CICLO 447

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Sullo sfondo nerissimo delle stelle sparse, i filamenti della galassia della Via Lattea paiono esili bave di luce aggiunte dal pennello di un grande artista. Qui, all’estremità lontana della Conchiglia Esterna, presso il punto dove comincia quello che i Coloni chiamano l’Abisso, non v’è traccia della fervida attività della Colonia, distante circa ventiquattro millicicli-luce. Una maestosa, ininterrotta quiete fa da sfondo all’ineffabile bellezza di un cielo nero trapunto di vivide stelle.

Dal vuoto giunge di colpo un piccolo robot da comunicazioni interstellari. Il robot cerca, finisce per trovarlo, uno scuro satellite sferico di circa cinque chilometri di diametro, che può venir facilmente trascurato nel grande panorama del cielo dei cieli. Passa del tempo. Una ripresa ravvicinata mostra dell’attività in corso, sul satellite. Luci artificiali soffuse illuminano ora tratti della superficie. Veicoli automatizzati sono all’opera alla periferia dell’oggetto, del quale vanno apparentemente cambiando la forma. Vengono infatti smantellate alcune strutture esterne, che i veicoli trasportano lontano a un deposito provvisorio. Alla fine, il satellite originario scompare del tutto, e rimangono soltanto due lunghe rotaie parallele in lega, costituite da sezioni di duecento metri l’una e ricavate dai pezzi di ricambio dell’ormai svanito satellite. Ciascuna rotaia ha una larghezza di dieci metri, ed è separata dalla parallela di un centinaio di metri.

I viaggi all’area di deposito continuano regolari fino a esaurimento del materiale utile, e finché le rotaie non hanno raggiunto una lunghezza di quasi sedici chilometri. Poi l’attività cessa. Le rotaie da nulla a nulla, stanno nello spazio come mute testimoni d’una grande opera d’ingegneria abbandonata all’improvviso. Ma è proprio così? Immediatamente al disotto di una coppia binaria di spicco, le due luci più vivide del cielo orientale, appare un puntino. Il puntino s’allarga e s’allarga fino a dominare il quadrante orientale del cielo. Una dozzina, no, sedici grandi navi interstellari da carico, con fari lampeggianti di vivida luce rossa, guidano nella regione un convoglio di veicoli-robot. Le fantomatiche rotaie da nulla a nulla vengono circondate. La prima nave da carico si apre e fa uscire otto navicelle spaziali, ciascuna delle quali rimonta la rotta verso un’altra delle grandi navi e aspetta in silenzio, all’esterno, che si compia per intero l’arrivo del convoglio.

L’ultimo veicolo ad arrivare è un minuscolo rimorchiatore spaziale che si trascina un lungo oggetto affusolato. Simile a due ventagli giapponesi uniti insieme per le estremità, questo è incassato in una lamina trasparente di protezione fatta di materiale sottilissimo. E, da un capo all’altro, gli si vedono danzare attorno, come colibrì, otto veicoletti dardeggianti, che sembrano, a un tempo, guidarlo, proteggerlo e controllarne lo stato di salute.

Le grandi navi da carico, dalla forma di antichi dirigibili, si aprono ora a svelare il loro contenuto. La maggioranza trasporta pile enormi di pezzi di rotaia. Le navicelle caricano i pezzi, impilati come sono, e li depongono a mucchi per chilometri e chilometri in entrambi i sensi delle rotaie preesistenti. Verso la fine delle operazioni di scarico, quattro navicelle si accostano alla fiancata di una delle ultime navi da carico e aspettano l’apertura del portello prodiero. Dal ventre della nave escono otto macchine che, attaccate le quattro navicelle in coppie, le smontano con cura e ne riportano i pezzi nell’oscurità della stiva prodiera. Pochi momenti dopo, dalla grande nave emerge una complessa macchina a snodo di forma oblunga, che, una volta all’esterno, s’allunga sino a formare un banco lungo quasi un chilometro e mezzo: un banco con una piattaforma centrale, su cui, all’incirca ogni cento metri, una serie più modesta di componenti coordinati si trasforma in un gruppo locale ultraorganizzato.

