50 ILIO

«Descrivimi di nuovo ciò che vedi» disse Orphu, parlando non per radio, ma tramite un cavetto di collegamento. Mahnmut viaggiava sulla schiena del moravec, come un fantino su un elefante galleggiante. Il cavetto di collegamento aveva fornito banda larga sufficiente perché Orphu scaricasse in qualche secondo i database col greco antico e l’Iliade.

«I condottieri greci e troiani si incontrano su questa cresta» disse Mahnmut. «Siamo proprio dietro il contingente greco: Achille, Hockenberry, Odisseo, Diomede, Aiace il Grande, Aiace il Piccolo, Nestore, Idomeneo, Toante, Tlepolemo, Nireo, Macaone, Polipete, Merione e altri sei o sette di cui non ho afferrato il nome durante la rapida presentazione di Hockenberry poco fa.»

«Non c’è Agamennone? E Menelao?»

«No, sono ancora nel campo di Agamennone, a riprendersi dalla singoiar tenzone con Achille. Hockenberry ha detto che sono curati da Asclepio, il loro guaritore. I due fratelli hanno costole rotte, tagli, lividi e Menelao ha riportato una commozione cerebrale per un colpo dello scudo di Achille, ma non sono in pericolo di vita. Secondo lo scoliaste, in un paio di giorni tutt’e due saranno in grado di camminare.»

«Chissà se Asclepio potrebbe ridarmi occhi e braccia» ridacchiò Orphu.

Mahnmut non commentò.

«E i troiani?» chiese Orphu, in tono impaziente, quello che Mahnmut aveva sempre immaginato fosse il tono di un bambino umano: felice, entusiasta, quasi allegro. «Chi rappresenta Ilio?»

Mahnmut si mise in piedi sul guscio crepato per vedere meglio, al di là dei cimieri piumati degli eroi achei, tra le fila dei troiani. «Ettore guida il contingente, è ovvio. Il rosso cimiero di crine di cavallo e il luccicante elmo da guerra si fanno davvero notare. Ettore porta anche una cappa rossa, come per sfidare gli dèi a scendere dall’Olimpo e a combattere.»

Mahnmut aveva già riferito a Orphu la scena descritta da Hockenberry in precedenza, di quando Ettore e sua moglie Andromaca, quel pomeriggio, avevano camminato tra la folla di migliaia di guerrieri di Ilio, tenendo alto il corpo mutilato del loro figlio, Scamandrio, ancora vestito di panni regali macchiati di sangue, in modo che tutti lo vedessero. Hockenberry aveva riferito che migliaia di achei pensavano ancora di fuggire sull’alto mare nelle loro nere navi, ma dopo la macabra processione di Ettore e Andromaca, tutti i troiani e i loro alleati erano pronti a combattere gli dèi, anche a corpo a corpo, se necessario.

«Chi c’è, oltre a Ettore?» chiese Orphu.

«Paride, accanto a lui. Poi l’anziano consigliere Antenore e re Priamo in persona. Stanno un po’ discosti, non interferiscono con Ettore.»

«I figli di Antenore, Acamante e Archeloco, sono già stati uccisi, immagino» disse Orphu. «Da Aiace Telamonio… Aiace il Grande.»

«Esatto» disse Mahnmut. «Sarà dura, per loro, scambiarsi la stretta che suggella la tregua, come fanno ora. Aiace il Grande parla con Antenore come se non fosse accaduto niente.»

«Sono tutti soldati professionisti» disse Orphu. «Sanno di allevare i propri figli per la battaglia e probabilmente per la morte. Chi altri vedi nel contingente di Ettore?»

«Enea.»

«Ah, l’Eneide!» sospirò Orphu. «Enea è… era… destinato a essere l’unico superstite della casa reale di Ilio. È… era… destinato a fuggire dalla città in fiamme, col figlio Ascanio e un piccolo gruppo di troiani, in un paese dove i loro discendenti avrebbero fondato una città che sarebbe diventata Roma. Secondo Virgilio, Enea farà…»

«Non andiamo troppo avanti» lo interruppe Mahnmut. «Come dice Hockenberry, ora il gioco è chiuso. Non credo che tu mi abbia scaricato la parte dell’Iliade dove greci e troiani si alleano in una crociata contro l’Olimpo destinata al fallimento.»

«No, infatti. Chi altri è con Ettore, oltre Enea, Paride, il vecchio Priamo e Antenore?»

«Otrioneo, il promesso sposo di Cassandra.»

«Oddio. Otrioneo era destinato a essere ucciso da Idomeneo stasera o domani. Nella battaglia per le navi greche.»

