Ciò che David aveva odiato più di ogni altra cosa ai pranzi di famiglia dei Sumner, era il modo con cui tutti parlavano di lui come se non fosse lì.
— Ha mangiato abbastanza carne ultimamente? Ha un'aria così smunta…
— Lo stai viziando, Carrie. Se non vuol mangiare, non lasciarlo andar fuori a giocare. Sai, anche tu eri così.
— Quando avevo la sua età ero così forte e robusto che avrei potuto buttar giù un albero con un'accetta. Lui non riuscirebbe neppure a farsi strada in un po' di nebbia.
In quei momenti David s'immaginava invisibile, che galleggiava sopra le loro teste, non visto, mentre loro discutevano di lui. Quando qualcuno gli chiedeva se avesse già la ragazza, lo beffeggiavano, che lui rispondesse sì, o no, ricacciandolo in un ostinato mutismo. Dalla sua posizione privilegiata lui puntava allora una pistola a raggi contro lo zio Clarence, che gli era particolarmente antipatico perché era grasso, calvo e molto ricco. Lo zio Clarence inzuppava grossi pezzi di pane nel sugo di carne e nello sciroppo, o più spesso in un miscuglio di melassa e di burro, che rimestava sul piatto finché il tutto non assumeva l'aspetto di cacca di bambino.
— Pensa ancora di fare il biologo? Dovrebbe andare alla scuola di medicina e lavorare con Walt.
Lui puntava la sua pistola a raggi contro lo zio Clarence, ritagliandogli un bel tondo di polpa all'altezza dello stomaco, asportandoglielo con estrema delicatezza. Lo zio Clarence colava fuori dall'apertura, volando sulle teste di tutti i presenti.
— David. — Egli trasaliva allarmato, per poi tornare a rilassarsi. — David, perché non vai fuori a vedere che cosa combinano gli altri ragazzi? — Era la voce pacata di suo padre, che in realtà intendeva dire: Basta così. E l'attenzione di tutti passava a concentrarsi su qualche membro della figliolanza.
Quando David divenne più grande, imparò a capire i complessi legami che da bambino si era semplicemente limitato ad accettare. Zii, zie, cugini, secondi cugini, terzi cugini. E i membri acquisiti della famiglia, i fratelli, le sorelle e i genitori di quelli che erano entrati a farne parte attraverso matrimoni. C'erano i Summer e i Wiston e gli O'Grady e gli Heinemann e i Meyer e i Capek e i Rizzo, tutti facevano parte dello stesso grande fiume che scorreva attraverso la fertile vallata.
In particolar modo David ricordava le vacanze. La vecchia casa dei Sumner, al piano di sopra, fioriva disordinatamente in una moltitudine di camere da letto, oltre a un attico che da un'estremità all'altra era costellato di materassi e lenzuola, i giacigli dei bambini, con un enorme ventilatore incassato nella parete a ovest. Qualcuno veniva sempre a controllare che non fossero tutti rimasti soffocati, lassù nell'attico. I bambini più grandicelli, che avrebbero dovuto tener d'occhio i più piccoli, in realtà si divertivano a spaventarli, notte dopo notte, con storie di fantasmi. Il chiasso finiva per salire a livelli così alti che gli adulti erano costretti a intervenire. Lo zio Ron saliva con passo pesante le scale e c'era un fuggi fuggi generale, con risatine soppresse e gridolini soffocati, fino a quando tutti, in qualche modo, s'erano infilati in un letto o nell'altro: cosicché, quand'egli accendeva la luce del corridoio, illuminando debolmente l'attico, tutti i bambini sembravano dormire. Lo zio Ron si soffermava per qualche istante sulla soglia, poi chiudeva la porta, spegneva la luce e ridiscendeva le scale col suo passo greve, apparentemente sordo al riesplodere della baldoria dietro di lui.
Quando era zia Claudia a salire, la sua sembrava un'apparizione. Un minuto prima c'era un volare di cuscini, qualcuno piangeva, qualcun altro cercava di leggere alla luce di una pila, parecchi ancora giocavano a carte alla luce di un'altra pila, un crocchio di ragazze strette assieme parlavano fitto fitto bisbigliandosi quelli che dovevano essere deliziosi segreti, a giudicare dal modo in cui arrossivano e apparivano disperate se un maschio le sorprendeva… e poi la porta si apriva di colpo, la luce esterna cadeva su un incredibile disordine, e lei si stagliava netta, davanti a loro. Zia Claudia era molto alta e magra, con un naso enorme, e la sua pelle, eternamente abbronzata, aveva il colore del cuoio antico. Restava lì, immobile e terribile, e i bambini sgusciavano via in silenzio, ritornando ai propri letti. Zia Claudia non si muoveva fino a quando tutti non erano di nuovo al posto loro assegnato, poi tornava a chiudere la porta senza far rumore. Il silenzio si protraeva a lungo. Quelli più vicini alla porta trattenevano il respiro, cercando di capire, da qualche piccolo rumore, se la zia era ancora lì, in cima alle scale. Alla fine, qualcuno trovava sufficiente coraggio da socchiudere la porta, e se la zia Claudia se n'era davvero andata la baldoria ricominciava.
Gli odori delle vacanze erano profondamente impressi nel ricordo di David. Tutti gli odori ben noti: le torte di frutta e i tacchini, l'aceto che veniva mescolato ai colori per tingere le uova, il verde, il fumo denso e cremoso delle candele di polpa d'alloro. Ma il ricordo più vivido era l'odore della polvere da sparo che tutti portavano con sé alle celebrazioni del Quattro Luglio. Questo odore impregnava per giorni e giorni i capelli, le mani, i vestiti. Le mani restavano macchiate di porpora scuro quando coglievano le more, una delle immagini indelebili della sua infanzia. E, mescolato ad essa, l'odore dello zolfo che veniva copiosamente sparso sulle loro teste per sconfiggere le pulci.
Se non fosse stato per Celia, la sua infanzia sarebbe stata perfetta. Celia era sua cugina, figlia della sorella di sua madre. Aveva un anno meno di lui, ed era di gran lunga la più bella fra le sue cugine. Quand'erano ancora molto giovani, si erano reciprocamente promessi che un giorno si sarebbero sposati. Quando furono più grandi, e fu fin troppo chiaro che in quella famiglia nessuno avrebbe potuto sposare il proprio cugino, essi erano diventati nemici implacabili. David non ricordava chi e in che modo l'avesse loro fatto capire. Era certo che nessuno l'aveva mai detto in parole, ma essi lo sapevano. In seguito, quando non riuscivano ad evitarsi e s'imbattevano l'uno nell'altra, essi lottavano fra loro. Lei lo spinse con tanta violenza giù dal fienile, che gli ruppe un braccio, quando David aveva quindici anni; e ne aveva sedici quando lottarono selvaggiamente all'ingresso posteriore della fattoria dei Wiston, rotolandosi fino al recinto, a una ventina di metri di distanza. Si strapparono i vestiti di dosso, e a causa delle unghiate di lei, la schiena di David sanguinava copiosamente, mentre Celia si era scorticata una spalla contro un masso. Poi, in qualche modo, nel loro frenetico agitarsi, la guancia di lui scese fino al suo petto scoperto, ed egli smise di lottare. Divenne all'improvviso un tenero e singhiozzante idiota, ed ella ne approfittò per colpirlo alla testa con un sasso, ponendo così fine alla lotta.
Fino a quel momento si erano azzuffati in un silenzio quasi totale, interrotto soltanto da rantoli e da una serie d'imprecazioni soffocate che avrebbero sbigottito i loro genitori. Ma quando Celia lo colpì, e lui si afflosciò, non del tutto privo di sensi ma stordito, confuso, inerte, lei urlò, angosciata, colta dal terrore.
Tutta la famiglia si precipitò disordinatamente fuori dalla casa, come se questa fosse sul punto di crollare, e la prima impressione, agli occhi di tutti loro, fu che lui l'avesse violentata. Suo padre lo cacciò a spintoni fin dentro il granaio, con l'evidente intenzione di dargliene di santa ragione. Ma quando furono dentro, suo padre, la cinghia in pugno, lo fissò con un'espressione furiosa, ma anche stranamente solidale. Non toccò David, e soltanto quando si voltò e se ne andò, David si rese condo che le lagrime continuavano ancora a scorrergli sul viso.
In famiglia c'erano agricoltori, qualche giurista, due medici, e ancora agenti assicurativi, banchieri, mugnai, commercianti di ferramenta e di altri tipi di mercanzie. Il padre di David era proprietario di un grande magazzino che aveva la sua clientela soprattutto nella classe medio-alta della vallata. La valle era ricca, le sue fattorie ampie e fiorenti. David aveva sempre pensato che la famiglia, a parte pochi buoni a nulla, fosse discretamente ricca. Fra tutti i parenti il suo favorito era il fratello di suo padre, Walt. Tutti, in famiglia, lo chiamavano dottor Walt, mai zio. Anche se lui giocava con i bambini e insegnava loro cose grandi, come per esempio dove colpire un avversario se si voleva far sul serio, e dove non colpirlo, invece, in un'amichevole baruffa. E sembrava che sapesse quand'era venuto il giorno di non trattarli più da bambini molto prima di chiunque altro della famiglia. Il dottor Walt era la ragione per la quale David aveva deciso molto presto, nella sua vita, di diventare uno scienziato.
David aveva diciassette anni quando andò ad Harvard. Il suo compleanno cadeva in settembre, ma lui non andò a casa a celebrarlo. Quando tornò a casa l'ultimo giovedì di novembre per il Giorno del Ringraziamento, e l'intero clan si fu riunito, nonno Sumner versò i rituali aperitivi prima di cena, e gliene porse uno. E lo zio Warner gli disse: — Che cosa pensi che dovremmo fare con Bobbie?
Egli era giunto a quel misterioso passaggio che non viene mai delineato con sufficiente chiarezza per poterlo prevedere con sufficiente anticipo. Sorseggiò dunque il suo aperitivo senza particolare piacere, e seppe che l'adolescenza era finita, provando tristezza e solitudine profonde.
Il giorno di Natale, quando David ebbe compiuto ventitré anni, gli apparve sfocato, remoto. Eppure la scena era la stessa: l'attico brulicava come sempre di bambini, gli odori fragranti del cibo, la fitta spolverata di neve, niente di tutto questo era cambiato; ma lui lo vedeva sotto una diversa angolatura, e non era più il paese delle meraviglie di un tempo.
Quando i suoi genitori tornarono a casa, lui restò nella fattoria dei Wiston per un altro giorno o due, aspettando l'arrivo di Celia. Lei non era stata presente ai festeggiamenti del giorno di Natale perché doveva prepararsi al suo imminente viaggio in Brasile, ma sua madre aveva assicurato a nonna Wiston che Celia sarebbe venuta, e David la stava aspettando, ma senza gioia e senza aspettarsi alcuna ricompensa, bensì con una collera che andava continuamente aumentando e che lo spingeva ad aggirarsi senza pace per la vecchia casa, come un bambino punito per una colpa commessa da un altro.
Ma, quando infine Celia arrivò, e lui la vide accanto a sua madre e a sua nonna, la sua rabbia si disciolse, come nebbia al sole. Era come se vedesse Celia in una sorta di distorsione temporale, come era oggi, com'era stata e come sarebbe stata. I suoi capelli chiari non sarebbero cambiati molto, ma le sue ossa sarebbero diventate via via più sporgenti, e sul suo volto, oggi ancora così intatto, quasi privo di segni definitivi, il tempo avrebbe scritto il suo messaggio d'ansietà, di amore, di dono di sé, di affermazione di se stessa, di una forza insospettata in quel corpo fragile. Nonna Wiston era una vecchia bella signora, rifletté David, stupito, sbalordito soprattutto per non essersi mai accorto prima della sua bellezza. La madre di Celia… anche lei era bella, più di sua figlia. Ed egli colse nelle tre donne la rassomiglianza con la propria madre.
Senza parole, sconfitto, egli si voltò e raggiunse il retro della casa e indossò uno dei giacconi di suo nonno, perché egli non voleva affatto vederla e i suoi abiti da campagna si trovavano nell'armadio dell'atrio, troppo vicini a dov'era lei in quel momento.
Camminò a lungo nel gelido pomeriggio, vedendo in realtà ben poco, e riscuotendosi di tanto in tanto quando si rendeva conto che il gelo gli penetrava nelle scarpe o gl'intorpidiva le orecchie. Avrebbe dovuto ritornare indietro, pensò spesso, ma ugualmente proseguì. E scoprì che stava risalendo il pendio che portava all'antica foresta dove suo nonno l'aveva condotto un giorno, molto tempo prima. Salì il pendio, scaldandosi sempre più, e all'imbrunire giunse sotto i rami del filare d'alberi che si trovavano lì fin dagli inizi del tempo. Essi, o altri alberi identici. I quali aspettavano. Aspettavano eternamente il giorno in cui avrebbero ripreso a salire la scala evolutiva. Qui c'erano i relitti che suo nonno l'aveva portato a vedere. Qui c'era una silver bell cresciuta nelle dimensioni di un grande albero, mentre giù in fondo ai pendii rimaneva sempre un arbusto. Qui il tiglio bianco cresceva accanto al noce e all'abete, e i faggi e i Buckeye si tenevano per mano.
— David — Si fermò e ascoltò, convinto di esserselo immaginato, ma il grido gli giunse di nuovo. — David, sei lassù?
Allora egli si girò e vide Celia fra i massicci tronchi d'albero. Le sue guance erano quasi paonazze per il freddo e lo sforzo della salita; i suoi occhi avevano l'identico colore azzurro della sciarpa che portava avvolta intorno al collo. Celia si arrestò a un paio di metri da lui e aprì la bocca per dire qualcos'altro, ma poi tacque. Invece si sfilò un guanto e toccò il tronco liscio di un faggio: — Nonno Wiston ha condotto qui anche me, quando avevo dodici anni. Era molto importante per lui che noi capissimo questo posto.
David annuì.
Lei allora lo fissò: — Perché te ne sei andato così? Tutti saranno convinti che siamo andati di nuovo ad azzuffarci.
— E perché no? — chiese lui.
Lei sorrise: — Non credo. Non lo faremo mai più.
— Sarà meglio che ora scendiamo. Fra pochi minuti sarà buio. — Ma intanto non si mosse.
— David, ti prego, cerca di fare in modo che mamma capisca. Tu sai che io devo andar via, che devo far qualcosa, non è vero? Lei pensa che tu sia molto intelligente. A te presterà ascolto.
David scoppiò a ridere: — Pensano che io sia intelligente come un cucciolo di cane.
Celia scosse la testa: — Tu sei l'unico al quale presteranno ascolto. Loro mi trattano come una bambina e continueranno a farlo sempre.
David scosse la testa a sua volta, sorridendo. Ma subito smise e replicò: — Perché te ne vai, Celia? Che cosa stai cercando di dimostrare?
— Dannazione, David. Se non lo capisci tu, chi altri mai, allora? — Celia sospirò profondamente, e riprese: — Senti, tu leggi i giornali, non è vero? In Sudamerica c'è gente che muore di fame. La maggior parte del Sudamerica sarà ridotta alla carestia prima della fine di questo decennio, se non verranno inviati aiuti quasi immediatamente. E nessuno ha ancora fatto una vera ricerca sui metodi di coltivazione tropicali. Sì, nessuno. È tutto terreno lateritico, e non c'è nessuno, laggiù, che l'abbia capito. Vanno allo sbaraglio, tagliano gli alberi e bruciano il sottobosco, e in due o tre anni al massimo si ritroveranno con una pianura disseccata dal sole e dura come il ferro. Sì, è vero, mandano qui qualcuno dei loro studenti più svegli ad imparare la coltivazione moderna, ma questi vanno a far pratica nello Iowa, o nel Kansas, o nel Minnesota, o in qualche altro stupido posto identico a questi, e imparano metodi di coltivazione adatti a climi temperati, non tropicali. Orbene, noi siamo stati addestrati alle tecniche di coltivazione tropicale, e inizieremo dei corsi laggiù, non in laboratorio ma direttamente sul terreno. A questo, appunto, io sono stata addestrata. Questo progetto mi procurerà il dottorato.
I Wiston erano sempre stati agricoltori. — Custodi del suolo — aveva detto una volta nonno Wiston. — Non proprietari, custodi.
Celia si curvò e scavò con le dita la poltiglia di foglie morte e di fango alla superficie del suolo, drizzandosi poi con la mano colma di terra nera. — Le carestie si diffondono sempre più. Essi hanno bisogno di moltissimo aiuto. Ed io… ho tanto da offrire! Lo capisci? — Terminò, gridando. Strinse con forza la mano, comprimendo il terriccio in una palla che tornò a sbriciolarsi non appena riaprì il pugno e toccò il grumo con l'indice dell'altra mano. Lasciò che il terriccio ricadesse al suolo, e con molta attenzione sparpagliò lo strato protettivo di foglie in disfacimento a ricoprire quei pochi centimetri che aveva lasciato scoperti.
— Mi hai seguito per dirmi addio, non è vero? — le chiese David all'improvviso; la sua voce si era fatta aspra. — Perché è proprio un addio, questa volta, no? — La fissò negli occhi, e lei lentamente annuì. — E… c'è qualcuno nel tuo gruppo?
— Non ne sono certa, David. Forse. — Celia chinò la testa e fece per reinfilarsi il guanto. — Credevo… ne ero convinta. Ma quando ti ho rivisto nell'atrio, e il tuo viso ha fatto quell'espressione quando sono entrata… mi sono resa conto che davvero non lo sapevo.
— Celia, ascoltami! Non c'è nessun difetto ereditario che possa manifestarsi! Maledizione, lo sai bene! Se volessimo evitare qualunque rischio, potremmo sempre fare a meno di avere bambini… ma non c'è ragione, non è vero?
Lei annuì: — Lo so.
— Per l'amor di Dio! Vieni con me, Celia. Non siamo costretti a sposarci subito… avranno tutto il tempo di abituarsi all'idea. Si abitueranno, ti dico. È sempre stato così. Noi, tu ed io, abbiamo una famiglia molto elastica. Ed io… io ti amo, Celia.
Lei girò la testa, e David vide che stava piangendo. Celia si asciugò le lacrime con il guanto, e poi con la mano nuda, disegnandosi una striscia di terriccio sul viso. David l'attirò a sé, la strinse e le baciò le guance lacrimose e le labbra. E continuò a balbettare: — Io ti amo, Celia.