È il sistema costruttore automatizzato e pluriuso, uno dei tesori tecnologici dei Coloni. Il sistema si sposta ora per intero in capo alle rotaie, e i suoi molti manipolatori a distanza prendono a estrarre pezzi di rotaia dalle diverse cataste. Le mani e le dita dei manipolatori, prodotto di una tecnica sofisticata, posano abilmente i pezzi e li fissano con saldature atomiche. A una velocità sbalorditiva: pochi minuti per un chilometro e mezzo di rotaia. Dopodiché, la grande macchina costruttrice si sposta presso un’altra catasta. Alla fine, le rotaie si stendono nello spazio per oltre centocinquanta chilometri.

Completato questo lavoro, il sistema costruttore intraprende la metamorfosi successiva. Strappandosi in pezzi a partire dai due capi del lungo banco, la monolitica struttura scompare per riorganizzarsi in migliaia di componenti, separati ma simili. Questi componenti, simili a formiche, attaccano a gruppi ciascuno un pezzo di rotaia, misurando con cura tutte le dimensioni e controllando tutte le saldature fra parti adiacenti. Poi, come a un segnale, i binari ai quattro capi dei segmenti di rotaia prendono a incurvarsi e ad alzarsi, sotto la spinta dei componenti-formiche. E torcendosi all’insù, sempre più all’insù, si trascinano dietro il resto delle rotaie. Le due lunghe linee parallele finiscono così col trasformarsi in un gigantesco doppio cerchio, di raggio superiore ai quindici chilometri, che sembra una ruota di luna-park sospesa nello spazio.

Completato il doppio cerchio il sistema costruttore torna a riconfigurarsi. Alcuni dei suoi nuovi elementi afferrano il lungo oggetto affusolato in forma di ventagli giapponesi giustapposti per le estremità, e, sotto l’attenta sorveglianza dei colibrì protettori, lo drizzano a lato del doppio cerchio. L’oggetto — che, non sorprendentemente, si rivela d’una lunghezza quasi identica a quella del diametro del doppio cerchio — viene quindi inserito nella struttura circolare, con orientamento da nord a sud, a mo’ di razza. Poi, mentre alcuni colibrì fissano alla struttura le estremità della razza mediante sottili cavi invisibili da essi generati, il resto dei minuscoli, rapidissimi veicoli meccanici crea una ragnatela che inviluppa la sezione centrale e collega la grande antenna con l’asse est-ovest del doppio cerchio.

Una volta collegata alla struttura di supporto, l’antenna si apre lentamente ad ambo i capi, settentrionale e meridionale, del doppio cerchio. Una visione ravvicinata rivela che le delicate pieghe vengono separate ad una a una dai colibrì. Le pieghe si svolgono tutte, e l’interno del doppio cerchio appare così occupato da un misto di reti, nervature e strutture sbalorditivamente complesse. Lo spiegamento iniziale è ora completo.

Il complesso-comunicazioni si sottopone quindi a una minuziosa autoverifica, mentre i servocostruttori rimangono in attesa in caso di problemi. La verifica si rivela positiva e la stazione viene dichiarata operativa. Nel giro di alcune ore, la falange di robot dell’universo abitato raccoglie tutto il materiale metallico sparso e lo carica su una delle grandi astronavi da carico. Poi, con la stessa rapidità con cui sono arrivati, i veicoli-robot svaniscono nella nera oscurità circostante la stazione, lasciando l’imponente struttura circolare a testimoniare della presenza dell’intelletto nell’universo.