«Il gioco è chiuso» ripeté Mahnmut. «Pare che stasera non ci sarà nessuna battaglia per le navi.»

«Chi c’è ancora?»

«Deifobo, un altro figlio di Priamo. Ha la corazza così lucida che per guardarlo devo aumentare i filtri polarizzati. Accanto a Deifobo c’è quel tizio di Pedeo, il genero di Priamo, non mi viene il nome… ah, sì, Imbrio.»

«Oddio, Imbrio era destinato a morire per mano di Teucro fra qualche ora appena.»

«Piantala» disse Mahnmut. «Finiranno per sentirti.»

«Sentirmi via radio o cavetto?» chiese Orphu ridendo. «Poco probabile, vecchio mio. A meno che greci e troiani non abbiano un po’ più di tecnologia di quanta me ne hai descritta.»

«Be’, è sconcertante» replicò Mahnmut. «Metà delle persone qui nel Boschetto sacro in teoria dovrebbero morire fra un giorno, al massimo due, secondo la tua stupida Iliade.»

«Non è la mia stupida Iliade!» Orphu rise. «E poi ora…»

«… il gioco è chiuso» concluse Mahnmut. «Ohi, ohi.»

«Che c’è?»

«I negoziati sono finiti. Ettore e Achille vengono avanti, ciascuno ora stringe l’avambraccio dell’altro… buon Dio!»

«Cosa c’è?»

«Non lo senti?»

«No» disse Orphu.

«Scusa, scusa, amico mio. Non parlavo alla lettera. Volevo dire… cioè…»

«Vai avanti» lo interruppe Orphu, brusco. «Cosa non sento?»

«Gli eserciti, greco e troiano insieme, ora gridano. Buon Dio, è un ruggito assordante. Centinaia di migliaia di achei e di troiani messi insieme, che lanciano evviva, scuotono gonfaloni, spingono in alto spade, lance e pennoni. La folla esultante arriva fino alle mura di Ilio. I troiani sulle mura… scorgo Andromaca ed Elena e le altre donne citate da Hockenberry… anche loro gridano. Gli altri achei, gli indecisi che aspettavano accanto alle navi, sono tornati ai fossati greci e gridano e applaudono anche loro. Che frastuono!»

«Be’, non occorre che gridi anche tu» disse ironicamente Orphu. «Il cavetto funziona benissimo. E ora che cosa accade?»

«Be’, non molto. Tutti i condottieri si stringono la mano, su e giù per la cresta. Campane e gong risuonano dalla città turrita. Gli eserciti si muovono qua e là, semplici guerrieri dell’una e dell’altra parte attraversano la zona di nessuno per scambiarsi pacche sulle spalle e il nome o chissà cosa e tutti sembrano pronti a combattere, ma…»

«… non c’è nessuno da combattere» concluse Orphu.

«Giusto.»

«Forse gli dèi non scenderanno a combattere.»

«Non ne sono tanto sicuro.»

«O forse il Congegno farà saltare l’Olimpo in miliardi di pezzi» disse Orphu.

A questa idea, Mahnmut rimase in silenzio. Aveva visto gli dèi e le dee, lassù, migliaia di creature senzienti, e non aveva desiderio di diventare un assassino di massa.

«Quanto ci vuole perché il tuo timer di fortuna attivi il Congegno?» chiese Orphu, anche se di sicuro lo sapeva.

Mahnmut controllò il cronometro interno. «Cinquantaquattro minuti» rispose.

In alto, nubi scure si ammassarono e ribollirono all’improvviso. A quanto pareva, gli dèi giungevano, alla fin fine.


Quando si era tuffato nel lago della caldera, in cima a Olympus Mons, Mahnmut aveva poche speranze di fuggire. Gli occorreva circa un minuto per preparare il Congegno per l’innesco — la detonazione? — e la profondità e la pressione forse glielo avrebbero concesso.

Aveva ragione. Era sceso a ottocento metri, sentendo su ogni millimetro quadrato della propria struttura la ben nota e piacevole spinta della pressione, e aveva trovato un ripiano sulla ripida parete ovest della caldera dove fermarsi, fissare il Congegno e armarlo. Gli dèi non lo avevano inseguito in acqua. O non amavano nuotare o pensavano scioccamente che colpendo l’acqua con laser e microonde l’avrebbero costretto a risalire in superficie: in ogni caso, lui se ne fregava.