Finalmente, lei si ritrasse e cominciò a scendere il pendio, seguita da David. — In questo momento non posso decidere nulla. Non sarebbe giusto. Era meglio se restavo a casa. Non avrei dovuto seguirti fin quassù, David, mi sono impegnata a partire fra due giorni. Non posso dir loro che ho semplicemente cambiato idea. Ed è importante per me… e per la gente che vive laggiù. Non posso decidere… così… di non andare. Tu, non sei stato forse ad Oxford per un anno? Qualcosa devo pur fare anch'io.
David l'afferrò per un braccio e l'obbligò a fermarsi: — Dimmi soltanto che mi ami. Dillo, anche una sola volta, ma dillo.
— Ti amo — lei disse, lentamente.
— Quanto tempo starai via?
— Tre anni. Ho firmato un contratto.
David la fissò incredulo: — Cambialo! Riducilo a un anno. È più che sufficiente per il tuo dottorato. Potrai insegnare qui. Lascia che siano i loro studenti più svegli a venire da te.
— Dobbiamo tornare a casa, altrimenti manderanno qualcuno a cercarci — disse Celia. — Cercherò di cambiarlo — aggiunse, in un bisbiglio, — … se potrò.
Celia partì due giorni dopo.
David passò la vigilia di Capodanno alla fattoria dei Sumner insieme ai suoi genitori ed a un'orda di zie e zii e cugini. A Capodanno, nonno Sumner fece un annuncio: — Costruiremo un ospedale su, a Bear Creek, al di qua del mulino.
David socchiuse le palpebre, stupito. Sarebbe stato a un miglio dalla fattoria, lontano da qualunque altro posto. — Un ospedale? — chiese. Guardò lo zio Walt, che annuì.
Clarence stava studiando il suo zabaione con un'espressione amareggiata, e il padre di David, il terzo fratello, contemplava in silenzio le spirali di fumo che uscivano dalla sua pipa. David si rese conto che tutti lo sapevano. — E perché proprio quassù? — chiese ancora.
— Sarà insieme un ospedale e un laboratorio di ricerca — spiegò Walt. — Malattie genetiche, difetti ereditari, tutto quel genere di cose. Duecento letti.
David scosse la testa, incredulo: — Ma avete un'idea di quanto costi una faccenda del genere? Chi lo finanzierà?
Suo nonno ebbe una risatina maliziosa: — Il senatore Burke si è graziosamente prestato a farci ottenere i fondi dal governo federale — disse. E la sua voce si fece ancora più caustica, quando aggiunse: — Ed io ho indotto qualche membro della famiglia ad aggiungere di tasca sua al fondo comune. — David lanciò un'occhiata a Clarence, che aveva un'aria afflitta. — Da parte mia, io concedo il terreno — proseguì nonno Sumner. — Insomma, ci siamo procurati appoggi qua e là.
— Ma perché mai Burke dovrebbe starci? Non hai mai votato per lui una sola volta in tutta la tua vita.
— Gli abbiamo detto che altrimenti avremmo scoperchiato un sacco di roba sulla quale ce ne stavamo seduti, appoggiando il suo avversario. E che, se invece ci avesse aiutato, l'avremmo sostenuto anche se fosse stato un babbuino… e noi siamo in parecchi, oggi, David. Siamo una grossa famiglia.
— Bene, complimenti — esclamò David, ancora incapace di credere a tutto quello che aveva sentito. — Abbandoni la tua clientela per darti alla ricerca? — chiese, rivolto a Walt. Suo zio annuì. David vuotò d'un fiato la sua tazza di zabaione.
— David — disse Walt, senza scomporsi, — vogliamo assumerti.
Egli alzò gli occhi di scatto: — Perché? La ricerca medica non è il mio campo.
— So qual è la tua specializzazione, — riprese Walt, sempre imperturbabile. — Ti vogliamo come consulente, e più tardi a capo di un settore di ricerca.
— Ma io non ho ancora finito la mia tesi — obiettò David, e si sentì come se fosse incappato in un party alla marijuana.
— Tu hai davanti a te un altro anno tra le sgrinfie di Selnick, sarai costretto a lavorare come un mulo e finirai per scrivere la tua tesi un pezzo qui, un altro lì, quando potrai rubacchiare un po' di tempo libero. Ma se tu ne avessi la possibilità, potresti scriverla in un mese, non è vero? — David annuì con riluttanza. — Lo so. — Walt ebbe un fugace sorriso. — Tu credi che ti si stia chiedendo di abbandonare la carriera di una vita per una vana speranza. — Non c'era più alcuna traccia di sorriso quando concluse: — Ma, David, noi siamo convinti che quella vita non durerà più di tre o quattro anni al massimo.
David passò lo sguardo da suo zio a suo padre, agli altri zii e cugini nella stanza, e infine fissò suo nonno. Scosse la testa, incapace di credere a ciò che aveva udito. — Ma è pazzesco. Di che cosa state parlando?
Nonno Sumner lasciò uscire il fiato dai polmoni in una sorta d'esplosione. Era un uomo grande e grosso con un torace enorme e dei bicipiti gonfi come barili. Le sue mani erano grandi a sufficienza per stringere in ciascuna un pallone da basket. Ma era la sua testa caratteristica che colpiva maggiormente. Era la testa di un gigante. Nonostante che avesse coltivato la terra per molti anni, e più tardi sorvegliato quelli che lo facevano per lui, aveva trovato il tempo di leggere più libri di chiunque altro David conoscesse. Non c'era libro, a parte le ultime pubblicazioni alla moda, che qualcuno potesse citare senza che lui non ne conoscesse l'esistenza o l'avesse letto. La sua biblioteca personale era più fornita della maggior parte delle biblioteche pubbliche.
Ora, dunque, egli si sporse in avanti e disse: — Ascoltami, David. Ascoltami bene. Ti dico ciò che il governo non osa ammettere ancora. Noi ci troviamo all'inizio di un pendio sul quale la nostra economia, e quella di ogni altra nazione della Terra, stanno già scivolando senza remissione. Precipiteranno tutte a una profondità che non si sono mai sognate.
«Io so riconoscere i segni, David. L'inquinamento ci sta sommergendo più velocemente di quanto chiunque si possa render conto. Ci sono più radiazioni oggi, nell'atmosfera, di quante ce ne siano state dai tempi di Hiroshima, bombe francesi, test nucleari cinesi. E altre radiazioni di cui nessuno conosce l'origine: soltanto Dio sa da dove provengano. Noi abbiamo conseguito la crescita zero da un paio d'anni, David, ma l'abbiamo programmata di nostra volontà; e altre nazioni ci stanno arrivando, ma senza averla affatto programmata, anzi… Ora mentre ti parlo, la carestia sta infuriando su un quarto del globo. Anche qui, da noi, da tre o quattro anni, ci sono periodi di carestia, e vanno peggiorando. E ci sono oggi più malattie di quante ce ne siano state da quando il buon Dio mandò le piaghe ad affliggere gli egiziani. E di molte fra queste malattie non sappiamo assolutamente nulla.
«Ci sono più siccità e più inondazioni di quante ce ne siano mai state in passato. L'Inghilterra si sta trasformando in un deserto. Le paludi e gli acquitrini si stanno prosciugando. Intere specie di pesci sono scomparse, sì, scomparse, maledizione, in un anno o due, poco più. Le acciughe sono scomparse. L'industria del merluzzo è scomparsa. E i pochi merluzzi che ancora si pescano sono malati, immangiabili. Non si pesca più niente al largo della costa occidentale americana.
«Ogni dannato mucchio di proteine viventi della terra è afflitto da qualche tipo di pestilenza che va peggiorando sempre più. Il granoturco ha il carbonchio. Il frumento ha la ruggine. E anche la soia ha il carbonchio. Ora stiamo limitando le nostre esportazioni di cibo, e l'anno prossimo le cesseremo del tutto. Abbiamo carenze di materie prime che nessuno si sarebbe mai sognato, stagno, rame, alluminio, carta. Perfino il cloro, per Dio! E cosa credi che accadrà di questo mondo quando, all'improvviso, non saremo neppure più in grado di purificare la nostra acqua potabile?
Mentre parlava, il suo volto si era fatto sempre più cupo, e la sua rabbia era andata crescendo mentre rivolgeva quelle domande senza risposta a David, il quale lo fissava incapace di replicare.
— E loro non sanno come risolvere niente di tutto questo! — ruggì suo nonno. — Non più di quanto i dinosauri sapessero il modo di fermare la propria estinzione. Abbiamo alterato le reazioni fotochimiche della nostra atmosfera, e non riusciamo ad adattarci alle nuove reazioni con rapidità sufficiente a sopravvivere! Qualcuno, qua e là, ha osato dire che si tratta di una faccenda preoccupante, di primaria importanza, ma chi vi ha prestato ascolto? Quei dannati imbecilli sono sempre pronti a dar la colpa di ogni catastrofe alle condizioni climatiche locali, e voltano la schiena al fatto che questo è qualcosa di globale, e quando finalmente si degneranno di occuparsene sarà troppo tardi.
— Ma se è davvero quello che pensi, che cosa potrebbero mai fare per porci rimedio? — chiese David, guardando il dottor Walt alla ricerca di un appoggio che però non venne.
— Chiudere le fabbriche, tenere a terra gli aerei, cessare lo sfruttamento delle miniere, buttar via le automobili. Ma non vogliono farlo, e anche se lo facessero, sarebbe ugualmente la catastrofe. Scoppierà nel modo più disastroso, David, nei prossimi due anni. Scoppierà senza rimedio. — Poi sorbì il suo zabaione e mise giù con forza la tazza di cristallo, con un tonfo che fece sobbalzare David.
— Sarà il crollo più vasto da quando l'uomo ha cominciato a grattare la roccia, lasciandoci il suo segno, ecco come sarà! E noi ci stiamo preparando ad affrontarlo… Io mi sto preparando ad affrontarlo! Abbiamo la terra e gli uomini per coltivarla, otterremo il nostro ospedale e i laboratori e faremo le ricerche necessarie sui modi di tener vivi i nostri animali e la nostra gente, e quando il mondo comincerà a precipitare a vite, noi saremo vivi, e quando morrà di fame, noi mangeremo.
Tacque all'improvviso, e studiò David socchiudendo le palpebre: — Tu te ne andrai via di qui convinto che siamo tutti impazziti. Ma tornerai, David, ragazzo mio. Tornerai prima che i cornioli sboccino, perché anche tu avrai visto i segni.
David tornò dunque alla sua scuola, alla sua tesi e al lavoro da mulo, tra le grinfie di Selnick. Celia non gli scrisse, né lui aveva il suo indirizzo per farsi vivo con lei. Neppure la madre di Celia fu in grado di fornirglielo, quando glielo chiese. A febbraio, come ritorsione per l'embargo sulle derrate alimentari, il Giappone approvò una serie di restrizioni che rendevano impossibile ogni ulteriore commercio con gli Stati Uniti. Il Giappone e la Cina formarono un trattato di mutuo aiuto. A marzo il Giappone s'impadronì delle Filippine con i suoi campi di riso, e la Cina restituì pieno vigore alla sua amministrazione fiduciaria in Cambogia e nel Vietnam.
Il colera colpì Roma, Los Angeles, Galveston e Savannah. L'Arabia Saudita, la Giordania, e le altre nazioni del blocco arabo lanciarono un ultimatum: gli Stati Uniti avrebbero dovuto garantire una razione annuale di grano all'intero blocco arabo, nel contempo troncando ogni aiuto a Israele, altrimenti non ci sarebbe stato più petrolio per gli Stati Uniti né per l'Europa. Si rifiutarono drasticamente di credere che gli Stati Uniti non fossero in grado di far fronte alle loro richieste. Furono immediatamente poste — come risposta — severe limitazioni ai viaggi, e il governo americano, per decreto presidenziale, formò un nuovo dipartimento a livello ministeriale: l'Ufficio di Informazione.
I fiori in boccio sugli alberi erano vaghe macchie rosate sullo sfondo vellutato del cielo di maggio, quando David tornò a casa. Vi si fermò pochi attimi necessari a metter giù le scatole zeppe dei ricordi del college ed a cambiarsi d'abito, poi raggiunse in macchina la fattoria dei Sumner dove Walt aveva scelto di alloggiare mentre sovrintendeva alla costruzione della clinica-laboratorio.
Walt aveva un ufficio al piano terra, sovraccarico di libri, blocchi per appunti, progetti, mucchi di corrispondenza. Accolse David come se questi non fosse mai andato via. — Senti — l'aggredì subito, — questa ricerca compiuta da Semple e Frerrer… che cosa ne sai? La prima generazione dei loro topi clonati non ha mostrato alcun difetto, salvo alcune alterazioni della vitalità e della potenza riproduttiva: e neppure la seconda e la terza, ma con la quarta la vitalità è diminuita fortemente, e si è manifestata una spiccata, irrimediabile spinta all'estinzione. Perché?
David si sedette e fissò Walt: — Come fai a saperlo?
— Vlasic — spiegò Walt. — Siamo stati insieme alla scuola di medicina. Lui poi ha proseguito in un ramo, io in un altro. Abbiamo continuato a intrattenere una fitta corrispondenza in tutti questi anni. Ho chiesto anche a lui il perché
— Conosci il suo lavoro?
— Sì. Le sue scimmie rhesus mostrano un identico declino durante la quarta generazione, e poi si estiguono, senza rimedio.
— Non è esattamente così — obiettò David. — Vlasic ha dovuto interrompere il suo lavoro lo scorso anno… mancanza di fondi. Perciò non conosciamo le effettive probabilità di sopravvivenza degli ultimi ceppi. Ma il declino comincia già alla terza generazione di cloni, un declino di potenza sessuale. Egli ha fatto riprodurre sessualmente ogni generazione di cloni, compiendo esaurienti esami sulla prole così ottenuta, per controllare se era normale. La terza generazione di cloni aveva soltanto il venticinque per cento della normale potenza sessuale. La prole ottenuta sessualmente da essa ha mostrato la stessa percentuale, la quale è ulteriormente discesa fino alla quinta generazione, prodotta sempre sessualmente, ma poi le successive generazioni sessuali hanno cominciato a risalire e presumibilmente sarebbero tornate a una potenza normale.
Walt teneva gli occhi fissi su di lui, letteralmente bevendo ogni sua parola. David proseguì: — Tutto questo, dunque, per quanto riguarda le generazioni successive prodotte sessualmente dal terzo ceppo clonato. Ma col quarto ceppo clonato c'è stato un mutamento drastico. Questa tecnica riproduttiva cominciò a mostrave gravi anormalità, e le probabilità di sopravvivenza erano scese al diciassette per cento. Gli esemplari anormali erano sterili. La potenza sessuale era discesa, in media, al quarantotto per cento. Facendo riprodurre sessualmente gli esemplari del quarto ceppo clonato e i loro discendenti, le percentuali di sopravvivenza decrescevano costantemente, con grande rapidità. Alla quinta generazione nessun nuovo nato sopravviveva più di un'ora o due. Questo, appunto, col quarto ceppo di cloni. E anche il tentativo di farli riprodurre con ulteriori clonazioni ebbe risultati disastrosi. Il quinto ceppo di cloni, derivato dalla clonazione del quarto, mostrava anormalità macroscopiche, ed erano tutti sterili. Non si riuscì a ottenere nessuna cifra significativa sulle probabilità di sopravvivenza. Non vi fu un sesto ceppo. Nessuno sopravvisse abbastanza a lungo.
— Un vicolo cieco — commentò Walt. Indicò a David una pila di riviste e di estratti di articoli. — Speravo che fossero aggiornati, che magari avessero messo a punto nuove tecniche, o che magari nelle cifre fosse stato scoperto un errore… Dunque, la svolta avviene alla terza generazione?
David scrollò le spalle: — Le mie informazioni potrebbero essere superate. So che Vlasic ha smesso lo scorso anno, ma Semple e Frerrer ci stanno lavorando ancora, o per lo meno lo stavano facendo un mese fa. Potrebbe esserci qualche novità che io ignoro. Stai pensando al bestiame?
— Naturalmente. Tu hai sentito le voci che circolano. Non si riproduce bene. Non vi sono cifre ufficiali, ma, al diavolo, noi l'abbiamo controllato sul nostro bestiame. È ridotto alla metà.
— Ho sentito qualcosa in proposito. Smentito dall'Ufficio di Informazione, credo.
— Proprio così — ribatté Walt, con tono truce.
— Ma qualcuno starà pure cercando il motivo — obiettò David. — Dovranno ben darsi da fare a cercare un rimedio!
— Se lo stanno facendo, nessuno ce lo dice — replicò Walt. Rise amaramente e si alzò in piedi.
— Riesci a ottenere quello che ti serve per costruire l'ospedale? — chiese ancora David.
— Per ora sì. Ci facciamo spedire tutto il più presto possibile, naturalmente, come se non ci fosse un domani. E in questo momento non facciamo una questione di denaro. Magari ci troveremo con un bel po' di cose in più, di cui non sapremo che fare, ma ho pensato che fosse meglio ordinare tutto quello che mi veniva in mente, piuttosto che scoprire, fra un anno, che ciò di cui avremo assolutamente bisogno non è disponibile.
David si avvicinò alla finestra e guardò verso la fattoria. Ormai un vivido manto verdeggiante ricopriva la campagna, la primavera avrebbe lasciato il posto all'estate senza soluzione di continuità e il frumento, nei campi, sarebbe stato di un verde lucente come seta. Proprio come sempre.
— Lasciami dare un'occhiata alle tue ordinazioni di attrezzature per i laboratori, e agli elenchi del materiale che è già stato consegnato — disse a Walt. — Poi vedrò se riuscirò a strappare un'autorizzazione personale a viaggiare fino alla costa. Voglio parlare a Semple. L'ho incontrato alcune volte. Se c'è qualcuno che sta ancora lavorando seriamente in questo campo è il suo gruppo.
— E Selnick, su cosa sta lavorando?
— Su niente. Ha perduto la sua sovvenzione, e i suoi studenti sono stati rimandati a casa. — David sorrise improvvisamente a suo zio. — Guarda, là in alto sulla collina, riesco a vedere un corniolo che sta già sbocciando. Non lo vedi anche tu?
David aveva le ossa stanche, e tutti i suoi muscoli sembravano dolergli contemporaneamente. La testa gli pulsava. Era in viaggio da nove giorni, fino alla costa, e poi a Harvard, a Washington, e ora bramava soltanto dormire, anche se il mondo si fosse fermato di colpo mentre lui era immerso nell'incoscienza. Aveva preso un treno da Washington a Richmond, e qui, nell'impossibilità di affittare un'auto, aveva rubato una bicicletta e aveva pedalato per tutto il resto della strada. Non aveva mai creduto che le gambe potessero far tanto male a un uomo.
