CAPITOLO SECONDO

La giovane donna giunse a Caithnard quattro giorni più tardi. Il mare verdastro e spumeggiante le faceva pensare agli occhi e alla pelle di Ylon, e la nave fu spinta nel porto dalle onde che la facevano rullare e beccheggiare. Quando venne ormeggiata alla banchina ne sbarcò con sollievo. Si fermò a osservare i marinai che scaricavano da un vascello lì accanto sacchi di granaglie, cavalli da tiro, pelli di pecora e balle di lana. Da una nave dipinta in arancione e oro vide portare a terra cavalli di razza diversa, dai grandi zoccoli e col pelame dorato. Anche il suo bel cavallo da sella venne fatto sbarcare. Bri Corbett, il comandante della nave al servizio di suo padre, percorse la passerella continuando a gridare istruzioni all’equipaggio, e scese per farle da scorta fino alla Scuola. L’uomo diede un’occhiataccia a uno scaricatore che, da sotto il suo sacco di grano, fissava Raederle con ammirazione troppo evidente, facendolo ammutolire. Prese i due cavalli per le redini e cominciò a farsi lentamente strada sui moli affollati.

— Quella dev’essere la nave di Joss Merle, arrivato adesso da Osterland, ci scommetterei — disse, indicandole un panciuto vascello dalle vele verdi. — Carico fino a scoppiare di pelli. Come fa a navigare dritta una tinozza così rotonda non l’ho mai capito. Ed ecco laggiù Halster Tull, ritto sulla poppa della nave, quella arancione. Ah, scusatemi signora. Per un uomo che una volta faceva il mercante, venire a Caithnard in primavera è come essere nelle cantine di vostro padre con un boccale vuoto in mano: non so quale botte guardare per prima.

Lei cercò di sorridere, e la rigidezza con cui la bocca le rispose la costrinse a riflettere che il suo volto doveva essersi trasformato in una maschera per chi la guardava. — Sì, c’è molta animazione. È piacevole — disse. Si rese conto che in quei giorni il suo silenzio poteva aver messo a disagio il capitano, e si propose d’essere più cordiale.

Di fronte a loro, ai piedi della passerella di una nave dipinta in giallo e arancione, c’era un gruppo di giovani donne che chiacchieravano vivacemente. Le loro lunghe vesti eleganti scintillavano nel vento che le scuoteva; s’indicavano l’un l’altra tutto ciò che vedevano, con occhi brillanti d’eccitazione e commenti divertiti. Il sorriso di Raederle si spense. — A chi appartiene quel vascello arancione?

Il capitano schioccò le dita, ma poi si accigliò, incerto. — Non l’ho mai visto prima. Però giurerei… No. Non può essere.

— Che cosa?

— Quelle sono le guardie della Morgol, ecco chi sono! Non me n’ero reso conto perché lei lascia Herun solo molto di rado.

— Le guardie? — si stupì lei.

— Quelle ragazze, sì. Belle come fiori… ma provate a dir loro una parola storta e vi ritroverete scaraventata in mare a mezza strada fra qui e Hed. — Tossicchiò, imbarazzato. — Uh! Chiedo scusa, signora.

— Non chiedetemi scusa. Però non parliamo più di corvi, capitano.

— Come volete. — L’uomo scosse la testa con un sospiro. — Ma… un corvo! E pensare che ce l’avrei portato io a costo di mettermi ai remi, se ce ne fosse stato bisogno, su per l’Ose fino al Monte Erlenstar.

Lei aggirò un mucchio di barilotti di vino piuttosto pericolanti. Affiancandolo lo guardò negli occhi. — Ne sareste stato capace? Di condurre mio padre su una nave risalente l’Ose?

— Be’… non proprio. Non esiste nave al mondo che possa risalirlo oltre il Passo Isig, a causa delle rapide. Ma se me lo avesse chiesto ci avrei provato.

— Fino a dove si può giungere via fiume?

— Partendo da Kraal, sul mare, si può risalire il Fiume Inverno fino alla sua confluenza con l’Ose, a est di Isig. Ma è un viaggio lento, specialmente in primavera quando col suo disgelo le acque acquistano forza. E occorrerebbe una nave senza chiglia, mentre quelle di vostro padre pescano troppo per quei bassi fondali.

— Ah!

— L’Inverno è un fiume largo e placido, all’apparenza. Ma smuove tali banchi di sabbia che a distanza di un anno giurereste di essere in navigazione su un fiume completamente diverso. Assomiglia a vostro padre: non si può mai dire cosa intenda fare. — Arrossì un poco, ma la fanciulla stava osservando la foresta d’alberi oscillanti e si limitò ad annuire.

— Obliquo e imprevedibile, sì.

Usciti dal porto montarono in sella e attraversarono la città animata e affaccendata, poi spronarono i cavalli su per la salita che sfiorando le bianche spiagge conduceva all’antica Scuola. Sul prato antistante c’erano pochi studenti, per lo più intenti a leggere, e nessuno di loro si prese la briga di alzare il capo per guardarli. Giunti al portone scesero, e il comandante bussò. Uno studente in toga rossa, dall’aria molto frettolosa, venne ad aprire e li interrogò con voce brusca su quel che volevano.

— Siamo venuti a vedere Rood di An.

— Se fossi in voi lo cercherei fra le taverne. Il «Marinaio Solitario», giù al porto, è la più probabile. Oppure «L’Ostrica Reale»… — Sbirciando dietro le spalle del comandante il giovanotto vide Raederle, e con un’esclamazione uscì verso di lei. — Santo cielo, Raederle! Mi spiace, signora, non m’ero accorto di voi. Desiderate entrare e aspettare qui il ritorno di vostro fratello?

