O Signore della Fortezza, le tue cose son sicure
fra spessi muri, porte di ferro e niente verzure.
Lessa si precipitò fuori della sala in cerca della levatrice. I suoi pensieri ardevano per la frustrazione. Ci era arrivata tanto vicina! Così tanto! Come aveva potuto fallire il suo scopo? Fax avrebbe dovuto sfidare il cavaliere di bronzo. Il dragoniere era giovane e forte, aveva l’aria di un combattente austero e controllato. Non avrebbe dovuto perdere tempo. Forse che anche l’onore a Pern era stato soffocato dall’erba?
Ma perché mai dama Gemma aveva scelto proprio quel momento per iniziare le doglie? Se i suoi lamenti non avessero attratto l’attenzione di Fax il duello ci sarebbe stato, e neanche un combattente feroce come Fax avrebbe potuto avere la meglio con un dragoniere appoggiato da Lessa. Ruatha doveva essere restituita al Sangue legittimo e Fax non doveva andarsene vivo.
Sulla torre il drago di bronzo emise uno strano verso: i suoi occhi sfaccettati luccicavano nell’oscurità sempre più fitta.
Lo mise a tacere inconsapevolmente, come avrebbe fatto con il wher da guardia. Il wher! Non era neanche uscito dalla sua tana quando era passata lei. Le avevano detto che i draghi avevano cercato di aggredirlo e poteva sentirlo vaneggiare in preda al panico: lo avrebbe ucciso, prima o poi.
La strada in discesa accelerò ulteriormente la sua andatura. Quasi scivolò per fermarsi davanti alla casa della levatrice. Bussò energicamente e sentì la voce stupita e impaurita all’interno.
— Un parto! Alla fortezza! — urlò Lessa al ritmo dei pugni che pestava sulla porta.
— Un parto — sentì dire più adagio. I chiavistelli si mossero. — Alla fortezza?
— La dama di Fax. Corri, se ci tieni a vivere, perché se è un maschio diventerà il signore di Ruatha.
La donna avrebbe dovuto decidere questo, pensò Lessa. La porta si spalancò e comparve il padrone di casa. La levatrice raccolse in fretta le sue cose ammucchiandole nello scialle. Lessa le fece fretta e la guidò lungo la salita che conduceva alla fortezza, tirandola per un braccio quando quella, alla vista del drago, cercò di scappare. La trascinò nel cortile e la condusse a spintoni dentro la Sala.
La levatrice si bloccò sulla porta interna, atterrita dallo spettacolo che aveva davanti. Il nobile Fax era in piedi sul tavolo, intento a tagliarsi le unghie con il coltello, ridacchiando. I dragonieri mangiavano tranquillamente seduti a un tavolo, mentre i soldati di Fax si dividevano gli avanzi.
F’lar vide le due donne e indicò loro la parte interna della fortezza. La levatrice pareva inchiodata a terra e Lessa si sforzava inutilmente di farle attraversare la Sala. Con suo grande stupore il cavaliere di bronzo si diresse verso di loro.
— Presto, è un parto prematuro — disse preoccupato, con la fronte aggrottata. Accennò con un gesto imperioso in direzione della porta d’accesso alla parte interna della fortezza, quindi, nonostante le sue resistenze, afferrò la levatrice per una spalla e la trascinò fino ai gradini aiutato da Lessa.
Una volta arrivati alla scala la lasciò andare facendo segno a Lessa di accompagnarla a destinazione. Quando furono sulla massiccia porta interna, Lessa si rese conto che il dragoniere stava osservando la sua mano appoggiata alla spalla della levatrice. La guardò a sua volta, come se appartenesse a un’estranea: dita lunghe ed eleganti anche se sporche e con le unghie spezzate, una manina dalle ossa delicate, dai movimenti graziosi nonostante la forza della stretta. Si affrettò a levarla.
Dama Gemma era nel bel mezzo del travaglio, ma le cose non stavano procedendo bene. Al suo tentativo di andarsene dalla stanza, la levatrice guardò Lessa con uno sguardo talmente atterrito che questa decise, pur riottosamente, di restare. Le altre dame erano superflue, era evidente. Se ne stavano tutte da una parte del letto torcendosi le mani e lanciando gridolini e stridii. Furono Lessa e la levatrice a spogliare dama Gemma, stenderla per bene e stringerle le mani durante le contrazioni.
Il volto della partoriente aveva perduto ogni traccia di bellezza: era madido di sudore e la pelle aveva assunto un colore grigiastro. Dama Gemma faticava a respirare e si mordeva le labbra per non urlare.
— Non sta andando per niente bene — sussurrò la levatrice. — Ehi, tu, piantala di piagnucolare — ordinò a una dama. Aveva acquisito di colpo una grande sicurezza: l’importanza del suo ruolo le dava un potere momentaneo anche sulle dame d’alto rango. — Portami dell’acqua calda e passami quei panni. Cerca qualcosa di caldo per il bambino. Se è vivo, dovrà essere riparato dal freddo e dalla corrente d’aria.
Confortate da quelle parole autoritarie, le donne lasciarono da parte i lamenti e si misero a obbedire.
Se sopravvive. Quel pensiero riecheggiò nella mente di Lessa. Diventerà signore di Ruatha. Uno della stirpe di Fax? Non era stata sua intenzione, eppure…
Dama Gemma cercò alla cieca le mani di Lessa. Senza neanche rendersene conto la ragazza le diede tutto il conforto che era in suo potere comunicarle con una forte stretta.
— Sta perdendo troppo sangue — mormorò la levatrice. — Presto, altri panni.
Le donne riniziarono a lamentarsi, emettendo dei gridolini di paura e di protesta.
— Non avrebbe dovuto intraprendere un viaggio così lungo.
— Moriranno tutti e due.
— Oh! sta perdendo troppo sangue.
Troppo sangue pensò Lessa. Non ce l’ho con lei, e il bambino è prematuro. Morirà. Chinò il capo per guardare quel volto sfigurato, con il labbro inferiore sporco di sangue. Perché ha gridato, prima? Adesso non emette neppure un gemito. Si sentì invadere dalla collera. Per qualche incomprensibile motivo dama Gemma aveva intenzionalmente interrotto Fax e F’lar nel punto cruciale. Strinse le mani della donna tanto violentemente che quasi gliele stritolò.
