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Comperai una lattina di acqua tonica da Fiorello’s e la bevvi mentre mi dirigevo alla mia auto. Salii, slacciai gli ultimi due bottoni della camicia di seta rossa e, per il gran caldo, mi tolsi i collant. Poi aprii il dossier di Morelli e studiai prima le immagini: foto segnaletiche d’archivio, un’istantanea che lo ritraeva in giubbotto di pelle e jeans, e una posa ufficiale in giacca e cravatta, chiaramente tratta da una pubblicazione della polizia. Non era cambiato molto. Un po’ più magro, forse. Con l’ossatura facciale più marcata e qualche ruga intorno agli occhi. Una cicatrice, sottile come un foglio di carta, gli tagliava il sopracciglio destro, tanto che la palpebra si abbassava leggermente: un effetto inquietante, minaccioso.

Morelli aveva approfittato della mia ingenuità non una volta, ma due. Dopo l’episodio sul pavimento della pasticceria, non mi aveva più chiamato, né mandato una cartolina e neppure un saluto. E il peggio era che io avrei voluto che mi chiamasse. Mary Lou Molnar aveva ragione. Joe Morelli era irresistibile.

Acqua passata, conclusi fra me. Negli ultimi undici anni l’avevo rivisto tre o quattro volte, e sempre a distanza. Morelli faceva parte della mia infanzia e i miei ricordi d’infanzia non trovavano spazio nel presente. Avevo un lavoro da svolgere. Chiaro e semplice. Non cercavo di vendicare vecchie offese. Trovare Morelli non aveva niente a che vedere con la vendetta. Significava solo racimolare i soldi dell’affitto. Sicuro. Ecco perché improvvisamente sentivo quel nodo alla bocca dello stomaco.

Secondo le informazioni sul contratto a garanzia della cauzione, Morelli abitava in un complesso residenziale appena fuori la Route 1. Sembrava il luogo adatto da dove cominciare a cercare. Dubitavo di trovare Morelli in casa, ma potevo chiedere ai vicini e controllare se ritirava la posta.

Misi da parte il dossier e con una certa riluttanza calzai di nuovo le scarpe. Poi girai la chiave dell’accensione. Niente. Diedi un pugno sul cruscotto e tirai un sospiro di sollievo quando il motore si accese.

Dieci minuti più tardi entravo nel parcheggio del residence di Morelli. Gli edifici in mattoni erano tutti a due piani. Ognuno era dotato di portici di collegamento. Otto appartamenti davano su ciascun portico: quattro sopra e quattro sotto. Spensi il motore e feci scorrere i numeri degli appartamenti. Morelli ne aveva uno al pianterreno, sul retro.

Rimasi seduta in macchina per un po’, mi sentivo stupida e impacciata. Mettiamo che Morelli sia in casa, che cosa faccio? Minaccio di raccontare tutto a sua madre se non viene via con le buone. Era accusato di omicidio: aveva molto da perdere. Non pensavo che mi avrebbe fatto del male, ma poteva rivelarsi un’esperienza terribilmente rischiosa. Il rischio, tuttavia, non mi aveva mai impedito di gettarmi a capofitto in un numero incredibile di progetti sballati… come il mio sciagurato matrimonio con Dickie Orr, quel farabutto. Sull’onda dei ricordi, il mio viso si contrasse in una smorfia involontaria: era difficile credere che avessi davvero sposato un uomo come Dickie.

Okay, conclusi, lascia perdere Dickie. Questo è il caso Morelli. Controlla la cassetta delle lettere e il suo appartamento. Se avevo fortuna, o sfortuna secondo i punti di vista, e lui avesse aperto la porta, avrei borbottato qualcosa fra i denti e me ne sarei andata. Dopo di che avrei chiamato la polizia lasciando agli agenti il compito di arrestarlo.

Attraversai a grandi passi il piazzale asfaltato ed esaminai attentamente la fila delle cassette della posta incassate nel muro. Erano tutte piene di buste, e quella di Morelli più delle altre. M’incamminai per il portico e bussai alla sua porta. Nessuna risposta. Ma che bella sorpresa! Tornai a bussare e aspettai. Silenzio. Girai sul retro dell’edificio e contai le finestre: quattro nell’appartamento di Morelli, quattro in quello dietro al suo. Morelli aveva abbassato la tenda avvolgibile, ma mi avvicinai lo stesso per sbirciare tra un’estremità della tenda e il muro interno. Se la tenda si fosse alzata all’improvviso, me la sarei fatta sotto. Non accadde, ma sfortunatamente non riuscii a scorgere nulla oltre la tenda. Tornai verso il portico per dare un’occhiata agli altri tre appartamenti. Due erano apparentemente deserti. Il terzo era occupato da una signora anziana che abitava lì da sei anni e non aveva mai visto Morelli. M’ero cacciata in un vicolo cieco.