La giovane donna riuscì finalmente a ricordare il nome dello studente di enigmi! — Tes! Come stai? Non ho dimenticato chi mi insegnò a fischiare.

Un sorriso di compiacimento illuminò il volto di lui. — Già. Portavo il Blu dei Praticanti Esterni, allora, e voi eravate… eravate… — S’interruppe, intimidito. Poi si volse a Corbett. — Comunque, in biblioteca non c’è nessuno, se non v’importa di aspettare lì.

— No, grazie — disse lei. — So dov’è il «Marinaio Solitario». Però non conosco «L’Ostrica Reale».

— In via della Vecchia Goletta. Ricordate? Di fronte all’«Occhio della Strega Marina».

— In nome di Hel! — sbottò Corbett. — Si può sapere di cosa parli? Non ti aspetterai che la signora conosca il nome di tutte le dannate bettole di questa città, per caso?

— Pare invece che io abbia una certa cultura in materia — lo informò Raederle con un filo d’asprezza. — Ogni volta che sono venuta a fargli visita, Rood aveva il naso infilato in un boccale di vino. O in un libro. Speravo che stavolta sarebbe stato in un libro. — Trattenendo il suo cavallo per le redini esitò, poi chiese: — Lui ha… voi avete avuto qualche notizia da Hed?

— Certo. — Il giovane si accigliò, abbassò la voce. — Già. Ieri sera è passato di qui un mercante che aveva fatto scalo a Hed. La Scuola è un po’ in subbuglio. È da allora che non vedo Rood. Sono stato in piedi tutta la notte coi Maestri. — Nel vederla sospirare ebbe un gesto di scusa. — Vi aiuterei a cercarlo, ma ho avuto l’ordine di andare giù al porto. Devo scortare qui alla Scuola la Morgol di Herun.

— Non preoccuparti. Lo cercheremo noi stessi.

— Io lo cercherò — puntualizzò Bri Corbett, con enfasi. — Vi prego, signora. Le taverne di Caithnard non sono posto per voi.

Lei fece girare il cavallo. — Avere un padre che se ne va attorno in forma di corvo dà una certa qual noncuranza per le formalità. Inoltre io so quali sono i suoi posti preferiti.

Ma un’ora dopo li avevano già esplorati tutti senza successo. Quando ebbero però domandato in una mezza dozzina di taverne l’avvenenza di Raederle aveva procurato loro un codazzo di studenti desiderosi di aiutarla, tutti conoscenti di Rood, e costoro li precedettero da un locale all’altro eseguendo in ciascuno una metodica perquisizione. Fuori da uno di essi la giovane sbirciò da una finestra, e quando notò che frugavano perfino sotto i tavoli mormorò stupita: — Ma dove lo trova il tempo di studiare?

Bri Corbett si tolse il cappello e lo usò per farsi vento. Stava sudando. — Signora, permettetemi di ricondurvi alla nave.

— No.

— Voi siete stanca. E dovete essere affamata. Vostro padre mi metterebbe a ramazzare il ponte di una nave, se sapesse che vi lascio strapazzare a questo modo. Troverò io Rood, e lo porterò a bordo.

— Voglio cercarlo io. Devo parlargli.

Gli studenti sciamarono all’esterno con aria delusa. Uno di loro decise: — Resta soltanto la locanda «Cuore e Speranza», nella via del mercato del pesce. Proviamo anche là.

— La via del mercato del pesce?

— Nell’angolo meridionale del porto, signora. — La informò lui, e aggiunse: — È meglio che aspettiate qui, se volete un buon consiglio.

— Vengo anch’io — disse lei.

Sotto il sole caldo del pomeriggio la strada dove i pescatori vendevano all’ingrosso sembrava avere un’atmosfera solida e vibrante, tant’era intenso l’odore del pesce che cominciava a infrollire nelle ceste. Bri Corbett storse il naso con un brontolio. Raederle invece, al pensiero d’essere passata dagli eterei ambienti della Scuola degli Enigmi alla più sudicia e maleodorante strada dei sobborghi, piena di lische e resti di pesce fra cui si azzuffavano i gatti, fu costretta a ridere stancamente.

— Locanda Cuore e Speranza… ora capisco. Due virtù indispensabili, per sopportare questo odore!

— Eccola qui — sospirò Bri Corbett, mentre gli studenti sparivano in un edificio il cui aspetto gli aveva fatto sbarrare gli occhi.

La locanda era una costruzione in legno così stinto, cadente e polveroso, che non si capiva come il pianterreno potesse sostenere il peso del primo piano. Ma oltre le finestre sudice sembrava esserci un notevole affollamento di clienti, popolani e marinai, garzoni e prostitute, il cui vociare colorito fece stringere i denti al comandante. L’uomo poggiò una mano sul collo del cavallo di Raederle. — Questo è troppo. Dovete lasciare che vi conduca alla nave, adesso.

Lei tenne gli occhi fissi sulla porta malridotta del locale. — Non so più dove altro cercare. Forse sulla spiaggia. Ma devo trovarlo. Talvolta c’è una sola cosa peggiore del non sapere cosa Rood stia pensando, ed è il sapere quello che sta pensando.

— Me ne occuperò io, signora. Ma ora voi… — Il fracasso della porta che si spalancava di colpo gli fece girare la testa. Uno degli studenti che li stava aiutando volò fuori dal locale e rotolò fino ai piedi di Bri Corbett. Quando si poté tirare in piedi il giovanotto ansimò:

— È qui.

— Rood è lì dentro? — esclamò Raederle.