Quel dolore improvviso riscosse dama Gemma da uno dei momenti di respiro tra le contrazioni, sempre più frequenti. Sbatté le palpebre per allontanare le gocce di sudore e cercò di mettere a fuoco il viso di Lessa.
— Cosa ti ho fatto di male? — ansimò.
— Cosa? Avevo quasi liberato Ruatha quando tu hai gridato in quel modo — spiegò Lessa piegando la testa per non farsi sentire neppure dalla levatrice. Era talmente adirata da dimenticare ogni cautela: ma non le importava, tanto quella donna era in punto di morte.
Dama Gemma spalancò gli occhi.
— Ma… il dragoniere… Fax non deve ucciderlo… sono così pochi i cavalieri di bronzo, e sono tutti necessari. E le vecchie storie… la stella… la stella… — Una contrazione violenta la interruppe. Affondò le dita ricoperte di anelli nelle mani di Lessa e le si aggrappò.
— Cosa vuoi dire? — domandò la giovane, a voce bassa e rauca.
Ma il dolore divenne tanto intenso che dama Gemma faticava persino a respirare. Sembrava che gli occhi le stessero per schizzare fuori dalle orbite.
Nonostante dominata dal sentimento della vendetta, l’istinto portò Lessa ad alleviare le estreme sofferenze della poveretta. Le sue ultime parole, però, continuavano a risuonarle nella mente. Allora il suo grido non intendeva proteggere Fax ma il dragoniere? La stella? Si riferiva alla Stella Rossa? Di quali vecchie storie parlava?
La levatrice aveva appoggiato le mani sul ventre di Gemma ed esercitava una certa pressione cantilenando dei consigli che la partoriente, distrutta dal male, non sentiva neanche. A un tratto ebbe un sussulto convulso e si sollevò sul letto. Mentre Lessa cercava di sorreggerla, dama Gemma aprì gli occhi in un’espressione di indicibile sollievo, quindi crollò tra le braccia di Lessa e rimase immobile.
— È morta — gridò una delle donne, uscendo dalla camera. La sua voce si ripercosse nei corridoi di roccia. — Morta… orta… orta… aaa… — Le altre dame presenti parevano di pietra.
Lessa stese sul letto il corpo di dama Gemma, intimorita dal sorriso di trionfo che le aleggiava sul volto. Si ritrasse, molto più colpita di tutte le altre presenti. Se fino a quel momento non aveva mai avuto alcuna esitazione a danneggiare Fax o a mandare in rovina Ruatha, adesso era in preda ai rimorsi. Il suo odio morboso le aveva fatto dimenticare che senz’altro non era l’unica a concepire tali sentimenti. Dama Gemma faceva parte di quelle persone e aveva sicuramente patito più umiliazioni di lei. E lei l’aveva odiata, mentre avrebbe dovuto rispettarla e aiutarla.
Scrollò il capo per allontanare da sé quel senso di tragedia e di repulsione per se stessa che rischiava di sopraffarla. Non c’era tempo per il rimpianto. Non in quel frangente. Non quando avrebbe potuto vendicare anche i torti subiti da dama Gemma oltre che i suoi uccidendo Fax.
E quello era il momento giusto. Il bambino… sì, il bambino. Gli avrebbe annunciato che era vivo e che era un maschio. Il dragoniere avrebbe dovuto battersi per forza: aveva sentito e testimoniato la promessa di Fax.
Un sorriso simile a quello che era apparso sul viso della morta comparve sulle labbra di Lessa mentre si dirigeva frettolosamente verso la sala.
Stava già per entrarvi quando si rese conto che, prevedendo con la mente il trionfo, aveva perso del tutto il suo autocontrollo. Si fermò di colpo e respirò profondamente. Si incurvò e tornò a essere una scialba sguattera.
La donna che era fuggita dalla stanza urlando era ora accucciata ai piedi di Fax in preda ai singhiozzi.
Lessa digrignò i denti: il suo odio per Fax aumentò ancora quando vide la gioia che la morte di dama Gemma nel travaglio del parto gli arrecava. Stava già mandando a chiamare la favorita del momento, che, senz’ombra di dubbio, sarebbe diventata la nuova dama principale.
— Il bambino è vivo — urlò Lessa con la voce alterata per l’ira. — È un maschio.
Fax si alzò di scatto, allontanando con un calcio la donna che piangeva ai suoi piedi e fissò Lessa con una smorfia colma di rabbia.
— Cosa stai dicendo?
— Il bambino non è morto, ed è un maschio — ripeté. La rabbia e l’incredulità che si dipinsero sulla faccia di Fax furono per lei il migliore degli spettacoli. Gli uomini del Connestabile faticarono a trattenere il grido di esultanza.
— Ruatha ha un nuovo signore — ruggirono i draghi.
Ma Lessa era tanto felice di veder realizzarsi il suo piano che non si accorse neanche della reazione degli altri, neppure del ruggito dei draghi.
Fax scattò e balzò in avanti per opporsi a quella notizia. Prima che Lessa potesse mettersi al riparo le sferrò un pugno sul volto. Cadde all’indietro e rotolò sui gradini andando a finire sul pavimento di pietra. Pareva un fardello di cenci sporchi.
— Fermati, Fax! — la voce di F’lar tagliò il silenzio proprio mentre il Signore delle Terre Alte stava per prendere a calci quel corpo immobile.
Fax si girò su se stesso, appoggiando automaticamente la mano sull’impugnatura del coltello.
— Abbiamo sentito e testimoniato, Fax — gli ricordò il dragoniere, sollevando una mano — devi mantenere la tua promessa!
— Testimoniato? Chi, i dragonieri? — lo schernì Fax. — Le dragoniere, vorresti dire — sbuffò guardandoli tutti con disprezzo.
La fulmineità con cui il coltello comparve nella mano di F’lar lo colse alla sprovvista.