— Sei sicuro che quel branco di disperati non riuscirà a ottenere udienza a Washington? — gli chiese nonno Sumner.
— Nessuno vuol sentire geremiadi — replicò David. Selnick faceva parte di quel gruppo e David era riuscito a scambiare quattro parole con lui. Il governo avrebbe dovuto ammettere l'eccezionale gravità del momento, la catastrofe che era sul punto di piombare su tutti loro; avrebbe dovuto prendere rigorose misure per evitarla, o quanto meno alleviarla. Ma, al contrario, il governo aveva scelto di dipingere a luminose immagini l'imminente inversione di tendenza che si sarebbe manifestata «infallibilmente» in autunno. Durante i prossimi mesi, perciò, chiunque fosse fornito di denaro e di buon senso avrebbe comperato quanto più poteva, nel disperato tentativo di sopravvivere; poiché, dopo, finito quest'ultimo periodo di grazia, non ci sarebbe stato più niente da comprare.
— Selnick dice di offrirci di acquistare la sua attrezzatura in blocco — disse David, scoppiando a ridere. — In questo momento la scuola è pronta ad acchiappare al volo ogni possibilità di liberarsene. A poco prezzo… Sì, a poco prezzo, magari un quarto di milione.
— Fai subito un'offerta — disse, bruscamente, nonno Sumner. E Walt annuì pensieroso.
David si alzò in piedi turbato e scosse la testa. Li salutò con un cenno della mano e andò a letto.
La gente andava ancora a lavorare. Le fabbriche producevano ancora, anche se non quanto prima, e niente che non fosse essenziale, ma si stavano riconvertendo con grande rapidità all'uso del carbone. David pensò alle città al buio, alle orde di camion che arrugginivano, al frumento e al mais che marcivano nei campi. Ed ai vari comitati per le priorità che litigavano, con scontri all'ultimo sangue e continue campagne di propaganda per le rispettive cause. Ci volle molto tempo prima che i suoi muscoli contratti si rilassassero quanto bastava per consentirgli di restarsene disteso tranquillo; un tempo ancora più lungo impiegò la sua mente a calmarsi, facendolo misericordiosamente sprofondare nel sonno.
La costruzione dell'ospedale-laboratorio progrediva più rapidamente di quanto si fosse creduto possibile. Le maestranze erano divise in due turni, garantendo un'attività continuativa e… al diavolo i costi! Una lunga tettoia appositamente eretta rigurgitava letteralmente di casse e scatole di cartone contenenti attrezzature di laboratorio ancora imballate, fino al giorno in cui si fosse potuto montarle e farle funzionare. In attesa di quel giorno, David cominciò a lavorare in un laboratorio improvvisato, cercando di riprodurre gli esperimenti di Frerrer e Semple. E, ai primi di luglio, Harry Vlasic comparve alla fattoria. Era basso, grasso, miope e collerico. David lo gratificò della stessa reverenza e del rispetto che un universitario di fisica avrebbe dimostrato ad Einstein.
— Proprio così — esclamò Vlasic. — Il raccolto del frumento è venuto a mancare, come previsto. Monocultura… bah! Salveranno il sessanta per cento del frumento, non di più. E quest'inverno? Oh, aspettate l'inverno e vedrete. Ora, ditemi, dov'è la caverna?
Lo condussero fino all'ingresso della caverna, che si apriva a meno di cento metri dall'ospedale. L'interno della caverna era illuminato da lanterne. La sua lunghezza era di circa un miglio nella sezione principale, ma c'erano parecchie diramazioni che si aprivano su cavità più piccole. Nell'oscurità di uno dei cunicoli più stretti correva un fiume, nero e silenzioso. Acqua buona, di sorgente. Vlasic annuì più volte. Quand'ebbero finito il giro della caverna, egli continuava ad annuire. — Molto bene — fu il suo commento. — Funzionerà. I laboratori andranno sistemati qua dentro, collegati con un passaggio sotterraneo all'ospedale, al riparo dalle contaminazioni. Sì, benissimo.
Quell'estate lavorarono sedici ore al giorno e continuarono così fino all'autunno. In ottobre la prima ondata d'influenza spazzò il paese, peggiore perfino dell'epidemia del 1915-18. A novembre comparve una nuova malattia, e corsero voci qua e là che fosse la peste, ma l'Ufficio di Informazione affermò che si trattava sempre d'influenza. Nonno Sumner morì a novembre. David apprese così di essere, insieme a Walt, l'esclusivo beneficiario di un patrimonio molto più grande di quanto avesse mai sognato. Un patrimonio in contanti. Nonno Sumner aveva convertito tutto quello che poteva in contanti, negli ultimi due anni.
In dicembre cominciò l'afflusso dei membri della famiglia, che arrivarono dalle città, dai villaggi e dalle borgate sparsi nella vallata, per venire ad abitare nell'ospedale e negli edifici del personale. Il razionamento, il mercato nero, l'inflazione e i saccheggi avevano trasformato tutti i luoghi abitati in altrettanti campi di battaglia. E il governo stava bloccando patrimoni e attrezzature di ogni impresa, niente poteva essere comperato o venduto senza approvazione. L'esercito aveva cominciato a requisire gli edifici e funzionari governativi controllavano che lo stretto razionamento imposto fosse rigidamente osservato.
I vari membri della famiglia giunsero portando con sé i propri averi. Jeremy Streit portò con sé i suoi articoli di ferramenta, ammassati su quattro camion. Eddie Beauchamp si presentò con la sua completa attrezzatura da dentista. Il padre di David prelevò tutto quello che poteva del suo grande magazzino. La famiglia aveva diversificato al massimo le proprie attività, e c'erano provviste e scorte che rappresentavano quasi ogni concepibile ramo di attività professionale.
Quando le comunicazioni radiotelevisive furono a loro volta travolte da un completo collasso, il governo non ebbe più alcun mezzo per affrontare il panico crescente. La legge marziale fu proclamata il 28 dicembre. Con sei mesi di fatale ritardo.
Quando giunsero le piogge di primavera, non sopravviveva più nessun bambino di età inferiore agli otto anni. Delle 319 persone rifugiatesi nella parte alta della valle, ne erano rimaste soltanto 201. Ma nelle città le perdite erano state incomparabilmente maggiori.
David esaminò con occhio professionale il feto di maiale che si stava apprestando a sezionare. Era rattrappito e disseccato, le ossa troppo cedevoli, i gangli linfatici duri, grumosi. Perché mai? Perché la quarta generazione declinava a tal punto? Harry Vlasic venne a dare anche lui una rapida occhiata, poi si allontanò a testa bassa, pensieroso. Neppure lui riusciva a trovare una risposta, disse tra sé David, con una punta d'acre soddisfazione.
Quella notte, David, Walt e Vlasic s'incontrarono, e una volta ancora passarono tutto al vaglio. Disponevano di sufficiente bestiame per nutrire a lungo i duecento sopravvissuti, grazie alla clonazione ed alla riproduzione sessuale dei cloni della terza generazione così ottenuti. Essi, grazie alla clonazione, potevano ricavare quattrocento nuovi esemplari per volta. Polli, maiali, bovini. Ma se tutti gli animali avessero finito per diventare sterili, come le indicazioni avute sembravano affermare, come ultimo risultato, allora le loro scorte di cibo erano in realtà limitate.
Osservando i due uomini anziani, David si rese conto che ognuno dei due eludeva volutamente le domande più imbarazzanti dell'altro. Per esempio, se anche gli esseri umani fossero diventati sterili, per quanto tempo ancora vi sarebbe stata necessità di rinnovare le scorte di cibo? S'intromise nel dialogo: — Dovremmo isolare un ceppo di topi sterili, clonarlo, e compiere precise rilevazioni sull'eventuale riemergenza della fertilità ad ogni successiva generazione di cloni.
Vlasic si accigliò e scosse la testa: — Se avessimo, qui, una dozzina di ricercatori… forse — replicò asciutto.
— Ma noi dobbiamo saperlo! — esclamò David, con improvviso calore. — Perché non provate a partire dal principio, tutti e due, che questo sia soltanto un piano di emergenza quinquennale, concepito su misura per superare qualche anno di magra? Se la sterilità non fosse affatto ineluttabile? Il fattore della fertilità è senz'altro presente in tutti gli animali. Noi dobbiamo semplicemente scoprire di che cosa si tratta, e…
Walt l'azzitti con un'occhiata, poi ribatté: — Non abbiamo né il tempo né l'attrezzatura indispensabile per compiere una simile ricerca.
— È falso — ribatté David, in tono reciso. — Noi possiamo produrre tutta l'elettricità che ci serve, più di quanta è necessaria. Abbiamo un mucchio di attrezzature che non abbiamo ancora disimballato…
— Perché non c'è nessuno che possa usarle — replicò Walt, pazientemente.
— Io posso usarle. Lo farò durante il mio tempo libero.
— Quale tempo libero?
— Lo troverò. — David continuò a fissare Walt fino a quando suo zio non gli diede il suo consenso con una scrollata di spalle.
A giugno David disponeva delle prime risposte. — Il ceppo A-quattro — annunciò, — ha una potenza sessuale del venticinque per cento. — Vlasic, che aveva seguito da vicino il suo lavoro durante le ultime tre o quattro settimane, non ne fu sorpreso.
Walt, invece, lo fissò incredulo. — Ne sei sicuro? — bisbigliò, dopo un attimo.
— La quarta generazione dei topi clonati sterili ha mostrato la stessa degenerazione che tutti i cloni mostrano a questo stadio — proseguì David, con voce stanca. — Ma essi erano anche dotati di un fattore di fertilità pari al venticinque per cento del normale. La prole che hanno prodotto sessualmente ha sempre manifestato una vita breve, ma gonadi più fertili. Questo recupero della fertilità cresce fino alla sesta generazione sessuata, la quale mostra una fertilità del novantaquattro per cento, mentre anche la durata media della vita riprende ad allungarsi, puntando costantemente alla normalità. — Aveva tracciato, in base alle sue scoperte, dei grafici che Walt ora stava studiando. A, A1, A2, A3, A4, erano i successivi ceppi di cloni, mentre la loro prole ottenuta sessualmente era indicata con a, a1, a2, eccetera. Non c'erano ceppi di cloni successivi all'A4; nessuno degli esemplari ottenuti era sopravvissuto fino alla maturità.
David si lasciò andare contro lo schienale, chiuse gli occhi e silenziosamente invocò il letto, una coperta rimboccata fino al mento e il suo spirito che sprofondava nel sonno… nel sonno… — Gli organismi superiori devono riprodursi sessualmente oppure estinguersi. E c'è qualcosa, in questo modo sessuale di riprodursi, che sa come combattere ogni degenerazione, e consente all'organismo di «guarire» se stesso — concluse, con voce sempre più impastata dalla stanchezza.
— Sarai un uomo famoso quando avrai pubblicato tutto questo — commentò Vlasic, la mano appoggiata sulla spalla di David. Poi prese posto sulla sedia accanto a Walt, per indicargli alcuni particolari che Walt sembrava non aver notato: — Un magnifico lavoro — dichiarò, e gli occhi gli luccicavano mentre scorreva le pagine. — Magnifico — ripeté. Poi alzò nuovamente gli occhi a fissare David: — Naturalmente, tu sei consapevole delle altre implicazioni del tuo lavoro.
David aprì gli occhi e incontrò lo sguardo di Vlasic. Annuì. Perplesso, Walt fece passare lo sguardo dall'uno all'altro. David si alzò in piedi e si stiracchiò. — Devo assolutamente dormire — dichiarò.
Ma ci volle molto tempo prima che riuscisse ad addormentarsi. Gli era stata assegnata una stanza singola all'ospedale, più fortunato di tanti altri che erano costretti a dormire in stanze a più letti. L'ospedale aveva più di duecento letti, ma poche stanze singole. David rifletté a lungo sulle implicazioni. Ne era stato consapevole fin dall'inizio, anche se non aveva voluto confessarle neppure a se stesso, quando gli erano balenate nella mente… non era pronto, del resto, neppure adesso. Lui non era sicuro, e neppure gli altri. Bisognava aspettare: dopo un anno e mezzo di sterilità, tre donne erano finalmente rimaste incinte. Margaret era giunta quasi al termine della gravidanza, il suo bambino scalciava in grembo, sembrava in perfetta salute. Cinque settimane ancora, pensò David. Cinque settimane ancora, e forse non sarebbe mai stato costretto a discutere le implicazioni del suo lavoro.
Ma Margaret non attese cinque settimane. Dopo due settimane ella diede alla luce un bambino morto. Zelda abortì la settimana seguente, e pochi giorni dopo anche May perse il suo piccolo. Quell'estate, la pioggia impedì loro di piantare qualunque cosa, eccettuato un orticello per un po' di verdura fresca.
Walt cominciò a sottoporre gli uomini a completi esami clinici per accertarne la fertilità, e alla fine riferì a David e Vlasic che nessun uomo della valle era fertile.
— Così — disse Vlasic, con mormorio quasi inaudibile, — ora possiamo comprendere il reale significato del lavoro di David.
L'inverno arrivò presto con scrosci di pioggia gelida che continuarono ininterrottamente per giorni e giorni. L'attività crebbe freneticamente nei laboratori, e David più volte benedisse suo nonno per aver acquisito l'intera attrezzatura di Selnick, accompagnata da dettagliate istruzioni su come allestire placente artificiali e programmare i computer per sintetizzare gli adatti liquidi amniotici. Quando David era andato a contrattare con Selnick l'acquisto delle apparecchiature, Selnick aveva insistito — e David l'aveva giudicato, allora, scioccamente testardo o addirittura pazzo — perché prendesse tutto o niente. — Vedrai — gli aveva detto, in preda a un'intensa eccitazione, — vedrai. — La settimana successiva Selnick si era impiccato, ma le sue attrezzature erano già in viaggio per la valle della Virginia.
Lavorarono dunque indefessamente per tutto l'inverno, uscendo dal laboratorio soltanto per mangiare. Le piogge invernali lasciarono finalmente il posto a quelle primaverili, e l'aria fu impregnata da un'insperata mitezza.
David stava uscendo dalla tavola calda, la mente concentrata sul lavoro che l'aspettava, quando si sentì tirare per il braccio. Era sua madre. Non la vedeva da settimane, e le sarebbe passato accanto con un frettoloso ciao se lei non l'avesse fermato. Sua madre aveva un'aria strana, quasi complice. David distolse lo sguardo da lei, facendolo vagare distrattamente fuori della finestra, aspettando che lei gli lasciasse il braccio.
— Celia sta per tornare a casa — disse sua madre con voce sommessa. — Ha scritto che sta bene.
David si sentì raggelare; continuò a fissare fuori della finestra senza veder nulla. — Dove si trova, adesso? — Ascoltò il frusciare della carta da pochi soldi, e quand'ebbe l'impressione che sua madre esitasse troppo a lungo a rispondergli, si girò di scatto: — Dove si trova?
— Miami — disse infine sua madre, dopo aver dato una scorsa alle due pagine della lettera. — Mi sembra che ci sia il timbro di Miami. La data è il 28 maggio, due settimane fa. Celia non ha ricevuto nessuna delle nostre lettere. — Porse la lettera di Celia a David, gliela schiacciò con un gesto convulso. Le lagrime le traboccarono dagli occhi, ma lei non sembrò curarsene. Si allontanò rapidamente.
David non lesse la lettera finché sua madre non fu uscita dal refettorio. Sono rimasta in Colombia per un po', otto mesi, credo. E sono stata colpita dal germe che nessuno vuole nominare. La scrittura rivelava una mano debole, esitante. Dunque, Celia non stava bene. David si affrettò a cercare Walt.
— Devo andare a prenderla. Non può finire dritta tra le grinfie di quella gente, dai Wiston.
— Sai che non puoi andar via, adesso.
— Non è questione di potere e non potere. Devo farlo.
Walt lo scrutò per un momento, poi scrollò le spalle. — Come conti di andare fin laggiù e tornare? Niente benzina, per te. Sai che dobbiamo risparmiarla tutta per il raccolto.
— Lo so — replicò David, con tono impaziente. — Prenderò Mike e il carro. Con Mike mi butterò sulle strade secondarie. — Sapeva che Walt stava calcolando, come lui stesso del resto aveva fatto, il tempo che tutto ciò gli avrebbe portato via, e sentì i muscoli tenderglisi, le mascelle indurirsi per l'ansia. Ma Walt si limitò semplicemente ad annuire.
— Partirò alle prime luci dell'alba — disse David, e Walt ancora una volta annuì. — Grazie. — L'esclamazione scaturì improvvisa dalle labbra di David. E fu perché lui non si era messo a discutere, perché Walt non gli aveva fatto notare ciò che entrambi già sapevano, che non c'era alcun modo di sapere quanto a lungo lui avrebbe dovuto aspettare l'arrivo di Celia, e che forse lei non sarebbe mai riuscita ad arrivare fino alla fattoria.
A tre miglia dalla fattoria dei Wiston, David staccò il carro e lo nascose nel denso sottobosco. Cancellò le tracce là dove era uscito dalla strada battuta, e poi condusse Mike dentro il bosco. L'aria era calda e minacciosamente gravida di pioggia; alla sua sinistra David sentiva il rombo del Crooked Creek che scorreva furioso, perdendosi in distanza. Il terreno era inzuppato, ed egli s'incamminò cautamente, non volendo sprofondare fino alle ginocchia nel fango traditore delle terre basse. La fattoria dei Wiston era sempre stata incline agli allagamenti; nonno Wiston aveva ostinatamente affermato che ciò arricchiva il terreno, non essendo disposto a maledire la natura per le sue periodiche scorribande. — Dio non ha certo inteso che questo pezzo di terra debba soffrire anno dopo anno, senza sosta — soleva dire. — Viene il momento in cui la terra ha bisogno di riposo, come te e me. Per quest'anno lasceremo che le cose vadano così, spargeremo un po' di trifoglio quando il terreno si asciugherà.
David cominciò a salire, sempre guidando Mike che di tanto in tanto gli rivolgeva un sommesso nitrito. — Solo in cima al colle, ragazzo mio — lo rassicurò David. — Poi potrai riposarti e brucare l'erba del prato, finché lei non sarà arrivata.
Un giorno, nonno Wiston l'aveva condotto fino al colle: David aveva dodici anni. Ricordava quel giorno, caldo e immobile come oggi, pensò, e nonno Wiston era dritto e forte. Sul colle suo nonno si era fermato e aveva accarezzato il tronco massiccio di una quercia. — Quest'albero ha visto gli indiani in questa valle, David, e i primi coloni, e mio nonno, quando arrivò qui. È nostro amico, quest'albero, David. Conosce tutti i segreti della famiglia.
