13 Una piccola stanza a Sienda

Mentre la carrozza ondeggiava sulle molle di cuoio, Elayne si sorreggeva cercando di ignorare il volto torvo di Nynaeve di fronte a lei. Le tendine erano aperte malgrado la polvere che a momenti entrava dai finestrini. La brezza allontanava il caldo della tarda serata. Le colline piene di alberi sfrecciavano al loro fianco, le foreste di tanto in tanto erano interrotte da brevi tratti di zone coltivate e fattorie. La residenza di un lord, alla moda di Amadicia, sorgeva in cima ai rilievi ad alcuni chilometri di distanza dalla strada, le fondamenta enormi di pietra alte quindici metri sormontate da elaborate strutture di legno, in cui si distinguevano balconi intarsiati e tetti di tegole rosse. Un tempo sarebbero state interamente di pietra, ma erano trascorsi molti anni da quando un lord aveva avuto bisogno di una fortezza in Amadicia e le leggi del re adesso imponevano una costruzione di legno. Nessun lord ribelle si sarebbe opposto al re a lungo. Naturalmente i Figli della Luce erano esenti da quelle prescrizioni; in realtà, lo erano da un discreto numero di leggi dell’Amadicia. Aveva dovuto imparare qualcosa sulle norme e le usanze di altre nazioni da quando era piccola.

Campi sgombri punteggiavano le colline lontane, come pezze marroni su un tessuto a fondo verde, gli uomini che vi lavoravano sembravano formiche. Tutto appariva riarso, un fulmine avrebbe incendiato qualsiasi cosa per chilometri. Ma il fulmine significava pioggia e le poche nuvole erano troppo alte e rade in cielo perché ciò avvenisse. Si chiese pigramente se avrebbe potuto far piovere, aveva imparato abbastanza bene a controllare il tempo. Era comunque molto difficile dovendo iniziare dal nulla.

«La mia signora è annoiata?» chiese acida Nynaeve. «A giudicare dal modo in cui la mia signora fissa la campagna — dall’alto in basso — credo che la mia signora vorrebbe viaggiare più velocemente.» Voltandosi indietro sollevò un piccolo battente di separazione e urlò: «Più veloce, Thom. Non discutere con me! Anche tu tieni la lingua a freno, Juilin, cacciatore di ladri! Ho detto di andare più veloci!»

Chiuse bruscamente il battente di legno, ma Elayne riusciva ancora a sentire Thom che si lamentava. Probabilmente stava imprecando. Nynaeve aveva gridato contro l’uomo per tutto il giorno. Dopo un momento sentirono schioccare la frusta e la carrozza scattò in avanti anche più rapidamente, rullando così forte che entrambe le donne rimbalzarono sui sedili di seta dorata. Il tessuto era stato spolverato a fondo quando Thom aveva comperato la carrozza, ma l’imbottitura si era ormai indurita. Eppure, anche se sballottata, dalla sua espressione appariva chiaro che non avrebbe chiesto a Thom di andare più piano subito dopo avergli ordinato di andare più veloce.

«Ti prego Nynaeve» disse Elayne. «Io...»

L’altra donna la interruppe. «La mia signora sta scomoda? So che le dame sono abituate agli agi, quel tipo di cose che una povera cameriera non può conoscere, ma certamente la mia signora vorrà raggiungere la prossima città prima che sia notte. Così la cameriera della signora potrà servirle la cena e prepararle il letto.» I denti le schioccarono a un forte sobbalzo del sedile e guardò furiosa Elayne come se fosse stata colpa sua.

Elayne sospirò profondamente. Nynaeve aveva capito le ragioni di quella suddivisione, a Mardecin. Una dama non viaggiava mai senza una cameriera e due dame assieme probabilmente ne avrebbero avute una coppia. A meno che non avessero fatto indossare a Thom e Juilin un vestito adatto, doveva essere una di loro due. Nynaeve ammetteva che Elayne non ignorava come si comportano le dame. La proposta era stata formulata con cortesia e Nynaeve di solito ne riconosceva una sensata quando la sentiva. Ma questo era avvenuto nel negozio di comare Macura, dopo che avevano riempito le due donne con la loro orribile pozione.