— Lui e i suoi pugni. — Si asciugò un filo di sangue che gli colava da un labbro ammaccato. — Pare che sia in uno dei suoi momenti neri. E ora, se permettete…

Lo studente corse a riaprire la porta e si tuffò all’interno, scomparendo in un caos di membra e corpi che si agitavano urlando. Le toghe di colore bianco, azzurro, rosso e oro si mescolavano con gli abiti più opachi del resto della clientela come in un vortice di colori. Lo spicinio delle bottiglie che andavano in pezzi fece sussultare il comandante. Raederle si coprì la faccia con le mani. Poi scivolò giù di sella. Una toga dorata da Maestro Intermedio, priva del suo occupante, uscì dalla finestra semiaperta e svolazzò sul selciato. La ragazza andò alla porta, ignorando le allarmate proteste di Bri Corbett. Dai corpi che si agitavano dinnanzi al bancone di mescita vide emergere fieramente Rood, nella sua toga rossa strappata in più punti.

Il volto di lui era composto in una calma quasi pensierosa, come se si trovasse nella sua stanza a studiare invece che nel mezzo di una rissa da taverna dove volavano pugni e calci, e mostrava un netto arrossamento su uno zigomo. La fanciulla sbatté le palpebre nel vederlo abbassare il capo per evitare una grossa oca, spennata e senza testa, che gli sfiorò un orecchio e andò a tonfare pesantemente nel muro. Poi lo chiamò. Il giovane non la sentì neppure, poiché era impegnato a tener fermo un Novizio in toga bianca che si contorceva fra le sue braccia, e vedendo il gestore del locale farsi strada verso di lui glielo scaraventò addosso. Poi si volse e affondò un pugno nello stomaco di un mercante di pesce, che replicò cercando di colpirlo con una seggiola.

Un massiccio studente in toga dorata, dall’aria decisa, gli arrivò alle spalle e gli passò un braccio robusto intorno al collo, gridando con tutto il suo fiato: — Nobile, volete piantarla prima che io vi spacchi in due e vi faccia sputare tutti quanti i vostri dannati denti?

Rood lo colpì con una gomitata al plesso solare e l’altro si piegò in due, cadendo a sedere sul pavimento. Gli studenti che avevano condotto lì Raederle caricarono in massa contro un folto gruppo di clienti, travolgendo anche Rood, e la giovane donna lo perse di vista. Ma da lì a poco il fratello ricomparve proprio dinnanzi a lei, aggrappato a un pescatore alto e massiccio come il Toro Bianco di Aum. Il violento pugno che Rood gli sferrò nelle costole ebbe come solo effetto quello di fargli mollare la gamba di legno che l’uomo impugnava come un randello dopo averla strappata via dal ginocchio di un mendicante zoppo. Quindi il pescatore afferrò Rood per il colletto con una mano e sollevò l’altra, grossa come un prosciutto e chiusa a pugno. Come in sogno Raederle vide se stessa chinarsi, raccogliere la gamba di legno e poi abbatterla sul cranio del colosso, che piombò al suolo prima d’aver potuto sferrare il colpo. Rood vacillò, e accorgendosi soltanto allora della presenza di lei la fissò a occhi sbarrati. — Raederle!

Il suo grido si ripercosse fra le pareti della taverna, finché la zuffa generale si smorzò ed anche i combattimenti privati negli angoli più lontani cessarono. La giovane donna s’accorse, sorpresa, che il fratello sembrava perfettamente sobrio. Le facce ammaccate o rese vacue dal vino degli avventori s’erano voltate verso di lei l’una dopo l’altra. Il gestore, che stava per sbattere due teste fra loro, la fissava a bocca aperta e con occhi che le ricordarono quelli dei pesci nelle ceste. Imbarazzata lasciò cadere al suolo la gamba di legno, con un tonfo che si ripercosse nel silenzio, e fu costretta ad arrossire. Alla statua di sale che era diventato Rood disse: — Mi spiace. Non volevo interromperti. Ma ti ho cercato per tutta Caithnard, e non potevo permettere che costui ti ammazzasse prima di averti parlato.

Finalmente Rood si mosse, con sollievo di lei. Girò sui presenti un sogghigno, raccolse la bottiglia mezza vuota rimasta miracolosamente intatta sul suo tavolo e la agitò verso il proprietario. — Manda il conto a mio padre, amico.

Uscì dalla taverna, e trovandosi di fronte il cavallo di Raederle vi si appoggiò ansimando. Per qualche attimo restò con la fronte chinata su una delle morbide borse da sella, riprendendo il fiato. Quando tornò a volgersi verso di lei si accigliò, con un mugolio. — Sei ancora qui. Già, non potevi essere un’allucinazione, visto che ho bevuto solo un paio di bicchieri. Ma cosa, demoni e maledizione, stai facendo in questo lurido vicolo di Caithnard?

— E tu cosa demoni e maledizione credi che stia facendo qui? — La fanciulla scoprì che la voce le tremava, come se in lei riaffluisse tutto il dolore, la confusione e la paura di quegli ultimi giorni. — Ho bisogno di te.

Lui si raddrizzò e le passò un braccio intorno alle spalle. Poi si volse al comandante, che fissava con aria disgustata i clienti della taverna. — Vi ringrazio. Vi prego di mandare qualcuno alla Scuola, per ritirare la mia roba.

Bri Corbett ne fu stupito. — Tutto quanto, Nobile?

— Tutto ciò che c’è nella mia stanza. Ogni bottiglia mezza vuota, ogni granello di polvere che mi appartenga. Tutto.

Il giovane condusse poi Raederle in una taverna più quieta ed elegante nel centro cittadino. Seduto al tavolo, con una bottiglia fra loro, la osservò bere in silenzio. Per un poco si palleggiò il boccale fra le mani, e infine disse a bassa voce: — Io non credo che sia morto.

— E allora cos’è che credi? Che sia semplicemente diventato pazzo e abbia perso così il governo della terra? Certo, è un pensiero confortevole. È per questo che stavi cercando di distruggere quel locale?

