11 Il giogo del nono cavallo

Un ampio cappello di paglia ombreggiava il viso di Siuan mentre lasciava che Logain guidasse il carro attraverso il cancello di Shilene sotto al sole del tardo pomeriggio. Le imponenti mura grigie della città erano in cattivo stato nei due punti che riusciva a vedere, le pietre divelte le avevano rese poco più di un’alta palizzata. Min e Leane cavalcavano a breve distanza da lei, entrambe stanche per il passo che l’uomo aveva imposto dalle Sorgenti di Kore. Voleva essere lui a comandare e ci volle poco a convincerlo che era così. Se fosse lui a decidere a che ora del mattino partire, dove e quando fermarsi per la notte, se si incaricasse di custodire il denaro, aspettandosi poi che le donne cucinassero e lo servissero, era irrilevante per Siuan. In fondo era dispiaciuta per lui. L’uomo non aveva idea di cosa stesse progettando ai suoi danni. Un grande pesce all’amo come esca per acchiapparne uno più grande, pensava amareggiata.

In teoria Lugard era la capitale del Murandy, la sede di re Roedran; i lord del Murandy avevano prestato giuramento di fedeltà, ma poi si erano rifiutati di pagare le tasse o di fare qualsiasi altra cosa volesse il re e la gente si comportava allo stesso modo. Murandy era una nazione solo di nome, la popolazione era a malapena tenuta insieme da una presunta alleanza che la legava a un re o una regina — il trono passava di mano in mano a brevi intervalli — e dalla paura di finire sotto Andor o Illian se non fosse rimasta unita in qualche modo.

La città era attraversata da mura, alcune in condizioni peggiori di quelle dei bastioni perché Lugard era cresciuta in maniera casuale durante i secoli e più di una volta era stata divisa fra nobili in lotta. Appariva sporca, la maggior parte delle ampie strade era di terra battuta e tutte erano polverose. Uomini dai cappelli alti e donne con dei grembiuli sopra le gonne passavano con le caviglie scoperte fra i lunghi carri dei mercanti e i bambini giocavano nei solchi lasciati dalle ruote. Era il commercio a mantenere viva Lugard, da Illian a Ebou Dar, dall’ovest del Ghealdan al nord di Andor. In ampi spiazzi di terreno nudo erano fermi i carri, ruota contro ruota, molti avevano dei carichi pesanti coperti da teloni fissati da corde, altri erano vuoti in attesa di essere riempiti di merce. Le strade principali erano invase dalle locande, assieme alle staccionate per i cavalli e le stalle che quasi superavano di numero le case di pietra grigia o i negozi, tutti sovrastati da tetti di tegole blu e rosse o porpora e verdi. La polvere e il rumore colmavano l’aria, insieme al clangore che proveniva dalle fucine, il boato dei carri, le imprecazioni dei conducenti e le esplosioni di risate che provenivano dalle taverne. Il sole arroventava Lugard mentre scivolava all’orizzonte e intorno si avvertiva la sensazione che la pioggia non sarebbe mai più tornata.

Quando finalmente Logain si diresse nel cortile di una stalla e scese di fronte a una locanda chiamata Il giogo del nono cavallo, grata, Siuan smontò dalla groppa di Bela e si mise ad accarezzare dubbiosa il muso della giumenta irsuta, facendo attenzione ai denti. Dal suo punto di vista viaggiare sulla schiena di un animale non era un modo adeguato di spostarsi. Una barca si dirigeva da qualche parte a seconda di come manovravi il timone, un cavallo poteva decidere per suo conto. Le barche inoltre non mordevano. Bela non lo aveva fatto, ma avrebbe potuto. Almeno durante quei primi terribili giorni era sparita, quando si era accorta che Leane e Min ridevano alle sue spalle vedendola barcollare per il campo. Dopo una giornata trascorsa in sella si sentiva ancora come se fosse stata picchiata brutalmente, ma adesso riusciva a nasconderlo.