Mi avviai verso la macchina cercando di pensare alla mossa successiva. Nessun segno di vita negli edifici: niente televisori a tutto volume dalle finestre aperte, niente bambini in bicicletta, niente cani in giro per il prato. Non era certo un luogo che potesse attirare le famiglie, pensai, un posto in cui i vicini si conoscessero tra di loro.

Un’auto sportiva entrò nel parcheggio, fece un largo giro e andò a fermarsi in uno degli spazi liberi. Il conducente rimase seduto al volante per un po’; mi chiesi se aspettasse qualcuno. Non avevo niente di meglio da fare e rimasi a guardare che cosa sarebbe successo. Dopo cinque minuti la portiera dalla parte del guidatore si aprì, un uomo scese e si avviò verso il portico vicino a quello di Morelli.

Non potevo credere ai miei occhi. Era il cugino di Joe, Mooch Morelli, lo «scroccone». Non riuscivo a ricordare il suo vero nome di battesimo: per quel che ne sapevo, era sempre stato chiamato Mooch. Da bambino abitava in una via vicino al St. Francis Hospital. Era sempre in giro con Joe. Incrociai le dita e mi augurai che il vecchio Mooch andasse a ritirare qualcosa che Joe aveva lasciato da un vicino. Oppure che in quello stesso momento stesse forzando una finestra dell’appartamento di Joe. Ero tutta eccitata all’idea che Mooch commettesse l’infrazione, quando lui sbucò da dietro l’edificio. Chiavi in mano, entrò dalla porta di Joe.

Aspettai, e dopo dieci minuti Mooch riapparve con una sacca da viaggio nera, salì in macchina e se ne andò. Lasciai che uscisse dal parcheggio e lo seguii. Mi tenni alla distanza di due auto, guidavo con le dita strette sul volante, con il cuore che mi martellava, stordita dall’idea di incassare diecimila dollari.

Tallonai Mooch fino a State Street finché entrò in un viale privato. Feci il giro dell’isolato e parcheggiai a una certa distanza. Un tempo quella era una zona elegante: grandi case di solida pietra, prati ampi e ben tenuti. Negli anni Sessanta, quando i liberal favorivano l’insediamento dei neri nelle zone abitate dai bianchi, uno dei proprietari aveva venduto la casa a una famiglia di colore. Nel corso dei cinque anni successivi, l’intera popolazione bianca, presa dal panico, era fuggita in massa. Arrivarono famiglie più povere, le case si degradarono e vennero divise in lotti, i prati furono abbandonati al loro destino e vennero apposte sbarre alle finestre. Ma, come spesso accade quando c’è penuria di abitazioni, ora stavano iniziando a ristrutturare il quartiere.

Mooch uscì dalla casa dopo pochi minuti. Era solo e senza la borsa. Dio. Una traccia. Quante erano le possibilità che Joe Morelli fosse in quella casa con la borsa sulle ginocchia? Valeva la pena di controllare. Mi si presentavano due alternative. Potevo chiamare subito la polizia o indagare per conto mio. Se chiamavo la polizia e Morelli non era là dentro, avrei fatto la figura della scema, e magari gli agenti non sarebbero stati disposti a correre in mio aiuto una seconda volta. D’altra parte, non me la sentivo di investigare da sola. Non era certo l’atteggiamento di una che aveva appena accettato l’incarico di scovare un latitante, ma era così.

Fissai a lungo la casa, sperando che Morelli uscisse e che non fossi costretta a entrare. Guardai l’orologio e pensai al cibo. Avevo bevuto una bottiglia di birra per colazione. Tornai a fissare la casa.

Se fossi riuscita ad arrivare fino in fondo, forse avrei trovato una miniera d’oro, avrei potuto scialacquare gli spiccioli sul fondo della mia borsetta investendoli in un hamburger. L’idea mi dava la carica.

Alla fine inspirai profondamente, aprii la portiera e scesi dall’auto. Fallo e basta, ragionai. Non trasformare in un affare di stato una mossa tanto semplice. Probabilmente lui non è neppure in casa.

Mi avviai decisa sul marciapiede, parlando fra me mentre camminavo. Raggiunsi la casa ed entrai senza esitare. Le cassette della posta nel vestibolo indicavano che c’erano otto appartamenti. Tutte le porte si aprivano su una scala comune. Le cassette delle lettere avevano il nome del proprietario, a eccezione del 201. Il nome di Morelli non compariva.

In mancanza di un piano migliore, decisi di provare con la porta misteriosa. L’adrenalina fluiva abbondante nel mio sangue quando mi girai verso la scala. Arrivai sul pianerottolo del secondo piano con il cuore che batteva impazzito. La paura di entrare in scena, pensai, è del tutto nonnaie. Tirai il fiato. Quasi senza rendermene conto riuscii ad avvicinarmi alla porta. La mia mano bussò.

Sentii movimento dietro l’uscio. Dentro c’era qualcuno, mi guardava dallo spioncino. Morelli? Ne ero sicura. I polmoni mi si riempirono d’aria, la gola mi pulsava dolorosamente. Perché facevo tutto questo? Io lavoravo nel campo della biancheria intima, che cosa ne sapevo della cattura degli assassini?