— Il terreno è ancora tuo, quassù, nonno?
— Sì, giusto fino a quest'albero, figliolo. Da qui in poi comincia il territorio della foresta demaniale, ma quest'albero è tutto nostro, mio e tuo. Un giorno, David, salirai fin quassù, appoggerai le mani su quest'albero e anche tu saprai che ti è amico, proprio come è stato amico mio per tutta la mia vita. Che Dio ci aiuti se un giorno qualcuno dovesse colpirlo con l'ascia.
Quel giorno lontano essi erano discesi sull'altro versante del colle, poi erano risaliti su un nuovo pendio, più ripido, fin quando ancora una volta suo nonno si era fermato per qualche momento, con la mano sulla spalla di David: — Ecco com'era questa terra un milione di anni fa.
Improvvisamente, per il ragazzo, il tempo aveva fatto un balzo: un milione di anni, cento milioni di anni, erano un unico, immenso, lontano passato, e David aveva immaginato il passo dei rettili giganteschi, l'alito fetido del tirannosauro…
Era freddo e nebbioso sotto gli alti alberi, e sotto di essi crescevano alberi più piccoli con i rami protesi orizzontalmente, come per afferrare ogni sperduto raggio di luce che fosse riuscito a penetrare sotto la volta verdeggiante. Là dove il sole era riuscito a trovare uno spiraglio, quel giorno, risplendeva morbido e carezzevole, il sole di un'altra, lontana era. Perfino tra le ombre più folte crescevano fitti i cespugli e gli arbusti, e i piedi di ogni tronco e di ogni sasso erano tappezzati di muschi e licheni, anemoni e felci. Le radici affioranti degli alberi, arcuate, erano ricoperte di vivo velluto color smeraldo.
David inciampò, e nel riprendere l'equilibrio finì per appoggiarsi contro la gigantesca quercia che per qualche ragione gli era amica. Premette una guancia contro la ruvida corteccia, per qualche istante, poi si staccò dal tronco, protendendo le braccia, e guardò in alto, attraverso i rami lussureggianti, ma non riuscì a intravvedere neppure un frammento di cielo. Quando avesse cominciato a piovere, l'albero lo avrebbe protetto dalla furia scatenata della tempesta; ma gli sarebbe comunque servito un riparo dai rivoli sottili che, scivolando di foglia in foglia, avrebbero finito per sgocciolare lentamente sul terreno poroso.
Prima di cominciare a fabbricarsi una sorta di tettoia, David scrutò la fattoria lontana col binocolo. Dietro l'edificio scorse cinque persone che lavoravano nell'orto; a quella distanza non riuscì a capire se fossero maschi o femmine. Capelli lunghi, jeans, erano tutti magri, e scalzi. Ma non aveva importanza. Vide comunque che l'orto non produceva ancora niente, le piante erano rade, e stente. Esaminò poi il campo a est della fattoria: si rese conto che aveva un aspetto insolito, ma non capì, sulle prime, in che cosa fosse cambiato. Poi si rese conto che vi stava crescendo il mais. Nonno Wiston su quel campo aveva alternato frumento, erba medica e soia, non vi aveva mai seminato il mais. I campi più bassi erano allagati, e il campo a nord era completamente invaso dalla gramigna e da altre erbacce. David spostò lentamente il binocolo così da inquadrare la fattoria. In tutto riuscì a contare diciassette persone. Nessun segno di Celia, né di qualche veicolo che avesse percorso di recente la strada, anch'essa completamente ricoperta di erbacce. Non c'era dubbio che la gente, là sotto, fosse felice che la strada finisse per cancellarsi completamente fra le erbacce.
David improvvisò una sorta di tettoia contro il tronco della quercia, e si distese al riparo sotto di essa continuando a osservare la fattoria. Aveva usato rami di abete per fabbricarsi il riparo, e quando mezz'ora più tardi arrivò il temporale, egli rimase all'asciutto. Più sotto, rivoli d'acqua corsero giù per il pendio, anche l'orto ne fu invaso, e il cortile della fattoria: tutto sembrò ricoperto da un manto argenteo e scintillante, ma David sapeva che, da vicino, sarebbe stata soltanto una distesa d'acqua fangosa profonda una decina di centimetri. Il terreno della valle era troppo saturo per poter assorbire dell'altra acqua. Questa avrebbe continuato a ristagnare, lì, finché il suo livello non le avesse consentito di scorrere fino al Crooked River, che a sua volta stava gonfiandosi centimetro per centimetro verso il campo a est e il mais che vi era stato seminato.
Dopo tre giorni di pioggia continua, l'acqua cominciò effettivamente a invadere il campo di mais, e David provò pietà per quella gente che era costretta laggiù a guardare impotente. Continuavano a lavorare nell'orto, ma sarebbe stato un ben magro raccolto. Era giunto a contare complessivamente ventidue persone; pensò che dovevano esser tutti i presenti nella fattoria. Mentre nel pomeriggio la pioggia continuava a sferzare la valle, udì Mike che nitriva; strisciò allora fuori della tettoia e si alzò in piedi. Mike, immobile sul pendio della collina, non era granché infastidito dalla pioggia, e si trovava sottovento rispetto al rilievo. Tuttavia nitrì di nuovo, e poi una terza volta.
Cautamente, il fucile da caccia stretto in una mano, proteggendosi gli occhi dalla pioggia battente con l'altra, David aggirò lentamente la grande quercia. Una figura esitante saliva incespicando il colle, a testa china, fermandosi quasi ad ogni passo e poi riprendendo a salire, senza mai alzare la testa, probabilmente accecata dalla pioggia. Improvvisamente David scagliò il fucile sotto la tettoia e le corse incontro: — Celia! — gridò. — Celia!
Celia si arrestò e alzò la testa di scatto. La pioggia le ruscello giù per le guance e le appiccicò i capelli sulla fronte. Lasciò cadere lo zaino che l'aveva appensantita fino a quel momento e si precipitò verso di lui, e soltanto quando lui l'afferrò tra le braccia e la strinse a sé con forza, si accorse che anche lei stava piangendo.
La portò sotto la tettoia, le sfilò gli indumenti bagnati e l'asciugò. Poi l'avvolse in una delle sue camicie. Le labbra di Celia erano blu, la sua pelle sembrava trasparente, di un bianco spettrale.
— Sapevo che ti avrei trovato qui — lei gli disse. I suoi occhi apparivano enormi, d'un azzurro cupo, più cupo di quanto lui ricordasse, o forse apparivano così per contrasto col pallore cadaverico della pelle. In tempi che apparivano infinitamente remoti Celia era stata sempre abbronzata.
— Ed io sapevo che saresti venuta qui — replicò lui. — Quando hai mangiato per l'ultima volta?
Celia scosse la testa: — Non volevo credere che la situazione fosse così brutta, qui. Pensavo che fosse soltanto propaganda. Tutti laggiù sono convinti che sia propaganda.
David annuì e accese il fornello antivento. Celia sedeva strettamente avvolta nella sua camicia di lana a scacchi, e seguì i suoi movimenti con lo sguardo mentre apriva una lattina di stufato e la scaldava.
— Chi è quella gente là sotto?
— Forestieri. Nonna e nonno Wiston sono morti l'anno scorso. È arrivata quella banda. Hanno dato a zia Hilda e a zio Eddie una scelta: o accettare di vivere in loro compagnia o andarsene di lì. Non hanno dato a Wanda nessuna scelta: se la sono tenuta, e basta.
Celia guardò giù nella valle e annuì lentamente. — Non sapevo che fosse così brutto. Non volevo crederci. — Poi, senza voltarsi, gli chiese: — E mamma e papà?
— Sono morti, Celia. D'influenza, tutti e due. Lo scorso inverno.
— Non ho ricevuto nessuna lettera — lei proseguì. — Da quasi due anni. Sai, ci hanno costretto ad andarcene dal Brasile. Ma non c'era nessun mezzo di trasporto che potesse portarci fin quassù, a casa. Siamo andati in Colombia. Qui, all'inizio, ci hanno consentito di rimanere per tre mesi. Così hanno detto, all'inizio. Ma una notte, molto tardi, mancava poco all'alba, sono venuti da noi e ci hanno intimato di andarcene, subito. Erano scoppiati tumulti, sai.
David annuì, anche se lei stava fissando la fattoria sottostante e non poteva vederlo. Lui avrebbe voluto che scoppiasse nuovamente in lacrime, che piangesse per la morte dei suoi genitori, che gridasse disperata, per poterla stringere fra le braccia e confortarla. Ma Celia continuò a restar seduta, immobile, parlando con voce spenta:
— Venivano per noi, gli americani. C'incolpavano di averli lasciati morire di fame. Essi credono veramente che qui tutto vada ancora bene. Anch'io lo credevo. Nessuno presta fede ai resoconti. La folla stava venendo verso di noi. Siamo fuggiti su una piccola imbarcazione, una scialuppa. Eravamo in diciannove. Ci hanno sparato addosso, quando ci siamo avvicinati troppo a Cuba.
David le toccò il braccio. Celia si girò, con un fremito. — Celia, ora calmati e mangia. Non parlare più. Più tardi… più tardi potrai raccontarci tutto.
Lei lo fissò e scosse lentamente la testa: — Mai più. Non ne parlerò mai più, David. Volevo soltanto che tu sapessi che non c'era nient'altro che potessi fare. Volevo tornare a casa, e non c'era nessun modo per farlo.
Ora le sue labbra non sembravano più bluastre per il freddo. David provò sollievo quando cominciò a mangiare. Era affamata. Le preparò un caffè, l'ultima delle sue razioni.
— C'è nient'altro che vorresti sapere su quello che è successo qui?
Celia scosse la testa: — Non ancora. Ho visto Miami, e la gente. Tutti cercavano di andare da qualche parte e facevano la fila per giorni interi, in attesa dei treni. Stanno evacuando completamente Miami. La gente cade morta, e la lasciano lì, a marcire. — Ebbe un violento tremito. — Oh, non dirmi nient'altro, per ora.
La tempesta era cessata, e l'aria della notte era fresca. Eissi si rannicchiarono sotto una coperta e rimasero seduti senza parlare, bevendo caffè nero, caldo. Quando la tazza cominciò a inclinarsi nella mano di Celia, David gliela tolse e con dolcezza distese la ragazza sul giaciglio che le aveva preparato. — Ti amo, Celia — le disse sommessamente. — Ti ho sempre amato.
— Anch'io ti amo David. Da sempre. — I suoi occhi si erano chiusi e le sopracciglia, nere, spiccavano sopra il pallore delle guance. David si chinò sopra di lei, le baciò la fronte e le tirò la coperta più in alto, avvolgendogliela intorno al collo e alle spalle, e si soffermò a lungo a guardarla dormire, prima di distendersi al suo fianco e di addormentarsi anche lui.
Celia si destò una volta, durante la notte, gemendo, contorcendosi, e David la tenne stretta fino a quando non si fu quietata. Lei non si svegliò del tutto e farfugliò parole incomprensibili.
La mattina dopo essi lasciarono la quercia e iniziarono il tragitto verso la fattoria dei Sumner. Celia cavalcò Mike fino a quando non ebbero raggiunto il carro. Qui, ella giunse tremando per l'esaurimento, e le sue labbra erano di nuovo bluastre, anche se il mattino era già caldo. Sul carro non c'era spazio sufficiente perché lei potesse distendersi, così David imbottì il retro del sedile di legno col sacco a pelo e le coperte, perché lei potesse almeno appoggiare la testa e riposare quando la strada non era troppo accidentata e i sobbalzi non eccessivamente violenti. Celia ebbe un debole sorriso quando lui le coprì le gambe con un'altra camicia, quella che si era sfilato di dosso.
— Non è freddo, sai — lei lo rassicurò. — Quel dannato germe fa qualcosa al cuore, credo. Nessuno ha voluto dirci niente in proposito. I miei sintomi hanno colpito tutto il sistema circolatorio.
— È stato grave? Quando te lo sei preso?
— Diciotto mesi fa, credo. Subito prima che ci costringessero a lasciare il Brasile. Ha completamente spazzato Rio. È lì che ci hanno portato quando ci siamo ammalati. Pochissimi sono sopravvìssuti. Praticamente nessuno degli ultimi casi registrati. È diventato sempre più virulento, col passar del tempo.
David annuì. — Qui è stato lo stesso. Qualcosa come il sessanta per cento di mortalità, fino a raggiungere, negli ultimi tempi, l'ottanta per cento.
Vi fu un lungo silenzio, dopo queste parole, tanto che lui pensò che fosse nuovamente sprofondata nel sonno. La strada era ridotta a due solchi paralleli stretti sempre più d'assedio dal sottobosco. Già l'erba ricopriva quasi del tutto la traccia, fuorché nei punti dove la pioggia aveva dilavato il terriccio, lasciando la roccia nuda. Mike prese ad avanzare a passo e David non gli fece fretta.
— David, quanta gente c'è all'estremità nord della valle?
— Circa centodieci — disse David. E rifletté: due su tre sono morti; ma non lo disse a voce alta.
— E l'ospedale, è stato costruito?
— Sì. Walt lo dirige.
— David, ora che stai guidando e non puoi guardarmi e vedere le mie reazioni o altro, parlami di questo posto. Che cosa è successo, chi è vivo, chi è morto… tutto.
Quando si fermarono a mangiare qualcosa, alcune ore più tardi, Celia disse: — David, vuoi fare l'amore con me, adesso, prima che ricominci a piovere?
Giacquero sotto una distesa di pioppi gialli, le cui foglie frusciavano incessantemente anche se non si avvertiva il minimo alito di vento. Sotto gli alberi sussurranti, le loro voci divennero bisbigli. Lei era così magra e pallida… ma dentro era calda e viva; il suo corpo s'inarcò per incontrare quello di David, e i suoi seni sembrarono protendersi a cercare il tocco delle sue mani, delle sue labbra. Le dita di lei gli affondarono nei capelli, nella schiena, nei fianchi, ora rigide e imperiose, ora rilassate e tremanti, stringendosi a pugno per poi riaprirsi, e tutto con frenesia. Lui sentì le unghie di lei che lo artigliavano alla schiena, ma fu come qualcosa che avvenisse lontano da lui, a una grande distanza. E alla fine tornarono ad esserci soltanto le foglie sussurranti e di tanto in tanto un lungo, singhiozzante sospiro.
— Ti ho amata per più di vent'anni, lo sai? — disse David, dopo un lungo intervallo di silenzio.
Lei rise: — Ti ricordi quando ti ho rotto il braccio?
Più tardi, di nuovo sul carro, la voce di lei gli giunse da dietro le spalle, sommessa, triste: — Siamo finiti, non è vero, David? Tu, io, tutti noi?
Al diavolo Walt, egli pensò, al diavolo le promesse, al diavolo la segretezza. E le riferì tutto sui cloni che si stavano sviluppando sotto la montagna, nel laboratorio, giù nelle profondità della caverna.
Celia cominciò a lavorare nel laboratorio una settimana dopo il suo arrivo alla fattoria. — È il solo modo, per me, di riuscire a vederti — spiegò, affettuosamente, quando David protestò. — Ho promesso a Walt che avrei lavorato soltanto quattro ore al giorno, all'inizio. Va bene?
La mattina dopo David l'accompagnò per una visita completa alle attrezzature. Il nuovo ingresso della caverna era nascosto nella stanza delle caldaie, nel seminterrato dell'ospedale. La porta d'acciaio era incastonata nella roccia calcarea che circondava l'intera zona. Non appena ebbe attraversato la soglia, l'aria si fece più fredda e David avvolse con un soprabito le spalle di Celia. — Li teniamo qua dentro — spiegò, mentre staccava un secondo soprabito dalla rastrelliera alla parete, — per non suscitare sospetti. Due volte sono capitati qui degli ispettori governativi, e avremmo potuto destare i loro sospetti facendo vedere che c'infilavamo dei soprabiti semplicemente per andare in cantina. Comunque, non torneranno più.
Si addentrarono in un corridoio fiocamente illuminato, dal liscio pavimento, che si prolungava per un centinaio di metri fino a un'altra porta d'acciaio. Questa si apriva su una prima, grande stanza dall'alto soffitto a cupola. Era stata lasciata quasi come l'avevano trovata, con stalattiti e stalagmiti da ogni parte, anche se vi erano adesso molte panche, tavole e tavolini e una cucina perfettamente attrezzata. — La nostra stanza di emergenza, in previsione di piogge radioattive — spiegò David, facendole attraversare in fretta la cavità echeggiante. In fondo si apriva un altro corridoio, più stretto e accidentato del primo, in fondo al quale si apriva la sala degli esperimenti con gli animali.
Una parete era stata scavata per installarvi un computer, il quale sembrava curiosamente fuori posto, così incassato nel travertino rosa pallido. Al centro della stanza c'erano serbatoi, vasche e tubazioni, il tutto in vetro e acciaio inossidabile. Su entrambi i lati c'erano le file con i contenitori degli embrioni degli animali. Celia fissò per parecchi istanti, immobile, la scena, poi si voltò a fissare David, gli occhi sgranati per la sorpresa! — Quanti serbatoi avete?
— Quanti bastano per clonare seicento animali di diverse dimensioni — rispose David. — Ne abbiamo tirati fuori parecchi e li abbiamo trasferiti nell'altro laboratorio: non usiamo tutti quelli che vedi qui. Temiamo che le nostre scorte di sostanze chimiche si esauriscano, e fino a questo momento non abbiamo trovato il modo di produrre qualcosa che possa sostituirle da quello che abbiamo a disposizione qui.
Eddie Beauchamp si avvicinò a loro uscendo dalle file dei contenitori, annotando cifre su un libro mastro. Sorrise a David e a Celia. — Vieni a visitare i bassifondi? — le chiese. Confrontò le proprie cifre con quelle di un quadrante e operò una leggera correzione, poi continuò a muoversi lungo la fila, controllando gli altri quadranti, fermandosi di tanto in tanto per compiere qualche piccola regolazione.
Gli occhi di Celia interrogarono quelli di David, ed egli scosse la testa. Eddie non sapeva quello che stavano facendo nell'altro laboratorio. Passarono davanti ai contenitori, tutti sigillati, fila dopo fila, gli aghi indicatori dei quadranti che di tanto in tanto oscillavano, indicando che c'era qualcosa dentro.