— Dragoniere? — domandò il cavaliere di bronzo con la bocca atteggiata a un sogghigno. Mentre avanzava verso Fax i lumi facevano scintillare la lama della sua arma.
— Donnette! Parassiti di Pern! Il dominio dei Weyr è finito per sempre. — Scese con un balzo i gradini preparandosi allo scatto.
I due contendenti non si accorsero neanche del tramestio che era sorto dietro di loro. In breve tempo le tavole furono spostate e venne creato lo spazio per il duello. F’lar non aveva il tempo di guardare neppure di sfuggita la sguattera accasciata a terra, ma l’istinto e anche qualcosa d’altro genere gli assicuravano che era proprio lei la fonte del potere. Se ne era accorto quando era entrata in sala e il ruggito dei draghi glielo aveva confermato. Se quella caduta l’avesse uccisa… Si avvicinò a Fax, spostandosi di lato per scansare la lama quando quello gli piombò addosso con una mossa violenta.
Non ebbe problemi a evitare quell’attacco: gli bastò calcolare la lunghezza delle braccia di Fax per comprendere di trovarsi in leggero vantaggio. Fax era abituato alla lotta corpo a corpo, mentre la sua esperienza nei duelli si era sempre fermata al primo graffio, nelle esercitazioni. F’lar decise di mantenere una certa distanza da quell’uomo tanto robusto, pericoloso per le sue stesse dimensioni. Avrebbe dovuto puntare sull’agilità, piuttosto che sulla forza.
Fax fece una finta, cercando di trovare i punti deboli dell’avversario. Si piegarono, si fronteggiarono a qualche metro di distanza, agitando i coltelli e protendendo in avanti la mano libera per agguantarsi.
Fax provò ad attaccare di nuovo. F’lar lo lasciò avvicinare in modo da poterlo schivare e contemporaneamente sferrargli un fendente. Sotto la punta del suo coltello la stoffa dei vestiti di Fax si lacerò. Ma Fax era più agile del previsto e F’lar dovette schivare un altro colpo mentre la sua giubba di pelle di wher veniva graffiata.
Si girarono intorno l’uno con l’altro, colmi di rabbia, cercando di cogliere in fallo l’avversario. Fax provò un assalto, sperando nella sua mole e bloccando F’lar, più leggero e agile, tra la parete e la piattaforma rialzata.
F’lar passò al contrattacco, piegandosi sotto il braccio avventato dell’altro e colpendolo al fianco. Ma venne tirato rabbiosamente da Fax e si ritrovò intrappolato contro di lui. Cercò disperatamente di tenergli alzato il braccio armato, sollevò il ginocchio e contemporaneamente si alzò per sfuggirgli. Riuscì a indietreggiare mentre l’avversario si lasciava scappare un gemito per l’improvviso dolore all’inguine. Si allontanò con agilità, ma il bruciore alla spalla destra gli fece sapere che non era uscito indenne da quella prima parte dello scontro.
Fax aveva il volto arrossato da una furia sanguinaria. Si doleva per il dolore e lo shock. Ma F’lar non riuscì ad approfittarne, perché l’altro, furibondo, lo caricò. Costretto a spostarsi di lato per schivare il corpo dell’avversario, si rifugiò dietro il tavolo della carne per verificare la profondità della ferita. Bruciava come se fosse stata inferta da un ferro arroventato e ogni movimento della spalla gli costava fatica, ma poteva ancora muovere il braccio.
All’improvviso, Fax gli scagliò addosso una manciata di ritagli di carne. F’lar riuscì a evitarla, ma Fax gli fu addosso. Spostatosi sul lato per istinto, vide la lama dell’altro balenare vicinissima al suo addome. Lo colpì con il coltello al braccio e quando si girarono per fronteggiarsi, notò che gli penzolava inerte lungo il fianco.
Fax vacillò e F’lar volle approfittarne, ma fu colpito da un calcio terribile. Rotolò lontano, piegato in due per il dolore, per evitare l’altro che lo stava caricando. Fax voleva saltargli addosso e inchiodarlo a terra per potergli infliggere il colpo decisivo, ma F’lar riuscì a rimettersi in piedi, faticando però a raddrizzarsi. E fu quello che lo salvò. Fax sbagliò la mira perdendo l’equilibrio e F’lar poté così colpirlo alla schiena, finché sentì il coltello bloccato dal pettorale.
Fax cadde a terra e la violenza della caduta fece fuoriuscire leggermente la lama insanguinata dalla schiena.
Un sottile gemito si insinuò in quello stordimento fatto di dolore e di sollievo. Le donne si stavano ammassando intorno all’entrata e una teneva tra le braccia una specie di fagotto. F’lar non riusciva bene a capire cosa stesse succedendo, sapeva soltanto che era indispensabile riacquistare la lucidità mentale.
Guardò il morto. Non era felice di averlo ucciso, era solo sollevato per essere ancora vivo. Si asciugò la fronte con la manica e si raddrizzò faticosamente: il fianco gli doleva e la spalla bruciava. Si avvicinò barcollando alla sguattera che era ancora accasciata a terra.
La voltò e vide il bruttissimo livido che si stava formando sulla guancia sotto la pelle sporca. Sentì F’nor assumere il comando della situazione.
Ancora tremante appoggiò una mano sul petto della donna per vedere se era viva. Il cuore batteva, adagio ma energicamente.
Gli sfuggì un profondo sospiro: la caduta avrebbe potuto essere fatale per lei… e anche per il destino di Pern, forse.
Il sollievo si mescolò ben presto al disgusto: quella donna era tanto sporca che non si riusciva neppure a capire che età potesse avere. La prese tra le braccia e la sentì tanto leggera da non pesare neanche a lui, stanco del combattimento. Sicuro che F’nor avrebbe controllato la situazione nel migliore dei modi, F’lar portò la sguattera nella sua camera.
La depose sul letto, quindi riattizzò il fuoco e alimentò la lampada appesa al capezzale. Il solo pensiero di dover toccare quei capelli sporchi e opachi gli diede la nausea; tuttavia li scostò delicatamente dal volto e fece girare la testa della donna da una parte e dall’altra. Aveva lineamenti fini e regolari. Il braccio libero dai cenci si rivelava abbastanza pulito e con la pelle liscia, ma segnato da lividi e vecchie cicatrici. Le mani incrostate dal sudiciume erano ben fatte e le ossa delicate.