Lui ebbe un brivido e abbassò gli occhi. — No. — Allungò una mano ad afferrarle un polso, con tale forza che le dita della ragazza dovettero lasciare il boccale. Raederle sussurrò: — Rood, è proprio questa la cosa spaventosa che io non riesco a scacciare dalla mente: che mentre io attendevo, mentre tutti lo attendevamo salvi e al sicuro, convinti che fosse con il Supremo, lui stava forse lottando contro qualcosa che aggrediva la sua mente come un branco di lupi aggrediscono un cervo. E il Supremo non ha fatto nulla.

— Lo so. Ieri un mercante ha portato la notizia alla Scuola. I Maestri sono sbigottiti. Morgon ha portato in superficie enigmi che sono un autentico nido di vipere, per poi morire senza dar loro risposta. È come se li avesse gettati davanti alla loro porta, poiché la Scuola esiste per trovare la risposta a tutto ciò che richiede una risposta. I Maestri si sono trovati faccia a faccia con la loro stessa coscienza: l’enigma è letteralmente mortale, ed essi si stanno chiedendo fino a che punto sono disposti a rischiare per il loro interesse nella verità.

Bevve un sorso di vino e tornò a fissarla. — Sai cos’è successo?

— Che cosa?

— Otto Maestri anziani e Nove Maestri Apprendisti hanno discusso tutta la notte per stabilire chi deve andare al Monte Erlenstar a parlare col Supremo. Ognuno di loro voleva l’incarico.

Ella sfiorò una manica della sua toga rossa. — Tu sei un Maestro Apprendista, adesso.

— No. Ieri ho detto al Maestro Tel che me ne vado. Dopo averglielo detto sono sceso alla spiaggia, mi sono seduto e son rimasto lì tutta la notte senza far nulla, senza pensare a nulla. Questa mattina sono rientrato in città, mi sono fermato in quella taverna a mangiare un boccone e… mentre mangiavo mi è tornata a mente una discussione che ebbi con Morgon prima che partisse. Io gli rimproverai di non voler affrontare il suo destino. Lo accusai di rifiutare la vita per cui era nato, e di sceglierne una in cui non avrebbe fatto che fabbricare birra e leggere libri. E così lui è partito per cercare il suo destino in qualche remoto angolo del reame. E quando lo ha trovato, questo lo ha fatto diventare pazzo come Peven. Perciò mi sono alzato e ho deciso che avrei fatto a pezzi quella taverna, tanto per cominciare. E che poi sarei andato io stesso a cercare la risposta agli enigmi che lui inseguiva.

Per nulla sorpresa da quelle parole, Raederle annuì. — Immaginavo qualcosa di simile. Bene, c’è ancora una notizia che devo darti.

Lui esaminò stancamente il proprio boccale. — Quale?

— Nostro padre ha lasciato An cinque giorni fa esattamente per lo stesso motivo. Lui… — Tacque, perché Rood aveva abbattuto un pugno sul tavolo con tale violenza che un mercante seduto lì accanto rischiò di rovesciare la sua birra.

— Ha lasciato An? E per quanto tempo?

— Lui non… Ha giurato sulle ossa di tutti i nostri antenati di scoprire chi o cosa ha ucciso Morgon. E non ritornerà prima di quel momento. Rood, ti prego di non gridare così.

Il giovane inghiottì d’un sorso il contenuto del boccale, e per un poco fissò la superficie del tavolo. — Il vecchio corvo!

— Sì… ha lasciato Duac ad Anuin, per spiegare la situazione ai nobili. Nostro padre era intenzionato a mandarti a chiamare perché tu aiutassi Duac, ma non voleva dirne il motivo. E il suo desiderio di farti interrompere gli studi ha reso furioso Duac.

— Duac ti ha mandato qui per riportarmi a casa?

Lei scosse il capo. — Non voleva neppure che ti parlassi. Ha giurato che non ti avrebbe mandato a chiamare neanche se tutti gli spettri di Hel avessero attraversato la porta del nostro palazzo.

— Ha detto questo? — sbottò Rood, meravigliato e disgustato. — Sta diventando irrazionale come nostro padre. Vorrebbe che io stessi seduto qui a Caithnard, a studiare per ottenere un titolo ormai di scarso significato, mentre lui cerca di mettere ordine fra i vivi e i morti delle Tre Parti di An. Piuttosto preferirei tornarmene a casa e fare gare di enigmi con tutti i defunti Re.

— Lo faresti?

— Che cosa?

— Tornare a casa? È una cosa di… di minor valore che chiedere a te stesso di andare al Monte Erlenstar, ma Duac ha bisogno di te. E nostro padre…

— È un vecchio corvo dannatamente astuto e abile… — Tacque, accigliato, picchiettando con le unghie sull’orlo del boccale. Infine si rilassò contro lo schienale della sedia e sospirò. — Va bene. Non posso lasciare Duac a sbrogliarsela da solo. Almeno potrò dirgli contro quale dei Re morti ha a che fare, se non altro. A Monte Erlenstar non c’è niente che io possa fare meglio di nostro padre. Mi sarebbe piaciuto prendere il Nero dei Maestri, per mostrargli che riesco a vedere il mondo coi miei occhi. Ma se si metterà nei guai, non prometto che non andrò a cercarlo.

— Meglio così, perché c’è un’altra cosa che Duac ha giurato che non avrebbe fatto mai.

Lui ebbe una smorfia. — Duac deve aver smarrito tutto il suo autocontrollo. Non che io me la senta di biasimarlo.

— Rood… non hai mai sospettato che nostro padre possa sbagliarsi?

— Centinaia di volte.