Non appena Logain iniziò a contrattare con lo stalliere, un tipo magro e lentigginoso con indosso un grembiule di cuoio e senza camicia, Siuan si avvicinò a Leane. «Se vuoi esercitarti nelle tue arti,» mormorò «sperimentale su Dalyn per la prossima ora.» Leane la guardò dubbiosa — si era dilettata in sorrisi e sguardi con alcuni abitanti delle Sorgenti di Kore, ma a Logain aveva rivolto solo sguardi inespressivi — quindi sospirò e annuì. Inspirò profondamente e si fece avanti ondeggiando in quel modo stupefacente, mentre guidava il cavallo grigio già sorrideva a Logain. Siuan non riusciva a capire come faceva, era come se alcune delle ossa avessero perso la loro rigidità.

Spostandosi verso Min parlò di nuovo sottovoce. «Non appena Dalyn avrà terminato con lo stalliere digli che mi raggiungerai dentro la locanda. Quindi vai via e resta lontana da lui e Amaena fino a quando non ritorno.» A giudicare dal rumore che sentiva provenire dall’interno del locale, vi era una folla abbastanza numerosa da nascondere un esercito. Certamente abbastanza vasta da nascondere l’assenza di una donna. Min assunse quella sua espressione ostinata e aprì la bocca, senza dubbio per chiedere il motivo di ciò. Siuan la anticipò. «Fallo e basta, Serenla. O ti farò lucidare i suoi stivali oltre a servirgli il pasto.» Lo sguardo ostinato rimase, ma Min annuì.

Infilando le redini di Bela nelle mani dell’altra, Siuan uscì velocemente dalla stalla e si avviò per la strada in quella che sperava fosse la giusta direzione. Non aveva voglia di cercare in tutta la città, non con quel caldo e quella polvere.

Le vie erano piene di carri pesanti con tiri di sei, otto o anche dieci cavalli, i conducenti facevano schioccare le fruste e imprecavano nella stessa misura contro le bestie e le persone che sfrecciavano fra i veicoli. Uomini vestiti con le lunghe e rozze giubbe dei conducenti si aggiravano fra la folla, a volte rivolgendo inviti alle donne che li oltrepassavano. Queste, che indossavano grembiuli colorati, a volte a strisce, con il capo avvolto in fasce variopinte, procedevano a testa bassa come se non sentissero. Le donne senza grembiule, con i capelli sciolti che scendevano dietro le spalle e le gonne arrivando anche fino a trenta centimetri da terra, spesso rispondevano in modo anche più sgarbato.

Siuan sobbalzò quando si accorse che alcune proposte erano rivolte a lei. Lungi dall’adirarsi — non riusciva a collegarle a se stessa — era solo stupita. Non era ancora abituata ai cambiamenti che le erano occorsi. Che gli uomini potessero trovarla attraente... Il proprio riflesso nella vetrina sporca di una sartoria attirò la sua attenzione, poco più di un’immagine fangosa di una donna dalla pelle chiara con un cappello di paglia. Era giovane; non solo di aspetto giovanile, per quanto riusciva a vedere, era davvero giovane. Non molto più grande di Min. Una ragazza, con in più l’esperienza che aveva vissuto.

Un altro dei vantaggi di essere stata quietata, si disse. Aveva incontrato donne che avrebbero pagato qualsiasi prezzo pur di perdere quindici o vent’anni, alcune avrebbero anche considerato giusto quello che aveva pagato lei. Si ritrovava spesso a elencare i benefici di essere stata quietata, cercando forse di convincersi che erano reali. Libera dai Tre Giuramenti, adesso poteva mentire quando lo riteneva necessario, per cominciare. Suo padre non l’avrebbe riconosciuta. Non aveva lo stesso aspetto che aveva da giovane. I cambiamenti della maturità erano ancora presenti, sebbene addolcititi dalla giovinezza. Con freddezza giudicò di essere più carina allora di quanto non fosse stata da ragazza. Carina era il massimo che avevano mai detto di lei. Bella era un complimento. Non riusciva a identificare quel viso con il suo, di Siuan Sanche. Ma in cuor suo era sempre la stessa persona, aveva ancora tutta la sapienza di prima. Nella mente era ancora lei.

Alcune delle locande e taverne di Lugard avevano nomi come Il martello del maniscalco, L’orso ballerino o Il maiale d’argento, spesso accompagnati da insegne a tema. Altre avevano nomi al limite dell’illegalità, il meno sfrontato era del tipo Il bacio della sgualdrina domanese, con la figura di una donna dalla pelle ramata — nuda fino alla cintola! — e le labbra carnose. Siuan si chiese cosa ne avrebbe pensato Leane, ma per come era cambiata adesso, forse ne sarebbe stata solo ispirata.