Aveva peccato di negligenza nel non configurare un meccanismo di innesco a distanza prima di iniziare con Orphu il breve volo in pallone, perciò vi aveva provveduto in quel momento, a ottocento metri di profondità nel lago buio, illuminando con le lampade pettorali la macromolecola ovoidale del Congegno. Aveva rimosso la copertura d’accesso del guscio di superlega e cannibalizzato parti di se stesso: una delle quattro batterie per fornire il necessario segnale d’innesco a trentadue volt; uno dei tre ricevitori radio in soprannumero, che aveva saldato alla piastra d’innesco mediante il laser da polso; un timer costituito dal suo cronometro esterno. Per finire, vi aveva attaccato un rozzo sensore movimento/contatto ricavato alla buona da uno dei suoi transponder, in modo che il Congegno si innescasse automaticamente se qualcuno, a parte lui, l’avesse toccato.

"Se quei surrogati di dèi vengono giù a cercarmi adesso, innesco manualmente il Congegno" aveva pensato, seduto sul ripiano, ottocento metri sotto la superficie del lago. Ma non voleva distruggere anche se stesso (se la distruzione era il vero scopo del Congegno) e non voleva nascondersi sott’acqua per tutto il giorno. L’umano Hockenberry aveva promesso di telequantarsi indietro per prenderlo, perciò avrebbe aspettato. Voleva vedere di nuovo Orphu. Inoltre la loro missione (a dire il vero, la missione dei compianti Koros III e Ri Po) era di portare il Congegno su Olympus Mons e confermare col trasmettitore che era in loco. I due obiettivi erano stati raggiunti. In un certo senso, lui e Orphu avevano eseguito la missione.

"Allora perché mi nascondo nelle profondità di questo incredibile lago della caldera?" si era chiesto. Pensò all’acqua che ribolliva ottocento metri sopra di lui, mentre gli dèi riversavano nel lago ira e raggi calorifici e ridacchiò, nel tipico modo moravec: quell’acqua avrebbe dovuto ribollire in ogni caso, poiché la cima di Olympus Mons si trovava nel vuoto quasi assoluto.

Poi era giunto il momento in cui l’umano di nome Hockenberry sarebbe dovuto venire a prenderlo. Sorprendentemente, l’umano aveva mantenuto la parola.


«Descrivi la Terra» disse Orphu, nel Boschetto sacro. Mahnmut era scivolato giù dal guscio e guidava l’amico mediante una fune avvolta intorno alla bardatura di levitazione. «Sei sicuro che siamo sulla Terra?» soggiunse Orphu.

«Abbastanza sicuro» rispose Mahnmut. «La gravità è quella giusta, l’aria è quella giusta, il Sole pare delle dimensioni giuste e la flora è uguale alle immagini nelle banche dati. Oh, anche gli esseri umani… anche se tutti questi uomini e donne sembrano soci del migliore club di culturismo del sistema solare.»

«Tutti di bell’aspetto, eh?» disse Orphu.

«Per degli umani, credo di sì. Ma sono i primi Homo sapiens che incontro di persona e perciò chi può dirlo? Solo Hockenberry ha un aspetto ordinario, come gli uomini e le donne nelle fotografie e nei video e negli ologrammi che tu e io abbiamo nelle banche dati.»

«Cosa pensi che…» cominciò Orphu.

Ssst, trasmise Mahnmut sul raggio a fascio compatto. Aveva staccato il cavetto per non dover viaggiare ancora sul guscio di Orphu. Le nubi continuavano a turbinare sul campo di battaglia. Achille parla ai soldati, troiani e achei.

Capisci ciò che dice?

Certo. I file scaricati vanno benissimo, anche se devo desumere dal contesto qualche espressione colloquiale o qualche imprecazione.

Gli altri umani riescono a udirlo senza un altoparlante?

Quello ha polmoni d’acciaio, disse Mahnmut. Metaforicamente parlando. La sua voce arriva fino al mare in una direzione e alle mura di Troia in quella opposta.

Cosa dice? chiese Orphu.

"Io vi sfido, o dèi…" bla, bla, bla… "e ora grido: Distruzione! e sguinzaglio i cani della guerra…" bla, bla, bla…, declamò Mahnmut.

Un momento, disse Orphu. Ha usato davvero quella citazione da Shakespeare?

No. Traduco liberamente.

Puah. Pensavo che avessimo un sorprendente caso di plagio. Quanto manca all’attivazione del Congegno?

Quarantuno minuti, rispose Mahnmut. Qualcosa non va, nel tuo… Si interruppe.

Cosa c’è? disse Orphu.


Nel mezzo del provocatorio cri de cœur di Achille, comparve il re degli dèi. Achille smise di parlare. Nella piana di Ilio, duecentomila facce di uomini e una di robot si levarono al cielo.

Dalle nere nubi ribollenti scese Zeus, nel cocchio d’oro tirato da quattro magnifici cavalli olografici.

