9

Il sole brillava alto quando lo yacht attraccò al molo dell’isola. Davis sbarcò e si mise in contatto radio con Manila servendosi della stazione ricetrasmittente dell’osservatorio. I biologi tentavano di esaminare il polipo. “La Rubia” insisteva sempre nei suoi tentativi di pescare in quelle acque dal fondo proibitivo.

Anche Terry sbarcò, e andò a vedere da vicino la sua vittima del giorno prima. Trovò i biologi sbalorditi e interdetti davanti alla massa enorme del polipo. Decine di tonnellate di carne che avrebbe dovuto essere smantellata per arrivare all’osso interno, il quale presentava il massimo interesse per gli studiosi. Inoltre gli specialisti intendevano esaminare le branchie, la loro posizione, e il sistema nervoso dell’essere gigantesco. Ma le dimensioni della bestia presentavano un ostacolo quasi insormontabile. Il solo trasporto di quella montagna di carne costituiva un grosso problema.

Terry pensò di rivolgersi al capitano de “La Rubia”. Saavedra era sul punto di mettersi a piangere di rabbia impotente davanti al massacro delle sue reti che non riuscivano a tirar su tutto quel pesce che gli saltava sotto il naso. Se i pescatori davano una mano ai biologi per estrarre dal polipo le parti scientificamente interessanti, avrebbero poi potuto tenersi il resto della bestia, e non sarebbero forse nemmeno riusciti a caricarla tutta sul loro peschereccio. I polipi sono ricercati sul mercato, e il viaggio de “La Rubia” avrebbe avuto il suo compenso. Senza contare che il capitano Saavedra sarebbe certamente riuscito a costruire su quel mostro, raccontando in giro, qualche affascinante avventura sulla cattura dell’eccezionale polipo. E forse qualcuno gli avrebbe persino creduto vedendo coi suoi occhi la prova dell’esistenza del polipo.

Poco dopo i marinai de “La Rubia” affondavano i loro affilati coltelli nella carne del mostro, diretti dagli esperti di Manila. Seguì una accanita discussione con il cuoco dell’osservatorio che non voleva cedere il suo congelatore per ospitare il materiale biologico in attesa che l’elicottero lo trasportasse a Manila.

Verso la metà del pomeriggio, l’“Esperance” abbandonò di nuovo la laguna. Lo scandaglio-sonar riprese a esplorare il fondo rivelando che le masse scoperte in mattinata continuavano lentamente la loro ascesa. Ora si trovavano a tremila e seicento metri. Ed erano molte. Se proseguivano nel loro moto ascensionale con lo stesso ritmo sarebbero affiorate in piena notte. Il panfilo rientrò.

Alla stazione affluivano le chiamate urgenti via radio. Per lo più si trattava di richieste insistenti presso il dottor Morton per sapere finalmente in che modo fosse riuscito a fare i suoi calcoli circa la caduta del bolide. L’esattezza della previsione naturalmente non veniva affatto messa in dubbio, ma gli interessati insistevano per conoscere il modo in cui l’astronomo vi era arrivato.

Terry sorprese lo scienziato seduto con aria pensosa davanti a una tazza di caffè. Con Morton c’era Davis.

— Vorrei non aver calcolato un bel niente — mormorò Morton. — Cose simili non dovrebbero succedere! C’è già la storia del polipo che è abbastanza grave. Uno dei biologi mi ha detto che si tratta di un esemplare ancora giovane. Cosa diavolo sarebbe diventato una volta raggiunto il pieno sviluppo?

— Temo che lo sapremo non appena quelle masse affioreranno in superficie — commentò Davis.

— Quello che abbiamo eliminato non poteva vivere fuori dall’acqua — disse Terry. — Ma gli esemplari adulti potranno muoversi sulla terraferma? Darei non so cosa per saperlo.


Uno degli addetti dell’osservatorio arrivò tenendo in mano un oggetto di plastica trasparente, lungo “una cinquantina di centimetri e largo quindici. All’interno si vedeva un groviglio di fili e parti metalliche.

— Uno dei pescatori se ne stava andando con questo — disse.

— Era fissato a uno dei tentacoli del polipo. Il capitano non voleva consegnarmelo perché diceva che avendolo trovato uno dei suoi uomini era suo di diritto.

Posò l’oggetto sul tavolo. Davis, Morton e Terry lo esaminarono.

— L’essere che l’ha costruito — disse infine Davis — è arrivato dallo spazio a bordo di un bolide. È più facile credere a questa ipotesi che a quella di una civiltà abissale. Ma perché ha scelto il fondo del mare e non la terra? Da dove può essere venuto un essere simile?