In una strada laterale ampia come la principale, proprio dietro un’apertura priva di cancello ricavata in una delle mura cadenti, trovò almeno la locanda che stava cercando, tre piani di rozza pietra grigia coperta da un tetto di tegole color porpora. L’insegna sopra la porta rappresentava un’improbabile donna dall’atteggiamento voluttuoso avvolta solo nei propri capelli, sistemati in modo tale da nascondere il meno possibile, in groppa a un cavallo senza sella e con un nome su cui sorvolò non appena lo riconobbe.

All’interno della sala comune l’aria era densa di fumo di pipa, piena di uomini rauchi i quali bevevano e ridevano cercando di pizzicare le cameriere, che svicolavano il più possibile con sorrisi sofferenti. Appena udibili in tutto quel frastuono, un dulcimero e un flauto accompagnavano una ragazza che cantava e danzava su un tavolo in fondo alla stanza. Ogni tanto la cantante sollevava la gonna fin quasi a mostrare le gambe nude. Quello che Siuan riusciva a sentire della canzone le faceva venire voglia di lavare la bocca della ragazza con il sapone. Perché una donna avrebbe dovuto andare in giro nuda? Perché doveva cantare una simile canzone a un gruppo di uomini ubriachi? Non era un tipo di locale dove fosse mai entrata prima d’ora. Aveva intenzione di rendere quella visita più breve possibile.

Era impossibile non riconoscere la proprietaria della locanda, una donna alta e robusta vestita di seta rossa, che praticamente risplendeva. I capelli erano acconciati in elaborati ricci dal colore artificiale — in natura non si era mai visto quel tono di rosso, di certo non con quegli occhi scuri — e incorniciavano un mento pronunciato e una bocca severa. Tra un ordine e l’altro gridato alle cameriere, si fermava a diversi tavoli per scambiare alcune parole con gli avventori o qualche pacca sulle spalle.

Siuan rimase rigida e cercò di ignorare gli sguardi che le rivolgevano gli uomini mentre si avvicinava alla donna dai capelli rossi. «Comare Tharne?» Dovette ripetere quel nome tre volte, sempre più forte, prima che la locandiera la guardasse. «Comare Tharne, vorrei lavorare come cantante. Conosco...»

«Davvero?» Rise la grossa donna. «Be’, ne ho già una, ma potrei sempre usarne un’altra per far riposare questa. Fammi vedere le gambe.»

«Posso cantare La canzone dei tre pesci»gridò Siuan. Doveva essere la persona giusta. Di sicuro non ne esistevano due nella stessa città con i capelli di quel colore, né potevano essercene due con quel nome nella stessa taverna.

Comare Tharne rise anche più forte e diede una pacca sulla spalla a un uomo seduto al tavolo vicino, facendolo quasi volare dalla panca. «Non una canzone di grande richiamo, vero Pel?» L’uomo, a cui mancava un dente, con la frusta da conducente avvolta attorno a una spalla, rise con lei.

«E io posso cantare Il cielo azzurro albeggia.»

La donna si riscosse, asciugandosi gli occhi come se avesse riso fino alle lacrime. «Puoi, vero? Sono sicura che ai ragazzi piacerebbe molto. Adesso fammi vedere le gambe. Le gambe, ragazza, oppure vai via!»

Siuan esitò, ma comare Tharne la fissava. Come anche un numero crescente di uomini. Doveva essere la persona giusta. Lentamente tirò su la gonna fino alle ginocchia. Quella donna alta fece un gesto impaziente. Chiudendo gli occhi Siuan sollevò ulteriormente la gonna. Sentiva che stava arrossendo sempre di più. «Una timida» rise comare Tharne. «Be’, se quelle canzoni sono tutto il tuo repertorio, è meglio che tu abbia delle gambe in grado di far cadere un uomo ai tuoi piedi. Ma non lo sapremo fino a quando non togliamo quelle calze di lana, vero Pel? Be’, vieni con me, forse hai una bella voce, ma qui non posso sentirla. Vieni, ragazza, muovi le chiappe!»