Durante il Ciclo 446, attorno alla vasta Conchiglia Esterna i cui duecentocinquantasei settori contengono ciascuno un volume superiore a quello della Colonia, sono state effettuate oltre un migliaio di migliorìe del genere, nel tentativo di estendere capacità di comunicazione avanzate a nuove località. Il doppio cerchio è l’ultima migliorìa di un gruppo rivelatosi di assai ardua realizzazione in una regione prossima all’Abisso. Il gruppo ha subito numerosi ritardi a causa di un numero troppo elevato di errori di fabbricazione; errori di cui è stata responsabile la grande fabbrica più vicina, la quale dista oltre due millicicli-luce. Dopo vari tentativi di diagnosi e soluzione dei problemi, è stato deciso di chiudere e ricostruire praticamente da zero l’impianto. La realizzazione del progetto ha così accumulato un ritardo totale di quattordici millicicli, che corrisponde all’incirca all’ipotesi peggiore espressa dal Consiglio degli Ingegneri nell’analisi d’accompagnamento del Proclama del Ciclo 446.

L’avvicinarsi del grande momento arresta le attività ordinarie del centro della Colonia. Nell’ultimo nanociclo cessano anche le attività commerciali e ricreative. Le astronavi sono addirittura vuote. Alle 446, 9 precise, dopo duecento millicicli di dibattito e discussione in seno al Consiglio dei Capi, verrà emanata la circolare governativa sulla nuova era, e tutta l’intelligenza della Colonia sarà in ascolto.

Attivato il trasmettitore gigante come da programma, il Proclama relativo al Ciclo 447 si spande nello spazio a una cadenza informativa di cento trilioni di bit per picociclo. La cadenza di emissione-dati del potente strumento è assai più elevata, a dir il vero, ma l’aliquota informativa viene ridotta per agevolare i sofisticati controlli di codifica ed errore interni ai dati. La codificazione fa sì che il messaggio possa venire decodificato a qualsiasi livello solo dai ricevitori della Colonia dotati di speciali algoritmi di descrizione. E i controlli di concordanza interni su ogni sequenza di dati trasmessa riducono praticamente a zero le probabilità di arrivo, anche a distanze enormi, di informazioni errate.

Il primo microciclo di trasmissione, organizzato secondo il piano di Proclama redatto nell’Era del Genio, fra i Cicli 371 e 406, è un sommario completo dell’intero progetto. Duecento nanocicli di esso sono dedicati a ciascuno dei cinque dipartimenti governativi del Consiglio dei Capi: amministrazione, informazione, comunicazione, trasporti ed esplorazione. Dopo un’interruzione programmata di quattrocento nanocicli allo scopo di consentire regolazioni di ricezione lungo il sentiero del segnale, comincia la trasmissione del Proclama vero e proprio. La trasmissione continua e continua, e si ferma soltanto venti microcicli più tardi. Quattro microcicli completi vengono dedicati a chiarimenti approfonditi dei principali progetti da intraprendersi da parte di ciascuno dei cinque dipartimenti. Di particolare interesse per il Comitato della Conchiglia Esterna, il gruppo governante l’immane regione concentrica che definisce il limite più remoto dello spazio sul quale i Coloni vantano autorità, è un progetto del Dipartimento Esplorazione per il rimpatrio nella Conchiglia Esterna di circa un milione di specie dello Zoo-sistema # 3.

(La trasmissione del Proclama, una messe d’informazioni traducibili in lingua, immagini, suoni e altre impressioni sensorie, a seconda degli esseri riceventi e del livello dei loro apparati di decrittazione, è l’inizio del processo governativo di ogni ciclo. Sulla base di tale Proclama, corpi regionali o agenzie amministrative con giurisdizioni subordinate regoleranno i rispettivi progetti per il ciclo in modo da armonizzarli con quelli annunciati dal Consiglio dei Capi; e, ciò, secondo la procedura particolareggiata definita dagli Articoli della Confederazione Coloniale.)