F’lar sorrise. Quella donna aveva nascosto la mano tanto abilmente che lui aveva pensato di essersi sbagliato. Sotto lo sporco e il grasso era giovane, abbastanza giovane per il Weyr e niente affatto squallida. Per fortuna era troppo vecchia per poter essere figlia di Fax. Che fosse un’illegittima del signore precedente? No, il suo sangue era puro, qualunque fosse la sua casata di appartenenza, e probabilmente era proprio una ruathana. Grazie a qualche espediente sconosciuto era sfuggita al massacro avvenuto dieci Giri prima e ora aveva realizzato la sua vendetta. Quale altro motivo avrebbe avuto per costringere Fax a rinunciare a quella fortezza?
Contento e affascinato da quella fortuna inaspettata, F’lar allungò una mano per toglierle gli abiti, ma si fermò immediatamente. La ragazza aveva ripreso conoscenza e due grandi occhi famelici lo guardavano cauti ma senz’ombra di paura e di curiosità.
F’lar restò divertito a guardare il mutamento che i lineamenti della ragazza subirono volontariamente assumendo dei tratti ripugnanti.
— Vorresti imbrogliare un dragoniere? — rise. Rinunciò a toccarla e si appoggiò alla grande testata decorata del letto. Incrociò le braccia ma fu costretto a cambiare posizione a causa del dolore alla ferita.
— Dimmi come ti chiami e qual è il tuo rango.
Lessa si raddrizzò senza più contorcere i lineamenti. Si appoggiò sicura alla testata. Si squadrarono, fermi alle due parti del letto. — E Fax?
— È morto. Dimmi il tuo nome!
Sul volto della ragazza si dipinse un’espressione di esultanza e di trionfo. Si alzò e rimase in piedi diritta e incredibilmente alta.
— Allora posso rivendicare ciò che mi appartiene: sono del Sangue di Ruatha. Rivendico la fortezza.
F’lar rimase a osservarla felice di quell’orgoglio, poi rovesciò il capo all’indietro e si lasciò andare a una risata.
— Rivendichi questo mucchio di rovine? — non poté evitare di sottolineare la discrepanza tra i modi della ragazza e il suo aspetto esteriore. — Oh, no. Oltretutto, mia bella signora, Fax ha rinunciato alla fortezza a vantaggio del suo erede. Dovrò affrontare anche quel neonato per te? Dovrò farlo soffocare nelle sue fasce?
Negli occhi di Lessa comparve un lampo improvviso, mentre le labbra le si aprivano in un terribile sorriso.
— Non ci sono eredi. Gemma è morta senza aver dato alla luce il bambino. Ho mentito.
— Mentito? — chiese F’lar sentendosi invadere dalla collera.
— Esattamente — rispose in tono di sfida. — Il bambino non è mai nato. Volevo solo assicurarmi che tu sfidassi Fax.
F’lar l’afferrò per il polso, furente per essersi lasciato abbindolare per ben due volte. — Hai provocato un dragoniere? Per farlo uccidere? Quando sta svolgendo la Cerca?
— La Cerca? E cosa me ne importa della Cerca? Ora Ruatha è di nuovo mia. Ho aspettato e tramato nell’ombra per dieci Giri. Cosa vuoi che mi interessi della tua Cerca?
F’lar l’avrebbe volentieri picchiata per farle sparire dal volto quell’aria altezzosa e sprezzante. Le torse il braccio con rabbia, per farla cadere. Lessa rise. Prima ancora che lui se ne rendesse conto era già sgattaiolata fuori della stanza correndo.
Imprecando contro se stesso si gettò di corsa nei corridoi scavati nella roccia. La ragazza, per uscire dalla fortezza, avrebbe dovuto passare dalla Grande Sala. Ma quando vi arrivò non riuscì a vederla fra i presenti.
— È passata di qua quella donna? — gridò a F’nor che si trovava casualmente vicino alla porta che si apriva sul cortile.
— No. Allora il potere viene da lei?
— Sì — rispose F’lar ancora più inviperito per essersela lasciata scappare. Dove si era cacciata? — E ha il Sangue di Ruatha nelle vene, per giunta!
— Oh, oh! allora deporrà il bambino? — domandò F’nor accennando alla levatrice seduta vicino al camino ora acceso.
F’lar esitò un istante, quindi si accinse a riprendere la sua ricerca fra gli innumerevoli corridoi della fortezza. Infine spalancò gli occhi, atterrito, e guardò il fratellastro.
— Il bambino? che bambino?
— Il figlio di dama Gemma — si stupì F’nor.
— È vivo?
— Sì, ed è molto forte, anche se prematuro ed estratto a forza dal grembo della madre morta, così ha detto la levatrice.
F’lar chinò indietro il capo e scoppiò a ridere. Nonostante tutti i suoi tentativi quella ragazza era stata vinta dalla Verità.
Udì il ruggito di Mnementh, esultante, seguito da quello di tutti gli altri draghi.
— L’ha trovata Mnementh — gridò F’lar felice. Scese le scale a grandi passi, oltrepassò il corpo di Fax e uscì in cortile.
Chiamò il drago di bronzo che aveva lasciato la torre. Mnementh arrivò dall’alto, con una grande spirale, e F’lar vide che stringeva qualcosa tra le zampe anteriori. Era la ragazza che stava cercando. Il drago l’aveva vista mentre si calava da una finestra e l’aveva afferrata. Si posò goffamente sulle zampe posteriori, muovendo le ali per mantenere l’equilibrio e depose delicatamente Lessa, creandole intorno una specie di gabbia con i suoi artigli. La ragazza restò immobile dentro quell’inusuale cerchio, con il viso rivolto verso l’immensa testa a forma di cuneo che si muoveva sopra di lei.
Il wher da guardia stava forzando con tutto se stesso la catena per venirle in aiuto, urlando per la paura e la rabbia. Quando F’lar gli passò vicino tentò di abbrancarlo.