Deirdre entrò nella stanza mentre il giovane che aveva portato il congegno di plastica stava dicendo: — Posso credere a parecchi avvenimenti strani, ma non che una creatura sviluppi intelligenza dove manca ossigeno. E in fondo al mare ossigeno non ce n’è. — Eppure laggiù esiste qualcosa di intelligente — ribatté Davis. — Se per vivere ha bisogno di ossigeno si può pensare che l’abbia portato con sé dal mondo dal quale proviene.

Deirdre scosse la testa. — La schiuma. L ’avete dimenticata? — disse.

I quattro uomini la guardarono.

— Ma sì! Ha ragione! — esclamò Terry. — A bordo abbiamo la fotografia di un immenso banco di schiuma sulla superficie del mare. La stessa schiuma che ha inghiottito un veliero. Ecco la spiegazione. Ciò che vive in fondo al mare ha bisogno di ossigeno libero e se lo procura ricavandolo dall’acqua. L’idrogeno che si sviluppa nel processo sale a galla e forma quei banchi di schiuma!

— Bel colpo di genio — disse il dottor Morton con finta allegria. — Davis ha appena chiesto da dove può venire una creatura che preferisce gli abissi marini alla terraferma. Ora, che cosa trova un essere vivente in fondo al mare e che non esiste in superficie? Il freddo? No. L’umido? Nemmeno. Trova due cose inesistenti sulla terra: il buio e la enorme pressione. In fondo alla Fossa di Luzon esiste una pressione pari a sette tonnellate per centimetro quadrato. La luce manca completamente. Nero. Nero totale! Quindi il problema è questo: da che parte dell’universo possono arrivare creature capaci di scendere qui con un bolide non meglio identificato e che abbisognano di tali condizioni ambientali per sopravvivere?

Terry scosse la testa. Ricordava di aver visto un volume sui pianeti del sistema solare a bordo dell’“Esperance”. Lui non l’aveva letto. Ma forse l’avevano letto gli altri.

— Da Giove? — suggerì Deirdre. — Quel pianeta ha una gravita quattro volte superiore alla terrestre, e un’atmosfera molto più densa. Sulla sua superficie la pressione dev’essere appunto di tonnellate per centimetro quadrato.

Morton annuì. — E niente luce — disse. — Niente raggi solari in un’atmosfera tanto densa. Insomma noi, poveri esseri razionali, affermiamo che i bolidi sono arrivati da Giove! Be’, devo riconoscere che per l’ultimo meteorite la supposizione potrebbe essere esatta, infatti la direzione era proprio quella del grosso pianeta. Arrivati a questo punto però bisognerebbe informare il mondo che creature provenienti da Giove calano sul nostro pianeta a bordo di astronavi simili a meteore e si stabiliscono sott’acqua a diecimila metri circa di profondità… Vorrei un po’ vedere le reazioni!

Lo scienziato si alzò di scatto e si allontanò. Il giovane dell’osservatorio si mosse, a disagio. — Io… Io vi lascio questo aggeggio e torno ad occuparmi del polipo — mormorò, e scomparve.

— Vado a mettermi in contatto con Manila — disse Davis. — Nessuna nave deve avvicinarsi alla zona dove quelle cose stanno per emergere finché non sapremo di che si tratta.

Deirdre e Terry rimasero soli. La ragazza sorrise.

— Hai da fare? — chiese.

— Se si tratta di navi spaziali non ci sarà niente da fare — rispose lui. — Ma se è qualcos’altro possiamo sempre affrontarlo. In superficie è più facile per noi dare battaglia. Mentre uno scontro sottomarino diventerebbe più problematico.

— Usciamo — propose Deirdre.

Poco dopo si fermavano in riva al mare, sulla spiaggia bianca.

Mentre chiacchieravano, apparentemente senza pensiero, l’elicottero ricomparve. Era partito per Manila carico di materiale biologico, e adesso tornava a prenderne altro. Atterrò nei pressi della stazione.

I due giovani si accostarono all’elicottero già attorniato dai biologi eccitati. Avevano scattato diverse fotografie di incalcolabile valore scientifico, ed erano entusiasti della loro giornata.

Gli uomini de “La Rubia” erano risaliti a bordo del loro peschereccio. L’“Esperance” fece una nuova puntata oltre la scogliera: gli “oggetti misteriosi” si trovavano a duemila metri dalla superficie, adesso. Terry calcolò che sarebbero affiorati verso mezzanotte.