Il Proclama viene comunicato a tutta la Colonia e alle più vicine zone d’influenza della Conchiglia Interna per il tramite di gigantesche stazioni relè site lungo le vie di trasporto esistenti. Tali stazioni, che sono in realtà dei centri informativi con vaste biblioteche dove sono immagazzinati tutti i messaggi della Colonia fino a cento cicli, amplificano e ritrasmettono il segnale alla stazione seguente dello schema, ossia a una distanza di circa dieci microcicli-luce. Il margine della Colonia (dove comincia la Conchiglia Interna) è stato espanso dal Decreto sui Confini contenuto nel Proclama del Ciclo 416, e comprende ora ogni punto fino a tre millicicli-luce del centro amministrativo. Così, per raggiungere il colossale Complesso Zoo, che è una combinazione di tre stelle e diciannove pianeti (quattro dei quali artificiali) appena oltre il margine della Colonia, il messaggio del Proclama deve passare per trecento stazioni.

Il Comitato dei Curatori dello Zoo, che lo attendeva con ansia perché sperava di vedervi accolta la propria caldeggiata proposta di espansione del Complesso Zoo, constata con sorpresa che tale proposta è stata sostituita da un altro progetto di rimpatrio.

Il Comitato aveva proposto un’espansione dello Zoo, come rimedio alla florida espansione di progenie dovuta alle scoperte dell’ingegneria genetica dell’adattamento nei cicli 426-428, già una volta, nel Ciclo 429. Ma, anche allora, la richiesta era stata negata, il Consiglio dei Capi avendo raccomandato, come rimedio al problema del sovrappopolamento, il rimpatrio. Così, durante i Cicli 430-436, la popolazione del Complesso Zoo era stata mantenuta pressoché costante mediante trasferimenti regolari delle specie comuni ai luoghi d’origine.

A partire dal Ciclo 437, però, s’era avuta una rapida crescita d’interesse per la biologia comparata; crescita stimolata dalla scoperta, nel Settore 28 della Conchiglia Esterna, d’una quinta classe di forma di vita, che il Consiglio dei Biologi aveva denominato Tipo E. Spedizioni successive nella zona avevano rivelato non solo che il Tipo E era il tipo di vita dominante nei Settori 28-33, ma che i medesimi Settori vedevano altresì la sorprendente presenza del Tipo A. Per la prima volta, insomma, l’evoluzione naturale di una regione mostrava di prediligere una forma di vita diversa dal Tipo A dei Coloni e dagli ibridi evoluti da questo. Il desiderio di capire le insolite creature portò, nei Cicli 440 e 441, alle spedizioni di ricerca delle specie in pericolo nella Conchiglia Esterna e, nel Ciclo 442, alla creazione di numerosi mondi per lo studio specifico delle nuove forme di vita del Tipo E.

Molte di queste nuove specie fiorirono nello Zoo-sistema # 3, creando di nuovo problemi di sovrappopolazione e mancanza di spazio al Comitato dei Curatori. Il problema della mancanza di spazio essendo tanto più acuto in presenza della necessità di tener separate tutte le forme di vita di Tipo E e della rapida riproduzione delle medesime, il Comitato dei Curatori aveva appunto suggerito, all’inizio del processo di pianificazione del Ciclo 447, una modesta espansione del Complesso Zoo, proponendo non solo un quarto Zoo-sistema esclusivamente consacrato alle forme di vita del Tipo E, ma anche una vigorosa campagna per il rimpatrio totale di tutte le specie della Colonia e della Conchiglia Interna con coefficienti d’aggressività inferiori a 14.

Ora il Comitato dei Curatori è sbalordito dalle dimensioni del piano di rimpatrio per la Conchiglia Esterna contenuta nel Proclama del Ciclo 447. In una vivace discussione tecnica provocata dall’inattesa proposta, vengono ribaditi con vigore i pericoli di un rimpatrio delle forme di vita della Conchiglia Esterna nei pianeti d’origine, e il Comitato decide, in via provvisoria, di compiere un passo inconsueto: la presentazione al Consiglio dei Capi di una Variazione al Proclama. In essa, i Curatori dello Zoo fanno rilevare: 1) che le nuove forme del Tipo E sono state assoggettate a molti esperimenti genetici; 2) che le possibilità evolutive delle nuove specie sono pertanto incerte; 3) che le frequenze di monitoraggio e i laboratori sperimentali della Conchiglia Esterna sono inadeguati; 4) che i coefficienti di molte specie del gruppo non sono stati ancora tabulati con esattezza.