Siuan sgranò gli occhi, ma quella donna imponente stava già avanzando verso il retro della stanza comune. Con la schiena rigida come una barra di ferro, Siuan fece cadere la gonna e la seguì, cercando di ignorare le risate sguaiate e le proposte oscene che le venivano rivolte. Aveva il viso pietrificato ma in cuor suo era preoccupata e furiosa.

Prima di essere eletta Amyrlin Seat aveva guidato la rete di occhi e orecchie dell’Ajala Azzurra, alcune erano rimaste sue spie personali sia prima che dopo. Adesso non era più Amyrlin o Aes Sedai, ma ancora conosceva queste agenti. Duranda Tharne, una donna le cui informazioni erano sempre state tempestive, era già al servizio dell’Ajala Azzurra quando lei aveva assunto il comando della rete. Occhi e orecchie non erano ovunque e la loro credibilità variava — ce ne era stata solo una che si era fidata di avvicinare fra Tar Valon e qui, a Quattro re in Andor, ed era svanita — ma un gran numero di notizie e voci passavano da Lugard con le carovane dei mercanti. Qui forse c’erano anche occhi e orecchie di altre Ajah, sarebbe stato bene che lo avesse rammentato. La prudenza riporta la barca a casa, si disse.

Questa donna corrispondeva alla descrizione di Duranda Tharne alla perfezione, e di sicuro nessun’altra locanda aveva un nome così infame, ma perché aveva risposto a quel modo quando Siuan si era rivelata come un’altra agente delle Azzurre? Doveva correre il rischio. Min e Leane, a modo loro, stavano diventando impazienti come Logain. La prudenza riporta la barca a casa, ma a volte l’audacia riporta a casa tutta la flotta. Male che fosse andata avrebbe potuto colpire la donna alla testa e fuggire dal retro. Squadrandola e considerandone le braccia robuste, si augurò di riuscirci.

Una semplice porta nel corridoio che immetteva in cucina si apriva su una stanza con pochi mobili, una scrivania e una sedia su un tappeto blu, un grande specchio appeso al muro, e, sorprendentemente, un piccolo scaffale pieno di libri. Una volta richiuso l’uscio alle loro spalle, in modo da attenuare quasi del tutto il rumore della sala comune, la grossa donna girò intorno a Siuan, con le mani appoggiate sugli ampi fianchi. «Allora. Cosa vuoi da me? Non disturbarti a dirmi come ti chiami, non mi interessa il tuo nome, che sia vero o no.»

Lo stato di tensione di Siuan si allentò. La rabbia, tuttavia, rimase. «Non avevi il diritto di trattarmi a quel modo! Cosa volevi fare costringendomi a...»

«Ne avevo tutto il diritto,» scattò comare Tharne «e ogni necessità. Se ti fossi presentata all’apertura o alla chiusura, come avresti dovuto fare, ti avrei condotto subito qui. Pensi che nessuno si sarebbe chiesto perché ti portavo di qua come un’amica di vecchia data? Non posso permettermi che qualcuno sospetti di me. Sei fortunata che non ti abbia fatto prendere il posto di Susu su quel tavolo per una o due canzoni. E bada a come ti rivolgi a me.» La donna sollevò minacciosamente una grossa mano. «Ho figlie che sono più grandi di te e quando vado a trovarle si comportano come si deve. Prova a usare la tua lingua tagliente con me e scoprirai perché le mie figlie stanno al posto loro. Nessuno ti sentirebbe gridare e, in ogni caso, nessuno si immischierebbe coi miei affari.» Con un brusco cenno del capo, come se tutto fosse stato chiarito, si mise di nuovo le mani sui fianchi. «Cosa vuoi adesso?»

Siuan aveva provato a parlare diverse volte durante quella tirata, ma la donna l’aveva travolta come un fiume in piena. Non c’era abituata. Quando comare Tharne finì, Siuan tremava per la rabbia e si stringeva la gonna con entrambe, tanto forte da farsi sbiancare le nocche. Faceva fatica a tenere i nervi sotto controllo. In teoria sono solo un’altra agente, si rammentò con fermezza. Non più l’Amyrlin, solo un’altra agente. E poi sospettava che la donna avrebbe potuto mettere in atto la minaccia. Era una situazione ancora nuova per lei, dover fare attenzione a chiunque fosse stato più grosso e più forte.