— Il coraggio non ti manca, ragazza! — riconobbe appoggiando distrattamente una mano su un artiglio di Mnementh. Il drago era immensamente compiaciuto di se stesso; abbassò il capo per farsi grattar le sopracciglia.
— Avevi detto la verità, sai — la informò F’lar incapace di resistere.
Lessa si volse lentamente verso di lui con il volto impassibile. I draghi non la intimorivano, notò F’lar compiaciuto.
— Il bambino è vivo ed è un bel maschietto.
Lessa non riuscì a celare lo sbigottimento: piegò un istante le spalle, ma si raddrizzò subito.
— Ruatha è mia — ripeté con voce bassa e intensa.
— Lo sarebbe diventata se tu ti fossi rivolta direttamente a me quando sono arrivato.
Lessa spalancò gli occhi.
— Cosa intendi dire?
— Un dragoniere può prendere le difese di chiunque abbia subito un torto e quando siamo arrivati, mia signora, sarei stato ben felice di sfidare Fax avendo un motivo plausibile, nonostante la Cerca. — Non che fosse del tutto vero, ma F’lar voleva far capire a quella ragazza che non si potevano controllare i dragonieri. — Se avessi prestato più attenzione ai canti degli arpisti, conosceresti i tuoi diritti. E… — Il tono di risentimento lo sorprese. — Dama Gemma forse non sarebbe morta. Quella poveretta ha coraggiosamente patito più di te per colpa di Fax.
Qualcosa del comportamento della ragazza gli fece capire che la morte della dama l’aveva colpita.
— Cosa te ne fai a questo punto di Ruatha? — domandò F’lar accennando al cortile in rovina e alla desolazione della fortezza e infine alla valle improduttiva. — Hai davvero ottenuto quello che desideravi: una conquista vana e la morte del suo conquistatore.
Sbuffò.
— Comunque va tutto per il meglio e finalmente le altre fortezze saranno restituite ai legittimi signori. Un signore per una fortezza. Ogni altra soluzione contrasta con la tradizione. Ma potresti anche trovarti nella necessità di difenderti da chi si è lasciato contagiare dalla pazzia di Fax. Saresti in condizione di proteggere Ruatha, così com’è ridotta adesso?
— Ruatha è mia?
— Ruatha? — la derise F’lar. — E rinunceresti a essere la dama del Weyr?
— La dama del Weyr? — mormorò Lessa guardandolo stupefatta e sconvolta.
— Certamente, sciocchina. Te l’ho già detto che sto facendo la Cerca… e per te è arrivato il momento di occuparti di qualcosa di più importante di Ruatha. L’oggetto della mia Cerca… sei tu!
Lessa guardò il dito che F’lar le aveva puntato addosso come se fosse pericoloso.
— Per il primo Uovo, ragazza, hai potere da vendere se sei riuscita a far fare quello che volevi a un dragoniere ignaro. Ma stai pur certa che non succederà più, perché ti terrò a bada io.
Mnementh emise un gorgoglio rombante di consenso, quindi inarcò il collo per poter guardare la ragazza con i suoi occhi scintillanti nel buio del cortile.
F’lar, orgogliosamente, notò che la vicinanza di quell’occhio più grande della sua testa non la intimoriva affatto.
— Adora farsi grattare le sopracciglia — la informò F’lar amichevolmente.
— Lo so — rispose adagio tendendo una mano per accontentare il drago.
— Nemorth ha deposto un uovo d’oro — riprese F’lar suadente. — Sta per morire e abbiamo bisogno di una dama del Weyr molto forte.
— La Stella Rossa? — bisbigliò agitata Lessa, volgendo al cavaliere due occhi impauriti. F’lar rimase stupito: lei non aveva mai mostrato timore per niente.
— L’hai vista? Sai cosa vuol dire? — la vide inghiottire nervosamente.
— C’è un pericolo… — iniziò Lessa voltando a Est uno sguardo colmo di preoccupazione.
F’lar non perse tempo a domandarsi come avesse fatto a capire l’imminenza del pericolo. L’avrebbe portata al Weyr anche con la forza, ma dentro di sé desiderava che la giovane donna accettasse la sfida spontaneamente. Una Dama del Weyr ribelle avrebbe giovato ancora meno di una stupida. Quella ragazza aveva troppo potere ed era troppo abituata alle astuzie e alle strategie. Provocarla sarebbe stato pericoloso.
— Tutto Pern ne è minacciato, non solo Ruatha — le disse dando alla sua voce un tono supplichevole — E tu sei indispensabile. Non qui. — Agitò la mano come per dirle che Ruatha diventava insignificante di fronte all’urgenza della situazione generale. Senza una dama del Weyr come te siamo finiti.
— Gemma mi ha detto che tutti i cavalieri di bronzo erano necessari — mormorò Lessa stordita.
Cosa intendeva dire? F’lar corrugò la fronte. Aveva captato qualcosa detta da lui? Capì che stava per colpire nel segno, quindi continuò.
— Qui hai vinto. Lascia che il bambino… — la vide sobbalzare e, implacabile, concluse: — Il bambino di Gemma… cresca a Ruatha. In qualità di dama del Weyr il tuo potere si estenderà su tutte le fortezze, non solo su questa. Fax è morto: lascia da parte i tuoi propositi di vendetta.
Lessa guardò F’lar con uno sguardo stupito, assorbendo le sue parole. — Non ho mai pensato ad altro che alla morte di Fax — confessò adagio. — Non ho mai pensato al dopo.
Era una confusione quasi infantile e F’lar ne rimase colpito profondamente. Non aveva ancora avuto né il tempo né la voglia di riflettere sullo stupefacente esito ottenuto con la ragazza. Iniziava solo adesso a giudicarla. All’epoca della conquista di Fax non doveva aver avuto più di dieci Giri. Nonostante la sua tenera età si era imposta uno scopo ed era riuscita a passare inosservata e a resistere alla brutalità il tempo sufficiente per mettere in opera la sua vendetta. Che dama del Weyr sarebbe stata! Degna erede del Sangue ruathano. Alla luce della luna appariva tanto giovane e fragile… addirittura carina.