— Molto dipende da ciò che quelle creature sanno su di noi — disse il giovane. — Dipende cioè da quello che i loro strumenti hanno rivelato. Potrei sbagliarmi, ma credo che si siano fatte delle strane idee sul nostro conto.

Durante la cena Davis annunciò, preoccupato: — Ho parlato con Manila. Il posamine che era alla fonda nel porto è salpato ieri. La portaerei si è messa in contatto con l’unità, e ci avverte che il posamine arriverà qui domani. Ho detto loro della schiuma, ma la cosa non li ha impressionati. Il polipo sì, ma la schiuma li ha lasciati del tutto indifferenti. Del resto non mi sono impegnato molto per convincerli! Il fatto è che mi risulta difficile convincere qualcuno di una cosa della quale nemmeno io sono pienamente convinto.

Poi il discorso si spostò su Giove e sui suoi probabili abitanti. — Perché parliamo esclusivamente di Giove? — intervenne a un tratto Deirdre. — Buona parte di Venere è sommersa dalle acque. Anche su quel pianeta potrebbe esistere una civiltà abissale. Alla discussione si unirono i quattro studenti, ma con prudenza, dato che questa volta si trovavano alla presenza di veri esperti. E venne la mezzanotte. Il mare aperto, al di là della scogliera, non presentava niente di insolito. La luna non era ancora comparsa.

Le due. A bordo dell’“Esperance” Davis e Terry non riuscivano a dormire per l’ansia.

Deirdre e gli studenti invece se ne andarono tranquillamente a letto.

— Ho la sensazione che quelle cose siano ormai arrivate in superficie — disse Davis, a disagio, — ma che stiano aspettando qualche condizione favorevole. Il polipo deve aver incontrato delle difficoltà ad entrare in laguna, e quelli probabilmente non vogliono correre rischi.

Terry scosse la testa. — Devono aver saputo della morte del loro polipo — osservò. — Forse adesso hanno mandato su qualche bestia adulta a fare da schermo mentre si preparano ad una resistenza assai più… resistente di quella del polipo. Potrebbero ricorrere alla schiuma, per esempio. Come sapete, un intero veliero è già stato inghiottito da un ammasso di schiuma, ed è scomparso di schianto come se fosse precipitato in un baratro apertosi improvvisamente nel mare.

— Lo so — mormorò Davis.

— Ma quelli della portaerei non mi hanno creduto quando l’ho detto.

Alle due e mezzo Davis e Terry risalirono sull’“Esperance” dopo essersi spinti sino all’estremità del molo per osservare più lontano. Da “La Rubia” venivano lievi rumori. Forse l’equipaggio stava finendo di sistemare il carico. Finalmente spuntò un quarto di luna che illuminò le acque tranquille.

Un po’ dopo le tre i Diesel del peschereccio si misero in moto e la sagoma scura del peschereccio scivolò verso l’imbocco della laguna. Terry imprecò fra i denti.

— Quell’imbecille di Saavedra! Gli avevo detto di non salpare senza avvertirci! Chissà che cosa c’è là fuori… Ma a lui preme di arrivare a Manila prima che il carico si deteriori!

Saltò sul molo e corse al fuoribordo. Davis si affrettò a seguirlo. Prima che lo raggiungesse Terry aveva già messo in moto e il padre di Deirdre fece appena in tempo a saltare dentro l’imbarcazione.

Il fuoribordo fendeva le onde lunghe della laguna lasciandosi dietro una scia luccicante.

Il rombo dei Diesel aumentò il ritmo. Probabilmente Saavedra riteneva di aver dato la meritata lezione agli “americanos” che avevano radunato tutto il pesce in quella maledetta laguna dove le reti andavano in pezzi. È vero che gli avevano dato tutto il grosso polipo molto pregiato, ma il fatto restava! Comunque da quel carico il capitano sperava di ricavare un guadagno senza precedenti. Quando vide il fuoribordo lanciato al suo inseguimento, Saavedra spinse i motori al massimo, e quando la piccola imbarcazione si affiancò al battello e Terry gli urlò di fermarsi e di tornare indietro lui sorrise soddisfatto e proseguì.

La Rubia” arrivò all’imbocco che portava in mare aperto con il fuoribordo sempre affiancato, e Terry che gridava freneticamente. Ma il capitano Saavedra non ascoltava o forse non capiva. Le onde grosse dell’oceano sballottarono come un fuscello il piccolo scafo e Terry fu costretto a rallentare. “La Rubia” li distanziò in un attimo, diretta verso il mare aperto.