«Mi è stato affidato un messaggio da riferire a un gruppo di quelle che serviamo.» Sperava che comare Tharne interpretasse lo sforzo nella voce come spavento. Forse la donna avrebbe cooperato maggiormente se avesse creduto che Siuan era intimidita. «Non si trovavano dove mi è stato detto che dovevano essere. Spero che tu sappia qualcosa che mi aiuti a scovarle.»

Con le braccia incrociate sotto il petto imponente comare Tharne la studiò. «Sai come tenere a bada i nervi quando ti serve, vero? Bene. Cosa è accaduto nella Torre? E non cercare di negare che vieni da lì, mia delicata fanciulla arrogante. Il tuo messaggio porta scritto sopra ‘decreto di una messaggera’ e di sicuro non hai imparato quelle maniere sprezzanti in un villaggio.» Siuan inspirò profondamente prima di rispondere. «Siuan Sanche è stata quietata.» La voce non le tremò e ne fu fiera. «Elaida Roihan è la nuova Amyrlin.» Nel dire questa seconda frase non riuscì a evitare un tono altero.

Sul volto di comare Tharne non comparve alcun cenno di reazione. «Be’, questo spiega alcuni degli ordini che ho ricevuto. Forse solo alcuni. L’hanno quietata? Credevo che sarebbe stata Amyrlin per sempre. Una volta l’ho vista, alcuni anni fa a Caemlyn. Da lontano. Aveva l’aspetto di una che si sarebbe mangiata i finimenti di un cavallo per colazione.» I riccioli dall’incredibile colore rosso ondeggiarono mentre scuoteva il capo. «Be’, quel che è fatto è fatto. Le Ajah si sono divise, vero? È la sola cosa che mi quadra. I miei ordini e la vecchia poiana quietata. La Torre è spezzata e le Azzurre fuggono.»

Siuan serrò i denti. Cercava di convincersi che la donna fosse leale all’Ajah Azzurra, non a lei personalmente, ma non l’aiutava. Vecchia poiana? Questa donna è abbastanza grande da essere mia madre. E se lo fosse stata mi sarei gettata in mare, si disse. Si sforzò di usare una voce remissiva. «Il mio messaggio è importante. Devo mettermi in cammino al più presto. Puoi aiutarmi?»

«Importante, vero? Be’, ne dubito. Il fatto è che posso darti qualcosa, ma dovrai essere tu a decifrarla. La vuoi?» La donna si rifiutava di facilitarle il compito.

«Sì, per favore.»

«Sallie Daera. Non so chi sia o chi fosse, ma mi è stato detto di fare il suo nome a qualsiasi Azzurra che fosse giunta con l’aria spaesata, per così dire. Potresti non essere una di queste Sorelle, ma ti pavoneggi abbastanza per esserlo, per cui te l’ho detto. Sallie Daera. Trai le tue conclusioni.»

Siuan dovette reprimere un grido di eccitazione e assunse invece un’espressione abbattuta. «Nemmeno io ne ho mai sentito parlare. Dovrò continuare a cercare.»

«Se la trovi, riferisci ad Aeldene Sedai che io sono ancora leale, qualunque cosa sia accaduta. Ho lavorato così a lungo per le Azzurre che non saprei cos’altro fare.»

«Lo riferirò» rispose Siuan. Ignorava che Aeldene fosse la sua sostituta nel controllo della rete di occhi e orecchie delle Azzurre. L’Amyrlin, a qualsiasi Ajah appartenesse, era parte di tutte e di nessuna. «Immagino che tu abbia bisogno di una scusa per non assumermi. Non sono davvero in grado di cantare. Questo dovrebbe bastare.»

«Come se a quelli importasse un fico.» La grossa donna sollevò un sopracciglio e sorrise in un modo che Siuan non apprezzò. «Penserò a qualche pretesto, svergognata, e voglio darti un consiglio. Se non abbassi le penne qualche Aes Sedai ti spennerà del tutto. Sono sorpresa che non sia già accaduto. Adesso vai via, levati dai piedi.»

