. «Riconoscetelo, una volta per tutte. Avete onorato il Weyr meno ancora di quanto avreste onorato il covile del vostro wher da guardia! Ma adesso i ladri sono sulle alture, e voi gridate perché quel povero rettile è vicino a morire di abbandono. Che cosa volete fargli? Percuoterlo? Quando l’avete confinato nel suo covile perché aveva cercato di avvertirvi, di indurvi a prepararvi in vista dell’invasione? La colpa è vostra, non del Comandante del Weyr o dei dragonieri che hanno fatto onestamente il loro dovere per centinaia di Giri, tenendo in vita la razza dei draghi… nonostante le vostre proteste. Quanti di voi,» continuò, in tono sferzante, «sono stati generosi verso il Weyr? Da quando sono divenuto Maestro della mia Arte, troppo spesso i miei arpisti mi hanno detto di essere stati percossi per avere cantato i vecchi canti, come era loro dovere. Vi siete guadagnati solamente il diritto, buoni Signori e Maestri delle Arti, di strisciare dentro i vostri rifugi di pietra a tremare, mentre i raccolti muoiono prima ancora di maturare!»

Robinton si alzò.

«’I Fili non cadranno. Sono invenzioni degli arpisti’,» sibilò, in un’imitazione impeccabile del tono di Nessel. «’Questi dragonieri ci rubano gli eredi e il raccolto’.» La sua voce assunse il forzato, insinuante tono tenorile che poteva essere soltanto di Meron. «E adesso la verità è dura, ed è difficile da trangugiare. In cambio dell’onore che gli avete reso, i dragonieri dovrebbero lasciare che i Fili vi seppellissero!»

«E Bitra, Lemos e la mia Fortezza?» intervenne Raid, il Signore di Benden, alzando il mento tozzo con aria bellicosa. «Noi abbiamo sempre fatto il nostro dovere nei confronti del Weyr.»

Robinton si volse di scatto verso di lui, con gli occhi lampeggianti, e lo fissò a lungo.

«Sì, è vero. Tra tutte le grandi Fortezze, voi tre siete state fedeli. Ma gli altri…» Alzò la voce indignato. «Nella mia qualità di portavoce della mia Arte, conosco benissimo quello che pensate dei dragonieri. Sono stato il primo a sapere della vostra intenzione di attaccare in massa il Weyr.» Rise aspramente e puntò un dito contro Vincet. «Dove saresti oggi, buon Nobile Vincet, se il Weyr non ti avesse costretto a ritirarti, tenendo in ostaggio le tue dame? E tutti voi…» Puntò il dito accusatore contro i vari Signori che avevano partecipato al tentativo. «Tutti voi avete marciato contro il Weyr perché… ’non c’erano più Fili’!»

Si piantò i pugni sui fianchi e sfidò con lo sguardo l’assemblea. F’lar avrebbe voluto applaudirlo. Era facile capire perché quell’uomo era Maestro Arpista; e ringraziò la sorte perché era schierato dalla parte del Weyr.

«E adesso, in questo momento critico, avete l’inaudita presunzione di protestare contro i provvedimenti proposti dal Weyr?» La voce duttile di Robinton trasudava derisione e sbalordimento. «Fate ciò che vi dice il Comandante del Weyr, e risparmiategli le vostre beghe meschine!» Pronunciò quelle parole con il tono che avrebbe potuto usare un padre nel rimproverare un figlio indisciplinato. «Ma tu,» continuò, passando di colpo al più cortese dei toni nel rivolgersi a F’lar, «mi pare che stessi chiedendo la nostra collaborazione, buon F’lar. Che cosa possiamo fare?»

F’lar si schiarì la gola.

«Chiedo che le varie Fortezze provvedano a sorvegliare i campi e i boschi, se è possibile durante gli attacchi, e comunque dopo che i Fili sono passati. Bisogna trovare, contrassegnare e distruggere tutte le tane in cui possono essere affondati. Prima vengono individuati, e prima ci libereremo di loro.»

«Non c’è tempo per scavare fosse in tutte le nostre terre… perderemmo la metà delle aree coltivate,» esclamò Nessel.

«Nei tempi andati si usavano altri mezzi, e credo che il Maestro Fabbro possa conoscerli.» F’lar indicò cortesemente Fandarel, che sembrava il simbolo vivente della sua professione.

Il Maestro Fabbro era molto più alto di tatti gli altri partecipanti al Consiglio. Le spalle massicce e le braccia muscolose sfioravano i suoi due vicini, benché si sforzasse di non urtarli. Si alzò, colossale come un albero, infilando i grossi pollici nell’alta cintura. La sua voce, non certo addolcita da Giri e Giri trascorsi a gridare ordini al di sopra del ruggito delle fiamme e del risuonare dei magli, era, in confronto alla dizione superba di Robinton, baritonale, leggera e non perfettamente impostata.

«Esistevano delle macchine, questo sì,» ammise, pensieroso. «Mio padre, per esempio, me ne parlava come se fossero curiosità dell’Arte. Può darsi che ci sia qualche schizzo, nella Sala, o forse non c’è più. I disegni non durano per molto tempo, sulle pelli.» Lanciò un’occhiata obliqua al Maestro Conciapelli, di sotto le sopracciglia aggrondate.

«È delle nostre pelli che dobbiamo preoccuparci, in questo momento,» si affrettò a osservare F’lar, per evitare che si accendesse una disputa tra i rappresentanti delle due Arti.

Fandarel brontolò qualcosa, e F’lar non avrebbe saputo dire con certezza se fosse una risata oppure un mormorio gutturale d’approvazione.

«Studierò la cosa, e lo stesso faranno tutti i miei colleghi,» assicurò il Maestro Fabbro. «Può darsi che non sia facile bruciare i Fili nel terreno senza danneggiare il suolo. È vero, esistono liquidi che bruciano: noi usiamo un acido per incidere motivi sulle daghe e sugli ornamenti metallici. Noi dell’Arte lo chiamiamo agenothree. C’è anche la pesante acquanera che si trova in superficie negli stagni di Igen e di Boll. Brucia molto e a lungo. E se, come tu hai detto, il freddo ha ridotto in polvere i Fili, forse il ghiaccio delle terre più settentrionali potrebbe congelare e sbriciolare i Fili radicati nel terreno. Il problema, però, consiste nel portare il ghiaccio sul posto dove sono caduti i Fili, perché non ci useranno certo la cortesia di scendere dove fa più comodo a noi…» E contrasse il volto in una smorfia espressiva.

F’lar lo fissò sorpreso. Quell’uomo non si rendeva conto del suo umorismo involontario: parlava con sincera partecipazione. Il Maestro Fabbro si grattò la testa. Si udì chiaramente il suono raschiante delle dita tozze che passavano sui capelli e sulla cute indurita dal calore.

«Un bel problema. Un bel problema,» rifletté a voce alta. «Me ne occuperò con il massimo impegno.» Tornò a sedersi, e la panca scricchiolò sotto il suo peso.

Il Maestro Agricoltore alzò la mano, un po’ incerto.

«Quando ho studiato per diventare Maestro dell’Arte, ricordo di avere trovato da qualche parte un accenno ai vermi-di-sabbia di Igen. Una volta venivano allevati per protezione…»

«Non ho mai saputo che Igen producesse altro che caldo e sabbia,» scattò qualcuno.

«Tutti i suggerimenti possono esserci utili,» osservò seccamente F’lar, cercando di identificare il disturbatore. «Ti prego di ritrovare quei dati, Maestro dell’Arte. Nobile Banger di Igen, procurami un po’ di quei vermi-di-sabbia.»

Banger, meravigliatissimo che le sue aride terre possedessero un tesoro nascosto, annuì con vigore.

«Fino a quando non avremo trovato sistemi più efficienti per uccidere i Fili, tutti gli abitanti delle Fortezze dovranno organizzarsi a terra, durante gli attacchi, per individuare e contrassegnare i punti in cui i Fili sono penetrati nel terreno, per poterli bruciare con le pietre focaie. Non voglio che qualcuno rimanga ustionato; ma sappiamo che i Fili affondano molto rapidamente nel suolo, e non possiamo permettere che si moltiplichino. Voi siete quelli che avete più da perdere,» e tese il braccio verso i Signori. «Non dovete limitarvi a vigilare su voi stessi, perche i Fili possono dilagare dalle terre dell’uno a quelle dell’altro. Mobilitate tutti, uomini, donne, bambini, agricoltori e artigiani. E subito.»

Nella Sala del Consiglio regnò un’atmosfera di tensione e di sbigottimento fino a quando si alzò a parlare Zurg, il Maestro Tessitore.

«Anche la mia Arte ha qualcosa da offrire. È giusto, poiché ci occupiamo di fili per tutta la vita. Bene, si tratta di una cosa che riguarda gli antichi metodi.» La sua voce era sottile e secca, ma gli occhi, tra le grinze sottili che li incastonavano, erano vivi, e sfrecciavano da uno all’altro dei presenti. «Nella Fortezza di Ruatha, una volta, ho visto un arazzo appeso ad una parete… Non so dove sia finito, oggi.» Lanciò un’occhiata saputa a Meron di Nabol, e poi a Bargen delle Terre Alte, che era succeduto a Fax. «Era un’opera antica quanto i draghi e, tra le altre cose, mostrava un uomo a piedi, che portava sulle spalle uno strano apparecchio. Stringeva in mano un oggetto arrotondato, lungo come una spada, da cui scaturivano in direzione del terreno lingue di fiamma… splendidamente intessute e colorate di tinte rosso-arancio che oggi non si producono più. In cielo, naturalmente, c’era una formazione di draghi, e predominavano i bronzei… Abbiamo perduto, purtroppo, anche il segreto dei coloranti che riproducevano le tinte esatte dei draghi. Ricordo quel lavoro sia perché oggi non possediamo più quelle tecniche, sia per il soggetto che rappresentava.»

«Un lanciafiamme?» tuonò il Fabbro. «Un lanciafiamme,» ripeté in tono più smorzato, pensieroso, aggrottando le pesanti sopracciglia in una smorfia titanica. «Ma che genere di fiamma lanciava? Bisogna pensarci sopra.» Abbassò la testa e non parlò più, immerso nella sua meditazione al punto di disinteressarsi del dibattito che stava continuando a svolgersi.

«Sì, buon Zurg, in questi ultimi Giri sono andati perduti molti segreti di tutte le Arti,» commentò sardonico F’lar. «Se vogliamo continuare a vivere, dobbiamo riconquistare quella conoscenza… e in fretta. Ci terrei moltissimo a recuperare l’arazzo di cui ha parlato il Maestro Zurg.»

Fissò con aria significativa i Signori che, alla morte di Fax, si erano disputati le sue sette Fortezze.

«Potrebbe risparmiarvi molte e gravi perdite. Vi consiglio di riportarlo a Ruatha. Oppure alla fucina di Fandarel o all’opificio di Zurg. Come vi è più comodo.»

Vi fu un tramestio irrequieto, ma nessuno dei Signori ammise di essere il proprietario dell’arazzo.

«Poi verrebbe restituito al figlio di Fax, il quale è attualmente Signore di Ruatha,» aggiunse F’lar, ironicamente divertito.

Lytol sbuffò sottovoce e si guardò intorno, indignato. F’lar provò un fuggevole senso di compatimento per Jaxom, il figlio di Gemma e di Fax, allevato da un tutore non meno tetro che onesto.

«Se posso parlare, Nobile Comandante del Weyr…,» intervenne Robinton. «Come hanno già dimostrato le tue carte, tutti noi potremmo trarre indicazioni utili dalle nostre Cronache.» Sorrise, all’improvviso, di un sorriso curiosamente imbarazzato. «Devo ammettere di sentirmi un po’ colpevole, perché noi Arpisti abbiamo lasciato cadere nell’oblio i canti meno popolari e abbiamo tagliato le Ballate e le Saghe dell’Insegnamento troppo lunghe… un po’ per mancanza di ascoltatori e un po’, in certi casi, per salvarci la pelle.»

F’lar tossì per mascherare una risata. Robinton era davvero un genio.

«Devo proprio vedere quell’arazzo di Ruatha,» tuonò all’improvviso Fandarel.

«Sono certo che presto sarà nelle tue mani,» gli assicurò F’lar, con una sicumera che non provava affatto. «Miei Signori, ci sono tante cose da fare. Ora vi siete resi conto del pericolo che dobbiamo fronteggiare: lascio quindi a voi, come massime autorità delle Fortezze e delle Arti, la scelta dei modi migliori per organizzare la vostra gente. Artigiani, incaricate i vostri uomini migliori di studiare i vari problemi. Riesaminate tutte le Cronache che possono contenere indicazioni utili. Signori di Telgar, di Crom, di Ruatha e di Nabol, sarò da voi fra tre giorni. Signori di Nerat, Keroon ed Igen, sono a vostra disposizione per aiutarvi a distruggere i Fili interrati nei vostri possedimenti. Poiché abbiamo qui il Maestro Minatore, esponetegli le vostre necessità. Che mi dici della tua Corporazione?»

«È ben felice di darsi da fare, Comandante del Weyr,» pigolò il Maestro Minatore.

Proprio in quell’istante, F’lar scorse F’nor che, nell’ombra del corridoio, stava cercando di attirare il suo sguardo. Il cavaliere marrone sorrideva con esultanza: si capiva benissimo che moriva dalla voglia di riferire qualche notizia importante.

F’lar si chiese come avevano potuto tornare così in fretta dal Continente Meridionale. Poi si accorse che anche questa volta F’nor era abbronzato. Con un cenno del capo, gli fece capire di precederlo nel suo alloggio e di attenderlo.

«Signori e Maestri delle Arti, ognuno di voi avrà a disposizione un giovane drago come mezzo di trasporto e per comunicare i messaggi. E ora, buongiorno.»

Lasciò la Sala del Consiglio, percorse la galleria che conduceva alla grotta della regina, e aprì il tendaggio ancora ondeggiante che chiudeva la camera da letto proprio nell’istante in cui F’nor si stava versando una coppa di vino.

«Vittoria!» gridò questi, quando lo vide. «Anche se non capirò mai come hai fatto a sapere che dovevi mandarmi proprio trentadue candidati. Credo che volessi offendere la mostra nobile Pridith. E invece, ha deposto esattamente trentadue uova in quattro giorni. È stato tanto se sono riuscito a trattenermi dal correre qui quando ha deposto il primo.»

F’lar si congratulò cordialmente con lui, felice nel constatare che quel progetto presentasse almeno un aspetto positivo. Adesso si trattava di calcolare per quanto tempo F’nor era rimasto nel Sud, prima della frenetica visita della sera precedente. Non c’era preoccupazione né tensione, adesso, sul volto abbronzato e sorridente del suo fratellastro.

«Nessun uovo di regina?» gli chiese, speranzoso. Dato che quell’unico esperimento aveva prodotto trentadue uova, forse avrebbero potuto inviare una seconda regina e provare di nuovo.

Il volto di F’nor si oscurò.

«No. Eppure ero certo che ce ne sarebbe stato uno. Ma ci sono quattordici bronzei. Pridith ha battuto Ramoth, da questo punto di vista,» aggiunse con orgoglio.

«Davvero. E per il resto, come va il Weyr?»

Il cavaliere marrone aggrottò la fronte e scosse il capo, insoddisfatto.

«Kylara… beh, è un problema. Continua a creare guai. T’bor se la passa male, con lei, e quindi è diventato così suscettibile che tutti gli girano al largo.» F’nor si rischiarò un poco. «Il giovane N’ton promette di diventare un magnifico comandante di squadrone, e il suo bronzeo potrebbe battere Orth, il drago di T’bor, quando Pridith si leverà per il prossimo volo nuziale. Non che io ci tenga a vedere Kylara appiccicata a N’ton… o a chiunque altro.»

«Nessuna difficoltà per i rifornimenti?»

F’nor rise.

«Se non ci avessi detto chiaro che non dobbiamo comunicare con voi, potremmo fornirvi frutta e verdura migliori di quelle prodotte al Nord. Da noi si mangia in modo veramente degno dei dragonieri! F’lar, dovremmo prendere in considerazione l’idea di inviarvi rifornimenti. Così non dovremo più preoccuparci delle dècime e…»

«Tutto a suo tempo. Torna indietro, adesso. Sai che queste visite devono essere brevi.»

