7 Un recinto per capre

Il cielo del Ghealdan era privo di nuvole e sulle colline boscose il feroce sole del mattino batteva come un martello. Non era ancora mezzogiorno, e già il caldo era soffocante. Pini ed ericacee si stavano ingiallendo per via della siccità, e la stessa sorte stava capitando ad altri alberi che, sospettava Perrin, avrebbero dovuto essere dei sempreverdi. Non c’era un refolo di vento. Il sudore che gli colava dalla fronte scendeva fino alla barba corta. I capelli ricci erano appiccicati alla testa. Gli parve di sentire un tuono da qualche parte a occidente, ma ormai aveva quasi smesso di sperare nella pioggia. Batti il ferro che c’è sull’incudine invece di sognare di lavorare l’argento.

Dall’alto di un pendio poco alberato, osservò attraverso un cannocchiale di ottone la città di Bethal con la sua cinta di mura. Nonostante la sua ottima vista, data la distanza quello strumento gli era comunque utile. La città era grande e gli edifici avevano i tetti di tegole; c’era anche una mezza dozzina di alte strutture in pietra che potevano essere i palazzi di nobili minori o le case di ricchi mercanti. Perrin non riusciva a vedere bene la bandiera scarlatta che pendeva floscia in cima alla torre più alta del palazzo più grosso, l’unica in vista, ma sapeva a chi apparteneva. Alliandre Maritha Kigarin, regina del Ghealdan, lontana da Jehannah, la capitale.

Le porte della città erano aperte, ognuna protetta da almeno una ventina di guardie, ma nessuno ne usciva e le strade che lui poteva vedere erano vuote, tranne che per un cavaliere solitario che da nord galoppava veloce verso Bethal. I soldati erano nervosi, alcuni mossero la picca o l’arco alla vista del cavaliere, quasi brandisse una spada sporca di sangue. Altri soldati di guardia affollavano le torri o marciavano sulle mura. E anche lassù in molti incoccarono le frecce o sollevarono le balestre. Anche lassù regnava la paura.

Una tempesta si era abbattuta su quella zona del Ghealdan. E imperversava ancora. Le bande del Profeta creavano scompiglio, i banditi ne approfittavano e i Manti Bianchi che facevano incursioni oltre i confini con l’Amadicia potevano facilmente spingersi fin lì. Le sparse colonne di fumo a sud con ogni probabilità contrassegnavano fattorie in fiamme, opera dei Manti Bianchi o del Profeta. I banditi non perdevano tempo ad appiccare incendi, e in ogni caso gli altri due lasciavano ben poco. Come se la situazione non fosse già abbastanza ingarbugliata, in tutti i villaggi che aveva attraversato negli ultimi giorni Perrin aveva sentito dire che Amador era caduta, per mano del Profeta, dei Tarabonesi o delle Aes Sedai, a seconda di chi raccontava la storia. Alcuni sostenevano che Pedron Niall in persona era morto nel tentativo di difendere la città. Tutto considerato, la regina faceva più che bene a preoccuparsi per la propria incolumità. Ma forse i soldati erano laggiù proprio per Perrin. Per quanto si fosse sforzato, il suo viaggio a sud non era passato inosservato.

Si grattò la barba, riflettendo. Era un peccato che i lupi sulle colline circostanti non potessero dirgli nulla, ma raramente prestavano attenzione alle faccende dell’uomo, se non per tenersene alla larga. Inoltre, dopo quanto era successo ai Pozzi di Dumai, Perrin non se la sentiva di chiedere ai lupi più di quanto era strettamente necessario. Dopo tutto, forse era meglio entrare in città da solo, con appena una manciata di uomini dei Fiumi Gemelli.

Perrin si ritrovava spesso a pensare che Faile potesse leggergli nella mente, di solito nei momenti meno opportuni, e lei gliene diede subito una dimostrazione, spronando Rondine, la sua giumenta nera come la notte, e portandola vicina al suo cavallo pomellato. Faile indossava un vestito da cavallerizza con la gonna stretta e divisa e scuro quasi come il manto della sua cavalcatura, eppure sembrava reagire meglio di Perrin al caldo. Profumava di sapone alle erbe e sudore su una pelle pulita. Era il suo odore.

Odore di determinazione. Gli occhi oblunghi erano molto decisi e, insieme al suo naso importante, la rendevano davvero simile a un falco, l’uccello dal quale derivava il suo nome.

«Non mi piacerebbe vedere dei buchi in quella bella giubba azzurra, marito,» disse piano, facendosi sentire solo da lui «e quei tizi laggiù sembrano pronti a tirare frecce a un gruppo di stranieri prima di chiedere informazioni. Inoltre, come faresti a raggiungere Alliandre senza annunciare al mondo intero il tuo nome? Questa cosa va fatta in silenzio, ricorda.» Non aveva detto che in realtà doveva andare lei perché le guardie ai cancelli vedendo una donna avrebbero pensato a una profuga che scappava dai problemi e perché lei poteva arrivare alla regina usando il nome di sua madre senza destare troppe attenzioni, ma non c’era davvero bisogno che lo dicesse. Perrin aveva sentito quei discorsi ogni notte da quando erano entrati nel Ghealdan. E se erano lì era anche per la cauta lettera di Alliandre a Rand, una proposta di... aiuto? Alleanza? La riservatezza era stata la principale caratteristica di quella lettera.

Secondo Perrin neanche Aram, seduto in groppa al suo grigio macilento pochi passi più indietro, poteva aver sentito la voce di Faile; eppure, prima ancora che lei finisse di parlare, Berelain portò la sua giumenta bianca accanto a Perrin, dall’altro lato, col sudore che le imperlava le guance. Anche il suo odore era di determinazione, quando era possibile percepirlo attraverso la nube di profumo di rosa. Almeno, a Perrin sembrava una nube.