— Potresti diventare la dama del Weyr — le ripeté con educata insistenza.
— La dama del Weyr — mormorò incredula voltandosi a guardare il cortile inondato dal chiarore lunare. A F’lar parve sul punto di cedere.
— Preferisci forse gli stracci? — le chiese in tono duro e beffardo. — E i capelli opachi, i piedi sudici, le mani screpolate? Ti diverti a dormire sulla paglia e a mangiare gli scarti? Sei giovane… almeno credo. — Era scettico. Lessa lo guardò fredda, serrando con decisione le labbra. — Le tue ambizioni si fermano qui? Che cosa sei se tutto quello che desideri si limita a questo minuscolo pezzetto di mondo? — Si fermò, quindi concluse con totale disprezzo: — Vedo che il Sangue di Ruatha non è più quello di un tempo. Tu hai paura!
— Io sono Lessa, la figlia del signore di Ruatha e niente mi fa paura! — La ragazza si erse in tutta la sua altezza. Aveva gli occhi scintillanti e teneva la testa alta contro quell’insulto al suo Sangue.
F’lar si lasciò andare a un leggero sorriso.
Mnementh invece tese in avanti la testa allungando il suo collo sinuoso. Il suo grido riecheggiò nell’intera valle. Quindi fece capire a F’lar che Lessa avrebbe accolto la sfida e gli altri draghi risposero con un grido più stridulo di quello lanciato da Mnementh. Il wher da guardia, accucciato all’estremità della catena, emise un urlo sottile e snervante finché tutti gli occupanti della fortezza non furono usciti stupefatti.
— F’lar! — chiamò il cavaliere di bronzo indicandogli di farsi vicino. — Lascia metà degli uomini a custodire la fortezza. Qualche signore vicino potrebbe seguire le orme di Fax. Corri all’opificio dei tessitori a cercare L’to… Lytol. — F’lar ebbe un sorriso di trionfo. — Sarà un Connestabile e Reggente modello per questa fortezza, in nome del Weyr e del piccolo signore.
L’espressione di F’nor tradì tutto l’entusiasmo per quell’incarico; adesso iniziava a capire le intenzioni del fratello. Con Fax morto e con la protezione dei dragonieri, in particolare dell’uccisore di Fax, la fortezza di Ruatha sarebbe stata al sicuro e avrebbe potuto prosperare sotto una saggia amministrazione.
— È stata opera sua la decadenza di Ruatha? — domandò.
— Aveva quasi rovinato anche noi con le sue macchinazioni — rispose F’lar. Ora che la sua Cerca era terminata, si sentiva magnanimo. — Trattieni la tua baldanza, fratello — si affrettò a precisare appena vide l’espressione di F’nor. — La nuova regina non ha ancora ricevuto il Primo Schema di Apprendimento.
— Mi preoccuperò di tutto io qui, e Lytol è la scelta migliore — commentò F’nor pur sapendo che F’lar non aveva bisogno del consenso di nessuno.
— Chi è Lytol? — chiese risentita Lessa. Aveva raccolto all’indietro la massa opaca dei capelli e così al chiaro di luna pareva meno sporca. F’lar si avvide dell’espressione di F’nor rivolto verso di lei. Con un gesto imperioso lo invitò a eseguire gli ordini ricevuti senza attendere oltre.
— Lytol è un dragoniere senza drago — spiegò poi alla ragazza. — E non è certo un amico di Fax. Guiderà bene la fortezza e la farà prosperare. — Quindi aggiunse, rivolgendole un suadente sguardo: — Giusto?
Lessa lo fissò scura in volto. Rimase zitta fipché lui scoppiò a ridere per il suo disagio.
— Torneremo al Weyr — la informò offrendole una mano per portarla al fianco di Mnementh.
— Il drago aveva teso la testa in direzione del wher da guardia, steso al suolo con la catena allentata nella polvere.
— Oh — sospirò Lessa, lasciandosi cadere vicino all’animale che sollevò lentamente il capo ed emise dei pietosi lamenti.
— Mnementh dice che è molto vecchio e che presto si addormenterà per sempre.
Lessa abbracciò quella testa ripugnante accarezzandone le sopracciglia e grattandola dietro le orecchie.
— Vieni, Lessa di Pern — la incitò F’lar impaziente di riprendere il viaggio.
La ragazza si alzò adagio ma arrendevole.
— Mi ha salvato la vita. Lui sapeva chi sono.
— E sa di aver fatto la cosa giusta — le garantì F’lar brusco e un po’ stupito da quel sentimentalismo tanto inconsueto in lei.
Le prese ancora la mano per aiutarla a rialzarsi e riportarla vicino a Mnementh.
In un istante si ritrovò riverso sulle pietre. Cercò di rialzarsi e fronteggiare l’avversario, ma era stordito: dovette restare disteso e, agghiacciato, vide il wher da guardia venirgli addosso con il suo corpo ricoperto di scaglie.
Nello stesso istante sentì l’esclamazione di Lessa e il ruggito di Mnementh. La grande testa del drago stava per scaraventarne lontano il wher, quando Lessa urlò: — Non ucciderlo! Non ucciderlo!
Il ringhio dell’animale divenne un angoscioso grido d’allarme e il suo corpo eseguì un incredibile movimento per cambiare traiettoria. Quando toccò il pavimento di pietra del cortile, F’lar sentì il tonfo sordo del corpo che cadeva riverso.
Prima ancora che riuscisse a rialzarsi, Lessa aveva già abbracciato quella testa orribile.
Mnementh si chinò a toccare delicatamente il corpo del wher moribondo. Comunicò a F’lar che l’animale aveva intuito che Lessa se ne stava per andare da Ruatha. Una del suo Sangue non lo doveva fare. La sua mente offuscata dall’età aveva dedotto che la ragazza fosse in pericolo e una volta sentito il suo comando frenetico aveva cercato di rimediare allo sbaglio mettendo in pericolo la sua stessa vita.
— Intendeva solo difendermi — aggiunse Lessa con voce spezzata. Si schiarì la gola. — Era l’unico di cui mi fidavo. Era il mio solo amico.
