Corsi attraverso il vasto e sgocciolante arco della Porta degli Alberi, corsi sull’ampia distesa erbosa che in quel momento era costellata di tende. Non so dove, un megaterio ruggì e fece scuotere la catena. Pareva non esistere altro rumore. Mi fermai in ascolto e il megaterio, non più disturbato dai miei passi, scivolò nel sonno letargico della sua specie. Avvertivo la rugiada scorrere dalle foglie e i leggeri, frammentari cinguettii degli uccelli.
Ma c’era qualcosa di più. Un debole whick, whick, veloce e irregolare, che aumentò d’intensità quando lo ascoltai. Mi incamminai in mezzo alle tende silenziose, alla ricerca di quel rumore. Ma dovevo aver sbagliato nel giudicarlo, perché il dottor Talos mi vide per primo.
— Amico mio! Carissimo compagno! Stanno dormendo tutti… la tua Dorcas e gli altri. Tutti a parte te e me. Qua!
Mentre parlava, afferrò il bastone e lo fece roteare; il whick, whick era prodotto dalle corolle dei fiori recise.
— Ci hai trovati appena in tempo. Appena in tempo! Saremo di scena questa notte, e sarei stato obbligato a scritturare un altro attore per recitare la tua parte. Sono contento di rivederti! Ti devo dei soldi… rammenti? Non molto e, sia detto fra noi, sono convinto che sia falso. Ma ti spetta ugualmente, e io pago sempre.
— Purtroppo non me ne ricordo — dissi io. — Perciò non deve trattarsi di una gran somma. Se Dorcas sta bene, sono pronto a soprassedere, purché tu mi offra qualcosa da mangiare e mi mostri dove posso dormire per almeno due turni di guardia.
Il dottore chinò per un istante il naso appuntito per manifestare il suo rincrescimento. — Puoi dormire quanto desideri, fino a quando non ti sveglieranno gli altri. Ma purtroppo non possediamo niente di commestibile. Baldanders, lo sai bene, divora tutto. Il maresciallo del tiaso ha assicurato che avrebbe portato qualcosa, oggi, per tutti noi. — Accennò vagamente con il bastone all’irregolare accampamento di tende. — Ma credo che non arriverà prima di metà mattina.
— Non importa. In verità sono troppo stanco per mangiare; ma se tu mi facessi vedere dove mi posso coricare…
— Cosa ti è successo alla testa?… Non ha importanza… lo nasconderemo con il trucco. Da questa parte! — Il dottor Talos si era già incamminato di buon passo davanti a me. Lo seguii attraverso un labirinto di corde fino a una cupola color eliotropio. Vicino all’entrata vidi la carriola di Baldanders, e finalmente ebbi la certezza di aver ritrovato Dorcas.
Al mio risveglio, fu come se non ci fossimo mai separati. La delicata grazia di Dorcas era immutata; la bellezza di Jolenta la metteva in ombra, come al solito, ma quando ci trovavamo tutti e tre insieme io desideravo solo che lei se ne andasse, così da poter tenere gli occhi fissi su Dorcas. Dopo un’ora che eravamo tutti svegli, mi appartai con Baldanders domandandogli per quale motivo mi avesse abbandonato nel bosco oltre la Porta della Misericordia.
— Io non ero con te — rispose lui, adagio. — Io ero con il mio dottor Talos.
— Anch’io. Avremmo potuto cercarlo insieme e aiutarci reciprocamente.
Ci fu una lunga pausa; mi parve di avvertire sul volto il peso di quegli occhi spenti, e nella mia ignoranza pensai a quanto terribile sarebbe stato se Baldanders avesse avuto l’energia e il desiderio di arrabbiarsi.
Alla fine lui chiese: — Eri insieme a noi quando abbiamo lasciato la città?
— Certamente. Io, Dorcas e Jolenta eravamo tutti con te.
Un’altra pausa. — Allora ti abbiamo incontrato là.
— Infatti. Non lo ricordi?
Baldanders scosse lentamente il capo e io vidi che i crespi capelli neri erano striati di grigio. — Una mattina mi sono svegliato vicino a te. Stavo pensando. Mi hai lasciato presto.