Per una volta, il suo vestito verde da cavallerizza non mostrava più pelle del dovuto.

I due accompagnatori di Berelain rimasero indietro, anche se Annoura, l’Aes Sedai sua consigliera, fissava Perrin con un’espressione illeggibile negli occhi sormontati da una massa di trecce sottili lunghe fino alle spalle e decorate con perline. Non guardava le due donne al suo fianco, ma solo lui. E senza sudare. Perrin avrebbe voluto essere abbastanza vicino alla sorella Grigia dal naso adunco per poter sentire il suo odore: a differenza delle altre Aes Sedai, lei non aveva promesso niente a nessuno. Per quanto potessero valere le promesse delle altre. Lord Gallenne, comandante delle Guardie Alate di Berelain, era impegnato a studiare Bethal attraverso un cannocchiale accostato al suo unico occhio, e giocherellava con le redini in un modo che, come Perrin aveva ormai capito, significava che era assorto in pensieri e calcoli. Con ogni probabilità stava ragionando su come prendere Bethal con la forza; Gallenne vedeva sempre per prima la possibilità peggiore.

«Continuo a pensare che dovrei essere io a contattare Alliandre» disse Berelain. E anche questo discorso Perrin lo sentiva ormai ogni giorno. «È per questo che sono venuta, dopo tutto.» Questo era uno dei motivi. «Annoura riceverà udienza immediata, e mi porterà con sé senza che lo sappia nessuno tranne Alliandre.» Ancora un’altra sorpresa: nella sua voce non c’era il minimo accenno di civetteria. Non stava prestando a Perrin più attenzione di quanta ne dedicava a lisciarsi i guanti rossi.

Chi doveva andare? Il problema era che lui non voleva scegliere nessuna delle due.

Seonid, l’altra Aes Sedai salita su quell’altura, era in piedi accanto al suo castrone baio, vicino a un albero avvizzito dalla siccità, e non guardava Bethal ma il cielo. Le due Sapienti dagli occhi chiari che erano insieme a lei facevano uno strano effetto di contrasto, la pelle scurita dal sole contro il suo pallido incarnato, i capelli chiari contro i suoi più scuri, alte mentre lei era bassa, senza contare le gonne scure e le bluse bianche contro il suo elegante abito di ottima lana azzurra. Edarra e Nevarin erano drappeggiate di collane e bracciali d’oro, argento e avorio, mentre Seonid portava solo l’anello col Gran Serpente. Loro erano giovani, lei senza età. Le Sapienti erano pari alla sorella Verde quanto ad autocontrollo, però, e anche loro stavano studiando il cielo.

«Vedete qualcosa?» chiese Perrin, rimandando il momento della decisione.

«Vediamo il cielo, Perrin Aybara» rispose con calma Edarra, e i gioielli che portava tintinnarono quando si sistemò lo scialle che teneva intorno ai gomiti. Gli Aiel sembravano ignorare il caldo almeno quanto le Aes Sedai.

«Se vedessimo altro, te lo diremmo.» Perrin se lo augurava. E credeva che davvero lo avrebbero fatto. Quanto meno, se avessero visto qualcosa che anche Grady e Neald erano in grado di scoprire. I due Asha’man non avrebbero mantenuto il segreto. Perrin avrebbe preferito che fossero lì con lui, invece erano rimasti all’accampamento.

Qualche giorno addietro, un intrico di Unico Potere si era espanso nel cielo, creando una certa agitazione tra le Aes Sedai e le Sapienti. E tra Grady e Neald. Cosa che aveva aumentato l’agitazione, portandola quanto più vicino al panico era possibile per delle Aes Sedai. Asha’man, Aes Sedai e Sapienti, tutti avevano dichiarato di poter ancora sentire una debole traccia di Potere nell’aria molto tempo dopo che quella specie di colonna di merletto era svanita, ma nessuno era riuscito a capirne il significato. Neald aveva detto che gli faceva venire in mente il vento, anche se non era capace di spiegare perché. Nessuno era disposto a dire di più, eppure se erano visibili entrambe le metà del Potere, quella maschile e quella femminile, allora doveva essere opera dei Reietti, e si trattava di un’opera immensa. I pensieri su cosa potevano star facendo i Reietti avevano tenuto sveglio a lungo Perrin tutte le notti da allora.

Suo malgrado, lanciò un’occhiata al cielo. E non vide nulla, ovviamente, tranne un paio di piccioni. A un tratto un falco si tuffò nella sua visuale, e uno dei piccioni sparì in uno spruzzo di piume. L’altro fuggì con frenetici battiti delle ali verso Bethal.

«Hai preso la tua decisione, Perrin Aybara?» chiese Nevarin con una certa durezza. La Sapiente dagli occhi verdi gli sembrava persino più giovane di Edarra, forse non era nemmeno più grande di lui, e le mancava anche la serenità dell’altra. Lo scialle le scivolò lungo le braccia quando si mise le mani sui fianchi, e Perrin quasi si aspettava che gli puntasse un dito contro. O un pugno. Gli ricordava Nynaeve, anche se non le somigliava affatto. In confronto a Nevarin, Nynaeve sembrava paffuta. «A che servono i nostri consigli se non li ascolti?» chiese la donna. «A che servono?»

Faile e Berelain si raddrizzarono in sella, assumendo entrambe una posizione più fiera possibile, ed emanando entrambe un odore che era insieme di aspettativa e incertezza. E di irritazione per l’incertezza: a nessuna delle due piaceva quella sensazione. Seonid era troppo lontana perché Perrin potesse sentire il suo odore, ma il modo in cui teneva strette le labbra era di per sé indicativo del suo umore. L’ordine che le aveva dato Edarra — non parlare a meno che non le venisse chiesto — la rendeva furiosa. Eppure, senza alcun dubbio desiderava che Perrin seguisse il consiglio delle Sapienti: lo fissava intensamente, come se la pressione del suo sguardo potesse spingerlo nella direzione che le Aiel volevano fargli prendere. In verità, Perrin avrebbe voluto scegliere lei, ma esitava. Quanto era sincero il suo giuramento di lealtà a Rand? Più di quanto lui avrebbe creduto, a giudicare da quello che aveva visto sinora, ma fino a che punto ci si poteva fidare di un’Aes Sedai? L’arrivo dei due Custodi di Seonid gli concesse qualche altro minuto di tregua.