Dopo aver lasciato Mardecin, avevano viaggiato a ritmo serrato fino a mezzanotte per raggiungere un piccolo villaggio con una locanda, dove avevano svegliato il proprietario per affittare due stanze con dei letti piccoli, alzandosi poi alle prime luci dell’alba per proseguire, passando alcuni chilometri lontano da Amador. Chiunque le avrebbe prese per quello che proclamavano di essere, a prima vista, ma nessuna delle due si sentiva a suo agio attraversando una città piena di Manti Bianchi. La Fortezza della Luce si trovava ad Amador. Elayne aveva sentito dire che c’era un re in Amador, ma che governava Pedron Niall.

I guai erano iniziati la notte prima, a Bellon, lungo un torrente fangoso chiamato il fiume di Gaean, a circa trenta chilometri oltre la capitale. La locanda del guado di Bellon era più grande della prima e comare Alfara, la locandiera, aveva offerto a lady Morelin una stanza da pranzo privata, cosa che Elayne non aveva potuto rifiutare. Comare Alfara era sicura che solo la cameriera di lady Morelin, Nana, fosse in grado di servirla a dovere. Le dame volevano le cose a modo loro, sosteneva, come era giusto che fosse, e le sue ragazze non erano abituate alle nobili. Nana avrebbe saputo esattamente in che maniera doveva essere fatto il letto di lady Morelin e le avrebbe preparato un bel bagno caldo dopo un giorno di duro viaggio. La lista di servizi che Nana avrebbe saputo esattamente come fare per la sua signora era infinita.

Elayne non era certa se la nobiltà di Amadicia si aspettasse che le locandiere facessero lavorare la cameriera di una dama forestiera. Aveva tentato di evitarlo, ma Nynaeve l’aveva coperta di ‘come desideri’ e ‘la signora è molto particolare’. Stavano cercando di non attirare l’attenzione.

Per tutto il tempo che si erano trattenuti a Bellon, Nynaeve si era comportata come una perfetta cameriera, in pubblico. In privato era tutta un’altra faccenda. Elayne desiderava che tornasse a essere se stessa invece di tormentarla con la storia della cameriera della signora proveniente dalla Macchia. Alle sue scuse aveva risposto con «la mia signora è troppo gentile» o semplicemente le aveva ignorate. Non mi giustificherò di nuovo, pensò per la quindicesima volta Elayne. Non per qualcosa che non è dipeso da me.

«Nynaeve, ho riflettuto a lungo.» Mentre si sosteneva a una maniglia si sentiva come la palla in quel gioco per bambini che ad Andor chiamavano ‘rimbalza’, in cui si cerca di far rimbalzare una palla colorata di legno su una racchetta. Non avrebbe chiesto che la carrozza rallentasse. Poteva sopportare fino a quando ci riusciva Nynaeve. Quella donna era così testarda! «Voglio raggiungere Tar Valon e scoprire cosa è successo, ma...»

«La mia signora ha pensato? La mia signora adesso deve avere un forte mal di testa a seguito dello sforzo. Preparerò per la mia signora un delizioso infuso di radice di linguapecora e margherite rosse non appena...»

«Fai silenzio, Nana» la interruppe Elayne, calma ma con fermezza. Era la migliore imitazione della madre che le fosse riuscita. Nynaeve rimase a bocca aperta. «Se ti azzardi a tirare la treccia in segno di rabbia contro di me, continuerai il viaggio sul tetto assieme al bagaglio.» Nynaeve emise un verso strozzato, sforzandosi di parlare, senza riuscirvi. Molto bene. «A volte mi consideri ancora una bambina, ma sei tu che ti stai comportando come tale. Non ti ho chiesto di lavarmi la schiena, ma avrei dovuto lottare per fermarti. Ricordati che mi sono offerta di fare lo stesso per te in cambio, e di dormire nel letto scomodo, ma tu ti ci sei infilata e non hai voluto uscirne. Smettila di tenermi il broncio. Se preferisci alla prossima locanda la faccio io la cameriera.» Probabilmente sarebbe stato un disastro. Nynaeve avrebbe sgridato Thom in pubblico o preso qualcuno per le orecchie. Ma andava bene, tutto pur di avere un po’ di pace. «Possiamo fermarci adesso e cambiarci fra gli alberi.»

«Abbiamo scelto vestiti della tua misura» mormorò l’altra donna dopo un momento. Aprendo di nuovo il battente di legno gridò: «Rallenta! Stai cercando di ammazzarci? Sciocco di un uomo!»