F’nor fece una smorfia.

«Oh, non è poi così terribile! Comunque, in questo tempo non sono qui.»

«È vero,» riconobbe F’lar. «Ma stai attento a non sbagliare tempo, e non venire quando sei ancora qui.»

«Eh? Oh, sì, è giusto. Dimentico sempre che il tempo va pianissimo per noi, e per voi corre. Bene, tornerò soltanto quando Pridith avrà deposto la seconda covata.»

Con un gaio gesto di saluto, F’nor se ne andò. F’lar lo seguì con lo sguardo, poi ritornò nella Sala del Consiglio. Trentadue nuovi draghi, di cui quattordici bronzei; non era un acquisto di poco conto, e sembrava che valesse la pena di correre il rischio. O forse il rischio sarebbe divenuto anche maggiore?

Qualcuno si schiarì la gola, intenzionalmente. F’lar alzò gli occhi e vide Robinton fermo sulla soglia della Sala.

«Prima di poter copiare quelle carte e di istruire gli altri, Comandante del Weyr, devo riuscire a capirle. Mi sono preso la libertà di rimanere.»

«Sei stato un campione valoroso, Maestro Arpista.»

«E la tua causa è nobilissima, Comandante del Weyr.» Negli occhi di Robinton balenò uno scintillio malizioso. «Era il mio grande sogno, poter parlare francamente a un ascoltatore tanto eletto.»

«Posso offrirti prima una coppa di vino?»

«Le uve di Benden sono l’invidia di tutto Pern.»

«Se si apprezza un bouquet tanto delicato.»

«Quelli che se n’intendono l’apprezzano.»

F’lar si domandò se quell’uomo avrebbe mai smesso di giocare con le parole. Stava pensando a ben altro che a studiare le tabelle dei tempi.

«Sto pensando a una ballata che fui costretto a scartare, quando divenni Maestro della mia Corporazione, perché non riuscivo a capirla,» disse, dopo avere sorseggiato il vino con aria da intenditore. «È un canto difficile, sia per la melodia che per le parole. Un arpista sviluppa una certa sensibilità, e finisce per capire quando un testo può venire accettato dal pubblico, e quando invece verrà respinto… violentemente.» Rabbrividì al ricordo. «Mi accorsi che quella ballata sconvolgeva non solo gli ascoltatori ma anche il cantore, e la tolsi di circolazione. Ma adesso è opportuno riscoprirla, come quell’arazzo.»

Dopo la morte di C’gan, il suo strumento era rimasto appeso alla parete della Sala del Consiglio, in attesa che venisse scelto un nuovo Cantore del Weyr. Era una chitarra vecchissima, dal legno molto sottile. Il vecchio C’gan l’aveva sempre tenuta perfettamente accordata e coperta. Il Maestro Arpista la maneggiò con reverenza, sfiorando lievemente le corde per provarne il suono, e sembrò stupirsi della splendida voce dello strumento.

Pizzicò un accordo, in dissonanza. F’lar pensò che la chitarra fosse scordata o che l’arpista avesse toccato per errore la corda sbagliata. Ma Robinton ripeté quella strana battuta, e poi modulò un bizzarro accordo minore, in un certo senso ancora più inquietante delle prime note.

«Come ti avevo detto, è un canto difficile. E mi domando se tu conosci le risposte alle domande che formula. In questi ultimi tempi, ho pensato spesso a questo enigma.»

Poi, improvvisamente, cominciò a cantare:

Andati avanti, scomparsi, spariti.

Nessuno più risponde agli echi ansiosi.

Aperti, vuoti, morti, polverosi.

Perché quelli dei Weyr sono fuggiti?

Dove mai sono andati, ai draghi insieme.

Lasciando i Weyr al vento spalancati?

Abbandonando libero il bestiame?

O difensori, dove siete andati?

A qualche nuovo Weyr sono volati

dove altri temono i Fili inumani?

I loro mondi sono forse lontani?

Perché, perché i Weyr son desolati?

Vibrò l’ultimo accordo lamentoso.

«Naturalmente, come tu saprai, questo canto venne registrato per la prima volta negli annali della mia Arte circa quattrocento Giri fa,» disse Robinton, cingendo la chitarra con entrambe le braccia. «La Stella Rossa aveva appena concluso il suo passaggio, e non vi erano più attacchi. La gente aveva buone ragioni per sentirsi stordita e preoccupata a causa dell’improvvisa sparizione degli abitanti di cinque Weyr. Oh, immagino che a quell’epoca circolassero molte spiegazioni, ma non ne è documentata nessuna… assolutamente nessuna.» Robinton fece una pausa significativa.

«Anch’io non ne ho rintracciata nessuna,» rispose F’lar. «Anzi, ho fatto trasportare qui dagli altri Weyr tutte le Cronache… per poter compilare le tabelle esatte dei tempi. E le Cronache degli altri Weyr a un certo punto si arrestano.» Accompagnò quelle parole con un gesto secco della mano. «Nelle Cronache di Benden non si parla di malattie, di morte, di incendi, di catastrofi… Neppure una parola di spiegazione per l’interruzione improvvisa degli abituali rapporti tra i Weyr. Le nostre Cronache continuano: ma parlano soltanto di Benden. C’è una sola annotazione che allude indirettamente alla sparizione degli altri: l’inizio di un servizio di pattugliamento esteso a tutto Pern, non solo ai territori affidati alla responsabilità immediata di Benden. E questo è tutto.»

«Molto strano,» commentò Robinton. «Superato il pericolo rappresentato dalla Stella Rossa, i draghi e i cavalieri potrebbero essere andati in mezzo per non pesare più sulle Fortezze. Ma non riesco a crederlo. Le Cronache della nostra Arte dicono che i raccolti erano stati scarsi, e che si erano verificate parecchie catastrofi naturali… a parte la caduta dei Fili. Gli uomini sanno essere generosi, e la tua razza è la più generosa di tutte… Ma un suicidio collettivo? Non posso accettare una spiegazione del genere, per quanto riguarda i dragonieri.»

«Ti ringrazio,» rispose F’lar, con blanda ironia.

«Non c’è di che,» rispose Robinton, con un cortese inchino.

F’lar ridacchiò.

«Mi rendo conto che non siamo diventati solo troppo incartapecoriti: abbiamo finito per non vedere niente al di là del nostro Weyr.»

Robinton vuotò la coppa e la guardò con aria malinconica fino a che F’lar tornò a riempirla.

«Comunque, il vostro isolamento è servito a qualcosa, capisci? E avete sistemato in modo splendido la rivolta dei Signori. Poco è mancato che morissi dal ridere,» osservò l’arpista con un ampio sogghigno. «Avete rubato le loro donne in un batter d’occhio di drago!» Rise di nuovo, poi ritornò serio all’improvviso, e fissò il suo ospite dritto negli occhi. «Abituato come sono a udire quello che un uomo non dice a voce alta, sospetto che tu abbia sorvolato su molte cose, durante la riunione del Consiglio. Puoi fidarti della mia discrezione… e puoi contare sul mio appoggio incondizionato e su quello della mia Corporazione, che è tutt’altro che inefficiente. Per parlare chiaro: in che modo possono aiutarti i miei arpisti?» Accennò sulla chitarra una marcia vigorosa. «Scuotere gli animi con ballate che parlano delle glorie e dei trionfi del passato?» Sotto le sue dita fulminee, la melodia si trasformò all’improvviso in un ritmo austero ma deciso. «Rafforzare il loro coraggio morale e fisico in previsione delle difficoltà?»

«Se tutti i tuoi arpisti fossero capaci di scuotere gli uomini come sai fare tu, non avrei nessuna preoccupazione cui non potessi ovviare con cinquecento draghi in più.»

«Dunque, nonostante le tue parole coraggiose e le tue carte, la situazione…» Una vibrazione dissonante della chitarra sottolineò le ultime parole. «È più disperata di quanto tu non abbia voluto ammettere?»

«Può darsi.»

«I lanciafiamme di cui si è ricordato il vecchio Zurg e che Fandarel deve ricostruire… basterebbero a far inclinare in nostro favore i piatti della bilancia?»

F’lar scrutò con aria pensierosa l’arpista, e prese una rapida decisione.

«Anche i vermi-di-sabbia di Igen potranno essere utili, via «via che il mondo gira e la Stella Rossa si avvicina, gli intervalli tra un attacco e l’altro si accorciano, e noi abbiamo soltanto settantadue nuovi draghi da aggiungere a quelli che avevamo ieri. Uno è morto e parecchi altri non saranno in grado di volare per diverse settimane.»

«Settantadue?» l’interruppe Robinton, con voce tagliente. «Ramoth ha avuto solo quaranta figli, e sono ancora troppo giovani per masticare pietre focaie.»

F’lar gli parlò in poche parole della spedizione di F’nor e di Lessa, in corso in quel momento. Raccontò la riapparizione di F’nor e il suo avvertimento, e spiegò che l’esperimento era riuscito almeno in parte e aveva portato alla nascita dei trentadue nuovi draghi della prima covata di Pridith. Robinton l’interruppe.

«Come è possibile che F’nor sia ritornato, se tu non hai ancora saputo da lui e da Lessa che nel Continente Meridionale c’è un posto adatto a questo progetto?»

«I draghi possono andare in mezzo da un tempo all’altro, come vanno da un luogo all’altro.»

Robinton spalancò gli occhi, assorbendo quella notizia sbalorditiva.

«È così che siamo riusciti a prevenire l’attacco contro Nerat, ieri mattina. Siamo balzati indietro nel tempo di due ore, per liquidare i Fili mentre cadevano.»

«Potete veramente tornare indietro nel tempo? In che misura?»

«Non lo so. Lessa, quando le insegnavo a far volare Ramoth, è ritornata inavvertitamente alla Fortezza di Ruatha, all’alba di tredici Giri fa, quando gli uomini di Fax l’invasero calandosi dalle alture. Quando è ritornata nel presente, io ho tentato un balzo in mezzo nel tempo di circa dieci Giri. Per i draghi è molto semplice passare in mezzo nel tempo o nello spazio; ma a quanto sembra per il cavaliere è estremamente faticoso. Ieri, quando siamo ritornati da Nerat e abbiamo dovuto proseguire per Keroon, mi sentivo come una pelle lasciata a seccare un’intera estate nella Piana di Igen.» F’lar scrollò il capo. «È chiaro che siamo riusciti a mandare indietro di dieci Giri Kylara, Pridith e gli altri, perché F’nor mi ha già riferito di essere là da parecchio tempo. Per gli esseri umani, comunque, l’esaurimento si fa sempre più marcato. Ma anche settantadue draghi in più possono essere preziosi.»

«Manda un cavaliere avanti nel tempo, per scoprire se questo è sufficiente,» gli suggerì premuroso Robinton. «Ti risparmierai molte preoccupazioni.»

«Non so come sia possibile portarsi in un tempo che non è ancora realizzato. Bisogna dare al proprio drago dei punti di riferimento, capisci. Come puoi indicargli un tempo che non esiste ancora?»

«Ma tu sei dotato di immaginazione. Usala.»

«Per rischiare di perdere un drago, quando quelli che ho non bastano? No, devo continuare, perché è evidente che ho continuato, a giudicare dai ritorni di F’nor… così come ho deciso di incominciare. E questo mi ricorda che devo dare ordine di prepararsi. Poi ti spiegherò meglio le tabelle dei tempi.» Solamente dopo il pranzo di mezzogiorno, che Robinton consumò in compagnia del Comandante del Weyr, il Maestro Arpista si sentì sicuro di avere compreso le carte e se ne andò per incominciare la copiatura.

Al di là della distesa di quel mare scatenato,

dove ormai da tanto tempo ala di drago non s’è scorta,

uno d’oro e uno marrone quella terra han sorvolato

per scoprir, di primavera, se era viva o se era morta.

Quando Lessa e F’nor, trasportati da Ramoth e da Canth, giunsero sopra la Pietra della Stella, scorsero i primi Signori delle Fortezze e i primi Maestri delle Arti che giungevano per partecipare al Consiglio.

Per ritornare al Continente Meridionale di dieci Giri prima, Lessa e F’nor avevano deciso che il modo più facile consisteva nel trasferirsi prima in mezzo nel tempo al Weyr di dieci Giri innanzi, che F’nor ricordava bene. Poi si sarebbero trasferiti, passando in mezzo, a un punto sopra il mare a poca distanza dalla costa del Contraente Meridionale, secondo le indicazioni fornite dalle Cronache.

F’nor trasmise alla mente di Canth l’immagine di un giorno particolare di dieci Giri prima che ricordava perfettamente, e Ramoth attinse i riferimenti necessari dalla mente del drago marrone. Il freddo spaventoso del mezzo tolse il respiro a Lessa. Con immenso sollievo scorse una rapida visione della normale attività del Weyr, prima che i draghi li portassero di nuovo in mezzo, per riemergere librati sul mare turbolento.

Più lontano, chiazzato di violetto sotto il cielo coperto e buio, si stendeva il Continente Meridionale. Lessa sentì che un’ansia nuova prendeva nel suo animo il posto dell’incertezza dello spostamento temporale. Ramoth si diresse verso la costa lontana, a grandi colpi d’ala; Canth, coraggiosamente, cercò di eguagliarne la velocità.

È solo un marrone, comunicò Lessa alla regina, in tono di rimprovero.

Se vuole volare con me, rispose freddamente Ramoth, deve muovere un po’ quelle ali.

Lessa sorrise ironica, pensando tra sé che Ramoth era ancora irritata di non aver potuto compiere quel viaggio con Mnementh e F’lar. Tutti i maschi se la sarebbero passata male, con lei, per qualche tempo.

Videro, per prima cosa, lo stormo dei wherry, e compresero che sul Continente doveva esserci della vegetazione. I wherry avevano bisogno di piante verdi per sopravvivere, anche se potevano nutrirsi di vermi quando non trovavano altro.

Lessa incaricò Canth di trasmettere le sue domande a F’nor.

Se il Continente Meridionale è stato devastato e reso sterile dai Fili, come è possibile che sia cresciuta una nuova vegetazione? E da dove sono venuti i wherry?

Hai mai notato i baccelli che si spaccano, e i semi portati via dal vento? Hai mai notato che i wherry volano verso il Sud, dopo il solstizio d’autunno?

Sì, ma…

Sì, ma?

Ma il terreno è stato devastato dai Fili!

In meno di quattrocento Giri anche le colline bruciate del nostro Continente ricominciano a coprirsi d’erba, in primavera, rispose F’nor per mezzo di Canth. Quindi non è difficile capire che anche il Continente Meridionale può riprendere a vivere.

Nonostante la velocità di Ramoth, occorse un certo tempo per raggiungere la costa frastagliata dai precipizi di pietra nuda, cupi nella luce fioca. Lessa gemette, fra sé, ma chiese a Ramoth di acquistare quota, per poter vedere al di là delle montagne che nascondevano in parte il panorama. Da quell’altezza, tutto appariva grigio e desolato.

All’improvviso il Sole penetrò attraverso la coltre di nuvole e il grigio si dissolse in chiazze dense, verdi e marroni. Erano i colori della vita, i verdi brillanti della lussureggiante vegetazione tropicale, i marroni degli alberi vigorosi e dei rampicanti. Al grido di trionfo di Lessa fecero eco l’evviva di F’nor e le voci bronzee dei draghi. I wherry, spaventati da quei suoni insoliti, si levarono in volo tra squittii di allarme.

Al di là del promontorio, il suolo scendeva in un pianoro coperto di giungle e di praterie, simile al Boll centrale. Cercarono per tutta la mattina, ma non riuscirono a trovare una montagna rocciosa, a pareti verticali, capace di ospitare un nuovo Weyr. Purtroppo, quello avrebbe potuto spiegare il fallimento futuro del tentativo, pensò Lessa.

Atterrarono, scoraggiati, su di un alto pianoro, nei pressi di un piccolo lago. Il clima era caldo ma non opprimente. Mentre i due esseri umani consumavano il pasto di mezzogiorno, i due draghi andarono a sguazzare nell’acqua.

Lessa era inquieta, e il pane e la carne non l’attiravano. Notò che anche F’nor era agitato, e lanciava sguardi furtivi attorno al lago, verso l’orlo della giungla.