Che creatura odiosa, pensò Siuan. Se ci fosse un modo per riuscirci, le farei assegnare una punizione fino a che gli occhi non le escano dalle orbite. La donna pensava di meritare più rispetto, vero? «Grazie per il tuo aiuto» disse freddamente, rivolgendole una riverenza che sarebbe andata bene in qualsiasi corte. «Sei stata fin troppo gentile.»

Aveva fatto tre passi nella sala comune quando comare Tharne apparve alle sue spalle, alzando la voce in un grido goliardico che sovrastò il rumore. «Una fanciulla timida, quella là! Ha le gambe bianche e slanciate da farvi sbavare tutti quanti e si è messa a gridare come una bambina quando le ho detto che doveva mostrarvele! Si è seduta per terra ed è scoppiata a piangere! I fianchi erano abbastanza rotondi da soddisfare qualsiasi gusto e lei...!»

Siuan inciampò al suono delle risate, senza osservare la scena della donna. Fece altri tre passi con il viso rosso come una barbabietola, quindi iniziò a correre.

Una volta in strada si fermò a riprendere fiato e far calmare l’agitazione. Quella orribile vecchia strega! Avrei dovuto...! Non importava cosa avrebbe dovuto fare, quell’essere disgustoso le aveva detto quanto le serviva. Sallie Daera non era una donna. Solo un’Azzurra lo avrebbe capito, o anche sospettato. Salidar. Il luogo di nascita di Deane Aryman, la Sorella Azzurra che era divenuta Amyrlin dopo Bonwhin e che aveva salvato la Torre dalla rovina nella quale versava. Salidar. Uno degli ultimi posti al mondo dove chiunque cercherebbe un’Aes Sedai, non lontano dall’Amadicia. Due uomini che indossavano dei mantelli candidi e le cotte di maglia lucide cavalcavano in strada nella sua direzione, procedendo riluttanti con i cavalli di fianco ai carri. Figli della Luce. In questi giorni li trovavi ovunque. Abbassando la testa e guardando prudentemente i Manti Bianchi da sotto la falda del cappello, Siuan si avvicinò alla facciata blu e verde della locanda. Nell’oltrepassarla la osservarono — volti severi sotto elmetti conici — e proseguirono.

Siuan si morse le labbra per l’irritazione. Probabilmente arretrando aveva richiamato la loro attenzione. E se le avessero visto il volto? Naturalmente non sarebbe successo nulla. I Manti Bianchi avrebbero provato a uccidere un’Aes Sedai da sola, ma il suo non era più il volto di un’Aes Sedai. Però l’avevano colta mentre cercava di nascondersi ai loro occhi. Se Duranda Tharne non l’avesse sconvolta a quel modo non avrebbe commesso un errore tanto sciocco. Un tempo una sciocchezza come le osservazioni di comare Tharne non l’avrebbero fatta vacillare di un millimetro, quella gigantesca moglie di un pescatore con i capelli tinti non avrebbe osato dire una parola. Se questa bisbetica non apprezza i miei modi, io la... pensava. Ma avrebbe proseguito con la sua missione prima che comare Tharne la prendesse a pugni tanto da non consentirle di sedere in sella. A volte era duro ricordare che i giorni in cui poteva convocare re e regine erano finiti.

Camminando a lunghi passi per la strada guardò con tale intensità i conducenti di carri da frenare i soliti commenti a una ragazza graziosa che andava in giro da sola. Alcuni lo fecero.

Min era seduta su una panca contro il muro dell’affollata sala comune de Il giogo del non cavallo, mentre osservava un tavolo circondato da uomini in piedi, alcuni con delle fruste arrotolate, altri con le spade che li identificavano come guardie dei mercanti. Altri sei sedevano spalla a spalla attorno al tavolo. Riuscì solo a riconoscere Logain e Leane che avevano preso posto dall’altro lato. L’uomo aveva l’espressione contrariata, gli altri che attorniavano Leane pendevano dalle sue labbra sorridenti.

L’aria era densa per via del fumo di pipa e risuonava di chiacchiere che coprivano quasi del tutto la musica del flauto, del tamburello e della canzone di una ragazza che ballava su un tavolo fra i camini di pietra. Il motivo parlava di una donna che cercava di convincere sei uomini che ognuno era l’unico della sua vita. Min la trovava interessante anche quando la faceva arrossire. La cantante di tanto in tanto rivolgeva occhiate di gelosia verso il tavolo affollato. O meglio, contro Leane.