A cassetta regnava un silenzio mortale mentre la carrozza rallentava a un passo più ragionevole, ma Elayne avrebbe scommesso che i due uomini stavano parlando. Si sistemò i capelli meglio che poteva senza l’ausilio di uno specchio. Era ancora meravigliata di vedere i riccioli neri quando si guardava in uno specchio. Anche il vestito di seta verde avrebbe avuto bisogno di essere spolverato.

«A cosa stavi pensando, Elayne?» chiese Nynaeve. Aveva le guance rosse. Si rendeva conto che l’amica aveva ragione, ma ritornare sui suoi passi sarebbe stato il massimo delle scuse che le avrebbe rivolto.

«Ci stiamo precipitando a Tar Valon, ma sappiamo davvero cosa ci aspetta nella Torre? Se l’Amyrlin ha davvero emanato quegli ordini... Non ci credo sul serio e non riesco a capirli, ma non intendo entrare nella Torre fino a quando non lo scopro. ‘Solo uno sciocco mette una mano in un albero cavo senza prima vedere cosa c’è dentro’.»

«Lini è una donna saggia» osservò Nynaeve. «Potremmo capire di più se vedremo un altro mazzo di fiori gialli appesi sottosopra, ma fino a quel momento credo che dovremmo comportarci come se fosse l’Ajah Nera che ha in pugno la Torre.»

«Ormai comare Macura avrà inviato un altro piccione a Narenwin. Con la descrizione di questa carrozza, gli abiti che abbiamo preso e probabilmente anche quella di Thom e Juilin.»

«Non possiamo farci nulla. Non sarebbe accaduto se non ce ne fossimo andate in giro per Tarabon. Avremmo dovuto prendere una nave.» Elayne la guardò a bocca aperta a quel tono accusatorio e Nynaeve ebbe la grazia di arrossire di nuovo. «Be’, quel che è fatto è fatto. Moiraine conosce Siuan Sanche. Egwene potrebbe chiederle se...»

La carrozza si fermò di colpo, scaraventando Elayne in avanti, addosso a Nynaeve. Avvertiva il nitrito dei cavalli e l’agitazione mentre si alzava convulsamente, come anche Nynaeve.

Abbracciando saidar sporse il capo dal finestrino e rilasciò, di nuovo sollevata. C’era qualcosa di simile a quanto aveva visto attraversando Caemlyn più di una volta. Un serraglio ambulante era accampato fra le ombre pomeridiane in un’ampia radura di fianco alla strada. Un grande leone con il manto nero era mezzo addormentato in una gabbia che occupava tutto il retro di un carro, mentre le due compagne si muovevano in un’altra. Una terza gabbia era aperta e davanti a essa una donna faceva stare in equilibrio su una grande palla rossa due orsi neri con il muso bianco. In un’altra c’era quello che sembrava un grosso cinghiale irsuto, a parte il muso troppo appuntito e gli artigli alle zampe. Proveniva dal deserto aiel, questo lo sapeva, e si chiamava capar. In ulteriori gabbie vi erano ancora animali e uccelli variopinti, ma a differenza degli altri serragli, questo viaggiava anche con degli artisti. Due uomini facevano roteare fra loro dei cerchi di vimini con dei nastri intrecciati, quattro acrobati si esercitavano a stare in piedi uno sulle spalle dell’altro fino a formare un’alta colonna e una donna dava da mangiare a una dozzina di cani che camminavano sulle zampe posteriori ed eseguivano dei salti all’indietro a comando. Più indietro altri uomini stavano montando due alti pali, ma non aveva idea a cosa servissero.

Non era stato questo a far imbizzarrire i cavalli, a fargli roteare gli occhi malgrado il controllo che aveva Thom con le redini. Anche lei poteva sentire l’odore dei leoni, ma erano i tre enormi animali grigi e rugosi che i cavalli guardavano con espressione selvaggia. Due erano alti come la carrozza, con grandi orecchie e delle lunghe zanne arcuate ai lati di un lungo naso che pendeva verso il suolo.

Il terzo, più piccolo dei cavalli anche se più pesante, non aveva le zanne. Forse un cucciolo. Una donna con i capelli biondo chiaro lo stava grattando dietro l’orecchio con un bastone uncinato. Anche Elayne aveva visto creature simili prima d’ora, ma non si aspettava di rivederli.