— Allora la situazione era diversa… ci eravamo messi d’accordo di ritrovarci. — (Sentii una fitta di pentimento, ricordando come non avessi avuto la minima intenzione di rispettare quella promessa.)
— Ci siamo ritrovati — disse Baldanders con voce spenta; e poi, notando che la sua riposta non mi era bastata, aggiunse: — Qui, per me, non c’è niente di vero a parte il dottor Talos.
— La tua lealtà è davvero lodevole, ma avresti dovuto ricordare che lui desiderava anche me, oltre a le, come compagnia. — Non riuscivo ad arrabbiarmi con quel gigante mansueto e stupido.
— Raccoglieremo molti soldi, qui nel sud, e allora ricostruiremo un’altra volta, come abbiamo già fatto, quando loro avranno dimenticato.
— Qui siamo a nord. Ma hai ragione, la tua casa è stata distrutta, giusto?
— Bruciata — annuì Baldanders. Riuscivo quasi a scorgere le fiamme nei suoi occhi. — Mi dispiace, se ti è successo qualcosa di sgradevole. Per molto tempo ho pensato solo al castello e al mio lavoro.
Lo lasciai seduto e mi recai a ispezionare le attrezzature del nostro palcoscenico… anche se non era necessario, e del resto non sarei stato in grado di notare niente, a parte le mancanze più evidenti. Numerosi commedianti si erano riuniti intorno a Jolenta e il dottor Talos li mandò via ordinando alla giovane di ritirarsi nella tenda. Un istante dopo udii il tonfo del bastone sulla carne; poi il dottore uscì, sorridente ma ancora turbato.
— Non è colpa di Jolenta — dissi io. — È il suo aspetto…
— Troppo appariscente. Oh, sì, troppo, troppo appariscente. Sai cosa mi piace di te, sieur Severian? Tu preferisci Dorcas. A proposito, dov’è? L’hai vista da quando sei tornato?
— Ti avviso, dottore, non la picchiare.
— Non ci penserei nemmeno. Ho solo paura che si sia perduta.
La sua espressione stupita mi convinse che stava dicendo la verità. Gli risposi: — Siamo usciti a parlare per un momento, poi lei è andata a prendere l’acqua.
— È un gesto coraggioso da parte sua — commentò il dottor Talos, e dopo aver visto la mia espressione stupita aggiunse: — Dorcas ha il terrore dell’acqua. L’avrai certo notato. È pulita, ma anche quando si lava, l’acqua non deve essere più profonda di un dito. Quando passiamo sopra un ponte, si aggrappa a Jolenta e trema.
Dorcas tornò e se anche il dottore disse qualcos’altro non lo sentii. Quella mattina, nel momento del nostro incontro, nessuno dei due era riuscito a fare più di un sorriso e di una incredula stretta di mano. Allora finalmente mi venne vicina, appoggiò i secchi che aveva portato e sembrò mangiarmi con gli occhi. — Mi sei mancato tanto — disse. — Ero così sola, senza di te.
Il pensiero che qualcuno avvertisse la mia mancanza mi fece ridere, quindi sollevai l’orlo del mantello di fuliggine. — Era questo che ti mancava?
— La morte, intendi dire? Sentivo la mancanza della morte? No, la tua. — Dorcas afferrò il mio mantello e mi attirò verso il filare di pioppi che formava una delle pareti della Sala Verde. — Ho trovato una panchina, vicino alle aiuole delle erbe aromatiche. Vieni a sederti insieme a me. Potranno fare a meno di noi per un po’, dopo tanti giorni, e alla fine Jolenta uscirà e troverà l’acqua, che comunque era per lei.