Non pensare a lui come a un assassino, ragionai. Pensa a lui come a un farabutto, al macho che ti ha traviata e che poi ha immortalato i particolari della sua bravata sul muro dei gabinetti del Mario’s Sub Shop.

Mi morsi il labbro e indirizzai un sorriso accattivante alla persona dietro lo spioncino, dicendomi che nessun macho poteva resistere a tanta ingenua stupidità.

Trascorse un altro momento, e quasi mi parve di sentirlo imprecare silenziosamente, mentre si chiedeva se doveva aprire. Agitai un dito davanti allo spioncino. Un gesto distensivo, per niente minaccioso. Volevo fargli capire che al di là della porta c’era solo una ragazza ben carrozzata, che sapevo che era in casa.

Sfilò il chiavistello, spalancò la porta e mi ritrovai faccia a faccia con Morelli.

Aveva un atteggiamento passivo e aggressivo a un tempo, la voce impaziente. «Che cosa c’è?»

Appariva più robusto di quanto mi ricordassi. Più rabbioso. Lo sguardo era più assente, la linea della bocca s’era fatta più cinica. Ero venuta a cercare un ragazzo che poteva aver ucciso in un accesso d’ira, ma l’uomo che mi stava di fronte era capace di uccidere con distacco professionale.

Mi concessi un attimo per rendere ferma la voce e per formulare la bugia: «Sto cercando Joe Juniak…»

«Ha sbagliato appartamento. Non c’è nessun Juniak, qui.»

Finsi di essere confusa e mi costrinsi a rivolgergli un sorriso tirato. «Mi scusi…» Mossi un passo indietro e stavo per ridiscendere la scala quando Morelli mi riconobbe.

«Gesù Cristo!» esclamò. «Stephanie Plum?»

Il tono della voce mi era familiare. Era lo stesso che usava mio padre quando trovava il cane degli Smullen che alzava la gamba sul suo cespuglio di ortensie. Benissimo, conclusi. Fra noi non c’è mai stato né amore né amicizia. Questo mi facilitava il compito.

«Joseph Morelli. Che sorpresa!» dissi.

Lui socchiuse gli occhi. «Già. La stessa sorpresa di quando mi hai investito con l’auto di tuo padre.»

Per evitare uno scontro, mi sentii in dovere di dare delle spiegazioni pur non sentendomi obbligata a essere convincente. «È stato un incidente. Mi è scivolato il piede.»

«Incidente un corno. Sei saltata sul marciapiede e mi sei venuta dietro. Potevi ammazzarmi.» Si appoggiò alla porta e guardò nel corridoio. «Insomma, che cosa ci fai qui veramente? Hai letto di me sui giornali e hai deciso che la mia vita non era abbastanza complicata?»

M’investì un’ondata di risentimento. «Me ne sbatto della tua vita», sbottai. «Lavoro per mio cugino Vinnie. Hai violato l’accordo sulla cauzione.»

Brava, Stephanie. Ottimo controllo.

Lui sogghignò. «Vinnie ha mandato te per portarmi dentro?»

«Lo trovi divertente?»

«Sicuro. E ti confesso che di questi giorni ho proprio bisogno di scherzare un po’, non mi è capitato spesso di ridere, ultimamente.»

Capivo il suo punto di vista, neppure a me veniva da ridere se ripensavo ai miei ultimi vent’anni di vita. «Dobbiamo parlare.»

«Sbrigati. Ho fretta.»

Calcolai che avevo circa quaranta secondi per convincerlo ad arrendersi. Sferra subito l’attacco, pensai. Fa’ appello ai suoi complessi di colpa verso la famiglia. «E tua madre?»

«Che c’entra, lei?»

«Ha firmato il contratto per la cauzione, dovrà rispondere di centomila dollari. Sarà costretta a mettere un’ipoteca sulla casa. E che cosa dirà a tutti, che suo figlio Joe è troppo vigliacco per affrontare un processo?»

Il suo viso s’indurì. «Stai perdendo il tuo tempo. Non ho nessuna intenzione di farmi arrestare. Mi metteranno in galera e getteranno via la chiave. Nel frattempo, avrò buone probabilità di lasciarci la pelle. Non sai che cosa succede ai poliziotti in prigione? Non è piacevole, credimi. E se devo dire la verità, tu sei l’ultima persona a cui permetterei di incassare il premio. Sei una pazza, mi hai investito con quella maledetta Buick.»

Avevo continuato a ripetermi che me ne infischiavo di Morelli e dell’opinione che aveva di me, ma dovevo ammettere che la sua ostilità mi feriva. Nel mio intimo, avevo desiderato che provasse della tenerezza per me. Avrei voluto chiedergli perché non s’era fatto più vivo dopo avermi sedotta nella pasticceria. Invece cominciai a strillare. «Meritavi di essere investito. E poi, ti ho sfiorato appena. Ti sei rotto la gamba da solo perché, preso dal panico, hai inciampato!»