Prima di presentare concretamente la Variazione, il Comitato dei Curatori dello Zoo si rende però conto che tutte queste obiezioni devono già essere state sollevate nei dibattiti preliminari. Ma, se è così, come spiegare la promulgazione della politica di rimpatrio? Rientra essa forse in qualche nuovo arciprogetto inteso a una degradazione d’importanza dell’informazione zoologica nel suo insieme, o si tratta solo di un espediente politico, magari collegato al Messaggio inviato da Potenza # 2?

2

In ottemperanza alle leggi della Colonia sulla disseminazione e conservazione delle informazioni storiche importanti, la trasmissione del Proclama del Ciclo 447 è accompagnata dal commento ufficiale degli organismi chiave a livello consiliare. Di particolare interesse per gl’implicati nel progetto di rimpatrio della Conchiglia Esterna risultano i seguenti paragrafi della relazione del Consiglio degli Ingegneri:


… Il primo rimpatrio nella Conchiglia Interna è stato effettuato quasi ad hoc, ossia mediante il semplice trasporto in massa delle forme di vita alla regione d’origine o ad altra d’ambiente similare in settori vicini. Per effettuarlo, si è proceduto alla cattura delle creature, previamente trattate con sedativi, nei rispettivi habitat dello zoo, all’imbarco delle stesse in gigantesche navi da carico dotate di condizioni interne equivalenti all’habitat, e alla distribuzione finale nel nuovo ambiente. Tale procedimento ha funzionato in maniera adeguata per i piccoli trasferimenti a brevi distanze, dimostrandosi altresì poco costoso, ma ha rivelato tanti e tali inconvenienti, da rendere pressoché impossibile il suo impiego in operazioni di largo respiro.

Primo e più grave inconveniente, l’interruzione totale dello sviluppo ontogenetico delle creature durante il processo di rimpatrio. Esse si sono infatti dimostrate spaventate dal prelevamento, disturbate dalla inevitabile riduzione dello spazio di movimento nel corso del viaggio, e, dopo l’immissione nelle nuove località, preoccupate di ogni minima differenza ambientale rispetto alle sedi precedenti. Le loro memorie, sebbene sottoposte a lavaggio elettronico, hanno conservato un forte senso di perdita, ciò che ne ha vanificato lo sforzo d’adattamento. Tutti questi fattori, sommati, hanno in generale determinato un marcato aumento filogenetico del coefficiente d’aggressività, che in talune specie non ha denunziato cali significativi per dieci-quindici generazioni…

… Dal punto di vista dell’ingegneria astronavale, l’entità e la distanza dei trasferimenti proposti hanno impedito l’impiego di prototipi adatti assai prima della comprensione piena dei problemi biologici ed evolutivi. L’intensificazione dei rimpatri entro la Colonia e la Conchiglia Interna propugnata dal Proclama del Ciclo 432 ha provocato un certo panico in seno al Consiglio degli Ingegneri, poiché si è ritenuto che essa comportasse veicoli da trasporto di scala quasi planetaria. Ma, per fortuna, i Comitati di Bioingegneria e Robotica Avanzata hanno in seguito proposto, per i trasferimenti futuri, l’uso di zigoti sospesi in combinazione con nuove versioni di robot superintelligenti adibiti alla funzione di zoo monitor.