Un uomo alto dai capelli scuri uscì dal campo, con tutto quel caldo indossava un mantello di seta rossa che svolazzò mentre lui rivolgeva loro un elegante inchino. Era di bell’aspetto, con le gambe robuste e ben consapevole della bellezza delle due donne. «Perdonami mia signora, se i giganteschi cinghiali-cavalli hanno spaventato i tuoi animali.» Mentre si raddrizzava fece cenno a due uomini di aiutare a calmare i cavalli, quindi si fermò un istante a fissarla e mormorò, «Resta immobile, cuor mio.» Lo disse a voce abbastanza alta per essere certo che Elayne sentisse. «Mi chiamo Valan Luca, mia signora, un eccezionale impresario. La tua presenza mi travolge.» Fece un altro inchino, anche più elaborato del primo.

Elayne scambiò un’occhiata con Nynaeve, scorgendo lo stesso sorriso divertito. Un uomo molto pieno di sé, questo Valan Luca. I suoi aiutanti sembravano molto bravi a calmare i cavalli, che ancora sbuffavano e scalciavano, ma non avevano più gli occhi sgranati. Thom e Juilin fissavano gli strani animali quasi allo stesso modo dei cavalli.

«Cinghiali-cavalli, mastro Luca?» chiese Elayne. «Da dove provengono?»

«Cinghiali-cavalli giganti, mia signora» fu la pronta risposta, «dalla favolosa Shara, dove io in persona ho guidato una spedizione in una foresta selvaggia popolata da strane civiltà e paesaggi anche più strani, solo per catturarli. Sarei lieto di poterti raccontare di loro. Gente gigantesca, grande due volte un Ogier.» Accompagnò la frase con un ampio gesto. «Creature senza testa. Uccelli così enormi da poter trasportare un toro adulto. Serpenti in grado di ingoiare un uomo. Città d’oro. Scendi mia signora, e lascia che ti racconti.»

Elayne non aveva dubbi che Luca fosse estasiato dalle proprie storie, ma dubitava che quegli animali provenissero da Shara. Per prima cosa, anche il Popolo del Mare non vedeva di Shara altro che le mura e i cancelli dietro ai quali era confinato. Chiunque li oltrepassasse non faceva ritorno. Gli Aiel ne sapevano poco di più. Inoltre lei e Nynaeve avevano incontrato creature simili a Falme, durante l’invasione seanchan. Quelli li usavano come animali da lavoro e da combattimento.

«Non credo, mastro Luca» rispose Elayne.

«Allora lasciaci esibire per te» ribatté rapido. «Come puoi vedere non è un serraglio ambulante ordinario, ma qualcosa di completamente nuovo. Un’esibizione privata. Acrobati, giocolieri, animali ammaestrati, l’uomo più forte del mondo. Anche i fuochi d’artificio. Abbiamo un Illuminatore con noi. Ci stiamo dirigendo nel Ghealdan e domani saremo lontani. Ma per una miseria...»

«La mia padrona ha detto che non crede di volerlo» intervenne Nynaeve. «Ci sono modi migliori in cui intende spendere i suoi soldi, piuttosto che guardare qualche animale.» In realtà era lei ad amministrare il denaro, spendendo con riluttanza solo quando serviva. Sembrava del parere che tutto dovesse costare come nei Fiumi Gemelli.

«Perché vuoi andare nel Ghealdan, mastro Luca?» chiese Elayne. L’altra donna aveva creato un clima teso e adesso toccava a lei appianare tutto. «Ho sentito dire che la situazione è brutta da quelle parti. Pare che l’esercito non abbia fermato l’uomo che si fa chiamare il Profeta, con le sue prediche sul Drago Rinato. Certamente non vorrai viaggiare attraverso delle sommosse.»

«Credo che sia un’esagerazione, mia signora. Un’esagerazione. Dove ci sono delle folle, la gente vuole essere intrattenuta, e dove la gente vuole essere intrattenuta, il mio spettacolo è sempre il benvenuto.» Luca esitò, quindi avanzò di un passo per avvicinarsi alla carrozza. Negli occhi c’era dell’imbarazzo, mentre guardava Elayne. «Mia signora, la verità è che mi faresti un gran favore permettendomi di eseguire lo spettacolo per te. Il fatto è che uno dei cinghiali-cavalli ha causato qualche problema nella città all’inizio della strada. È stato un incidente» aggiunse velocemente. «Te lo garantisco. Sono creature gentili. Niente affatto pericolose. Ma non solo la gente di Sienda non vuole che allestisca lo spettacolo, o venire qui... be’, ho dovuto spendere tatto il denaro che avevo per pagare i danni e le multe.» Valan trasalì. «In particolar modo le multe. Se mi consenti di intrattenerti, davvero per una cifra ridicola, ti nominerò patrocinatrice del mio spettacolo anche se attraversassimo il mondo, diffondendo la fama della tua generosità, mia signora...»