F’lar, imbarazzato, le batté una mano sulla spalla, incapace di credere che un essere umano potesse ridursi a cercare l’amicizia di un wher da guardia. Rabbrividì. Quella caduta gli aveva riaperto la ferita alla spalla.
— Era davvero un buon amico — disse. Aspettò finché la luce degli occhi verde-oro del wher si attenuò e si spense.
I draghi emisero la strana e agghiacciante nota che indicava il trapasso di qualcuno della loro specie.
— Era solo un wher da guardia — bisbigliò Lessa colpita da quell’omaggio.
— I draghi onorano solo chi vogliono — commentò asciutto F’lar per declinare ogni responsabilità.
Lessa guardò ancora per un istante quella testa ripugnante, poi la depose a terra e accarezzò le ali tarpate. Infine, con movimenti rapidi, gli tolse dal collo il pesante collare e lo scagliò via violentemente.
Alzatasi con agilità si avviò verso Mnementh senza mai voltarsi. Salì tranquilla sulla zampa protesa del drago e si accomodò sull’ampio collo come le aveva detto F’lar.
Il cavaliere di bronzo si voltò a guardare il suo squadrone che aveva preso posto nel cortile. Gli abitanti della fortezza si erano rifugiati impauriti nella sala. Quando i dragonieri furono pronti balzò al collo di Mnementh sistemandosi dietro la ragazza.
— Tieniti forte a me — le disse mentre afferrava la testa del drago e gli ordinava di alzarsi in volo.
Lessa gli stritolò l’avambraccio mentre il grande drago si sollevava verticalmente da terra agitando le ali per prendere quota. L’animale preferiva partire da un picco o da una torre: come tutti gli altri, era piuttosto pigro. F’lar si volse a guardare e vide gli altri dragonieri in formazione che si stavano distanziando per colmare i vuoti di quelli rimasti alla fortezza.
Appena arrivarono all’altezza necessaria, il cavaliere di bronzo fece operare a Mnementh il trasferimento, gli disse di passare nel mezzo per giungere al Weyr.
Solo una rapida esclamazione tradì l’agitazione di Lessa nel trovarsi sospesa nel mezzo. Lo stesso F’lar, per quanto abituato al freddo intenso, si snervava ogni volta a quella terribile mancanza di luce e di rumore. E sì che il trasferimento aveva la brevità di un lampo.
Mnementh rombò di approvazione per la calma che Lessa aveva mostrato al fulmineo passaggio in quella strana stasi. Non aveva avuto paura e non aveva urlato come le altre. F’lar sentiva il suo cuore battere forte contro il braccio che le cingeva le costole: nient’altro.
Giunsero sul Weyr. Mnementh iniziò a planare nel sole che illuminava quell’emisfero, opposto a quello di Ruatha.
Mentre sorvolavano la grande infossatura rocciosa del Weyr, Lessa si strinse a F’lar stupita. L’uomo la osservò e fu contento di notare sul suo volto un’espressione di felicità. Non aveva paura, lei, anche se erano alti sopra la maestosa catena del Benden. Quando i sette draghi ruggirono per annunciare la loro venuta, il viso della ragazza si illuminò di stupore.
Mnementh scese più lentamente degli altri. I dragonieri si levarono velocemente le tuniche e balzarono a terra avviandosi verso le grotte del Weyr. Il drago di bronzo terminò il suo atterraggio emettendo fischi striduli e sterzando le ali per rallentare la velocità. Infine si appoggiò con leggerezza sul costone. F’lar fece scendere Lessa sulla roccia rigata da migliaia di atterraggi.
— Questo conduce solo al nostro alloggio — la informò una volta entrati nel corridoio grande tanto da permettere il passaggio dei draghi.
Entrati nell’immensa grotta naturale che gli apparteneva da quando Mnementh aveva raggiunto la maturità, F’lar si guardò intorno. Per la prima volta era stato a lungo lontano dal Weyr e quella caverna gli apparve incredibilmente grande, senz’altro più spaziosa delle sale viste con Fax, che non erano state costruite in funzione dei draghi. Improvvisamente si accorse che la sua dimora era squallida come Ruatha. Era vero che Benden era uno dei più vecchi Weyr dei draghi, come Ruatha era una delle fortezze più antiche, ma non era una buona scusa. Quanti draghi vi avevano dormito dentro? Quanti piedi avevano calpestato quel pavimento che conduceva alla camera da letto e al bagno in cui l’acqua arrivava da una sorgente naturale? Però gli arazzi che pendevano dalle pareti erano sbiaditi e sciupati e il pavimento era macchiato da chiazze di grasso che sarebbe stato faticoso eliminare con la sabbia detergente.
Vide l’atteggiamento guardingo di Lessa, ferma nella camera da letto.
— Devo dare da mangiare a Mnementh, perciò puoi fare il bagno per prima — le disse. Tolse da un cassettone dei vestiti puliti. Erano stati lasciati lì dalle precedenti abitanti della grotta, ma erano pur sempre più decenti degli stracci che lei aveva addosso. Ritirò con attenzione la veste bianca che si portava per lo Schema di Apprendimento: Lessa l’avrebbe indossata in un secondo momento. Le gettò ai piedi una bracciata di abiti e un sacchetto di sabbia detergente, mostrandole la tenda che divideva la camera dal bagno.
Se ne andò lasciando il tutto ammassato ai piedi della ragazza che non aveva nemmeno tentato di prendere le cose al volo.
Mnementh gli comunicò che F’nor stava dando da mangiare a Canth e che anch’egli era affamato. Lo informò inoltre del fatto che lei non si fidava del dragoniere, mentre non aveva affatto paura di lui.
— E per quale motivo dovrebbe avere paura di te? — domandò F’lar. In fondo sei parente del suo unico amico, il wher da guardia.
Mnementh replicò che un drago di bronzo come lui non aveva nessun legame di parentela con un rattrappito wher da guardia, strisciante, incatenato e con le ali tarpate.
— Perché allora lo hai omaggiato come se fosse un drago? — gli chiese F’lar.