Superato qualche problema iniziale in materia di tecnica zigotica, il programma è stato messo approssimativamente a punto, almeno per le forme di vita di Tipo A e B, nettamente predominanti nella Colonia. Le percentuali di rimpatrio riuscito sono, per gli ultimi dieci cicli, elevatissime, e ciò anche per quanto riguarda i più difficili Tipi C e D. Ma percentuali simili non sono da aspettarsi dalla messa in pratica del Proclama del Ciclo 447, poiché alcune delle forme di vita prescelte, oltre a essere fra le più recenti e le meno comprese del Complesso Zoo, verranno in molti casi rimpatriate in un ambiente biologico lontano e scarsamente documentato, con monitoraggio infrequente dell’ordine di tre-quattrocento millicicli per operazione. Ora, avendo alcune delle forme più avanzate di Tipo E periodi di vita intelligente stupefacentemente brevi, dell’ordine di cinque o sei millicicli, ciò significa che fra un controllo e l’altro della loro evoluzione possono trascorrere da cinquanta a cento generazioni…

… Nel complesso, comunque, si tratta di una sfida ingegneristica di prim’ordine. Molti veicoli da trasferimento voleranno molto oltre i limiti dell’infrastruttura standard da trasporto e dovranno pertanto essere in grado di procurarsi da sé le materie prime. E poiché le condizioni dei mondi d’arrivo possono nel frattempo aver subito mutamenti, parte essenziale nella progettazione dei medesimi dovranno recitare l’adattamento e l’elaborazione delle informazioni nuove. La lunga durata dei voli provocherà un maggior numero di guasti alle componenti elettroniche, il che significa che andranno sviluppati e sperimentati sistemi straordinari di correzione difetti…


E il Consiglio degli Storici:


Sarà utile cominciare il nostro commento, estremamente negativo, sul piano di rimpatrio dalla Conchiglia Esterna col ricordare a tutti i Coloni che il nostro Consiglio comprende il pool d’intelletti che vanta la più lunga attività continuativa in assoluto rispetto ai Consigli elencati nella Guida. Due dei nostri gruppi posseggono memorie dirette dell’Era del Genio, ottenute attraverso molte generazioni di rinfrescamento biologico. È quindi naturale che il nostro approccio a qualunque progetto a noi sottoposto sia quello di valutarne i meriti in rapporto alla parte che esso è destinato a recitare nell’evoluzione e/o nella strategia globale della nostra società. Lungi dal voler raffreddare l’émpito di giovanile zelo dinnanzi all’acquisizione di nuove conoscenze o alla prospettiva di grandi avventure, ci preme nondimeno di esaminare ogni iniziativa della Colonia secondo una visione prospettica, e di misurare l’impatto futuro di ogni mutamento della politica fondamentale che sia dato prevedere…

… Lo schema di rimpatrio proposto è un ulteriore passo sulla folle e pericolosa strada d’un frontierismo incontrollato; strada apertasi, a nostro avviso, col Decreto sui Confini del Ciclo 416. In luogo di discutere i particolari del piano proposto al di fuori del contesto storico (ottime descrizioni degli elementi del piano possono vedersi nella relazione del Consiglio degli Ingegneri, mentre alcuni gravi rischi a breve termine si trovano elencati nella relazione del Consiglio dei Biologi), preferiamo delinearne i pericoli includendolo nel nostro atto d’accusa globale contro il complesso di avventure generato dal detto Decreto sui Confini…

… Le giustificazioni in pro del frontierismo suonano sempre valide, in superficie. I suoi proponenti affermano che il mutamento della società è il prodotto di informazioni nuove esulanti dal corso normale degli eventi; che il frontierismo mira appunto, essenzialmente, al procacciamento di nuove conoscenze di tale specie; e che il mutamento di prospettiva risultante da una “visione nuova dell’universo” impone una riconsiderazione appropriata e regolare della nostra cultura.

In linea generale, la storia suole concordare coi propugnatori del frontierismo, ed è per questo, senza dubbio, che sia la presente proposta di rimpatrio, sia altre analoghe attività esplorative del passato, hanno ottenuto un appoggio tanto entusiasta. I benefici scaturenti dalle informazioni nuove presentano tuttavia degli svantaggi, in ispecie quando le indagini di frontiera rivelino conoscenze avverse alla struttura fondamentale della società o superiori alla comprensione dei gruppi più dotti della medesima. In tali casi, la diffusione di nuove informazioni nella società diviene un fattore non di arricchimento ed elevazione, bensì di sovversione, e mina così in concreto la sicurezza dell’ordinamento stabilito.