Giunsero insieme, anche se erano andati via separatamente, tenendo i cavalli tra gli alberi lungo il bordo di quell’altura in modo che non fossero visibili dalla città. Furen era un Tarenese, scuro quasi come il terreno fertile, con striature di grigio tra i ricciuti capelli neri, mentre Teryl, del Murandy, era di vent’anni più giovane, capelli rosso scuro, baffi ricurvi e occhi più azzurri di quelli di Edarra; eppure i due uomini sembravano usciti dallo stesso stampo, alti, magri e duri. Smontarono agilmente di sella, coi mantelli che cambiavano colore e svanivano alla vista in un modo piuttosto inquietante, e fecero rapporto a Seonid, ignorando volutamente le Sapienti. E Perrin.

«È peggio che a nord» disse disgustato Furen. Qualche goccia di sudore gli imperlava la fronte, ma nessuno di quei due uomini sembrava turbato dal caldo. «I nobili del posto si sono rinchiusi nei loro castelli o in città, e i soldati della regina se ne stanno all’interno delle mura. Hanno lasciato la campagna agli uomini del Profeta. E ai banditi, anche se ce ne sono pochi qui intorno. La gente del Profeta è dappertutto. Credo che Alliandre sarà lieta di vederti.»

«Plebaglia» sbuffò Teryl, battendosi le redini su un palmo. «Non ne ho mai visti più di una ventina insieme, armati soprattutto di forconi e lance per la caccia al cinghiale. E vestiti di stracci come dei mendicanti. Sono buoni per spaventare i contadini, certo, ma credevo che i nobili li avrebbero sradicati e impiccati in massa. La regina ti bacerà le mani, alla vista di una sorella.»

Seonid aprì bocca, poi lanciò un’occhiata a Edarra, che annuì. Ma l’aver ottenuto il permesso di parlare servì solo a far stringere ancor più la bocca della Verde. Il suo tono, però, fu morbido come burro. «Non hai più motivo di rimandare la tua decisione, lord Aybara.» Mise una certa enfasi sul titolo, poiché sapeva esattamente che lui non ne aveva diritto. «Tua moglie vanta una grande casata e Berelain è una regnante, ma le casate della Saldea qui contano poco, e Mayene è la più piccola delle nazioni. Un’Aes Sedai come emissaria farà capire ad Alliandre che hai il sostegno della Torre.» Forse rendendosi conto che in quel caso andava altrettanto bene Annoura, Seonid si affrettò ad aggiungere: «Inoltre, io sono già stata nel Ghealdan, e il mio nome qui è noto. Alliandre non solo mi riceverà subito, ma presterà anche attenzione a ciò che dico.»

«Io e Nevarin andremo con lei» disse Edarra, e Nevarin aggiunse: «Ci assicureremo che non dica più di quel che deve.»

Seonid digrignò i denti abbastanza forte da far sentire il rumore, almeno per l’udito di Perrin, e si mostrò occupata a lisciarsi la gonna divisa, facendo attenzione a tenere gli occhi bassi. Annoura emise un suono molto simile a un grugnito, e si distolse da quello spettacolo: lei si teneva lontana dalle Sapienti, e non le piaceva vedere altre sorelle in loro compagnia.

Perrin trattenne un gemito. Mandando la Verde si sarebbe tolto dai carboni ardenti, ma le Sapienti si fidavano delle Aes Sedai persino meno di lui, e tenevano Seonid e Masuri ben strette al guinzaglio. Da qualche tempo, cominciavano a girare storie sugli Aiel anche nei villaggi. Nessuno lì aveva mai visto un Aiel, ma le voci sul popolo che seguiva il Drago Rinato si rincorrevano nel vento, e metà della popolazione del Ghealdan era sicura che gli Aiel sarebbero arrivati tra uno o due giorni, e quelle storie erano tutte una più strana e orribile dell’altra. C’era il rischio che Alliandre si spaventasse troppo alla vista di due Aiel che davano ordini a un’Aes Sedai.

E Seonid obbediva, nonostante quanto digrignasse i denti! E Perrin non aveva nessuna intenzione di far correre dei rischi a Faile sulla base di vaghe promesse di una felice accoglienza contenute in una lettera ricevuta mesi addietro. I carboni erano sempre più ardenti, proprio sotto i suoi piedi, ma Perrin non aveva scelta.

«Un gruppo poco numeroso potrà varcare quei cancelli più facilmente» disse infine, infilando il cannocchiale nelle bisacce da sella. Un gruppo poco numeroso avrebbe fatto nascere anche meno storie. «Quindi, Berelain, andrete solo tu e Annoura. Forse anche lord Gallenne. Magari lo scambieranno per il Custode di Annoura.»

Berelain ridacchiò di gioia, e si sporse a cingergli un braccio con tutte e due le mani. Ma non si limitò a questo, ovviamente. Le dita diedero una leggera stretta più simile a una carezza, e sul volto lampeggiò un sorriso caldo e provocante, poi Berelain si raddrizzò prima che lui potesse muoversi, il viso all’improvviso ingenuo come quella di una bambina. Faile, inespressiva, si concentrò nell’atto di aggiustarsi meglio i guanti grigi. A giudicare dal suo odore, non doveva aver notato il sorriso di Berelain. E nascondeva bene la sua delusione.

«Mi dispiace, Faile,» le disse Perrin «ma...»