«Che cosa stiamo aspettando? I wherry non attaccano, e i wher selvatici non si avvicinerebbero mai ad un drago. Mancano dieci Giri all’apparizione della Stella Rossa, e quindi non può esserci neppure un Filo.»

F’nor scrollò le spalle con un sorriso impacciato, mentre riponeva l’avanzo del pane nella bisaccia.

«Forse perché questo posto è così deserto,» disse, guardandosi intorno. Scorse i frutti maturi che pendevano da un tralcio di fiordiluna. «Quelli hanno l’aria di essere buoni da mangiare. Non dovrebbero sapere di polvere.»

Si arrampicò con agilità e colse un frutto rosso-arancio.

«L’odore è buono, e sembra maturo,» annunciò, tagliandolo. Porse la prima fetta a Lessa con un mezzo sorriso, ne tagliò un’altra per sé, la sollevò con aria di sfida. «Mangiamo e moriamo insieme!»

Lessa non poté trattenere una risata e ricambiò il gesto. Affondarono i denti nella polpa succolenta. Il succo dolce colò agli angoli della bocca di Lessa, che si affrettò a leccarsi le labbra per catturare fino all’ultima goccia quel liquido delizioso.

«Se non altro, moriremo felici,» gridò F’nor, tagliando altre fette del frutto.

Rassicurati dall’esito dell’esperimento, ripresero a discutere il senso di disagio che provavano.

«Secondo me,» suggerì F’nor, «è la mancanza di una parete rocciosa e delle caverne, e il silenzio che regna in questo posto. E il sapere che non c’è nessuno, qui intorno, tranne noi.»

Lessa annuì, approvando.

«Ramoth, Canth… non vi sconvolge l’idea di non avere un Weyr?»

Noi non siamo mica vissuti sempre nelle grotte, rispose Ramoth con una certa alterigia, rigirandosi nell’acqua. Le piccole onde create dai suoi movimenti si spinsero fino a riva, sfiorando Lessa e F’nor che si erano seduti sul tronco di un albero caduto. Il Sole qui è caldo e gradevole, e l’acqua è fresca. Mi piacerebbe molto stare qui, ma non mi ci volete lasciare.

«È seccata,» bisbigliò Lessa a F’nor. «Lascia questo posto a Pridith, cara,» disse in tono suasivo alla regina. «Tu hai il Weyr e tutto il resto.»

Ramoth si immerse nell’acqua, lanciando sbuffi di schiuma per tutta risposta.

Canth ammise che non aveva nulla in contrario a vivere senza un Weyr. La terra asciutta era più calda della pietra e ci si poteva dormire benissimo, dopo aver scavato per formare una depressione adatta. No, non avrebbe affatto rimpianto la mancanza della grotta, purché ci fosse abbastanza da mangiare.

«Faremo portare del bestiame,» disse F’nor, pensieroso. «Quanto basta per mettere in piedi una bella mandria numerosa. Certo, i wherry, qui, sono enormi. Ora che ci penso, questo pianoro non ha vie d’uscita. Non deve essere necessario recintarlo. Comunque controllerò. Per il resto, c’è il lago e spazio sufficiente per costruire abitazioni per gli esseri umani. Mi sembra l’ideale. Basta uscire e allungare la mano per prendere la colazione dagli alberi.»

«Forse sarà opportuno scegliere persone che non siano cresciute nelle Fortezze,» aggiunse Lessa. «Si sentirebbero a disagio, lontano dalla protezione delle alture e delle mura.» Rise, brevemente. «Sono schiava dell’abitudine più di quanto credessi. Questo spazio aperto, deserto e silenzioso, mi sembra… indecente.» Rabbrividì un poco, scrutando la vasta pianura che si estendeva al di là del lago.

«A me sembra un posto ricco e incantevole,» la corresse F’nor, alzandosi per cogliere altri frutti rosso-arancio. «E questa roba è squisita. Non ricordo di averne mai assaggiata di così buona neanche a Nerat, eppure è della stessa varietà.»

«Innegabilmente, è migliore della frutta che arriva al Weyr. Nerat, temo, si serve per prima, e lascia gli avanzi al Weyr.»

Ripresero a mangiare, avidamente.

Quando ricominciarono l’esplorazione, scoprirono che il pianoro era isolato e abbastanza ampio per allevarvi un’enorme mandria di bestiame destinato a servire come cibo ai draghi. Terminava in un brusco salto affacciato sulla giungla più fitta, da una parte, e dall’altra finiva alla scarpata che portava al mare. I grandi alberi avrebbero fornito la materia prima per costruire abitazioni per gli esseri umani. Ramoth e Canth erano concordi nell’affermare che i draghi si sarebbero trovati a loro agio sotto il pesante fogliame della giungla.

Poiché quella zona del continente aveva un clima molto simile a quello della parte alta di Nerat, non vi sarebbe mai stato un caldo eccessivo, né un freddo troppo intenso.

Tuttavia, mentre Lessa era piuttosto contenta di andarsene, F’nor appariva riluttante a ripartire.

«Possiamo passare in mezzo nel tempo e nello spazio, al ritorno,» insistette alla fine lei. «Saremo al Weyr nel tardo pomeriggio. A quell’ora, sicuramente, i Signori se ne saranno andati.»

F’nor si decise, e Lessa si preparò ad affrontare il trapasso nel mezzo. Si chiese perché quando si trattava di spostamenti nel tempo, passare in mezzo la sconvolgeva assai più di quando si trattava di spostamenti geografici, dato che per i draghi, invece, non c’era alcuna differenza. Ramoth percepì il suo avvilimento e cantilenò per incoraggiarla. Il lunghissimo intervallo tenebroso nel freddo assoluto, nel mezzo, si concluse improvvisamente nella luce del Sole, al di sopra del Weyr.

Un po’ sorpresa, Lessa vide fardelli e sacchi ammucchiati davanti alle Caverne Inferiori; i dragonieri sovrintendevano al carico dei rispettivi animali.

«Che cosa succede?» chiese F’nor.

«Oh, F’lar aveva previsto un risultato positivo,» lo tranquillizzò Lessa in tono disinvolto.

Mnementh, che stava assistendo alle operazioni di carico dal cornicione dell’alloggio della regina, trasmise ai due esploratori un saluto e l’annuncio che F’lar li pregava di raggiungerlo immediatamente.

Lo trovarono, come al solito, chino su alcune pergamene delle Cronache, tra le più vecchie e illeggibili che aveva portato nella Sala del Consiglio.

«Dunque?» chiese, rivolgendo ai due un ampio sorriso di benvenuto.

«Il Continente Meridionale è verde, lussureggiante e ospitale,» dichiarò Lessa, fissandolo con attenzione. Lui sapeva anche qualcosa di più. Bene, si augurava che sapesse misurare le parole. F’nor non era uno sciocco, e quella precognizione era pericolosa.

«È proprio quello che speravo di sentirvi dire,» proseguì calmo F’lar. «Venite, spiegatemi in tutti i particolari quello che avete osservato e scoperto. Sarà un piacere riempire gli spazi vuoti di questa carta.»

Lessa lasciò che fosse F’nor a fare il rapporto. F’lar ascoltò con attenzione sincera, prendendo appunti.

«In previsione che il risultato dell’esplorazione fosse positivo, avevo incominciato a far preparare le provviste e ad avvertire i cavalieri che dovranno accompagnarti,» disse a F’nor, quando questi ebbe finito di parlare. «Ricorda, abbiamo solo tre giorni, in questo tempo, per rimandarti indietro di dieci Giri. Noi non abbiamo altro tempo a disposizione. E dobbiamo avere molti altri draghi adulti, pronti a combattere a Telgar fra tre giorni. Quindi, mentre per te saranno passati dieci Giri, qui trascorreranno tre giorni soltanto. Lessa, avevi ragione di pensare che le persone più adatte sono quelle cresciute nelle fattorie. Per fortuna, i candidati dragonieri che abbiamo rintracciato durante l’ultima Cerca per i futuri figli di Pridith provengono quasi tutti da famiglie artigiane e contadine. E in buona parte quei trentadue ragazzi non hanno passato i quindici anni.»

«Trentadue?» esclamò F’nor. «Dovremmo averne una cinquantina. I draghetti devono avere qualche possibilità di scegliere, anche se abituiamo i candidati ai draghi prima ancora della Schiusa.»

F’lar alzò le spalle, noncurante.

«Allora manda a prenderne altri. Tu ne avrai tutto il tempo, ricordalo.» Ridacchiò, come se fosse sul punto di aggiungere qualcosa, poi preferì tacere.

F’nor non ebbe la possibilità di mettersi a discutere con il Comandante del Weyr, perché questi cominciò subito a impartire altre istruzioni.

F’nor doveva condurre con sé i suoi compagni di squadrone per addestrare i giovani. Avrebbero portato con sé i quaranta giovani draghi della prima covata di Ramoth: Kylara con Pridith, la sua regina, T’bor e il suo drago bronzeo, Piyanth. Anche il giovane bronzeo di N’ton avrebbe potuto essere pronto per il volo nuziale contemporaneamente a Pridith, quindi la giovane regina aveva la possibilità di scegliere almeno tra due bronzei.

«E se avessimo trovato il continente del tutto spoglio?» chiese F’nor, ancora sconcertato dalla sicurezza del fratellastro. «Che cosa avremmo fatto?»

«Oh, avremmo dovuto mandarvi indietro, diciamo, nelle Terre Alte,» rispose F’lar, con troppa disinvoltura; e subito si affrettò a proseguire. «Manderei anche altri bronzei, ma mi serviranno tutti qui per andare in cerca degli eventuali Fili interrati a Keroon e a Nerat. A Nerat ne hanno già dissepolti parecchi. Mi hanno detto che a Vincet per poco non è venuto un colpo per lo spavento.»

Lessa espose in poche parole risentite ciò che pensava del Signore di Nerat.

«E la riunione di questa mattina?» chiese F’nor, ricordandosene all’improvviso.

«Non pensiamoci, adesso. Dovrete cominciare a passare in mezzo prima di sera, F’nor.»

Lessa lanciò un’occhiata lunga e aspra al Comandante del Weyr e decise di scoprire ad ogni costo e molto in fretta ciò che era accaduto nel frattempo.

«Ti dispiace disegnarmi qualche punto di riferimento, Lessa?» chiese F’lar.

C’era un’espressione decisamente supplichevole nei suoi occhi, mentre le porgeva una pergamena pulita e uno stilo. Non voleva che lei gli facesse domande capaci di allarmare F’nor. Con un sospiro, Lessa prese lo stilo.

Tracciò i disegni rapidamente; F’nor aggiunse due o tre particolari. Alla fine, poté consegnare una pianta decente del pianoro che avevano prescelto. Poi, all’improvviso, si accorse che la vista le si stava annebbiando. Un capogiro la colse.

«Lessa?» F’lar si piegò su di lei.

«Tutto… si muove… gira…» Cadde riversa tra le braccia di lui.

F’lar la sollevò, scambiando con il fratello uno sguardo preoccupato.

«Vado a chiamare Manora,» propose F’nor.

«E tu come ti senti?» gli gridò dietro il Comandante del Weyr.

«Stanco, ma niente altro,» gli assicurò F’nor, mentre si piegava per chiamare nel pozzo di servizio che portava alle cucine. Pregò che facessero salire Manora e chiese anche del klah bollente. Ne aveva bisogno, su questo non c’era dubbio.

F’lar depose il corpo esile della Dama del Weyr sul letto e la coprì delicatamente.

«Questo non mi piace,» mormorò ricordando ciò che F’nor gli aveva detto a proposito del declino di Kylara: ma suo fratello non poteva saperlo, perché apparteneva ancora al suo futuro. Come mai su Lessa l’effetto era stato tanto immediato?

«Passare da un tempo all’altro fa sentire un po’…» F’nor s’interruppe, cercando le parole esatte. «Non del tutto interi. Ieri tu hai combattuto a Nerat dopo essere passato in mezzo da un tempo all’altro…»

«Io ho combattuto,» gli rammentò F’lar. «Ma oggi tu e Lessa non avete dovuto combattere. Può darsi che passare in mezzo nel tempo provochi una tensione mentale. Senti, F’nor, preferirei che tu ritornassi indientro una volta sola, dopo che sarai arrivato nel Weyr del Continente Meridionale. È un ordine, e dirò a Ramoth di comunicarlo ai draghi per inibirli. In questo modo, nessun cavaliere riuscirà a indurre il suo animale a tornare indietro, anche se lo vorrà. È in gioco qualche fattore che può essere più pericoloso di quanto immaginiamo. Non dobbiamo correre rischi inutili.»

«D’accordo.»

«Un altro particolare, F’nor. Sono rimasto qui tutta la mattina, e tu sei ritornato dal primo viaggio soltanto a metà del pomeriggio. Ricordati che noi abbiamo soltanto tre giorni. Voi avete dieci Giri.»

F’nor se ne andò. Nella galleria incontrò Manora.

La donna non riuscì a trovare nulla d’insolito in Lessa, e alla fine sentenziò che doveva trattarsi di semplice stanchezza: il giorno prima aveva dovuto trasmettere messaggi tra i draghi e i combattenti, e adesso era appena ritornata da uno sconvolgente viaggio in mezzo attraverso il tempo.

Quando F’lar andò ad augurare buona fortuna ai partenti, Lessa era immersa in un sonno normale. Il suo viso era molto pallido, ma il respiro regolare.

F’lar incaricò Mnementh di comunicare a Ramoth la proibizione che la regina doveva instillare nella mente di tutti i draghi in procinto di partire. Ramoth lo accontentò, però aggiunse confidenzialmente una protesta che Mnementh comunicò a F’lar: tutti quanti si divertivano mentre lei, la regina del Weyr, era costretta a restare lì ad annoiarsi.

Non appena i draghi con i loro carichi furono scomparsi uno dopo l’altro nel cielo al di sopra della Pietra della Stella, arrivò planando il giovane allievo che era stato assegnato come messaggero alla Fortezza di Nerat. Era bianco in volto per la paura.

«Comandante del Weyr, abbiamo trovato molti altri Fili interrati, ed è impossibile bruciarli con il fuoco. Il Nobile Vincet richiede la tua presenza.»

F’lar lo aveva previsto.

«Vai a mangiare qualcosa, ragazzo mio, prima di ripartire. Io andrò fra poco.»

Quando entrò nell’alloggio, udì Ramoth emettere un rombo sommesso dal fondo della gola. Si era sdraiata per riposare.

Lessa dormiva ancora, la guancia posata nel cavo della mano. I lunghi capelli scuri ricadevano dal letto. F’lar la vide fragile, fanciullesca, infinitamente preziosa. Sorrise. Dunque le attenzioni di Kylara per lui l’avevano ingelosita: ne era soddisfatto e lusingato. Non avrebbe mai ammesso, di fronte a Lessa, che Kylara, nonostante la sua bellezza spavalda e la sua sensualità, non possedeva un decimo del fascino dell’imprevedibile, delicata ragazza di Ruatha. Persino la sua ostinazione intrattabile, quell’umore ironico e malizioso aggiungevano sapore al loro rapporto. Con una tenerezza che non avrebbe mai dimostrato quando lei era sveglia, F’lar si chinò e le baciò le labbra.

Poi se ne andò, per ritornare a ciò che doveva fare. Quando si soffermò accanto alla regina, Ramoth alzò la grande testa aguzza e fissò su di lui gli occhi sfaccettati, scintillanti di una vivida luminescenza.

«Mnementh, per favore, chiedi a Ramoth di mettersi in contatto con il drago che è nella fucina di Fandarel. Vorrei che il Maestro Fabbro venisse con me a Nerat. Voglio vedere cosa può fare ai Fili il suo agenothree.»

Ramoth annuì, non appena il drago bronzeo le ebbe comunicato il messaggio.

Lo ha trasmesso, e il drago verde sta arrivando, riferì Mnementh al suo pilota. Però è più facile comunicare a distanza quando Lessa è sveglia.

F’lar lo ammise prontamente. Era stato un enorme vantaggio, il giorno prima, durante il combattimento, e sarebbe stato ancora più utile in avvenire.

Forse sarebbe stato bene che Lessa cercasse di parlare a F’nor attraverso il tempo… ma no, F’nor era ritornato.