Tornarono nel corridoio. David le fece attraversare un'altra porta, una piccola anticamera, quindi entrarono in un secondo laboratorio, questo chiuso da una serratura di cui lui aveva la chiave. Walt alzò gli occhi quando entrarono, annuì, poi tornò a prestare tutta la sua attenzione al banco al quale stava lavorando. Vlasic non sollevò neppure lo sguardo. Sarah sorrise e passò frettolosamente loro accanto piazzandosi davanti alla consolle di un computer e cominciando a battere sulla tastiera. Un'altra donna, nella grande stanza, non sembrò neppure essersi accorta che qualcuno fosse entrato: era Hilda, la zia di Celia. David rivolse un'occhiata alla ragazza, ma lei stava fissando con gli occhi sgranati i contenitori, che in quella stanza avevano la parete frontale di vetro. Ognuno era pieno di un liquido pallido, di un giallo così evanescente da sembrare quasi del tutto incolore. All'interno di questi contenitori galleggiavano nel liquido degli oggetti simili a piccoli sacchi, delle dimensioni di piccoli pugni. Sottili tubi trasparenti collegavano i piccoli sacchi alla sommità dei serbatoi e di qui si dipartivano altri condotti che giungevano fino a un grande apparato in acciaio inossidabile, irto a sua volta d'indici e quadranti.
Celia s'incamminò lentamente lungo la corsia affiancata dai contenitori, si fermò a metà e restò immobile a lungo. David l'afferrò per un braccio. La ragazza tremava leggermente.
— Ti senti bene?
Celia annuì: — Io… è uno shock vederli. Io… forse non ci credevo del tutto. — Il suo volto era ricoperto da un sottile velo di sudore.
— Sarà meglio che ci togliamo il soprabito, adesso — disse David. — Dobbiamo mantenere una temperatura piuttosto alta, qua dentro. Abbiamo infine trovato che è più facile mantenere la loro temperatura al livello giusto accettando noi stessi di soffrire il caldo. È un prezzo che dobbiamo pagare. — E, dicendo questo, le sorrideva.
— Tutte queste luci? E il calore… il computer? Riuscite a generare tutta questa elettricità?
David annuì: — Domani ti porterò a vedere le nostre fonti d'energia. Come ogni altra cosa, qui, anche i nostri generatori spesso hanno guasti. I nostri accumulatori ci garantiscono una riserva di energia elettrica per non più di sei ore. E noi, allora, non permettiamo mai che i generatori restino bloccati per più di sei ore. Tutto qui.
— Ma sei ore sono tante. Se smetti di respirare per sei minuti sei morto. — Le mani strette dietro la schiena, si avvicinò allo scintillante sistema di controllo all'estremità della sala. — Questo non è un computer. Che cos'è?
— È un terminale del computer. Il computer controlla l'ingresso delle sostanze nutrienti e dell'ossigeno, e l'uscita delle tossine. La sala che hai visto prima è sull'altro lato di questa parete. Anche quei contenitori sono collegati col computer. Una serie di sistemi separati, ma controllati dallo stesso elaboratore.
Dopo il vivaio degli animali e quello dei bambini umani, attraversarono la stanza della dissezione, parecchi piccoli uffici dove gli scienziati potevano ritirarsi a lavorare e a riflettere, i magazzini. In ogni sala o stanza, eccettuato il locale in cui venivano fatti crescere i cloni umani, c'era gente che lavorava. — Non avevano mai usato un Bunsen né preso in mano una provetta, prima, ma sono diventati scienziati e tecnici praticamente in una notte — commentò David. — E ringraziamo Dio che è stato così, altrimenti niente di tutto questo avrebbe funzionato. Non se se s'immaginano ciò che noi stiamo in realtà facendo, adesso, ma non fanno domande, e tirano avanti.
Walt mise Celia a lavorare con Vlasic. Tutte le volte che David alzava gli occhi dal suo lavoro e la vedeva lì, nel laboratorio, si sentiva invadere dalla gioia. Celia aumentò gradualmente la sua giornata lavorativa, ma quando David crollava sul letto esausto dopo quattordici o sedici ore di attività indefessa, lei era lì ad abbracciarlo e ad amarlo.
Giunse agosto, e Avery Handley riferì che la persona con cui si teneva in contatto a Richmond con la sua radio a onde corte l'aveva avvertito che una banda di saccheggiatori stava risalendo la valle. — Sono pericolosi — commentò in tono grave. — Hanno assalito la casa di Phillott, l'hanno saccheggiata, poi le hanno appiccato il fuoco e rasa al suolo.
Dopo questo annuncio, essi appostarono guardie giorno e notte. Pochi giorni dopo, Handley annunciò che era scoppiata una nuova guerra in Medio Oriente. La radio ufficiale non aveva fatto una sola parola sull'avvenimento; del resto, da tempo trasmetteva soltanto musica, sermoni e programmi di quiz. La televisione non era più andata in onda sin dagli inizi della crisi energetica. — Usano la bomba — aggiunse Avery. — Non so chi, esattamente, ma la stanno usando. E il mio uomo dice che la peste si sta di nuovo diffondendo nell'area del Mediterraneo.
In settembre essi respinsero il primo attacco. In ottobre essi seppero che la banda si stava raggruppando per un secondo attacco, e questa volta sarebbero stati trentaquaranta uomini. — Non possiamo continuare a respingere in eterno i loro attacchi — disse Walt. — Devono sapere che abbiamo del cibo, qui. Questa volta verranno da ogni direzione. Sanno che li stiamo tenendo d'occhio.
— Dovremmo far saltare la diga — dichiarò Clarence. — Aspettare che siano tutti nella parte alta della valle, e poi travolgerli.
La riunione si svolgeva nel locale della tavola calda, alla presenza di tutti. La mano di Celia si contrasse in quella di David, ma non si ribellò nell'udire questa proposta. Nessuno si ribellò.
— Cercheranno di prendere il mulino — proseguì Clarence. — Probabilmente credono che vi sia parecchio mais stivato là dentro, o qualcos'altro… — Una dozzina di uomini si offrirono volontari per far la guardia al mulino. E altri sei formarono un gruppo che avrebbe piazzato cariche di esplosivo sotto la diga, otto miglia a monte lungo il fiume. Si formarono poi delle pattuglie di ricognizione. David e Celia lasciarono presto la riunione. David si era offerto volontario per ognuno di questi compiti, ma ogni volta la sua offerta era stata respinta. Lui non era uno dei sacrificabili. La pioggia era diventata «calda» di nuovo e tutti dormivano nella caverna. David e Celia, Walt, Vlasic e gli altri che lavoravano nei diversi laboratori dormivano tutti lì sulle brande. In uno dei piccoli uffici David e Celia si tenevano per mano e bisbigliavano fitto prima di cadere addormentati, rievocando episodi della prima infanzia. Per molto tempo, dopo che Celia si fu addormentata, David restò sveglio a fissare l'oscurità, sempre stringendole la mano. Era diventata ancora più magra, e quando lui, i primi giorni della settimana, aveva cercato di convincerla a lasciare il laboratorio per andare a riposare, Walt era intervenuto bruscamente: — Lasciala stare. — Celia si agitò convulsamente nel sonno e David s'inginocchiò accanto alla sua branda, stringendola a sé finché il cuore che le batteva come impazzito non si calmò. Infine Celia si ridistese, tranquillizzata, e lentamente lui la lasciò andare, sedendosi sul pavimento di pietra, gli occhi chiusi. Più tardi sentì che anche Walt si muoveva: la sua branda cigolò nella stanza accanto. David sentì i propri muscoli che cominciavano a intorpidirsi e infine risalì sul proprio giaciglio, addormentandosi quasi subito.
Il giorno dopo la gente lavorò duramente per trasportare ogni oggetto mobile a un livello più alto. Quando la diga fosse saltata, le acque avrebbero sommerso tre delle loro case, il granaio che sorgeva non lontano dalla strada, e un buon tratto della strada stessa. Non potevano in alcun modo accettare tutte queste perdite a cuor leggero, perciò il granaio fu smontato e, tavola dopo tavola, fu trasportato lungo il fianco della collina e tutti i pezzi furono ammucchiati a una quota di sicurezza. Due giorni più tardi fu dato il segnale, e la diga saltò in aria.
David e Celia restarono affacciati, a una delle finestre più alte, ad osservare il muro d'acqua che si precipitava rombando giù per la valle. Fu come il decollo di un jet, come lo straripare di una folla inferocita per le decisioni di un arbitro, o un treno rapido senza controllo: un rombo che non assomigliava a niente e nello stesso tempo a tutto ciò che lui aveva udito nella sua vita, fuso insieme a produrre il rimbombante cataclisma che mandò violente raffiche a scuotere l'edificio fino alle fondamenta, ripercuotendosi fin dentro le sue ossa. Un muro d'acqua alto otto, dodici metri e più ancora, che rovinò giù lungo la valle, sempre più rapido nella sua corsa, travolgendo, disintegrando ogni cosa al suo passaggio.
Quando il rombo si attenuò e si spense e l'acqua si distese, finalmente tranquilla, cancellando con uno spessore di molti metri il suolo sotto di sé, qua e là punteggiata da turbini che facevano volteggiare detriti d'ogni sorta, Celia disse con un filo di voce: — Ma ne è davvero valsa la pena, David?
Lui avvolse con un braccio le sue spalle: — Dovevamo farlo — annuì, deciso.
— Lo so. Ma a volte sembra tutto così futile. Noi siamo in realtà tutti morti. Stiamo lottando disperatamente, ma siamo morti. Morti allo stesso modo in cui sono morti, adesso, quegli uomini laggiù.
— Stiamo per farcela, invece. Anche tu lo sai, tesoro. Anche tu hai lavorato a questo. Trenta nuove vite!
Celia scosse la testa: — Altri trenta morti. Ricordi la scuola della domenica, David? Mi ci portavano ogni settimana. Tu ci andavi?
David annuì.
— E la scuola serale della Bibbia, al mercoledì? Ora continuo sempre a pensarci. E mi chiedo se dopotutto questo non sia opera di Dio. Non posso farne a meno. Continuo a chiedermelo… io, che ero diventata atea. — Scoppiò in una risata nervosa e si girò di scatto. — Andiamo a letto, qui, subito. Scegliamoci una stanza di lusso, qui all'ospedale…
David protese le braccia verso di lei, ma all'improvviso una violenta raffica di vento spinse uno scroscio di pioggia contro la finestra. Senza alcun preavviso, fu un vero e proprio diluvio. Celia rabbrividì. — La volontà di Dio — disse, scoraggiata. — Dobbiamo tornare alla caverna, non è vero?
Una stanza dopo l'altra, attraversarono l'ospedale vuoto, entrarono nel lungo corridoio fiocamente illuminato, poi nella grande sala sotterranea dove la gente cercava una posizione passabilmente comoda sulle brande e sulle panche, e infine, attraverso il corridoio più stretto raggiunsero la zona degli uffici.
— Quanta gente abbiamo ucciso? — chiese Celia, sgusciando fuori dai jeans. Gli voltò la schiena per sistemare gli indumenti ai piedi della branda. Le sue natiche erano piatte come quelle di un adolescente. Quando tornò a voltarsi verso di lui, le sue costole sembrarono lottare per perforare la pelle e uscir fuori. Lei lo guardò un momento, poi venne verso di lui, gli afferrò la testa e se la premette con forza sul petto: lui era seduto sulla branda, e lei in piedi, nuda davanti a lui. David sentì le lacrime di lei che le scivolarono fin sulle guance.
Per tutto novembre il gelo imperversò, implacabile; con buona parte della valle allagata, le strade sommerse e i ponti distrutti, seppero di essere al sicuro da altri attacchi per lo meno fino alla primavera. La gente era nuovamente uscita dalle caverne e il lavoro nei laboratori continuava con lo stesso ritmo frenetico. I feti crescevano, si sviluppavano, agitandosi, adesso, con improvvisi movimenti dei piedi e dei gomiti. David stava lavorando alla ricerca di sostituti per i componenti dei liquidi amniotici che si stavano esaurendo. Lavorava ogni giorno, senza fermarsi mai, fino a quando la vista non gli si appannava, oppure le mani si rifiutavano di obbedire ai suoi ordini, oppure fino a quando Walt non gli ordinava di lasciare il laboratorio. Ora anche Celia riusciva a lavorare più a lungo, sia pure inframmezzando un lungo riposo in mezzo alla giornata. Poi, però, tornava in laboratorio e vi rimaneva fino a tardi, quasi quanto David.
Egli le passò accanto; Celia era seduta al banco di lavoro, e lui le diede un bacio sulla testa. Lei alzò gli occhi per guardarlo e gli sorrise; poi s'immerse nuovamente nei suoi calcoli. Peter mise in moto una centrifuga. Vlasic compì un'ultima regolazione del distributore di soluzioni nutrienti all'estremità opposta della fila, soluzioni che avrebbero dovuto essere diluite prima di venir somministrate agli embrioni, poi chiamò: — Celia, sei pronta a contare le cellule fecondate?
— Un secondo — disse lei. Prese un ultimo appunto, mise giù la penna sul quaderno aperto, e si alzò in piedi. David era fin troppo conscio della presenza di lei, come lo era sempre, anche quando sembrava totalmente assorto nel suo lavoro. Fu conscio che lei si era alzata in piedi, ma soltanto per immobilizzarsi accanto alla sedia. Quando balbettò, con voce che tradiva l'incredulità: — David… David… — egli si stava a sua volta precipitosamente alzando. Fece appena in tempo ad afferrarla mentre crollava al suolo.
Gli occhi di Celia erano aperti, la sua espressione interrogativa, e gli chiedeva tacitamente, qualcosa che lui non poteva risponderle… e lei lo sapeva. Un tremito la percorse tutta e chiuse gli occhi, e anche se le palpebre le fremettero ancora una, due volte, non li riaprì più.
Walt squadrò David e strinse le spalle. — Sembri uscito dall'inferno — gli disse.
David non rispose. Sapeva che il suo aspetto era di qualcuno uscito dall'inferno. Si sentiva, infatti, come se vi fosse stato a lungo. Fissò Walt come da una grande distanza.
— David, hai intenzione di riprenderti? Oppure ti arrendi? — Non attese una risposta. Si sedette sull'unica sedia della stanzetta e si sporse in avanti, stringendosi il mento fra le mani e fissando il pavimento. — Dobbiamo dirglielo. Sarah pensa che ci saranno guai. E anch'io.
David sostava immobile accanto alla finestra, contemplando il desolato paesaggio, una continua sfumatura di grigi, neri grigiastri, i colori del fango. Pioveva, ma questa era una pioggia «pulita». Il fiume era un grigio mostro turbinante che lui distingueva da lassù come uno smorto riflesso del cielo smorto.
— Potrebbero tentare un attacco in massa al laboratorio — proseguì Walt. — Dio solo sa che cosa potrebbero decidere di fare.
David, sempre immobile, non fece commenti e continuò a fissare il cielo fosco.
— Ma porco mondo! Girati e ascoltami, pezzo di somaro! Credi che io abbia intenzione di lasciare che tutto questo lavoro, tutto questo sforzo organizzativo, se ne vada in malora per l'emozione viscerale di un gruppo d'irresponsabili? Credi che non sia pronto a uccidere chiunque adesso cerchi d'impedirmi di andare avanti? — Walt era balzato in piedi, incapace di dominare la collera, e, afferrato David, l'obbligò a voltarsi, gridandogli in faccia: — Credi che io sia disposto a lasciarti seduto quassù a morire? Non oggi, David. Non ancora. Ciò che deciderai di fare la prossima settimana non m'importa un fico secco, ma oggi ho bisogno di te e, per Dio, tu sarai con me!
— Non m'importa niente — disse David, impassibile.
— Te ne importerà! Perché da quei sacchi dovranno saltar fuori dei bambini, e questi bambini sono la nostra unica speranza, e tu lo sai. I nostri geni, i tuoi, i miei, e quelli di Celia, anche, sono l'unica cosa che c'impedisce, oggi, di precipitare per sempre nell'oblio. E io non lo permetterò, David! Rifiuto di permetterlo!
David sentiva soltanto una profonda stanchezza. — Siamo tutti morti, oggi o domani, che importa? Perché prolungare le cose? Il prezzo è troppo alto per aggiungere un anno, due al massimo, alla nostra sopravvivenza.
— Nessun prezzo è troppo alto!
Lentamente gli occhi di David misero a fuoco il volto di Walt. Questi era pallidissimo, le labbra smorte, gli occhi infossati. Un tic che David non gli aveva mai visto prima gli contorceva una guancia. — Perché proprio adesso? — chiese David. — Perché cambiare i piani e dirglielo adesso? Con tanto anticipo?
— Perché l'anticipo non è poi tanto. — Walt si sfregò con forza gli occhi. — Qualcosa non va, David. Non so che cosa sia. Qualcosa non funziona. Credo che ci troveremo stracarichi di prematuri.
Suo malgrado, David fece un rapido calcolo: — Sono ventisei settimane — disse infine. — Non possiamo far fronte a tanti bambini prematuri.
— Lo so. — Walt tornò a sedersi; questa volta piegò all'indietro la testa e chiuse gli occhi. — Non abbiamo molta scelta — aggiunse. — Ne abbiamo perduto uno ieri. E oggi, tre. Dobbiamo tirarli fuori e trattarli come prematuri.
Lentamente David annuì. — Quali? — chiese; ma già lo sapeva. Walt gli disse i nomi, ed egli tornò ad annuire. Sapeva già che fra essi non vi era il suo, né quello di Walt, né quello di Celia. — Dunque, qual è il programma? — gli chiese, sedendosi sull'orlo del suo letto.
— Ora devo assolutamente dormire — dichiarò Walt. — Poi, alle sette, vi sarà un incontro, e quindi prepareremo le stanze dei bambini per un bel po' di prematuri. Non appena tutto questo sarà pronto, cominceremo a tirarli fuori. Sarà mattina, ormai. Ci occorreranno infermiere, una mezza dozzina almeno, e di più, se riusciremo a ottenerle. Sarah dice che Margaret andrebbe bene. Non so.
Neppure David lo sapeva. Margaret aveva avuto un figlio di quattro anni che era stato una delle prime vittime della peste, poi era rimasta ancora incinta, ma aveva dato alla luce un figlio morto. Tuttavia, lui si fidava del giudizio di Sarah.
— Credi che riusciremo a trovarne un numero sufficiente, a dir loro che cosa fare, e ad assicurarci che lo facciano in maniera corretta?
Walt borbottò qualcosa, una delle sue mani scivolò giù dal bracciolo della poltrona. Tornò a drizzarsi con un sussulto.