Teucro, il provetto arciere acheo, in piedi accanto ad Achille e Odisseo, prese la mira e scagliò una freccia, ma il cocchio si trovava troppo in alto, circondato (Mahnmut ne era certo) da un potente campo di forza. La freccia descrisse un arco e cadde nei cespugli di rovi ai piedi della cresta dove si trovavano i condottieri.

«TU OSI SFIDARE ME?» tuonò Zeus, con voce che risuonò in lungo e in largo per i campi e la spiaggia e la città dove erano radunati gli eserciti. «GUARDA LE CONSEGUENZE DELLA TUA HYBRIS!»

Il cocchio si spostò più in alto e poi accelerò verso sud, come se Zeus lasciasse il campo in direzione del monte Ida, appena visibile all’orizzonte meridionale. Forse solo Mahnmut, grazie alla vista telescopica, notò la piccola sfera argentea che Zeus, quando fu a una quindicina di chilometri da loro, lasciò cadere dal cocchio.

«A terra!» gridò Mahnmut, con voce amplificata a tutto volume, parlando in greco. «Per la vostra vita, gettatevi subito a terra! Non guardate a sud!»

Pochi obbedirono al suo ordine.

Mahnmut afferrò la cavezza di Orphu e corse al modesto riparo di un grosso macigno sulla cima della cresta, trenta metri più in là.

Il lampo, quando giunse, accecò migliaia di persone. I filtri polarizzati di Mahnmut passarono in automatico da valore sei a valore trecento. Il moravec non rallentò la folle corsa, tirandosi dietro Orphu come un gigantesco giocattolo.

L’onda d’urto colpì qualche secondo dopo il lampo, rotolò da sud in una muraglia di polvere e mandò visibili onde di stress a increspare l’atmosfera stessa. La velocità del vento passò in meno di un secondo da cinque chilometri all’ora da ovest a cento chilometri da sud. Centinaia di tende furono strappate dai picchetti e volarono nel cielo. I cavalli nitrirono e fuggirono dai padroni. Gli spumeggianti marosi furono soffiati lontano dalla riva.

Il rombo e l’onda d’urto sbatterono a terra tutti quelli che erano in piedi… tutti, tranne Ettore e Achille. Il rumore e la schiacciante pressione erano irresistibili, facevano vibrare ossa umane e interiora a stato solido moravec, oltre a far tremare le parti organiche di Mahnmut. Era come se la Terra stessa ruggisse e ululasse di collera. Centinaia di soldati achei e troiani, due chilometri a sud della cresta, presero fuoco e furono scagliati in alto e la loro cenere ricadde su migliaia di guerrieri atterriti in fuga verso nord.

Una sezione delle mura meridionali di Ilio si sbriciolò e crollò, portando con sé decine di persone, uomini e donne. Parecchie torri lignee della città presero fuoco e un’alta torre, quella da dove qualche giorno prima Hockenberry aveva guardato Ettore dire addio ad Andromaca e al figlioletto, cadde con uno schianto nella via.

Ettore e Achille si erano coperti il viso, riparandosi gli occhi dal terribile lampo che aveva scagliato la loro ombra a centinaia di metri nel Boschetto sacro. Dietro di loro, grossi macigni saldamente piantati sul tumulo funerario dell’amazzone Mirina vibrarono, scivolarono e caddero, schiacciando achei e troiani insieme. Il lucido elmo di Ettore non fu strappato via, ma il superbo cimiero di crine rosso fu sbrindellato dalle raffiche di vento che seguirono l’iniziale onda d’urto.

È successo qualcosa? chiese Orphu sul raggio a fascio compatto.

, mormorò Mahnmut.

Sento una sorta di vibrazione e di pressione in tutto il guscio, disse Orphu.

, mormorò di nuovo Mahnmut. L’unico motivo per cui il moravec di Io non era ruzzolato via sotto il vento e l’esplosione era che Mahnmut aveva legato la fune intorno al sasso più grosso che aveva trovato, sul lato sottovento del macigno che li riparava.

Che cosa…, cominciò Orphu.

Solo un minuto, lo interruppe Mahnmut.

La nube a fungo già si alzava per diecimila metri, fumo e tonnellate di detriti radioattivi salivano verso la stratosfera. Il terreno vibrava con tale forza per le scosse d’assestamento che perfino Achille ed Ettore caddero su un ginocchio per non farsi trascinare via come le decine di migliaia di loro uomini.

Il fungo atomico si mutò in un viso.

«VOLETE LA GUERRA, O MORTALI?» tuonò la faccia barbuta di Zeus nella nube che si alzava, ribolliva, si distendeva lentamente. «GLI DÈI IMMORTALI VI FARANNO VEDERE COS’È LA GUERRA.»

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