— Non ci ascoltano! — esclamò Davis angosciato. — A questo punto non resta che sperare che riescano a cavarsela!

Il fuoribordo si fermò e rimase lì, sballottato dalle onde. “La Rubia” accese le luci di posizione, e puntò verso sud. In breve il rumore dei suoi motori si perse e il battello rimpicciolì in lontananza.

Terry si voltò e vide l’“Esperance” che si avvicinava. Sul ponte si muovevano alcune sagome nere. Terry urlò un richiamo, da bordo gli risposero. Lo yacht fermò i motori mentre il piccolo scafo accostava. Poi Terry e Davis salirono a bordo e uno dei ragazzi si incaricò di assicurare il fuoribordo con una gomena.

— Non avevamo alcuna intenzione di addentrarci nella zona pericolosa — disse Terry, — ma, visto che siete venuti a prenderci, andiamo a dare un’occhiata per vedere se succede qualcosa. “La Rubia” prosegue…

Ma “La Rubia” non proseguì. Le luci colorate indicavano che il peschereccio aveva invertito la rotta. Poi tornò a virare di bordo, e il faro dell’albero maestro prese a ondeggiare. Il battello non avanzava più. Per qualche motivo il peschereccio si era fermato in mezzo all’oceano.

Nessuno sull’“Esperance” diede ordini, ma i motori cominciarono a pulsare. Lo yacht scattò in avanti. Terry mise in funzione il registratore e il potentissimo proiettore sonoro. Davis accese il riflettore. Due dei ragazzi imbracciarono i bazooka.

A un tratto dal ponte de “La Rubia” partì un razzo che si alzò nel cielo illuminando alberi e sartie. Anche a quella distanza si sentivano le urla dei marinai del peschereccio; si sentivano, nonostante il rumore delle onde e il frastuono dei motori dell’“Esperance”.

Il razzo percorse un arco e ricadde in mare. Immediatamente ne partì un secondo.

Il riflettore dell’“Esperance” spazzò il buio. Le urla continuavano. Un terzo razzo, mentre l’“Esperance” avanzava prendendo di fianco le pesanti ondate oceaniche.

Mezzo miglio. Un quarto di miglio. “La Rubia” rollava come in preda a una burrasca, e sul ponte l’equipaggio gridava disperato. Poi il peschereccio si piegò in avanti, e un mostro spaventoso, conico, luccicante, emerse a qualche metro appena dalla murata del battello. Gli enormi occhi della bestia luccicarono sotto il raggio del riflettore. Un tentacolo immenso si protese verso la poppa del peschereccio.

Un altro razzo illuminante partì dalla tolda de “La Rubia” e andò a cadere sulla pelle lucida del mostro che ebbe un sussulto. “La Rubia” venne scossa da prua a poppa come un giocattolo. Terry premette un pulsante e il proiettore sonoro entrò in azione. L’effetto fu istantaneo. Il mostro cominciò a tremare convulsamente. Era impressionante: due o tre volte più grosso di quello ucciso in laguna.

— I bazooka, presto! — urlò Terry.

I proiettili fiammeggianti partirono verso il polipo, e Davis lanciò una delle sue granate, mentre lo yacht puntava sul disgraziato peschereccio ormai a metà sommerso. La bomba a mano centrò bersaglio e nello stesso tempo le lingue di fuoco dei bazooka, capaci di penetrare l’acciaio, morsero la carne del polipo.

L’essere da incubo balzò dalle onde con il corpo dilaniato: orrore infame scaturito dagli abissi dell’oceano, spandendo intorno, ultima arma di difesa, il liquido nero di cui sono forniti tutti gli esseri di quella specie. E l’inchiostro era fosforescente.

La bestia ricadde in mare e le onde inondarono il ponte de “La Rubia” che quasi si capovolse. Il mostro lottava e si dibatteva in un parossismo di dolore.

L’“Esperance” accostò il peschereccio mentre Terry manovrava il suo strumento tenendolo puntato contro la bestia. Davis con il riflettore puntato illuminava l’agonia del mostro.

Il polipo era ferito e debole, e l’oceano non è elemento per creature deboli. Ma presto sarebbero arrivati gli altri.

E arrivarono. Qualcosa di enorme muoveva rapido verso il mostro ferito, spandendo attorno un alone fosforescente. Un sobbalzo, e un urto contro la chiglia dello yacht. Il mostro continuò la sua corsa, ma un tentacolo si protese contro ciò che aveva incontrato un istante prima. Un braccio orrendo spazzò la tolda del panfilo, abbatté un pezzo di parapetto, mandò in frantumi il bompresso che ricadde inerte dalle sartie. L’“Esperance” beccheggiò pericolosamente.