La rabbia che esplose nell’odore di lei era pungente come spine. «Sono sicura che hai cose importanti da discutere con la Prima, marito» disse Faile con voce calma. I suoi occhi oblunghi erano pura serenità, ma l’odore era quello dei rovi più acuminati. «Adesso è meglio che ti occupi di lei, prima che parta.» Fece girare Rondine e la portò verso una fumante Seonid e le Sapienti coi loro volti tesi, ma non scese di sella né parlò con le altre donne. Guardò invece torva verso Bethal, un falco che fissava la preda dal suo nido.

Perrin si rese conto di star tastando il proprio naso e mise giù la mano.

Non c’era sangue, ovviamente, per quanto fosse stato forte e pungente l’odore di lei.

Berelain non aveva bisogno di istruzioni dell’ultima ora — la Prima di Mayene e la Grigia sua consigliera erano impazienti di partire e sicure di sapere cosa dire e fare — ma Perrin sottolineò comunque l’importanza di fare attenzione, e si raccomandò che a parlare fosse Berelain e solo Berelain.

Annoura gli rivolse una di quelle fredde occhiate da Aes Sedai e poi annuì.

Il che poteva essere un cenno di assenso ma anche il contrario, e Perrin sapeva che da lei non avrebbe tirato fuori altro neppure con le tenaglie. Le labbra di Berelain erano piegate in sorriso divertito, anche se la donna accettava qualsiasi cosa lui le chiedesse. O almeno diceva di accettare. Perrin sospettava che Berelain avrebbe detto di tutto pur di ottenere ciò che voleva, ed era infastidito da quei sorrisi inopportuni. Gallenne aveva messo via il cannocchiale ma ancora giocherellava con le redini, senza dubbio mentre studiava il modo per uscire da Bethal insieme alle due donne anche nella peggiore delle situazioni. Perrin aveva voglia di ringhiare.

Guardò i tre che cavalcavano verso la città e si sentì pieno di ansia. Il messaggio portato da Berelain era semplice. Rand capiva la cautela di Alliandre, ma se la regina voleva la sua protezione allora doveva essere disposta a dichiararsi apertamente dalla sua parte. E a quel punto la protezione sarebbe arrivata, soldati e Asha’man per fugare ogni dubbio, anche Rand stesso in caso di necessità. Berelain non aveva motivo di cambiare neanche una virgola di quel messaggio, nonostante i suoi sorrisi — Perrin pensava che fossero un altro modo per amoreggiare — ma Annoura... Le Aes Sedai avevano il loro modo di agire, e il più delle volte solo la Luce ne conosceva le ragioni. Perrin avrebbe tanto voluto poter arrivare ad Alliandre senza servirsi di una sorella e senza far nascere dicerie. O senza far correre rischi a Faile.

I tre cavalieri raggiunsero le porte, con Annoura in testa; la donna doveva aver rivelato la propria identità di Aes Sedai, perché le guardie sollevarono subito le lance, abbassarono archi e balestre. Poche persone avevano abbastanza fegato da mettere in dubbio le parole di una sorella. Ci fu appena un istante di pausa prima che Annoura si avviasse in città seguita dagli altri due. Anzi, i soldati erano sembrati ansiosi di farli passare e celarli alla vista di chiunque potesse trovarsi sulle colline. Alcuni di loro scrutarono le alture lontane, e Perrin non ebbe bisogno di sentire il loro odore per percepire il disagio col quale si chiedevano chi poteva nascondersi lassù e, cosa improbabile, riconoscere la sorella.

Perrin si diresse a nord, verso l’accampamento, e guidò gli altri lungo la cresta finché non furono fuori portata delle torri di Bethal, poi piegò verso la via di terra battuta. Ai lati della strada erano sparse le fattorie, case coi tetti di paglia e fienili lunghi e stretti, pascoli secchi, campi stopposi e recinti per capre con alte mura di pietra, ma c’era poco bestiame in giro e ancor meno persone. Queste osservavano guardinghe i cavalieri, come anatre al cospetto di un branco di volpi, interrompendo le loro attività finché il gruppo a cavallo non era passato. Aram ricambiava i loro sguardi, talvolta sfiorando l’elsa della spada che gli sporgeva da dietro una spalla, forse nella speranza di trovare ben più di qualche contadino. Nonostante la giubba a strisce verdi, in lui era rimasto ben poco del Calderaio.

Edarra e Nevarin camminavano accanto a Stepper, e per quanto sembrava che passeggiassero riuscivano comunque a tenere l’andatura del cavallo nonostante le gonne ingombranti. Seonid le seguiva da presso in groppa al suo castrone, a sua volta seguita da Furen e Teryl. La Verde dalle guance chiare fingeva di aver semplicemente scelto di cavalcare due passi dietro le Sapienti, ma i suoi Custodi erano palesemente accigliati. Spesso i Gaidin si preoccupavano della dignità delle Aes Sedai più di quanto non facessero loro stesse, e le Aes Sedai se ne preoccupavano comunque più di una regina.

Faile teneva Rondine dall’altro lato delle Aiel, cavalcando in silenzio e studiando ostentatamente il paesaggio segnato dalla siccità. Magra e aggraziata, faceva sentire Perrin un po’ goffo, nel migliore dei casi. Faile era come argento vivo, e lui la amava anche per questo, di solito, ma... Un debole vento aveva cominciato a soffiare, abbastanza da portargli l’odore di Faile. Perrin sapeva che avrebbe dovuto pensare ad Alliandre e alla sua possibile risposta, o meglio ancora al Profeta e a come trovarlo dopo la risposta di Alliandre, qualsiasi fosse, ma questi argomenti non riuscivano a farsi spazio nella sua mente.