«Morelin» rispose. «Lady Morelin della casata Samared.» Con i capelli di un altro colore poteva passare per Cairhienese. Non aveva il tempo di assistere allo spettacolo, anche se in un altro momento lo avrebbe gradito, per cui glielo disse aggiungendo, «Ma voglio venirti incontro, se non hai denaro. Dagli qualcosa, Nana, per aiutarlo ad arrivare nel Ghealdan.» L’ultima cosa che desiderava era che l’uomo diffondesse la sua fama, ma soccorreva i poveri e i bisognosi era un dovere a cui non si sarebbe sottratta quando aveva i mezzi per intervenire, anche in una terra straniera.

Brontolando Nynaeve prese un sacchetto dalla cintura e vi frugò. Si sporse abbastanza dalla carrozza per stringere la mano di Luca attorno a quanto stava offrendo. Sembrò stupito quando questa disse: «Se ti trovassi un lavoro decente, non dovresti elemosinare. Vai avanti, Thom!»

La frusta di Thom schioccò ed Elayne ricadde indietro sul sedile. «Non dovevi essere sgarbata» disse. «O così brutale. Che cosa gli hai dato?»

«Una moneta d’argento» rispose Nynaeve con calma, rimettendo a posto il sacchetto col denaro. «Più di quanto si meritava.»

«Nynaeve» si lamentò Elayne. «Adesso l’uomo penserà che ci stavamo prendendo gioco di lui.»

Nynaeve tirò su con il naso. «Con quelle spalle una buona giornata di lavoro non lo ucciderà.»

Elayne rimase in silenzio, ma non era d’accordo. Non del tutto. Di sicuro il lavoro non avrebbe nuociuto all’uomo, ma non credeva che ce ne fosse molto. Non che mastro Luca accetterebbe un’occupazione che non gli permettesse di indossare quella mantella, pensò. Se ne avesse parlato però probabilmente Nynaeve avrebbe iniziato una discussione. Quando le faceva gentilmente presenti cose che lei ignorava, la donna si metteva ad accusarla di avere delle maniere arroganti, o di salire in cattedra, e Valan Luca non valeva un altro alterco immediatamente dopo aver regolato il precedente.

Quando raggiunsero Sienda le ombre si allungavano su un grande villaggio con due locande e le case di pietra coi tetti in paglia. La prima locanda, Il lanciere del re, aveva uno squarcio al posto della porta anteriore e una folla stava osservando i muratori che eseguivano le riparazioni. Forse al ‘cinghiale-cavallo’ di mastro Luca non era piaciuta l’insegna, che adesso era appoggiata di fianco all’apertura, con l’immagine di un soldato alla carica con una lancia abbassata. Sembrava che fosse stata divelta.

Sorprendentemente c’erano anche più Manti Bianchi fra le strade polverose e affollate che a Mardecin, e anche altri soldati, con la cotta di maglia ed elmetti conici di acciaio, sui mantelli blu avevano ricamata la stella e il cardo dell’Amadicia. Probabilmente da qualche parte c’era una guarnigione. Gli uomini del re e i Manti Bianchi non sembravano piacersi a vicenda. O si muovevano come se colui che indossava il mantello del colore sbagliato non esistesse, oppure si scambiano sguardi di sfida e poco mancava che impugnassero le spade. Alcuni uomini con i mantelli bianchi avevano dei pastorali rossi dietro il ricamo del sole raggiato. La Mano della Luce, così si facevano chiamare, la mano che ricercava la verità, ma tutti gli altri li chiamavano gli Inquisitori. Anche gli altri Manti Bianchi si tenevano alla larga da loro.

Quello spettacolo fu sufficiente a far contorcere lo stomaco di Elayne. Rimaneva probabilmente un’altra ora di luce, forse nemmeno quella, anche considerando che era estate e il sole tramontava più tardi. Se pure avessero viaggiato per metà della notte non avevano garanzie di trovare un’altra locanda, e avrebbero potuto attirare l’attenzione, e inoltre quel giorno avevano dei buoni motivi per fermarsi presto.