— No. Non parlo dei suoi modi irritanti, frustranti, incomprensibili ed esasperanti. Intendo il fatto di essere in errore.

— Perché?

Lei rabbrividì appena. — Quando ha saputo della sorte di Morgon… è stata la prima volta in vita mia che l’ho visto sorpreso. Lui…

— A cosa ti riferisci? — Rood si piegò in avanti. — Parli di quel voto, e del fatto che fu Morgon a ottenere il diritto di sposarti?

— Sì. Allora non si meravigliò affatto, come avesse sempre saputo che ero destinata a sposare Morgon. Ho sempre sospettato che abbia il dono della precognizione. Credo sia per questo che la notizia della sua morte lo ha sbalordito.

Gli occhi di lui la esaminarono pensosi, speculativi e oscuri, in uno sguardo che le ricordò quello di Mathom. — Non saprei. È una cosa che stupisce anche me. Ma se fosse vero…

— Se fosse vero, allora Morgon è ancora vivo!

— Ma dove? E in che situazione si trova? E perché, in nome di tutte le radici del mondo, il Supremo non vuole aiutarlo? Il più grande di ogni enigma è proprio questo: l’incomprensibile silenzio che aleggia intorno a quella montagna.

— Bene. Se nostro padre è andato là il Supremo non potrà più restare tanto silenzioso. — Stancamente scosse la testa. — Io non so. Non so cosa devo sperare. Se fosse vivo, puoi immaginare che razza di sconosciuto sia diventato perfino per se stesso? E certo si starà chiedendo… si chiederà perché nessuno di noi, che gli abbiamo voluto bene, stia cercando di aiutarlo.

Rood aprì la bocca, ma la risposta che stava per darle parve rimanergli appiccicata alla lingua. Sì passò una mano sugli occhi. — Già. Sono stanco, sai? Ma se lui fosse vivo…

— Lo troverà nostro padre. Tu hai detto che vuoi aiutare Duac.

— Benissimo. Però… e sia pure. — Tornò a fissare il suo vino, lo finì in un sorso e spinse indietro la seggiola. — Meglio andare, adesso. Ho dei libri da imballare.

La fanciulla lo seguì all’esterno. Ma era appena uscita che ai suoi occhi la strada parve ricolma di un’affascinante e inattesa teoria di forme e colori sgargianti, e si arrestò. Rood le mise una mano su una spalla. Subito capì che per poco non era andata a immergersi in una piccola quanto elegante processione. Dinnanzi a tutti incedeva una donna. Costei montava un alto e bellissimo stallone nero, portava le trecce ritorte sopra la testa e simili a una scura corona ingioiellata, e indossava un abito di stoffa verde così fine e leggero che il vento glielo faceva aleggiare attorno come una nebbia. Le sei giovani donne che Raederle aveva già visto sul molo, la seguivano in doppia fila, in sella a cavalli dalle ricchissime e variopinte bardature, e ciascuna impugnava una lancia intarsiata d’argento. Una di esse, quella che cavalcava appena dietro la Morgol, aveva gli stessi capelli corvini e le somigliava moltissimo nei fini tratti del volto. Alle spalle di quella singolare guardia femminile venivano otto uomini appiedati, che portavano due grandi cestoni chiusi rinforzati con fasce di rame cesellato in oro. Costoro erano scortati da otto studiosi della Scuola, a cavallo come conveniva al loro rango e vestiti con le toghe rivelanti il grado: rosse, dorate, blu e bianche. La donna, che malgrado la ressa della strada cavalcava con l’olimpica calma con cui avrebbe attraversato un prato, abbassò improvvisamente lo sguardo su Raederle nel passare di fronte alla taverna; e al fugace tocco di quegli occhi d’oro la fanciulla avvertì come in uno scossone, insolito e profondo, la presenza di uno strano potere che penetrava dentro di lei.

Al suo fianco Rood mormorò: — La Morgol di Herun.

Quando però i sette cavalli furono passati la agguantò per un polso, trascinandola avanti così all’improvviso che lei vacillò qua e là sbilanciata. — Rood! — protestò, mentre il giovane quasi travolgeva alcuni stupefatti spettatori. Ma anch’egli stava gridando.

— Tes! Tes! — chiamò. Un po’ più avanti riuscì finalmente ad afferrare per le redini uno dei cavalli della Scuola, senza mollare Raederle che ansimava irritata. Tes, elegante nella sua nella toga rossa, abbassò lo sguardo su di loro.

— Che ti è capitato? Hai cercato di tuffarti dentro una bottiglia di vino senza accorgerti che era vuota?

— Tes, lasciami prendere il tuo posto. Fammi il favore. — Cercò di riprendere le redini, che l’altro gli aveva subito strappato di mano.

— Smettila, dannazione! Vuoi farci perdere il passo? Rood, sei brillo?

— No, te lo giuro. Sono sobrio come un sasso. Lei sta portando i libri di Iff. E tu puoi leggerteli quando ti pare, ma io questa sera devo tornare a casa mia e…

— Tu torni… dove?

— Bisogna che parta. Per piacere!

— Rood… — Tes ebbe una smorfia di rincrescimento. — Vorrei aiutarti. Ma ti rendi conto di come sei conciato? Guardati.

— Cambia la tua toga con la mia, Tes. Ti prego! Avanti!

Tes emise un gemito. Con uno strattone alle redini uscì dalla fila di cavalieri, poi scivolò giù di sella e si afferrò l’orlo della toga, sollevandolo. Con un uguale movimento Rood si sfilò la sua dalla testa, e svelto si cacciò dentro quella dell’amico, mentre gli altri studenti facevano caustiche osservazioni aventi per oggetto l’indecenza e l’ubriachezza. Subito il giovane balzò in sella all’animale, e allungò una mano per tirare in groppa anche Raederle.