Si era aspettato che Faile si adirasse quando aveva scelto Berelain, anche se Rand aveva mandato lì la Prima proprio per quello. Faile sapeva che lui non voleva farle correre pericoli, nemmeno alla lontana, cosa che disprezzava più di quanto disprezzava Berelain. Il suo odore era stato dolce come una mattina d’estate — finché lui non aveva provato a chiederle scusa! Be’, le scuse di solito accendevano ancor più la sua furia, se era già arrabbiata — quando non la facevano sbollire, almeno — ma in quel momento lei non era arrabbiata! Senza Berelain, tutto andava liscio come l’olio tra loro due. La maggior parte delle volte. Ma quando Perrin provava a farle capire che non faceva niente per incoraggiare quella donna — tutt’altro! — Faile gli rispondeva solo con un brusco ‘Certo che no!’, con un tono che in pratica gli dava dell’idiota per averlo specificato. Eppure Faile si infuriava comunque — e con lui! — ogni volta che Berelain gli sorrideva o trovava una scusa per toccarlo, nonostante la ruvidezza con cui Perrin la teneva lontano, e la Luce sapeva che era vero. A parte legarla, non sapeva che altro fare per scoraggiare quella donna. I suoi timidi tentativi per farsi spiegare da Faile cosa stava facendo di sbagliato potevano ricevere un leggero: ‘Perché, credi davvero di star facendo qualcosa?’ o un non proprio leggero: ‘Tu cosa credi di aver fatto?’ o un piatto: ‘Non ho voglia di parlarne’. Perrin era sicuro di star facendo qualcosa di sbagliato, ma proprio non riusciva a capire cosa!

Ma doveva capirlo. Niente era più importante di Faile. Niente!

«Lord Perrin?»

La voce eccitata di Aram si fece largo tra i suoi cupi pensieri. «Non chiamarmi in quel modo» mormorò Perrin, seguendo con lo sguardo la direzione indicatagli dall’altro: l’ennesima fattoria abbandonata, a una certa distanza lungo la strada, dove il fuoco aveva portato via il tetto da casa e fienile. Solo le pareti di pietra grezza erano rimaste in piedi. Una fattoria abbandonata, ma non deserta. Da quelle strutture si levavano delle grida di rabbia.

Circa una decina di individui rozzamente vestiti e armati di lance e forconi stavano cercando di superare con la forza il muretto di pietra di un recinto per capre, mentre la manciata di uomini che erano all’interno tentava di respingerli. Diversi cavalli correvano e scartavano liberi nel recinto, spaventati da quel baccano, e ce n’erano altri tre montati da donne. Queste però non si limitavano ad attendere gli esiti dello scontro; una di loro stava lanciando pietre e, mentre Perrin osservava la scena, un’altra menò un fendente con un lungo bastone e la terza fece impennare il cavallo, costringendo un tizio alto a balzare via dal muro per evitare gli zoccoli. Ma erano in troppi, e il recinto era troppo esteso per poterlo difendere bene.

«Ti suggerirei di girare al largo» disse Seonid. Edarra e Nevarin le rivolsero sguardi feroci, ma lei proseguì tutto d’un fiato, con una fretta che ebbe la meglio anche sul suo tono pragmatico: «Quelli sono di sicuro gli uomini del Profeta, e uccidere i suoi è un pessimo modo per iniziare. Decine, centinaia di migliaia di persone potrebbero morire se fallisci con il Profeta.

Vale la pena correre questo rischio per salvarne ora una manciata?»

Perrin non aveva intenzione di uccidere nessuno, se poteva evitarlo, ma nemmeno era disposto a far finta di niente. Non perse tempo a dare spiegazioni, però. «Potete spaventarli?» chiese a Edarra. «Solo spaventarli?» Ricordava fin troppo bene quello che avevano fatto le Sapienti ai Pozzi di Dumai. Loro e gli Asha’man. Forse era un bene che Grady e Neald fossero rimasti all’accampamento.

«Può darsi» rispose Edarra, studiando la folla accalcata intorno al recinto. Quasi scosse il capo, poi scrollò appena le spalle. «Può darsi.»

Doveva bastare.

«Aram, Furen, Teryl,» scattò Perrin «con me!» Spronò Stepper, e quando il cavallo balzò in avanti lui fu lieto di vedere che i Custodi lo seguivano da vicino. Quattro uomini lanciati alla carica facevano più scena di due.

Tenne le mani sulle redini, lontane dall’ascia.

Ma non fu altrettanto lieto quando Faile gli si affiancò in groppa a Rondine. Fece per dirle qualcosa, e lei lo guardò inarcando un sopracciglio. I suoi capelli neri erano bellissimi, mossi dal vento della loro corsa. Lei era bellissima. Un sopracciglio inarcato; nient’altro. Perrin non le disse quello che prima aveva pensato di dirle. «Guardami le spalle» le chiese invece.

Considerando tutti i pugnali che Faile portava nascosti addosso, a volte Perrin si chiedeva come mai non finiva accoltellato quando provava ad abbracciarla.

Non appena sua moglie tornò a guardare davanti a sé, lui fece un cenno ad Aram cercando di non farsi notare da Faile. L’uomo annuì, ma era già piegato in avanti, la spada snudata, pronto a infilzare il primo seguace del Profeta che gli capitava a tiro. Perrin si augurò che avesse capito il suo segnale: doveva guardare le spalle di Faile — e anche tutto il resto — se la situazione con quei tizi si metteva davvero male.

Nessuno di quei farabutti si era ancora accorto di loro. Perrin urlò, ma quelli non parvero udirlo, assordati dalle loro stesse grida. Un uomo che indossava una giubba troppo grande riuscì a salire sul muretto, e altri due sembravano pronti a scavalcarlo. Se le Sapienti avevano intenzione di fare qualcosa, era meglio che...