Scambiò un’occhiata con Nynaeve e, dopo un momento, l’atra donna annuì e disse: «Dobbiamo fermarci.»

Quando la carrozza si arrestò davanti alla Luce della verità, Juilin scese agilmente per aprire la portiera e Nynaeve attese con sguardo deferente che aiutasse Elayne a scendere. Nynaeve lanciò un sorriso a Elayne, non si sarebbe rimessa a fare i capricci. La sacca di pelle che si gettò dietro le spalle sembrava inappropriata, ma non troppo, almeno così sperava Elayne. Adesso che Nynaeve aveva di nuovo acquistato erbe e unguenti, non voleva perderli d’occhio.

Dopo aver visto l’insegna della locanda — un sole dorato ardente come quello che avevano i Figli sul petto — provò il desiderio che il ‘cinghiale-cavallo’ avesse causato l’incidente in questo posto invece che nell’altro. Almeno dietro di esso non vi era un pastorale. La metà degli uomini che riempivano la sala comune indossavano mantelli bianchi candidi e gli elmetti erano appoggiati sui tavoli di fronte a loro. La donna inspirò profondamente e dovette mantenere saldo il controllo per non girare su se stessa e correre via.

A parte i soldati, era una locanda piacevole, con alti soffitti a travi e dei pannelli scuri lucidati. Dei rami verdi decoravano i due grandi camini spenti e un buon odore di cibo proveniva dalle cucine. Le inservienti con i grembiuli bianchi sembravano ospitali mentre si affrettavano fra i tavoli con vassoi pieni di vino, birra e cibo.

L’arrivo di una dama aveva creato poca agitazione, così vicino alla capitale. O forse dipendeva dal fatto che ci fosse la residenza del lord. Alcuni uomini la guardarono, la maggior parte manifestando interesse per la ‘cameriera’, anche se lo sguardo severo di Nynaeve li fece voltare velocemente verso i loro tavoli. Nynaeve pareva convinta che un uomo commettesse un crimine a guardarla, anche se non diceva nulla e non le rivolgeva occhiate maliziose. Dato che la pensava a questo modo, Elayne a volte si chiedeva perché l’amica non indossasse abiti meno provocanti. Aveva dovuto lavorare parecchio per accertarsi che il semplice abito grigio le calzasse a pennello. Nynaeve non era brava con l’ago quando doveva fare lavori di fino.

La locandiera, comare Jharen, era una donna paffuta con dei lunghi riccioli grigi, un sorriso caldo e scuri occhi indagatori. Elayne sospettava che avrebbe notato un orlo consumato o un sacchetto di denaro vuoto a dieci passi di distanza.

Avevano ovviamente superato l’esame perché la donna rivolse loro una profonda riverenza, allargando la gonna bigia, e le accolse calorosamente, chiedendo se la signora si stesse dirigendo ad Amador, o ne provenisse.

«Ne proveniamo» rispose Elayne con languida fierezza. «Nella città c’erano bei ricevimenti e re Ailron è attraente come si dice, cosa che non è sempre vera per i re, ma devo tornare alla mia residenza. Desidero avere una stanza per me e Nana e qualcosa per il maggiordomo e il conducente.» Pensando a Nynaeve e al lettino dell’altra locanda aggiunse, «Voglio due letti grandi. Ho bisogno che Nana mi sia vicina e se viene confinata in un lettino mi terrà sveglia con il suo russare.» L’espressione rispettosa di Nynaeve vacillò, fortunatamente solo per una frazione di secondo, ma era proprio così. La donna aveva russato in modo terribile.

«Ma certo, mia signora,» rispose la paffuta locandiera. «Ho proprio quello che ti serve. Però i tuoi uomini dovranno accontentarsi del fienile nella stalla. La locanda è piena, come puoi vedere. Un gruppo di vagabondi ieri ha portato degli orribili grossi animali nel villaggio e uno di loro ha praticamente distrutto la locanda de Il lanciere del re. Il povero Sim ha perso più della metà dei clienti e sono venuti tutti qui.» Il sorriso di comare Jharen era più di soddisfazione che di commiserazione. «Comunque mi è rimasta una stanza libera.»