Non appena fummo lontani dal frastuono dell’accampamento, nel quale i giocolieri lanciavano i coltelli e gli acrobati i figli, ci trovammo immersi nel silenzio dei giardini. Si tratta, probabilmente, del più esteso tratto di terra esistente al mondo che sia stato spianato e ricoperto di piante per creare la bellezza, a parte quei terreni incolti che sono i giardini dell’Increato e i cui coltivatori sono invisibili per i nostri occhi. Le siepi, sovrapponendosi, creavano un angusto passaggio. Ci addentrammo in un boschetto di piante dai rami bianchi e odorosi che mi facevano ricordare dolorosamente i susini in fiore in mezzo ai quali i pretoriani avevano trascinato me e Jonas, nonostante gli uni sembrassero piantati solo a scopo ornamentale e gli altri, pensai, per i loro frutti. Dorcas aveva spezzato un ramoscello adorno di una mezza dozzina di fiori e se l’era messo fra i capelli d’oro chiaro.
Oltre il frutteto c’era un giardino tanto vetusto che, dedussi, doveva essere stato dimenticato da tutti, a parte i servitori che se ne prendevano cura. La panchina di pietra, un tempo, doveva essere stata abbellita da teste scolpite, ma erano talmente rovinate da aver perso quasi del tutto i lineamenti. Erano rimaste poche aiuole di fiori molto semplici e file odorose di erbe aromatiche… rosmarino, angelica, menta, basilico, ruta, che crescevano in un terreno diventato nero come il cioccolato in seguito alle fatiche di innumerevoli anni.
C’era anche un piccolo ruscello, dove Dorcas doveva aver attinto l’acqua. Una volta la sorgente doveva essere stata una fontana, ma ormai era solo una specie di polla che sgorgava in una conca di pietra non molto profonda dalla quale traboccava, insinuandosi in piccoli canalini rozzamente rivestiti di muratura che andavano a irrigare gli alberi da frutto. Ci sedemmo sulla panchina; io appoggiai la spada al braccio e Dorcas mi prese le mani.
— Severian, ho paura — mi disse. — Faccio sempre dei sogni tremendi.
— Da quando me ne sono andato?
— Sempre.
— Quando eravamo fianco a fianco nel campo mi dicesti che ti avevo svegliata da un bel sogno. Mi hai detto che era ricco di particolari e che sembrava vero.
— Se era bello, me ne sono dimenticata.
Avevo notato che Dorcas teneva lo sguardo lontano dall’acqua che fuoriusciva dalla fontana in rovina.
— Tutte le notti sogno che sto passeggiando lungo strade costeggiate da botteghe. Sono felice, o per lo meno contenta. Ho soldi da spendere e ci sono tante cose che desidero comprare. Me le elenco una per una nella mente e cerco di stabilire in quale zona del quartiere posso trovare ogni oggetto al prezzo più conveniente e della migliore qualità.
«Ma a poco a poco, mentre passo da una bottega all’altra, mi rendo conto che tutti quelli che incontro mi odiano e mi disprezzano, e so che è così perché mi credono uno spirito immondo che ha preso una forma umana. Alla fine entro in un negozio gestito da un vecchio e da una vecchia. La donna è seduta e sta lavorando un pizzo, l’uomo dispone le merci sul bancone per farmele vedere. Alle mie spalle avverto il rumore del filo che passa nel merletto.
— Cosa vuoi comperare? — domandai.
— Vestitini. — Dorcas allungò le piccole mani bianche, a mezza spanna l’una dall’altra. — Vestitini per le bambole, credo. Ricordo, in particolare, le camicine di finissima lana. Alla fine ne scelgo una e consegno i soldi al vecchio. Ma non sono soldi… è solo un mucchietto di sporcizia.
Le tremavano le spalle e io la circondai con un braccio, nel tentativo di rassicurarla.
— Allora vorrei gridare che stanno sbagliando, che io non sono lo spettro immondo che loro credono. Eppure so che, se lo facessi, qualsiasi mia parola verrebbe interpretata come la dimostrazione decisiva che essi hanno ragione, e le parole mi muoiono in gola. Il peggio è che esattamente in quel momento il fruscio del filo si interrompe. — Dorcas aveva afferrato nuovamente la mia mano libera; la strinse come se volesse con quel gesto infondere in me le sue parole. — Lo so, nessuno può capirmi se non ha fatto lo stesso sogno, ma è tremendo. Tremendo.