Nick fece fuoco con il bazooka, ma fallì il bersaglio. Tenendosi forte Davis tentò con una granata. Anche questa andò a vuoto. E in quel momento Deirdre urlò.

Terry si sentì gelare. Nell’eccitazione del momento non aveva pensato che la ragazza era a bordo. Ormai non c’era niente da fare.

L’ultimo urto aveva scagliato in mare Tony e adesso il giovane nuotava con disperazione per mantenersi a galla. Terry riuscì a inquadrarlo con il riflettore e Davis lanciò una cima che Tony poté afferrare. Lo issarono a bordo, poi l’“Esperance” si buttò nuovamente in soccorso de “La Rubia”. Da babordo venivano dei tonfi impressionanti. Terry diresse il raggio luminoso in quella direzione. In quel punto si svolgeva una battaglia di ciclopi. Il secondo mostro, passato sotto la chiglia dello yacht, stava lottando con il polipo ferito. Combattevano sul pelo dell’acqua in un caos di tentacoli allacciati strettamente, dilaniandosi a vicenda. I corpi mostruosi apparivano e sparivano fra le onde. Altri polipi arrivarono e si buttarono nella lotta, contendendosi il compagno morente. Intorno il mare risuonava di muggiti spaventosi.

L’“Esperance”, sballottato dal tumulto, andò a urtare contro una fiancata del peschereccio dal cui ponte i marinai, impazziti dal terrore, saltarono sulla tolda dello yacht urlando che li riportassero a terra.

— Presto! Via con i motori. A tutta forza — ordinò Terry, nell’attimo in cui anche il grosso capitano de “La Rubia” saltava sul ponte. L’“Esperance” si mosse puntando verso la riva che sembrava lontanissima, irraggiungibile.

Dal campo di battaglia si staccò un mostro, forse era quello ferito dagli uomini dello yacht, forse un altro, dilaniato dai compagni. I polipi feriti cercano istintivamente rifugio nelle caverne sottomarine. Il gigante si tuffò e subito gli altri si lanciarono al suo inseguimento.

Ma nella vicina scogliera non c’erano rifugi. Eppure la bestia doveva trovare un riparo se non voleva finire divorata. Forse l’istinto, forse la corrente subacquea, lo trascinò verso lo stretto canale dove anche l’“Esperance” doveva passare. E per il polipo fu finita. Il mostro ferito si arenò nell’acqua troppo bassa per lui e gli altri lo raggiunsero.

Dal ponte del panfilo gli uomini assistettero al peggiore degli incubi che ebbe come scenario i due promontori della scogliera. I corpi immensi, coperti di schiuma, avvinghiati strettamente, ostruivano tutto il passaggio.

E arrivavano altri polipi ancora.

Terry gridò un ordine e l’“Esperance” virò di bordo.

— Meglio puntare in mare aperto — consigliò Davis. — Non possiamo tornare in laguna!

— Andare in pieno oceano? — ribatté Terry. — E i banchi di schiuma? Si formano dove l’acqua è molto profonda e sono più pericolosi di ogni altra cosa. No, meglio restare vicini alla scogliera finché non arriva la portaerei a bombardare quei mostri, ammesso che arrivi. Oppure il posamine.

Davis ebbe un gesto disperato.

— Scendete in cabina radio e dite all’elicottero che si porti qui sopra per osservare cosa sta succedendo. Poi ci pensino loro a chiamare la portaerei. Può darsi che quelli si dimostrino scettici, ma almeno un apparecchio lo manderanno, voglio sperare! E bisognerà avvertire le navi che tengano sempre in funzione il sonar.

Davis si allontanò. Poco dopo la sagoma nera di Nick si chinò per passare dal boccaporto sémi-distrutto. Davis lo seguiva. Deirdre si avvicinò a Terry.

— Si può sapere perché l’equipaggio dello yacht ci è venuto dietro senza farti prima sbarcare? — sbottò il giovane.

— Avrebbero perso del tempo prezioso — rispose Deirdre. — E poi non avrei accettato di sbarcare mentre tu…

— Cercherò un passaggio nella scogliera per portarti a terra — disse Terry, deciso. — Siamo in acque basse, ma non mi fido ugualmente. Nessuna nave è sicura.