«Sono sicura che andrà benissimo. Se mi mandi in camera un pasto leggero e dell’acqua per lavarmi, credo che mi ritirerò presto.» Dalle finestre filtrava ancora la luce del sole, ma Elayne si portò delicatamente una mano davanti alla bocca come per voler trattenere uno sbadiglio.

«Ma certo, mia signora, come desideri. Da questa parte.»

Comare Jharen sembrava convinta di dover intrattenere Elayne mentre la accompagnava al secondo piano. Continuò a parlare tutto il tempo della folla nella locanda e di quanto fosse miracoloso che le fosse rimasta una stanza, dei nomadi con gli animali e di come li avevano inseguiti fuori dalla città per liberarsene, dei nobili che erano scesi alla sua locanda durante gli anni, una volta addirittura il lord capitano Comandante dei Figli. Il giorno prima si era fermato un Cercatore del Corno che stava recandosi a Tear, dove si diceva la Pietra di Tear fosse caduta nelle mani di un falso Drago, non era altamente immorale che gli uomini potessero fare una cosa simile?

«Spero che non lo trovino mai.» I ricci della locandiera ondeggiarono mentre scuoteva il capo.

«Il Corno di Valere?» chiese Elayne. «Perché no?»

«Perché, mia signora, se lo trovano significa che l’Ultima Battaglia è vicina. Che il Tenebroso sta liberandosi.» Comare Jharen rabbrividì.

«La Luce voglia che il Corno non venga mai ritrovato. In questo modo non potrà mai esserci l’Ultima Battaglia, giusto?» Non sembrava vi fosse risposta per una tale logica curiosa.

La camera era piccola, ma non minuscola. Due letti angusti con le coperte a righe si trovavano ai lati di una finestra che si affacciava sulla strada, con poco più di un passo a separarli tra loro e dalle pareti intonacate. Su un tavolino erano poggiate una lampada e una scatola con l’acciarino, proprio fra i due letti, un sottile tappeto con motivi floreali e un lavabo sormontato da un piccolo specchio a completare l’arredamento. Quantomeno tutto era pulito e ben lucidato.

La locandiera rimise in forma i cuscini e sistemò i copriletti, spiegando che i materassi erano delle migliori piume d’oca e che gli uomini della signora le avrebbero dovuto portare i bagagli usando le scale posteriori, una questione di riservatezza. Se la signora avesse aperto la finestra e lasciato la porta socchiusa, di notte sarebbe entrata una piacevole brezza. Come se Elayne potesse dormire con la porta aperta in un luogo pubblico! Due ragazze con i grembiuli arrivarono recando una grande brocca blu di acqua fumante e un ampio vassoio laccato coperto da un panno bianco prima che Elayne riuscisse a liberarsi di comare Jharen. Sotto il panno si intravedevano le sagome di una caraffa di vino e due tazze.

«Penso abbia creduto che saremmo andate al lanciere del re anche con un buco nel muro» disse, una volta che la porta fu chiusa. Guardandosi attorno nella stanza fece una smorfia. Non c’era abbastanza posto per loro e il bagaglio. «Non sono sicura che non dovremmo farlo.»

«Io non russo» fu la risposta di Nynaeve con la voce tesa.

«Certo che no. Ma dovevo pur dire qualcosa.»

Nynaeve sbuffò, ma si limitò a replicare: «Sono contenta di essere abbastanza stanca da riuscire a dormire. A parte la radice biforcuta non ho riconosciuto nulla che conciliasse il sonno fra le erbe che aveva quella Macura.»

Thom e Juilin furono costretti a fare tre viaggi per portare su i bauli, sempre borbottando, come facevano gli uomini, perché ci fu da trasportarli per delle scale strette sul retro della locanda. Stavano lamentandosi anche di dover dormire nelle stalle quando portarono il primo baule con le maniglie a forma di foglia. Conteneva i soldi e gli oggetti di valore, inclusi i ter’angreal che avevano recuperato, ma dopo aver dato un’occhiata alla stanza si scambiarono uno sguardo di intesa e tacquero. Almeno su questo.

«Andiamo a vedere se c’è qualcosa di interessante nella sala comune» annunciò Thom una volta che l’ultimo baule fu nella stanza. Adesso era rimasto poco spazio per raggiungere il lavabo.

«Forse faremo anche un giro per il villaggio» aggiunse Juilin. «Gli uomini parlano quando il tipo di scontento che ho visto è così diffuso.»