L’esplosione di un tuono assai vicino quasi stordì Perrin, un boato maestoso che fece incespicare Stepper prima che riprendesse l’andatura. Del tuono gli assalitori se ne accorsero; barcollarono e si guardarono intorno a occhi sgranati, alcuni di loro coprendosi le orecchie con le mani. Quello che era salito sul muretto perse l’equilibrio e cadde all’esterno. Balzò subito in piedi, però, gesticolando con rabbia verso il recinto, e alcuni dei suoi compagni vi si lanciarono di nuovo contro. Altri videro Perrin e lo indicarono urlando, ma nessuno fuggì. Alcuni alzarono le armi.

All’improvviso, un disco di fuoco apparve sopra il recinto, pari per diametro all’altezza di un uomo, e scagliò in giro piccole fiamme mentre vorticava con una sorta di urlo che saliva e scendeva in un continuo alternarsi di gemito doloroso e lamento funebre.

Gli uomini con abiti rozzi si sparpagliarono in ogni direzione come quaglie. Per un istante quello con la giubba troppo grande agitò le braccia e urlò ai suoi compagni, poi con un’ultima occhiata alla ruota di fuoco sfrecciò via anche lui.

Perrin quasi scoppiò a ridere. Non avrebbe dovuto uccidere nessuno. E nemmeno doveva preoccuparsi che Faile si beccasse una forconata tra le costole.

Le persone all’interno del recinto parevano spaventate quanto quelle all’esterno. Una di loro, quanto meno. La donna che aveva fatto impennare il cavallo aprì la porticina e fuggì via al galoppo. Risalì la strada, allontanandosi da Perrin e gli altri.

«Aspetta!» le gridò lui. «Non vogliamo farti del male!» Che l’avesse sentito o meno, la donna continuò ad agitare le redini. Un fagotto legato dietro la sua sella rimbalzava all’impazzata. Forse in quel momento gli assalitori stavano ancora fuggendo più veloce che potevano, ma se lei andava via da sola due o tre di loro sarebbero stati sufficienti a ferirla. Perrin si appiattì contro il collo di Stepper e spronò il cavallo che si lanciò in avanti come una freccia.

Perrin era grosso, ma Stepper non si era guadagnato la sua fama solo perché aveva un’andatura baldanzosa. Inoltre, a giudicare dalla sua corsa claudicante, il cavallo della donna non era propriamente una bestia da galoppo. A ogni falcata Stepper era più vicino, sempre di più, finché Perrin poté sporgersi e afferrare le briglie dell’altro cavallo. Da vicino, si accorse che quella giumenta dal muso schiacciato era messa davvero male, già coperta di schiuma ed esausta per quella breve corsa. Perrin fece rallentare entrambi gli animali fino a farli fermare.

«Ti chiedo perdono, signora, se ti ho spaventato» disse. «Davvero, non ho intenzione di farti del male.»

Per la seconda volta quel giorno, le sue parole di scusa non ottennero il risultato che si aspettava. Gli occhi azzurri della donna lo guardarono con furia da un volto circondato da lunghi ricci ramati, un volto nobile come quello di una regina nonostante fosse impiastricciato di polvere e sudore.

L’abito era di lana semplice, segnato dal viaggio e polveroso almeno quanto le guance, ma l’espressione della donna era furente, oltre che regale.

«Non ho bisogno...» cominciò a dire con toni glaciali, mentre tentava di liberare il suo cavallo, poi si interruppe quando un’altra donna, capelli bianchi e corpo ossuto, arrivò al galoppo su una magra giumenta marrone conciata ancora peggio della sua. Quelle persone dovevano aver fatto un viaggio lungo e difficile. Anche la donna più anziana era esausta e sporca di polvere.

Alternava sguardi raggianti a Perrin, che ancora teneva le redini di tutti e due i cavalli, e occhiate torve alla sua compagna. «Grazie, mio signore.»

La voce, sottile ma forte, divenne per un attimo stridula quando la donna notò i suoi occhi, ma la vista di un uomo con gli occhi dorati la fece appena rallentare. Quella donna non si spaventava facilmente. Reggeva ancora il grosso bastone che aveva usato come arma. «Un salvataggio davvero tempestivo. Maighdin, che ti è passato per la mente? Hai rischiato di farti uccidere! E di far uccidere anche noi! Perdona l’impetuosità di questa ragazza, mio signore, ha sempre saltato il fosso senza prima guardare. Ricorda, figliola, solo un idiota abbandona i suoi amici e scambia argento con ottone luccicante. Ti ringraziamo, mio signore, e anche Maighdin ti ringrazierà, non appena sarà tornata in sé.»

Maighdin, di almeno dieci anni più grande di Perrin, poteva essere definita ‘ragazza’ solo a confronto con l’altra donna, ma nonostante le smorfie piene di sospetto che ben si accompagnavano con l’odore da lei emanato, frustrazione mista a rabbia, subì quella lavata di capo facendo solo un ultimo tentativo di liberare il suo cavallo prima di arrendersi. A quel punto poggiò le mani sul pomello della sella, rivolse a Perrin un torvo sguardo d’accusa, poi sbatté le palpebre. Gli occhi gialli. Eppure, nonostante avesse notato quella stranezza, la donna non odorava di paura. Quella più anziana sì, ma Perrin non credeva di essere lui il motivo.

Un altro dei compagni di Maighdin, un uomo non rasato in sella a un altro cavallo malconcio, un grigio con le ginocchia nodose, si era avvicinato mentre la vecchia parlava, ma si era tenuto in disparte. Era alto, alto quanto Perrin anche se assai meno largo di spalle, e indossava una giubba scura consumata dal viaggio e chiusa in vita da un cinturone cui era appesa una spada. La lieve brezza soffiò di nuovo e portò a Perrin il suo odore. L’uomo non era spaventato, ma agitato. E, a giudicare dal modo in cui guardava Maighdin, era lei a innervosirlo.

Forse non si era trattato semplicemente di salvare dei viaggiatori da una banda di malintenzionati.