«Puoi considerarti fortunata che non ti ho fatto causa.»

«E tu sei fortunato se pensi che potevo ingranare la retromarcia e passarti sopra tre o quattro volte.»

Morelli fece roteare gli occhi e alzò le mani. «Devo andare. Mi piacerebbe fermarmi per cercare di capire la logica femminile…»

«Logica femminile? Non afferro.»

Morelli si scostò dalla porta, infilò una giacca sportiva leggera e afferrò la sacca da viaggio nera che giaceva sul pavimento. «Devo andarmene da qui.»

«Dove vai?»

Lui mi spinse da parte e infilò una pistola nella cintura dei jeans, chiuse la porta e mise in tasca la chiave. «Non sono affari tuoi.»

«Ascolta», dissi, seguendolo giù per le scale. «Arrestare la gente è un lavoro nuovo per me, ma non sono stupida e non mi arrendo facilmente. Ho detto a Vinnie che ti avrei portato dentro ed è esattamente quanto intendo fare. Puoi scappare, se vuoi, ma prima o poi ti troverò e farò tutto ciò che sarà necessario per mandarti in galera.»

Un mucchio di balle! Non riuscivo a credere che uscissero dalla mia bocca. Ero stata fortunata a trovarlo al primo tentativo, ma l’unico modo per arrestarlo era di inciampare in Morelli legato, imbavagliato e privo di sensi. Ma anche così, non ero affatto sicura di riuscire a trascinarlo da qualche parte.

Morelli uscì da una porta sul retro e si diresse verso un’auto ultimo modello, parcheggiata vicino all’edificio. «Non prenderti il disturbo di far controllare la targa», mi avvertì. «La macchina è in prestito, fra un’ora ne avrò un’altra. E non sprecare energie a seguirmi. Ti seminerò, garantito.»

Gettò la sacca sul sedile anteriore, fece per salire in macchina, si fermò. Poi si voltò, appoggiò il gomito alla portiera e, per la prima volta da quando avevo bussato alla sua porta, si concesse alcuni istanti per guardarmi. Alla collera iniziale, subentrava la fredda valutazione dei fatti. Ecco il poliziotto, pensai. Il Morelli che non conoscevo. Il Morelli adulto, se pure esisteva un animale del genere. O forse era soltanto il vecchio Joe, che cercava una nuova dimensione.

«Mi piace la tua pettinatura, con quei ricci», disse finalmente. «Si adatta alla tua personalità. Energica, impulsiva e terribilmente sexy.»

«Tu non sai un accidente della mia personalità.»

«Conosco la parte terribilmente sexy.»

Mi accorsi di arrossire. «Mancanza di tatto, ricordarmelo.»

Morelli sogghignò. «Hai ragione. E può darsi che tu abbia ragione anche per la faccenda della Buick. Probabilmente meritavo di essere investito.»

«Ti stai scusando?»

«No. Ma la prossima volta che giochiamo al treno, puoi tenere la torcia.»


Era quasi l’una quando tornai all’ufficio di Vinnie. Mi lasciai cadere su una sedia accanto alla scrivania di Connie e reclinai la testa per gustarmi l’aria condizionata.

«Sei stata a fare jogging?» s’informò Connie. «Mai visto una persona tanto sudata dai tempi di Nixon.»

«La mia auto non ha l’aria condizionata.»

«Che seccatura! Come va il caso Morelli? Hai qualche traccia?»

«Sono qui per questo. Mi serve aiuto. Questa storia di catturare un latitante non è facile come sembra. Ho bisogno di parlare con qualcuno esperto in materia.»

«Conosco il tipo adatto. Ranger. Il suo nome completo è Ricardo Carlos Manoso. Cubano-americano di seconda generazione. Era nelle forze speciali, ora lavora per Vinnie. Usa delle tecniche che gli altri agenti neanche si sognano. Qualche volta è un po’ troppo creativo ma, diavolo, è così che si comporta un genio, no?»

«Creativo?»

«Non sempre gioca secondo le regole.»

«Oh.»

«Come Clint Eastwood nel ruolo dell’ispettore Callaghan», spiegò Connie. «Ti piace Clint Eastwood, vero?»

Connie premette un tasto sul suo telefono speciale, si collegò alla segreteria di Ranger e lasciò un messaggio. «Tranquilla», mi disse con un sorriso. «Lui ti dirà tutto ciò che hai bisogno di sapere.»

Un’ora dopo ero seduta di fronte a Ranger Manoso in un bar del centro. Il cubano aveva i capelli neri e lisci raccolti in una coda di cavallo, i bicipiti che sembravano scolpiti nel granito e tirati a lucido. Era alto quasi un metro e ottanta, aveva un collo muscoloso e un corpo dal quale sarebbe stato bene mantenere le distanze. Doveva avere ventisette o ventotto anni.