L’alta Domanese comandava già Logain a bacchetta quando erano entrati nel locale e aveva attratto gli uomini come le mosche sul miele con quella camminata ondeggiante e la luce ardente negli occhi. C’era quasi stata una rissa, Logain contro le guardie dei mercanti pronte a menare le mani o le spade, i pugnali erano stati snudati e il robusto proprietario con l’aiuto di due tipi muscolosi era dovuto intervenire con i manganelli. Leane aveva spento gli ardori nello stesso modo in cui li aveva provocati, con un sorriso qui, due parole là o un buffetto su una guancia. Anche il locandiere si era trattenuto per un po’, ammiccando come uno sciocco, fino a quando i clienti lo avevano richiamato. E Leane pensava di avere bisogno di fare pratica. Non era giusto.

Se potessi farlo a un uomo in particolare mi riterrei più che soddisfatta. Forse mi insegnerebbe... Luce, a cosa sto pensando? si chiese Min. Era sempre stata se stessa e gli altri potevano accettarla com’era oppure lasciarla in pace. Adesso stava meditando di cambiare, per un uomo. Era già terribile che dovesse nascondersi dietro un abito invece della giubba e le brache che aveva sempre portato. Ti guarderebbe se indossassi un abito dalla scollatura profonda. Devi mettere in mostra più di quanto abbia Leane, lei... smettila! si apostrofò.

«Dobbiamo andare a sud» le bisbigliò Siuan alle spalle e Min sobbalzò. Non aveva visto la donna entrare. «Adesso.» A giudicare dal luccichio negli occhi azzurri aveva scoperto qualcosa. Se poi l’avrebbe messa a parte di ciò era un’altra questione. Sembrava che si ritenesse ancora l’Amyrlin, la maggior parte del tempo.

«Non possiamo raggiungere nessun luogo con una locanda prima che scenda il buio» rispose Min. «Tanto vale che prendiamo delle stanze per stanotte.» Sarebbe stato piacevole dormire in un letto invece che sotto le siepi e nei fienili, anche se di solito doveva condividerlo con Siuan e Leane. Logain era disposto ad affittare loro delle stanze singole, ma Siuan era parsimoniosa anche quando era Logain a distribuire il denaro.

Siuan si guardò attorno, ma gli avventori presenti nella sala comune che non fissavano Leane ascoltavano la cantante. «È impossibile. Io... credo che alcuni Manti Bianchi potrebbero fare delle domande su di me.»

Min fischiò piano. «A Dalyn non piacerà.»

«Allora non dirglielo.» Siuan scosse il capo vedendo la folla riunita attorno a Leane. «Limitati a dire ad Amaena che dobbiamo andare. La seguirà. Speriamo solo che non lo facciano anche gli altri.»

Min sorrise sarcastica. Siuan poteva anche sostenere che non le importava se Logain aveva preso il comando — Dalyn — ignorandola ogni volta che cercava di fargli fare qualcosa, ma era ancora determinata a rimetterlo in riga.

«Cos’è Il giogo del nono cavallo in ogni caso?» chiese alzandosi in piedi. Era uscita dalla locanda nella speranza che sull’insegna ci fosse un suggerimento, ma c’era scritto solo il nome. «Ho visto dei tiri a otto o dieci, ma mai nove.»

«In questa città» spiegò Siuan compassata, «è meglio non chiedere.» Il rossore improvviso sulle guance di Siuan fece capire a Min che la donna doveva saperlo molto bene. «Valli a chiamare. Dobbiamo percorrere molta strada e non abbiamo tempo da perdere. E non farti sentire da nessuno.»

Min sbuffò piano. Con quel sorrisetto sul volto di Leane nessuno l’avrebbe mai notata. Le sarebbe piaciuto sapere come aveva fatto ad attirare l’attenzione dei Manti Bianchi. Era l’ultima cosa di cui avevano bisogno e non era tipico di lei commettere errori. Voleva riuscire a farsi guardare da Rand come quegli uomini guardavano Leane. Se dovevano cavalcare tutta la notte — e sospettava che lo avrebbero fatto — forse Leane sarebbe stata disposta a spiegarle qualcosa.

Загрузка...