— Su, Walt, distenditi sul mio letto — l'invitò David, e fu quasi un ordine. — Io scenderò in laboratorio per mettere in moto l'organizzazione. Verrò a chiamarti alle sei e trenta. — Walt non protestò, e letteralmente cadde disteso sul letto senza neppure togliersi le scarpe. Fu David a sfilargliele. Le calze di Walt erano più buchi che altro, ma quanto meno dovevano tenergli calde le caviglie. David gliele lasciò, tirò la coperta così da coprirlo fino al collo, poi andò al laboratorio.
Alle sette la tavola calda dell'ospedale era gremita di gente, quando Walt di alzò dal letto per fare il suo annuncio. Per prima cosa fece controllare ad Avery il suo diario; risultò che i collegamenti che riusciva ad avere tramite la ricetrasmittente ad onde corte con i suoi lontani informatori diminuivano ogni giorno di numero, ed erano una ininterrotta descrizione di epidemie di peste, di carestie, di aborti spontanei, di bimbi nati morti, di sterilità e di sempre nuove malattie che insorgevano. Dovunque, nel mondo, era la stessa storia. Tutti i presenti ascoltarono apatici il lugubre elenco: non riuscivano più a provare alcun interesse per ciò che accadeva al mondo, se non nella minuscola porzione di territorio in cui vivevano. Avery terminò e tornò a sedersi.
David si trovò a pensare, con una certa sorpresa, che Walt sembrava, ai suoi occhi, piccolo di statura. Aveva sempre pensato a lui come a un uomo piuttosto alto, ma in realtà non lo era. Raggiungeva a stento il metro e settantacinque, e adesso era assai dimagrito, anche se appariva teso e scattante come un gallo da combattimento, cui fossero stati sforbiciati via tutti gli ornamenti inutili, lasciandogli soltanto l'essenziale per proseguire il combattimento all'ultimo sangue.
Walt studiò la gente raccolta lì intorno e con lentezza deliberata disse: — Qui, ora, in questa stanza, non c'è una sola persona che sia affamata. Qui non sappiamo più che cosa sia la peste. La pioggia sta lavando via la radioattività, quassù, e i nostri magazzini di cibo ci consentiranno di tirare avanti per anni, anche se ci sarà impossibile seminare in primavera. Abbiamo tecnici capaci di fare pressoché tutto ciò che ci saltasse in testa di realizzare. — Fece una pausa e tornò a fissarli, facendo passare lo sguardo da sinistra a destra, e poi di nuovo a sinistra, prendendo tempo. Era riuscito ad attirare su di sé la loro attenzione; quasi non respiravano. — Ciò che non abbiamo — riprese, — è una donna che possa concepire un bimbo. — La sua voce si era fatta all'improvviso dura e recisa. — Né un uomo che sia in grado di fecondarla, anche se lei fosse in grado di partorire.
Vi fu un fremito, come un'increspatura che percorresse la folla, un sospiro collettivo, ma nessuno parlò. Walt riprese: — Voi sapete come otteniamo la nostra carne. Sapete che il bestiame è buono, che i polli sono buoni. Domani, signore e signori avrete i vostri bambini sviluppati nello stesso modo.
Vi fu un attimo di silenzio e d'immobilità totali, poi esplosero. Clarence balzò in piedi urlando contro Walt. Vernon lottò per portarsi in prima fila, ma c'erano troppe persone fra lui e Walt. Una delle donne afferrò Walt per un braccio, trascinandolo quasi a terra, urlandogli in viso. Walt si liberò con uno strattone e salì su un tavolo. — Piantatela! Risponderò a qualsiasi domanda, ma non in questo modo. Non posso sentirvi, non capisco quello che dite.
Nelle tre ore che seguirono, essi chiesero, discussero, pregarono, formarono alleanze, le disfecero e ne formarono altre, man mano le discussioni esplodevano fra i vari gruppi. Poi Walt gridò: — Riprenderemo la discussione domani sera. Adesso verrà servito il caffè, e a quanto mi è dato di capire ci saranno dolci e panini per tutti. — Saltò giù dal tavolo e uscì prima che qualcuno dei presenti riuscisse a raggiungerlo. Lui e David si avviarono in fretta verso l'ingresso della caverna, chiudendo a chiave la massiccia porta dietro le loro spalle.
— Clarence si è comportato in maniera odiosa — borbottò Walt. — Bastardo.
Suo padre, Walt e Clarence erano fratelli, pensò David, erano fratelli, ma lui non poteva fare a meno di considerare Clarence un estraneo, un uomo con la pancia tonda e un sacco di soldi che si aspettava obbedienza immediata dal mondo intero.
— Potrebbero organizzarsi — disse Walt, preoccupato, dopo un attimo di silenzio. — Potrebbero formare un comitato per protestare ufficialmente contro questo atto del demonio. Dobbiamo essere pronti ad accoglierli.
David annuì. Avevano sperato di poter ritardare quel confronto finché non avessero avuto a disposizione dei bambini vivi e maturi, bambini umani che ridevano e gorgogliavano e succhiavano affamati il latte dai biberon. Invece si sarebbero trovati con una sala piena di prematuri, incompleti, ben poco umani nell'aspetto, con un'attrattiva, una capacità di creare un legame affettivo non superiore a quella di un vitello nato troppo presto.
Lavorarono tutta la notte per preparare la sala ad accogliere i bambini. Sarah si era assicurata l'aiuto di Margaret, Hilda, Lucy e di un'altra mezza dozzina di donne, tutte vestite e mascherate professionalmente. Una di esse lasciò cadere una bacinella, e tre lanciarono un grido all'unisono. David imprecò fra i denti. Ma, disse tra sé per rassicurarsi, si sarebbero comportate bene quando fossero state occupate con i bambini.
Le nascite incruente cominciarono alle cinque e quarantacinque; alle dodici e trenta venticinque bambini avevano visto la luce e apparivano perfettamente vitali. Quattro erano morti durante la prima ora, e un quinto tre ore più tardi. L'unico rimasto dentro il suo contenitore era il feto che sarebbe stato Celia, più giovane degli altri di nove settimane.
Il primo visitatore che Walt lasciò entrare nella sala dei bambini fu Clarence, dopo di che nessuno parlò più di distruggere quelle mostruosità inumane. Vi fu una festa per celebrare l'avvenimento, si suggerirono i nomi, i quali furono assegnati mediante un'estrazione a sorte: quindici nomi femminili e dieci maschili. Nel registro, i bambini furono etichettati come ceppo R-1, «Ripopolazione 1». Ma nella mente di David i bambini erano W-1, D-1 e tra non molto C-1…
Nei mesi successivi non vi fu certo scarsità di bambinaie, maschi e femmine, non mancò aiuto per sbrigare tutti quei compiti di cui prima erano stati pochissimi a occuparsi. Tutti volevano diventare dottori o biologi, brontolava Walt. Ora egli dormiva più a lungo e i segni della fatica stavano scomparendo dal suo viso. Spesso dava di gomito a David e lo rimorchiava via con sé, lontano dalla sala dei bambini, fino alla sua stanza all'ospedale, e si garantiva che vi rimanesse per un'intera notte di sonno. Una sera, mentre rientravano fianco a fianco alle loro stanze, Walt disse: — Capisci, adesso, che cosa intendevo quando dissi che questa era l'unica cosa che importava?
David l'aveva capito. E tutte le volte che guardava la nuova, minuscola e rosea Celia, lo capiva sempre di più.
Era stato un errore, pensò David, osservando i ragazzi dalla finestra dello studio di Walt. Ricordi viventi, ecco che cos'erano. C'era Clarence, che già aveva un aspetto fin troppo grassoccio, fra tre o quattro anni sarebbe stato inequivocabilmente obeso. E un giovane Walt, che corrugava la fronte davanti a un qualsiasi problema che non gli avrebbe dato pace finché non fosse stato in grado di scriverlo in bella calligrafia sulla carta, completo di soluzione. Robert, quasi troppo bello ma decisamente mascolino, che cercava sempre di superare gli altri nelle prove di resistenza, di saltare più in alto, di correre più veloce, di colpire più forte. Ed ecco lì D-4, un altro lui stesso… David distolse lo sguardo e rifletté sul futuro di quei ragazzi, tutti della stessa età: zii, padri, nonni, tutti della stessa età. Si stava facendo venir di nuovo il mal di testa.
— Sono disumani, non è vero? — disse in tono amaro, rivolto a Walt. — Vanno, vengono, e noi non sappiamo niente di loro. Che cosa pensano? Perché si tengono così vicini l'uno all'altro?
— Ricordi quel vecchio cliché del divario fra due generazioni? Credo proprio che l'abbiamo sotto gli occhi. — Walt appariva molto invecchiato. Era stanco, e non cercava più di nasconderlo. Sollevò lo sguardo su David e proseguì, con calma: — Forse ci temono.
David annuì. Ci aveva pensato. — So perché Hilda l'ha fatto — replicò. — Allora non lo sapevo, ma adesso lo so. — Hilda aveva strangolato la ragazzina che ogni giorno assomigliava sempre più a lei.
— Anch'io. — Walt afferrò nuovamente il blocco d'appunti sul quale stava lavorando quando David era entrato. — È un po' troppo sinistro incamminarsi in mezzo a una folla che è tutta noi, in diversi stadi della crescita. Essi si mescolano soltanto con quelli della loro specie. — Ricominciò a scrivere e David lo lasciò.
Sinistro, ripeté fra sé, e si allontanò dal laboratorio dove aveva avuto l'intenzione di recarsi. Che quei dannati embrioni si facessero i dannati fatti loro senza di lui. Sapeva che non voleva entrare perché D-1 o D-2 sarebbero stati lì, intenti a qualche attività. Tuttavia, sarebbe stato soltanto il ceppo D-4 quello che avrebbe comprovato o confutato l'esperimento. Se i quattro non ce l'avessero fatta, allora neppure i cinque ce l'avrebbero fatta, e poi… che cosa? Un errore. Oh, avete sbagliato, signori. Siamo molto spiacenti.
Risalì il crinale dietro l'ospedale, sopra la caverna, e si sedette sopra un affioramento calcareo, liscio e fresco. I ragazzi stavano sgombrando un altro appezzamento per la semina… Lavoravano bene insieme, conversando con molti scoppi di risa che sembravano quasi spontanei. Una fila di ragazze comparve alla sua vista, proveniente dalle vicinanze del fiume. Trasportavano cesti colmi di bacche. More e polvere da sparo, egli pensò all'improvviso, e ricordò gli antichi festeggiamenti del Quattro Luglio, con le macchie di sugo di more, dovunque, i fuochi artificiali e lo zolfo contro i parassiti. E gli uccelli. I tordi, le allodole, gli usignoli, i pettirossi.
Tre Celie apparvero alla sua vista, avanzavano oscillando sotto il peso delle ceste, una successione di Celie, in scala. Non avrebbe dovuto pensar così, si rimproverò aspramente. Non erano Celia, nessuna delle tre aveva quel nome. Erano Mary, Ann e… non ricordò il terzo nome. Un attimo di amnesia, anche se la cosa, si disse, non aveva importanza. Ognuna di esse era Celia. Quella di mezzo avrebbe potuto benissimo essere la Celia che l'aveva spinto giù dal solaio il giorno prima; quella sulla destra avrebbe potuto essere la Celia che aveva lottato selvaggiamente con lui rotolandosi nel fango.
Un giorno, tre anni prima, aveva immaginato che Celia-3 venisse timidamente da lui, chiedendogli di prenderla. Nella sua immaginazione, lui l'aveva presa, e per molte settimane aveva continuato a possederla nei suoi sogni, ancora, e ancora, e ancora. E sempre si era svegliato piangendo per la sua Celia. Incapace di resistere più a lungo, aveva cercato C-3 e le aveva chiesto, balbettando, se voleva venire nella sua stanza con lui, ma lei si era ritratta in fretta, con un gesto istintivo, la paura scritta anche troppo chiaramente sul giovane viso, incapace di fingere.
— David, perdonami, ma così all'improvviso…
Eppure godevano della massima promiscuità, anzi, venivano spinti ad essere il più possibile liberi nei loro amori. Nessuno avrebbe potuto prevedere in anticipo quanti di loro avrebbero finito per rivelarsi fertili, e in quale proporzione, fra ragazzi e ragazze. Walt era in grado di esaminare i maschi, l'aveva fatto fin dal principio, ma poiché gli esami della fertilità delle femmine richiedevano l'impiego di conigli, che non avevano, Walt aveva dichiarato che l'unica cosa da fare era aspettare, e vedere quali e quante di loro sarebbero rimaste incinte. I bambini vivevano tutti insieme e la promiscuità era la norma. Ma soltanto fra loro. Tutti, invece, evitavano gli anziani. David aveva provato un bruciore agli occhi quando la ragazza gli aveva parlato così, continuando ad arretrare da lui.
Lui si era girato di scatto e se n'era andato, quasi sfuggendo, e non le aveva più parlato, nei mesi e negli anni trascorsi da quel giorno. A volte gli pareva che lei lo scrutasse, ancora piena di timore; lui la ricambiava con un'occhiata furiosa e si allontanava in fretta.
C-1 era stata per lui come una figlia. L'aveva vista crescere, muovere i primi passi, l'aveva udita balbettare le prime parole, aveva seguito i suoi movimenti impacciati quando aveva imparato a mangiare da sola. Una figlia… sua e di Celia.
C-2 era stata quasi lo stesso, per lui. Una gemella, un po' più giovane, ma ugualmente identica. Ma C-3 era stata diversa. No, si corresse: il modo in cui l'aveva vista, o meglio, percepita, era stato diverso. Quando la guardava, gli sembrava di vedere Celia, la vera Celia, e provava dolore.
Si era fatto freddo sul crinale; David si accorse che il sole era tramontato da tempo e là sotto erano già accese le lanterne: una scena indescrivibilmente graziosa, degna di una cartolina dal titolo Vita Rurale.
La grande fattoria dalla finestre intensamente illuminate, la massa oscura del granaio, e, più vicini, l'ospedale e gli edifici del personale, anch'essi punteggiati da allegre luci gialle. David ridiscese, a lenti, rigidi passi, nella valle. Aveva saltato la cena, ma non era affamato.
— David! — gli gridò uno dei ragazzi più giovani, un Cinque. David non sapeva da chi fosse clonato. C'era parecchia gente che lui non aveva conosciuto quand'erano così giovani. Si fermò e il ragazzo corse verso di lui, ma non si arrestò: sempre correndo lo sfiorò, trasmettendogli il messaggio al volo: — Il dottor Walt ti cerca.
Walt era nel suo studio all'ospedale. Sparsi sulla sua scrivania e su un tavolo accanto c'erano i grafici biologici del ceppo Quattro. — Ho finito — disse Walt. — Tu dovrai ricontrollare, naturalmente.
David diede una rapida scorsa alle ultime linee, H-4 e D-4. — Lo hai già detto ai due ragazzi?
— L'ho detto a tutti. Essi sono perfettamente in grado di capire. — Walt si sfregò gli occhi. — Non hanno segreti fra loro. Sanno tutto del periodo di ovulazione delle ragazze e delle necessità di tenere una registrazione. Se una qualunque di queste ragazze è in grado di concepire, essi la renderanno incinta. — La sua voce aveva una sfumatura quasi amara quand'egli sollevò lo sguardo su David: — D'ora in avanti saranno loro ad occuparsene, completamente.
— Cosa intedi dire?
— W-1 ha fatto una copia della mia documentazione per i suoi schedari. Sarà lui a proseguire il mio lavoro.
David annuì. Un po' alla volta, gli anziani venivano esclusi, da questo, poi da quello… Stava per arrivare il momento in cui gli anziani non sarebbero più serviti a niente, bocche in più da sfamare, nient'altro. Si sedette e a lungo lui e Walt se ne stettero lì, uno accanto all'altro, in solidale silenzio.
In classe, il giorno dopo, sembrò che non vi fosse niente di diverso. Niente legami a coppie fisse, pensò cinicamente David. Essi accettavano di essere accoppiati con la stessa casualità con cui lo accettava il bestiame. Se c'era qualche gelosia verso i due maschi fertili, era ben nascosta. Egli sottopose la classe a un esame di sorpresa e si mise a girare su e giù per l'aula mentre essi si scervellavano a trovare le risposte. Sapeva che tutti avrebbero superato l'esame; e non semplicemente superato, ma anche in modo brillante. Ogni loro interesse, ogni spinta vitale concorreva a questo. Essi stavano imparando, adolescenti, ciò che lui solo a prezzo di molte difficoltà aveva afferrato a vent'anni. Non c'erano distrazioni né abbellimenti educativi, soltanto l'essenziale. Lavoro in classe, nei campi, nelle cucine, nei laboratori. Essi lavoravano dandosi instancabilmente il turno: la prima, vera società senza classi sociali.
David si riscosse dai suoi pensieri quando si rese conto che stavano già finendo il compito. Gli aveva concesso un'ora, ed essi stavano terminando in quaranta minuti; ci avevano messo leggermente di più del gruppo Cinque, che dopotutto era di due anni più giovane del gruppo Quattro.
I due D più anziani dopo la lezione si diressero verso il laboratorio, e David li seguì. Essi continuarono nella loro accalorata discussione fino all'istante in cui si accorsero che anche lui era lì. Allora si zittirono. Lui si soffermò nel laboratorio per quindici minuti, lavorando nel più completo silenzio, poi se ne andò. Fuori dalla porta sostò per qualche attimo e subito udì le loro voci riprendere il dialogo interrotto sia pure a un tono più basso. Rabbiosamente, David si allontanò lungo il corridoio.
Giunto allo studio di Walt, sbottò infuriato: — Dannazione, stanno combinando qualcosa! Posso fiutarlo.
Walt lo fissò con lo sguardo distaccato, pensieroso. David si sentì impotente davanti a lui. Non c'era alcun indizio preciso, niente a cui attribuire un significato preciso, ma soltanto una sensazione, un istinto che non si lasciavano acquietare.
— Pensa a come hanno accettato il risultato degli esami clinici — fu la sua conclusione, quasi disperata. — Perché mai gli altri ragazzi non sono gelosi? Perché mai le ragazze non fanno approcci ai due stalloni disponibili?
Walt scosse la testa.
— Non so neppure più che cosa stiano facendo in laboratorio — proseguì David, — E Harry è stato degradato al rango di guardiano del bestiame. — Cominciò a girare su e giù per la stanza, come un'anima in pena. — Ci stanno strappando di mano il controllo.
— Sapevamo che un giorno sarebbero arrivati a farlo — gli ricordò Walt, cercando di placarlo, pacatamente.