F’lar entrò nella Sala del Consiglio. Sperava ancora che da qualche parte, nelle vecchie Cronache illeggibili, si celasse l’indizio di cui aveva un bisogno disperato. Doveva esserci pure un modo per uscire da quella situazione. Se non si trattava dell’esperimento nel Continente Meridionale, doveva esserci qualcosa d’altro.


Fandarel dimostrò di avere una volontà non meno ferrea dei muscoli. Guardò calmo il groviglio scoperto di Fili che cresceva a vista d’occhio, contorcendosi e intrecciandosi oscenamente.

«Sono centinaia e migliaia solamente in questa tana,» esclamò il Nobile Vincet di Nerat, con voce frenetica. Agitò le mani, angosciato, per indicare la piantagione in cui erano stati scoperti i Fili. «Gli steli stanno già incominciando ad avvizzire, mentre voi esitate. Fate qualcosa! Quanti altri germogli moriranno, solo in questo campo? Quante altre tane sono sfuggite ieri al fiato dei draghi? Dov’è un drago per bruciare questi Fili? Perché ve ne state lì senza far niente?»

F’lar e Fandarel non badavano alle parole di Vincet, disgustati e affascinati insieme dalla vista di quella particolare fase del ciclo vitale del loro antico nemico. Nonostante le accuse atterrite di Vincet, quella era l’unica tana scoperta sull’intera collina. F’lar preferiva non chiedersi quanti altri Fili potevano essere sfuggiti all’attenzione dei draghi e potevano avere raggiunto il terreno tepido e fertile. Purtroppo non avevano avuto abbastanza tempo per piazzare sentinelle incaricate di seguire la caduta delle masse di Fili. Avrebbero comunque rimediato a Telgar, Crom e Ruatha fra tre giorni. Ma non bastava. Non bastava ancora.

Fandarel fece cenno ai due artigiani che lo avevano accompagnato, e quelli si fecero avanti. Reggevano uno strano apparecchio: un grosso cilindro metallico, al quale era fissato un tubo dall’ampia bocca. All’estremità opposta c’era un altro tubo e poi un cilindretto più corto, a stantuffo. Uno degli artigiani manovrava energicamente lo stantuffo, mentre il secondo puntava la canna verso la tana dei Fili, con dita malferme. A un cenno del compagno, l’uomo lasciò andare un pulsante, e protese prudentemente il tubo al di sopra della tana. Uscì uno spruzzo sottile che cadde al suolo. Non appena le goccioline toccarono i Fili aggrovigliati, dalla buca si levò uno sbuffo di vapore sibilante. Pochi attimi dopo, dei pallidi tentacoli frementi restava soltanto una massa fumante di strisce annerite. Fandarel fece segno ai suoi artigiani di scostarsi e restò a fissare a lungo la buca. Poi grugnì, prese un lungo fuscello, smosse e rimescolò i resti. Non era sopravvissuto neppure un Filo.

«Umf,» grugnì il Maestro Fabbro con evidente soddisfazione. «Comunque, non possiamo andare in giro a scoperchiare tutte le tane. Devo provare con un’altra.»

Seguiti dal Nobile Vincet che gemeva e si torceva le mani, si fecero accompagnare dagli uomini della giungla ad un’altra tana intatta, nella parte della foresta pluviale rivolta verso il mare. I Fili erano penetrati nella terra accanto ad un albero gigantesco che già cominciava ad avvizzire.

Con il lungo fuscello, Fandarel praticò un piccolo foro nella terra, sopra la tana dei Fili, poi accennò ai due artigiani di procedere. Quello che manovrava lo stantuffo pompò energicamente, mentre l’altro regolava il tubo prima di inserirlo nel buco. Fandarel segnalò di cominciare, contò lentamente, poi agitò le braccia. I due uomini si fermarono. Dal minuscolo foro uscì un filo di fumo.

Dopo una breve attesa, Il Maestro Fabbro ordinò agli uomini della giungla di scavare, avvertendoli di stare attenti, per non entrare in contatto con l’agenothree. Quando la tana fu scoperchiata, l’acido aveva fatto il suo lavoro: non rimaneva altro che un groviglio completamente carbonizzato.

Fandarel fece una smorfia; ma stavolta si grattò la testa, insoddisfatto.

«Si impiega troppo tempo, in tutti e due i modi. È meglio distruggerli finché sono in superficie,» tuonò.

«E meglio ancora distruggerli in aria,» s’intromise il Nobile Vincet. «E quella roba, cosa farà ai miei frutteti? In che stato li ridurrà?»

Fandarel si girò di scatto, come se notasse per la prima volta la presenza dell’esagitato Signore.

«Ometto, l’agenothree diluito viene usato per concimare le piante, in primavera. Sicuro, questo campo per qualche anno non produrrà niente, ma non è pieno di Fili. Sarebbe molto meglio se potessimo lanciare gli spruzzi in aria: le goccioline ricadrebbero disperdendosi… anzi, concimerebbero il terreno in modo regolare.» Si interruppe e si grattò di nuovo la testa, rumorosamente. «I draghi giovani potrebbero portare in volo una squadra di… Uhm. È possibile. Però l’apparecchio è ancora troppo ingombrante.» Voltò le spalle all’esterrefatto Signore di Nerat e chiese a F’lar se l’arazzo era stato restituito. «Non sono ancora riuscito a scoprire il modo di lanciare fiamme con un tubo. Ho copiato questo apparecchio dai modelli che fabbrichiamo per i nostri frutticoitori.»

«Non ho ancora saputo niente dell’arazzo,» rispose F’lar. «Ma questi spruzzi sono efficacissimi. I Fili che erano nella tana sono morti.»

«Anche i vermi-di-sabbia sono efficaci, ma in realtà sono poco pratici,» grugnì scontento Fandarel. Rivolse un cenno brusco ai suoi assistenti e si avviò verso i draghi nella luce del crepuscolo.

Robinton li attendeva al Weyr. La sua calma esteriore nascondeva a malapena una profonda eccitazione. Per prima cosa, tuttavia, s’informò educatamente del risultato dei tentativi di Fandarel. Il Maestro Fabbro grugnì scrollando le spalle.

«Ho messo al lavoro tutta la mia Corporazione.»

«Il Maestro Fabbro è troppo modesto,» intervenne F’lar. «Ha già ideato un apparecchio ingegnosissimo che spruzza l’agenothree nelle tane dei Fili e li riduce a una poltiglia nera.»

«Ma non è efficiente. A me piace l’idea del lanciafiamme,» disse il fabbro con uno scintillio negli occhi. «Un lanciafiamme,» ripete. Scosse la testa massiccia con uno scatto secco. «Io vado.» Salutò l’arpista e il Comandante del Weyr con un cenno del capo ed uscì.

«Mi piace la dedizione di quell’uomo ad una idea,» osservò Robinton. Sebbene il comportamento un po’ eccentrico di Fandarel lo divertisse, il suo tono dimostrava un profondo rispetto nei suoi confronti. «Dovrò incaricare i miei apprendisti di comporre una degna Saga sul Maestro Fabbro. Ho saputo,» disse poi, girandosi verso F’lar, «che l’esperimento sul Continente Meridionale è già iniziato.»

F’lar annuì, a disagio.

«I tuoi dubbi sono aumentati?»

«Gli spostamenti in mezzo da un tempo all’altro esigono un pedaggio molto alto,» ammise F’lar, lanciando un’occhiata ansiosa in direzione della camera da letto.

«La Dama del Weyr è ammalata?»

«Dorme; ma ha risentito molto del viaggio di oggi. Abbiamo bisogno di una soluzione diversa, meno pericolosa!» F’lar si batté un pugno contro il palmo aperto.

«Io non ho trovato una soluzione vera e propria,» disse Robinton, in tono vivace. «Ma un altro pezzo del rompicapo. Ho scovato un’annotazione. Quattrocento Giri or sono, il Maestro Arpista venne convocato al Weyr di Fort non molto tempo dopo che la Stella Rossa si era allontanata da Pern, scomparendo nel cielo serotino.»

«Un’annotazione? E che dice?»

«Tieni presente che gli attacchi dei Fili erano appena cessati, quando il Maestro Arpista fu chiamato una sera tardi al Weyr di Fort. Una convocazione molto insolita. Comunque,» fece Robinton, puntando sul suo interlocutore un lungo dito calloso, «di quella visita non si parla mai più. E questo è strano, perché tutte le convocazioni del genere hanno scopi precisi. Vengono registrati tutti questi incontri, ma non ci sono spiegazioni. La cronaca continua parecchie settimane più tardi, per mano del Maestro Arpista, come se non avesse mai lasciato la sede della sua Corporazione. Circa dieci mesi dopo, alle Ballate dell’Insegnamento venne aggiunto il Canto delle Domande.»

«E tu pensi che esista un legame tra questi fatti e l’abbandono dei cinque Weyr?»

«Sì, anche se non saprei dire il perché. Ho solo la sensazione che la visita, le scomparse e il Canto delle Domande siano legati tra loro.»

F’lar versò del vino per entrambi.

«Anch’io ho controllato, cercando qualche indicazione.» E alzò le spalle. «Deve essere stato tutto normale fino al momento della sparizione. Le Cronache parlano dell’arrivo dei convogli delle decime, dell’immagazzinaggio delle provviste, danno l’elenco dei feriti, draghi e uomini, che riprendevano il servizio di pattugliamento. Poi le Cronache s’interrompono, in pieno inverno. A quanto sembra, solo il Weyr di Benden restò occupato.»

«E perché proprio questo Weyr?» domandò Robinton. «Se doveva restare un Weyr soltanto, allora sarebbe stato meglio scegliere l’isola d’Ista. Benden è così a Nord che non è certo il posto più indicato per passarci quattrocento Giri.»

«Benden è alto e isolato. Forse un’epidemia aveva colpito gli altri Weyr, ma non riuscì a propagarsi anche qui?»

«Senza un’ombra di spiegazione? Non è possibile che tutti quanti, draghi, cavalieri, abitanti dei Weyr, siano caduti stecchiti nello stesso istante, senza lasciare le loro carcasse a putrefarsi al sole.»

«E allora domandiamoci: perché venne convocato l’arpista? Gli dissero di comporre una Ballata dell’Insegnamento che avesse per argomento questa scomparsa?»

«Beh,» sbuffò Robinton. «Comunque non fu composta per rassicurarci, con quella melodia… ammesso che la si possa definire una melodia, il che proprio non mi sembra. E non risponde a nessuna domanda: si limita a formularne.»

«E noi dobbiamo rispondere?» suggerì F’lar, sottovoce.

«Sì.» A Robinton brillavano gli occhi. «Noi dobbiamo rispondere: perché è molto difficile dimenticare quel canto, e venne creato per essere ricordato. Quelle domande sono importantissime, F’lar!»

«Quali sono le domande importanti?» chiese Lessa, che era entrata senza farsi notare.

I due uomini si alzarono. F’lar, con insolita premura, le offrì una sedia e le versò del vino.

«Non sto per andare a pezzi,» ribatté lei, seccamente, quasi irritata da quella cortesia esagerata. Poi sorrise a F’lar e proseguì con voce più dolce. «Ho dormito e adesso sto molto meglio. Di cosa stavate parlando, voi due?»

F’lar le spiegò concisamente di che si trattava. Quando parlò del Canto delle Domande, Lessa rabbrividì.

«Non potrei mai dimenticarlo. E questo, a quanto mi hanno detto, significa che è importante.» Fece una smorfia, ricordando le insopportabili lezioni di R’gul. «Ma perchè? Non fa altro che formulare domande.» Poi sbatté le palpebre, sbalordita.

«’Andati avanti, scomparsi, spariti…’ Avanti!» gridò, balzando in piedi. «Ecco! Ho capito! Tutti i cinque Weyr andarono… avanti. Ma in che tempo?».

F’lar si voltò verso di lei, ammutolito.

«Sono venuti nel nostro tempo! Cinque Weyr pieni di draghi!» ripeté Lessa, quasi intimorita.

«No, è impossibile,» la contraddisse F’lar.

«Perché?» chiese Robinton, animandosi. «Non risolve forse il problema che dobbiamo affrontare? La scarsità di draghi da combattimento? Non spiega perché se ne andarono all’improvviso, senza lasciare altra traccia che il Canto delle Domande

F’lar si ricacciò indietro la folta ciocca di capelli che gli ricadeva sugli occhi.

«Spiegherebbe il loro comportamento, quando se ne andarono,» ammise. «Non potevano lasciare indicazioni circa la loro destinazione, altrimenti tutto sarebbe stato cancellato. Come io non ho potuto dire a F’nor che al Sud avrebbe incontrato difficoltà. Ma in che modo sono venuti qui… se è questo il tempo che hanno prescelto? Non sono qui, adesso. Come potevano sapere che c’era bisogno di loro… e quando? Ecco il vero problema: come si possono fornire a un drago punti di riferimento che riguardano un tempo non ancora divenuto realtà?»

«Qualcuno di noi deve tornare indietro, per fornire loro i punti di riferimento esatti,» rispose Lessa, con voce tranquilla.

«Sei pazza, Lessa!» le gridò F’lar, il volto alterato dalla preoccupazione. «Sai quello che ti è capitato oggi. Come puoi pensare di tornare indietro fino a un tempo che non puoi neppure immaginare? Un tempo esistito quattrocento Giri fa? È bastato tornare indietro di dieci Giri per farti svenire!»

«E non ne varrebbe la pena?» chiese Lessa, seria in viso. «Pern non lo merita?»

F’lar l’afferrò per le spalle, la scosse, gli occhi oscurati dalla paura.

«Neppure Pern merita tanto. Non possiamo perdere né te né Ramoth. Lessa, Lessa, questa volta non tentare di disobbedirmi.» Abbassò la voce in un bisbiglio gelido e intenso, tremando di collera.

«Ah, ma può esserci un modo per realizzare tale soluzione, che al momento ci sfugge, Dama del Weyr,» s’intromise molto opportunamente Robinton. «Chi può sapere cosa ci riserva il domani? Certamente, prima di agire, bisogna studiare con molta cura ogni particolare.»

Lessa non cercò di liberarsi dalla stretta di F’lar. mentre girava gli occhi su Robinton.

«Un po’ di vino?» offrì il Maestro Arpista, riempiendole un boccale. Quell’intervento diversivo spezzò l’immobilità degli altri due.

«Ramoth non ha certo paura di tentare,» dichiarò Lessa, stringendo decisa le labbra.

F’lar guardò in tralice il drago dorato che osservava gli umani, con il lungo collo attorto fino quasi alla giuntura tra la grande ala e la spalla.

«Ramoth è giovane,» scattò F’lar; poi captò il pensiero sarcastico di Mnementh nello stesso istante in cui lo captava Lessa.

La giovane donna rovesciò il capo all’indietro, e la sua risata squillante echeggiò nella sala.

«Anch’io riderei volentieri, se lo scherzo è divertente,» osservò puntiglioso Robinton.

«Mnementh ha detto a F’lar che lui, invece, non è giovane, ma non ha egualmente paura di provare,» spiegò Lessa, asciugandosi gli occhi.

F’lar lanciò un’occhiata acida verso la galleria, all’estremità della quale Mnementh aspettava sul cornicione, secondo la sua abitudine.

Sta arrivando un drago, comunicò il bronzeo in quel momento. È il marrone Fanth, e porta il giovane B’rant e Lytol.

«Adesso viene a portarle personalmente, le brutte notizie?» chiese irritata Lessa.

«È già abbastanza doloroso, per Lytol, volare sul drago di un altro o venire qui, Lessa di Ruatha. Ti prego di non accrescere il suo tormento con la tua puerilità,» fece in tono severo F’lar.

Lessa abbassò lo sguardo, infuriata perché il Comandante del Weyr le aveva parlato in quel modo davanti a Robinton.

Lytol entrò un po’ barcollante nella grotta della regina; reggeva l’estremità di un grosso tappeto arrotolato. Il giovane B’rant, che reggeva l’altra estremità, sudava per la fatica. Lytol s’inchinò rispettosamente a Ramoth e fece cenno al giovane cavaliere marrone di srotolare il loro carico. Quando l’immenso arazzo si spiegò F’lar comprese perché il Maestro Tessitore Burg lo ricordava tanto bene. I colori, sebbene fossero indubbiamente antichi, erano rimasti accesi e vibranti. E il tema era ancora più interessante.