Esempio perfetto di ciò che accade quando il frontierismo venga abbracciato senza ritegno può vedersi negli eventi degli ultimi trenta cicli; quegli eventi, cioè, che hanno provocato il Messaggio di Potenza # 2 alla metà del Ciclo 444. A dare inizio al processo fu il Decreto sui Confini, col suo stabilimento di una nuova sfera d’autorità per i Coloni. La vecchia Colonia centrale non aveva confini rigidi: gli sviluppi più importanti arrivavano al massimo a due millicicli-luce dal centro amministrativo, e la stazione permanente più lontana era all’epoca a soli dieci millicicli-luce di distanza. Il Decreto del Ciclo 416 regolarizzò quindi l’universo vicino, creando quattro mondi concentrici ed espandendo la Colonia stessa fino a un raggio di tre millicicli-luce. Furono altresì create tre Conchiglie specifiche, con quella Esterna definita dall’intera regione compresa fra i dodici e i ventiquattro millicicli-luce di distanza dal centro amministrativo.

Detta Conchiglia Esterna conteneva cinquantamila sistemi stellari inesplorati in un volume mille volte maggiore di quello della vecchia Colonia centrale. Nel periodo compreso fra i Cicli 425 e 430, quasi la metà delle iniziative maggiori determinate dai proclami ciclici ebbe a che fare, in un modo o nell’altro, con l’esplorazione della Conchiglia Esterna. (Va notato che, durante i cinque cicli in oggetto, fu avanzata la tesi secondo la quale un’espansione tanto rapida della nostra base cognitiva avrebbe potuto avere ramificazioni imprevedibili; ma i sostenitori della medesima, detti negativisti, furono zittiti dalla fascinazione collettiva per l’ebrezza esploratoria). Poi, nel Ciclo 433, la nostra nuova classe di radioveicoli interstellari, specificatamente progettata per lo studio e la classificazione dei molti mondi della Conchiglia Esterna, s’imbatté in un grande veicolo spaziale inerte di origine sconosciuta. Accurate indagini in sito non riuscirono a stabilire alcuna relazione fra i tecnocomponenti dell’astronave e una qualunque base tecnologica nota di specie spaziali.

Respingendo l’invito alla prudenza espresso da molti Comitati, il Consiglio dei Capi fece rimorchiare la misteriosa astronave a una delle città sviluppate della Conchiglia Interna, dove essa venne esposta e analizzata nei particolari. L’analisi confermò la conclusione iniziale dei radioveicoli: l’astronave non proveniva da nessun luogo del territorio spaziale dominato dalla Colonia. Il Consiglio degli ingegneri concluse che la capacità tecnologica dei suoi costruttori era approssimativamente equivalente a quella dei Coloni ai primordi dell’Era del Genio. Ma quando era stata fatta, e dove? E, soprattutto: da chi?

Con la decisione di riportare i’astronave morta alla civiltà, il Consiglio dei Capi fece sostanzialmente sì che l’inquietante questione della sua origine rimanesse in cima ai pensieri dei Coloni. E la sfrenata ricerca di ogni e qualsiasi informazione contribuì nuovamente alla destabilizzazione della cultura. La società ribollì di spiegazioni fantasiose agli irrisolti e inquietanti problemi posti dall’astronave. L’opinione dominante vedeva nel veicolo un prototipo della Colonia non entrato in produzione e quindi omesso dall’Enciclopedia ufficiale dei veicoli spaziali; opinione, questa, in linea con la tendenza generale dei Coloni a considerarsi innatamente superiori a ogni altra forma di vita.

Dubbi e timori relativi all’astronave sconosciuta sarebbero forse scemati fino all’estinzione, se il Consiglio dei Capi non avesse resuscitato le ansie collettive coll’annuncio, nel Proclama del Ciclo 434, che il maggiore dei nuovi progetti della Colonia sarebbe consistito nella creazione, e susseguente dislocazione nella Conchiglia Esterna, di una nuova generazione di schiere di ricevitori adibiti all’intercettazione e decodificazione di ogni radiomessaggio coerente in provenienza dall’Abisso. Con ciò, i Capi lasciavano chiaramente capire di ritenere che l’astronave inerte fosse d’origine extracoloniale.