— Ma abbiamo soltanto diciassette Cinque. Diciotto Quattro. Ne usciranno, al massimo, sei, sette fertili. E una durata di vita che tende tuttora a diminuire. E le anormalità che sono ancora in aumento. Non sanno tutto questo, forse?
— David, rilassati. Sanno tutto. Lo stanno vivendo sulla loro pelle. Credimi, lo sanno. — Walt si alzò in piedi e avvolse con un braccio le spalle di David. — Ma… ce l'abbiamo fatta, David! Abbiamo fatto sì che accadesse. Anche se adesso abbiamo soltanto tre ragazze fertili, potrebbero avere fino a trenta bambini. E la percentuale dei fertili, nella prossima generazione, sarà senz'altro maggiore. Ce l'abbiamo fatta, David. Lasciamo che siano loro a continuare, adesso, se vogliono farlo.
Alla fine dell'estate due ragazze del ceppo Quattro erano incinte. Vi furono festeggiamenti, nella valle, frenetici almeno quanto quelli del Quattro Luglio, che i più vecchi ricordavano ancora.
Le mele stavano diventando rosse sui rami quando Walt divenne troppo malato per poter lasciare la sua stanza. Altre due ragazze rimasero incinte; una di esse era una Cinque. Ogni giorno David passava ore ed ore con Walt, non voleva più assolutamente lavorare in laboratorio, e si sentiva un estraneo nelle aule dove quelli del ceppo Uno stavano gradualmente assumendo l'incarico d'insegnare.
— Forse dovrai assistere al parto di quei bambini, la prossima primavera — commentò Walt, sogghignando. — Forse è meglio iniziare dei corsi per l'assistenza alle partorienti. Credo che Walt-3 sia pronto a farlo.
— Ci arrangeremo — disse David. — Non preoccuparti. Mi aspetto che anche tu sarai presente.
— Forse… chissà. — Walt chiuse gli occhi per un attimo, e senza riaprirli mormorò: — Avevi ragione a proposito di loro, David. Stanno tramando qualcosa.
David si sporse in avanti, abbassando istintivamente ancora di più la voce: — Che cosa sai?
Walt lo fissò e scosse leggermente la testa: — Pressapoco quanto ne sapevi tu quando sei venuto da me all'inizio dell'estate. Niente di più. David, scopri quello che stanno facendo nel laboratorio. E scopri che cosa pensano delle due ragazze rimaste incinte. Queste due cose… al più presto! — Voltò le spalle a David, e disse ancora: — Harry mi dice che hanno messo a punto un nuovo metodo di sospensione a immersione che non richiede placente artificiali. E intendono applicarlo in pratica il più presto possibile. — Sospirò. — Harry è rincitrullito, David. Senilità o pazzia. W-1 non può far niente per lui.
David si alzò in piedi, ma esitò prima di uscire: — Walt, credo che sia il momento che tu me lo dica. Che cos'hai?
— Esci da qui, dannazione — ribatté Walt, ma nella sua voce non c'era più traccia di quella sferzante energia che avrebbe letteralmente sparato David fuori dalla stanza. Per un attimo, Walt apparve indifeso e vulnerabile, ma deliberatamente chiuse gli occhi e questa volta la sua voce fu un ringhio: — Vattene, sono stanco. Ho bisogno di riposo.
David camminò a lungo sulla riva del fiume. Erano settimane che non metteva piede nel laboratorio, forse mesi. Nessuno aveva bisogno di lui nel laboratorio, non più. Là dentro si sentiva un intruso. Si sedette su un ceppo e cercò d'immaginarsi i loro sentimenti nei confronti delle ragazze incinte. Le avrebbero riverite, quasi adorate, le portatrici di vita, così poche fra molti? Walt temeva forse che si creasse un matriarcato di qualche tipo? Avrebbe anche potuto accadere, ma ne avevano già discusso molti anni prima e poi avevano lasciato cadere la cosa, relegandola tra i fatti che, comunque, non avrebbero mai potuto controllare. Avrebbe potuto nascere una nuova religione, ma anche se gli anziani l'avessero saputo, che cosa avrebbero potuto fare in proposito? Che cosa avrebbero dovuto fare? Gettò dei ramoscelli nell'acqua, che scorreva senza una sola increspatura, come tutta d'un pezzo, in quella notte fredda e tranquilla, e seppe che, comunque, non gliene importava niente.
Stancamente si rimise in piedi e riprese a camminare. All'improvviso il freddo gli penetrò fin dentro le ossa. Gli inverni si stavano facendo più duri, cominciavano prima e duravano più a lungo, con più neve di quanta riuscisse a ricordare dalla sua infanzia. Da quando l'uomo aveva smesso di scaricare ogni giorno i suoi megatoni di sporcizia nell'atmosfera, pensò David, essa era tornata come doveva essere stata molto tempo prima, estati e inverni più umidi, più stelle di quante lui ne avesse mai viste prima… sembrava quasi che ogni notte il loro numero crescesse rispetto a quello della notte precedente: il cielo, di giorno, era di un profondo, limpido azzurro, una distesa di velluto, e di notte il fulgore delle stelle era d'una intensità quale l'uomo moderno non aveva mai conosciuto.
Ora l'ala dell'ospedale dove lavoravano W-1 e W-2 risplendeva fin troppo di luci; David provò un vago senso d'inquietudine a quell'apparente anormalità, tanto più che vedeva molta gente agitarsi dietro le finestre, soprattutto troppi anziani.
Margaret gli corse incontro nell'atrio. Piangeva in silenzio, dimentica delle lagrime che le scorrevano sulle guance. Non aveva ancora cinquant'anni ma sembrava molto più vecchia… un'anziana, pensò David, con una fitta di dolore. Quando mai avevano cominciato a chiamare se stessi così? Era stato forse perché in qualche modo dovevano differenziarsi, e nessuno di loro aveva consentito a se stesso di chiamare gli altri con l'appellativo che sarebbe loro toccato? Cloni!, esclamò veemente dentro di sé David. Cloni! Non del tutto umani. Cloni!
— Che cosa è successo, Margaret? — Ella gli afferrò un braccio, stringendolo convulsamente, ma non riuscì a parlare; David fissò allora Warren, alle spalle di lei, il quale era accorso a sua volta, pallido e tremante. — Che cosa è successo? — chiese David a Warren.
— Un incidente giù al mulino. Jeremy e Eddie sono morti. Un paio di giovani sono rimasti feriti. Non so quanto gravemente. Sono là dentro. — Indicò il corridoio dove si apriva la sala operatoria. — Hanno abbandonato Clarence. Si sono allontanati abbandonandolo… così. Noi siamo scesi a prenderlo, ma non so… non so… — Scosse la testa. — L'hanno abbandonato lì, e hanno pensato soltanto a loro.
David fece di corsa l'intero corridoio fino al pronto soccorso. Sarah era curva su Clarence e si stava affaccendando su di lui, mentre numerosi anziani si spostavano continuamente per non ostacolarla.
David sospirò di sollievo. Sarah aveva lavorato con Walt per anni; ella era quanto di meglio si sarebbe potuto desiderare, in mancanza di un autentico chirurgo. David gettò via il soprabito e si affrettò a raggiungerla. — Che cosa posso fare?
— È la sua schiena — disse Sarah con voce tesa. Era molto pallida, ma le sue mani non tremarono quando dovette pulire una lunga ferita sul fianco di Clarence e infine vi applicò sopra un voluminoso tampone. — Qui bisogna applicare dei punti. Ma temo che soprattutto la sua schiena sia grave.
— Fratturata?
— Credo di sì. E con altre lesioni interne.
— Dove diavolo sono W-1 o W-2?
— Con i loro. Hanno due feriti, credo. — Gli afferrò una mano e l'appoggiò sopra il tampone. — Tieni fermo per un minuto. — Premette lo stetoscopio sul petto di Clarence, esaminò i suoi occhi, poi si risollevò e dichiarò: — Non posso fare più niente per lui… io.
— Dagli i punti. Io vado a prendere W-1. — David percorse a rapidi passi il corridoio, senza quasi accorgersi dei numerosi anziani che gli cedevano il passo. Giunto alla porta della sala operatoria, venne fermato da tre giovani. Vide fra essi un H-3 e disse: — Abbiamo un uomo che sta probabilmente morendo. Dov'è W-1?
— Chi? — chiese H-3, con fare innocente.
Per un attimo David non riuscì a ricordarsi il nome. Fissò quel giovane volto e sentì il pugno che istintivamente gli si stringeva. — Sai dannatamente bene di chi intendo parlare. Ci serve subito un dottore, e voi ne avete almeno un paio là dentro. Vado a tirarne fuori uno.
Si accorse, con la coda dell'occhio, di un movimento alle sue spalle, si girò di scatto e vide altri quattro di loro che si avvicinavano, due ragazzi e due ragazze. Intercambiabili, pensò. Non importava chi fossero, e che cosa facessero. — Ditegli che lo voglio — esclamò, ringhioso. Si avvide che uno dei nuovi venuti era un Cl-2 e con asprezza ancora maggiore insisté: — È Clarence. Sarah pensa che abbia la schiena rotta.
Cl-2 non cambiò espressione. Si erano fatti molto vicini. Lo circondarono, e dietro di lui H-3 disse: — Non appena avranno finito là dentro glielo dirò, David.
E David seppe che non c'era niente da fare. Niente del tutto.
Fissò i loro volti, giovani e lisci così familiari: ognuno di essi era un ricordo vivente, era come viaggiare attraverso il suo passato, vedere ringiovaniti i suoi cugini invecchiati… ringiovaniti, sì, ma con qualcosa che mancava. Familiari e alieni, conosciuti e inconoscibili. Alle spalle di H-3 la porta si aprì e ne uscì W-1, ancora col camice e la maschera chirurgica, ora abbassata intorno al collo.
— Ora vengo — disse, e il piccolo gruppo si aprì per lasciarlo passare. Dopo la prima occhiata a David, non lo guardò più.
David lo seguì fino al pronto soccorso e osservò le sue abili mani muoversi sul corpo di Clarence, saggiandone i riflessi, sondando la colonna vertebrale in tutta la sua lunghezza. — Lo opererò — disse W-1, e un'identica sicurezza s'irradiò da quelle parole. Fece un cenno a S-1 e a W-2 di portare Clarence in sala operatoria, e si allontanò.
Quando W-1 era arrivato, Sarah si era fatta in disparte. Ora lentamente si girò, sfilandosi i guanti che si era messa preparandosi a cucire la ferita di Clarence. Warren seguì con lo sguardo i due giovani che coprivano Clarence e lo assicuravano saldamente al carrello con le cinghie, per poi spingerlo fuori del pronto soccorso, lungo il corridoio. Nessuno parlò, mentre Sarah cominciava a ripulire metodicamente l'attrezzatura del pronto soccorso. Quand'ebbe terminato il suo lavoro, si guardò intorno, incerta, alla ricerca di qualcos'altro da fare.
— Vuoi accompagnare Margaret a casa e metterla a letto? — le chiese David. Lei gli lanciò un'occhiata riconoscente e annuì. Quando fu uscita, David si rivolse a Warren: — Qualcuno dovrà occuparsi dei cadaveri, ricomporli e prepararli per la sepoltura.
— Certo, David — disse Warren con voce grave. — Chiamerò Avery e Sam. Ce ne occuperemo noi. Sì, andrò a cercarli e ce ne occuperemo noi. Io… David, che cosa abbiamo fatto? — La sua voce, fin troppo grave, smorta, divenne all'improvviso stridula. — Che cosa sono?
— Cosa vuoi dire?
— Quando è accaduto l'incidente, ero anch'io giù al mulino. Stavo mangiando un boccone con Avery. Il lavoro era praticamente finito. E una intera sezione del pavimento è sprofondata, sai, la vecchia parte che avremmo dovuto sostituire già lo scorso anno, o prima ancora. Per qualche ragione ha ceduto, senza alcun preavviso. E improvvisamente loro erano lì, i ragazzi. Sbucati dal nulla. Nessuno aveva avuto il tempo di andarli a chiamare, di gridargli che corressero, che c'era bisogno di aiuto. Niente, ma loro erano lì. Hanno tirato fuori i due ragazzi feriti e li hanno portati all'ospedale come se avessero il fuoco alla calcagna, David. Sbucati dal nulla.
Guardò David con un'espressione incerta, impaurita, e quando David si limitò a scrollare le spalle, scosse la testa e uscì a sua volta dal pronto soccorso, lanciando involontariamente una rapida occhiata esplorativa al corridoio, come per assicurare che loro gli avrebbero permesso di andarsene.
Molti degli anziani erano ancora nell'atrio, quando David vi fece la sua comparsa. Lucy e Vernon erano seduti accanto a una finestra, fissando il buio della notte. Da quando la moglie di Clarence era morta, lui e Lucy erano vissuti insieme, non come marito e moglie, ma per farsi compagnia, poiché da bambini erano stati vicini come fratello e sorella, e ora tutti e due avevano bisogno di qualcuno a cui aggrapparsi. A volte sorella, a volte madre, a volte figlia, Lucy aveva accudito a lui con estrema dedizione, aveva cucito per lui, gli aveva procurato tutte le cose che gli servivano, ed ora, se Clarence fosse morto, che cosa avrebbe fatto? David si avvicinò e le prese una mano. Sentì che era gelida. Lucy era esile, i capelli neri non avevano ancora cominciato a incanutire; i suoi occhi azzurri un tempo sprizzavano allegria, molto, troppo tempo prima.
— Vai pure a casa, Lucy. Aspetterò io, e appena avrò qualcosa da dirti, ti prometto che verrò.
Lei continuò a fissarlo. David si voltò verso Vernon, desolato. Il fratello di Vernon era uno dei due rimasti uccisi nell'incidente, e non c'era più niente da dirgli, nessun modo per aiutarlo.
— Lascia che resti qui — disse Vernon. — Lei deve aspettare.
David si sedette accanto a Lucy, sempre stringendole la mano. Un attimo dopo lei la ritrasse lentamente e l'intrecciò con l'altra, con tanta forza che le nocche si sbiancarono. Nessuno dei giovani si avvicinò alla sala di attesa. David si chiese dove mai si trovassero, in attesa di conoscere le condizioni dei loro due feriti. O forse non dovevano fermarsi ad aspettare da nessuna parte, forse l'avrebbero comunque saputo, dovunque si trovassero. Egli respinse rabbiosamente quel pensiero: non ci credeva, ma era incapace di liberarsene.
Molto tempo dopo W-1 entrò e disse, senza rivolgersi a nessuno in particolare: — Sta riposando. Dormirà fino a domani pomeriggio. Andate a casa, adesso.
Lucy si alzò in piedi: — Lasciatemi stare con lui. Nel caso in cui abbia bisogno di qualcosa, o se ci fosse un cambiamento.
— Non sarà lasciato solo — disse W-1. Si voltò per uscire, poi si fermò, si voltò un attimo e parlò a Vernon: — Mi spiace per tuo fratello. — Poi uscì.
Lucy restò immobile, indecisa, fino a quando Vernon non la prese per il braccio: — Ti accompagno a casa. — Lucy annuì. David li seguì con lo sguardo, mentre uscivano insieme. Spense le luce nella saletta e s'incamminò lentamente lungo il corridoio, senza nessuna meta particolare, senza pensare di recarsi a casa, o in qualunque altro luogo. Si trovò davanti alla porta dello studio abitualmente usato da W-1, e bussò leggermente. W-1 aprì la porta. Aveva un'aria stanca, pensò David, e dubitò che la sua sorpresa fosse genuina. Era naturale che dovesse essere stanco. Tre interventi operatori. Sembrava Walt giovane e stanco, troppo eccitato per mettersi subito a dormire, troppo affaticato per riuscire a smaltire la tensione.
— Posso entrare? — chiese David, con voce esitante. W-1 annuì e si fece da parte. David entrò. Non era mai stato nello studio di W-1.
— Clarence non sopravviverà — disse W-1 all'improvviso, e la sua voce alle spalle di David, poiché non si era ancora allontanato dalla porta, era così simile a quella di Walt che David provò un brivido di quella che avrebbe potuto essere paura, o più probabilmente, volle convincersi, sorpresa. — Ho fatto quello che potevo — proseguì W-1. Girò intorno alla scrivania, si sedette.
Lo fece con calma, senza tutti quei tic nervosi che Walt esibiva, niente dita che tambureggiavano sul ripiano della scrivania, ed erano parte integrante della sua conversazione quanto le parole. Niente tirarsi le orecchie o sfregarsi il naso. Un Walt con qualcosa in meno, pensò David. Tutti avevano qualcosa che mancava, una zona morta. Ora, con la fatica che gli tendeva il volto, W-1 sedeva immobile, aspettando pazientemente che David cominciasse, allo stesso modo in cui un adulto aspetta che un bambino timido cominci a spiccicar parola.
— Come ha fatto la tua gente a sapere dell'incidente? — chiese infine David. — Nessuno era corso fuori dal mulino ad avvertirli.
W-1 scrollò le spalle. Una domanda che, sembrò sottintendere l'espressione del suo viso, avrebbe richiesto troppo tempo per un'esauriente spiegazione. — Semplicemente, lo sapevamo — si limitò a rispondere.
— Che cosa state facendo, adesso, nel laboratorio? — chiese ancora David, e avvertì una punta di tensione nella propria voce. In qualche modo, l'altro era riuscito a farlo sentire un intruso. Le sue domande suonavano come sproloqui senza importanza.
— Stiamo perfezionando ì metodi — rispose W-1. — Le solite cose.
E qualcosa di più, pensò David, ma non volle insistere. — Le apparecchiature dovrebbero continuare a funzionare nel migliore dei modi per molti anni — si limitò a obiettare. — E i metodi, anche se probabilmente non sono i migliori concepibili, sono più che efficienti. Perché interferire proprio adesso, quando l'esperimento sembra conservare il proprio successo? — Per un attimo, un'espressione sorpresa sembrò disegnarsi sul volto di W-1, ma scomparve troppo rapidamente, e ancora una volta quella maschera impenetrabile non rivelò nulla.
— Ricordi quando una delle vostre donne uccise uno di noi, molto tempo fa, David? Hilda uccise la bambina fatta a sua somiglianza. Tutti noi abbiamo condiviso quella morte, e ci rendemmo conto, quel giorno, che ognuno di voi è solo. Noi non siamo come voi, David. Credo tu l'abbia già intuito, ma adesso devi accettarlo. — Si alzò in piedi. — E non abbiamo alcuna intenzione di tornare ad essere quello che siete voi.
David si alzò in piedi a sua volta, e provò una strana debolezza alle gambe. — Che cosa intendi dire, esattamente?