«Mnementh, manda a prendere Fandarel. Qui abbiamo il modello che gli serve per il suo lanciafiamme,» disse F’lar.

«Questo arazzo è di Ruatha!» esclamò indignata Lessa. «Lo ricordo benissimo. Quando ero bambina, era appeso nella Grande Sala, e costituiva il tesoro più venerato della mia Casata. Dove era?» I suoi occhi lampeggiavano.

«Signora,» rispose sicuro Lytol, evitando quello sguardo, «viene riportato al suo posto. È opera di un Maestro Tessitore, questa,» continuò, sfiorando con dita reverenti il pesante tessuto. «Che colori, che esecuzione! È occorsa una vita intera per preparare l’ordito, e l’impegno di un’intera Corporazione per completarlo, se io capisco qualcosa di quest’arte.»

F’lar camminò lungo un lato dell’immenso arazzo. Sarebbe stato meglio appenderlo, per poter apprezzare l’esatta prospettiva di quella scena eroica. Una formazione di tre squadroni di draghi in volo dominava la parte superiore. I draghi alitavano fiamme e scendevano in picchiata sulle masse grige dei Fili che cadevano contro il cielo luminoso, che aveva la perfetta sfumatura azzurra dell’autunno: quel colore, pensò F’lar, non poteva indicare una stagione più calda. Sui pendii più bassi delle colline, il fogliame stava assumendo una tinta gialla, a causa del freddo notturno. Le roccie color ardesia facevano pensare a Ruatha. Era quella, la ragione per la quale l’arazzo aveva ornato la Sala di Ruatha? Più in basso, si scorgevano gli uomini che avevano abbandonato la sicurezza della Fortezza, scavata nella parete rocciosa. Erano un po’ curvi sotto il peso degli strani cilindri di cui aveva parlato Zurg. I tubi stretti nelle loro mani eruttavano brillanti lingue di fiamma, in lunghi getti orientati contro i Fili che, fremendo, cercavano di interrarsi nel suolo.

Lessa lanciò un’esclamazione soffocata, avanzò calpestando l’arazzo, si fermò a fissare l’immagine intessuta della Fortezza. La porta massiccia era socchiusa, e i particolari dell’ornamentazione bronzea erano riprodotti scrupolosamente.

«Mi pare che sia il motivo ornamentale sopra la porta della Fortezza di Ruatha,» osservò F’lar.

«Lo è… e non lo è,» rispose Lessa, sconcertata.

Lytol la fissò, poi fissò l’immagine della porta.

«Verissimo. Lo è e non lo è, ed io sono passato da questa porta meno di un’ora fa.» Tornò a guardare con una smorfia l’immagine ai suoi piedi.

«Bene, ed ecco qui i modelli che Fandarel vuole studiare,» disse F’lar, sollevato, guardando i lanciafiamme.

Non sapeva se il fabbro sarebbe stato capace di costruire apparecchi funzionanti sulla base di quel modello, in tempo per aiutarli nella prossima battaglia, di lì a tre giorni. Ma se il Maestro Fabbro non ci fosse riuscito, nessun altro al mondo avrebbe potuto riuscirvi.

Il Maestro Fabbro, comunque, fu felice nel vedere l’arazzo. Si sdraiò a studiarne i particolari, sfiorando con il naso il tessuto. Grugnì, sbuffò e brontolò, standosene seduto a gambe incrociate a schizzare un disegno dopo l’altro.

«È stato fatto. Può essere fatto. Deve essere fatto,» continuava a ripetere.

Lessa ordinò klah, pane e carne quando seppe dal giovane B’rant che né lui né Lytol avevano ancora mangiato. Servì tutti gli uomini; e i suoi modi erano gai e un po’ ironici. F’lar ne fu contento, per Lytol. Lessa riuscì persino a costringere Fandarel a mangiare ed a bere. Era una figuretta che sembrava ancora più minuta accanto a quel colosso; insistette fino a quando quello abbandonò l’arazzo per mangiare e bere, prima di riprendere a disegnare brontolando.

Alla fine, Fandarel decise che gli schizzi bastavano e se ne andò per farsi ricondurre in volo alla sua fucina.

«Inutile chiedergli quando tornerà. È troppo immerso nei suoi pensieri per ascoltarci,» commentò F’lar, divertito.

«Se non vi dispiace, me ne andrò anch’io,» disse Lessa, rivolgendo un sorriso gentile ai quattro che erano rimasti attorno alla tavola. «Buon Connestabile Lytol, abbi la cortesia di scusare anche il giovane B’rant. Sta cadendo dal sonno.»

«Io no, Dama del Weyr,» si affrettò a dichiarare B’rant, spalancando gli occhi per smentire la sonnolenza.

Lessa si limitò a ridere mentre si ritirava nella camera da letto. F’lar la seguì con lo sguardo, pensieroso.

«Non mi fido della Dama del Weyr, quando parla con quel tono di voce troppo docile,» disse, lentamente.

«Comunque, dobbiamo andare tutti,» fece Robinton, alzandosi.

«Ramoth è giovane, ma non è una sciocca,» mormorò F’lar, non appena gli altri furono usciti.

Ramoth dormiva, ignara della sua attenzione. Il Comandante cercò di mettersi in contatto con Mnementh per farsi tranquillizzare da lui, ma non ottenne risposta. Il grande drago bronzeo stava dormicchiando sul suo cornicione.

Nero, più nero, nerissimo,

Più freddo del gelo stridente.

Dov’è in mezzo quel tempo in cui niente

vive oltre alle ali dei draghi?

«Voglio che quell’arazzo ritorni appeso alla parete a Ruatha,» insistette Lessa il giorno seguente, parlando con F’lar. «Voglio che torni al suo posto.»

Erano stati a visitare i feriti e già stavano discutendo perché F’lar aveva mandato N’ton insieme agli altri nel Continente Meridionale. Lessa avrebbe voluto che provasse a guidare il drago di qualche altro cavaliere. F’lar aveva preferito che imparasse a guidare uno squadrone nel Sud, dove avrebbe avuto a disposizione i Giri necessari per maturare. Nella speranza di indurre Lessa ad abbandonare l’idea di tornare indietro nel tempo di quattrocento Giri, le aveva ricordato i ritorni di F’nor, e aveva insistito parecchio sulle difficoltà che lei stessa aveva già avuto modo di sperimentare.

Lessa aveva assunto un’aria molto pensierosa, anche se aveva preferito non rispondere.

Perciò, quando Fandarel mandò a dire che desiderava mostrargli un nuovo apparecchio, il Comandante del Weyr ritenne di poter concedere a Lessa la soddisfazione di riportare a Ruatha l’arazzo ottenuto in prestito. Lei si affrettò a farlo arrotolare e legare sull’ampio dorso di Ramoth.

Seguì con lo sguardo la regina che acquistava quota a grandi colpi d’ala, si portava sopra la Pietra della Stella prima di passare in mezzo per trasportarsi a Ruatha. In quello stesso istante, R’gul arrivò sul cornicione, e riferì che un convoglio stava entrando nella Galleria con un carico enorme di pietre focaie. F’lar ebbe parecchio da fare fino a metà mattina; soltanto allora poté recarsi a vedere il lanciafiamme di Fandarel, rozzo e non ancora efficiente. Il fuoco non scaturiva dalla bocca del tubo con la forza necessaria. F’lar poté ritornare al Weyr solo nel tardo pomeriggio.

R’gul annunciò in tono acido che F’nor lo aveva cercato… anzi, era venuto due volte.

«Due volte?»

«Due volte, proprio come ho detto. Non ha voluto lasciarmi messaggi per te.» Si capiva benissimo che R’gul si era offeso per il rifiuto di F’nor.

Quando fu l’ora di cena, senza che Lessa fosse ritornata, F’lar mandò un messaggero a Ruatha e seppe così che lei aveva effettivamente riportato l’arazzo. Aveva messo a soqquadro l’intera Fortezza fino a quando era riuscita a farlo appendere di nuovo alla parete. Poi, per parecchie ore, era rimasta seduta immobile a fissarlo, alzandosi solo di tanto in tanto per camminargli davanti.

Poi lei e Ramoth avevano preso il volo dalla Grande Torre ed erano scomparse. Lytol, come tutti gli altri, aveva pensato che fossero ritornate al Weyr di Benden.

«Mnementh!» urlò F’lar quando il messaggero ebbe finito di parlare. «Mnementh, dove sono?»

Mnementh impiegò parecchio tempo a rispondere.

Non riesco a sentirle, disse finalmente. Il suo pensiero era sommesso, carico di preoccupazione.

F’lar si afferrò alla tavola con entrambe le mani, guardando la grotta deserta della regina. Sapeva anche troppo bene dove aveva cercato di andare Lessa.

Freddo come la morte, portatore di morte,

rimani e morirai, senza una guida.

Indugia nella sfida del più forte.

E così per due volte si decida.

Sotto di loro stava la Grande Torre di Ruatha. Lessa pregò dolcemente Ramoth di portarsi più a sinistra, e finse di non udire i commenti acidi della regina: sapeva che anche lei era molto emozionata.

Così va bene, cara, è proprio la prospettiva esatta in cui l’arazzo rappresenta la Porta della Fortezza. Ma quando quell’arazzo fu eseguito, nessuno aveva ornato la soglia o aggiunto un timpano alla porta. E non c’erano né la Torre, né il Cortile interno, né il portone d’ingresso. Accarezzò la pelle straordinariamente morbida del collo incurvato, ridendo per nascondere il nervosismo e l’apprensione suscitati dal pensiero del tentativo che si accingeva a compiere.

Si disse che aveva molte buone ragioni per agire in quel modo. Il primo verso della ballata, «Andati avanti, scomparsi, spariti», indubbiamente si riferiva a un trasferimento in mezzo attraverso il tempo. E l’arazzo forniva i punti di riferimento necessari per balzate da un tempo all’altro. Era profondamente grata al Maestro Tessitore che aveva eseguito quella porta. Doveva ricordarsi di elogiarlo per la sua bravura, e sperava di poterlo fare. Ma poi… certo che avrebbe potuto farlo! I Weyr non erano scomparsi, forse? Poiché sapeva che si erano spostati avanti nel tempo, e sapeva come doveva tornare indietro per guidarli, toccava evidentemente a lei quella missione. Era molto semplice, e solo lei e Ramoth potevano farlo. Perché lo avevano già fatto.

Rise di nuovo, nervosamente, e trasse alcuni respiri profondi, rabbrividendo un poco.

«Benissimo, mio aureo amore,» mormorò. «Conosci i punti di riferimento. Sai dove voglio andare. Portami in mezzo, Ramoth, torna indietro di quattrocento Giri.»

Il freddo fu intensissimo, ancora più penetrante di quanto avesse immaginato. Eppure non era un gelo fisico. Era la consapevolezza dell’assenza di tutto. Niente luce. Niente suoni. Niente da toccare. Mentre rimanevano librate a lungo, sempre più a lungo in quel nulla, Lessa riconobbe il panico che l’investiva, e che minacciava di travolgere la sua ragione. Sapeva di essere seduta sul collo di Ramoth, perché sentiva il contatto del grande drago sotto le cosce e sotto le mani. Cercò inavvertitamente di gridare e aprì la bocca… Nulla. Non un suono le giunse all’orecchio. Non riusciva neppure a sentire le proprie mani, benché sapesse di averle alzate per premersele contro le guance.

Sono qui, risuonò nella sua mente il pensiero di Ramoth. Siamo insieme. Quel messaggio rassicurante fu la sola cosa che le impedì di perdere il senno in quel terribile èone di nulla eterno che non finiva mai.


Qualcuno ebbe il buon senso di mandare a chiamare Robinton. Il Maestro Arpista trovò F’lar seduto dietro la tavola, mortalmente pallido in viso, gli occhi fissi sulla grotta destra. L’ingresso dell’arpista e il suono della sua voce calma riuscirono a scuotere il Comandante del Weyr dallo stordimento. Ordinò agli altri di uscire con un gesto perentorio.

«Se ne è andata. Ha tentato di tornare indietro di quattrocento Giri,» disse F’lar con voce dura e tesa.

Robínton si lasciò cadere sulla sedia di fronte al Comandante del Weyr.

«Ha riportato l’arazzo a Ruatba,» continuò F’lar, con lo stesso tono soffocato. «Le avevo parlato dei ritorni di F’nor. Le avevo detto quanto fosse pericoloso. Lei non ha cercato di discutere come al solito, e io so bene che passare in mezzo nel tempo l’aveva spaventata, se mai c’è qualcosa che può spaventare Lessa.» Sferrò un pugno sulla tavola, in un gesto di rabbia impotente. «Avrei dovuto diffidare di lei. Quando è convinta di avere ragione, non perde tempo ad analizzare, a riflettere. Agisce e basta!»

«Ma la Dama del Weyr non è una sciocca,» gli ricordò Robinton, lentamente. «Non avrebbe mai tentato di balzare in mezzo nel tempo senza avere un punto di riferimento. Non credi?»

«’Andati avanti, scomparsi, spariti…’ È l’unico indizio di cui disponiamo!»

«No. Aspetta un momento,» lo ammonì Robinton. Poi fece schioccare le dita. «Ieri sera, quando ha osservato l’arazzo, si è mostrata straordinariamente interessata alla porta della Fortezza. Ricordi? Ne ha anche parlato con Lytol.»

F’lar era già balzato in piedi e si era lanciato a corsa nella galleria.

«Vieni, Arpista! Dobbiamo andare a Ruatha.»

Lytol accese tutti i lumi della Fortezza perché F’lar e Robinton potessero esaminare a loro agio l’arazzo.

«Lessa ha trascorso l’intero pomeriggio a guardarlo,» disse il Connestabile, scrollando il capo. «Siete sicuri che abbia tentato un balzo tanto incredibile?»

«Deve averlo fatto, perché Mnementh non riesce a sentire né lei né Ramoth da nessuna parte. Eppure dice che può ricevere un’eco da Canth, che si trova a dieci Giri di distanza e nel Continente Meridionale.» F’lar avanzò verso l’arazzo. «Cosa c’è di strano in questa porta, Lytol? Ti supplico pensaci!»

«È più o meno come ora. Però mancano le architravi scolpite, né Cortile esterno, né la Torre…»

«Ci sono! Oh, per il primo Uovo, è molto semplice. Zurg ha detto che questo arazzo è molto antico. Lessa deve avere pensato che fu eseguito quattrocento Giri fa, e lo ha adoperato come punto di riferimento per tornare indietro, passando in mezzo.»

«Ma allora sarà arrivata sana e salva,» esclamò Robinton, sollevato, abbandonandosi su una sedia.

«Oh, no, Arpista. Non è tanto facile!» mormorò F’lar e Robinton notò la sua espressione stravolta, la disperazione che si rifletteva sul volto di Lytol.

«Che c’è?»

«Non c’è niente, in mezzo,» disse F’lar con voce spenta. «Passare in mezzo per portarsi da un luogo all’altro non richiede più tempo di quanto un uomo impiega per tossire tre volte. Ma per trasportarsi indietro di quattrocento Giri…»

La voce gli si spense.

Chi vuole,

può.

Chi tenta,

fa.

Chi ama.

vive.

Le voci, dapprima, erano come ruggiti nelle sue orecchie doloranti. Poi si smorzarono e non le udì più. Gemette, mentre la sensazione vorticosa e nauseante la scuoteva, e il letto su cui giaceva girava e girava. Si aggrappò alle sponde, quando una fitta dolorosa le trafisse la testa. Urlò, per protestare contro quella sofferenza e per l’assenza ondeggiante e terribile di un solido appoggio, mentre aveva la sensazione di roteare e di precipitare nello stesso tempo.

Eppure, una necessità spaventosa la sospingeva continuamente a balbettare il messaggio che era venuta a portare. Talvolta sentiva Ramoth che cercava di raggiungerla, attraverso l’immensa oscurità che l’avvolgeva. Allora cercava di aggrapparsi alla mente della regina, sperando che potesse condurla fuori da quel nulla torturante. Poi, sfinita, si abbandonava, si lasciava precipitare; e di nuovo la necessità disperata di comunicare la strappava da quell’oblio.