«Forse dovreste venire tutti al mio accampamento» disse Perrin, lasciando infine le briglie dell’altro cavallo. «Sarete al sicuro dai... briganti... lì.»

Quasi si aspettava che Maighdin tentasse la fuga verso il più vicino boschetto, ma la donna fece girare la giumenta insieme a Stepper, di nuovo verso il recinto di capre. Aveva un odore di... rassegnazione.

Ciò nonostante, disse: «Grazie per l’offerta, ma io... noi... dobbiamo continuare il nostro viaggio. Andremo avanti, Lini» aggiunse con fermezza quando la donna più anziana la guardò con tanta durezza che Perrin si chiese se non erano madre e figlia, nonostante si chiamassero per nome.

Certo non si somigliavano affatto. Lini aveva un volto sottile e la pelle come pergamena, era magra e nodosa, mentre Maighdin doveva nascondere una grande bellezza sotto tutta quella polvere. Per chi apprezzava i capelli chiari.

Perrin si girò indietro a controllare l’uomo che si era accodato. Un tizio dall’aspetto duro che aveva bisogno di un rasoio e un pezzo di sapone. Forse a lui piacevano i capelli chiari. Forse gli piacevano troppo. Non sarebbe stato il primo uomo a causare guai a sé stesso e ad altri per un motivo del genere.

Davanti a loro, Faile era ferma in sella a Rondine e scrutava da sopra il muretto la gente all’interno del recinto per capre. Forse qualcuno si era ferito. Di Seonid e le Sapienti non c’era traccia. Aram doveva aver capito: era vicino a Faile, anche se guardava impaziente verso Perrin. Il pericolo era chiaramente scampato, però.

Prima che Perrin fosse a metà strada dal recinto, Teryl si materializzò con un uomo dagli occhi stretti e una barba corta e ispida che caracollava accanto al suo roano, il colletto della giubba stretto nel pugno del Custode.

«Ho pensato che dovessimo prendere uno di loro» disse Teryl con un sorriso truce. «È sempre meglio ascoltare entrambe le parti, qualsiasi cosa tu abbia visto: il mio vecchio lo diceva sempre.» Perrin fu sorpreso: aveva creduto che la capacità di pensiero di quell’uomo finisse dove arrivava la punta della sua spada.

Anche tirata in quel modo, la logora giubba del prigioniero era palesemente troppo grande. Perrin non sapeva se qualcun altro era riuscito a guardarlo bene da così lontano, ma lui riconobbe da subito anche il grosso naso. Quell’uomo era stato l’ultimo a fuggire, e neanche adesso sembrava impaurito. La sua smorfia di derisione era rivolta a tutti. «Vi state mettendo davvero nei guai» disse con voce gracchiante. «Si stava facendo il volere del Profeta, noialtri. Il Profeta dice che se un uomo infastidisce una donna che non lo vuole, allora deve morire. Questi stavano correndo dietro a lei,» indicò Maighdin con uno scatto del mento «che scappava a più non posso. Il Profeta vi farà mozzare le orecchie, per quello che avete combinato!» Sputò, come per dare maggiore enfasi alle sue parole.

«Tutto questo è ridicolo» annunciò Maighdin con voce limpida. «Loro sono miei amici. Quest’uomo ha completamente frainteso ciò che ha visto.»

Perrin annuì, e se la donna pensava che l’avesse fatto per darle ragione, tanto meglio. Ma mettendo le parole di quel tizio insieme al discorso fatto da Lini... Una faccenda tutt’altro che semplice.

Faile e gli altri li raggiunsero, seguiti dai compagni di viaggio di Maighdin, altri tre uomini e una donna, ognuno con al seguito un cavallo esausto che avrebbe potuto fare sì e no qualche altro chilometro. Non che fossero delle bestie di razza, in ogni caso. Perrin non ricordava di aver mai visto una migliore collezione di ginocchia rigonfie, zampe storte e schiene incurvate. Come sempre, il suo sguardo andò per prima cosa a Faile — e le narici si dilatarono nel tentativo di cogliere il suo odore — ma Seonid catturò subito la sua attenzione. Accasciata in sella, paonazza e imbronciata, sembrava strana, con le guance gonfie e la bocca mezzo aperta. Stringeva qualcosa tra le labbra, qualcosa di rosso e blu... Perrin sbatté le palpebre. A meno che non stava immaginando tutto, Seonid aveva un fazzoletto ripiegato ficcato in bocca! E così quando le Sapienti dicevano a una loro allieva di stare zitta facevano sul serio, anche se l’allieva era un’Aes Sedai.

Perrin non era l’unico ad avere una vista acuta; Maighdin rimase a occhi aperti quando notò Seonid, poi guardò lui come se lo considerasse responsabile di quel fazzoletto. E così era capace di riconoscere un’Aes Sedai a prima vista... Una qualità poco comune per una donna vestita da campagnola. Anche se non aveva affatto l’aria di una campagnola.

Furen, che cavalcava accanto a Seonid, aveva la faccia scura come nubi di temporale, ma fu Teryl a complicare ancor più la situazione quando lanciò un oggetto a terra. «Questo l’ho trovato dietro di lui,» disse «dove forse l’ha lasciato cadere mentre correva.»

Sulle prime Perrin non capì costa stava guardando, un lungo laccio di cuoio dal quale pendevano cose che sembravano etichette di pelle grinzosa. Poi se ne rese conto, e snudò i denti in un ringhio. «Il Profeta ci farà mozzare le orecchie, hai detto.»

L’uomo con la barbetta smise di fissare Seonid e si leccò le labbra.

«Quella... quella è opera di Hari!» protestò. «Hari è un duro. Gli piace tenere il conto, prendere trofei, e lui... ah...» Strinse le spalle nella sua giubba fuori misura, poi parve crollare in sé stesso come un cane spaventato.