Lui si appoggiò allo schienale e mi rivolse un largo sorriso. «E così, Connie dice che dovrei trasformarti in un’agente che si occupa della cattura dei latitanti. Dice anche che hai bisogno di far pratica in poco tempo. Perché tanta fretta?»

«Vedi quella Nova scura accostata al marciapiede?»

I suoi occhi si volsero alla vetrata centrale del bar. «Uh, uh.»

«È la mia auto.»

Ranger fece un cenno quasi impercettibile. «Dunque hai bisogno di soldi. C’è altro?»

«Motivi personali.»

«Questo è un lavoro pericoloso. Sarà bene che i tuoi motivi personali siano più che validi.»

«Tu perché lo fai?»

Lui sollevò le palme delle mani. «È il lavoro che svolgo meglio.»

Ottima risposta, pensai. Più convincente della mia. «Forse un giorno sarò brava anch’io. Ma al momento il mio motivo si chiama impiego fisso.»

«Vinnie ti ha affidato un caso?»

«Joseph Morelli.»

Lui piegò indietro la testa e scoppiò in una risata che risuonò sulle pareti del piccolo locale. «Oh Dio! Mi prendi in giro? Non lo acciufferai mai, quel bellimbusto. Non si tratta di dar la caccia a un farabutto qualunque, quell’individuo è furbo. E in gamba. Capisci quel che voglio dire?»

«Connie dice che tu sei in gamba.»

«Io sono io e tu sei tu, e non diventerai mai brava come me, bellezza.»

Di solito, in casi del genere, perdevo la pazienza, ma quello non era il momento. «Lascia che ti chiarisca la mia situazione», attaccai, chinandomi verso di lui. «Sono disoccupata, mi hanno ripreso la macchina perché non pagavo le rate, ho il frigorifero vuoto, vogliono buttarmi fuori dal mio appartamento e mi fanno male le scarpe. Non ho tempo da perdere a socializzare. Vuoi aiutarmi o no?»

Manoso sogghignò. «Sarà divertente. Giocheremo al professor Higgins ed Eliza Doolittle. Sarò il tuo pigmalione.»

«Come devo chiamarti?»

«Tutti mi chiamano Ranger.»

Lui tese il braccio e prese l’incartamento che avevo portato con me. Diede una scorsa al contratto. «Ti sei già mossa basandoti su questi dati? Hai controllato il suo appartamento?»

«Lui non c’era, ma ho avuto la fortuna di trovarlo in una casa in State Street. Ci sono arrivata proprio mentre stava uscendo.»

«E dopo?»

«Se n’è andato.»

«Cristo!» sbottò Ranger. «Nessuno ti ha detto che dovevi fermarlo?»

«Gli ho chiesto di venire con me alla stazione di polizia, ma ha risposto che non se lo sognava neppure.»

Altra risata fragorosa. «Immagino che tu non abbia una pistola.»

«Pensi che dovrei procurarmene una?»

«Sarebbe una buona idea», approvò lui sempre ridendo. Poi finì di leggere il contratto. «Morelli ha ammazzato un certo Ziggy Kulesza. Ha usato la sua pistola personale per piantare una pallottola calibro 45 Hydroshock fra gli occhi di Ziggy. Da distanza ravvicinata.» Ranger alzò gli occhi a guardarmi. «Sei pratica di armi?»

«So solo che non mi piacciono.»

«Una 45 Hydroshock entra che è un piacere ma quando esce fa un buco delle dimensioni di una patata. Uno finisce con il cervello spappolato. Probabilmente la testa di Ziggy è esplosa come un uovo in un forno a microonde.»

«Gesù, mi fa piacere che tu me lo dica.»

Ranger tornò a sorridere. «Ho pensato che volessi saperlo.» Inclinò la sedia e incrociò le braccia sul petto. «Sai niente dei retroscena di questo caso?»

«Secondo gli articoli di giornale che Morty Beyers ha allegato al contratto per la cauzione, la sparatoria ha avuto luogo a tarda notte, un po’ più di un mese fa, in uno stabile sulla Shaw. Morelli era fuori servizio ed era andato a trovare Carmen Sanchez. Lui ha dichiarato che Carmen lo aveva chiamato per una questione di servizio; Morelli aveva acconsentito a raggiungerla e quando è arrivato all’appartamento di Carmen, Ziggy Kulesza ha aperto la porta e lo ha aggredito. Morelli ha affermato di aver sparato a Ziggy per legittima difesa.

«I vicini di Carmen hanno fornito una versione diversa. Alcuni si sono precipitati nel corridoio quando hanno sentito gli spari e hanno trovato Morelli in piedi accanto a Kulesza con una pistola fumante. Un inquilino ha immobilizzato Morelli finché non è arrivata la polizia. Nessuno ricorda di aver visto una pistola in mano a Ziggy e le prime indagini non hanno confermato che Ziggy fosse armato.

«Morelli aveva notato un secondo uomo nell’appartamento di Carmen al momento della sparatoria e tre vicini ricordano di aver visto uno sconosciuto, ma pare che l’uomo sia sparito prima che la polizia arrivasse sulla scena.»