— Rood, il mio cavallo è…

— Ci penserà Tes. Vero? È il sauro nella stalla dietro la taverna, e sulla borsa da sella ci sono le iniziali di mia sorella. Ora sali.

Lei riuscì a infilare un piede in una staffa, e Rood la sistemò a sedere davanti a sé, quindi spronò il cavallo al trotto veloce per raggiungere gli altri studenti. Volse la testa. — Grazie, Tes!

Stringendo i denti per i sobbalzi del cavallo sull’acciottolato, Raederle si trattenne dal fare commenti finché non ebbero ripreso posto nella fila dei cavalieri al seguito della piccola processione. Poi, sforzandosi di non scivolare giù dal duro e scomodo bordo della sella, sbottò: — Hai almeno un’idea di quanto ti sei mostrato ridicolo e assurdo?

— E tu sai su cosa stai per mettere gli occhi? I libri privati e personali del mago Iff, aperti. Li ha aperti la stessa Morgol. È qui per farne dono alla Scuola; i Maestri non hanno parlato d’altro per settimane. Inoltre ti dirò che sono sempre stato curioso di conoscerla. Si dice che tutte le informazioni e notizie di qualche rilievo passino attraverso la dimora della Morgol, e che l’arpista del Supremo sia innamorato di lei.

— Deth? — Esaminò quel pensiero con interesse. — Mi chiedo se lei non sappia dove sia, allora. Nessun altro sembra saperlo.

— Se qualcuno può dirlo, questi è lei.

Raederle tacque, ripensando alla misteriosa vista interiore che aveva intuito nello sguardo della Morgol, e al modo in cui ne era stata consapevole. Pian piano lasciarono alle loro spalle le viuzze piene di gente rumorosa. La strada si allargò e risalì verso la sommità del promontorio dove si stagliava l’edificio della Scuola, battuto dal vento. La Morgol si volse a guardare gli uomini che la seguivano con le ceste, e rallentò l’andatura per adeguarsi al loro passo. Girandosi verso l’oceano Raederle scorse la linea scura dell’isola di Hed, velata da piogge lontane. D’improvviso si trovò a domandarsi, con una perplessità nuova, quali segreti fossero racchiusi nel cuore di quell’isoletta così semplice, la cui vita apparentemente priva di storia aveva tuttavia potuto generare il Portatore di Stelle. D’un tratto le parve di vedere, oltre la foschia che celava l’isola, un giovanotto abbronzato e robusto come una quercia che attraversava l’aia fra un granaio e una casa, con i capelli color paglia inzuppati di pioggia.

Quella brevissima e strana visione l’aveva fatta trasalire, e subito Rood s’affrettò a tenerla più salda contro di sé. — Che ti succede?

— Niente. Non lo so. Rood…

— Che c’è?

— Niente.

Una delle guardie si staccò dalla fila e tornò verso di loro. La ragazza fece girare l’animale per appaiarsi ai due giovani con una sciolta destrezza che fece sembrare cavallo e cavallerizza una cosa sola. Si affiancò maggiormente e disse, con fierezza: — Al porto gli studenti della scorta sono stati presentati alla Morgol. Ella desidera sapere chi è la persona che si è unita a noi al posto di Tes.

— Sono Rood di An — si presentò il giovane. — Questa è mia sorella Raederle. Io sono… o almeno lo ero fino a ieri sera, un Maestro Apprendista della Scuola.

— Vi ringrazio, signore. — La ragazza tacque un poco, fissando con attenzione Raederle. L’espressione oscura e corrucciata dei suoi occhi era stata sostituita da uno sguardo un po’ attonito, quasi infantile. In tono improvvisamente vivace disse: — Io sono Lyraluthuin. La figlia della Morgol.

La ragazza bruna spronò di nuovo il cavallo, raggiungendo la testa della processione. Seguendo con lo sguardo la sua figura alta e flessuosa Rood si permise un lieve fischio fra i denti. Sorrise.

— Mi chiedo se alla Morgol non farebbe comodo una scorta, per tornare a Herun.

— Peccato che tu stia andando ad Anuin! — gli ricordò secca Raederle.

— Potrei sempre andare ad Anuin via Herun… ma eccola che torna.

— La Morgol — annunciò Lyra riaccostandosi a loro, — avrebbe molto piacere di parlare con voi.

Rood accelerò l’andatura del cavallo, seguendo la ragazza a lato della fila su per la salita. Seduta mezzo dentro e mezzo fuori dalla sella Raederle, che con una mano si afferrava alla criniera dell’animale e con l’altra a Rood, s’accorse di provare un senso di disagio. Ma la Morgol accolse il loro avvicinarsi con un sorriso cordiale, mostrandosi compiaciuta di vederli.

— E così voi siete i figli di Mathom — disse. — Ho sempre desiderato conoscere vostro padre. Vi siete uniti a noi con gran partecipazione, ho visto, ma certo non mi aspettavo di vedere nella mia scorta colei che ha fama d’essere una delle due donne più belle di An.

— Sono venuta a Caithnard per riferire alcune notizie a Rood — disse soltanto Raederle. Il sorriso della Morgol si spense, mentre annuiva.

— Capisco. Noi abbiamo saputo le ultime notizie solo stamattina, approdando. Notizie che non mi sarei mai aspettata. — Si volse a Rood. — Lyra mi ha detto che non siete più un Maestro Apprendista della Scuola. Avete forse perduto la vostra fede nello studio degli enigmi?

— No. Ho perso solo la pazienza. — Il tono di lui era stato brusco; nel guardarlo Raederle lo vide arrossire, per la prima volta nella sua vita, a quanto ne sapeva lei.