— Forse adesso che sono di nuovo con te questi sogni finiranno.
— E poi mi addormento, o per lo meno sprofondo nel buio. Se non riesco a svegliarmi, arriva il secondo sogno. Sono a bordo di una barca che viene spinta per mezzo di una pertica su un lago spettrale…
— Questo per lo meno non è un mistero — dissi io. — Sei stata davvero su una barca simile, con me e Agia. Apparteneva a un uomo chiamato Hildegrin, lo ricorderai certamente.
Dorcas scosse il capo. — Non si tratta di quella barca. È molto più piccola. C’è un vecchio che la spinge con la pertica e io sono distesa ai suoi piedi. Sono sveglia ma non posso muovermi e le mie braccia sono immerse nell’acqua scura. Proprio quando stiamo per arrivare a terra cado dalla barca; ma il vecchio non se ne accorge e mentre vado a fondo so che non si è nemmeno reso conto della mia presenza. Quasi subito la luce svanisce e io ho molto freddo. In alto, molto sopra di me, sento una voce amata che pronuncia il mio nome, ma non riesco a ricordare a chi appartiene.
— È la mia voce e ti sto chiamando per svegliarti.
— È probabile. — Il segno della frustata che Dorcas portava sulla guancia dalla Porta della Misericordia bruciava come un marchio.
Rimanemmo seduti a lungo senza parlare. Gli usignoli tacevano, ma i fanelli cantavano su tutte le piante e scorsi un pappagallo, vestito di scarlatto e di verde come un piccolo messaggero in divisa, sfrecciare fra i rami.
Alla fine Dorcas disse: — Com’è paurosa l’acqua. Non avrei dovuto portarti qui, ma era l’unico posto vicino che mi sia venuto in mente. Vorrei che fossimo seduti per terra sotto quegli alberi.
— Perché la detesti tanto? A me pare molto bella.
— Perché qui è all’aperto, ma generalmente scorre verso il basso, lontano dalla luce.
— Però poi risale — dissi io. — La pioggia che scende in primavera è la stessa acqua che l’anno precedente abbiamo visto fluire nei canali di scolo. O almeno, così diceva il Maestro Malrubius.
Il sorriso di Dorcas rifulse come una stella. — È piacevole crederlo, anche se forse non è la verità. Severian, è stupido da parte mia affermare che sei la persona migliore che conosco, perché sei l’unica persona buona che conosco in realtà. Ma sono convinta che, se anche incontrassi mille altri uomini, il migliore saresti comunque tu. È di questo che ti volevo parlare.
— Se desideri la mia protezione, l’hai già, lo sai.
— Non è tutto — disse Dorcas. — In un certo senso vorrei darti la mia. Ecco, ti sembra una stupidaggine, vero? Non ho una famiglia, non ho nessuno al mondo a parte te, eppure penso di poterti proteggere.
— Conosci Jolenta e il dottor Talos e Baldanders.
— Loro non contano. Non capisci, Severian? Anch’io non sono nessuno, ma loro sono ancora meno di me. Questa notte eravamo tutti e cinque nella tenda, eppure eri solo. Una volta mi hai detto di non avere molta fantasia; ma questo devi averlo avvertito.
— È dalla… solitudine che mi vuoi proteggere? Mi farebbe piacere.
— Allora lo farò, come posso e fino a quando mi sarà possibile. Ma soprattutto voglio proteggerti dal giudizio del mondo. Severian, ricordi il sogno che ti ho appena detto? Tutti, nella bottega e per le strade, pensano che io sia solo uno spettro ripugnante. E forse hanno ragione.
Stava tremando e io la strinsi a me.
— In parte il sogno è doloroso proprio per questo motivo, in parte perché io so che sotto altri punti di vista hanno torto. Io sono lo spettro immondo. Io. Ma in me ci sono anche altre cose, che fanno parte di me esattamente come lo spettro.
— Tu non potresti mai essere immonda.