— Ma presto sarà giorno, e allora…

— E anche allora non sapremo che cosa si prepara sott’acqua — troncò Terry.

Un rombo di motori dall’isola, e una luce brillò sopra la cima degli alberi. Poi si accese un razzo illuminante subito seguito da un altro. Gli uomini dell’elicottero non credevano ai loro occhi.

— Terry, qualunque cosa accada, sono contenta di averti incontrato — mormorò Deirdre. Davis risalì dalla cabina radio. — La portaerei è a poche miglia e avanza a tutto vapore — informò. — Il posamine la segue. Arriveranno qui all’alba.

Lontanissimo, a est, il cielo incominciava a impallidire, e l’oceano acquistava un tono blu-ardesia. A un tratto, a un quarto di miglio dallo yacht si levò un’ondata altissima. Terry puntò il raggio sonoro la quella direzione. Un polipo si contorse sul pelo dell’acqua e ricadde, scomparendo.

Poi, all’orizzonte, comparve un punto nero. Mentre il sole si affacciava ai confini del mondo il punto ingrossò, divenne color oro. Sopra vagava un pennacchio di fumo. Quasi subito un aereo si levò in volo, seguito da un secondo.

I caccia puntarono sull’isola. Uno s’impennò all’improvviso, come spaventato da ciò che aveva visto, compì un’ampia virata e ritornò sul posto. Dall’aereo partì una raffica di mitragliatrice. Una specie di gigantesco serpente si impennò nell’acqua e poi s’immerse.

Il sole adesso illuminava pienamente il mare, e Terry osservò, sbigottito, dieci, venti polipi immensi galleggiare qua e là a ridosso della scogliera.

— Sono addomesticati — disse Terry. — Sono diventati una specie di cani da guardia per i bolidi inabissatisi nella Fossa di Luzon. Per questo migliaia e migliaia di pesci vengono attirati nelle profondità, per servire da nutrimento ai polipi. I muggiti che sentivamo erano le voci dei polipi in attesa di cibo!

Un tentacolo affiorò poco lontano. Terry azionò il sonar. Tra le onde apparve il mantello della bestia, e il bazooka entrò in azione.

— Perché non cercare di entrare in contatto con quelli che si servono di questi mostri? — disse Davis. — Abbiamo dimostrato di saperci difendere e forse…

— Se noi sbarcassimo su un altro pianeta — interruppe Terry, — o su una parte del pianeta dove gli abitanti non possono vivere, forse questi ultimi cercherebbero di mettersi in contatto con noi, ma di certo non ci permetterebbero di stabilirci sul loro mondo! Neanche nella zona più inabitabile del loro mondo.


Al panfilo arrivò l’eco fortissima di un’esplosione. Un aereo aveva sganciato una bomba su uno dei mostri affioranti. Un altro aereo scese in picchiata, sganciò un ordigno e risalì. Un immenso getto d’acqua si levò dal mare, e poco lontano se ne formò un secondo.

Quella era un’altra sfida alle creature degli abissi.

Per la guerra gli esseri umani si servono di strumenti e di mezzi tecnici: da secoli hanno smesso di usare gli animali in battaglia. Ma gli esseri del mare avevano chiaramente. dimostrato di essere ancora legati agli animali. Avevano mandato in superficie i polipi giganti per combattere gli uomini, come un tempo gli uomini lanciavano gli elefanti contro i nemici. Tuttavia gli strateghi degli abissi non disponevano di un’unica arma. Adesso sapevano che gli uomini erano in grado di tener testa ai polipi. Perciò cambiarono arma. A ottomila metri di profondità qualcosa cominciò a trasformare in gas l’acqua dell’oceano, e in quantità superiori a ogni immaginazione. Un ordigno misterioso produsse miliardi e miliardi di microscopiche bollicine che affiorarono creando una corrente violentissima. In fondo all’oceano le bolle erano soggette a una pressione di tonnellate per centimetro quadrato. Man mano che le bolle salivano la pressione diminuiva… e le bolle s’ingrossavano. Una bolla che sul fondo era come una capocchia di spillo, sarebbe diventata grande a poco a poco come un pallone, poi come una casa, e infine si sarebbe suddivisa in migliaia e migliaia di bolle. E così via. Le bolle salivano, salivano, si gonfiavano, si separavano. A settemila metri dal fondo, a una pressione di poco superiore a quella atmosferica, le bolle formavano una colonna ascendente, e al pelo dell’acqua diventavano una massa di schiuma. Ma sotto quella schiuma ce n’era altra, e sotto, altra ancora, e se una nave vi capitava sopra, sprofondava in quel profondissimo cono di vuoto sul quale niente dì solido poteva sostenersi.