«Benissimo» rispose Elayne. Volevano davvero credere di avere altro da fare che trasportare bagagli. Era andata così a Tanchico — e a Mardecin — e forse sarebbe accaduto ancora, ma non qui. «Attenzione a non cacciarvi nei guai con i Manti Bianchi.» I due uomini si scambiarono una lunga occhiata sofferente, come se Elayne non li avesse visti tornare entrambi con i lividi e i volti sanguinanti dalle loro sortite alla ricerca di informazioni, ma li aveva perdonati e sorrise a Thom. «Non vedo l’ora di sentire cosa hai scoperto.»

«Domattina» intervenne Nynaeve con fermezza. Si sforzava tanto di non guardare Elayne che probabilmente aveva lo sguardo furioso. «Se ci disturbi prima che sia giorno per qualcosa di meno grave dei Trolloc, peggio per voi.»

L’occhiata che si scambiarono i due uomini fu più che eloquente — Nynaeve sollevò il sopracciglio — ma una volta date loro con riluttanza alcune monete, i due andarono via concordando che le avrebbero lasciate dormire indisturbate.

«Se non posso nemmeno parlare a Thom...» iniziò Elayne quando i due si furono allontanati, ma Nynaeve la interruppe.

«Non voglio che entrino mentre dormo e sono in camicia da notte.» La donna stava sbottonandosi goffamente l’abito dietro le spalle. Elayne avanzò per aiutarla e questa le disse: «Posso continuare da sola. Prendi l’anello per me.»

Tirando su con il naso, Elayne sollevò la gonna per raggiungere la piccola tasca che aveva cucito all’interno. Se Nynaeve voleva essere scontrosa, che lo facesse. Non avrebbe risposto alla provocazione nemmeno se avesse ricominciato a lamentarsi. Nella tasca c’erano due anelli. Lasciò il Gran Serpente d’oro che aveva ricevuto quando era stata promossa Ammessa e prese quello di pietra.

Era tutto punteggiato e a strisce azzurre, marroni e rosse, troppo largo per essere un anello da dito, oltre a essere piatto e ritorto. Per quanto sembrasse strano, l’anello aveva un solo bordo. Un dito fatto scorrere su di esso sarebbe passato all’esterno e all’interno prima di ritornare al punto di partenza. Era un ter’angreal e permetteva l’accesso al tel’aran’rhiod, anche per chi non aveva il talento di Egwene e le camminatrici dei sogni aiel. Dovevano solo dormire con l’oggetto a contatto della pelle. A differenza dei due ter’angreal che avevano recuperato dall’Ajala Nera, non richiedeva che incanalassero. Per quanto ne sapeva Elayne, anche un uomo avrebbe potuto usarlo.

Con indosso solo la camicia da notte di lino, Nynaeve unì l’anello di pietra al laccio dal quale pendevano l’anello d’oro a sigillo di Lan e il Gran Serpente, quindi rifece il nodo e se lo rimise al collo prima di sdraiarsi su uno dei letti. Sistemando con cura l’anello a contatto con la pelle, appoggiò la testa sul cuscino.

«Abbiamo tempo prima che Egwene e le Sapienti giungano?» chiese Elayne. «Non riesco mai a calcolare che ora è nel deserto.»

«Abbiamo tempo a meno che non arrivi prima, cosa che non avverrà. Il guinzaglio delle Sapienti è molto corto. Le farà bene, a lungo termine. È sempre stata testarda.» Nynaeve aprì gli occhi, guardandola come se valesse anche per lei.

«Ricorda a Egwene di riferire a Rand che lo penso.» Non avrebbe lasciato che la donna iniziasse una lite. «Raccomandale di... riferire che lo amo, lui e solo lui.» Ecco. L’aveva detto.

Nynaeve roteò gli occhi verso l’alto in maniera molto offensiva. «Se lo desideri» rispose acida, sistemandosi sul cuscino.

Mentre il respiro dell’altra si placava, Elayne mise uno dei bauli contro la porta e si sedette ad aspettare. Odiava farlo. Se lo meritava Nynaeve se se ne fosse andata nella sala comune. Probabilmente Thom era ancora lì e... e niente. In teoria era il conducente della carrozza. Si chiese se Nynaeve ci avesse pensato prima di accettare di fare la cameriera. Sospirando si appoggiò alla porta. Odiava davvero aspettare.

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