Finalmente si accorse che una mano morbida e liscia era posata sul suo braccio. Un liquido caldo e saporoso le scorreva nella bocca. Smosse la lingua, e il liquido le sgocciolò nella gola dolorante. Un attacco di tosse la lasciò sfinita e ansimante. Poi tentò di aprire gli occhi, e le immagini che aveva davanti non ondeggiavano.

«Chi… sei?» riuscì a gracchiare.

«Oh, mia cara Lessa…»

«Mi chiamo così?» chiese lei, confusa.

«Così ci ha detto la tua Ramoth,» fu la risposta. «Io sono Mardra del Weyr di Fort.»

«Oh, F’lar sarà così furioso con me,» gemette Lessa, mentre la memoria le ritornava. «Mi scrollerà e mi scrollerà. Mi prende sempre a scrolloni, quando gli disobbedisco. Ma avevo ragione. Avevo ragione io. Mardra… Oh, quel… nulla… spaventoso.» Si sentì scivolare nel sonno, incapace di resistere. Il letto non roteava più sotto di lei, era comodo e accogliente.

La stanza, fiocamente rischiarata dai lumi appesi alle pareti, era simile alla sua nel Weyr di Benden, eppure era sottilmente diversa. Lessa rimase immobile, cercando di identificare quella differenza. Ah, le pareti, qui, erano molto più lisce. E la stanza era più grande; il soffitto più alto, incurvato. I suoi occhi si abituarono alla luce fioca e le permisero di distinguere i particolari: notò che i mobili erano lavorati più finemente. Si agitò, irrequieta.

«Ah, ti sei svegliata, dama del mistero,» disse un uomo. La luce entrò dall’esterno, attraverso la tenda che si schiudeva. Lessa sentì, più che non vedesse, la presenza di altre persone, nell’altra stanza.

Una donna passò, piegandosi, sotto il braccio dell’uomo, e si avvicinò svelta al letto.

«Mi ricordo di te. Tu sei Mardra,» disse Lessa, in tono di sorpresa.

«Infatti. E questo è T’ton, Comandante del Weyr di Fort.»

T’ton stava aggiungendo altri lumi nel supporto appeso alla parete. Si voltò verso Lessa, per controllare se la luce la disturbava.

«Ramoth!» esclamò lei, levandosi di scatto a sedere sul letto, consapevole per la prima volta che non era la mente della sua regina, quella che aveva sfiorato nella grotta esterna.

«Oh, quella!» rise Mardra, in tono di gaia esasperazione. «Mangia tanto che ci farà morire tutti di fame, qui al Weyr. Persino la mia Loranth è stata costretta a chiedere aiuto alle altre regine, per tenerla un po’ a freno.»

«Se ne sta appolaiata sulle Pietre della Stella come se fossero di sua proprietà, e non fa altro che strillare,» aggiunse T’ton, in tono meno caritatevole. Poi tese l’orecchio. «Ah! Ha smesso.»

«Potete venire, non è vero?» proruppe Lessa.

«Venire? E dove, mia cara?» chiese Mardra, confusa. «Hai continuato a parlare di ’venire’, e dei Fili che si avvicinano, e della Stella Rossa inquadrata nella Roccia dell’Occhio e… mia cara, non ti rendi conto che ormai da due mesi la Stella Rossa ha concluso il suo Passaggio e si sta allontanando da Pern?»

«No, no. Hanno cominciato a cadere. È per questo che sono tornata indietro, passando in mezzo nel tempo…»

«Sei tornata indietro? Sei passata in mezzo nel tempo?» esclamò T’ton, accostandosi al letto e scrutando attentamente Lessa.

«Posso avere un po’ di klah? Mi rendo conto di parlare in modo incoerente, e non sono ancora ben sveglia. Ma non sono pazza e non sto più male, e si tratta d’una cosa molto complicata.»

«Sicuro,» fece T’ton, con ingannevole condiscendenza. Comunque, ordinò il klah nel pozzo di servizio. Poi accostò una sedia al letto, e sedette per ascoltare.

«È evidente che non sei pazza,» la tranquillizzò Mardra, lanciando un’occhiataccia al Comandante del Weyr. «Altrimenti non potrebbe volare con una regina.»

T’ton fu costretto a riconoscerlo. Lessa aspettò che arrivasse il klah. Lo sorseggiò, felice di quel calore stimolante.

Poi trasse un profondo respiro e cominciò a parlare. Narrò del lungo Intervallo tra i pericolosi passaggi della Stella Rossa; disse che il Weyr di Benden, l’unico rimasto, era caduto in disgrazia agli occhi di tutti, che Jora aveva deteriorato la sua regina, Nemorth, e aveva finito per perdere il controllo su di lei, così che, mentre la Stella Rossa si avvicinava, non c’era stato il previsto aumento del numero delle uova. Raccontò come aveva compiuto lo schema di Apprendimento di Ramoth, diventando la Dama del Weyr di Benden; come F’lar aveva battuto i Signori delle Fortezze venuti ad assediarli, il giorno dopo il primo volo nuziale della regina, e come aveva assunto con fermezza il comando del Weyr e di Pern, facendo i preparativi in attesa dei Fili che stavano per incominciare a cadere. Raccontò agli ascoltatori sempre più intenti i suoi primi tentativi di volare con Ramoth, narrò come inavvertitamente era passata in mezzo nel tempo, tornando al giorno in cui Fax aveva invaso la Fortezza di Ruatha.

«Ha invaso… la Foltezza della mia famiglia?» gridò Mardra, sbigottita.

«Ruatha ha dato ai Weyr molte Dame famose,» disse Lessa con un sorriso malizioso. T’ton scoppiò in una risata.

«È proprio ruathana, non c’è dubbio,» disse il giovane, rivolgendosi a Mardra.

Lessa espose la situazione in cui si trovavano i dragonieri, privi degli effettivi necessari per affrontare gli attacchi dei Fili. Parlò del Canto delle Domande e del grande arazzo.

«Un arazzo?» gridò Mardra, portandosi una mano alla guancia in un gesto allarmato. «Descrivimelo!»

E quando Lessa lo descrisse, comprese, dalle loro espressioni, che finalmente le credevano.

«Mio padre ha appena commissionato un arazzo con quella scena. Me ne ha parlato l’altro giorno, perché l’ultima battaglia contro i Fili è stata combattuta sopra Ruatha.» Incredula, Mardra si rivolse a T’ton, che non aveva più l’aria divertita. «Deve avere fatto davvero ciò che dice. Altrimenti, come potrebbe conoscere l’arazzo?»

«Puoi anche chiederlo alla tua regina e alla mia,» le suggerì Lessa.

«Mia cara, non dubitiamo più di te,» disse Mardra, di slancio. «Ma è stata un’impresa incredibile.»

«Non penso,» fece Lessa, «che la tenterei di nuovo, adesso che so quel che succede.»

«Sì, questo shock crea un problema molto grave per un balzo avanti nel tempo, se il tuo F’lar deve disporre di effettivi sufficienti.» osservò T’ton.

«Verrete? Verrete?»

«È decisamente possibile,» rispose T’ton, con aria grave. Poi sul suo volto apparve un sorriso sarcastico. «Tu hai detto che abbiamo lasciato i Weyr… Li abbiamo abbandonati senza lasciare spiegazioni. Siamo andati in qualche posto… in qualche tempo, cioè, perché siamo ancora qui, adesso…»

Tacquero a lungo, perché la stessa alternativa si era presentata alle loro menti in un unico istante. I Weyr erano stati abbandonati, ma Lessa non poteva provare che i loro occupanti fossero ricomparsi nel suo tempo.

«Deve esserci un modo, deve esserci un modo,» gridò Lessa, disperata. «E non c’è tempo da perdere, assolutamente!»

T’ton rise, una risata brusca.

«Qui abbiamo tutto il tempo possibile, mia cara.»

Poi convinsero Lessa a riposare, più preoccupata di quanto lo fosse stata quando stava male e urlava delirando che precipitava e non vedeva più nulla, non udiva più nulla, non poteva toccare più nulla. Anche Ramoth, le dissero, aveva sofferto per l’orrore della permanenza prolungata in mezzo, conclusa quando era emersa al di sopra dell’antica Ruatha, ridotta quasi ad un spettro pallidamente dorato.

Il Signore della Fortezza di Ruatha, padre di Mardra, era rimasto immensamente sorpreso quando aveva visto apparire all’improvviso una Dama vacillante ed una pallida regina. Naturalmente, per fortuna, aveva avuto l’idea di mandare a chiamare la figlia dal Weyr di Fort. Lessa e Ramoth erano state trasportate al Weyr, e il Signore di Ruatha aveva mantenuto il segreto sulla loro presenza.

Quando Lessa ebbe recuperato a sufficienza le forze, T’ton convocò il Consiglio dei Comandanti dei Weyr. Stranamente, si dichiararono tutti disposti ad andare… purché si potesse risolvere il problema della shock temporale e si trovassero punti di riferimento lungo la via. Lessa non impiegò molto tempo a capire perché i dragonieri fossero tanto ansiosi di compiere quel viaggio nel tempo. Erano nati quasi tutti durante l’invasione dei Fili che si era appena conclusa. Da quattro mesi, ormai, non avevano altro da fare che banali voli di pattugliamento, e la monotonia li annoiava. I Giochi rappresentavano ben miseri surrogati delle vere battaglie che tutti avevano combattuto. Le Fortezze, che un tempo non sapevano più che fare per ingraziarsi i dragonieri, cominciavano a mostrare una certa indifferenza nei loro confronti. I Comandanti dei Weyr prevedevano che la situazione avrebbe continuato a peggiorare, via via che le paure suscitate dai Fili fossero svanite. C’era la minaccia di una decadenza del morale, insidiosa come un’epidemia. L’alternativa offerta dall’appello di Lessa appariva loro migliore di una lenta decadenza nel loro tempo.

Soltanto il Comandante del Weyr di Benden non partecipò alle riunioni. Poiché, ai tempi di Lessa, Benden era l’unico Weyr, doveva rimanere intatto e all’oscuro di tutto. Inoltre, non si doveva rivelare la presenza di Lessa, in quanto nel suo tempo quella missione era sconosciuta a tutti.

Lei insistette perché mandassero a chiamare il Maestro Arpista, dato che le Cronache dei suoi tempi affermavano che era stato convocato. Ma quando l’uomo la pregò di recitargli il Canto delle Domande, lei si rifiutò, sorridendo.

«Lo scriverai tu, o lo farà il tuo successore, quando si saprà che i Weyr sono stati abbandonati,» gli disse. «Ma devi essere tu a crearlo, non io a ripeterlo.»

«È un compito difficile, sapere di dover comporre un canto che, tra quattrocento Giri, dovrà fornire un’indicazione preziosa.»

«Ti raccomando, però,» l’avverti Lessa, «che sia una Ballata dell’Insegnamento. Non deve venir mai dimenticato, perché pone domande alle quali io debbo rispondere.»

Il Maestro Arpista ridacchiò, e lei comprese di avergli già fornito un indizio.

Le discussioni si fecero più accalorate. Come si poteva arrivare sani e salvi, senza dover subire lunghissime privazioni sensoriali? C’erano invece proposte più costruttive, anche se poco pratiche, sul modo di trovare punti di riferimento lungo la strada. I cinque Weyr non erano mai stati avanti nel tempo e Lessa, nel suo unico, gigantesco balzo all’indietro, non si era fermata a prendere nota di punti di riferimento nei tempi intermedi.

«Hai detto che un balzo in mezzo sulla distanza di dieci Giri non ha provocato inconvenienti?» chiese T’ton a Lessa, quando tutti i Comandanti dei Weyr ed il Maestro Arpista si radunarono per discutere il problema.

«Nessun inconveniente. Si impiega… oh, diciamo il doppio di quanto occorre per un balzo da un luogo all’altro.»

«Ma il balzo di quattrocento Giri ti ha lasciata sbilanciata. Uhm. Forse segmenti di venti o venticinque Giri potrebbero andare bene.»

La proposta trovò favore fino a quando non intervenne D’ram, il cauto Comandante di Ista.

«Non vorrei sembrarvi un vigliacco, ma c’è una possibilità di cui non abbiamo parlato. Come possiamo sapere se abbiamo compiuto il balzo in mezzo e siamo giunti ai tempi di Lessa? Passare in mezzo è molto rischioso. Spesso perdiamo degli uomini. E Lessa è riuscita a sopravvivere a malapena.»

«È giusto, D’ram,» approvò vivacemente T’ton. «Ma io ritengo che molte cose dimostrino che noi siamo andati… o andremo… avanti nel tempo. Innanzi tutto gli indizi. Erano diretti tutti a Lessa. La stessa situazione d’emergenza che ha vuotato i Weyr l’ha indotta a tornare indietro per chiedere il nostro aiuto…»

«D’accordo, d’accordo,» l’interruppe impaziente D’ram. «Ma volevo dire un’altra cosa. Puoi essere certo che abbiamo raggiunto il tempo di Lessa? Non è ancora accaduto. Siamo sicuri che è possibile?»

T’ton fu l’unico che frugò nella propria mente alla ricerca di una risposta. Poi, all’improvviso, batté le mani, a palme in giù, sul piano della tavola.

«Per l’Uovo, qui si tratta di scegliere tra il morire lentamente senza far nulla e il morire rapidamente tentando di agire. Ne ho più che abbastanza della vita tranquilla che noi dragonieri dobbiamo condurre, quando la Stella Rossa è passata, fino a quando andiamo in mezzo per la vecchiaia. Confesso che quasi mi dispiace di vedere la Stella Rossa che rimpicciolisce nel cielo della sera. Ecco cosa vi dico: afferriamo il rischio con tutte e due le mani e scrolliamolo fino a quando sparisce. Noi siamo dragonieri, no? Nati e addestrati per combattere i Fili. Andiamo a caccia, allora… di qui a quattrocento Giri!»

Il volto tirato di Lessa si rilassò. Aveva riconosciuto la validità della possibilità alternativa di D’ram, che aveva suscitato nel suo cuore una paura amara. Rischiare la propria vita era una cosa, ma mettere a repentaglio centinaia di uomini e di draghi, e tutti gli abitanti dei Weyr che li avrebbero accompagnati…

Le parole squillanti di T’ton liquidarono una volta per tutte quelle considerazioni.

«E io,» esclamò il Maestro Arpista con voce esultante, soverchiando le grida di approvazione, «credo di conoscere i punti di riferimento.» Un sorriso stupito gli illuminò il volto. «Venti Giri o duemila che siano, avete una guida! Ed è stato T’ton a indicarla. Quando la Stella Rossa si allontana facendosi più fioca nel cielo della sera…»

Più tardi tracciarono l’orbita della Stella Rossa, e scoprirono che quella soluzione, in realtà, era molto facile; risero tutti all’idea che l’eterna nemica diventasse la loro guida.

Sulla vetta del Weyr di Fort, come su tutti gli altri, c’erano delle grandi pietre. Erano collocate in modo che, in certi periodi di tempo, segnassero l’avvicinarsi e l’allontanarsi della Stella Rossa, lanciata nella sua orbita irregolare di duecento Giri attorno al Sole. Consultando le Cronache dove, tra le altre informazioni frammentarie, erano registrati anche i vagabondaggi della Stella Rossa, non fu difficile precalcolare balzi in mezzo di venticinque Giri per ogni Weyr. Venne deciso che gli effettivi di ogni Weyr avrebbero compiuto i balzi in mezzo al di sopra della propria base, perché senza dubbio si sarebbe verificato qualche incidente, se milleottocento draghi a pieno carico avessero tentato la manovra in un’unica località.

Ormai, per Lessa, ogni attimo che la separava dal suo tempo era un’eternità. Da un mese era lontana da F’lar, e sentiva la sua mancanza più di quanto avesse mai immaginato. E poi, temeva che Ramoth si accoppiasse lì, lontano da Mnementh. Naturalmente, c’erano draghi bronzei e cavalieri bronzei pronti ad offrirsi; ma a Lessa non interessavano affatto.

T’ton e Mardra la tennero occupata con i molti particolari organizzativi dell’esodo. Nei Weyr non dovevano restare tracce, ad eccezione dell’arazzo e del Canto delle Domande che sarebbero stati compiuti in una data successiva.

Con un sollievo che le riempì gli occhi di lacrime, Lessa lanciò Ramoth in alto nel cielo notturno, per prendere posto a fianco di T’ton e di Mardra al di sopra della Pietra della Stella del Weyr di Fort. Negli altri Weyr, i grandi squadroni erano disposti in formazione, pronti anch’essi alla partenza.