La nuova minaccia affiorò in superficie. La schiuma poteva essere diretta dal generatore, anche se ci voleva un po’ di tempo perché il banco si costituisse nel nuovo punto scelto alla sorgente. Laggiù potevano anche prevedere le mosse di una nave, ma passava sempre un certo intervallo di tempo per spostare il banco schiumoso.

L’“Esperance” virò di bordo e puntò verso il groviglio di polipi, in direzione del passaggio nella barriera. Altri mostri comparvero fra le onde e un aereo si abbassò a bombardarli. L’“Esperance” cambiò nuovamente rotta. All’orizzonte apparve il posamine. La portaerei compì un ampio giro e sul mare la schiuma si spostò. Erano banchi altissimi.

La portaerei fece fuoco. Uno scoppio e un bagliore, e per un istante la schiuma scomparve e la superficie del mare, in quel punto, presentò uno strano aspetto butterato. Ma subito la massa bianca ricomparve.

— È gas — disse Terry. — Idrogeno. Avevi indovinato, Deirdre!

Dalla portaerei gli apparecchi decollarono uno dopo l’altro e uno dopo l’altro si abbassarono a bombardare la bianca massa mobile. La grossa unità si teneva costantemente a distanza prudenziale.

Altri banchi di schiuma comparvero qua e là. Uno sfiorò il relitto de “La Rubia” e il battello parve rabbrividire, si piegò verso il banco candido, vi si immerse, e di colpo sparì. Poi la schiuma scomparve e fu come se in quel punto, sul mare, non ci fosse mai stato niente.

— Di’ a Nick che avverta quelli della portaerei che la schiuma può formarsi solo nei punti dove il mare è molto profondo — disse Terry a Deirdre. — Se riescono ad arrivare su un fondale di duemila metri saranno al sicuro.

Il posamine, informato del pericolo, avanzava a zig zag. Anche la portaerei adesso seguiva un corso irregolare, usando la stessa tattica che serve in guerra per eludere gli attacchi dei sommergibili.

L’avvertimento era arrivato appena in tempo. Un banco di schiuma fece la sua comparsa a prua del posamine nel momento stesso in cui la nave mutava rotta. Venne sganciata una mina, ma occorreva molto tempo perché toccasse il fondo.

Dopo un zig zag di novanta gradi la prua della portaerei si trovò sopra un abisso bianco. Le eliche emersero e la prua affondò… Se la schiuma fosse durata qualche secondo di più la portaerei sarebbe scomparsa. Ma la schiuma si spostò di lato, e la grossa unità appena sfuggita al baratro procedette con estrema cautela ed eseguendo spostamenti imprevedibili e improvvisi mentre le sue artiglierie tuonavano ininterrottamente. Poco dopo il sonar di bordo rivelò un dislivello notevole nei fianchi della montagna sottomarina, e la nave cercò scampo sopra quel fondale che misurava poco più di duemila metri. Rimase là, a fare da pista immobile per i suoi aerei che decollavano e atterravano in continuazione, sparando contro ogni bersaglio che venisse a tiro delle sue bocche da fuoco.

Per due volte alcuni tentacoli mostruosi si levarono verso l’unità da guerra nell’inutile tentativo di rovesciare la nave sotto il loro peso.

Il posamine intanto proseguiva la sua corsa irregolare lanciando le bombe di profondità. Ne vennero sganciate venti e finalmente esplose la prima.

Il colpo venne sentito anche dall’“Esperance”. Poi le esplosioni si susseguirono rapide. Due, tre, cinque… Dieci… Il posamine continuava a spargere i suoi semi mortali. Lontano emerse un grosso getto di gas e schiuma. Un’altra esplosione. Un’altra ancora…

L’“Esperance” tremò scossa dalle onde d’urto.

Davis arrivò dalla cabina radio con la notizia che la portaerei aveva inviato una squadriglia a bombardare il punto in cui era stato distrutto il batiscafo. Lì il posamine compiva i suoi zig zag e sganciava mine su mine. Le colonne di gas sì moltiplicarono. Poi anche la seconda unità cercò riparo in acque basse e accostò alla portaerei. L’“Esperance” si infilò fra le due grosse unità da guerra. Dal ponte della portaerei qualcuno gridò con un megafono: — Cos’è successo al vostro bompresso?

— Un polipo — rispose Terry.

— Voi siete arrivati giusto in tempo per sterminarli, ma noi abbiamo avuto una nottataccia con quelle bestie.