— Oh, sì — rispose Dorcas, serissima, sollevando lo sguardo verso di me. Il suo volto non mi era mai parso tanto bello e puro come in quel momento, con il sole che lo illuminava. — Oh, sì, posso esserlo, Severian. Esattamente come tu puoi essere quello che ti definiscono. Quello che a volte sei. Rammenti quando vedemmo la cattedrale salire verso il cielo e ardere in un istante? E quando percorremmo la strada in mezzo agli alberi finché vedemmo una luce, più avanti, ed erano il dottor Talos e Baldanders che stavano per inscenare il loro dramma insieme a Jolenta?
— Tu stringevi la mia mano — dissi. — E discorrevamo di filosofia. Come potrei dimenticarmelo?
— Quando raggiungemmo la luce e il dottor Talos ci vide… rammenti cosa disse?
Tornai con la memoria a quella sera, alla fine della giornata in cui avevo giustiziato Agilus. Udii il ruggito della folla, l’urlo di Agia e poi il rullo del tamburo di Baldanders. — Disse che erano arrivati tutti, che tu eri l’Innocenza e io la Morte.
Dorcas annuì, seria. — Infatti. Ma tu non sei davvero la Morte, sebbene molto spesso ti chiamino in tal modo. Non sei la morte, come non lo è il macellaio che passa tutto il giorno a tagliare la gola ai manzi. Per me tu sei la Vita, sei un giovane di nome Severian, e se desiderassi indossare altre vesti e diventare un carpentiere o un pescatore, nessuno te lo potrebbe proibire.
— Non desidero affatto lasciare la mia corporazione.
— Ma potresti. Anche oggi stesso. È questo che occorre rammentare. La gente non pensa agli altri come a esseri umani. Li insulta e li rinchiude, ma non vuole che tu ti lasci rinchiudere. Il dottor Talos è peggio di tanti altri. A suo modo, è falso…
Dorcas lasciò in sospeso quella frase di accusa e io dissi: — Una volta ho sentito Baldanders sostenere che non mente quasi mai.
— A suo modo, ho detto. Baldanders ha ragione: il dottor Talos non mente nel modo in cui generalmente si intende la menzogna. Definirti Morte non è stata una falsità, è stata una… una…
— Metafora — proposi.
— Ma era una metafora pericolosa, cattiva, e rivolta a te suonava come una menzogna.
— Tu credi che il dottor Talos mi detesti? Io lo ritenevo una delle poche persone gentili nei miei confronti da quando ho lasciato la Cittadella. Tu, Jonas, che ora se ne è andato, una vecchia che ho conosciuto quando ero stato catturato, un tale dalla veste gialla, che a sua volta mi ha chiamato Morte, e il dottor Talos. È un elenco molto breve, in verità.
— Non penso che detesti nel senso comune del termine — rispose a bassa voce Dorcas. — E non penso nemmeno che ami come si intende l’amore. Lui desidera manipolare tutto quello che incontra, mutarlo secondo la sua volontà. E poiché distruggere è più facile che costruire, lo fa frequentemente.
— Baldanders pare che gli sia affezionato — dissi io. — Una volta avevo un cane menomato e ho visto Baldanders guardare il dottor Talos come Triskele guardava me.
— Capisco cosa intendi dire, ma non credo che sia così. Non hai mai riflettuto sul modo in cui tu guardavi il tuo cane? E che cosa sai del loro passato?
— So solo che abitavano nella stessa casa sul lago Diuturna. Pare che la gente del posto abbia appiccato il fuoco alla loro casa per obbligarli ad andarsene.
— Credi che il dottor Talos possa essere figlio di Baldanders?
Era un’ipotesi talmente assurda che scoppiai a ridere, contento di poter scaricare in tal modo la tensione.
— Comunque — continuò Dorcas, — è proprio questo il loro modo di comportarsi. Come un padre volenteroso e ritardato con un figlio geniale e volubile. Per lo meno, a me sembra così.
Solo quando ci alzammo per fare ritorno verso la Sala Verde (che non ricordava affatto il quadro mostratomi da Rudesind più di quanto avrebbe potuto farlo qualsiasi altro giardino) mi chiesi se anche il termine «Innocenza» riferito a Dorcas dal dottore fosse stato una metafora dello stesso genere.