Quando i draghi dei Comandanti dei Weyr segnalarono a Lessa che tutto era a posto, e che tutti avevano in mente i punti di riferimento rappresentati dalle posizioni della Stella Rossa, fu proprio la viaggiatrice venuta dal futuro ad impartire l’ordine di balzare in mezzo.

Anche la notte più nera all’aurora finirà,

ed il Sole disperde l’ansia del sognatore:

Quando l’angoscia atroce e tetra del mio cuore

nel Weyr ottenebrato conforto troverà?

Avevano compiuto undici balzi in mezzo. I bronzei dei Comandanti dei Weyr comunicavano con Lessa mentre riposavano per brevi intervalli tra un balzo e l’altro. Di tutti i milleottocento draghi, soltanto quattro non riuscirono ad avanzare nel tempo: e si trattava di bestie molto vecchie. Tutti i cinque contingenti approvarono la proposta di sostare per consumare un rapido pasto e un klah bollente prima del balzo finale, che sarebbe stato di soli dodici Giri.

«È più facile,» osservò T’ton, mentre Mardra serviva il klah, «compiere balzi di venticinque Giri che non di dodici.» Alzò lo sguardo verso la Stella Rossa, che era stata la loro guida infallibile. «Non si sposta di molto. Conto su di te, Lessa, per avere altri punti di riferimento.»

«Voglio tornare a Ruatha prima che F’lar scopra che sono scomparsa.» Lessa rabbrividì mentre guardava a sua volta la Stella Rossa nel cielo dell’alba, e sorseggiò in fretta il klah bollente. «Ho visto la Stella così una volta… no, due volte, a Ruatha.» Fissò T’ton. Si sentì stringere la gola, mentre ripensava a quella mattina, quando aveva deciso che la Stella Rossa rappresentava ’per lei una minaccia, tre giorni prima che Fax e F’lar giungessero alla Fortezza di Ruatha. Fax era morto trafitto dalla spada di F’lar, e lei era andata a vivere al Weyr di Benden. Una vertigine la colse; si sentì debole, stranamente sconvolta. E questo non era successo, quando si erano fermati per sostare le altre volte, tra un balzo e l’altro.

«Ti senti bene, Lessa?» chiese allarmata Mardra. «Sei pallidissima e tremi.» Le cinse le spalle con un braccio, lanciando uno sguardo preoccupato al suo compagno.

«Dodici Giri fa ero a Ruatha,» mormorò Lessa, aggrappandosi alla mano dell’amica. «Ero due volte a Ruatha. Andiamocene, presto. Sono troppe volte in questa mattina. Devo tornare indietro, devo tornare da F’lar. Sarà furibondo.»

Il tono isterico della sua voce allarmò Mardra e T’ton. Quest’ultimo si affrettò ad ordinare di spegnere i fuochi, di montare sui draghi e di prepararsi per l’ultimo balzo.

La mente in preda al caos, Lessa trasmise i punti di riferimento ai draghi degli altri Comandanti: Ruatha nella luce serotina, la Grande Torre, il Cortile interno, la terra in primavera…

Un puntolino rosso nel freddo cielo nero,

una goccia di sangue loro guida sarà.

Molti Giri lontano, immersa nel mistero,

la Stella Rossa ancora proseguir li farà.

Lytol e Robinton, a furia di insistenze, costrinsero F’lar a mangiare, cercando volutamente di stordirlo con il vino. F’lar si rendeva conto che avrebbe dovuto opporsi, ma era uno sforzo immenso: gliene mancava ormai la volontà. Non lo consolava il pensiero che restavano loro Pridith e Kylara per tenere in vita la specie dei draghi, eppure rimandava continuamente la decisione di inviare qualcuno a cercare F’nor. Era incapace di affrontare la realtà di quell’ammissione: facendo ritornare Pririth e Kylara, avrebbe implicitamente riconosciuto che Lessa e Ramoth non sarebbero riapparse mai più.

Lessa, Lessa, gridava senza sosta la sua mente. La malediceva per il suo ardimento inflessibile e avventato, e un attimo dopo sentiva di amarla di più perché aveva tentato quell’impresa incredibile.

«F’lar, tu hai più bisogno di riposo che di vino,» risuonò la voce di Robinton, penetrando attraverso la sua angoscia.

F’lar alzò gli occhi su di lui, aggrottando la fronte perplesso. Si accorse di stare cercando di sollevare la brocca di vino, mentre il Maestro Arpista la tratteneva con un gesto deciso.

«Cos’hai detto?»

«Andiamo. Ti accompagnerò al Weyr di Benden. Niente al mondo potrebbe indurmi ad abbandonarti, in questo momento. Sei invecchiato di colpo, in queste poche ore.»

«E non è comprensibile?» urlò F’lar, balzando in piedi, orientando la sua rabbia impotente su Robinton, soltanto perché questi era il bersaglio più vicino.

Con un’espressione di profonda pietà, il Maestro Arpista gli afferrò il braccio, lo strinse con forza.

«Neppure un Maestro Arpista come me può avere parole sufficienti per esprimere la comprensione ed il rispetto che prova per te. Ma devi dormire. Devi resistere per tutto domani, e dopodomani dovrai combattere. I dragonieri devono avere un comandante…» Abbassò di colpo la voce. «Domani dovrai mandare a prendere F’nor… e Pridith.»

F’lar girò sui tacchi e si avviò a grandi passi verso la porta fatidica della grande Fortezza di Ruatha.

O Lingua, esprimi ora la gioia e l’esultanza!

Sulle ali dei draghi giunge a noi la speranza.

Davanti a loro incombevano la Grande Torre di Ruatha, le alte pareti del Cortile Esterno chiaramente visibili nella luce morente.

La sirena lanciò nell’aria il suo grido violento, udibile a malapena nel tuono assordante delle ali di centinaia di draghi apparsi in formazione da combattimento, uno squadrone dopo l’altro, su tutta l’estensione della valle.

Un raggio di luce spazzò la pavimentazione del Cortile, mentre la porta della Fortezza si apriva.

Lessa ordinò a Ramoth di scendere vicino alla Torre e smontò. Corse via, di slancio, incontro agli uomini che stavano uscendo dalla porta. Riconobbe la figura robusta di Lytol, che teneva alto sopra il capo un gruppo di lumi. Fu così felice di vederlo che dimenticò del tutto la vecchia ostilità nei suoi confronti.

«Hai sbagliato di due giorni l’ultimo balzo, Lessa!» gridò Lytol, non appena furono abbastanza vicini perché lei potesse udirlo, nel frastuono causato dall’atterraggio dei draghi.

«Ho sbagliato? Com’è possibile?» mormorò lei.

T’ton e Mardra la raggiunsero.

«Non devi preoccuparti,» la rassicurò Lytol, stringendole le mani e con uno sfavillio di gioia negli occhi. Sorrideva. «Hai superato il giorno adatto. Ritorna in mezzo, ed emergi nella Ruatha di due giorni fa. Ecco tutto.» Il suo sorriso si allargò, di fronte alla confusione di Lessa. «È tutto a posto,» ripeté, accarezzandole le mani. «Scegli la stessa ora, ma visualizza F’lar, Robinton e me qui, nel Grande Cortile. Colloca Mnementh sulla Grande Torre e un drago azzurro sulle alture. Vai, adesso.»

Mnementh? chiese Ramoth a Lessa, impaziente di vedere il suo compagno. Piegò la testa enorme, e i grandi occhi le brillarono di un fuoco iridescente.

«Non capisco,» gemette Lessa. Mardra le cinse le spalle con un braccio per confortarla.

«Capisco io… Fidati di me,» supplicò Lytol, battendole goffamente una mano sulla spalla e lanciando uno sguardo a T’ton per chiedere il suo appoggio. «È come ha detto F’nor. Non si può essere nello stesso luogo in tempi diversi senza risentirne tremendamente, e quando vi siete fermati, dodici Giri fa, Lessa è andata a pezzi.»

«Lo sapevi?» gridò T’ton.

«Certo. Ritornate indietro due giorni fa. Vedete, io so che l’avete fatto. Naturalmente, allora sarò molto sorpreso, ma adesso, questa notte, so che siete riapparsi. Oh, andate. Non discutete, vi prego. F’lar è quasi impazzito per la preoccupazione.»

«Mi prenderà a scrolloni!» gridò Lessa, come una bambina.

«Lessa!» T’ton la prese per mano e la ricondusse verso Ramoth. La regina si acquattò per farla salire.

T’ton s’incaricò di tutto: passò al suo Fidranth l’ordine di ritornare indietro di due giorni, servendosi dei punti di riferimento indicatigli da Lytol. Poi aggiunse, per mezzo di Ramoth, una descrizione dei tre esseri umani e di Mnementh.

Il freddo in mezzo fece ritornare in sé Lessa, benché l’errore avesse minato la sua sicurezza. Ma poi riapparve Ruatha. I draghi, felici, si disposero in un’impressionante formazione. E là, profilati contro la luce che usciva dalla Sala, c’erano Lytol, Robinton… e F’lar.

La voce di Mnementh lanciò un sonoro benvenuto, e Ramoth si sbrigò a far scendere Lessa, per volare ad intrecciare il collo attorno a quello del suo compagno.

Lessa rimase dove la regina l’aveva fatta scendere, incapace di muoversi. Si accorse che Mardra e T’ton erano al suo fianco. Vide F’lar che attraversava correndo il Cortile. Eppure non poté muoversi.

F’lar l’afferrò tra le braccia, la strinse a sé con tanta forza che lei non ebbe più dubbi sulla felicità che gli dava il suo ritorno.

«Lessa, Lessa,» le ripeteva nell’orecchio la voce convulsa di F’lar. La strinse più forte, togliendole quasi il respiro, dimenticando tutti i cauti atteggiamenti distaccati del passato. La baciò, la strinse, la tenne tra le braccia, e poi tornò a baciarla d’impulso. Poi, all’improvviso, si scostò e l’afferrò per le spalle. «Lessa, se tu…», disse sottolineando ogni parola con una flessione delle dita. Poi s’interruppe, scorgendo attorno a loro quei volti sorridenti e sconosciuti.

«Ve l’avevo detto, che mi avrebbe preso a scrolloni,» stava dicendo Lessa, scuotendo il viso per far scorrere via le lacrime. «Ma, F’lar, li ho portati qui tutti… tutti tranne il Weyr di Benden. È per questo che gli altri cinque Weyr erano abbandonati. Li ho condotti qui io.»

F’lar si guardò attorno, scrutò, al di là dei comandanti, la massa dei draghi che scendevano nella Valle, sulle alture, dovunque volgesse lo sguardo. C’erano draghi azzurri, verdi, marroni, bronzei, ed un intero squadrone di auree regine.

«Hai portato qui i Weyr?» mormorò, stordito.

«Sì. Questa è Mardra e questo è T’ton del Weyr di Fort, e questi sono D’ram e…»

Lui l’interruppe, con un lieve brivido, attirandosela al fianco per poter vedere meglio i nuovi venuti e per salutarli.

«Vi sono immensamente grato più di quanto sappia dirvi,» cominciò. Ma non riuscì a continuare, non seppe pronunciare tutto ciò che voleva aggiungere ancora.

T’ton si fece avanti, tendendo la mano, e F’lar la prese, la strinse con fermezza.

«Vi portiamo milleottocento draghi, diciassette regine, e tutto ciò che è necessario per organizzare i nostri Weyr.»

«E hanno portato anche i lanciafiamme!» s’intromise Lessa, eccitata.

«Ma… venire fin qui… tentare una cosa simile…», mormorò F’lar, in tono di sbalordimento e di ammirazione.

T’ton, D’ram e tutti gli altri scoppiarono a ridere.

«La tua Lessa ci ha mostrato la strada…»

«… e la Stella Rossa ci ha guidati,» aggiunse lei.

«Noi siamo dragonieri come te, F’lar di Benden,» proseguì T’ton in tono solenne. «Abbiamo saputo che qui c’erano Fili da combattere, e questo è un lavoro per i dragonieri… in qualunque tempo!»

Tu batti, tamburino; tu soffia, pifferaio;

tu suona, arpista; e tu, soldato, va’.

Si scateni la fiamma, ardan tutte le erbe

finché la Stella Rossa passerà.

Mentre i cinque Weyr scendevano attorno alla Fortezza di Ruatha, F’nor era stato costretto a portare avanti coloro che l’avevano seguito nel Continente Meridionale. Erano giunti tutti all’estremo limite della sopportazione per quella vita in un doppio tempo; e furono felici di ritornare ai quartieri che avevano abbandonato due giorni e dieci Giri prima.

R’gul, totalmente ignaro del balzo a ritroso nel tempo compiuto da Lessa, accolse il Comandante e la Dama del Weyr, al loro ritorno, e diede loro la notizia che F’nor era ricomparso con settantadue draghi nuovi. Aggiunse che però, secondo lui, nessuno dei cavalieri era in grado di combattere.

«Non ho mai visto uomini tanto esausti in tutta la mia vita,» proseguì. «Non riesco a immaginare che cosa possano avere, dato che là c’era il Sole e abbondanza di cibo e di tutto il resto, e non dovevano accollarsi responsabilità.»

F’lar e Lessa si scambiarono un’occhiata.

«Comunque, R’gul, il Weyr del Sud dovrà essere mantenuto. Pensaci sopra.»

«Io sono un dragoniere e un combattente, non una donnicciola,» brontolò il vecchio cavaliere. «Ci vuole altro che un balzo in mezzo nel tempo per ridurre me in quelle condizioni.»

«Oh, si rimetteranno in sesto in pochissimo tempo,» ribatté Lessa e ridacchiò, scandalizzando profondamente R’gul.

«Dovranno riprendersi in fretta, certo, se vogliamo mantenere i cieli sgombri dai Fili,» scattò quello, indignato.

«Non è più un problema,» gli assicurò F’lar, con il suo tono più disinvolto.

«Non è un problema? Quando disponiamo soltanto di centoquarantaquattro draghi?»

«Duecentosedici,» lo corresse Lessa in tono fermo.

R’gul non le badò.

«Il Maestro Fabbro,» domandò, «è riuscito a trovare un lanciafiamme in grado di funzionare?»

«In verità, sì,» replicò F’lar, con un ampio sogghigno di soddisfazione.

I cinque Weyr avevano trasportato nel tempo anche i rispettivi equipaggiamenti. Fandarel aveva strappato letteralmente dal dorso dei cavalieri i lanciafiamme e, senza dubbio, entro la mattina dopo tutte le fucine del continente sarebbero state in grado di fabbricare modelli identici. T’ton aveva detto a F’lar che, nel suo tempo, ogni Fortezza possedeva un lanciafiamme per ognuno degli uomini a terra di cui disponeva. Durante il lungo Intervallo, però, quelle armi erano state fuse o erano state dimenticate, quindi più nessuno riusciva a ricordarne la funzione. D’ram, in particolare, s’interessò moltissimo allo spruzzatore di agenothree costruito da Fandarel: lo giudicava meglio dei lanciafiamme, perché poteva servire anche a spargere il fertilizzante per uso agricolo.

«Bene,» ammise tetro R’gul. «Un lanciafiamme o due potranno esserci utili, dopodomani.»

«Abbiamo trovato anche qualcosa d’altro, che ci sarà più utile ancora,» osservò Lessa. Poi si scusò, in fretta, e corse nel suo alloggio.

I suoni che giunsero subito dopo attraverso il tendaggio potevano essere risate o singhiozzi, e R’gul aggrottò la fronte. Quella ragazza era troppo giovane per rivestire la carica di Dama del Weyr in un momento simile. E troppo instabile.

«Ma si è resa conto della gravità della nostra situazione? Anche tenendo conto dell’apporto di F’nor? Cioè, se quelli saranno in condizione di volare?» domandò R’gul, esasperato. «Non dovresti permetterle di lasciare il Weyr.»

F’lar, senza ascoltarlo, cominciò a versarsi una tazza di vino.

«Una volta, tu mi hai fatto osservare che i cinque Weyr deserti di Pern confermavano la tua teoria, secondo la quale non c’erano più Fili.»