«Che mi dici di Carmen?» volle sapere Ranger.

«Nessuno ricorda di averla vista. L’ultimo articolo sul giornale è stato scritto una settimana dopo il fatto. Carmen non si era ancora fatta vedere.»

Ranger annuì. «Sai altro?»

«È tutto.»

«Quel tale a cui Morelli ha sparato lavorava per Benito Ramirez. Il nome ti dice niente?»

«Ramirez è un pugile.»

«È più di un pugile, è una fottuta meraviglia. Un peso massimo come lui non si vedeva da un pezzo qui a Trenton. Si allena in una palestra in Stark Street. Lui e Ziggy erano culo e camicia. Qualche volta Ziggy gli faceva da sparring partner. Il più delle volte Ramirez se ne serviva come tirapiedi e guardia del corpo.»

«Che cosa si dice in giro sul motivo per cui Morelli ha sparato a Kulesza?»

Ranger mi scoccò una lunga occhiata. «Niente. Ma Morelli doveva avere una buona ragione. È un tipo freddo e calcolatore, e se un piedipiatti vuole sparare a qualcuno, esistono tanti mezzi.»

«Anche i poliziotti commettono degli errori.»

«Non come questo, cara.»

«Che cosa cerchi di dirmi?»

«Di stare attenta.»

A un tratto provai un senso di nausea. Non era un’avventura da poco quella in cui m’ero imbarcata per guadagnare in fretta dei soldi. Acciuffare Morelli sarebbe stato difficile. E mandarlo in tribunale mi avrebbe dato scarsa soddisfazione. D’accordo, lui non era la persona che preferivo al mondo, ma non lo odiavo abbastanza per desiderare di vederlo marcire in galera per il resto della vita.

«Sei sempre decisa ad arrestarlo?» domandò Ranger.

Rimasi silenziosa.

«Se non lo fai tu, lo farà qualcun altro», riprese Ranger. «Devi ficcartelo bene in testa. E ricorda, non si fanno affari se ti metti a giudicare la gente. Fa’ il tuo lavoro e porta dentro Morelli. Devi fidarti del sistema.»

«Tu ti fidi?» replicai.

«Serve a combattere l’anarchia.»

«In questo caso ci sono in ballo un sacco di soldi. Se sei così bravo, perché Vinnie non ti ha assegnato Morelli? Perché in origine ha affidato il caso a Morty Beyers?»

«Vinnie spesso è indecifrabile…»

«C’è qualcos’altro che dovrei sapere su Morelli?»

«Se vuoi i soldi ti conviene trovare in fretta il tuo uomo. Circola voce che il sistema giudiziario sia per lui l’ultimo dei problemi.»

«Stai dicendo che c’è un contratto su di lui?»

Ranger finse di impugnare una pistola con la mano. «Bang.»

«Sei sicuro?»

Lui strinse le spalle. «Ripeto quello che ho sentito dire.»

«L’intreccio si complica», commentai.

«Come ti dicevo, lascia perdere l’intreccio. Il tuo compito è semplice. Trova l’uomo e portalo dentro.»

«Credi che possa farcela?»

«No.»

Se cercava di scoraggiarmi, quella era la risposta sbagliata. «Mi aiuterai comunque?»

«Sì, ma non dirlo a nessuno. Non vorrei offuscare la mia immagine passando per un bravo ragazzo.»

Annuii. «Okay, da dove comincio?»

«Per prima cosa devi attrezzarti. E mentre andiamo a prendere l’equipaggiamento, ti parlerò degli aspetti legali.»

«Non sarà troppo costoso, vero?»

«Il mio tempo e le mie conoscenze te li offro gratuitamente perché mi sei simpatica e ho sempre desiderato essere il professor Higgins, ma le manette costano quaranta dollari il paio. Hai una carta di credito?»

Non più. Avevo impegnato anche i miei pochi gioielli, venduto il divano letto del soggiorno a un vicino per pagare gli addebiti sulla carta di credito e ceduto gli elettrodomestici per acquistare la Nova. Mi rimaneva solo una piccola riserva che mi ero ostinatamente rifiutata di toccare. L’avevo messa da parte per ricostruirmi le ginocchia il giorno in cui quelli del recupero crediti me le avrebbero spezzate.

All’inferno, probabilmente il denaro non sarebbe neanche stato sufficiente. «Ho da parte qualche dollaro», dissi.


Lasciai cadere la mia nuova borsa a tracolla di pelle nera sul pavimento accanto alla sedia e mi misi a tavola. Mia madre, papà e nonna Mazur avevano già preso posto e aspettavano di sapere com’era andata con Vinnie.

«Sei in ritardo di venti minuti», osservò mia madre. «Da un momento all’altro mi aspettavo di udire le sirene. Non hai avuto un incidente, vero?»

«Lavoravo.»

«Di già?» La mamma si rivolse a mio padre. «Il primo giorno, tuo cugino, l’ha fatta lavorare fuori orario. Dovresti parlargli, Frank.»