La Morgol disse, cortesemente: — Sì. È quel che è accaduto anche a me. Ho portato qui sette dei libri di Iff, oltre a una ventina d’altri che da secoli tenevamo nella nostra biblioteca, alla Città dei Cerchi, con l’idea di consegnarli alla Scuola. E ho anche un’informazione che, insieme alle notizie venute da Hed, probabilmente scuoterà via la polvere accumulata nella biblioteca dei Maestri.

— Sette! — ansimò Rood. — Voi avete aperto sette libri di Iff?

— No. Soltanto due. È stato il mago in persona, il giorno in cui siamo partiti per Caithnard, ad aprire gli altri cinque.

Rood tirò le redini, arrestando il cavallo così bruscamente che Raederle quasi gli sfuggì dalle braccia. Le guardie alle loro spalle furono costrette ad allargarsi disordinatamente sui due lati per evitare di investirli; i portatori appiedati dovettero fermarsi, e gli studenti che li tallonavano sbandarono l’uno addosso all’altro, imprecando.

— Iff è vivo? — ansimò Rood, come inconscio del caos che aveva creato.

— Sì. Ed è nascosto fra le mie guardie. È sempre stato alla corte di Herun, sotto una forma o un’altra, negli ultimi sette secoli. Ha detto che lo trovava un ottimo posto per imparare, anche nell’antichità. Ha detto… — S’interruppe. Poi abbassò la voce, in tono che vibrava di meraviglia. — Ha detto che era lui il vecchio studioso che anni fa mi aiutò ad aprire due dei suoi libri. Quando per il vecchio studioso venne il tempo di morire, egli diventò il mio falconiere. E poi una delle mie guardie. Era costretto a farlo! Capite? Però dice che questo non gli importava troppo. Ma il giorno stesso in cui si venne a sapere che Morgon era morto, riprese possesso della sua forma fisica.

— Chi è stato a liberarlo? — sussurrò Rood.

— Lui non lo sa.

Raederle si coprì la bocca con le mani. D’improvviso dinnanzi ai suoi occhi era balenato il volto ossuto della guardiana dei porci di Hel, e l’immensa e sbalordita costernazione che era apparsa nel suo sguardo.

— Rood — sussurrò. — La guardiana dei porci di Raith! Anch’ella udì una notizia che Elieu portò da Isig, una notizia riguardante il Portatore di Stelle, e poi mandò un Grande Urlo che disperse i maiali come foglie al vento. E poi scomparve! Aveva… aveva dato nome Aloil a uno dei maiali.

Il giovane trattenne il respiro. — Nun?

— Forse il Supremo li ha liberati.

— Il Supremo! — Qualcosa nella voce pensosa della Morgol ricordò a Raederle il tono duro di Mathom. — Io non so perché avrebbe dovuto aiutare i maghi, e non il Portatore di Stelle. Però sono sicura, se è questo che è successo, che aveva le sue ragioni. — Controllò che il suo seguito avesse ritrovato l’assetto e avviò il cavallo. Erano quasi sulla sommità del promontorio; oltre il termine della strada si allargavano terreni irregolari ombreggiati dalle querce.

Scrutando l’espressione della Morgol con una timidezza per lui insolita, Rood disse: — Posso chiedervi una cosa?

— Naturalmente, Nobile Rood.

— Sapete dove sia l’arpista del Supremo?

La Morgol non rispose subito. I suoi occhi percorsero i contorni del massiccio edificio radicato alla roccia, ravvivato dai colori delle toghe di quanti si affollavano alle porte e alle finestre per assistere al suo arrivo. Poi abbassò lo sguardo. — No. Non mi è giunto messaggio da lui.

Neri come corvi dalle vesti svolazzanti fra altri uccelli dal piumaggio rosso o dorato i Maestri uscirono ad accogliere la Morgol. Le due ceste furono subito portate in biblioteca, i volumi in esse contenuti vennero esaminati con acceso interesse dai Maestri, mentre tutti ascoltavano meravigliati il racconto di come la Morgol avesse aperto due di essi. Raederle ne osservò uno posto su un leggio intagliato apposta per sostenerlo. La grafia nera le parve pignolescamente accurata, ma nel voltare pagina fu sorpresa dalla bellezza dei fiori selvatici che disegnati sui margini incorniciavano lo scritto. Questo le riportò alla mente l’immagine della guardiana dei porci, che a piedi nudi fra le radici delle querce fumava la sua pipa, e sorrise meravigliata. Poi l’unica figura immobile in quel salone attrasse i suoi occhi: era Lyra, ritta in piedi accanto alla porta in quella che sembrava essere una sua posa abituale, dritta e tesa come se montasse la guardia alla biblioteca. Ma lo sguardo di lei, era fisso, quasi ottenebrato, e aveva l’aria di chi non vede ciò che ha davanti a sé.

Il locale cadde nel silenzio quando la Morgol disse ai Maestri della ricomparsa del mago Iff. La donna chiese poi a Raederle di ripeter loro anche ciò che era accaduto alla guardiana dei porci, e lei riferì da ultimo la notizia che Elieu aveva portato da Isig. Si trattava di un’informazione che nessuno, neppure la Morgol, aveva ancora ricevuto, e destò fra i presenti uno sbigottimento generale. I Maestri le posero coi loro modi garbati domande a cui non poté rispondere. S’interrogarono l’un l’altro su argomenti a cui nessuno riuscì a dare una soluzione. Poi la Morgol parlò ancora.

Raederle non udì quel che disse. Fu soltanto conscia del silenzio che scivolò come una fredda nebbia da Maestro a Maestro, da gruppetto a gruppetto, finché l’unico rumore che restò nella biblioteca fu l’ansito del Maestro più anziano. L’espressione della Morgol era rimasta immutata; solo i suoi occhi s’erano fatti più guardinghi.