Lontano ci fu un’enorme eruzione di gas… Poi il sonar captò un rumore nuovo. Un rumore d’acqua smossa…

— Arrivano! — gridò Terry.

— Tenetevi pronti a combattere!

— Sono loro, vero, Terry? — domandò Deirdre con voce tremante. — Sono le creature scese con i bolidi…

— E devono essere alquanto malconce dopo il bombardamento — disse Terry. — Se tentano di dare battaglia dopo la lezione avuta…

Due nuovi zampilli di gas, poi altre esplosioni dal profondo.

Dagli abissi irruppe una cosa oblunga, immensa, simile a un missile. Balzò in alto, dritta contro il cielo e svettò via, veloce. Un altro di quei “missili” seguì il primo, ma questo era di forma sferica.

Nuove esplosioni in fondo all’oceano, e nuovi “missili” schizzarono dalle acque scomparendo rapidi nel cielo, verso lo spazio.

La contraerea entrò in azione, ma non riuscì a colpire le astronavi. Erano venti, forse trenta. Venti, trenta astronavi che nel giro di pochi secondi lasciarono gli abissi dell’oceano per tuffarsi negli abissi dello spazio.

Dalla zona in cui era stato distrutto il batiscafo gli aerei comunicarono che altri missili o razzi o astronavi erano spuntati dal mare per perdersi nell’aria a velocità tale da non poter essere intercettati.

L’ultimo missile era appena uscito dall’acqua, quando nell’abisso si scatenò un’esplosione di forza inaudita.

— Una bomba a orologeria — disse Terry. — Se ne sono andati appena in tempo.

Uno yacht privato, un peschereccio, una stazione-osservatorio, una portaerei e un posamine, avevano sventato l’invasione della Terra. Ma non si poteva dare la notizia al mondo, e i protagonisti dell’impresa dovettero accontentarsi di aver salvato il genere umano. Il che non è poco.

Dopo cena Terry e Deirdre sedettero sulla veranda della stazione di Thrawn. Nel buio, poco dopo, si profilò la figura di Davis.

— Deirdre… Terry! — chiamò.

— Sì — rispose Terry. Davis li raggiunse.

— Buone notizie arrivate fresche per radio — annunciò. — Il radar è riuscito a localizzare i missili. Sono divisi in due gruppi: uno punta verso il Sole, l’altro verso lo spazio più remoto. Direi che la meta sia Giove per gli uni e Venere per gli altri. Marte è da escludere. Comunque se ne sono definitivamente andati.

— Due razze diverse, dunque — mormorò Terry. — I bolidi infatti avevano caratteristiche molto diverse. Due razze in grado di compiere viaggi spaziali e finite entrambe sulla Terra.

— Già — disse il padre di Deirdre. — Due razze abituate a un ambiente di enormi pressioni, i venusiani per gli abissi del loro pianeta, e i gioviani per l’enorme massa del mondo che li ospita.

— Forse quegli esseri non intendevano affatto impiantare una base sulla Terra — riprese Terry dopo “un lungo silenzio. — Forse hanno fissato nel nostro oceano una specie di base per entrare in contatto fra loro. Può essere proprio questa la spiegazione.

— Cioè? — chiese Deirdre.

— Quando si possiedono mezzi spaziali così potenti — continuò Terry, — è assurdo combattersi. Dato che, con ogni probabilità, all’alta tecnologia delle astronavi corrisponde un’altrettanta sviluppata tecnologia degli armamenti, la cosa migliore è tentare di stabilire relazioni amichevoli… e rivolgere le proprie mire espansionistiche verso altri pianeti. Ci hanno provato, sulla nostra Terra, e gli è andata male. Adesso probabilmente si aspetteranno che anche noi costruiamo navi spaziali per iniziare relazioni interplanetarie…

— Chissà che non abbiate ragione! — commentò Davis.

Terry non rispose. Deirdre gli stava dicendo qualcosa e lui non aveva voglia di ascoltare altro.

— Ci sono ancora parecchi punti oscuri in questa faccenda, però — riprese Davis. — Come facevano a comandare quei polipi? E per quale ragione e in che modo gioviani e venusiani avevano deciso di’ scegliere proprio la Terra per incontrarsi?

Invano attese una risposta. Terry e Deirdre avevano in quel momento altre cose da dirsi, altre domande da farsi, altre risposte da darsi.

Con un sospiro Davis scese sottocoperta per vedere se gli riusciva di captare della buona musica.


FINE
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