«Non è come credi», spiegai. «Ho un orario flessibile.»

«Tuo padre ha lavorato alle poste per trent’anni e non ha mai tardato per la cena.»

Mi scappò un sospiro prima che riuscissi a trattenerlo.

«Perché sospiri?» chiese mia madre. «E quando hai comperato quella nuova borsa?»

«Oggi. Devo portare con me alcune cose, per questo lavoro. Mi occorreva una borsa più grande.»

«Quali cose? Credevo facessi un lavoro d’archivio.»

«No, ho accettato un altro incarico.»

«E sarebbe?»

Versai un po’ di ketchup sul polpettone trattenendo a malapena un secondo sospiro. «Sono un’agente», risposi. «Mi occupo della ricerca di latitanti.»

«E che cosa significa?» sbottò mia madre. «Frank, tu ci capisci qualcosa?»

«Sì», fece mio padre. «È una bounty hunter, dà la caccia ai ricercati dietro compenso.»

Mia madre si batté la fronte e fece roteare gli occhi. «Stephanie, Stephanie, che cosa ti viene in mente? Questo non è un lavoro per una signorina perbene.»

«È un’occupazione legale e rispettabile», replicai. «Come quella di un poliziotto e di un investigatore privato…» Non avevo mai considerato nessuno dei due lavori particolarmente rispettabile.

«Ma non sai niente di queste cose!»

«È semplice», spiegai. «Vinnie mi affida un FTA, io lo trovo e lo accompagno alla stazione di polizia.»

«Che cos’è un FTA?» volle sapere mia madre.

«È una persona che non si è presentata in tribunale.»

«Ecco, potrei fare anch’io questo lavoro», intervenne nonna Mazur. «Giusto per guadagnare un po’ di soldi. Potrei venire con te a dar la caccia agli FTA.»

«Gesù», si lasciò sfuggire mio padre.

La mamma li ignorò tutti e due. «Dovresti imparare a fare rivestimenti per poltrone e divani», suggerì. «C’è molta richiesta. Frank, che cosa ne pensi? Non è una buona idea?»

Tesi i muscoli della schiena e feci uno sforzo per rilassarmi. Coraggio, mi dissi. Era un buon esercizio per l’indomani, quando sarei andata a trovare la madre di Morelli.


Secondo il metro di giudizio della cittadella, mia madre, di fronte alla mamma di Joseph Morelli, era una casalinga di serie B. Mia madre non era di certo una persona inefficiente, ma, per gli standard del quartiere, la signora Morelli era una casalinga addirittura eroica: Dio in persona non avrebbe saputo pulire i vetri, lavare più bianco o preparare gli ziti meglio di lei. Non perdeva mai una messa, si occupava di vendite a domicilio a tempo perso e mi metteva addosso una fifa blu con i suoi occhi scuri e penetranti.

Non pensavo che la signora avrebbe fatto la spia sul suo ultimo figlio, ma era sulla lista e dovevo assolutamente parlarle.

Con il padre di Joe sarebbe stato diverso, bastavano cinque dollari e una confezione da sei lattine di birra per farlo cantare; ma era morto.

Quel mattino avevo deciso di esibire un’immagine professionale; tailleur di lino beige, calze e scarpe con i tacchi alti e orecchini di perle. Parcheggiai lungo il marciapiede, salii i gradini del portico e bussai alla porta d’ingresso di casa Morelli.

«Bene, bene», disse mamma Morelli sull’uscio, fissandomi con uno sguardo di biasimo, solitamente riservato agli atei e ai fannulloni. «Guarda chi c’è… la piccola bounty hunter.» Sollevò il mento di un paio di centimetri e soggiunse: «So tutto di te e del tuo nuovo impiego. Non ho niente da dirti».

«Devo trovare Joe, signora. Non si è presentato all’ultima udienza in tribunale.»

«Sono sicura che aveva i suoi buoni motivi.»

Già, perché è colpevole. «Senta, le lascio il mio biglietto, nel caso…» Frugai nella borsa nera, trovai le manette, lo spray per capelli, la torcia, la spazzola… ma nessun biglietto da visita. Inclinai la borsa per guardare meglio e la pistola cadde sullo zerbino verde.

«Una pistola!» esclamò la signora Morelli. «In che mondo viviamo? Tua madre sa che vai in giro con una pistola? Glielo dirò, anzi la chiamo subito.»

Mi lanciò un’occhiata di profondo disprezzo e sbatté la porta.

Avevo trent’anni e lei voleva chiamare mia madre. Cose che succedevano solo alla cittadella. Raccolsi la pistola, la rimisi nella borsa e trovai i biglietti da visita. Ne infilai uno fra la porta e l’intelaiatura dell’uscio. Poi percorsi il breve tratto che mi separava dalla casa dei miei genitori e usai il loro telefono per chiamare mio cugino Francie, che sapeva tutto di tutti.