Mnementh gli rispose altezzoso che un essere capace di tanta fedeltà e abnegazione doveva essere compianto. Non c’era niente da dire sul fatto che quel wher avesse saputo mantenere per sé quelle informazioni che egli stesso aveva cercato, inutilmente, di estorcergli. Inoltre quella mossa che gli era costata la vita lo innalzava al livello dei draghi. Era stato naturale per i draghi rendergli omaggio al momento della morte.
Soddisfatto per avere punzecchiato Mnementh, F’lar ridacchiò, mentre l’animale si avvicinò al suo pasto con grande dignità.
Mentre il drago restava librato a breve distanza da F’nor, F’lar si lasciò andare a terra. Ma l’impatto con il pavimento gli rammentò che avrebbe fatto meglio a farsi medicare la ferita. Restò a guardare Mnementh che piombava sul maschio più grasso del gregge delle capre.
— La Schiusa avverrà da un momento all’altro — lo informò F’nor accasciandosi a terra. Il suo sguardo luccicava dall’entusiasmo.
F’lar annuì pensieroso.
— I maschi avranno una scelta molto vasta — ammise, ma sapeva bene che il fratello aveva tenuto per sé una notizia molto più interessante.
Si voltarono entrambi verso Canth, il drago marrone di F’nor che stava adocchiando una giumenta. La afferrò con una zampa e si librò nell’aria, andando ad accomodarsi su un cornicione per gustarsela.
Mnementh, dopo aver divorato la carcassa, si diresse verso i recinti più distanti e sollevò tra gli artigli un pesante uccello corridore. Nel vedere la sua ascesa, F’lar si inorgoglì di fronte all’agilità delle grandi ali, al gioco dei raggi del sole sulla pelle di bronzo e al lampeggiare degli artigli argentei sfoderati per atterrare. Non si stancava mai di vedere il suo drago in volo e di ammirarne l’eleganza e la forza.
— Lytol non credeva a tanto onore — gli comunicò F’nor. — Ti manda i suoi omaggi. Se la caverà bene, a Ruatha.
— È proprio per questo che l’abbiamo scelto — borbottò F’lar. Ma la reazione di Lytol lo aveva soddisfatto. Non si poteva paragonare il possesso di un drago con il governo di una fortezza, ma il compito era comunque di tutto rispetto.
— L’entusiasmo nelle Terre Alte è salito alle stelle, nonostante la commozione per la morte di dama Gemma — continuò F’nor. — Mi incuriosisce sapere chi fra gli aspiranti otterrà il titolo.
— A Ruatha? — domandò F’lar corrugando la fronte per guardare il fratello.
— No. Nelle Terre Alte e nelle fortezze occupate da Fax. Lytol, con la sua gente, proteggerà Ruatha e cercherà di dissuadere qualsiasi esercito intendesse attaccarla. Sa che sono molti coloro che preferiscono cambiare fortezza anche se Fax è morto e ha intenzione di radunarli tutti a Ruatha così che i nostri uomini possano tornare qui il più presto possibile.
F’lar fece un cenno d’assenso, quindi si voltò a salutare due dragonieri, due piloti azzurri, che si stavano dirigendo con i loro animali verso il campo del pasto. Mnementh intraprese la cattura del terzo uccello.
— Sta leggero — commentò F’nor. — Canth si sta ancora ingozzando.
— I draghi marroni crescono più adagio — mormorò F’lar osservando soddisfatto il lampo di rabbia che era comparso negli occhi dell’altro. Avrebbe imparato a comunicargli subito le notizie.
— R’gul e S’lel sono tornati — annunciò infine il cavaliere marrone.
Intanto i due draghi azzurri avevano gettato lo scompiglio nel branco, le bestie correvano intorno con grida assordanti.
— Gli altri sono stati avvisati di rientrare — continuò F’nor. — Nemorth si è quasi irrigidita, ormai. — Non riuscì più a trattenersi.
— S’lel ne ha trovate due e R’gul cinque. Sostengono che sono decise e graziose.
F’lar non disse niente. Lo aveva immaginato che quei due avrebbero portato più di una candidata. Ma potevano portarne anche cento, se volevano. Lui era tornato con una sola e quella avrebbe prevalso.
Infastidito dallo scarso effetto prodotto dalle sue notizie, F’nor si alzò.
— Avremmo fatto meglio a prendere anche quella di Crom e quella carina…
— Carina? — replicò F’lar sdegnato, inarcando un sopracciglio. — Anche Jora era carina — sibilò cinicamente.
— K’net e T’bor torneranno con delle candidate dall’occidente — terminò preoccupato F’nor.
Giunse a loro il grido dei draghi in arrivo lacerato dal vento. I due fratelli sollevarono gli sguardi verso il cielo e videro due squadroni, in tutto venti animali, che rientravano.
Mnementh alzò la testa ululando. F’lar lo chiamò e rimase soddisfatto nel notare che veniva accontentato immediatamente nonostante il pasto fosse stato leggero. Salutò cordialmente il fratello, salì sulla zampa del drago e gli si issò sul collo dirigendolo verso la caverna.
Mnementh singhiozzò per tutto il tragitto fino alla grotta interna, quindi si avviò a passi pesanti verso il giaciglio scavato nella roccia e vi si sdraiò. Non appena si fu sistemato, F’lar gli si avvicinò e gli grattò le sopracciglia, facendolo scintillare. Abbassò le palpebre.
Le persone normali avrebbero ritenuto una pazzia quel comportamento, ma F’lar aveva imparato ad apprezzare quei rari istanti di serenità come i più belli dell’intera giornata fin dal momento in cui il grande Mnementh aveva rotto il guscio e si era trascinato ondeggiando davanti al giovane cavaliere. Non c’era al mondo cosa più bella che la compagnia e la fiducia delle bestie alate di Pern, la loro fedeltà all’uomo era assoluta e immutabile a partire dallo Schema di Apprendimento.
Mnementh era tanto felice che il suo grande occhio si chiuse quasi subito. Si era addormentato, ma la punta eretta della coda indicava che si sarebbe svegliato all’istante se ce ne fosse stato bisogno.