— Il Maestro Ohm — disse uno studioso dall’aria fragile e mite il cui nome era Tel, — è sempre stato con noi fino alla primavera scorsa, allorché si recò a Lungold per trascorrere un anno nello studio e nella contemplazione. Avrebbe potuto andare dovunque voleva, ma optò per l’antica città dei maghi. Le lettere che ha scritto da allora ci sono state recapitate da mercanti provenienti da Lungold. — Tacque, fissandola coi suoi occhi saggi e placidi. — El, voi siete conosciuta e rispettata per il vostro discernimento e la vostra integrità. E lo stesso si può dire di questa Scuola. Se vi è qualche critica che intendete fare, non esitate a esporcela.

— È proprio l’integrità di questa Scuola che devo mettere in discussione, Maestro Tel — disse lei a bassa voce. — E in particolare la persona del Maestro Ohm, che dubito rivedrete mai più fra queste mura. E metto in discussione l’intelligenza di noi tutti, me inclusa. Poco prima di lasciare Herun ho ricevuta la visita del Re di Osterland, che venne da solo e in incognito. Mi chiese se avessi notizie di Morgon di Hed. Disse d’esser già stato anche da Isig, ma non fino al Monte Erlenstar, poiché sul Passo c’erano bufere di neve insostenibili anche per un vesta. Durante la permanenza nella mia dimora mi disse qualcosa che in me rafforzò certi sospetti, venutimi in occasione della mia ultima visita in quel luogo. Disse che Morgon gli aveva raccontato di come il mago Suth, prima di morire fra le sue braccia, avesse pronunciato un’ultima parola: il nome di Ohm. Ghisteslwchlohm. Col suo estremo respiro Suth aveva accusato il Fondatore di Lungold. — Tacque, spostando gli occhi sui volti immobili che la circondavano. — Chiesi ad Har se avesse domandato qui alla Scuola. Egli rise, e disse che i maestri del sapere non avevano saputo riconoscere né il Portatore di Stelle né il Fondatore di Lungold, neppure trovandoseli davanti agli occhi.

Fece ancora una pausa, ma dagli uomini che la ascoltavano non si levarono proteste o giustificazioni. Abbassò gli occhi. — Il Maestro Ohm è a Lungold dall’inizio della primavera. L’arpista del Supremo non è più stato visto dalla fine dell’inverno. E malgrado i fatti accaduti il Supremo stesso è rimasto in silenzio, circa da allora. La morte del Principe di Hed sembra aver liberato i maghi da un incantesimo messo su di loro per imprigionarli. Io posso solo fare l’ipotesi che il Fondatore di Lungold abbia liberato i maghi poiché, vista la morte del Portatore di Stelle, non aveva più motivo di temere i loro poteri e la loro interferenza. Suggerisco inoltre che, se questa Scuola vuol continuare a giustificare la sua esistenza, debba cercare di risolvere subito e con ogni cura questo importantissimo e incredibile groviglio di enigmi.

D’improvviso nel locale ci fu un fruscio d’aria marina, come un vento che percorresse i muri e le finestre chiuse in cerca di un’apertura per uscire dall’edificio. Lyra si volse di scatto e chiuse la porta alle sue spalle prima ancora che qualcuno si fosse accorto del suo movimento. La Morgol fissò la porta, poi scrutò uno per uno i Maestri, che si stavano scambiando a bassa voce commenti spaventati. D’istinto gli uomini cominciarono a raggrupparsi, intorno alla Morgol. Rood era seduto rigidamente a uno dei tavoli con un libro aperto davanti a sé, ma il suo volto esangue e la fissità del suo sguardo dissero a Raederle che non vedeva neppure le pagine. La fanciulla fece un passo verso di lui. Poi si volse, attraversò il gruppo dei Maestri fino alla porta e uscì.

Nel corridoio oltrepassò numerosi studenti che attendevano lì, ansiosi e curiosi di dare uno sguardo ai libri; udì a stento le loro voci. Uscita dall’edificio si aggirò sul terreno circostante, senza neppure accorgersi del vento di mare che s’era rinforzato, facendosi freddo nel crepuscolo. Un po’ più tardi vide Lyra, in piedi accanto a un albero alla sommità del promontorio, che volgeva le spalle alla Scuola. Qualcosa nel suo atteggiamento rigido, forse il modo in cui teneva il capo chino, la spinse ad avvicinarsi a lei. Mentre Raederle si stava incamminando sul terreno irregolare, Lyra sollevò la lancia in un arco che ne fece lampeggiare la punta e la conficcò al suolo, rabbiosamente.

Malgrado il vento che scuoteva le querce la bruna udì lo scalpiccio dei passi alle sue spalle e si volse. Raederle si fermò. In silenzio si fissarono l’un l’altra. Poi Lyra, dando parola al dolore e all’angoscia che aveva negli occhi disse, in tono quasi di sfida: — Avrei dovuto andare con lui. Io l’avrei difeso, a costo della vita!

Raederle distolse lo sguardo da lei e osservò il mare… La sua distesa immensa, la baia a mezzaluna che le sue onde avevano scavato, e la costa che si perdeva verso settentrione, verso altre terre, altri golfi, altri porti. Strinse i pugni. — Qui a Caithnard c’è una nave di mio padre. Posso navigare anche fino a Kraal. Io devo andare al Monte Erlenstar. Vuoi aiutarmi?

Lyra restò a bocca aperta. Raederle vide la sorpresa e l’incertezza balenare sul suo volto. Poi la ragazza strinse forte la lancia, con un colpo deciso affondò ancor di più la punta nel terreno molle, e il suo capo accennò di sì con enfasi. — Io verrò con te!

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