— La riproduzione sessuale non è l'unica risposta. Soltanto perché l'organismo più elevato si è evoluto in quella direzione non significa che essa sia la migliore. Tutte le volte che una specie si è estinta, ne è sorta un'altra, a un livello più alto, che ha preso il suo posto.
— La clonazione è uno dei peggiori metodi per arrivare a una specie più elevata — replicò David, scandendo le parole. — Cancella la diversità, tu lo sai. — La debolezza che provava alle gambe sembrò salire al resto del corpo; le mani cominciarono a tremargli. Si aggrappò alla scrivania.
— Questo, presumendo che la diversità sia un beneficio. Forse non lo è — replicò W-1. — Voi pagate un prezzo molto alto per l'individualismo.
— Ma esistono pur sempre il declino e l'estinzione — obiettò David. — O avete trovato una soluzione anche a questo? — Voleva porre fine a quella conversazione, uscire in fretta da quello sterile ufficio, sfuggire a quel volto liscio e inscrutabile, a quegli occhi penetranti che sembravano leggere dentro di lui.
— Non ancora — ammise W-1. — Ma alcuni di noi sono fertili, e possiamo sempre appoggiarci ad essi, finché non avremo risolto anche questo problema. — Uscì da dietro la scrivania e si avviò verso la porta. — Devo andare a controllare i miei pazienti — disse, e tenne aperta la porta per David.
— Prima che me ne vada — esclamò David — ti spiace dirmi che cos'ha Walt?
— Non lo sai? — W-1 scosse la testa. — Continuo a dimenticare che fra voi non c'è comunicazione diretta… Ha un cancro. Inoperabile. Ormai si è metastasizzato. Walt sta morendo, David. Credevo che tu lo sapessi.
David camminò alla cieca per un'ora o più, e alla fine si ritrovò nella propria stanza esausto, ma non ancora disposto ad andare a letto. Si sedette alla finestra fino a quando non fu l'alba, e poi si recò nella stanza di Walt. Quando Walt si svegliò, gli riferì ciò che W-1 gli aveva detto.
— Useranno quei pochi fra loro che sono fertili per reintregrare la loro scorta di cloni — gli disse. — Fra loro, gli umani saranno i paria. Distruggeranno ciò che abbiamo creato lavorando così duramente.
— Non permettere che lo facciano, David. Per l'amor di Dio, non lasciare che lo facciano! — Walt aveva un colore orribile, ed era troppo debole anche soltanto per rizzarsi a sedere. — Vlasic è impazzito, perciò non ci sarà di nessun aiuto. Tu devi fermarli in qualche modo. — E aggiunse, amaramente: — Vogliono imboccare la via d'uscita più facile, gettare la spugna proprio adesso che sappiamo che funzionerà.
David non sapeva se essere dispiaciuto o contento di averlo detto a Walt. Non più segreti, pensò. Mai più. — Li fermerò in qualche modo — promise. — Non so come, o quando. Ma il più presto possibile.
Un Quattro portò la prima colazione a Walt e David ritornò nella propria stanza. Si distese e dormì per qualche ora di un sonno agitato, poi fece una doccia e raggiunse l'ingresso della caverna, dove fu fermato da un Due.
— Mi spiace, David — disse questi, — Jonathan dice che hai bisogno di riposo, che adesso non devi lavorare.
Senza dir motto, David si voltò e se ne andò. Jonathan. W-1. Se avevano deciso d'impedirgli l'accesso al laboratorio, erano perfettamente in grado di farlo. Erano stati proprio lui e Walt a renderlo possibile, rendendo la caverna inespugnabile. David pensò agli anziani: erano ridotti a quarantaquattro in tutto, e due di essi con malattie e lesioni all'ultimo stadio. Uno degli anziani sopravvissuti era pazzo. Quindi in realtà erano quarantuno, di cui ventinove donne. Undici uomini validi. E ventiquattro cloni.
Per molti giorni aspettò che Harry Vlasic si facesse vivo, ma nessuno l'aveva più visto da parecchie settimane, e Vernon pensava che si fosse chiuso in uno dei laboratori e prendesse i suoi pasti laggiù. David rinunciò a incontrarlo; trovò D-1 nella tavola calda e si offrì di aiutarlo nel suo lavoro.
— Mi annoio troppo a forza di non far niente — spiegò. — Sono sempre stato abituato a lavorare dodici ore al giorno o ancora di più.
— Ora che ci sono altri che possono toglierti il peso dalle spalle, è giusto che tu riposi — replicò D-1, in tono affabile. — Non preoccuparti per il lavoro, David. Sta procedendo molto bene. — Fece per allontanarsi, e David l'afferrò per un braccio:
— Perché non volete lasciarmi entrare? Non sapete apprezzare il valore di un'opinione obiettiva?
D-1 si sottrasse alla stretta, e sempre sorridendo gli disse: — Tu vorresti distruggere tutto quello che stiamo facendo, David. In nome dell'umanità, naturalmente. Ma noi non possiamo permettere che tu riesca nel tuo intento.
David lasciò ricadere la mano e restò immobile a guardare il giovane che avrebbe potuto essere lui stesso avvicinarsi al banco dov'erano pronte le sue porzioni di cibo, e cominciare a sistemare i piatti sul vassoio.
— Sto lavorando a un mio piano — mentì a Walt, così come avrebbe continuato a mentire nelle settimane successive. Di giorno in giorno Walt diventava sempre più debole e ora soffriva di dolori atroci.
Adesso il padre di David faceva compagnia a Walt per la maggior parte del tempo. Anche lui era ingrigito e invecchiato, ma fisicamente in buona salute. Parlava della loro giovinezza, dell'imminente stagione di caccia, della recessione che, temeva, avrebbe potuto ridurre i suoi profitti… parlava di sua moglie, morta ormai da quindici anni. Era allegro e dinamico, sembrava felice e Walt sembrava trarre grande piacere dalla sua presenza. A marzo, W-1 mandò a chiamare David. Lo accolse nel suo studio. — È a proposito di Walt — disse. — Non dovremmo lasciare che continui a soffrire. Non ha fatto nulla per meritarselo.
— Sta cercando di resistere fino a quando le ragazze partoriranno i loro bambini — disse David. — Vuol sapere.
— Ma non ha più alcuna importanza — replicò W-1, col suo tono paziente. — E nel frattempo egli continua a soffrire. Troppo.
David lo fissò con odio; non sarebbero riusciti a estorcergli quella decisione.
W-1 continuò a sua volta a guardarlo per parecchi istanti ancora, in silenzio, poi dichiarò: — Decideremo noi, allora. — La mattina dopo si scoprì che Walt era morto nel sonno.
Cominciava a rinverdire; i salici furono i primi a mostrare tracce sottili di verde lungo i loro sottili rami flessibili. Le forsizie e i roveti erano in boccio, lo scarlatto e il giallo brillante si stagliavano contro il grigiore del paesaggio. Il fiume era gonfio dell'acqua dei torrenti primaverili che scendevano da nord, e le abbondanti piogge di marzo l'avevano ulteriormente alzato di livello, ma non fino a creare allarme. Le giornate avevano riacquistato una fragranza che era mancata loro fin da settembre, l'aria non era più frizzante ma sapeva di boschi umidi e terra feconda.
David sedeva sul pendio sovrastante la collina e registrava i numerosi indizi della primavera. C'erano vitelli nei campi, e avevano l'aspetto che i vitelli in primavera avevano sempre avuto: gambe sottili, goffi, lo sguardo leggermente stupido. Nessun campo era stato ancora arato, ma l'orto era verde: la pallida lattuga, le verze azzurro-verdi, i verdi cespi di cipolle, il verde scuro dei cavoli. L'ultimissima ala dell'ospedale non ancora dipinta, rozza se confrontata con gli edifici di mattoni già da tempo completati, era comunque già funzionante, e David poteva perfino scorgere alcuni dei giovani, attraverso le finestre, intenti a studiare. Essi avevano i migliori insegnanti, se stessi, ed erano altresì i migliori studenti. Imparavano nel modo più rapido ed efficace gli uni dagli altri, assai meglio di quanto avessero fatto all'inizio del grande esperimento.
Uscirono dalla scuola in serie di esemplari identici: tre di questo tipo, quattro di quello, due di quell'altro. David cercò con lo sguardo e trovò tre Celie. Non riusciva più a distinguerle; adesso erano tutte Celie adulte e non più identificabili. Le guardò senza alcuna sensazione di desiderio; senza alcun moto di odio; senza nessun affetto. Esse sparirono all'interno del granaio e lui alzò gli occhi oltre la fattoria per osservare le colline sull'altro lato della valle. I crinali avevano perduto il loro profilo tagliente. Avevano un aspetto morbido e fragrante. Presto, pensò lui. Presto, prima che sboccino i cornioli.
La sera in cui nacque il primo bambino vi fu un'altra festa. Gli anziani parlarono fra loro, ridendo delle proprie battute, bevendo vino; i cloni li lasciarono soli e festeggiarono sul lato opposto della stanza. Quando Vernon cominciò a suonare la chitarra e s'iniziarono le danze, David sgusciò via. Vagò per il terreno dell'ospedale, all'inizio, come se non avesse una meta precisa, poi, quando fu certo che nessuno l'avesse seguito, si avviò con passo spedito verso il mulino e il generatore. Sei ore, pensò. Sei ore senza elettricità sarebbero bastate a distruggere tutto ciò che si trovava nel laboratorio.
David si avvicinò con cautela al mulino, sperando che lo scorrere impetuoso dell'acqua nel fiumiciattolo avrebbe mascherato qualunque rumore lui avesse potuto produrre. L'edificio era alto tre piani, con finestre a tre metri e mezzo dal suolo, al piano in cui si trovavano le stanze per il personale e i controlli. Il pianoterra era gremito di macchinari. Dietro all'edificio la collina s'impennava bruscamente in un ripido pendio, e David poté raggiungere le finestre facendo pressione contro il terreno quasi verticale su un lato, e il muro dell'edificio dall'altro, saggiando le finestre con la mano rimasta libera. Trovò una finestra che si aprì senza difficoltà quando lui la spinse, e in un attimo fu dentro la stanza immersa nel buio. Chiuse la finestra, poi, muovendosi lentamente con le mani protese per evitare eventuali ostacoli, attraversò il locale fino alla porta e la socchiuse. Il mulino non veniva mai lasciato incustodito; egli sperava comunque che quelli di servizio quella sera si trovassero tutti al pianoterra, fra le macchine. Le stanze, là sopra, e il corridoio che le collegava, formavano una sorta di ammezzato, che si affacciava sulla tromba delle scale debolmente illuminata. Ombre grottesche rendevano vagamente inquietante il corridoio, alternando angoli di profonda oscurità a zone in cui lui sarebbe stato fin troppo chiaramente visibile se qualcuno avesse guardato su al momento giusto. Improvvisamente David s'irrigidì. Delle voci erano giunte fino a lui.
Si sfilò le scarpe e aprì un po' di più la porta. Le voci, sotto di lui, crebbero d'intensità. Senza fare il minimo rumore, egli corse verso la cabina centrale di controllo, tenendosi vicino alla parete. Era quasi giunto alla meta, quando in tutto l'edificio si accesero le luci. Vi fu un urlo ed egli sentì che si stavano precipitando su per le scale. Con un balzo raggiunse la porta della cabina, la spalancò e se la richiuse alle spalle con un tonfo. Non c'era alcun modo di chiuderla a chiave. Tentò di bloccarla spingendovi contro un armadietto metallico, ma questo si spostò di pochi centimetri e poi si bloccò. David allora rinunciò a bloccare la porta; afferrò per una gamba un massiccio sgabello metallico, lo sollevò e lo calò con violenza contro il pannello principale dei controlli. Nel medesimo istante avvertì un tremendo dolore a una spalla, incespicò e cadde in avanti mentre le luci si spegnevano.
Riaprire gli occhi gli costò fatica e sofferenza. Per un attimo percepì soltanto un bagliore confuso; poi distinse i lineamenti di una giovane donna. Stava leggendo un libro, sembrava tutta concentrata nella lettura. Dorothy? Era sua cugina Dorothy. David cercò di alzarsi, lei sollevò lo sguardo dal libro e gli sorrise.
— Dorothy? Che cosa fai qui? — Non riuscì a scendere dal letto. Sul lato opposto della stanza si aprì una porta e Walt entrò, anche lui molto giovane, senza rughe, con i capelli bruni arruffati, come sempre.
David sentì una fitta di dolore alla testa: sollevò una mano e scoprì che era avvolta in un fitto bendaggio che gli scendeva quasi fino agli occhi. Lentamente gli ritornò la memoria, e allora chiuse gli occhi, imponendo alla memoria di cancellarsi, di lasciare che essi fossero veramente, per lui, Dorothy e Walt, quelli autentici.
— Come ti senti? — gli chiese W-1. David sentì le sue dita fresche che gli saggiavano il polso. — Ti rimetterai presto. Una bella botta. E un brutto livido, temo. Per un po' ti farà parecchio male.
Senza aprire gli occhi chiese: — Ho fatto molti danni?
— Molto pochi — disse W-1.
Due giorni dopo, fu chiesto a David di partecipare a una riunione alla mensa. Aveva ancora la testa bendata, ma adesso soltanto con un po' di cerotto. Le spalle gli doloravano ancora. Raggiunse lentamente la tavola calda scortato da due cloni. D-1 si alzò in piedi e offrì a David una sedia sul davanti della stanza. David l'accettò in silenzio e si sedette, in attesa. D-1 restò in piedi.
— Ricordi le nostre discussioni in classe sull'istinto, David? — gli chiese D-1. — Finimmo per trovarci d'accordo che con tutta probabilità non esistevano istinti, ma soltanto risposte condizionate a certi stimoli. Le mie idee, le nostre idee, oggi, sono però cambiate. Ora siamo d'accordo che esiste pur sempre l'istinto di preservare la propria specie. La preservazione della specie è un istinto assai forte, un impulso irresistibile, se vogliamo. — Fissò David e gli chiese: — Che cosa dobbiamo fare di te?
— Non essere sciocco — gli rispose duramente David. — Voi non siete una specie separata.
D-1 non rispose. Nessuno di loro si mosse. Lo stavano osservando con calma, intelligenza, imparzialità.
David si alzò in piedi e spinse indietro la sedia: — Allora lasciatemi lavorare. Vi dò la mia parola che non cercherò più di distruggere…
D-1 scosse la testa: — Abbiamo discusso di questo. Ma ci siamo trovati d'accordo che questo istinto di conservazione della specie avrebbe la meglio sulla tua parola d'onore. Come ugualmente avverrebbe per la nostra.
David sentì le proprie mani stringersi istintivamente a pugno, e con uno sforzo costrinse le dita a ridistendersi: — Allora dovrete uccidermi.
— Abbiamo discusso anche di questo — replicò gravemente D-1. — Non vogliamo farlo. Ti siamo debitori di troppo. Col tempo erigeremo statue a te, a Walt, a Harry. Con estrema cura abbiamo registrato tutto quello che avete fatto per noi. La nostra gratitudine e il nostro affetto non ci permettono di ucciderti.
David si guardò per un attimo intorno, scorgendo dovunque volti familiari. Dorothy, Walt, Vernon, Margaret, Celia. Tutti sostennero il suo sguardo senza trasalire. Intanto qua e là comparvero anche dei pallidi sorrisi.
— Ditemi voi, allora — esclamò infine.
— Devi andartene — disse D-1. — Verrai scortato per tre giorni di cammino, giù per la valle, lungo il fiume. È pronto un carretto per te, pieno di cibo, sementi e qualche attrezzo. La valle è fertile, i semi attecchiscono bene. È la stagione migliore per dissodare il terreno e seminare un orto.
W-2 era uno dei tre incaricati di accompagnarlo. Non parlarono. I ragazzi fecero a turno a tirare il carretto con le scorte. David non si offrì di tirarlo a turno con loro. Essi lo lasciarono alla fine del terzo giorno, sul lato del fiume opposto alla fattoria dei Sumner. Prima di raggiungere gli altri due giovani, che si erano allontanati per primi, W-2 disse: — Ho qualcosa da riferirti, David. Una delle ragazze che tu chiami Celia ha concepito. L'ha messa incinta uno dei ragazzi che tu chiami David. Volevano che tu lo sapessi. — Poi si girò e seguì rapidamente gli altri. Tutti e tre scomparvero tra gli alberi.
David dormì, quella notte, là dove l'avevano lasciato, e la mattina dopo continuò verso sud, lasciando il carretto dietro di sé, dopo aver prelevato un po' di cibo, bastante soltanto per pochi giorni. Si fermò soltanto una volta, a contemplare un piccolo acero che cresceva protetto dagli alti pini. Toccò delicatamente le morbide foglie verdi. Il sesto giorno raggiunse la fattoria dei Wiston: vivo nella sua memoria era il giorno in cui aveva atteso, non lontano da lì, l'arrivo di Celia. La grande quercia bianca, l'albero amico, si drizzava ancora sul colle, forse più grande e maestoso, non avrebbe saputo dirlo. Le sue nuove foglie, d'un verde intenso, nascondevano il cielo al suo sguardo. Si costruì un riparo, e quella notte dormì sotto il grande albero; la mattina dopo gli disse solennemente addio e cominciò a risalire i pendii sovrastanti la fattorìa. L'edificio principale sorgeva ancora, al suo posto, ma il granaio e le stalle erano scomparsi, spazzati via dall'inondazione provocata tanti anni prima.
David raggiunse infine l'antica foresta: si soffermò a osservare un insetto volante. Batteva le ali quasi pigramente, e David ricordò quanto suo nonno diceva, che lì perfino gli insetti erano primitivi, più lenti, meno evoluti dei loro cugini di altre contrade, meno adattabili ai clima caldo e ai periodi di siccità.
Sotto gli alberi aleggiava una impalpabile foschia, e l'aria era quasi fredda. L'insetto si adagiò su una foglia, e alla luce del sole sembrò un insetto dorato. Per un breve attimo a David parve di udire il richiamo di un uccello. Un tordo. Ma si spense troppo in fretta per esserne certo, e David scosse la testa. Era soltanto un'illusione, niente più.
Nell'antica foresta, appartata, segreta, gli alberi aspettavano, mantenendo intatta la propria eredità genetica, pronti a ridiscendere i pendii quando le condizioni fossero siate nuovamente quelle giuste per loro. David si distese al suolo sotto i grandi alberi, e si addormentò. E nel mondo brumoso e stillante del suo sogno si agitavano i sauri e un uccello cantava.