«Non potete accusarmi di quello! Il Profeta vi farà impiccare se mi toccate! Ha già impiccato dei nobili, lord o lady che fossero. Io cammino nella Luce benedetta del lord Drago!»

Perrin guidò Stepper verso quell’uomo, facendo attenzione a tenere gli zoccoli del cavallo lontani da... dall’oggetto sul terreno. Odiava avere l’odore di quel tizio nelle narici adesso, ma si piegò comunque, avvicinando il proprio volto a quello di lui. Il puzzo di sudore rancido faceva a gara con quello della paura e del panico, e c’era anche una sfumatura di rabbia. Purtroppo non si sentiva nessun odore di colpevolezza. ‘Forse l’ha lasciato cadere’ non significava ‘di sicuro l’ha lasciato cadere’. Gli occhi stretti ora sgranati, l’uomo si spinse contro il castrone di Teryl. A volte gli occhi gialli potevano essere utili.

«Se potessi accusarti di quello, ti avrei già impiccato a un albero» ringhiò Perrin. Il tizio sbatté le palpebre e cominciò a ringalluzzirsi quando capì cosa significava quella frase, ma Perrin non gli diede tempo di recuperare la sua arroganza. «Io sono Perrin Aybara, ed è stato il tuo prezioso lord Drago a mandarmi qui. Fai girare la voce. Mi ci ha mandato lui, e se trovo un uomo con... i trofei... lo impicco! Se trovo un uomo che brucia una fattoria, lo impicco! Se uno di voi mi guarda storto, lo impicco! E puoi riferire le mie parole anche a Masema!» Disgustato, Perrin si raddrizzò.

«Lascialo andare, Teryl. Se tra due secondi non è sparito dalla mia vista...»

Il Custode aprì la mano, e l’uomo scattò a rotta di collo verso gli alberi più vicini, senza mai voltarsi indietro. Parte del disgusto che Perrin provava era per sé stesso. Minacce! Se uno di loro lo guardava storto? D’altronde, se anche quell’uomo senza nome non aveva tagliato personalmente quelle orecchie, di sicuro era rimasto a guardare senza dire nulla mentre altri lo facevano.

Faile stava sorridendo, e l’orgoglio riluceva sotto il sudore che le copriva il viso. Quello sguardo lavò via parte della repulsione di Perrin. Avrebbe camminato scalzo attraverso il fuoco per quello sguardo.

Non tutti approvarono il suo comportamento, ovviamente. Seonid teneva gli occhi strizzati, e i pugni infilati nei guanti tremavano stretti intorno alle redini come se la donna volesse disperatamente strapparsi quel fazzoletto di bocca e dirgli come la pensava. Perrin immaginava di saperlo comunque. Edarra e Nevarin si erano strette lo scialle addosso e gli stavano lanciando occhiate cupe. Oh, certo, c’era da prevederlo.

«Mi pareva di aver capito che doveva essere un segreto» disse con naturalezza Teryl mentre osservava l’uomo in fuga. «Credevo che Masema non dovesse sapere che eri qui finché non andavi a sussurrare nel suo bell’orecchio.»

Il piano era quello. Rand l’aveva suggerito come precauzione, Seonid e Masuri l’avevano sottolineato in ogni occasione. Dopo tutto, Profeta del lord Drago o meno, Masema avrebbe potuto rifiutarsi di stare faccia a faccia con qualcuno mandato da Rand, considerando le cose che si diceva facessero i suoi uomini. E quella cosa delle orecchie non era neppure la peggiore, se c’era da credere anche solo a un decimo delle storie che giravano sul suo conto. Edarra e le altre Sapienti vedevano Masema come un possibile nemico, uno al quale bisognava tendere un’imboscata prima che potesse a sua volta piazzare una trappola.

«Il mio compito è proprio mettere fine a... quello» disse Perrin indicando con rabbia il laccio di cuoio ancora a terra. Aveva sentito quelle storie e non aveva fatto niente. Ma adesso aveva visto con i suoi occhi. «Tanto vale cominciare da subito.» E se Masema decideva che lui era un nemico?

Quante migliaia di persone seguivano il Profeta, per convinzione o per paura? La cosa non aveva importanza. «Deve finire, Teryl. Deve finire!»

Il Custode del Murandy annuì lentamente, e guardò Perrin come se lo vedesse per la prima volta.

«Lord Perrin?» lo chiamò Maighdin. Lui si era completamente dimenticato della donna e dei suoi amici. Si erano radunati un po’ in disparte, quasi tutti ancora a piedi. C’erano altri tre uomini a parte quello che aveva seguito Maighdin, e due di loro si tenevano nascosti dietro i cavalli. Lini sembrava la più circospetta di tutti, e guardava Perrin con un’aria di concentrata preoccupazione; teneva il proprio cavallo accanto a quello di Maighdin, e sembrava pronta ad afferrarne anche lei le briglie. Non per impedire alla donna più giovane di schizzare via, ma per schizzare via lei per prima portando con sé Maighdin. Quest’ultima sembrava assolutamente a suo agio, ma anche lei studiava Perrin. Non che la cosa fosse strana, dopo tutte quelle chiacchiere sul Profeta e il Drago Rinato, come se non fossero sufficienti i suoi occhi. E senza contare la Aes Sedai imbavagliata. Perrin si aspettava che la donna gli dicesse che lei e gli altri volevano andar via adesso, subito, ma invece la sentì dichiarare: «Accettiamo la tua gentile offerta. Un giorno o due di riposo nel tuo accampamento potrebbero essere proprio ciò di cui abbiamo bisogno.»

«Come preferisci, signora Maighdin» rispose lui lentamente. E celando con difficoltà il suo stupore. Soprattutto visto che aveva appena riconosciuto i due uomini che si sforzavano di restare nascosti dietro ai cavalli.

Era stata la sua influenza di ta’veren a portarli lì? In ogni caso, era una strana svolta. «Potreste davvero averne bisogno.»

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