R’gul si schiarì la gola, pensando che le scuse, anche se venivano formulate dal Comandante del Weyr, sarebbero state di ben scarsa utilità contro il nemico.

«Era una teoria abbastanza sensata,» continuò F’lar, riempiendo una coppa anche per il suo interlocutore. «Ma non nel senso in cui l’hai interpretata tu. I cinque Weyr erano deserti perché i loro occupanti… sono venuti qui.»

R’gul, che si stava portando la coppa alle labbra, si fermò a fissare F’lar. Quell’uomo era troppo giovane per sopportare una responsabilità tanto grande. Ma… sembrava credere veramente in ciò che stava dicendo.

«Che tu lo creda o no, R’gul… e fra un giorno lo crederai… i cinque Weyr non sono più vuoti. I loro occupanti sono qui, negli stessi Weyr, in questo tempo. E si uniranno a noi, forti di milleottocento draghi, dopodomani a Telgar, armati di lanciafiamme e della loro esperienza.»

R’gul lo fissò stolidamente per un lungo attimo. Posò la coppa, con delicatezza, poi girò sui tacchi e uscì. Non era disposto a rendersi ridicolo. E avrebbe fatto bene a prepararsi ad assumere il comando, l’indomani; se il giorno successivo si doveva combattere contro i Fili.

La mattina seguente, quando vide la schiera di draghi bronzei che trasportavano i Comandanti dei Weyr e i comandanti degli squadroni alla riunione, R’gul si ubriacò in silenzio.

Lessa scambiò rapidi saluti con i suoi amici e poi, sorridendo dolcemente, se ne andò, spiegando che doveva condurre Ramoth a mangiare. F’lar la seguì impensierito con lo sguardo, poi andò ad accogliere Robinton e Fandarel, i quali erano stati invitati a partecipare alla riunione. I due Maestri d’Arte non parlarono molto, ma non persero una parola di ciò che veniva detto. Fandarel continuava a girare la grossa testa da un oratore all’altro, sbattendo di tanto in tanto gli occhi profondamente incassati. Robinton aveva sulle labbra un sorriso pensoso; la presenza dei visitatori ancestrali lo rendeva felice.

F’lar venne rapidamente dissuaso dalla sua idea di rinunciare alla carica di dirigente supremo, nella sua qualità di Comandante del Weyr di Benden. Aveva avanzato quella proposta perché si riteneva troppo inesperto.

«Ma te la sei cavata bene a Nerat e a Keroon. Anzi benissimo,» osservò T’ton.

«Secondo te è un buon risultato, ventotto tra uomini e draghi messi fuori combattimento?»

«Nella prima battaglia? Con tutti i dragonieri inesperti come draghetti appena usciti dal guscio? No, sei arrivato in tempo a Nerat, in qualunque modo tu ci sia arrivato.» T’ton rivolse a F’lar un sogghigno malizioso. «Hai agito in modo degno di un dragoniere. Ti sei comportato ottimamente.» Gli altri quattro Comandanti di Weyr mormorarono il loro completo assenso. «Il tuo Weyr, tuttavia, è scarso di effettivi, quindi ti presteremo un numero sufficiente di squadroni per completare lo schieramento. Oh, le regine vanno pazze per momenti come questi!» E il suo sogghigno si allargò, indicando che ne andavano pazzi anche i cavalieri bronzei.

F’lar ricambiò il sorriso, pensando che Ramoth era quasi pronta per un altro volo nuziale e che Lessa, stavolta… Oh, quella ragazza si era mostrata ingannevolmente docile. Avrebbe fatto meglio a tenerla d’occhio.

«Dunque,» stava dicendo T’ton, «abbiamo lasciato alla Corporazione di Fandarel tutti i lanciafiamme che abbiamo portato con noi. Così domani tutti gli uomini delle forze di terra saranno bene armati.»

«Sì, e vi ringrazio,» tuonò Fandarel. «Ne fabbricheremo altri a tempo di primato e restituiremo i vostri al più presto possibile.»

«E non dimenticare di adattare gli spruzzatori di agenothree per irrorare l’aria,» intervenne D’ram.

«Siamo intesi,» fece T’ton, girando intorno lo sguardo sugli altri cavalieri, «che tutti i Weyr s’incontreranno, al completo, tre ore prima dell’alba al di sopra di Telgar, per seguire l’attacco dei Fili fino a Crom. A proposito, F’lar, le tue carte, che Robinton mi ha mostrato, sono superbe. Noi non abbiamo mai avuto niente del genere.»

«E come facevate a sapere quando si sarebbero verificati gli attacchi?»

T’ton alzò le spalle.

«Venivano a intervalli così regolari, quando io ero ancora un allievo, che sapevamo quando aspettarceli. Ma in questo modo è meglio, molto meglio.»

«È più efficiente,» aggiunse Fandarel in tono di approvazione.

«Dopodomani, quando tutti i Weyr si presenteranno al di sopra di Telgar, chiederemo le provviste necessarie per rifornire i Weyr vuoti.» T’ton sogghignò. «Come ai vecchi tempi: spremeremo i Signori delle Fortezze chiedendo dècime supplementari.» Si fregò le mani, soddisfatto. «Come ai vecchi tempi!»

«C’è il Weyr del Continente Meridionale,» suggerì F’nor. «In questo tempo, noi ce ne siamo andati ormai da sei Giri, e abbiamo lasciato là le mandrie. Si saranno moltiplicate, e poi ci sono frutti e cereali in abbondanza.»

«Sarei veramente felice se il nostro tentativo laggiù potesse continuare,» osservò F’lar, rivolgendo a F’nor un cenno di incoraggiamento.

«Sicuro, e continua anche a tenere laggiù Kylara,» si affrettò ad aggiungere F’nor, lanciando lampi di irritazione dagli occhi.

Stabilirono di inviare immediatamente rifornimenti ai Weyr rioccupati; poi la riunione fu aggiornata.

«È un po’ sconvolgente,» osservò T’ton, mentre brindava con Robinton, «scoprire il Weyr che abbiamo lasciato ieri in perfetto ordine, ridotto a un guscio vuoto e polveroso.» E ridacchiò. «Le donne delle Caverne Inferiori ci sono rimaste male.»

«Abbiamo ripulito le cucine,» rispose indignato F’nor. Una notte di riposo nel tempo che gli era proprio aveva cancellato in lui quasi tutta la stanchezza.

T’ton si schiarì la gola.

«Secondo Mardra, gli uomini non sono capaci di pulire niente.»

«Credi che domani sarai in grado di volare, F’nor?» chiese sollecito F’lar. Leggeva chiaramente la tensione sul volto del fratellastro, nonostante il rapido miglioramento. Eppure quei Giri durissimi erano stati necessari, e non si erano rivelati inutili neppure in retrospettiva, dopo l’arrivo di milleottocento draghi dal passato. Quando F’lar aveva ordinato a F’nor di portarsi indietro nel tempo di dieci Giri, si trovava nella necessità disperata di procurarsi rinforzi; e nessuno aveva ancora pensato al Canto delle Domande, nessuno aveva ancora parlato dell’arazzo.

«Non vorrei perdermi questa battaglia neppure se fossi senza drago!» esclamò deciso F’nor.

«E questo mi fa venire in mente una cosa,» osservò F’lar. «Domani avremo bisogno di Lessa a Telgar. Lei è in grado di comunicare con tutti i draghi, sapete,» spiegò, quasi in tono di scusa, a T’ton e a D’ram.

«Lo sappiamo,» rispose T’ton. «E a Mardra non dispiace.» Si accorse che F’lar lo fissava senza capire, e aggiunse: «Mardra, nella sua qualità di prima Dama dei Weyr, comanda lo squadrone delle regine, naturalmente.»

L’espressione di F’lar divenne ancora più sbalordita.

«Lo squadrone delle regine?»

«Ma certo.» T’ton e D’ram si scambiarono occhiate interrogative, colpiti da quello stupore. «Non impedirete alle vostre regine di combattere, per caso?»

«Le nostre regine? T’ton, qui a Benden abbiamo avuto una sola regina alla volta, da tante generazioni, ormai, che molti condannano come la peggiore delle eresie le leggende delle regine in combattimento.»

T’ton s’incupì.

«Non mi ero reso conto, fino a questo momento, di quanto sia ridotto il numero dei vostri draghi.» Poi l’entusiasmo tornò a vincerlo. «Comunque le regine sono utilissime, grazie ai lanciafiamme. Riescono a liquidare masse di Fili che agli altri potrebbero sfuggire. Volano a bassa quota, al di sotto degli altri squadroni. È anche per questa ragione che D’ram si interessa tanto agli spruzzatori di agenothree. È una sostanza che non brucia i capelli sulla testa dei sudditi delle Fortezze, per così dire, e sui campi arati è l’ideale.»

«Vuoi dire che voi permettete alle vostre regine di combattere… contro i Fili?» F’lar ignorò il fatto che F’nor e T’ton stavano sogghignando.

«Se glielo permettiamo?» gridò D’ram. «Non riusciremmo a impedirglielo! Ma non conosci le ballate?»

«Il Volo di Moreta?»

«Precisamente.»

F’nor rise sonoramente scorgendo l’espressione del viso di F’lar, mentre questi si ricacciava dagli occhi, con un gesto irritato, una ciocca di capelli, e poi cominciava a ridere a sua volta.

«Grazie. Mi avete fatto venire un’idea.»

Accompagnò gli altri Comandanti ai loro draghi, salutò gaiamente Robinton e Fandarel, più spensierato di quanto avesse mai immaginato di poter essere alla vigilia della seconda battaglia. Poi chiese a Mnementh dove fosse Lessa.

A fare il bagno, rispose il drago bronzeo.

F’lar lanciò un’occhiata nella grotta vuota della regina.

Oh, Ramoth è sul Picco, come al solito. Mnementh sembrava un po’ irritato.

F’lar udì il suono dell’acqua smossa cessare improvvisamente nel bagno. Ordinò del klah nel pozzo di servizio. Aveva tutte le intenzioni di godersi la scena.

«Oh, com’è andata la riunione?» chiese dolcemente Lessa, uscendo dal bagno, avvolta strettamente nell’accappatoio.

«Benissimo. Naturalmente, Lessa, sai che ci sarà bisogno di te, a Telgar?»

Lei lo fissò intenta per un attimo, prima di riprendere a sorridere.

«Io sono l’unica Dama del Weyr capace di comunicare con qualunque drago,» rispose, altezzosamente.

«È vero,» rispose suasivo F’lar. «E non sei più la sola, a Benden, a volare su una regina…»

«Ti odio!» gridò lei. Non riuscì a svincolarsi da F’lar, quando questi l’attirò a sé.

«Anche se ti dico che Fandarel ha un lanciafiamme per te, e che potrai unirti allo squadrone delle regine?»

Lessa smise di divincolarsi e lo fissò, sconcertata.

«E che Kylara verrà insediata come Dama del Weyr nel Continente Meridionale… in questo tempo? Nella mia qualità di Comandante del Weyr, ho bisogno di stare tranquillo, tra una battaglia e l’altra…»

L’accappatoio scivolò dal corpo di Lessa e cadde sul pavimento, mentre lei rispondeva al bacio ardentemente, come se fosse stata eccitata dalla passione dei draghi.

Dal Weyr e dalla Conca,

bronzei, marroni, azzurri e verdi,

i Dragonieri di Pern s’innalzano:

ora li vedi e subito li perdi.

Schierati sopra il Picco del Weyr di Benden, tre ore scarse prima dell’alba, duecentosedici draghi in formazione attendevano che F’lar, sul suo bronzeo Mnementh, terminasse di passarli in rassegna.

Laggiù, nella Conca, erano raccolti tutti gli abitanti del Weyr, e tra gli altri anche alcuni di coloro che erano rimasti feriti nel corso della prima battaglia. Tutti, cioè, tranne Lessa e Ramoth. Si erano recate al Weyr di Fort, dove si stava radunando lo squadrone delle regine. F’lar non riusciva a reprimere un brivido di preoccupazione al pensiero che anche Lessa e Ramoth si accingessero a combattere. Era un riflesso condizionato, eredità dei tempi in cui Pern aveva avuto una sola regina. Se Lessa aveva potuto balzare in mezzo tornando indietro nel tempo di quattrocento Giri per condurre lì cinque Weyr, era certamente in grado di badare a se stessa e a Ramoth in una battaglia contro i Fili.

Controllò che tutti gli uomini fossero carichi di sacchi di pietre focaie, che tutti i draghi fossero in forma perfetta, in particolare quelli provenienti dal Weyr del Sud. I draghi erano in buone condizioni, ovviamente, ma i volti dei loro cavalieri tradivano la tensione temporale che avevano dovuto sopportare. Ma lui stava temporeggiando, e i Fili avrebbero incominciato a cadere tra poco nei cieli di Telgar.

Diede l’ordine di passare in mezzo. Riapparvero in alto, a Sud della Fortezza di Telgar, e si accorsero di non essere stati i primi ad arrivare. A occidente, a Nord e, sì, adesso anche da oriente, giungevano altre formazioni. Ben presto il cielo fu pieno delle grandi «V» disegnate dalle ali di mille draghi. Udì, vagamente, la sirena che suonava sulla Grande Torre di Telgar, mentre dal suolo si levava un’acclamazione alla vista di quello schieramento inaspettato.

«Dov’è Lessa?» chiese F’lar a Mnementh. «Avremo bisogno di lei, fra poco, per trasmettere gli ordini…»

Sta arrivando, l’interruppe Mnementh.

Un altro squadrone apparve proprio al di sopra della Fortezza di Telgar. Anche a quella distanza, F’lar riuscì a distinguere la differenza: i draghi d’oro splendevano nella luce viva del sole mattutino.

Un mormorio d’approvazione scese dallo schieramento dei draghi, e nonostante la sua fuggevole preoccupazione, F’lar sorrise orgoglioso e indulgente a quello spettacolo splendido.

Mentre gli squadroni venuti da oriente si levavano verso una quota più alta, i draghi si accorsero istintivamente della presenza dell’antico avversario.

Mnementh alzò la testa, lanciando l’eco tonante del suo grido di guerra. Girò il capo, come altri cento e cento draghi che si voltavano per ricevere dai cavalieri le pietre focaie. Centinaia di mascelle enormi macinarono la pietra, la trangugiarono; gli acidi della digestione trasformarono la pietra arida in gas produttori di fiamme, capaci di accendersi a contatto con l’ossigeno.

I Fili! F’lar li scorgeva chiaramente, adesso, contro il cielo primaverile. Il cuore prese a battergli più forte, non per l’apprensione, ma per una gioia selvaggia, a colpi irregolari. Mnementh chiese altre pietre e cominciò ad accelerare il ritmo dei colpi d’ala, raccogliendosi per balzare più in alto, dove avrebbe potuto avere una visibilità più ampia.

Il Weyr schierato all’avanguardia lanciò guizzi di fiamme rosso-arancio nel cielo azzurrochiaro. I draghi sparivano e ricomparivano, scagliavano fiamme e scendevano in picchiata.

Le grandi regine dorate volarono a bassa quota, sfiorando le alture, per distruggere i Fili che potevano essere sfuggiti ai primi contrattacchi.

Poi F’lar diede l’ordine di guadagnare quota per incontrare i Fili a metà strada. Mentre Mnementh si scagliava verso l’alto, F’lar agitò il pugno, in un gesto di sfida, in direzione della Stella Rossa.

«Un giorno,» gridò, «non ce ne staremo qui tranquilli. ad aspettare la vostra discesa. Vi piomberemo addosso, là dove siete, e vi cancelleremo dal vostro stesso mondo.»

Per l’Uovo, si disse, se possiamo viaggiare nel tempo fino a portarci indietro di quattrocento Giri e se possiamo attraversare mari e terre in un batter d’occhio, cosa può essere per noi, passare da un mondo all’altro, se non un passo appena diverso?

Sogghignò tra sé. Avrebbe fatto meglio a non parlare di quel progetto temerario in presenza di Lessa.

Masse di Fili davanti a noi, l’avvertì Mnementh.

Mentre il drago bronzeo caricava, fiammeggiando, F’lar serrò le ginocchia contro il collo massiccio. Madre di tutti, pensò: era felice perché lui, F’lar, cavaliere del bronzeo Mnementh, era proprio in quel tempo, fra tutti i tempi immaginabili, un dragoniere di Pern!

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