È sparito da un pezzo, aveva detto Francie. È un furbone e probabilmente ora porta un paio di baffi finti. Faceva il poliziotto, ha dei contatti. Sa come procurarsi una nuova tessera di previdenza sociale. Si sarà trasferito. Lascia perdere, aveva suggerito Francie. Non lo troverai mai.

L’intuito e la disperazione mi suggerivano il contrario, perciò chiamai Eddie Gazarra, un poliziotto di Trenton e uno dei miei migliori amici da quando ero nata. Non solo era un caro amico, ma aveva anche sposato mia cugina, Shirley, la «piagnucolona». Perché Eddie l’avesse sposata non riuscivo proprio a capirlo, ma stavano insieme da undici anni, perciò dovevano amarsi.

Con Gazarra non persi tempo in preliminari. Andai diritta al nocciolo della questione, gli parlai del mio lavoro con Vinnie e gli chiesi se sapesse qualcosa della sparatoria che aveva visto protagonista Morelli.

«Non è una storia in cui tu dovresti farti coinvolgere», decretò Gazarra. «Vuoi lavorare per Vinnie? Bene, allora digli di affidarti un altro caso.»

«Troppo tardi. Ho accettato questo.»

«La faccenda puzza.»

«Tutto, nel New Jersey, ha un cattivo odore. È una delle poche cose inevitabili.»

Gazarra abbassò la voce. «Quando un poliziotto viene accusato di omicidio, è una faccenda seria. Tutti diventano suscettibili. E questo omicidio era particolarmente brutto perché le prove materiali erano contro Morelli. È stato arrestato sul luogo del delitto con la pistola fumante in mano. Lui ha dichiarato che Ziggy era armato, ma non è stata trovata nessuna arma; né proiettili conficcati nei muri, sul pavimento o sul soffitto. Nessun residuo di polvere da sparo sulla mano o sulla camicia di Ziggy. Al Gran Giurì non restava altro che incriminare Morelli. E come se non bastasse, lui non si è presentato all’udienza. Un brutto colpo per il dipartimento, una situazione maledettamente imbarazzante. Alla centrale, quando si parla di Morelli, tutti hanno improvvisamente qualcosa da fare. Nessuno farà i salti di gioia se ficchi il naso in questa storia. Da’ la caccia a Morelli e ti ritroverai a camminare da sola sull’orlo di un baratro.»

«Se lo prendo, incasserò diecimila dollari.»

«Ti conviene comperare biglietti della lotteria, allora. Hai maggiori probabilità.»

«Se ho ben capito, Morelli era andato da Carmen Sanchez, ma la donna non era in casa, quando è arrivato.»

«Non solo non si trovava sulla scena del delitto, ma è scomparsa dalla faccia della terra.»

«Tuttora?»

«Sicuro. E non credere che non l’abbiamo cercata.»

«E quel tale che Morelli afferma di aver visto nell’appartamento con Ziggy? Il testimone misterioso?»

«Svanito.»

Arricciai il naso incredula. «Non pensi che sia strano?»

«Stranissimo», confermò Gazarra.

«Forse Morelli si è sbagliato.»

Mi pareva di vedere Gazarra all’altro capo del filo mentre stringeva le spalle. «So solo che il mio intuito di poliziotto mi dice che qualcosa non quadra.»

«Credi che Morelli si arruolerà nella legione straniera?»

«Io credo che resterà in circolazione cercando di aumentare le sue probabilità di continuare a vivere… o che morirà nel tentativo.»

Ero sollevata nel constatare che la mia opinione si rafforzava. «Hai qualche suggerimento da darmi?»

«Nessuno che tu voglia sentire.»

«Andiamo, Eddie, ho bisogno di aiuto.»

Un sospiro. «Non lo troverai nascosto in casa di un parente o di un amico. È furbo. L’unica cosa è cercare Carmen Sanchez e l’individuo che Morelli ha visto nell’appartamento con Ziggy. Al posto di Morelli cercherei di rintracciare queste due persone, sparite misteriosamente, sia per provare la mia innocenza, sia per accertarmi che non possano dimostrare la mia colpevolezza. Non so come potrai fare. Se noi non li abbiamo trovati, quei due, non riuscirai a scovarli neppure tu.»

Ringraziai Gazarra e riappesi. Quella di cercare i testimoni sembrava una buona idea. Non mi preoccupai, per necessità, che si presentasse come una missione impossibile. A me interessava seguire le tracce di Carmen Sanchez, magari percorrendo la stessa strada di Morelli. Chissà che i nostri sentieri non s’incrociassero di nuovo.

Da dove cominciare? Dall’abitazione di Carmen. Potevo parlare con i vicini, scoprire qualche traccia sui suoi amici e la famiglia. Che altro? Parlare con il pugile, Benito Ramirez. Se lui e Ziggy erano così intimi, forse Ramirez conosceva Carmen Sanchez. Magari sapeva dove si nascondeva il testimone scomparso.

Presi una lattina di acqua tonica e una confezione di Fig Newtons dalla dispensa e decisi di parlare prima con Ramirez.

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