Nei Cicli 435 e 436, la Colonia fu percorsa da ondate su ondate di informazioni inquietanti. Dapprima ci fu il prematuro annuncio della avvenuta decodificazione di molti messaggi extracoloniali; annuncio che venne a corroborare la diffusa voce circa l’esistenza nella galassia di molteplici Potenze, alcune delle quali assai più evolute della Colonia. Questa inquietante idea rimase in circolazione per mezzo ciclo, fin quando il Consiglio degli Astronomi, in risposta al proliferare della congerie di mezze verità, non annunciò che tutti i messaggi, meno pochissimi, andavano ascritti a una sola potenza, la Potenza # 2, il cui centro d’attività appariva distare dalla Colonia circa duecento millicicli-luce. A brevissima distanza dal primo, un secondo, sbalorditivo annuncio identificava quindi con nettezza le trasmissioni della Potenza # 2 come provenienti da fonti distanti fra loro centocinquanta millicicli-luce, ossia più di tre volte il diametro dell’intera giurisdizione della Colonia!

Fra il Ciclo 438 e la ricezione del Messaggio, si propose che la Colonia facesse un saggio uso delle proprie risorse nell’analisi dell’impatto avuto dalla scoperta dell’astronave sconosciuta, ma il Consiglio dei Capi non se ne diede per inteso. Furono, è vero, istituiti corsi accellerati di encrittazione avanzata, col fine primario di eliminare i timori di un possibile monitoraggio di tutte le nostre trasmissioni da parte della Potenza # 2; atto, questo, che venne ampiamente salutato come passo nella direzione giusta. Ma, contemporaneamente, venne anche intensificata l’esplorazione della Conchiglia Esterna, ciò che portò all’identificazione delle nuove forme di vita di Tipo E e alla susseguente quanto quasi aperta cattura delle specie in pericolo. Ogni suggerimento di limitazione e rallentamento del programma esplorativo venne ignorato: nel Ciclo 442, anzi, il Complesso Zoo creò diversi pianeti artificiali all’espresso scopo di condurre esperimenti sulle capacità genetiche delle specie di Tipo E.

Poi giunse il Messaggio della Potenza # 2. Semplice, diretto, terrificante, e codificato secondo il nostro più avanzato algoritmo di crittazione esso riconosceva la reciproca consapevolezza delle nostre due esistenze e suggeriva l’apertura di comunicazioni bilateriali. Nient’altro. Fine del Messaggio…

… Ciò che motiva la nostra obiezione al proseguimento dell’attività esplorativa nella Conchiglia Esterna non è il timore di ostilità da parte della Potenza # 2; come storici, anzi, riteniamo infondata la nascente preoccupazione circa la possibile aggressività della Potenza # 2. Studi su studi hanno infatti dimostrato l’esistenza di una correlazione abbastanza concreta fra coefficiente d’aggressività elevato e incapacità, in coloro che lo posseggono, di evolversi in una società con mire oltrepassanti un mondo con un singolo sistema solare. La probabilità che una società avanzata come la nostra abbia conservato, nella struttura psicologica generale, aggressività e territorialità come elementi costitutivi, è invero tanto piccola, da esser praticamente nulla.

Eventi capitali come il ricevimento del Messaggio della Potenza # 2 esigono nondimeno riflessione e sintesi, non attività esplorative aggiuntive. Le nostre risorse vanno pertanto usate per studiare e comprendere l’intera gamma di impatti che il Messaggio avrà sulla nostra società, non dissipate in audaci schemi di rimpatrio. È una questione di priorità: ed esaltando le informazioni nuove e lo sviluppo tecnologico sopra la stabilità sociale, i propugnatori del frontierismo si mostrano ancora una volta ciechi ai rischi comportati dai loro tentativi…

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